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LETIZIA ALLEGRI

I DUE FRATELLI

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Jack è un ragazzo dalla testa dura. Il fratello, più grande di lui di una decina d'anni, è invece una persona con i piedi saldamente piantati a terra. Nello scenario della Grande Guerra, la storia di una particolare famiglia americana.

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Un sincero ringraziamento a tutti gli amici che mi hanno dato una mano, che poi sono gli stessi che hanno contribuito (in realtà hanno fatto tutto loro) alla

realizzazione della biblioteca di Pecos Bill cui si può accedere (per prelevare tutti gli albi dell'eroe del Texas e del simpatico indiano Oklahoma)

visitando il mio sito: http://pecosbill.altervista.org/pecosbill.php

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Alla persona che amo di più

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I due fratelli  

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Il ritorno

Nella sua sfolgorante divisa di aviatore di quella che sarebbe diventata la Ro-

yal Air Force, Jack dimostra più dei suoi diciotto anni (N.d.A.: La R.A.F. nasce

ufficialmente il primo aprile del 1918).

Sta uscendo dal miglior albergo della città.

A dire il vero, ci vuol poco ad essere il migliore: in città ci sono solo tre hotel.

Beh, la città...

Solo un anno fa, quando ha lasciato la casa dei genitori, non sapeva neanche

che esistessero delle città come quelle che ha visto in Europa.

I suoi genitori.

Sanno del suo ritorno, ma sono convinti che ci vorrà ancora qualche giorno.

Non lo aspettano così presto.

E ora lui è lì e si sta dirigendo verso il corral del vecchio Miguel per noleggiare

un cavallo.

E' stanco di viaggiare con quei puzzolenti mezzi a motore e ha voglia di respi-

rare un po' di aria buona, in mezzo al verde.

Cammina lento e pigro nella main street con un'aria molto diversa da quella al-

legra e scanzonata che aveva l'ultima volta che ha percorso quella strada.

E' cambiato, è molto cambiato.

Non è più il ragazzo che era.

Il suo volto non è più come quello di una volta.

I suoi occhi non lo sono più.

Hanno visto troppi orrori.

Troppi.

E non potrà dimenticare.

Quelle terribili immagini saranno sempre nella sua mente.

Assorto nei suoi pensieri non si accorge neppure che un paio di ragazze lo

stanno guardando ammirate.

Arriva al corral e Miguel gli si fa subito incontro.

«Desidera qualcosa, señor capitàn?»

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Letizia  

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"Non sono capitano, ma solo tenente" pensa Jack, ma non lo corregge.

«Dovrei noleggiare un cavallo...» e stava per aggiungere "Miguel" ma si trat-

tiene.

Non l'ha riconosciuto e forse è meglio così.

«Ho giusto quello che fa per lei, señor. Questo morello è veloce e robusto. E'

un ottimo cavallo.»

«Se per te è lo stesso, preferirei il pezzato là in fondo» risponde indicando uno

splendido mustang bianco con le caratteristiche macchie marroni.

«Oh, quello non va bene, señor. E' un cavallo muy focoso.»

Nota che lo straniero gli si è rivolto con il "tu" ma non obietta.

Conosce gli yankee e sa quanto possano essere arroganti.

«E' pericoloso. Il morello è più tranquillo» continua.

«Il mustang va benissimo» risponde Jack.

«Muy bien. Glielo sello subito, señor.»

Miguel aspetta soltanto di vedere lo straniero fare una brutta figura.

Già lo vede cadere nella polvere e rialzarsi tutto indolenzito.

«Se non ti dispiace, faccio da me. Posso prendere questa sella?»

«Seguro, señor.»

Jack prende la sella in spalla e si avvicina al pezzato che si adombra subito ni-

trendo irrequieto.

«Buono, bello. Buono.»

La voce di Jack è calma e dolce e rassicura il cavallo che si lascia avvicinare.

Il ragazzo gli si accosta sempre più e gli accarezza il muso sotto lo sguardo

meravigliato di Miguel.

«Lei si intende di cavalli, señor. Nessuno era mai riuscito ad avvicinarsi così a

Diablo.»

«Diablo?»

«E' il nome del mustang, señor. E' un vero demonio.»

«Io credo che invece sia un cavallo docile. E' solo nervoso e non è abituato alla

presenza degli uomini.»

Appoggia la sella alla staccionata, prende una coperta e la stende sulla groppa

del cavallo parlandogli docilmente e continuando ad accarezzarlo.

In un paio di minuti Diablo è sellato.

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Jack sale in sella lentamente e, continuando ad accarezzare il cavallo, guarda

Miguel sempre più meravigliato.

«Incredibile, señor. Nessuno era mai riuscito a salire in sella a Diablo.»

Miguel rimane un attimo a fissare il giovane che sta per spronare il cavallo.

«Señor, è mai stato da queste parti? Devo averla già visto da qualche parte. Il

suo volto ha qualcosa di familiare.»

«Davvero non mi riconosci, Miguel?»

ll vecchio lo guarda stupito.

«Conosce il mio nome, señor? Ci siamo già visti?»

«Miguel, Miguel! Sono io. Sono Jack.»

Il vecchio sgrana gli occhi incredulo.

«Jack? Tu sei... sei Jack?»

Lo guarda meglio e si stropiccia gli occhi.

«Ma sì. Sì, sei proprio tu. Jack! Come sei cresciuto e come sei cambiato!»

«Già.»

«Adesso capisco perché sei così bravo con i cavalli. Fatti vedere. Madre mia,

come stai bene con la divisa. Chissà quante ragazze ti corrono dietro, eh? Ma-

dre de Diòs. Cuanto tiempo. Està un año, verdad?»

«Più o meno.»

«Stai andando al ranch dei tuoi genitori, vero? Ti accompagno io. Lascia qui il

cavallo, vado a prendere l'automobile. Faremo prima. Lo sai? Adesso ho

anch'io una di quelle macchine infernali e...»

«No, no. Va bene così, Miguel. Ho voglia di cavalcare e poi, se passo dal bosco

di betulle, arriverò prima.»

«Ma la pista del bosco è poco più di un sentiero. Mi azzopperai il cavallo!»

«Miguel, Miguel. Lo sai quante volte ho fatto quella pista e non è mai successo

niente ai miei cavalli.»

«Lo so, Jack, lo so. Scusa, non volevo... ma Diablo non ha ancora i ferri e...»

«Non temere, Miguel. Sai che tengo molto ai cavalli e che li tratto quasi come

le persone...»

«Va bene, va bene, Jack, non ti arrabbiare. Prenditi una borraccia. La strada è

lunga e non troverai neanche l'ombra di un pozzo.»

«Conosco la zona. Grazie, Miguel.»

«Salutami i tuoi genitori. E anche tuo nonno. E quel matto d'un indiano.»

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«Certo. Adios, Miguel.»

«Vaya con Diòs, Jack.»

Dopo poco più di un'ora, Jack si ferma per far riposare e abbeverare il cavallo.

Solo ora si rende conto di quanto abbia sbagliato a lasciarsi la divisa e a non

indossare qualcosa di più comodo.

Già cavalcare con le scarpe d'ordinanza non era stato certo agevole e aveva

rimpianto più di una volta un bel paio di stivali.

Ma ora, dar da bere a Diablo senza un bello Stetson di cuoio robusto e imper-

meabilizzato diventa un bel problema.

Ma vuole presentarsi ai suoi con la divisa, quella divisa che gli ricorda tanti or-

rori.

E non ha appuntato al petto la medaglia.

Non se la sente, la tiene nella sacca appesa alla sella.

Voleva gettarla, insieme a quella di suo fratello, ma non l'ha fatto.

Non vuole dimenticare, non vuole far finta che non sia successo niente.

No.

La divisa e la medaglia sono lì a ricordare la sua pena.

Per quanto doloroso possa essere, è una sofferenza che deve sopportare.

Sono solo simboli, ma gli devono ricordare la sua pazzia.

Gli devono ricordare il dolore che ha causato a tutte le persone cui vuole bene.

Soprattutto a Sara.

E ai suoi due figli che probabilmente non sanno cosa è successo.

Un breve riposo al suo mustang ed è di nuovo in sella, al galoppo.

Ha fretta di arrivare a casa anche se ha paura di incontrare i suoi.

Vorrebbe che quel momento non arrivasse mai e, nello stesso tempo, accelera

l'andatura del cavallo per abbreviare l'attesa.

Non si è mai sentito così male.

E' ancora giorno quando vede i primi longhorn al pascolo.

La sua casa è dietro quella collina.

Raggiunge l'altura e si ferma un attimo a guardare.

Il ranch, gli uomini che lavorano nei corral.

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La grande casa con le sue pareti bianche spicca in mezzo al verde.

E' a casa.

Sprona il mustang e in pochi minuti è nell'ampio piazzale davanti alla casa.

Gli uomini al lavoro nel corral lo vedono e, anche se ancora non lo riconoscono,

vedono la divisa e capiscono immediatamente chi è.

Si avvicinano gridando per festeggiarlo ma Jack fa segno di tacere.

Le grida continuano per pochi secondi e poi si interrompono.

Scende dal cavallo e lo lascia alle cure dei cowboy.

Si avvicina alla sua casa ed entra.

Sua madre sta scendendo una delle due scalinate a semicerchio che dall'in-

gresso portano alle camere del piano superiore.

Appena lo vede, scende in fretta gli ultimi gradini e gli corre incontro.

Jack la stringe a sé, la solleva da terra e la fa roteare.

E nel totale silenzio la bacia e la bacia ancora.

La donna, con i capelli ancora neri nonostante l'età non più giovanissima, lo

stringe forte e lo bacia ancora.

Poi si stacca dalle sue braccia e lo guarda, in silenzio.

Jack sta per dire qualcosa quando un sonoro ceffone gli arriva nella sua guan-

cia sinistra.

La donna poi scoppia in un singhiozzo che cerca di soffocare e stringe di nuovo

a sé il figlio.

«Mamma...»

«Vieni» lo interrompe lei, «di là ci sono tutti.»

Lo prende per mano come faceva da bambino e lo accompagna verso la sala

attigua, da dove si sentono delle voci.

Entrano.

Ci sono tutti.

Suo padre che stava venendo verso la porta per vedere cos'erano le urla che

aveva sentito provenire da fuori.

Il nonno, sprofondato nella poltrona con gli occhiali sul naso che sta sfogliando

il giornale.

Il vecchio indiano, seduto accanto il camino, sta fumando la sua pipa che, a

suo dire, ha più di duecento anni e che era stata usata da numerosi capi.

E c'è Sara.

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Letizia  

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I suoi due bambini, vedendo un estraneo, si aggrappano timidamente alle

gambe della mamma.

E c'è anche Mamie che sta da loro da prima che Jack nascesse.

Si è occupata prima del fratello, poi di lui e adesso dei suoi nipotini.

Ci sono proprio tutti.

Manca, naturalmente, suo fratello.

E la sua assenza pesa come un macigno.

«Mamma, chi è quel signore con quei vestiti buffi?» chiede il più piccolo che

ormai ha quasi tre anni.

Il più grande mi sta scrutando incuriosito come se ricordasse qualcosa di que-

sto strano tipo.

«E' lo zio Jack, Charlie. Lo zio Jack che è tornato dalla guerra.»

Le parole di Sara sono fredde come la lama di un coltello e i suoi occhi lanciano

uno sguardo che Jack non ce la fa a sopportare.

«Jack! E' lo zio Jack! E' tornato! Jack, Jack» urla Thomas correndo verso di lui.

Jack lo solleva da terra e lo alza in aria come faceva quando era più piccolo.

«Bambini, andate con Mamie che vi prepara la merenda».

La voce di Sara risuona quasi come un ordine.

«Venite, bambini. Andiamo a far merenda e lasciamo i grandi a chiacchierare.»

In un attimo Charlie e Thomas lasciano di corsa la stanza.

Gridando allegri precedono Mamie in cucina.

«Papà...» salta su Jack, ma non fa in tempo a finire la frase che suo padre gli

sferra un poderoso uppercut che lo fa letteralmente volare per poi cadere su

una poltrona rovesciandola.

Nessuno dice una parola.

Jack si rialza toccandosi la mascella quasi a constatare che non gli sia saltato

qualche dente.

Ma suo padre sa colpire facendo molto male senza però recare grandi danni.

«Certo che hai la mano pesante, pa'.» esclama Jack come se conoscesse il pu-

gno di suo padre che invece non aveva mai alzato un dito su di lui prima di al-

lora.

L'uomo si avvicina al figlio che si ritrae temendo un altro sganassone.

Ma il padre si avvicina a Jack e lo stringe forte tra le braccia.

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I due fratelli  

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«Maledetto pazzo incosciente» sussurra mentre lo stringe a sé, «pazzo inco-

sciente.»

La sera a tavola non c'è l'allegria di sempre.

Se non fosse per il nonno con la sua aria sorniona di finto ingenuo che cerca di

scaldare un po' l'ambiente, sembrerebbe proprio una veglia funebre.

E meno male che ci sono i bambini che strillano sgattaiolando tra una sedia e

l'altra o addirittura sotto il tavolo.

E' incredibile come un esserino così piccolo abbia una voce tanto squillante.

Ma la cosa dura poco perché Sara li porta a letto presto, troppo presto per la

verità, e ne approfitta anche lei per ritirarsi in camera sua, seguita subito dopo

dalla suocera.

E anche Mamie, dopo aver sparecchiato, sparisce in cucina e non si fa più ve-

dere.

Rimangono i quattro uomini che, ora che non ci sono le donne a brontolare, ne

approfittano per bersi un goccetto e farsi una fumatina.

Jack, come suo padre, non fuma ma, anche se non è un gran bevitore, un bic-

chiere se lo fa volentieri.

Ci vuole proprio.

Il nonno si arrotola una sigaretta e il vecchio indiano si accende la sua antica

pipa.

A poco a poco, naturalmente merito del nonno che ne sa una più del diavolo,

l'atmosfera si fa più rilassata e Jack si accorge che le ore, che prima non sem-

bravano passare mai, in realtà sono volate.

Mezzanotte è già passata da un pezzo quando lasciano la sala per andare a ri-

posare.

Un saluto e una buonanotte a tutti e Jack si ritrova nel suo letto, finalmente

senza quella divisa che non indosserà mai più.

L'alba tarda a venire, forse perché Jack non ha chiuso occhio tutta la notte.

Quando scende in cucina per farsi un paio d'uova con un po' di pancetta, vede

con sorpresa che sua madre e sua cognata sono già alzate nonostante manchi

ancora più di un'ora al sorgere del sole.

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Letizia  

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Sua madre si avvicina per baciarlo e Sara gli rivolge un buongiorno che avreb-

be potuto anche essere un po' più caloroso.

«Stai andando in città, Sara? Vuoi che ti accompagni?»

«No grazie, Jack. Mi accompagna il signor Williams con l'auto di papà. Avrò bi-

sogno che si fermi in città con me perché non so quando farò ritorno.»

«Beh, io ti posso aspettare anche tutta la giornata. Non ho molte cose da fare

e...»

«Non vuoi andare a trovare Elisabeth? Non credi che le farà piacere rivederti?»

«Beh... non lo so... io...»

Si interrompe quasi a riprendere fiato e aggiunge: «Forse hai ragione, Sara.

Forse è meglio che faccia un salto da lei.»

«Come mai ti sei svegliato così presto, Jack?»

«Non mi sono svegliato affatto, mamma. Non sono riuscito a chiudere occhio

stanotte.»

«Non hai un buon aspetto, infatti. Riposati nella sedia a dondolo mentre io ti

preparo la colazione.»

«No grazie, ma'. Non riesco a stare con le mani in mano. Esco a sellare il ca-

vallo. Sarò di ritorno fra un quarto d'ora.»

«Non tardare però, altrimenti ti si fredda la colazione.»

«Ok, ma'. A più tardi allora. Ciao Sara.»

«Ciao, Jack.»

Nella stalla naturalmente c'è ancora il pezzato che ha noleggiato da Miguel.

Lo sella velocemente.

Appesi ad una parete ci sono il suo winchester, il cinturone e le sue due colt.

Un tempo non se ne separava mai, ma ora pensa che non gli serviranno mai

più, neanche per andare a caccia.

C'è anche il suo Stetson che si affonda con energia sulla testa.

Esce dalla stalla portando il cavallo alla briglia e si dirige verso casa.

Mezz'ora dopo è già in sella e sta dirigendosi verso il ranch dei genitori di Eli-

sabeth.

Quando è partito per l'Europa, Beth e lui si sono lasciati in malo modo e lei non

era venuta a salutarlo il giorno della partenza.

Tra meno di un'ora Jack la incontrerà e sta pensando a quale sarà la sua rea-

zione.

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I due fratelli  

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L'avrà perdonato?

Mille congetture si affacciano alla sua mente e nessuna riflette quello che real-

mente desidera.

Sprona il cavallo.

Ha fretta di sapere.

Il ranch è uguale a come lo ricordava.

E' passato un anno ma niente è cambiato.

Da lontano vede i cowboy del ranch che lo stanno guardando e qualcuno lo ha

riconosciuto.

«Jack, vecchio furfante. Sei tornato. Fatti vedere. Sta benissimo, vero Frank?»

«Ciao Bill. Ciao Frank.»

«Sei venuto a trovare miss Elisabeth? E' andata a fare la sua solita galoppata

mattutina. Sarà qui tra poco.»

«Ah! Bene.»

«Ma tu come va? Chissà quante cose hai da raccontare e... Ah, ma ecco miss

Elisabeth che sta arrivando.»

"Meno male" pensa Jack, "non mi andava proprio di parlare, specialmente della

guerra".

La ragazza si avvicina sempre più e, quando riconosce Jack, sprona il cavallo

frustandolo.

Scende a terra che ancora il puledro non si è fermato e corre da Jack abbrac-

ciandolo.

«Oh, Jack. Jack... Jack.»

Lui la stringe fra le braccia e bacia i suoi bellissimi capelli neri che profumano

di salvia in fiore bagnata dalla rugiada.

Non si aspettava un simile comportamento da parte di Elisabeth.

Il suo volto si rasserena lievemente e un accenno di sorriso compare sulle sue

labbra.

Lei si scosta e lui si china per baciarla.

Ma lei si ritrae.

«Beth...»

Le parole non gli escono dalla bocca.

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Letizia  

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«Credevi che ti avessi perdonato, Jack? Sono solo molto contenta che tu sia

tornato. Mi sei mancato molto, sai? Ma tutto qui. Tra me e te non ci potrà più

essere quello che c'è stato prima della tua partenza.»

«Beth, io non voglio niente. Sono qui solo perché avevo voglia di rivederti e...

pensavo che tu avessi il diritto di rivedermi. Sano e salvo. Solo che credevo

che... Sono stato uno stupido a pensarlo. Ma tu mi hai abbracciato forte... e mi

hai detto che...»

«Ti ho detto solo che mi sei mancato. Ti ho amato tanto, sai? Non sono cose

che possono essere cancellate facilmente.»

«Tu... tu non mi ami più? C'è... c'è forse un altro?»

«Non dire stupidaggini, Jack. Come potrebbe esserci qualcun altro? Io non a-

merò più nessuno. Ma neanche te.»

«Ma Beth, così rovinerai la tua vita. E anche la mia.»

«Ma guarda. Forse le ho già sentite queste parole. Te le hanno dette tutte le

persone che ti vogliono bene. Io compresa.»

Jack abbassa il capo.

Beth ha ragione.

E' partito per l'Europa nonostante le suppliche di Beth, di sua madre e... e di

suo fratello.

Non ha ascoltato nessuno.

Pazzo.

«Hai ragione. Scusami, Beth. Sono stato un idiota. Mi merito tutto quello che

mi succede. Solo che...»

Non trova le parole per esprimere quello che sente.

«Beh, allora... ciao Beth. Sono contento di averti rivisto. Stai molto bene. Sei

bellissima. Ancora più di quanto ricordavo.»

«Anche tu stai molto bene» risponde lei arrossendo.

«Uhm... Ciao allora.»

Sale a cavallo e, dopo un ultimo sguardo negli occhi neri e profondi di lei, lo

sprona con un leggero colpo di speroni e si allontana in direzione del proprio

ranch.

Lei lo sta a guardare sperando che si volti a guardarla, mentre una lacrima gli

scende sula guancia pallida come la luna.

Ma Jack non si volta e lei lo vede scomparire dietro la collina.

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I due fratelli  

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Quando arriva al ranch, va diritto alla stalla.

Toglie morso e sella al pezzato di Miguel e sella due cavalli.

Prende il suo winchester e lo inserisce nel fodero della sella di uno dei due ca-

valli.

Da' uno sguardo alla parete e vede le sue colt.

Si allaccia il cinturone e controlla i due revolver.

Sono scarichi.

Cerca in un baule le munizioni e ne prende cinque o sei scatole.

Carica le colt e le inserisce nelle due fondine.

In una doppia bisaccia infila un po' di cose che gli possono servire, prende un

paio di borracce e appende il tutto alla sella.

Cerca il suo vecchio bowie knife, che è sempre lucido e affilato come un rasoio,

e salta in sella.

Prende il secondo cavallo per le redini ed esce dalla stalla.

Si allontana dirigendosi ad ovest mentre alcuni cowboy lo seguono con lo

sguardo.

Passando davanti la casa vede il nonno che si arrotola una sigaretta.

Senza un cenno di saluto, passa davanti a lui che lo guarda negli occhi senza

dire una parola.

Dopo pochi minuti è già lontano all'orizzonte, solo con i suoi pensieri.

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Letizia  

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I due fratelli

La giornata è splendida e il fiume scorre pigramente nel bosco.

Non so neanch'io perché continuo a venire a pescare con mio fratello.

Pescare non mi piace, troppo noioso.

Preferisco andare a caccia.

«Eagle, sei sicuro che ci siano dei pesci in questo dannato torrente? E' un'ora

che siamo qui e non ho preso un accidenti di niente.»

«Tu non hai preso niente. Io ne ho già presi tre. E non chiamarmi Eagle. Lo sai

che non lo sopporto.»

«Sarà! Forse perché non mi piace pescare. Vuoi mettere quanto è più bella la

caccia?»

«Oh, certo. Così puoi dimostrare tutta la tua abilità di tiratore. Ma lo sai che io

non amo tanto la caccia.»

«Già. Tu ami gli animali e uccidi solo quando non ne puoi fare a meno. Ma ne-

anch'io sono uno spietato assassino e rispetto la natura, lo sai. Non ho mai uc-

ciso un cucciolo. Solo animali anziani e sai che preferisco quelli più dannosi per

l'uomo. Come i pecari, per esempio. Che tra l'altro hanno la carne squisita.»

«Uhm...»

«E poi anche tu non disdegni qualche arrosto e sai benissimo che fine fanno i

longhorn che alleviamo.»

«E' diverso. Con i longhorn non rompiamo nessun equilibrio della natura. Sono

bestie di allevamento e non rischiano per nulla l'estinzione.»

«Ok. Vuoi sempre aver ragione tu, Eagle.»

«Io non voglio aver sempre ragione. Io "ho" ragione. E ti ho detto di non chia-

marmi Eagle.»

«Ok, ok, non ti arrabbiare. Senti, perché domani non vieni con me alla piana di

Flatland?»

«Alla piana di Flatland? E cosa ci vorresti andare a fare? Eh? Ci sei già stato,

vero?»

«Beh, sì. Un paio di volte.»

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I due fratelli  

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«E allora perché domani non ci vai da solo?»

«Beh, sai. Sono rimasto affascinato da quelle...»

«Non dirmi che ci vuoi fare un giro sopra, vero?»

«Beh, non dico che non mi piacerebbe, ma...»

«Ma il vecchio Peter non ti ha dato il permesso, vero? E' per questo che ci vuoi

andare con me.»

«Beh, sì... Oh insomma. Sì, ci voglio fare un giro sopra, magari breve breve,

ma ci voglio provare.»

«Niente in contrario. Stasera dirai alla mamma dove vuoi andare e, se lei ti dà

il permesso, ti ci porto. Ok?»

«Ok. Cosa fatta allora. A che ora partiamo?»

«E dirai alla mamma quello che hai intenzione di fare. Ok?»

«Credi che sia proprio necessario?»

«Sì. E' necessario. E' più che necessario. E' indispensabile. Siamo d'accordo?»

«Ma...»

«Niente ma. O avrai il suo permesso o non se ne fa nulla.»

«Ok. Ok. Ma lo sai che sei proprio noioso, Eagle?»

«Se mi chiami ancora così, ti ci porto fra cinque o sei anni.»

«Va bene, Eagle, non ti arrabbiare.»

La sera a cena c'è la solita allegra confusione.

Il piccolo Charlie schiaffa la pappa dappertutto tranne che in bocca mentre Sa-

ra cerca di dargli da mangiare.

Tommy è aggrappato alla gamba della madre e strilla che ha fame cercando di

attirare l'attenzione su di sé.

Vorrei sapere dove Sara prende tutta quella pazienza.

Mio fratello tenta di staccare il figlio più grande dalla gamba della mamma sen-

za riuscire a spostarlo di un millimetro.

Mamie sbuca sorridendo dalla cucina con in mano un vassoio che manda un

profumo delizioso.

La mamma toglie dalla bocca del nonno l'ennesima sigaretta prima che lui rie-

sca ad accenderla.

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Il vecchio e silenzioso indiano stringe la sua pipa senza tabacco tra i denti.

Sa che mia madre non tollera che si fumi a tavola e perciò non perde neanche

il tempo a riempirla.

E mio padre guarda la scena compiaciuto.

Ah, dimenticavo.

Io sto in silenzio al mio posto cercando il modo migliore per chiedere alla

mamma se posso andare con Eagle al campo di Flatland.

Ma, se voglio ottenere il suo consenso, dovrò essere il più diplomatico possibi-

le.

Cioè, devo dirgli cosa ci voglio andare a fare senza però farglielo capire, altri-

menti mi spella vivo.

Insomma, glielo devo dire senza dirglielo.

Facile, no?

No, non è per niente facile.

Non so proprio come farò, mannaggia.

Mentre nel mio cervello turbinano le più sconclusionate idee, mi arriva davanti

un piatto con un pezzo di arrosto di pecari il cui solo aroma fa svenire.

Mamie è una maestra e conosce benissimo i miei gusti, ma questa volta ha su-

perato sé stessa.

Non ho mai mangiato nulla di così buono e i miei pensieri svaniscono in un at-

timo.

Il guaio è che sparisce in un attimo anche l'arrosto.

Però Mamie, che aveva previsto tutto, è pronta a portarmene un'altra porzione.

Mamma mia, che mangiata!

Mentre Mamie sparecchia, ce ne andiamo tutti nella sala che chiamiamo "la bi-

blioteca" perché le pareti sono quasi interamente coperte da una moltitudine di

libri posti su scaffali che arrivano praticamente al soffitto.

Ma è la sala dove ci riuniamo tutti per stare in compagnia, la sala dove i bam-

bini giocano, soprattutto con me, e i grandi chiacchierano amabilmente tra lo-

ro.

Tutti tranne il vecchio indiano che se ne sta sempre in silenzio.

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I due fratelli  

17  

Ma ascolta sempre.

E con molta attenzione.

La prima volta che lo sentii parlare, ne rimasi meravigliato.

Ho sempre creduto che fosse muto.

La biblioteca è anche l'unica stanza della nostra casa dove la mamma permette

che si fumi.

E infatti, come il nonno ci mette piede, tira fuori dal taschino una sigaretta ar-

rotolata e se la accende con gusto.

Il "finto muto" carica lentamente la sua pipa con il tabacco.

Non ha fretta.

La preparazione della pipa è un rito per lui.

Mio fratello mi sta guardando con insistenza.

Aspetta.

Mi avvicino alla mamma e siedo sul bracciolo della poltrona in cui lei è sprofon-

data e comincio a coccolarla un po'.

«Jack, che ti prende? Come mai sei così smanceroso?»

«Mamma domani Eagle ed io non veniamo a pranzo. Non aspettateci» esordi-

sco ignorando la sua domanda.

Parto all'attacco.

Non chiedo.

Do per scontato che lei non dica di no.

E' una tattica di avvicinamento.

Strano che mio fratello non abbia brontolato perché l'ho chiamato Eagle.

«Come mai?» mi chiede lei.

«Dove andate di bello?»

«Andiamo alle Flatland.»

«Alle Flatland?» domanda papà.

«E cosa ci andate a fare? Che io sappia non c'è niente da quelle parti, tran-

ne...»

Si interrompe un attimo mentre mio fratello mi lancia un'occhiata di fuoco.

Mi devo decidere a dirglielo.

«... tranne quel nuovo, come si chiama, quel nuovo aeroporto dove scorrazza-

no quei puzzolenti trabiccoli rumorosi.»

«Già» rispondo a papà guardando la mamma.

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Letizia  

18  

E' lei che comanda in casa.

Papà l'adora e le lascia fare tutto quello che vuole.

«Infatti andiamo a vedere gli aeroplani» proseguo.

«Nel giornale di oggi c'è una bellissima foto di un aereo».

Il nonno abbassa il giornale che sta leggendo e, guardandomi al di sopra degli

occhialini che gli servono solo per leggere, continua: «Se guardi questa foto ti

risparmi il viaggio fino là.»

Sta prendendomi per i fondelli, ovvio.

«Nonno, non ti ci mettere anche tu. Vederli dal vivo volare nel cielo deve esse-

re uno spettacolo mozzafiato.»

«Ai miei tempi gli spettacoli mozzafiato erano ben altri. Un tramonto d'estate

tra i canyon. Il ruscello nel bosco, quello dove siete andati a pescare oggi, la

mattina presto con il sole che filtra tra le foglie ancora bagnate di rugiada.

Quelli erano spettacoli mozzafiato, ai miei tempi. Gioventù moderna!»

Alza il giornale che nasconde il suo viso nel quale, ci scommetto, è dipinto un

sorriso sornione.

«Beh, comunque domani ci faremo un salto e ci godremo lo spettacolo di tutti

quegli aerei variopinti che sfrecciano nel cielo.»

Guardo mio fratello che non ha ancora aperto bocca e chiedo: «Allora mamma,

possiamo andarci domani?»

«Va bene, Jack. Andate pure. Ma tornate presto. Prima di cenare dovrete finire

quel lavoro nella stalla. Te ne sei già dimenticato?»

«Oh no, mamma. Tranquilla. Saremo di ritorno in tempo e ti prometto che fini-

rò il lavoro da solo.»

«Jack!»

La voce cantilenante di mio fratello arriva alle mie orecchie come una frustata

a ricordarmi che non ho ancora detto alla mamma perché voglio andare all'ae-

roporto.

Mi devo decidere.

Ma devo prendere la cosa da lontano.

«Mamma, quand'eri giovane, tu è papà siete mai stati a guardare il panorama

dall'alto del Grand Canyon?»

Mio fratello mi guarda come se volesse fulminarmi con lo sguardo.

«Sì, Jack. Ci sono stata. Ma perché me lo domandi?»

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I due fratelli  

19  

«Scommetto che da lassù si vedeva uno spettacolo stupendo.»

Papà mi sta guardando in maniera strana, come se avesse capito dove voglio

andare a parare.

«Perché allora domani non andate lì invece che alla piana di Flatland?» ribatte

il nonno con la sua solita aria ironica.

Ha capito e si diverte a prendermi per i fondelli.

E così finalmente mi decido.

«Oh nonno, smettila di prendermi in giro. Volevo andare alla piana per fare un

giro in aereo e godermi il panorama dall'alto.»

L'ho detto.

«Vuoi volare su uno di quei cosi?»

Ahia, papà non l'ha presa bene.

«Sì, pa'. Deve essere un'emozione stupenda.»

«Ma è pericoloso, Jack.»

«Ma no, mamma. E poi non sarò certo io a pilotare. Sarà il signor Williams.

L'aereo non è come l'automobile. Ci vuole molta pratica, specialmente nell'at-

terraggio.»

«Williams? Quel matto di Peter Williams?»

«Sì, papà. Ma non è per niente matto. E' una persona molto in gamba invece.

Ho visto cosa sa fare con il suo aereo. E' un fenomeno. E...»

«Sei già andato alle piane di Flatland, allora?»

«Sì, mamma. Ti prego, dammi il permesso. Ti prego.»

«D'accordo...»

Le butto le braccia al collo e la bacio stringendola forte.

«Grazie, mamma. Lo sapevo che non mi avresti detto di no.»

«Calma, Jack. Calma. Lasciami finire. Stavo dicendo: d'accordo, ne parleremo

io e papà e ti faremo sapere. Ma non andrai certo domani.»

«Ma mamma...»

«Basta così, Jack. La mamma ha detto che ne vuole parlare con me. Non ti ha

detto di no. Vedremo. Adesso vai a giocare un po' con Thomas prima che Sara

lo metta a letto. Stasera, con questa storia degli aerei, lo hai un po' trascura-

to.»

«Ok, pa'. Ma mettici una buona parola. Ricordati che anche tu alla mia età eri

uno scavezzacollo.»

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Letizia  

20  

Due giorni dopo sono all'aeroporto di Flatland con mio fratello.

Siamo arrivati con l'auto di papà ed Eagle mi ha fatto guidare.

Già tre o quattro miglia prima di arrivare abbiamo visto volare l'aereo del si-

gnor Williams.

E' bellissimo e se penso che tra poco anch'io sarò lassù a fare piroette nel cie-

lo...

Mamma mia, non sto nella pelle dall'eccitazione.

Non vedo l'ora di essere lassù.

In lontananza, vicino alla casa ai bordi della pista, scorgo due uomini che stan-

no parlando tra loro.

E vedo anche una ragazza splendida che non ho mai visto.

«Eagle, chi è quella ragazza?»

«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Eagle.»

«Ok. Ma chi è? La conosci.»

«Certamente. E la conosci anche tu.»

«Io? Ma se è la prima volta che la vedo.»

«No, no. La conosci, la conosci.»

«Ti dico di no. Ma insomma, chi è?»

«E' Elisabeth, la figlia del nostro vicino. Il signor Morgan.»

«Betty? Ma se l'ultima volta che l'ho vista era una bimbetta con le trecce.»

«Anche tu avevi i pantaloni corti. E' stato tre anni fa, credo. Ora mi pare che

abbia quindici anni.»

«E' diventata una ragazza bellissima.»

«Già. Ma sta' attento o quel brav'uomo di suo padre ti spella vivo.»

«Ma io non ho alcuna intenzione di...»

«Appunto. E fai bene. Siete ancora troppo giovani.»

Ci stiamo avvicinando e lei, sentendo i nostri passi, si gira a guardarci.

«Buon giorno, signor Morgan. Ciao, Beth. Ti ricordi di me?»

«Certo, Jack. Non sei cambiato molto, direi.»

«Ciao, Morgan. Che ci fai da queste parti?»

«Guarda guarda, vecchio furfante, Come sta Sara? E i piccoli?»

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I due fratelli  

21  

«Stanno bene, grazie.»

Mentre Morgan e mio fratello chiacchierano tra di loro, mi allontano un po' con

Beth.

«Tu invece sì, Beth. Sei diventata bellissima.»

«Cosa vorresti dire? Che prima ero brutta?»

«Ma no, cosa vai a pensare. Solo che prima eri una bambina con le trecce e

ora invece...»

«E ora?» chiede lei maliziosamente.

«Sei cresciuta. Sei diventata una ragazza... Beh, insomma. Sei cambiata.»

Sento che sto diventando rosso.

Che ti prende, Jack?

Sei venuto qui per volare e non per fare il cascamorto con le ragazze.

Però Betty è davvero bellissima.

«E così sei venuto a farti un volo su questi cosi, eh Jack?»

«Beh sì, signor Morgan. Mi piacerebbe moltissimo.»

«Vuoi volare su uno di questi aerei, Jack? Non hai paura»

«Paura? No di certo, Betty. Volare non è pericoloso.»

«E invece sì. Se il motore si ferma, l'aereo cade giù.»

«Oh no, Beth. L'aereo può planare a terra anche a motore spento. Hai mai vi-

sto le aquile quando si lasciano librare in aria con le ali aperte e si lasciano por-

tare dal vento?»

«Sarà, ma io non ci salirei neanche morta.»

«Andiamo, Elisabeth. Ho preso accordi con l'assistente di Peter. Verranno a ir-

rigare i nostri campi dopodomani. Arrivederci ragazzi. Venite a trovarci al

ranch qualche volta. Claire fa delle frittelle favolose.»

«Verremo senz'altro, Morgan. A presto.»

«Arrivederci, signor Morgan. Ciao Beth.»

«Ciao, Jack. Arrivederci, signore.»

«Ciao, Elisabeth.»

Si allontanano verso i cavalli e sento il cuore che mi sta battendo all'impazzata.

Ma che ti prende, Jack?

Non ti starai mica innamorando?

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Letizia  

22  

«Yahooooooo! Yippieeeeeee!»

Credo che le mie urla si sentano anche da terra.

Si staranno tutti chiedendo: "ma chi è quel matto che urla tanto?"

Tutti tranne naturalmente mio fratello che sa già da un pezzo che sono un po'

svitato.

Ma solo un poco, però.

Il fatto che volare è una cosa stupenda e io mi sento al settimo cielo.

E non solo metaforicamente.

Abbiamo anche spaventato qualche anatra che stava svolazzando davanti a

noi.

E' uno spettacolo stupendo e io non riesco a descrivere quello che provo.

Tutto appare così piccolo da quassù.

Gli uomini, le case e persino quel boschetto che abbiamo attraversato, Eagle

ed io, per arrivare alle Flatland.

Peter sta pilotando l'aereo come se fosse un giocattolo.

Gli sta facendo fare delle acrobazie incredibili e abbiamo volato parecchie volte

a testa in giù.

Se non fossi legato al seggiolino con una robusta cinghia di cuoio, sarei già

precipitato due o tre volte.

Sarebbe stata una cosa poco piacevole, immagino.

La prima volta che ha fatto il giro della morte - ho saputo dopo che si chiama

così - mi ha un po' sorpreso.

Non me l'aspettavo e mi sono sentito lo stomaco andare in fondo ai piedi.

Ma poi ci ho fatto l'abitudine.

In fondo è come domare un puledro selvaggio.

Anzi, con i cavalli gli scossoni sono più violenti.

Qui si balla un po', ma niente di particolare.

Dopo i primi minuti di volo spericolato, adesso Peter sta pilotando dolcemente

e l'aereo sembra scivolare come una barca sull'acqua.

Solo che qui non siamo nel fiume.

Siamo in mezzo al vuoto.

E andiamo molto più veloci.

Sento l'aria che mi sferza sul viso.

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I due fratelli  

23  

E' molto peggio di quella volta che mi son trovato con papà nella valle di Palo

Verde proprio in mezzo a un bel tornado.

Non c'era neanche l'ombra di un riparo e ce la siamo vista brutta.

Ci ha presi alla sprovvista.

La giornata non era poi così brutta, ma in un attimo il cielo è diventato nero e

si è scatenato l'inferno.

Adesso invece il cielo non può essere più azzurro.

Non sono mai stato meglio in vita mia.

Ma purtroppo, come tutte le cose belle, questa affascinante esperienza dura

poco.

Troppo poco.

E a nulla sono valse le mie proteste.

Peter ha portato a terra l'aereo troppo presto.

Mio fratello mi sta aspettando e ci guarda arrivare con un'aria che mi piace po-

co.

Ma io non ci presto molta attenzione.

Sono troppo eccitato.

«Dovresti provare anche tu, Eagle. E' stata una cosa stupenda. Indescrivibile.»

«Non ci penso nemmeno.»

Non ha brontolato perché l'ho chiamato Eagle e sta guardando Peter dietro di

me con una strana espressione nei suoi occhi.

Mi giro di scatto e vedo Peter che allarga le braccia e alza le spalle.

Uhm...

Ma che hanno questi due?

«Cosa sono tutti questi cenni d'intesa tra voi due? Cosa state macchinando?

Qualche scherzo alle mie spalle?»

«Ma che dici, Jack? Nessun cenno e nessuno scherzo...»

«Non ti si può nascondere niente, eh piccolo furfante?»

Mio fratello interrompe il buon Peter che, per la verità non è stato per niente

convincente.

«Sono stato io a chiedergli di strapazzarti un po'. Volevo che rovesciassi anche

le budella e farti passare la voglia di volare. Ma a quanto pare con scarsi risul-

tati. Sembra che tu ti sia divertito come un matto lassù.»

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Letizia  

24  

«Eagle, questo non me lo sarei mai aspettato da te. Se lo sapesse la mam-

ma...»

Mi guarda un po' esitante.

E poi risponde: «La mamma sarebbe molto dispiaciuta, è vero. E sarà dispia-

ciuta, e tanto, quando saprà che non ti sei sentito male. E' stata lei a chiedermi

di comportarmi così.»

«La mamma? Ma non dire stupidaggini. La mamma non avrebbe mai fatto una

cosa simile.»

«Si vede che la conosci poco. La mamma ti vuole molto bene. E me l'ha chiesto

proprio per questo. Voleva che ti passasse questa tua mania e un po' di mal di

stomaco al suo figlio scavezzacollo sarebbe stato un prezzo molto basso da pa-

gare. Quasi gratis.»

«Oh, perbacco.»

Sono rimasto di sale.

«Davvero la mamma...»

Non finisco la frase.

Mi vuole così bene fino al punto di...

Non ci avevo pensato.

«Non ci avevo pensato.»

Ripeto, ma questa volta ad alta voce.

«La mamma ti vuole troppo bene per proibirti di fare una cosa che tu desideri

così tanto. Ma sperava che tu ci ripensassi, che ti passasse. E tu, se le vuoi be-

ne anche solo la metà di quanto lei ne vuole a te, dovresti guarire da questa

tua follia.»

Mi fa sentire come un verme.

Sulla via del ritorno a casa non dico una parola.

Sono troppo preso dai miei pensieri.

Non gli ho nemmeno chiesto di guidare l'auto come ho fatto all'andata.

Non ne ho proprio voglia.

Se la mamma ha paura e non vuole che io voli più, mi devo decidere a farmi

passare questa passione.

Ok, non volerò più.

Ho deciso.

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I due fratelli  

25  

Nei mesi successivi sono tornato alle Flatland molto spesso.

Anche due volte alla settimana.

Peter si è deciso a mettere i comandi per pilotare l'aereo anche nell'abitacolo

posteriore.

L'ha fatto perché non glielo ho chiesto solo io.

Ci sono degli aspiranti piloti che fanno anche cinquecento miglia per venire qui

alle Flatland.

Sembra che sia l'unica pista per aerei di tutta la regione.

E così, dopo un altro paio di volte che ha pilotato lui, ho cominciato le mie pri-

me esperienze di pilota.

Ora, quando mi alzo in volo, lui non viene più con me.

Ha comprato un altro aereo con i comandi singoli e lascia questo a me.

Utilizza invece quello con i comandi doppi per insegnare a pilotare a due o tre

ricchi allevatori della zona.

Ce n'è persino uno che ha qualche pozzo di petrolio nel Nuovo Messico.

Ma non crediate che io ami solo volare e che mi dedichi solo a quello.

Il giorno dopo il mio primo volo, sono andato con mio fratello al ranch del si-

gnor Morgan.

Io e Betty siamo diventati molto... ehm... amici.

Forse siamo troppo giovani per fare sul serio, ma io le voglio bene.

E credo anche lei.

E poi io non sono così giovane,

Ho un anno più di lei, perbacco.

Abbiamo passato molto tempo insieme, qualche volta anche da soli.

Ma non sono mai riuscito a baciarla, mannaggia.

Oggi però ci provo.

Andremo a fare una passeggiata a cavallo.

Lei cavalca benissimo, quasi meglio di me.

Quasi.

Io sono insuperabile.

Lei c'è nata a cavallo.

Ma io ci andavo anche prima di nascere.

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Letizia  

26  

Cioè non proprio io, ci andava mia madre quando mi aspettava.

Non negli ultimi tempi, è ovvio.

Beh, anche prima, veramente... oh insomma, ci andava.

Qualche volta.

Eccola laggiù che mi sta aspettando, in sella al suo baio.

E' bellissima.

Mi viene incontro al galoppo.

«Ciao, Jack. Vediamo chi arriva prima all'Arora.»

L'Arora è un piccolo bosco non lontano dal suo ranch.

Ci andiamo spesso, quando vogliamo stare un po' soli.

E' il "nostro" posto.

E' lì che oggi la bacerò per la prima volta.

Mentre sto fantasticando, lei gira il cavallo e lo sprona selvaggiamente.

Ah, piccola imbrogliona.

Sta barando.

Sprono a mia volta e fatico a raggiungerla, nonostante il mio mustang non sia

da meno del suo baio.

Anzi non la raggiungo proprio e lei arriva prima di me al boschetto.

Anche se di poco.

E poi, devo dire che, sì insomma, non ho incitato il mio puledro al massimo.

Volevo lasciarla vincere.

Non è così che si fa con le donne, vero?

Beh, insomma...

E' stata brava.

Però ha barato.

«Sono arrivata prima. Devi pagare pegno» sorride lei scendendo da cavallo.

«Pegno? Uhm... Cosa vuoi in pegno, Betty? Me?»

«Non fare lo sciocco. Dunque, vediamo un po'... Lasciami pensare...»

Sta alzando gli occhi al cielo come se stesse cercando ispirazione per trovare

qualcosa di impossibile, quando la prendo dolcemente per un braccio e mi ac-

costo a lei.

La guardo nei suoi occhi bellissimi che non evitano i miei.

Non resisto.

Chino il capo per baciarla, ma lei si ritira.

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I due fratelli  

27  

«Beth, io...»

«No, Jack.»

«Beth, io ti voglio bene.»

«Lo so, Jack. E anch'io provo qualcosa per te.»

«Ma allora...»

«Allora è ancora troppo presto. Non ho ancora sedici anni. La mamma ha detto

che avremo tutto il tempo che vorremo.»

«Hai parlato di me a tua madre? Cioè, gli hai detto che... che mi vuoi bene?»

«Sì, Jack. E lei ha detto che è contenta perché tu sei un bravo ragazzo. Ma ha

anche detto di non rovinare tutto. Papà non sa niente e non so come la pren-

derebbe se lo sapesse. Papà ha molta stima per te e per tutta la tua famiglia.

E' molto amico di tuo padre, lo sai. Lascia che le cose vadano a posto da sole.

Se mio padre dovesse capire qualcosa, tu dovrai poterlo guardare dritto negli

occhi e dirgli con fierezza che mi hai sempre trattata come una cara amica,

come una sorella.»

Mi ama.

Ha parlato di me a sua madre.

E lei non ha nulla in contrario.

Sono l'uomo più felice della terra.

«Ora sei la mia fidanzata, Beth» le dico prendendola per mano.

Lei sorride.

Ci incamminiamo insieme, mano nella mano, lungo il ruscello che scorre nel

boschetto.

Non riesco a spiccicare una parola e anche lei tace.

Non abbiamo bisogno di parlare.

Il mondo gira solo per noi due.

La sera a tavola non ho la solita aria sbarazzina.

Mi esprimo a monosillabi e sono sempre assorto nei miei pensieri.

«Che diavolo ti prende stasera, Jack?»

«Come dici, pa'? Ah sì. No, niente. Sono solo un po' stanco. Quasi quasi me ne

vado a dormire. Domani devo alzarmi presto. Ci sono le bestie da marchiare.»

Mi accorgo di aver detto più parole adesso che in tutta la serata.

Saluto tutti quanti e salgo in camera mia sotto lo sguardo sbalordito di tutti.

Non faccio neanche tempo a togliermi la camicia che sento bussare alla porta.

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Letizia  

28  

E' la mamma.

«Jack,» mi apostrofa con aria severa «non le avrai mica fatto del male? A Eli-

sabeth, intendo...»

«Oh no, mamma. Stai tranquilla. Va tutto bene.»

«Le hai detto che ti sei innamorato di lei?»

«Mamma, cosa dici? Come fai a pensare una cosa simile?»

«Perché, non è così?»

«Beh, sì. Però... però non dirlo a papà.»

«Non dirlo a papà? Ma Jack, credi che non se ne sia già accorto? Lo sanno tutti

che vuoi bene a Elisabeth. E il primo a scoprirlo è stato il nonno. A parte tuo

fratello che scommetto lo sapeva già da un pezzo.»

«Come, lo sanno tutti?»

«Tutti, Jack. Anche Mamie. E forse anche qualcuno dei cowboy.»

«Oh, perbacco. Sta' a vedere che l'unico a non saperlo ero io.»

La mamma mi guarda severa.

«L'hai baciata, Jack?»

«No, mamma. Cioè, non ancora. Ci ho provato, sai. Ma lei è una ragazza seria.

Mi ha detto che mi vuole bene, ma non ha voluto baciarmi.»

«Bene. Meglio così allora. Buonanotte, Jack.»

«'Notte, mamma.»

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I due fratelli  

29  

La grande guerra

Mi ha baciato.

Sono stato male tre giorni.

Cioè, non è che sono stato male fisicamente.

Intanto per due notti non ho praticamente chiuso occhio.

Non ho fatto altro che pensare a lei.

Non è che adesso non ci penso.

Lei è sempre nei miei pensieri, ma allora ero proprio perso.

Non sono neanche andato a volare.

E poi è successo.

Suo padre si è accorto che le mie frequenti visite al suo ranch erano per vede-

re Betty e mi ha preso a quattr'occhi per farmi il terzo grado.

Io però avevo la coscienza a posto - non l'avevo ancora baciata allora - e,

guardandolo dritto negli occhi, gli ho detto che volevo bene a Beth, che avevo

intenzioni serissime e che, quando saremmo stati più grandi, ci saremmo spo-

sati, naturalmente con il consenso suo e di sua moglie.

L'ho naturalmente rassicurato che fra noi due non c'era stato assolutamente

nulla, il che era la pura verità.

E ora è successo: siamo fidanzati ufficialmente.

Beth mi ha poi raccontato che prima di parlare con me, suo padre aveva a lun-

go discusso con lei e che sua madre aveva perorato la nostra causa.

Certo, entrambi avevano convenuto, e anche Betty a dire il vero, che siamo

ancora troppo giovani e che avremmo aspettato quello che c'era da aspettare.

Ma il fatto è che il signor Morgan è molto amico di mio padre e sa che io sono

un bravo ragazzo.

Sa anche che, se io mi comportassi male con sua figlia, mi toglierebbe dal

mondo.

Beh, insomma... come minimo mi scaccerebbe di casa e non vorrebbe più ve-

dermi.

Per lui l'onore della famiglia viene prima di tutto.

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Letizia  

30  

Insomma, come è andata a finire?

Abbiamo fatto una grande festa.

E noi due eravamo i festeggiati.

I Morgan sono venuti da noi a pranzo e abbiamo poi tirato così tardi che sono

rimasti anche a cena.

Poi, visto che faceva già buio, sono rimasti anche a dormire.

La nostra casa è molto grande e abbiamo tre stanze da letto in più.

Più che sufficienti per loro tre.

Papà, quando ha costruito la casa - io non ero ancora nato - ha pensato anche

ai suoi figli e alle loro future famiglie.

E ha fatto bene perché i miei due nipotini, che ora dormono con i genitori, a-

vranno bisogno presto di una camera tutta per loro.

Insomma, la casa è molto grande e io sono contento che lo sia perché sono

stato con Beth fino a quando si è ritirata con la madre.

Suo padre invece è rimasto con noi a chiacchierare e anch'io mi sono ritirato

molto tardi.

Tanto non sarei riuscito a dormire.

Nelle settimane seguenti Beth è venuta molte volte a pranzo da noi e io sono

andato molte volte da lei.

Mia madre le vuole un bene dell'anima, come se fosse la figlia che non ha mai

avuto, e anche Beth vuole molto bene a lei.

Insomma, vanno molto d'accordo e qualche volta ho il sospetto che confabuli-

no qualcosa alle mie spalle.

Sono le due donne della mia vita.

Oddio, voglio molto bene anche a Sara e, a dire il vero, anche a quell'impiastro

di Mamie.

Ma loro sono in cima a tutte, ex aequo, direi.

Ma non crediate che mi sia rimbecillito del tutto e che non sia andato più a vo-

lare.

Anzi, Beth viene sempre più spesso con me alle Flatland a vedermi volare.

Lei ha paura per me, ma sono diventato molto bravo e lei si è convinta che non

è pericoloso.

Sono diventato davvero molto bravo e so fare delle acrobazie che Peter non è

mai riuscito a fare.

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I due fratelli  

31  

Ormai l'allievo ha superato il maestro.

Una volta, mentre stavo divertendomi come un matto a fare acrobazie, ho vi-

sto mio fratello arrivare a cavallo e mi sono impegnato in una virata quasi im-

possibile, per fare il bello.

E' poi arrivato anche Peter e ho notato Eagle che guardava prima me, poi lui e

poi di nuovo me.

Come mi ha poi raccontato dopo, credeva che fosse Peter il matto che cercava

di distruggere il suo aereo andando a sbattere contro i rami degli alberi che io

in realtà avevo appena sfiorato.

Non sapeva che invece ero io.

Non mi ha detto niente, ovvio.

Ma io ho capito che era orgoglioso di me e di quanto fossi diventato bravo.

Il mio fratellone.

Mi vuole un bene dell'anima.

Oggi Betty non è in vena.

Un velo di tristezza la rende ancora più bella.

«Beth, c'è qualcosa che non va?»

Lei non risponde e scoppia a piangere.

«Betty, per l'amor di Dio, cosa è successo? Ti senti male?»

Sono veramente preoccupato.

Non l'ho mai vista piangere.

«Mio zio... in Europa... c'è la guerra là, sai?»

Singhiozza e non riesce a finire la frase.

Sua madre è francese ed è venuta in America con il padre e il fratello più pic-

colo.

Lei si era innamorata del signor Morgan e l'aveva sposato.

E naturalmente, quando suo padre è tornato in Europa con il suo fratellino, lei

era rimasta qui.

Beth ha uno zio a Parigi, uno zio che non ha mai conosciuto.

Ho paura a chiedere.

«Lo zio Maurice... si è arruolato ed è andato in guerra...»

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Letizia  

32  

Non riesco a dire una parola.

Capisco.

Ha perso lo zio.

Sua madre sarà distrutta.

«Non è più tornato... è disperso. Io spero che sia ancora vivo, ma la mamma

non ci crede e non fa che piangere.»

«Io dico che è ancora vivo. Il fatto che non sia ancora tornato, non significa

che sia...»

Non riesco a dire la parola.

«... magari non è in condizioni di tornare. E' bloccato da qualche parte. I motivi

possono essere tanti.»

Cerco di rincuorarla.

«Se la caverà senz'altro, vedrai. Sai quante volte mio nonno si è trovato in si-

tuazioni difficili? Ne è sempre uscito sano e salvo. E anche papà, quando era

ragazzo si è messo nei guai un sacco di volte. Non devi disperare.»

L'abbraccio e la stringo dolcemente a me.

Le accarezzo i capelli e lascio che si sfoghi un po'.

Piangere le farà bene.

Il fatto è che sua madre è molto affezionata al fratello più piccolo.

Quando lui e suo padre sono tornati in Francia, lei si era appena sposata.

Da allora non si sono più visti ma si sono scritti spesso.

Beth ascoltava sempre molto attentamente quando la madre le leggeva le let-

tere dello zio, anzi si può dire che ha imparato a leggere proprio su quelle.

Lei naturalmente parla correttamente anche il francese, quasi come sua ma-

dre.

Io adoro sentirla parlare in francese.

Praticamente non capisco una parola, ma ha una cadenza musicale così dolce

che mi fa impazzire.

E' una delle tante cose di lei che mi fanno impazzire.

Io l'amo da morire e vederla così mi fa soffrire terribilmente.

«Perché non rimani da noi stanotte, Beth?»

Lei qualche volta si ferma a dormire da me.

Nella camera degli ospiti, naturalmente.

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I due fratelli  

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I suoi genitori si fidano ciecamente di me, sanno che non la toccherò neanche

con un dito prima del matrimonio.

Credo proprio che stare qualche ora lontana da casa non possa che farle bene.

«Non posso, Jack. Non posso proprio. La mamma ha bisogno di me adesso.

Non posso lasciarla da sola nel suo dolore.»

Ha ragione.

Sono stato un egoista.

Pensavo solo a lei, a noi due, e non ho capito quanto possa essere di conforto

a sua madre avere vicine tutte le persone che ama.

«Se hai bisogno di me, posso venire io da te, Beth.»

«Meglio di no, Jack. Non oggi. Domani forse, o tra un paio di giorni. Ora non

me la sento.»

«Va bene. Ma ricorda che, per qualsiasi cosa abbiate bisogno, io ci sarò sem-

pre.»

«Lo so, Jack. Lo so che vuoi tanto bene non solo a me ma anche alla mamma e

al papà.»

«Certo, Beth. Lo sai.»

«Ora devo andare, Jack. Ci vediamo domani. Ciao.»

Si alza in punta di piedi e mi bacia sulla guancia.

«Ti accompagno.»

«No, Jack. Vado da sola. Ciao.»

Salta in sella, impenna il cavallo e si allontana velocemente al galoppo.

Rimango a guardarla per un po'.

Prima di sparire dietro un'altura rallenta, si gira e mi saluta alzando un braccio.

La saluto a mia volta e, quando non la vedo più, salgo a cavallo e mi avvio ver-

so casa.

A casa non è che tira un'aria migliore.

Ho raccontato di Betty e di suo zio e l'atmosfera ha subito perso l'allegria di

sempre.

La mamma è molto amica della signora Morgan e ha detto che domattina l'an-

drà a trovare.

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Letizia  

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«Ti accompagno con la macchina, cara.»

Papà e la mamma sono molto uniti e stanno praticamente sempre insieme.

«No, grazie. Preferisco il cavallo. Mi farà bene.»

«Bene, come vuoi tu. Dirò a Sam di preparare il calesse.»

«No, no. Preferisco cavalcare. Se il tuo sedere non sopporta più la sella, puoi

usare tu il calesse» risponde lei sorridendo.

La mamma cavalca quasi meglio di me.

«Ok, ok. Ma poi non venirmi a chiedere il mio unguento. Quello è riservato per

le mie natiche e non voglio che tu me lo consumi tutto.»

«Cosa vorresti dire, che il mio sedere è più grosso del tuo?»

Ridiamo.

E' stato un bel tentativo di riscaldare un po' l'ambiente, ma la guerra sembra

essere l'unico argomento della serata.

«Pa', a che ora partite domattina? Vengo anch'io con voi.»

«Eh no, bello mio. Domattina c'è un sacco di lavoro da fare. E io sarò solo.

Quindi dalla tua ragazza ci andrai nel pomeriggio.»

«Ma Eagle! Ci sono un sacco di cowboy che ti daranno una mano. E lo faranno

anche molto volentieri, lo sai.»

«Sì, ma io non voglio che facciano anche il tuo lavoro. Lavorano già abbastan-

za.»

«Ma non lavorano certo come quelli del ranch di Carter.»

«Carter è un aguzzino e tratta i suoi dipendenti come se fossero...»

«Ora basta. Tuo fratello ha ragione, Jack. E poi non ti voglio tra i piedi domani.

Quindi rimani qui ad aiutarlo. Un po' di fatica non ti farà certo male.»

«Ok, pa'. Però lo sai che non è per quello. Io e Beth...»

«Sì, lo so.»

Papà è perentorio.

Quando dice una cosa, è quella e basta.

E poi ha ragione.

Hanno ragione tutti e due.

Cambio discorso.

«Credete che la guerra arrivi fino a noi? Cioè che entrino in guerra anche gli

Stati Uniti?» chiedo con un po' di apprensione.

E' mio padre a rispondere.

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I due fratelli  

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«Credo proprio di no. O almeno lo spero. Spero proprio che Wilson non si lasci

coinvolgere in questa pazzia.»

Mio fratello non sembra essere d'accordo.

«Difficile restarne fuori, pa'. Questa guerra sembra assumere proporzioni gi-

gantesche. Quasi tutte le nazioni europee sono coinvolte. Ci sono troppi inte-

ressi in gioco, non ultimi quelli dei guerrafondai. Le industrie belliche stanno

facendo affari d'oro. E' una cosa molto sporca.»

«Già. Scommetto che, se a dichiarare le guerre fossero coloro che poi vanno a

combatterle in prima persona e in prima linea, le guerre si farebbero davanti a

una bella partita a scacchi.»

Credo che il nonno non abbia mai fatto un discorso così lungo.

Dall'alto dei suoi occhialini, i suoi occhi brillano con un'aria sorniona.

«Papà, la guerra è sempre una cosa sporca. Tu lo sai bene. Hai visto gli orrori

della guerra civile. E sai bene che a combattere ci mandano sempre dei pove-

racci che molto spesso non sanno neanche perché combattono.»

Il nonno sta guardando papà con un'espressione che sembra voler dire: hai ra-

gione, il mondo va proprio alla rovescia.

Questa faccenda mi ha scombussolato non poco e nei giorni seguenti non fac-

cio altro che pensarci.

La guerra.

I caduti.

Gli aerei abbattuti.

I giornali non fanno che parlare di questo.

E a me comincia a ronzarmi in mente un'idea folle.

Cerco di scacciarla dedicandomi sempre più a Betty e al mio aereo.

Sto diventando sempre più bravo e riesco a far fare al mio aereo cose che nes-

sun altro è mai riuscito a fare.

Da un po' di tempo porto il mio winchester con me quando volo e ho anche im-

parato a sparare mentre piloto.

Manovro i comandi con le ginocchia, miro e sparo.

Una volta su tre riesco a centrare il bersaglio.

Solo una su tre?

Vorrei vedere voi a sparare su un aereo in picchiata.

Certo a terra colpisco un "dime" al volo a cento passi.

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Letizia  

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Beh, forse un po' meno, ma c'è una sola persona al mondo che spara meglio di

me.

Sì, bravi, avete indovinato.

Mio fratello.

Papà e anche il nonno, nonostante l'età, sono molto bravi, ma Eagle è un vero

asso.

Alle volte mi chiedo perché sto imparando a sparare dall'aereo, ma penso subi-

to ad altro.

Conosco già la risposta e non mi piacerebbe.

Neanche a me.

Poi succede quello che tutti ci auguravamo ma di cui nessuno osava parlare.

E' arrivata la notizia che Maurice, il fratello di Betty, non era perito in guerra.

Era ferito ed è stato portato in salvo da un suo commilitone.

Ora sta in un ospedale militare in attesa di ritornare a Parigi.

Immaginate la felicità di tutti quanti.

I Morgan hanno dato una grande festa che si è protratta tutto il giorno.

La sera siamo rimasti a dormire da loro, solo papà, mamma e io però.

Il nonno e il gufo taciturno sono tornati al ranch a metà pomeriggio e mio fra-

tello li ha accompagnati con Sara e i miei due adorabili nipotini.

Spero che l'automobile, con tutto quel peso, non li abbia lasciati a piedi a mez-

za strada.

Ma la nostra carretta è un gioiellino e soprattutto è molto robusta e spaziosa.

Pa', quando l'ha comprata, ha pensato alla nostra famiglia numerosa.

Betty è al settimo cielo e a me, nel vederla così, mi si allarga il cuore.

Dovrei essere felice più di lei e invece c'è qualcosa che mi rode.

Cerco di nasconderlo ma Beth, che mi conosce molto bene, mi ha chiesto nu-

merose volte se c'era qualcosa che non andava.

E io le ho sempre mentito.

Il giorno dopo i miei ritornano a casa.

Io invece rimango.

Io e Beth selliamo i cavalli e andiamo a farci una galoppata.

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I due fratelli  

37  

Andremo nell'Arora.

E' molto che non ci andiamo.

Lei non se la sentiva di andarci.

In realtà siamo usciti insieme molto poco in questi ultimi mesi.

Si rimaneva sempre al suo ranch.

Ho malcelato il mio umore e lei se n'è accorta, ovvio.

Arrivati nel nostro boschetto, la vedo che sta per farmi la domanda che le frulla

in testa da un po': "Ma che diavolo ti prende, Jack?"

Ma io la prevengo.

«Beth, c'è qualcosa che devo dirti. Veramente è un po' che te la volevo dire,

ma ne ho sempre avuto paura.»

«Jack, per l'amor di Dio, cosa c'é? Cosa è successo? Stai male? Qualcuno...»

«No, Beth, non è successo nulla. Non sto male, sto benissimo. No, anzi. Non

sto affatto bene. Il fatto è che io... che io...»

Non riesco a parlare.

Ho un groppo in gola.

«Jack, mio Dio. Cosa stai cercando di dirmi?»

Beth non è stupida, credo che cominci a sospettare qualcosa.

«Beth, io vado in Europa. Parto per la guerra.»

«Jack, tu sei pazzo. Gli Stati Uniti non sono in guerra con nessuno e...»

«Lo so, Beth. Ma io parto volontario per l'Inghilterra. Mi arruolo nell'esercito

inglese. Anzi, nell'aviazione inglese.»

«Ma tu... tu non puoi. Pensa a tua madre, a tuo padre, a tutti i tuoi familiari.

Pensa a me. Come puoi pensare di dare un dolore così grande a tutte le perso-

ne che ti amano?»

«Ci ho pensato, Beth. Credi che non ci abbia pensato? Credi che sia tanto paz-

zo da non sapere che tutti voi... che io... Io vi voglio un bene dell'anima, a tutti

e...»

«E allora non partire, maledizione. Hai solo diciassette anni.»

«Io devo partire, Beth. Devo. Pensa alle persone cui potrei salvare la vita. Non

posso rimanere qui e fare finta che in Europa non stia accadendo nulla. Non

posso rimanere con le mani in mano mentre molti poveracci muoiono a mi-

gliaia sui campi di battaglia.»

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Letizia  

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«E vuoi andare a morire anche tu? E non pensi che anche tu dovrai uccidere

dei poveracci che magari cercano soltanto di portare a casa la pelle?»

«No, Betty. Io volerò in ricognizione per spiare i movimenti del nemico. Non

sparerò un colpo. Almeno non all'inizio. E poi non seminerò la morte dall'alto

gettando bombe sulle truppe. Sparerò solo per abbattere gli aerei nemici e cer-

cherò sempre di fare in modo che il pilota riesca a salvarsi.»

Betty tace per un attimo e mi guarda con due occhi cupi come non avevo mai

visto.

«Jack, se tu parti tra di noi è finita. Non cercare nemmeno di scrivermi per far

sapere che sei ancora vivo. Non lo voglio sapere. Se tu parti, per me non esisti

più.»

«Beth, non fare così. Io ti amo e tornerò...»

«No, Jack. Tu non mi ami. Sei solo un egoista che non pensa al dolore che mi

stai dando.»

«Ma non è vero. Come puoi pensare che sia egoista una persona che è dispo-

sta a rischiare la sua vita per salvare quella degli altri?»

«Lo sei, Jack. Oh sì che lo sei. Tu vuoi fare l'eroe. Vuoi che tutti siano orgoglio-

si di te. Magari vuoi tornare con un paio di medaglie sul petto. Che t'importa

poi di tornare dentro una cassa di rovere?»

Scoppia a piangere, sale sul cavallo e sprona partendo al galoppo prima che

possa fermarla o dirle che...

Già, cosa le vorresti dire, Jack?

In fondo ha ragione.

Ma non sono un egoista, non voglio diventare un eroe, non voglio medaglie.

Ha ragione però sul fatto che il desiderio di partire è più forte del bene che vo-

glio a tutti.

Quando arrivo a casa sembro un cane bastonato.

E mai paragone fu più azzeccato.

Tutti l'hanno notato ma è la mamma la prima a parlare.

«Santo Iddio, Jack. Cosa è successo?»

«Io e Beth ci siamo lasciati, ma'.»

Per la verità avrei dovuto dire che Beth mi ha lasciato.

«Cosa? Ma se ti adora. Cosa le hai fatto? Non l'hai mica...»

«No mamma. Le ho fatto di molto peggio. E lo farò anche a voi.»

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I due fratelli  

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La voce mi sta tremando.

Devo trovare il coraggio di andare avanti.

Il fatto che non posso guardarli negli occhi.

E prima che possano domandare qualcosa, mentre mi guardano esterrefatti,

aggiungo: «Vado in Europa. Parto per la guerra.»

Ho passato una settimana d'inferno.

Beth non si è fatta né vedere né sentire ma son sicuro che ha parlato con la

mamma.

Non passa giorno che qualcuno cerchi di farmi desistere dalla mia folle decisio-

ne.

Papà avrebbe potuto impedirmelo e non solo perché sono troppo giovane.

Ha delle conoscenze molto in alto tra i soldati e conosce anche qualcuno a Wa-

shington.

Mettermi i bastoni tra le ruote sarebbe stato molto facile per lui e avrebbe an-

che potuto fare in modo da rimanerne fuori.

Io avrei certamente capito che c'era il suo zampino, ma non mi sarei mai az-

zardato a rinfacciarglielo.

Ma papà e anche tutti gli altri, compreso mio fratello, non proverebbe mai a

impedirmi di fare una cosa che desidero.

Cercare di farmi capire che sarebbe stato un errore, questo sì.

E l'ha fatto, Dio se l'ha fatto.

E anche mio fratello ci ha provato, più di tutti gli altri a dire il vero.

Ma io ho la testa dura.

Ma non si tratta di testa dura.

Io sono convinto che sia giusto così.

Mio padre mi ha insegnato che un uomo si deve porre dei principi e degli ideali.

E che questi vengono prima di tutto e che li si deve onorare a qualsiasi costo.

Anche al prezzo della propria vita.

Solo che, mannaggia, questa volta è molto difficile perché uno di questi è la

famiglia.

E la famiglia conta più di tutto.

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Letizia  

40  

Ma io non saprei più guardare i miei cari negli occhi se ora rinunciassi a ciò in

cui credo.

E mio padre lo sa.

E anche se teme per la mia vita, credo che sia orgoglioso di me.

Certo, dire "ok, mi avete convinto, non parto" sarebbe molto facile.

E anche molto comodo, direi.

Non avrei perso Beth che amo più di me stesso e non mi sentirei così male.

La mia vita sarebbe stupenda, come è sempre stata.

Una famiglia stupenda, una fidanzata meravigliosa, un ranch bellissimo dove

faccio tutto quello che mi piace.

Il mio cavallo, il mio aereo, che altro potrei volere di più dalla vita?

Tutte le persone che conosco mi vogliono bene e questa è la cosa che conta di

più.

Che diavolo ti è venuto in mente, Jack?

La mamma.

Non mi rivolge la parola da allora.

Maledizione.

Lei soffre più di tutti gli altri.

Non ce la faccio a sopportare il suo silenzio.

La notte non riesco a prendere sonno.

Sono una straccio.

Ieri mi sono addormentato a cavallo e ci mancava poco che cadessi.

La mamma.

Ce l'ho sempre davanti agli occhi, giorno e notte.

Il suo sguardo malinconico che è capace di parlare solo d'amore.

Mia madre è indiana, una "Diné", come lei chiama sé stessa.

La fierezza della sua razza le impedisce di piangere.

Ma lei piange dentro.

Mi piacerebbe mandare tutto al diavolo, prendere il mio cavallo, le mie colt e il

mio buon winchester e andarmene all'Ovest, nelle terre sconfinate dove il Colo-

rado scava da milioni di anni le rocce dei canyon.

E vivere là solo con me stesso.

E non tornare mai più.

Ci ho pensato mille volte.

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E domani partirò con il treno per l'Est.

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Letizia  

42  

L'Europa

Mio fratello mi ha accompagnato in città.

Ho voluto andare a cavallo perché chissà per quanto tempo ancora non avrei

fatto una bella cavalcata.

Eagle ha voluto accompagnarmi anche se gli avevo detto che non ce n'era bi-

sogno.

Avrei lasciato il mio mustang alla scuderia di Miguel e poi qualche nostro cow-

boy lo avrebbe riportato al ranch.

Loro vanno spesso in città a fare baldoria, specialmente il sabato sera.

Ma è mio fratello.

Non se la sentiva di farmi andare da solo alla stazione.

Con papà ci siamo salutati al ranch e così con tutti gli altri.

La mamma è stata l'ultima.

Il suo saluto è stato un po' particolare.

Non mi ha più parlato da quella sera maledetta e anche alla mia partenza non

ha detto una parola.

Mi ha dato una sistemata alla giacca, mi ha guardato a lungo negli occhi e poi

mi ha abbracciato.

Un interminabile abbraccio in silenzio.

L'ho stretta al petto e le ho baciato quei suoi bellissimi capelli ancora neri.

Lei non ha versato una lacrima.

In compenso ci ho pensato io che non sono riuscito a trattenerla.

Ho ancora negli occhi lei che mi guarda mentre io, passandomi una mano sul

viso per nascondere la mia commozione, balzo velocemente in sella e sprono

selvaggiamente il cavallo come se fuggissi.

Un attimo ancora e non sarei più partito.

Ora sono qui sul treno per Austin che sta cominciando a muoversi in una nuvo-

la di vapore.

Saluto mio fratello dal finestrino e lo vedo allontanarsi sempre più.

Lo chiamo per nome, il suo vero nome, e gli mando un bacio con la mano.

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I due fratelli  

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Mentre il treno acquista velocità sempre più, penso a Betty, la mia Betty, e mi

scende un'altra lacrima.

Non è venuta per un ultimo saluto.

D'altronde cosa speravi, Jack?

Vi siete lasciati, lei non è più "la tua Betty".

Ho ancora in testa le sue parole: "Se tu parti, per me non esisti più."

Dio, come sto male.

Poi la vedo.

Cavalca lungo la strada che costeggia la ferrovia e guarda verso il treno.

Guarda verso di me.

Mi affaccio al finestrino e la saluto agitando le braccia.

Lei continua a seguire il treno ma non risponde al saluto.

La chiamo.

Grido il suo nome e agito le braccia ancora di più.

Lei ferma il cavallo e rimane lì, immobile.

Mi allontano sempre di più su questo maledetto treno che corre troppo veloce

finché, dopo una curva, non la vedo più.

In testa mi balenano mille congetture.

Ha voluto rivedermi.

Mi ama ancora.

Ma non vuole più vedermi.

Non mi ha salutato.

Per lei non esisto più.

Lo sai, Jack?

Sei proprio un deficiente.

Dopo quasi un mese arrivo a Southampton, in Inghilterra.

Ho in tasca una lettera di presentazione per il comando inglese da parte del

generale York di Austin che è un grande amico di papà.

Meno male che qui si parla la mia lingua perché, oltre lo spagnolo e il dialetto

indiano della mamma che parlo meglio di lei, conosco solo l'inglese.

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Tutte le volte che Elisabeth mi parlava in francese non capivo neanche una pa-

rola.

Sceso a terra, chiedo informazioni al primo soldato che incontro.

Mi dà l'indirizzo del comando militare più vicino, ma la città è grande e io ho un

po' di bagaglio.

Fermo una carrozza.

Forse dovrei andarmene prima all'albergo più vicino per darmi una sistemata.

Soprattutto ho bisogno di una bella doccia.

Ma non voglio perdere tempo.

In pochi minuti arrivo davanti a un palazzo presidiato da un paio di sentinelle.

Sono arrivato.

Al posto di guardia non mi fanno entrare.

Spiego loro la situazione.

Sono americano e voglio arruolarmi.

Chiamano un caporale al quale spiego di nuovo la situazione.

E aggiungo che ho una lettera di presentazione di un generale americano.

Il caporale chiama allora un sergente e io sto per perdere la pazienza.

Per fortuna il sergente mi fa entrare e mi accompagna all'ufficio del comandan-

te del presidio.

Faccio notare che sono armato, non vorrei avere delle noie.

Cioè, non ho armi addosso, ma nel sacco ci sono le mie due colt e, smontato, il

mio winchester.

E, naturalmente, mi requisiscono subito il sacco.

L'ufficiale dietro la scrivania, davanti al quale il sergente è scattato come una

molla, rimane impressionato dalla lettera e soprattutto da chi l'ha firmata.

Un generale americano.

Gli americani non sono entrati in guerra ma sarebbero un ottimo alleato per gli

Inglesi se lo facessero.

Così ora mi trattano con i guanti.

«Così lei sarebbe un pilota?»

«Beh, me la cavo, signore.»

«Il generale York dice che lei vola da quasi un anno e che è molto in gamba.»

«Da dieci mesi e ventisette giorni, signore. Poi non dovrei essere io a dire che

sono in gamba. Ma temo che il generale abbia ragione.»

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I due fratelli  

45  

«Bene. Lo verificheremo.»

Poi si rivolge al sergente: «Sergente Pepper, dia disposizione affinché raggiun-

ga la base aerea di Red Point.»

«Yes, sir» risponde il sergente scattando di nuovo.

Ripiega la lettera del generale York, la rimette nella busta e me la consegna.

«Buona giornata, signore.»

Il mio saluto non deve essere stato molto regolamentare e il capitano risponde

con un cenno della mano alla fronte senza sollevare lo sguardo dalle sue scar-

toffie.

«Buona giornata, signore? Non è così che ci si rivolge a un ufficiale.»

Il sergente sembra un po' scandalizzato.

«Imparerò» rispondo io con un velo di ironia che il brav'uomo non afferra.

Viaggiamo su una carretta a motore per tutta la giornata.

Che la carretta sia dotata di motore lo capisco dal rumore e dalla puzza dei gas

di scarico.

Andiamo bene.

Se gli aerei che devo pilotare sono nelle medesime condizioni, che il cielo mi

aiuti.

Quando arriviamo a Red Point però mi accorgo che i miei sospetti erano infon-

dati.

Sulla pista vedo una ventina di aerei.

E' sera, ma c'è luce sufficiente per rendermi conto che sono stupendi.

Il mio accompagnatore si presenta al primo ufficiale che incontra e parla con

lui mentre io mi avvicino curioso agli aerei.

Sono davvero bellissimi.

«Belli, vero?»

La voce alle mie spalle mi fa girare.

«Sì, non ho mai visto degli aerei così. Sono fantastici.»

«A quanto pare sei un pilota.»

«Sì» rispondo.

L'ufficiale sembra molto simpatico e siamo entrati subito in confidenza.

«Mi sembri molto giovane. Quanti anni hai?»

«Diciassette. Anche tu però non sei granché vecchio, mi sembra.»

«Ma non sono un ragazzino come te.»

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Letizia  

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«Ragazzino un corno. Lasciami salire su uno di questi e poi ti faccio vedere il

ragazzino.»

«Ora è tardi. Si sta facendo buio. Domattina.»

«Voi non volate al buio? Avete paura di finire contro qualcosa? Non ci sono

montagne da queste parti, mi pare.»

«Al buio da lassù non si vede un accidente.»

«Ci sono le luci del campo. Bastano quelle. La pista è ben illuminata.»

«Te la sentiresti davvero di volare adesso?»

«Certo. Non è la prima volta che volo di sera.»

«Quando lo verrà a sapere il comandante, mi spellerà vivo. Specialmente se

fracassi uno di questi gioiellini.»

«Non temere. Un giretto di un paio di minuti e poi te lo riporto a terra meglio

di com'è ora.»

«Tu sei matto. Ma sei vuoi romperti il collo... Lo spettacolo vale la lavata di ca-

po che mi beccherò.»

Si avvicina a un aereo e io lo seguo.

«Conosci gli aerei inglesi? Ti faccio vedere i comandi.»

«Non ce n'è bisogno, grazie. Gli aerei sono come i cavalli. Si assomigliano tutti.

Quando sai domare il più focoso, sai domarli tutti.»

«Contento te.»

Salgo su quello splendore, mi infilo gli occhiali che vedo vicino ai comandi e

metto in moto.

I comandi non sono molto diversi da quelli del mio aereo.

In realtà non è mio, è di Peter.

Ma ci volo praticamente solo io.

Mezzo minuto dopo sono già su.

Ragazzino, eh?

Mi ha chiamato ragazzino?

Ora glielo faccio vedere io cosa sa fare il ragazzino.

Strapazzo l'aereo che obbedisce docilmente ai miei comandi come un cagnolino

ammaestrato.

Vedo un ufficiale avvicinarsi a...

Già, come si chiama?

Non ci siamo nemmeno presentati.

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I due fratelli  

47  

Scommetto che gli starà chiedendo chi è quel matto che fa tutte queste acro-

bazie.

Al buio poi.

E allora mi voglio un po' divertire.

Conosco abbastanza questo aereo per capire che continuerà a comportarsi co-

me si deve.

Salgo su per un po' e poi scendo in picchiata verso le due persone che intrave-

do nella pista.

Quando sono a pochi metri da loro e li vedo scappare, eseguo una perfetta ca-

brata che fa impennare l'aereo.

Passo a non più di tre metri da terra.

Poi una ampia virata e ritorno sulla pista.

L'atterraggio è il più morbido che abbia mai fatto.

Questo aereo è una vera cannonata.

E adesso mi aspetto una bella lavata di capo.

Ma io sono un vero esperto e me la cavo sempre in questi casi.

La miglior difesa è l'attacco e, prima che il nuovo arrivato possa aprir bocca:

«Questo aereo è un vero gioiello, signore. Sono molto fiero di entrare a far

parte di un'aviazione così moderna ed efficiente.»

«Se speri che l'adulazione ti eviti...»

«Non spero niente, signore. Sono pronto a rispondere delle mie azioni. La col-

pa di tutto è solo mia. E non si trattava di adulazione, signore. Ho detto solo la

verità.»

«Uhm... Fammi un po' vedere questa lettera.»

Gli consegno immediatamente la lettera del generale York.

Papà è stato un genio a raccomandarmi al suo amico.

Senza questa lettera ci avrei messo un anno a mettere le terga su un aereo

militare.

«Uhm... Leggo che è circa un anno che voli e che sei molto in gamba.»

«Così pare, signore.»

«Che sei in gamba non c'è dubbio. Così vorresti diventare un pilota dell'avia-

zione inglese?»

«Ne sarei onorato, signore.»

«Bene, molto bene. Comincerai domattina.»

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Letizia  

48  

«Grazie, signore. Vedrà, sarà felice di avermi dato questa possibilità.»

«Non c'è dubbio. I nostri bagni hanno bisogno di una bella lustrata.»

«Ma, signore...»

«Non vorrai che passi sopra questa tua bravata, vero?»

Abbasso la testa e rispondo mesto: «No, signore.»

Me lo merito.

«Ma entro le dieci dovrai aver finito perché a quell'ora ti voglio con il sedere su

un aereo.»

«Sì, signore. Certo, signore. Grazie, signore.»

Non sto nella pelle.

Sono eccitato come un bambino davanti ai regali sotto l'albero a Natale.

Dopo una decina di giorni di noiosissimi voli di addestramento, finalmente ar-

riva il gran giorno.

Domani andremo in Francia, in una base dalla quale partiremo per voli di rico-

gnizione in territorio nemico.

Ho imparato a volare in formazione anche se sono convinto che non servirà a

niente.

Quando sei in una situazione di emergenza, volare ordinati serve solo a fare di

te un bel bersaglio.

Il volo disordinato e imprevedibile ti può salvare la vita.

Il che non vuol dire andare per conto tuo e dimenticare gli altri.

Siamo una squadra ed è nostro dovere aiutare i compagni in difficoltà.

Però mai comportarsi come il nemico si aspetta che tu faccia.

In formazione sto sempre alle costole di William che io chiamo Billy Kid.

Billy è l'ufficiale che mi ha accolto al campo e che a momenti si prendeva una

strigliata dal comandante Pierce.

Il giorno dopo siamo in Francia.

Vengo a sapere con sorpresa che viaggeremo senza mitragliere.

Aerei leggeri e veloci.

Andare, guardare e tornare subito indietro a riferire.

Se avvistiamo il nemico, tornare subito alla base.

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I due fratelli  

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«Ma le mitragliere ci servirebbero in caso di attacco improvviso» obietto.

«Niente da fare. Senza armi sarete più veloci. Non dovete accettare il combat-

timento.»

«Cioè dobbiamo darcela a gambe levate?»

«Esattamente. Dovete portare indietro alla base l'aereo senza un graffio. Ma

soprattutto dovete portare a casa la pelle.»

«Ma...»

«Niente ma. E scordatevi che io ci tenga alla vostra vita perché sono vostro

amico. Non me ne importa un fico secco di voi. Ma non mi posso permettere di

perdere neanche un pilota. Ci vorrebbero mesi per rimpiazzare uno di voi.»

Il comandante Pierce ci tratta duramente, come se fossimo vecchie ciabatte,

ma in realtà si farebbe ammazzare per noi.

E poi non se ne sta a terra mentre noi rischiamo la pelle lassù.

Lui vola con noi e scorta i nostri aerei ricognitori.

La sua squadra naturalmente è armata ed ha il compito di proteggerci dagli ae-

rei nemici.

«E non dimenticate di portare la pistola d'ordinanza con voi. E una buona scor-

ta di proiettili.»

«Ma, comandante», obietta Frank, «cosa ce ne facciamo della pistola? Non vor-

rà per caso che spariamo a un aereo in volo?»

«No, certo. Ma se ti capita di fare un atterraggio di fortuna in territorio nemico,

come intendi difenderti? A sassate?»

«Io preferirei portare le mie colt e il mio winchester, se per lei va bene, signo-

re.»

«Niente in contrario, Jack.»

I primi voli filano lisci come l'olio.

Da terra ci sparano qualche tiro di artiglieria contraerea ma niente di che.

I cieli sono sempre liberi.

Ci pensano i ragazzi di Pierce a sgombrarci il campo.

Loro si prendono i rischi più grossi ma finora per fortuna nessun aereo è mai

stato abbattuto.

Sono sempre ritornati tutti.

Qualcuno un paio di volte po' malconcio, ma niente di serio.

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Letizia  

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Le nostre informazioni si rivelano spesso molto preziose ed io, anche se comin-

cio ad annoiarmi un po', ne sono molto fiero.

Stamattina mi alzo in volo con la mia "Betty" con una strana sensazione.

"Betty" è il nome che ho dato al mio aereo e tutti mi hanno chiesto se quello è

il nome della mia ragazza.

Beh, sì.

O perlomeno è il nome della mia ex ragazza.

Stiamo volando verso il Belgio e ci abbassiamo al di sotto delle nuvole per dare

un'occhiata.

Ormai siamo nella zona dove secondo il nostro comando ci sono delle truppe

nemiche.

Noi dobbiamo localizzarle e tornare per segnalare la loro posizione.

Il comandante Pierce e la sua squadriglia ci hanno abbandonato da ormai una

mezz'ora buona.

I cieli erano tranquilli e quindi hanno cercato battaglia in un'altra zona.

Ma io sento che c'è qualcosa che non va.

Il mio orecchio allenato sente un rumore lontano.

Ma non è quello che mi ha fatto guardare dietro a noi.

Ho avvertito una strana sensazione di pericolo.

Vedo un aereo tedesco che ci sta seguendo da lontano.

Faccio un'ampia virata e torno indietro.

Non c'è assolutamente tempo da perdere e devo mantenere la calma.

«Frank, hai un aereo nemico a ore quattro. Vira a sinistra e allontanati alla

svelta. Ci penso io.»

Frank è in coda a tutti ed è il più vicino all'aereo tedesco che inizia a sparare.

«Ragazzi, gambe in spalla. Sparite tutti quanti alla svelta.»

«Cosa hai intenzione di fare, Jack? Non fare il pazzo. Ti farai ammazzare.»

«Non temere, Billy. Ci tengo alla pelle.»

Mi dirigo verso l'aereo che vede la mia manovra e comincia a prendere di mira

me, distogliendo la sua attenzione da Frank e gli altri.

Vieni, cocco bello, vieni.

Mi alzo leggermente mentre sento la raffica di mitragliera passare proprio sotto

di me.

Compio allora un'acrobazia che ho fatto decine di volte in America.

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I due fratelli  

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Giro la mia "Betty" intorno al proprio asse per un giro e mezzo.

La manovra si chiama "a trottola".

Mi trovo così a testa sotto per la seconda volta.

Il tedesco mi guarda disorientato.

Già pensava che io fossi un pazzo ad affrontarlo disarmato.

I tedeschi sanno che i nostri ricognitori non portano armi.

Ora mi vede comportarmi come un fenomeno da baraccone e lo penserà anco-

ra di più.

A meno che non pensi di avermi colpito e di essere stato lui a causare questo

mio avvitamento.

Ma comunque sono del tutto innocuo, pensa.

Ed esita.

Ma io stabilizzo l'aereo, imbraccio il mio winchester che ha sempre il colpo in

canna e, mentre reggo i comando con le ginocchia come ho già fatto mille vol-

te, sparo in rapida successione tre colpi al pilota nemico che si trova diagonal-

mente sotto di me.

In realtà io sparo verso l'alto poiché, rispetto a me, lui si trova rovesciato so-

pra la mia testa.

Riesco a sparare solo tre colpi data l'alta velocità dei due aerei che, proceden-

do l'uno verso l'altro, è praticamente doppia rispetto alla velocità di un singolo

aereo.

Ma io sono molto veloce a sparare con il mio winchester.

Persino mio fratello non è veloce come me.

Lui è più preciso, ma io sono un fulmine.

Ho imparato a premere il grilletto quando il proiettile non è ancora completa-

mente in canna.

Tutti i bossoli dei miei proiettili non presentano il segno del percussore esatta-

mente al centro della carica, ma leggermente all'esterno.

Non ho mai sparato a un uomo e, in condizioni normali, avrei cercato di colpirlo

in una parte non vitale.

Ma qui si tratta della sua vita o della mia e di tutti i miei compagni.

E poi, che diamine, il suo non è stato certo un gesto cavalleresco.

Sapeva che eravamo disarmati e ci ha attaccato per uccidere.

E avrebbe fatto una strage.

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Letizia  

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Non so quanti sarebbero riusciti a scappare considerando che, per tornare alla

base, avrebbero dovuto invertire la rotta con un'ampia virata.

Avrebbero rallentato e sarebbero stati un facile bersaglio.

Come al tiro a segno alla festa del quattro luglio.

Così anch'io ho tirato per uccidere.

Riporto l'aereo in assetto e guardo dietro di me l'aereo tedesco che mi ha su-

perato.

Sta precipitando a terra avvitandosi.

Non manda un filo di fumo.

L'aereo è integro.

Almeno uno dei miei proiettili ha colpito il pilota.

Il ritorno alla base è tranquillo.

Tutto fila liscio.

Non siamo riusciti a vedere granché ma Billy dice che qualcosa ha notato.

Alla base c'è un gran fermento.

La notizia della mia "prodezza", come l'ha chiamata Frank, è già stata segnala-

ta alla base.

Ma solo quando eravamo già in zona sicura perché durante le missioni ci è sta-

to imposto il silenzio radio.

Tranne in casi di emergenza, ovvio.

Di solito sono l'ultimo ad atterrare.

Ma questa volta i miei compagni mi hanno chiesto di atterrare per primo.

Come metto piede a terra, un sacco di persone mi si fanno attorno per congra-

tularsi con me.

Frank, che è atterrato subito dopo di me, mi abbraccia: «Jack, se non fosse

stato per te, non so come me la sarei cavata. Avevo quel bastardo alle spalle e

sentivo fischiare le pallottole. Ti devo la pelle, amico.»

Cerco di rispondere ma sono letteralmente sommerso da tutti.

Ci sono anche i francesi.

Tutti mi sono intorno per festeggiarmi e mi chiedono come ho fatto.

Ma io penso che ho ucciso un uomo e non mi va di far festa.

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I due fratelli  

53  

Nel frattempo arriva l'attendente del comandante che, gridando per farsi senti-

re, invita tutti gli ufficiali piloti che sono rientrati dal volo di ricognizione a pre-

sentarsi al comando.

Il comandante Pierce ci vuole a rapporto.

Billy mostra sulla cartina la zona dove gli sembra aver notato qualcosa e il fat-

to si rivela molto interessante perché gli alleati francesi avevano già segnalato

il movimento di artiglieria ma non sapevano dove.

Ripensandoci Billy ricorda che aveva notato qualcosa di strano e poteva benis-

simo essere artiglieria pesante nascosta con teloni mimetici.

Pierce è molto soddisfatto e quando ci congeda, mi chiede di rimanere.

Durante la riunione non si è fatto alcun cenno alla mia azione.

Questo mi fa sospettare che il comandante abbia intenzione di farmi una bella

lavata di capo.

E la conferma arriva quando siamo soli.

Pierce sta esaminando la mappa con attenzione e, senza distogliervi lo sguar-

do, mi apostrofa: «Jack, dannata testa calda, cosa intendevi fare? Guadagnarti

una medaglia?»

«Veramente non mi aspettavo solo quella. Pensavo anche di avere una bella

promozione. Senza contare anche l'eterna riconoscenza dei miei compagni per

aver loro salvato la vita, signore.»

Il comandante alza lo sguardo dalla mappa e rimane senza parole per qualche

istante.

«Mi stai prendendo per i fondelli, Jack?»

«Sì, signore» è la mia laconica risposta.

«Come?»

«Posso parlarle con franchezza, signore?»

Mi guarda stupito.

«Certamente.»

«Signore, lei mi ha fatto una domanda sciocca e io ho risposto di conseguenza.

Lei mi conosce abbastanza per sapere che io non voglio patacche né tantome-

no promozioni. Sa che la vita dei miei amici vale moltissimo per me. Lei si

comporta in modo così duro con noi, ma io so che lei non è così. Ha la tremen-

da responsabilità di tutti noi. E non può permettersi di essere nostro amico.

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Letizia  

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Scrivere a un padre di famiglia che suo figlio è stato abbattuto e il suo aereo è

precipitato non deve essere una cosa facile.»

Tace ancora.

Non si aspettava una reazione così.

E' evidente che nessuno gli ha mai parlato così.

«Uhm...» riprende «ti sei comportato in modo sconsiderato però. Potevi la-

sciarci la pelle. Hai avuto fortuna. Lui non è riuscito a colpirti e tu ha compiuto

l'impossibile.»

«Cosa avrei dovuto fare, signore? Il mio aereo era il più lontano dal tedesco.

Avrei potuto buttarmi in picchiata con una manovra spericolata e l'aereo nemi-

co mi avrebbe lasciato andare per seguire il grosso della squadriglia. Sarebbe

stato più facile e conveniente. Sei aerei invece di uno.»

Mi fermo un attimo a prendere fiato.

Ma proseguo subito.

«Certo, avrei potuto. Mi sarei salvato di sicuro. Ma a che prezzo? Fuggire e ab-

bandonare i miei compagni a morte certa? Con che coraggio mi sarei poi guar-

dato allo specchio? No, potevo solo morire con loro. Oppure tentare. L'ho fatto

centinaia di volte in America, sa?»

«Che cosa?» chiede curioso.

«Sparare con il mio winchester dall'aereo a bersagli a terra. Ero molto bravo.

Colpivo un bersaglio su tre. Al tedesco ho sparato tre colpi.»

Come a dire: statisticamente lo dovevo colpire per forza.

«Ma hai sparato da un aereo in movimento a un altro aereo pure in movimen-

to. Era una cosa praticamente impossibile.»

«Forse. Ma dovevo tentare. Non mi andava di morire colpito alla schiena.»

«Sei una cosa incredibile.»

«Si, signore.»

Spero che non si incavoli perché ora sì che lo sto prendendo per i fondelli.

E allora aggiungo: «Sono pronto a sopportare le conseguenze delle mie azioni.

Accetterò qualsiasi punizione. Purché non mi impedisca di volare ancora. Maga-

ri pulirò di nuovo le latrine.»

«Pulire le latrine. Sì, mi sembra un'ottima idea.»

Boccaccia mia...

Non facevo sul serio, mannaggia.

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«Ma non stasera. Ci sarà festa per te al circolo ufficiali e tu non puoi certo

mancare. Domani sera andrà benissimo.»

«Sì, signore.»

E poi aggiunge: «Davvero non ti interessa una promozione?»

«No, signore. Non mi piace comandare. A casa, al ranch di mio padre, abbiamo

parecchi cowboy al nostro servizio. Quando devo chieder loro di fare qualcosa,

glielo chiedo sempre per favore e poi do sempre una mano.»

Aggiungo: «Sono uno spirito libero. Credo che lo abbia già notato.»

Rimane perplesso.

Poi cerca un documento nascosto sotto una pila di altre carte e lo strappa.

Diavolo di un uomo.

Stai a vedere che...

Ma sinceramente non me ne importa un accidente.

«Puoi andare, Jack.»

«Sì, signore. Buonanotte, signore.»

Ho già aperto la porta quando la sua voce mi insegue.

«Ah, dimenticavo» dice senza staccare lo sguardo dalle carte che sta riordi-

nando, «avvisa il sergente McCarty di installare due mitragliere sulla tua Betty.

Domattina esci con me nella mia squadriglia.»

«Come ha detto, signore?»

«Sei diventato sordo, Jack? Togliti dai piedi prima che ci ripensi.»

«Certo, signore. Subito, signore. Grazie, signore.»

Appena mi giro per scapparmene via, mi richiama: «A meno che tu non te la

senta.»

«Oh sì, signore. Cioè no... Insomma, certo che me la sento. Di nuovo buona-

notte, signore.»

«Togliti dai piedi.»

La mattina dopo sono in volo con la squadriglia di Pierce.

La mia Betty ha ora in dotazione un paio di mitragliere nuove di zecca.

Sono in coda a tutti.

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Letizia  

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Evidentemente il comandante ritiene che non ho ancora sufficiente esperienza

di combattimenti in volo e non vuole espormi a troppi rischi.

Ma io sono contento anche così.

Mi dispiace solo che non volo più insieme ai miei vecchi compagni, specialmen-

te Billy.

Siamo diventati ottimi amici e abbiamo chiesto di condividere la camera.

Gli alloggi degli ufficiali piloti sono camerette a due letti e io prima stavo con

un tizio che sta da un pezzo nella squadriglia di Pierce e che ora sta volando

davanti a me.

Si sono tutti raccomandati di guardarmi da un pilota tedesco che è maledetta-

mente pericoloso.

Ha un aereo a tre ali dipinto di rosso.

Ho già sentito parlare dei Fokker e so che sono aerei nuovissimi e velocissimi.

Ma questo rosso pare sia più pericoloso degli altri.

Il suo pilota è molto abile e ha già abbattuto molti aerei francesi.

Bene.

Vuol dire che ora è lui il mio obiettivo principale.

Abbiamo passato le nostre linee da non più di dieci minuti, quando vediamo

una squadriglia aerea nemica che ci viene incontro.

Non ci sono aerei rossi.

Peccato.

Ci buttiamo a capofitto, io in testa.

Cioè non proprio in testa, visto che sono sempre l'ultimo, in coda a tutti.

Ma sono il primo a scendere in picchiata, così acquisto velocità.

Ma lo fanno anche i miei nuovi compagni.

La battaglia che segue è infernale.

Non riesco ad avvicinare un aereo tedesco che qualche mio compagno mi pre-

cede e lo butta giù.

Sono troppo indietro.

In breve tutti gli aerei nemici sono stati abbattuti e io non sono riuscito a tirare

neanche un colpo.

Eravamo troppo numerosi rispetto a loro e non hanno avuto scampo.

La mia squadriglia si è già messa in formazione.

Io rimango fuori, indietro come al solito.

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I due fratelli  

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Loro sono più ordinati e hanno più esperienza di me nei voli in formazione.

Io invece sono più indipendente e disordinato.

Scommetto che Pierce si è già pentito di avermi preso con lui.

Sono una frana.

Mentre cerco di rimettermi con gli altri, sento dietro di me un rumore.

Cavolo.

Sono altri aerei tedeschi.

Sono un mucchio e ci stanno alle spalle.

Cioè stanno alle mie spalle.

Sono io il più vicino a loro.

Cominciano a sparare e io non posso farci niente.

O almeno loro lo credono.

L'ho fatto mille volte e ogni volta sempre più stretto.

Il giro della morte.

Impenno la mia Betty e salgo compiendo un cerchio il più stretto possibile.

Immagino il loro stupore.

Ora non possono più colpirmi e io sono tentato di ripetere il giochetto con il

mio winchester.

Ma desisto.

Tra pochi istanti sarò dietro a loro.

E quando termino il giro e mi trovo in coda a loro, inizio a far cantare i miei

gingilli.

E' un tiro al bersaglio.

Cercano di sfuggirmi aprendosi a ventaglio.

Ma io ne ho già tirati giù tre e continuo a sparare scegliendo di seguirne altri

tre che sono rimasti vicini.

Nel frattempo la mia squadriglia ha fatto una larga virata e ora stanno venendo

in mio soccorso.

Ho ottenuto quello che volevo: dare tempo ai miei compagni di portarsi in con-

dizione di aprire il fuoco.

La battaglia è molto più dura della precedente.

Gli aerei tedeschi ci eguagliano in numero, cioè ci eguagliavano perché ne ab-

biamo abbattuti più della metà.

Gli altri, malconci e troppo pochi per poterci contrastare, si danno alla fuga.

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Io mi getto a capofitto all'inseguimento, ma il comandante mi richiama indie-

tro.

Purtroppo abbiamo perso due aerei e ci sono un paio di feriti.

Si ritorna alla base.

Il mio battesimo del fuoco è stato un successo ma non c'è niente da festeggia-

re.

Quando alla base dipingo cinque aerei rossi nella fusoliera della mia Betty, non

posso fare a meno di pensare ai due ragazzi che non sono tornati e anche ai

tanti tedeschi che non rivedranno più le loro famiglie.

E' la guerra.

Questa maledetta guerra.

E comincio ad essere molto meno entusiasta di quando sono partito.

Penso alla mia famiglia, a mia madre soprattutto.

E poi penso a Elisabeth.

Chissà se vorrà rivedermi.

Spero di sì perché mi manca terribilmente.

Spero che ci abbia ripensato perché le sue ultime parole rimbombano assor-

danti nelle mie orecchie.

"Ciao mamma, ciao papà.

Molte cose sono cambiate dall'ultima volta che vi ho scritto.

E non in bene purtroppo.

Oh, non è che non stia bene.

Tutt'altro.

Non sono ferito e godo di ottima salute.

Ma non sto bene per niente.

Ieri ho ucciso per la prima volta.

Un pilota tedesco.

E oggi altri cinque.

Non sto bene per niente, non sono mai stato così male.

Ho spezzato sei vite, sei ragazzi che non torneranno più alle loro famiglie.

Come farò io, mamma.

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Perché io tornerò a casa sano e salvo, mamma.

Te lo prometto, anzi te lo giuro.

Sapevo che prima o poi sarebbe successo e immaginavo anche che la cosa non

sarebbe stata per niente piacevole.

Ma non sapevo che sarebbe stata così tremenda.

Sapevo che prima o poi avrei smesso di andare disarmato in ricognizione, ma è

stato proprio nel mio ultimo volo e senza armi che ho ucciso.

Sai, porto sempre il mio winchester con me.

Te l'ho già scritto.

E alla fine è arrivata la volta che mi è servito.

Ho sparato per uccidere, sai mamma?

Gli ho sparato tre colpi per essere più sicuro.

E gliene avrei sparati anche di più se solo ne avessi avuto il tempo.

Ma era necessario, mamma.

Così ho salvato la vita di sei miei compagni, senza contare la mia.

Quel tedesco ci avrebbe uccisi tutti, disarmati e incapaci di difenderci come e-

ravamo.

O lui o noi, mamma.

Sette vite contro una.

Non ho avuto altra scelta, ho dovuto.

Non potevo permettermi di sparare solo per ferirlo o danneggiare magari l'ae-

reo.

Se avessi sbagliato non avrei avuto una seconda occasione.

E oggi con le mitragliere della mia Betty ho abbattuto altri cinque aerei.

Sai, ho dato al mio aereo il nome di Elisabeth, per avere sempre il suo nome

davanti agli occhi.

Lei starà sempre nel mio cuore, come tutti voi.

Questa guerra maledetta che ci tiene lontani...

Ho tanta voglia di tornare, di non essere mai partito.

Ma non posso, mamma.

E, se tornassi indietro, rifarei quello che ho fatto.

Ho salvato delle vite, mamma, capisci?

Oggi abbiamo perso due aerei, due miei amici che non sono tornati.

Ma, se non ci fossi stato io oggi, ne sarebbero morti molti di più.

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Il comandante Pierce oggi ha elogiato il mio comportamento.

Mi ha proposto per una promozione, ma io non ho accettato.

Non voglio diventare capo squadra, mamma.

Voglio solo rendermi utile, voglio solo che muoiano meno persone possibile in

questa maledetta guerra.

Oggi non ho sparato per uccidere, mamma, e spero che almeno due dei cinque

piloti si siano salvati.

Ti voglio tanto bene, mamma.

Ne voglio tanto anche a papà, al mio fratellone e a tutti quanti.

Salutami Sara e i bambini, il nonno e il gufo taciturno.

Salutami Mamie e tutti i nostri cowboy."

Mi fermo un attimo e poi riprendo a scrivere.

"Se hai occasione di vederla, di' a Elisabeth che sto bene e che lei è sempre nel

mio cuore."

Dille anche che spero di rivederla e che lei mi voglia ancora bene.

Che tutto torni come prima, perché la mia vita senza di lei non ha più senso.

E' quello che penso, ma non oso scrivere.

E concludo.

"Un bacio a tutti voi e a rivederci presto.

Il vostro Jack.

Febbraio, 24 dell'anno del Signore 1916.1"

Le missioni in territorio nemico si susseguono una dietro l'altra a ritmo serra-

to, certe volte anche due nello stesso giorno.

Ed è anche capitato che, appena tornati alla base, con gli aerei ancora da rifor-

nire, siamo decollati in fretta e furia perché era stata avvistata una squadriglia

nemica che si stava avvicinando pericolosamente alla base.

Siamo tutti sfiniti.

Ciascuno di noi avrebbe bisogno di almeno una settimana di riposo, ma il fatto

è che non ci sono piloti che ci rimpiazzino.

E allora si va avanti.

                                                            1 La battaglia di Verdun inizia il 21 febbraio dello stesso anno.

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La fusoliera di Betty ormai è piena di disegni rossi.

Dopo l'ultima missione nella quale siamo stati attaccati da due formazioni di

aerei che ci hanno preso in mezzo, il comandante Pierce ci fa volare ora in due

squadre che stanno a circa un miglio di distanza l'una dall'altra.

E i motivi sono due.

Dare al nemico, che può avvistare solo una delle due, l'impressione che noi

siamo una facile preda.

E poi fare in modo di avere sempre qualcuno che ti guardi il fianco.

Quindi ora voliamo in due formazioni sufficientemente lontane da non essere

avvistate tutte e due contemporaneamente, ma abbastanza vicine da poterci

soccorrere a vicenda in tempi brevi.

Una squadra, è ovvio, è comandata da Pierce.

Ma indovinate un po' chi comanda l'altra?

Domanda facile, risposta facile.

E così mi hanno appioppato questa rogna.

Naturalmente la prima squadra ad essere attaccata indovinate qual'è?

No, sbagliato, è quella di Pierce.

Chiamo a raccolta i ragazzi della mia squadra e voliamo immediatamente in lo-

ro soccorso.

I tedeschi non se l'aspettano e si trovano un po' spaesati.

Nel bel mezzo della mischia vedo in lontananza un aereo che sta arrivando.

E' lui.

L'aereo è rosso.

E' il barone.

Finalmente ti ho trovato, maledetto.

E' da un pezzo che ti cerco.

Mi allontano dalla formazione e mi dirigo verso di lui.

Quando il comandante nota la mia manovra, mi richiama subito indietro.

Ma io sono già lontano e credo di non aver capito bene l'ordine.

Lo sento imprecare mentre si getta immediatamente al mio inseguimento.

L'aereo rosso è sempre più vicino.

Ce l'ho nel mirino.

Era ora.

Sparo una raffica, lunga e continuata.

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Letizia  

62  

Ma lui è un demonio.

Usa gli stessi trucchi che uso io per evitare di essere colpito.

Manovra il suo Fokker con la stessa agilità con cui io uso le mie colt.

Il suo aereo è più grosso e più potente del mio e maledettamente più veloce.

Spara su di me, ma anch'io so fare i suoi giochetti ed evito i suoi tiri.

L'ho disorientato.

Forse credeva di essere l'unico a trattare l'aereo come un giocattolo.

Non si aspettava le mie acrobazie.

Ma non perde la calma e la concentrazione.

Ci affrontiamo più volte sparando come matti senza però mandare un colpo a

segno.

Il comandante Pierce sta arrivando seguito da uno della sua squadra.

Il barone lo vede e cerca di allontanarsi.

Ha visto che i suoi compagni tedeschi stanno avendo la peggio e che non può

fare nulla per aiutarli.

Ma tenta un ultimo attacco.

Non so come dannazione abbia fatto, ma me lo ritrovo in coda.

Sono nei guai.

Tento il giro della morte.

Ma lo fa anche lui.

Ce l'ho sempre in coda, ma almeno durante il giro sono fuori dal suo mirino.

Tento allora il gioco con il mio winchester, ma i miei proiettili colpiscono solo

l'aereo senza fare grossi danni.

Solo qualche buco nelle ali.

Non se l'aspettava e ci deve essere rimasto un po' male.

Tento di stringere il cerchio più che posso.

Il mio aereo è più corto del suo e posso ottenere un raggio più ridotto del suo.

E poi quando sono quasi alla fine del cerchio, faccio un'improvvisa virata a de-

stra per cercare di mettermelo di fronte.

Sento Pierce e l'altro mio compagno sparare contro il barone all'impazzata.

E poi vedo del fumo uscire dal motore.

Cavolo, mi ha colpito.

E ora se ne sta fuggendo, il bastardo.

Sento un gran dolore al ventre.

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I due fratelli  

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La mia Betty perde quota.

Non devo perdere i sensi... non devo... non de... non...

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Letizia  

64  

La ricerca

E' un paio di giorni che non sto bene.

Non è che stia male fisicamente.

In realtà sono in perfetta forma.

Ma sento una strana sensazione di disagio e non so da cosa dipenda.

Sono una persona realista con i piedi ben saldati a terra e non sono per niente

suggestionabile.

Eppure...

Eppure sento che c'è qualcosa che non va.

E cerco di non pensare a quello che mi viene spesso in mente.

Ne ho troppa paura.

E poi scommetto che i miei timori sono del tutto infondati.

Ma comunque è meglio che torni a casa.

Qui i ragazzi possono fare da soli.

Quando arrivo in vista del ranch, vedo nel piazzale davanti alla casa un'auto-

mobile sta avviandosi verso la città.

E' sicuramente quella del marshall.

Cosa è andato a fare da mio padre?

Sento la testa che mi scoppia.

Sprono il cavallo e mi getto al galoppo giù per la collina.

Quando arrivo davanti a casa, vedo un paio di cowboy con la faccia nera come

il carbone.

Mio Dio.

Scendo da cavallo e di corsa raggiungo il salone che dà sulla biblioteca.

Attraverso la porta vedo la mamma che sta piangendo seduta su una poltrona.

Papà le sta accanto cercando inutilmente di offrirle un conforto.

Mio Dio, mio Dio.

Entro nella sala.

La mamma mi vede e scoppia in un pianto a dirotto, coprendosi il volto con le

mani.

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I due fratelli  

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Papà mi guarda cercando di dirmi qualcosa ma non ci riesce e stringe la mam-

ma tra le braccia.

Il nonno è pallido in volto e non muove un muscolo della faccia, come impietri-

to.

Il vecchio indiano sembra assente.

Non ho mai visto i miei cari in quello stato.

Neanche quando è venuto a mancare lo zio di papà.

La mamma, che gli era affezionata come una figlia, non ha versato una lacri-

ma.

Ora invece...

Jack.

I miei presentimenti non si erano rivelati infondati.

Jack.

Jack è...

Non riesco neppure a pensarlo.

«Non è morto.»

Il vecchio indiano si è come risvegliato da un trance.

«Come?» gli domando.

Temo di non aver capito bene.

«Jack non è morto. E' ancora vivo e sta bene.»

«Come sarebbe a dire?» incalzo.

«E tu come fai a saperlo?»

«Ho avuto una visione.»

Il nonno si gira a guardarlo e gli chiede: «E perché non l'hai detto prima?»

«Perché la visione l'ho avuta solo adesso.»

Papà e la mamma lo guardano stupiti.

Sanno che non è suonato anche se qualche volta gli piace dare quell'impres-

sione.

«Il grande Spirito mi ha mandato una visione. Ho visto Jack colpito da un ae-

reo rosso. Un colpo violento alla stomaco gli ha fatto quasi perdere i sensi. Ma

lui ha resistito ed è riuscito ad atterrare. Ho visto il suo aereo fumare in una

radura circondata da alberi. Jack è riuscito ad abbandonare l'aereo prima che si

incendiasse. Ha con lui le sue armi e molte munizioni.»

Un aereo rosso.

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Letizia  

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Non può esserselo inventato.

Ho letto di un tedesco che chiamano il Barone Rosso e può essere che lo chia-

mano così proprio perché il suo aereo è rosso.

«Jack è un grande guerriero. Sopravviverà.»

Sembra esserne sicuro e, a dire il vero, anch'io sento che Jack è vivo.

C'è sempre stata una strana sintonia fra me e Jack.

Ho sempre avvertito un presentimento quando era in pericolo, come quando è

stato ferito da un grizzly.

Io lo sapevo.

L'ho sentito.

La mamma ha smesso di piangere e si avvicina al vecchio come per chiedergli

di più, per ringraziarlo.

Ho deciso.

«Io vado a cercarlo. Lo riporterò a casa sano e salvo. Lo giuro.»

Sara, che aveva portato via i bambini e li aveva lasciati a Mamie, fa ritorno in

tempo per sentire le mie parole.

«No.»

Mi giro a guardarla.

«No. Non puoi. Pensa ai tuoi bambini, Pensa a me. Vuoi farmi morire di dolo-

re?»

«Sara, devo andare. Jack è mio fratello. Non posso abbandonarlo. Non potrei

più guardare in faccia i miei figli.»

«Vuoi andare a morire? I tuoi figli hanno bisogno di te. Meglio un padre che si

vergogna piuttosto che un padre morto.»

«Non insistere, Sara. Io "devo" andare. Jack farebbe altrettanto per me.»

Lei scoppia a piangere e esce correndo dalla biblioteca.

La mamma mi guarda in silenzio.

Papà si avvicina a me.

«Sei proprio deciso ad andare?»

«Sì, papà. Sai che devo.»

«Sì, lo so. Vengo con te.»

«No, papà. Tu non verrai. Io te lo impedirò.»

«Come?»

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I due fratelli  

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«Hai capito benissimo. Io te lo impedirò. Inutile rischiare in due. Tu devi resta-

re e badare alla mamma.»

«Ma...»

«E' inutile, papà. Sai che ho la testa dura. Non ti ci voglio con me.»

Mio padre mi guarda stupito.

Non avevo mai osato contraddirlo.

In realtà perché non ce n'è mai stato bisogno.

Pa' e io andiamo molto d'accordo.

«Ha ragione lui, lo sai.»

La voce del nonno ci fa girare entrambi.

«Papà, ti ci metti anche tu adesso? Non basta che ci sia già mio figlio a dirmi

cosa devo fare?»

«Pa', io non voglio dirti quello che devi fare. Non te l'ho mai detto. Voglio solo

dirti che sarai più utile qui. Da solo avrò più libertà di movimento. Fallo per la

mamma se non vuoi farlo per me.»

Dopo qualche attimo di silenzio, «D'accordo. Andrai da solo. Ti accompagnerò

alla stazione. Telegraferò al generale York perché ti dia una lettera per gli In-

glesi, come ha fatto con tuo fratello.»

Mando uno dei cowboy in città per informarsi degli orari del treno mentre io

preparo quello che dovrò portare con me.

Poi salgo da Sara e dai bambini che, vedendo la mamma piangere, si mettono

a piangere anche loro.

Mamie li porta di là a giocare e io rimango solo con mia moglie.

Non sono mai stato così male.

Jack da solo in territorio nemico, la mamma distrutta dal dolore e Sara tra le

mie braccia che non smette di piangere e mi stringe forte, quasi ad impedirmi

di andare via.

Mio Dio.

Non faccio che pensare a Sara, a quando l'ho salutata prima di andare in città

con mio padre.

Lei non è venuta.

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Letizia  

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Non se la sentiva.

Non piangeva quando l'ho baciata prima di partire, ma aveva la morte nel cuo-

re.

L'aereo di Jack è caduto oltre le linee nemiche, in una zona dove da mesi si

combatte la battaglia più dura tra tutte quelle che la pazzia umana abbia mai

concepito.

E io devo andare là in mezzo, da solo, trovare mio fratello e tornare indietro.

I bambini non sanno dove vado e a far cosa, naturalmente.

Ma non sono certo stupidi.

Sono piccoli ma avvertono che c'è qualcosa che non va e hanno fatto un muso

lungo così.

Quando me ne sono andato, erano tutti là, nel salone dell'ingresso, a salutar-

mi.

Tranne Sara che era con i bambini in cima alle scale.

Ci eravamo salutati prima.

Sulla porta, prima di lasciare la casa per chissà quanto tempo, mi son girato

per darle un ultimo sguardo.

Lei era ancora lì, con Charlie in braccio e Thomas aggrappato ai suoi jeans.

Ho alzato la mano per un ulteriore saluto e le ho mandato un bacio con la ma-

no.

Ho ancora la scena davanti agli occhi mentre sono su questa dannata nave che

domani arriverà in Inghilterra.

Ad Austin il generale York, che mi stava aspettando, mi ha fornito dei docu-

menti dai quali risulta che sono un colonnello dell'esercito degli Stati Uniti e di

una lettera di presentazione per il comando inglese.

Ho avuto una carriera velocissima: da semplice civile a colonnello.

Proprio io che non ho mai potuto sopportare i soldati.

Gli States non sono entrati in guerra, per cui io ufficialmente non sono mai an-

dato in Inghilterra né tantomeno in Francia, in piena zona operativa.

Sono in missione "per portare in salvo il figlio di un pezzo grosso americano,

uno che ha conoscenze alla Casa Bianca".

Addirittura.

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I due fratelli  

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Ma in fondo quella frase, che pare sia riportata tale e quale nella lettera di pre-

sentazione che io non ho letto - è sigillata dalla cera lacca con il simbolo per-

sonale di York - non è molto lontana dalla verità.

Papà conosce veramente un sacco di gente a Washington.

E anche il nonno.

E così automaticamente divento un pezzo grosso anch'io.

Com'è strana la vita.

Io che non ci ho mai tenuto sono diventato un pezzo da novanta e invece mol-

ta gente, che si vende l'anima per diventarlo, non c'è mai riuscita.

Il tempo non sembra passare mai, specialmente quando stai così male.

Sara, non vedo l'ora di stringerti di nuovo tra le mie braccia.

Vorrei cancellare in un istante tutto il tempo che starò via ed essere già di ri-

torno con quel matto di mio fratello.

Magari si potesse2.

Ma finalmente arrivo a Southampton.

Quando scendo dalla nave sono avvicinato immediatamente da quello che

sembra essere un agente di polizia.

Il mio abbigliamento è, diciamo, un po' stravagante.

Sono armato fino ai denti.

Due cinturoni con le mie "Navy", il mio winchester con la canna modificata e

due bandoliere piene di proiettili sulle spalle.

Sembra che debba andare in guerra da solo contro un'intera tribù di Cheyenne,

il che è abbastanza vicino alla realtà.

Questo brav'uomo sembra intenzionato ad arrestarmi.

Se io fossi un malintenzionato, avrebbe scelto il modo migliore per suicidarsi.

Credo sia disarmato.

Ma per fortuna per lui, io sono un brav'uomo più di lui.

Gli mostro i miei documenti.

«Sono un colonnello dell'esercito degli Stati Uniti e sono qui in missione specia-

le. Vuole essere così gentile da accompagnarmi al più vicino distaccamento mi-

litare?»

«Certamente, sir» risponde il poliziotto scattando sugli attenti.

                                                            2 N.d.A.: Io veramente lo potrei, ma il lettore si perderebbe tutto il succo di questo racconto. E poi chi vi dice che "Eagle" tornerà?

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I miei documenti cominciano a funzionare.

Poi estrae un fischietto e comincia soffiarci dentro.

In breve arriva una carriola con un paio di militari - questi sono armati - e si

ferma davanti a noi.

I due militari balzano fuori dall'automobile con le armi in pugno e le puntano

verso di me.

Ma il poliziotto li ferma e spiega loro chi sono.

«Mi scusi, sir» dice uno dei due riponendo la pistola nel fodero.

«Non fa niente,» rispondo, «non devo avere un aspetto molto rassicurante.»

«Per niente, sir.»

Mi accompagnano poi a un comando militare e si ripete la stessa scena con le

sentinelle all'ingresso.

Comincio veramente a stancarmi.

Aspettano che arrivi un ufficiale e non provano neanche a togliermi le armi.

Mi annunciano al comandante della guarnigione o di quello che è.

Si dimostra molto gentile.

«Ah, un altro americano. Prego, si accomodi.»

«Ha conosciuto qualche altro americano?» gli chiedo porgendogli la lettera si-

gillata di York.

«Sì, un ragazzo. Un volontario che si è arruolato in aviazione» risponde pren-

dendo la lettera.

La gira e la rigira.

Guarda il sigillo che la chiude e nota le tre stelle nello stemma di York.

Mi porge la lettera senza aprirla e aggiunge: «Non c'è bisogno di lettere di pre-

sentazioni. Vedo che è del generale York che ho già avuto il piacere di sentire.»

«Conosce il generale?»

«No. Ne ho solo sentito parlare. Anche quel ragazzo aveva una sua lettera. Ri-

conosco la grafia.»

«Ebbene io sono qui per trovare quel ragazzo e per portarlo negli States. Pare

sia il figlio di un pezzo grosso. O almeno così mi è stato riferito. E' scritto an-

che nella lettera.»

«Non sarà facile, ammesso che sia ancora vivo. Dovrà andare in Francia, in zo-

na di guerra.»

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«Lo so. Spero solo nella vostra collaborazione per arrivare al suo campo di a-

viazione. Credo che sia quello di un certo comandante Pierce.»

«Sì, lo conosco. Darò disposizione che sia accompagnato là. Dovrà fare un bel

volo, temo.»

«Nessun problema. Grazie per tutto il suo aiuto.»

«Mio dovere, colonnello» risponde prima di chiamare il suo sergente.

Il giorno dopo sono nel campo di Pierce.

E' stato un viaggio tremendo.

Non so come faccia Jack ad amare tanto il volo.

Se l'uomo fosse nato per volare, il buon Dio gli avrebbe fatto crescere un bel

paio d'ali sulla schiena, non trovate?

Metto piede a terra e mi sgranchisco un po' le gambe.

L'abitacolo di quel coso con le ali è tremendamente piccolo e le mie gambe

lunghe erano alquanto rannicchiate.

«Ehi, William. Guarda un po' quel tizio.»

Mi giro e vedo un paio di ragazzi che stanno armeggiando con il motore di un

aereo.

«Deve essere scappato dal circo di Buffalo Bill, Frank» risponde ridendo l'altro.

«Ragazzi, vi consiglio di essere meno spiritosi. Il signore è un colonnello ame-

ricano» li rimprovera il pilota che mi ha accompagnato.

«Lei è americano, sir? E' per caso... lei è... Eagle?»

Santo Iddio, quel ragazzo mi farà impazzire.

Ha spifferato il mio soprannome a tutto il globo.

«Conoscete Jack?»

«Sì, sir. Era nostro amico. Era il nostro miglior amico.»

«Perché dite era? Ora non lo è più? Avete litigato?»

Li prendo un po' in giro.

«Oh no, sir. Solo che... che lui... che... Non lo ha saputo?»

«Che è precipitato con il suo aereo in territorio nemico? Questo non vuol dire

che non sia ancora vivo.»

«Sir, ormai è un mese che non abbiamo più notizie di lui.»

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Letizia  

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«Non temete, Jack è vivo.»

«Come fa a saperlo, sir?»

Cosa potrei dirgli?

Che me lo ha detto un vecchio indiano che lo ha saputo dal Grande Spirito?

Che io sento che è vivo perché sono in simbiosi con lui?

Io, se qualcuno mi dicesse così, lo prenderei per matto.

Figuriamoci loro.

«E' una cosa che non posso rivelarvi. Mi dispiace ragazzi.»

«Capisco, sir. Siamo molto contenti di sapere che Jack è ancora vivo. Questo ci

basta.»

«Tu sei Billy, vero? Billy The Kid.»

«Sì, sir. Jack le ha scritto di me?»

«Certo. E scommetto che il tuo amico è Frank.»

«Sicuro, sir» risponde lui.

Poi, guardando il mio fucile modificato, mi chiede.

«Quel suo winchester è molto strano, sir. Non è come quello di Jack.»

«Sì,» rispondo, «ha la canna modificata. E' molto più lunga. I proiettili così ar-

rivano molto più lontano.»

Mi guardo in giro.

«La vedi quella banderuola a forma di gallo di ferro su quel campanile laggiù?»

«Cosa vuol fare, sir? E' troppo lontana. Inoltre gira a causa del vento. Impossi-

bile colpirla.»

«Non tirerò alla sagoma del gallo, ma all'asticella di ferro che la sostiene.»

«Ma è impossibile, sir.»

Mi guardano come se avessero visto un fantasma.

Scommetto che stanno pensando che sono più matto di mio fratello.

Prendo il fucile e regolo l'alzo del mirino.

Poi mi chino a terra.

La pista è polverosa.

Prendo un po' di terra e la lascio cadere.

Osservo come cade la polvere.

Poi imbraccio il mio winchester, prendo lentamente la mira e, senza respirare,

premo leggermente il grilletto sensibilissimo.

I due ragazzi guardano il gallo di ferro cadere giù.

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I due fratelli  

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Si stropicciano gli occhi increduli.

Rimangono senza parole e, prima che possano aprire bocca, arriva un ufficiale

che, con tono severo, urla: «Chi diavolo ha sparato? Cosa succede qui?»

Poi mi vede e capisce immediatamente chi sono.

Forse lo hanno già informato per telegrafo, ma di certo il mio abbigliamento la-

scia escludere ogni altra ipotesi.

Si avvicina e mi chiede: «Lei è il fratello di Jack, vero? Eagle, mi pare che sia il

suo nome.»

Dannazione.

Jack si merita una bella sculacciata.

Appena lo troverò sarà la prima cosa che farò.

«Sì. E lei è il comandante Pierce, vero? Ho una lettera di presentazione del ge-

nerale York che...»

«Non c'è bisogno di alcuna lettera. Venga nel mio ufficio. Le daremo tutto l'aiu-

to che chiederà.»

Siamo nel suo ufficio e siamo già passati al tu.

Abbiamo più o meno la stessa età e siamo entrambi molto affezionati a Jack.

Inoltre non mi dà l'idea di essere troppo formale.

Anzi.

Sono certo che mi avrebbe trattato così anche se io fossi solo un caporale.

E' un brav'uomo.

«Mi dispiace moltissimo per tuo fratello. Sono sicuro che è ancora vivo e...»

«E' ancora vivo. Lo so. Ma per cortesia, non chiedermi come faccio a saperlo.»

Mi guarda stupito come farebbe un bambino di fronte a un mago che ha fatto

sparire un elefante.

«E' ancora vivo. E io sono qui per tirarlo fuori dai guai in cui si è cacciato. Poi

tu lo metterai in congedo e io lo riporterò a casa.»

Mi accorgo che ho parlato come se stessi dandogli un ordine e cerco di scusar-

mi.

«Volevo dire che ti chiedo di metterlo in congedo.»

«Oh, non preoccuparti. Certo che lo farò. L'importante e che tu ci riesca. Come

farai? Hai già un piano?»

«Certo: penetro in territorio nemico, faccio fuori tutti i cattivi, trovo Jack e tor-

no indietro con lui.»

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Prima che mi mandi a quel paese aggiungo: «No, non ho un piano. Sono appe-

na arrivato. Dovrò analizzare le mappe del territorio. Poi mi servirà una busso-

la e un buon cavallo.»

«Un cavallo? E che te ne fai?»

«Un'automobile o una motocicletta fanno troppo rumore. A me serve passare

inosservato. Meno persone incontro e meglio è. Un cavallo è l'ideale. Eppoi io ci

sono nato a cavallo.»

«Ma è una pazzia. Ci sono bombardamenti continui laggiù. Verdun è un vero

inferno. E chissà quanto durerà ancora. Non puoi sperare di attraversare l'in-

ferno a cavallo. Ti scapperà appena sentirà la prima cannonata.»

«Non credo.»

«Well. Inutile cercare di convincerti, vero?»

«Vero.»

«Quanti uomini ti servono? Ci saranno decine di volontari. Jack era molto ben-

voluto, sai? E il primo tra tutti è Frank Martin. Tuo fratello gli ha salvato la vi-

ta.»

«Andrò da solo.»

«Come? Ma sei matto? Andare da solo in zona di guerra? Non durerai un gior-

no.»

«Non credo. Tu pensa solo a mandare dispacci a tutte le vostre truppe che so-

no in zona. Mi seccherebbe lasciarci la pelle proprio per mano di fuoco amico.»

«Stai tranquillo, ci penso io. Se qualcuno dei nostri ti accoppa, poi vieni a pro-

testare da me.»

Ridiamo.

Almeno il buon umore non ci manca.

Passo tutta la notte a guardare le mappe e a studiare il terreno.

Devo dire che le carte che mi ha dato Pierce sono molto precise e dettagliate e

mi sono fatto già un'idea di come cavarmela in questo brutto impiccio.

L'equinozio di primavera è già passato e le ore di luce cominciano a essere più

di quelle di buio.

Domattina partirò molto presto.

O dovrei dire questa mattina perché vedo già i primi chiarori dell'alba.

Quando esco dalla palazzina comando in cui ho passato la notte, vedo Frank in

abiti civili che mi aspetta.

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I due fratelli  

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Ha in mano le redini di due cavalli, il mio e un secondo che evidentemente è

per lui.

«Frank, vai al tuo aereo. Mi sarai più utile lassù.»

«No, sir. Non intendo andare da nessuna parte senza di lei. La seguirò anche

fino all'inferno, se necessario. E poi le posso essere molto utile. Mia madre è

nata in Belgio e conosco abbastanza bene il territorio dove probabilmente si

trova Jack.»

Lo guardo un po' e capisco che fa maledettamente sul serio.

Pierce è accanto a me e alza le spalle come per dirmi che lui non c'entra per

niente.

Prendo una delle mie colt navy e la punto in faccia a Frank che però non mi

sembra molto spaventato.

«Se vieni con me, ci lascerai certamente la pelle. Se ti ammazzo qui io, ti ri-

sparmio un sacco di fatica e di dolore.»

«Benissimo, sir. Faccia pure.»

«Sai, da noi si usa così. Per evitare che un cavallo soffra inutilmente, gli spa-

riamo in un orecchio.»

Armo il cane.

Lui mi guarda immobile con un'aria mista di paura e determinazione.

«Ma naturalmente tu non sei un cavallo» dico disarmando il cane e rimettendo

la colt nella fondina.

Cercando di non farsi notare, riprende a respirare.

Aveva trattenuto il fiato.

«Mi sarai solo d'impaccio. Scommetto che non sai neanche andare a cavallo.»

Senza parlare salta in sella con un balzo, senza neanche mettere il piede nella

staffa.

Fa impennare il cavallo e poi parte velocissimo al galoppo.

Fa un giro della pista e, senza fermarsi e sempre al galoppo, scende a toccare i

piedi per terra e poi risale in sella.

Sale infine in piedi sulla groppa e grida come un matto tra i commenti di am-

mirazione dei suoi commilitoni che fischiano e urlano più di lui.

E' davvero bravo.

Ma non glielo dirò mai.

Si ferma davanti a me inchiodando il cavallo e scendendo al volo.

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«D'accordo. Sai andare a cavallo. Ma ti deve essere ben chiara una cosa. Io ri-

porterò indietro te e Jack, sani e salvi. Ma se non mi sarà possibile salvare tutti

e due, sai bene chi dei due sacrificherò, vero?»

«Lo so e sono perfettamente d'accordo con lei, sir. Jack ha rischiato la vita per

salvare la mia e io sarò felice di dare la mia per salvare lui.»

«Ma Jack è stato fortunato ed ha ancora la pelle cucita addosso. Tu potresti

non avere altrettanta fortuna.»

«Sta cercando di dissuadermi, sir? La avverto che sono di origine irlandese e

che gli irlandesi hanno...»

«...la testa più dura del ferro. Lo so. L'America è piena di irlandesi cocciuti co-

me te.»

«Cosa aspettiamo a partire, allora?»

Una settimana dopo abbiamo superato l'ultima linea delle truppe anglo-

francesi.

Ci hanno tutti guardato come se fossimo elefanti rosa.

Per fortuna sapevano del nostro passaggio e così non ci hanno sparato addos-

so.

Frank ha trovato chissà dove un winchester e una colt.

E anche un cappellaccio che è una brutta imitazione del mio Stetson.

Siamo passati indenni sotto i bombardamenti tedeschi che sono incessanti.

Ma il peggio deve ancora venire.

Non ho fatto altro che vedere morti e feriti e sentire lamenti di chi ne aveva

ancora la forza.

E' una cosa terribile.

Scommetto che neanche il nonno, durante la guerra civile, ha mai visto tanto

orrore.

Tutto questo mi fa vergognare di appartenere alla razza umana.

Anche Frank è rimasto scioccato e ha dato di stomaco un paio di volte.

Viaggiamo di notte e ci fermiamo a riposare qualche ora di giorno.

Ho affumicato tutta la carne che ci ha dato Pierce, accendendo fuochi che non

si vedono neanche a cento metri di distanza.

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I due fratelli  

77  

Di giorno naturalmente, perché di notte nessuno è così bravo da evitare i ba-

gliori anche di un fiammifero acceso.

Guardo spesso le carte militari di Pierce ed evito accuratamente di seguire iti-

nerari allo scoperto.

E questo per due motivi.

Per la nostra sicurezza e poi perché Jack non si nasconde certamente in spazi

aperti.

La notte non si vedono che i bagliori delle artiglierie tedesche che sparano in

continuazione.

Ma dove diavolo le trovano tante munizioni?

Frank e io ci fermiamo tra gli alberi.

Ho sentito un rumore.

Finora non abbiamo mai incontrato soldati nemici.

Per fortuna è solo un animale spaventato che scappa davanti a noi.

Non siamo sempre così fortunati.

Un paio di volte passiamo vicino ad accampamenti tedeschi che per fortuna

non sono mai affollati.

Al massimo una dozzina di soldati stanchi e assonnati e senza sentinelle.

Si sentono al sicuro.

Nessuno sarebbe mai così pazzo da inoltrarsi così nelle loro linee.

Ma una volta non ci è andata così bene.

Erano pochi, ma ci hanno visto.

Era inevitabile.

Abbiamo dovuto attraversare per forza un tratto allo scoperto.

Ci hanno visto e ci hanno sparato addosso.

Hanno però subito perso la voglia.

Ne ho feriti cinque o sei e si sono rintanati nel loro buco.

Non mi piace uccidere.

Il fatto però è che ora sanno che ci siamo e ci cercheranno.

«Colonnello, è un po' che glielo volevo chiedere. Sono un po' di notti che sento

il verso di uccelli rapaci. Ed è strano perché in questa zona non ce ne dovreb-

bero essere. Conosco il posto. In questa stagione non ci sono rapaci. Lei cosa

ne pensa?»

Sorrido.

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Letizia  

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Lui crede magari che penso che abbia detto una sciocchezza.

Ma io lo rassicuro.

«Te ne sei accorto, eh?»

«Che significa, sir? Accorto di che cosa.»

«E' un modo che usiamo io e mio fratello per comunicare.»

«Come? Sta dicendo che è stato lei a fare quei versi?»

«E' il grido dell'aquila reale americana. Credo proprio che qui non ce ne siano

mai state.»

«Comunicare con Jack con il verso di un'aquila. Questa poi non l'avevo ancora

sentita.»

«Se Jack è nelle vicinanze e lo sente, sa che sono io e uscirà dalla sua tana.»

«Ma non crede che sia un'imprudenza? Potrebbero sentirlo anche i tedeschi.»

«Certo. Ma chi potrebbe mai sospettare che sia un matto americano?»

«Beh, sir. Io ci ho trovato qualcosa di strano. Se fossi stato un tedesco e non

dovessi nascondermi, avrei indagato.»

«Non credo. Tu hai sospettato perché l'hai sentito più di una volta. Un tedesco

di passaggio lo avrebbe sentito una volta sola. E non si sarebbe insospettito.»

«Diavolo di un colonnello. Ma riuscite anche a "parlare" in questo modo? Cioè,

voglio dire, avete un linguaggio vostro? Comunicate, che so, la vostra posizio-

ne o che altro?»

«Beh, adesso non esagerare. Non è come l'alfabeto morse. Ma è sufficiente che

Jack lo senta, che sappia che sono io. La nostra posizione ovviamente è indica-

ta dalla provenienza del segnale.»

«Che mi venga ...»

«Zitto. Ho sentito qualcosa.»

«Io non ho sentito niente.»

«Zitto, ti dico.»

In lontananza sento il rumore impercettibile di fronde che si muovono.

Non c'è vento.

E' qualcuno che avanza nel sentiero tra gli arbusti.

«Tedeschi. Là, alla tua destra. Sta' giù.»

«Ora li sento anch'io.»

«Taci.»

Questa volta sono tanti davvero.

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I due fratelli  

79  

Almeno una trentina.

Ne vediamo passare prima una mezza dozzina.

Dopo una decina di minuti vediamo gli altri.

Hanno anche dei pezzi di artiglieria leggera.

Strano che attraversino questo bosco.

Non è agevole trasportare cannoni tra la boscaglia.

Sento sopra la mia testa il rumore di aerei.

Frank riconosce il rumore.

Sono inglesi.

Magari è Pierce che pensa di darci una mano a passare inosservati attirando

l'attenzione dei tedeschi su di loro.

Uhm... questa volta.

Ci passano troppo vicini e noi non ci possiamo muovere.

Poi i mio cavallo si innervosisce e manda un nitrito che io non faccio in tempo a

smorzare.

E ci vedono.

Si scatena l'inferno.

Cerco di ferirli soltanto, ma poi capisco che c'è in gioco la nostra vita.

O noi o loro.

E allora mi scateno e anche Frank fa del suo meglio.

E' un discreto tiratore.

Ma io non ho eguali.

E non sbaglio un colpo.

Prima che possano organizzarsi ne butto giù almeno una dozzina.

Dio, sto uccidendo degli uomini.

Persone che non torneranno più a casa dalle loro famiglie.

E per colpa mia.

E' questa maledetta guerra.

Noi non facciamo altro che difenderci.

Uccidere o morire.

Vedo poi un soldato con una bomba a mano.

La sta tirando verso di noi.

Lo butto giù e la bomba esplode accanto ai suoi commilitoni causando una gran

confusione.

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Letizia  

80  

E allora mi viene un'idea.

Scopro dove tengono le bombe e sparo nella cassetta da cui un soldato ne sta

prendendo un paio.

Una gran esplosione getta lo scompiglio tra i tedeschi alcuni dei quali saltano

letteralmente in aria.

Ne approfitto per cambiare posizione e faccio cenno a Frank di seguirmi.

Nella confusione i nostri cavalli sono scappati.

Siamo a piedi e senza rifornimenti.

Uhm... un bel guaio.

I tedeschi hanno approntando una mitragliatrice e aprono il fuoco.

Per fortuna sparano verso il posto dove ci trovavamo prima.

Ora però ci siamo spostati.

Sparo due colpi nell'otturatore della mitragliera che si sposta leggermente.

Non sono riuscito a far molto danno, ma pare che l'arma si sia inceppata.

Mentre un paio di tedeschi cercano di farla funzionare e altri ci sparano addos-

so, cerchiamo di sgattaiolare via di lì.

Anche se facciamo rumore, nessuno ci sentirà in mezzo a quell'inferno di urla e

spari.

Ci allontaniamo alla svelta.

Abbiamo fatto una carneficina e noi non abbiamo neanche un graffio.

Siamo stati fortunati ma siamo a piedi.

Ci daranno la caccia e sarà difficile fuggire.

Ma staranno in guardia.

Si sono resi conto che siamo pericolosi.

E questo ci darà un vantaggio.

E poi non sanno che siamo solo due.

Non pensano certo che due persone sole abbiano potuto fare tutto quel macel-

lo.

Ci stanno cercando.

Ma non ci troveranno mai.

Magari ci troveranno altri reparti, ma questo no.

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I due fratelli  

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Ci stanno cercando dalla parte opposta.

Non possono certo pensare che siamo così pazzi di inoltrarci ancora di più nel

territorio controllato da loro.

Pensano certamente che stiamo scappando verso le nostre linee.

A piedi però non riusciamo a fare molta strada.

Dobbiamo nasconderci e passare per sentieri impervi, inadatti al passaggio del-

le truppe.

E dormiamo pochissimo e sempre con un occhio solo.

I bombardamenti sono incessanti.

Si sentono in lontananza i colpi di cannone e dalla parte opposta i bagliori delle

esplosioni.

Camminiamo tutta la notte senza fare brutti incontri.

La fortuna gira anche un po' dalla nostra parte.

Era ora.

Ma ho parlato troppo presto.

Davanti a noi una radura piuttosto estesa.

A est ricomincia la vegetazione fitta.

C'è una foresta laggiù e si trova più o meno nel posto dove è caduto Jack.

Ma bisogna arrivarci.

E' ancora buio, ma tra una mezzoretta cominceranno ad arrivare le prime luci

dell'alba.

Sto pensando di aspettare che arrivi di nuovo la sera per attraversare la radu-

ra.

Prendo il binocolo e guardo all'orizzonte.

Truppe tedesche.

Andiamo bene.

Cerchiamo un riparo e aspettiamo che passino, speriamo senza vederci.

Al diavolo.

Vedo nel binocolo un tedesco che sta guardando verso di noi.

Ha un binocolo anche lui.

Ci ha visti.

Stanno avanzando e fra un paio d'ore saranno qui.

Torniamo indietro facendo un largo giro ficcandoci il più possibile in mezzo alla

boscaglia.

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Letizia  

82  

Una pattuglia però ha visto la nostra manovra e viene verso di noi con un paio

di mezzi corazzati.

Sono maledettamente più veloci di noi.

Dovremo dar battaglia.

Cerco un posto favorevole per noi e preparo armi e munizioni.

Frank fa altrettanto.

Non sono ancora a tiro.

Ma io ho il mio winchester a canna modificata.

Comincio a sparare.

Ora non sparo più per ferire.

One shot, one dead.

Sparo prima ai conducenti dei mezzi che sbandano e si capovolgono.

Nella confusione che segue, continuo a sparare.

I tedeschi non si aspettavano una simile reazione.

Credevano di essere fuori tiro.

Si mettono al riparo, ma c'è sempre qualche buontempone che sporge la testa

per vedere.

C'era.

Ricarico in fretta, ma per noi c'è una sorpresa.

I tedeschi hanno montato una mitragliatrice e cominciano a grandinare proiet-

tili.

«Sta' giù, Frank.»

Cambio posizione e sporgo leggermente la testa per rendermi conto della si-

tuazione.

Un proiettile mi buca il mio bello Stetson quasi nuovo.

Sarà meglio che stia giù anch'io.

Quello che ho visto mi basta e avanza.

C'è una postazione con una mitragliatrice leggera e, ai due fianchi, soldati che

avanzano con circospezione.

E, come se non bastasse, la colonna di mezzi pesanti sta avanzando e ha quasi

raggiunto il manipolo che evidentemente era in avanscoperta.

La vedo brutta, molto brutta.

Sono troppi.

Non è possibile che finisca così.

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I due fratelli  

83  

Non ho trovato Jack, ho portato a morire con me un ragazzo, e mia madre

perderà due figli invece di uno.

E Sara... i bambini...

No, dannazione. No.

Non finirà così.

Non deve finire così.

Mi alzo di scatto e sparo un colpo di fucile.

Uno solo.

Il soldato che sparava con la mitragliatrice cade all'indietro.

Le dita serrate sul pulsante di sparo non allentano la presa.

Continua a sparare disordinatamente e colpisce più di un commilitone.

I tedeschi hanno un attimo di smarrimento e si gettano a terra.

Scavalco i massi dietro ai quali sta ancora Frank rannicchiato e corro verso il

nemico.

Quando finisco i colpi del winchester sono abbastanza vicino per usare le colt.

Non sono veloce come Jack a sparare, ma me la cavo.

Ho ancora due colpi in canna quando intorno a me non ci sono che cadaveri.

Mi avvicino alla mitragliatrice e la giro verso la colonna che è ormai vicinissima.

Frank ci mette poco a rendersi conto di quel che è successo e corre da me per

darmi una mano con la mitragliera.

Comincio a sparare mentre Frank mi tiene il nastro dei proiettili e lo cambia

quando finisce.

Ma sono troppi, non ce la posso fare.

Sparo senza pensare mentre i proiettili ci fischiano accanto.

E poi il miracolo che nessuno si aspettava.

La radura è scossa da numerose esplosioni.

Sono i cannoni anglo-francesi.

Scommetto che c'è lo zampino di Billy The Kid che sta' guidando dall'alto del

suo aereo il tiro dei cannoni.

Ma il bello è che ci siamo anche noi in mezzo ed è facile essere colpiti dal fuoco

amico.

Non hanno ancora inventato i cannoni intelligenti che colpiscono solo quello

che devono colpire.

E sono certo che non li inventeranno mai.

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Letizia  

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«Vieni, Frank. Alziamo le tende. Qui c'è troppo rumore per i miei gusti.»

Ma non c'è bisogno di consigli.

Ci dirigiamo in fretta verso la boscaglia da cui siamo venuti.

Stavolta, con l'aiuto del Cielo, ce la siamo cavata.

Mamma, Sara... tornerò da voi e porterò mio fratello con me.

E' una promessa che manterrò.

Quando siamo un po' più tranquilli, do un'occhiata alla mappa e, aiutato anche

da Frank che conosce abbastanza la zona, cerco una via alternativa.

Facendo un largo giro e impiegandoci due o tre giorni di più, dovremmo essere

nella zona in cui è caduto Jack.

Un paio di giorni dopo, sentiamo il rumore di aerei sopra di noi.

E' uno solo ed è rosso.

E' lui, è il maledetto che ha abbattuto mio fratello.

Pierce me l'ha detto: il suo aereo è inconfondibile, tre piani alari rosso vermi-

glio.

Di quel colore c'è solo lui.

E sembra che ci abbia visto.

Siamo in un piccolo spiazzo aperto in mezzo a un bosco.

Si dirige verso di noi in picchiata e comincia a sparare.

Schizziamo al riparo come due gatti selvatici.

Ah sì, fai la voce grossa, eh?

Dopo la prima picchiata, si rialza e sta per fare un ampio giro per ritornare.

Ce l'ha proprio con noi, il bastardo.

Alzo il mirino del mio winchester e prendo con calma la mira.

Non aspetto che si metta in posizione.

Non gli permetterò di sparare neanche un colpo.

Vuoto velocemente il caricatore.

Ma non è lo stelo immobile di una banderuola su un campanile.

E' un aereo e il maledetto si muore troppo velocemente.

Ma i miei colpi non sono andati tutti a vuoto.

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I due fratelli  

85  

Qualcuno ha colpito la fusoliera perché ho visto che l'aereo ha avuto un sob-

balzo.

Lo vediamo poi riprendere quota e fare quindi un'ampia virata.

Se ne va.

Forse ha ritenuto che non valesse la pena perdere l'aereo, e la vita, per un

bersaglio così poco importante.

Buon per lui.

«Incredibile, sir. Ha colpito un aereo in picchiata. Non credevo fosse possibile.»

«Ma non l'ho buttato giù, Frank. Quel maledetto se n'è andato.»

«Era il Barone Rosso, sa? E quello che...»

«Lo so, Frank. E' stato lui ad abbattere Jack.»

«E' un tizio maledettamente in gamba. Mi dispiace ammetterlo per un nemico,

ma è davvero bravo. Ha abbattuto parecchi dei nostri aerei.»

«Già. Ho saputo.»

A me dispiace solo di non essere riuscito a buttarlo giù.

Ma le mie priorità sono altre.

Devo trovare Jack, tenerci tutti e tre la pelle cucita addosso e ritornare nelle

nostre linee.

Non sarà facile.

Arriviamo senza intoppi in quella stramaledetta foresta dove spero di trovare

quel matto di mio fratello.

La giriamo in largo e in lungo per quasi una settimana, ma sembra deserta.

Niente tedeschi - e questo mi fa dannatamente piacere - ma purtroppo niente

Jack.

Lancio frequentemente il grido dell'aquila reale, anche di giorno, ma niente da

fare.

«Frank, taci e sta' giù. Ho sentito un rumore.»

«Un rumore? Dove? Io non ho sentito nulla.»

«Taci.»

Una pattuglia di tedeschi sta venendo verso di noi.

Non sono in molti e potrei aver ragione di loro molto facilmente, ma non mi va

di farmi sentire.

Potrebbero esserci altre pattuglie intorno e oggi stranamente non si sentono le

solite cannonate.

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Letizia  

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Sono vicinissimi a noi e tra qualche minuto ci vedranno.

Non possiamo muoverci perché saremmo scoperti subito.

Impugno le due colt.

Così sarò più veloce che con il mio winchester.

Ancora pochi metri.

Ma sento un rumore, dietro i tedeschi, come di un sasso che rotola.

Anche loro lo sentono e cambiano direzione per andare a vedere cos'era.

Camminano con circospezione temendo un agguato.

Mi rannicchio con Frank nel mio buco e aspetto.

Il rumore dei passi dei tedeschi si fa sempre più debole.

Se ne stanno andando.

Evidentemente, dopo essersi accertati che probabilmente il rumore era stato

causato da qualche animale, hanno proseguito per un'altra pista.

Non avevano motivo di ritornare verso di noi.

Una pista vale l'altra.

Aspettiamo più di un'ora prima di muoverci.

Ed è allora che lo sento.

«Eagle, vecchio furfante. Lo sapevo che eri tu.»

E' la sua voce inconfondibile, il suo tono strafottente e, maledizione non ha an-

cora imparato, continua a chiamarmi Eagle.

«Jack, testa matta. Alla fine ti ho trovato.»

Sta lì davanti a noi, armato fino ai denti con tre o quattro bombe a mano tede-

sche che gli pendono dai cinturoni.

Solo lui era in grado di arrivarmi alle spalle senza che me ne accorgessi.

E' più silenzioso di un mocassino.

Scommetto che è stato lui a distogliere da noi l'attenzione dei tedeschi.

Ha lanciato un sasso nella direzione opposta.

«Ciao, fratellone. Ciao, Frank. Ci sei anche tu, vedo.»

Frank tra un po' ci rimane secco.

Mi avvicino a lui e lo stringo forte a me.

E anche lui si stringe a me.

«Mi fai vedere quelle bombe?» gli chiedo appena ci stacchiamo.

«Certo, tieni.»

Stacca il grappolo di bombe dalla cintura e me le porge.

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I due fratelli  

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Le prendo, le guardo con noncuranza e le do a Frank.

E poi un bel destro secco nella mascella di Jack che cade al suolo a gambe

all'aria.

«Sai, non volevo che ti facessi del male con tutti quei gingillini. Sarebbero po-

tuti esplodere.»

«Non volevi che mi facessi male, eh?» risponde ironicamente tastandosi la ma-

scella con la sinistra.

«Ma me lo merito.»

«Jack, sei tu. Non avrei mai creduto di ritrovarti, e sano e salvo. Sono quasi tre

mesi.»

Frank si è ripreso dalla doppia sorpresa.

Anche lo sganassone a mio fratello lo ha stupito.

«Già. non è stato facile. Ma come mai hai seguito mio fratello? Anzi, strano che

te l'abbia permesso.»

«Il colonnello infatti non voleva. Ma se voleva evitare di portarmi con sé, dove-

va uccidermi.»

«Colonnello? Ti hanno fatto colonnello? Ma dai. Proprio tu. I militari non ti sono

mai andati a genio e ora, ora sei addirittura un alto ufficiale.»

Ride.

«I gradi mi sono serviti. Mi hanno tutti trattato con i guanti. Se fossi stato solo

un semplice borghese, non ce l'avrei fatta ad arrivare fin qui.»

«Non ci credo. Quando ti metti in testa una cosa, nessuno ti può fermare.»

«Uhm... Sarebbe stato molto più difficile però.»

«Lo sapevo che eri tu. Stamattina all'alba ho sentito il richiamo dell'aquila rea-

le. Qui non ce ne sono. Quindi, anche se mi sembrava impossibile, potevi esse-

re solo tu. Sei venuto a cercarmi.»

«A cercarti e riportarti a casa. Sai, sei il figlio di un pezzo grosso che ha delle

conoscenze alla Casa Bianca.»

«Come?»

«Sì. Il generale York, nella lettera di raccomandazione che mi ha dato citava

proprio così: portare in salvo il figlio di un pezzo grosso americano, uno che ha

conoscenze alla Casa Bianca.»

«Ma dai.»

«Verissimo. Giuro.»

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Letizia  

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Scoppia in una risata fragorosa.

«Che hai da ridere. Lo sai anche tu che papà conosce di persona il presidente

Wilson.»

«Certo, ma sentirti dire che pa' è un pezzo grosso americano... Lo sai che papà

non ci tiene. Ha anche rifiutato la candidatura a governatore. E sai anche tu

che ce l'avrebbe fatta.»

«Lo so.»

«Come stanno tutti? Papà, la mamma...»

Sono davvero arrabbiato.

«Come stanno? Come sta la mamma? Brutto pazzo che non sei altro. Non lo

sai come stanno?»

Sto urlando.

«Lo sai cosa ha fatto la mamma quando è arrivata la notizia dell'abbattimento

del tuo aereo? Non l'avevo mai vista piangere prima di allora. Neanche per lo

zio. Lo sai?»

«La mamma... ha pianto?»

«Sì, testa di legno. Per non parlare poi di Sara. Lo sai che ti vuole bene. E per

non parlare di quando sono partito. Si sentiva già vedova, dannazione.»

«Io... io... non volevo... non sapevo...»

«Cosa? Non volevi cosa? Cosa non sapevi? Non andavi a fare una scampagnata

con la tua bella.»

«Betty. E... Betty come sta?»

«Non lo so.»

Mi sto calmando.

«Non lo so. Non l'ho più vista da quando l'hai lasciata. Ma la mamma è andata

dai Morgan parecchie volte. Sono sicuro che le avrà chiesto di te.»

«Betty. Beth...»

Vedo che soffre per la pazzia che ha commesso.

Credo che se potesse tornare indietro non rifarebbe lo stesso errore.

«Non l'ho lasciata io. Mi ha lasciato lei.»

«Ma a chi vuoi darla a intendere, Jack? Non ci credi neanche tu. Sei tu che l'hai

lasciata. Lei ti ama ancora e non si sarebbe mai allontanata da te. Sei tu che

l'hai costretta. La colpa è tutta tua.»

Forse sono stato troppo duro, ma era ora che qualcuno gliele cantasse.

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I due fratelli  

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E poi, a dire il vero, era un po' che gli volevo mollare quel cazzotto.

Mi sono sfogato abbastanza.

«Ma ora basta. Ce ne torniamo indietro.»

«Indietro? E dove?»

«Nelle nostre linee. Al campo del comandante Pierce c'è pronto il tuo congedo.

Ce ne torniamo in America.»

«Ma sei matto? Sono chilometri e chilometri da fare. E ci sono migliaia di tede-

schi armati fino ai denti. Senza contare le cannonate dei nostri.»

«E cosa vorresti fare? Rimanere qui? Io e Frank ci siamo già passati e ci ripas-

seremo tutti e tre.»

Jack ha molte cose da raccontarmi e anch'io ne devo raccontare molte a lui.

«Sai, fratellone. Quando quell'aereo rosso mi ha colpito, non è riuscito a farmi

neanche un graffio, solo una gran botta nello stomaco che mi ha fatto quasi

svenire. Ma nessuna ferita».

«Sì, lo so.»

«Lo sapevi? E come facevi a saperlo?»

«Sai, Jack. Il colonnello ci ha detto subito, a me e a Willy, che tu eri vivo. An-

che se non ci ha detto come lo sapeva.»

«Già. Come lo sapevi?»

«Il vecchio indiano. E anch'io "sentivo" che eri ancora vivo. Ricordi quando sei

stato attaccato dal grizzly? Io ero a miglia di distanza ma sentivo che eri in pe-

ricolo. C'è qualcosa che ci lega. Qualcosa di più del fatto di essere fratelli.»

«Il vecchio indiano? Perché non me ne stupisco? Avrei dovuto immaginarlo.»

«Ha avuto una visione proprio quando sono entrato in biblioteca e ho visto la

mamma piangere. Il grande Spirito gli ha fatto "vedere" la scena di quando sei

stato abbattuto. Ti ha visto atterrare incolume.»

Frank mi guarda come se fossi scappato da un manicomio.

Scommetto che sta pensando: e questo era sicuro che il fratello era vivo solo

perché gliel'ha detto un vecchio indiano che ha parlato con il Grande Spirito?

Magari pensa che anche lui, come me, deve essere un po' matto.

Ma non è così.

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Letizia  

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Ho assistito a cose che sono molto difficili a credere siano veramente accadute.

«La mamma ha pianto veramente per me? E anche la tua Sara?»

«Te ne meravigli?»

Tace.

Poi gli racconto tutto quello che mi è successo, a partire dal generale York, gli

racconto di Pierce, di quella testa matta di Frank e di tutto quello che abbiamo

dovuto sopportare.

«Sai che tuo fratello ha fatto fuori più di cinquanta tedeschi?» gli racconta

Frank.

«Più o meno» aggiungo.

«E non ti credere che ora dorma tranquillo, sai.»

«Anch'io non riesco più a dormire bene da quando ho ucciso per la prima vol-

ta.»

«Lo so. Ho letto le tue lettere.»

E lui mi racconta di sé e di come abbia dovuto nascondersi per sfuggire ai te-

deschi che gli davano la caccia perché avevano trovato i resti del suo aereo.

«Pensa come dovevano essere neri quando l'hanno trovato. La fusoliera zeppa

di aerei disegnati li deve aver fatti arrabbiare non poco.»

«Già. Erano come le tacche sul calcio della pistola di un killer professionista.»

Poi racconta di come si fosse costruito arco e frecce per andare a caccia senza

usare le armi da fuoco, per non farsi sentire.

E' stato praticamente circondato da un battaglione tedesco che gli ha impedito

di andarsene da lì.

Si nascondeva e rimaneva rintanato di giorno e di notte usciva solo per caccia-

re animali selvatici, lepri per lo più.

E anche per cucinare, cosa che faceva solo di giorno, usava mille attenzioni per

non farsi scoprire.

Jack sa accendere un fuoco, invisibile anche a tre metri, meglio di un indiano.

E non lascia mai tracce di cenere o altro.

Solo da due o tre giorni i tedeschi hanno levato le tende e se ne sono andati.

E ci ha incontrati.

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I due fratelli  

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Sono passate tre settimane e incredibilmente non abbiamo incontrato molte

noie.

Solo un paio di volte abbiamo dovuto dar battaglia, ma niente di preoccupante.

E ora abbiamo anche una mitragliatrice leggera e una decina di nastri.

E poi ora c'è anche Jack.

Frank sarà anche un bravo ragazzo ma non è per niente un tiratore come noi

due.

Jack invece è quasi meglio di me.

Ora sono molto più tranquillo.

Inoltre non dovremmo essere molto lontani dalle linee anglo-francesi.

Le giornate in questa stagione non sono come da noi.

Le notti sono più corte.

Dipende dalla latitudine.

Quindi siamo costretti a muoverci anche nelle ore di luce.

Se ben ricordo non dovrebbe mancare molto alle nostre linee.

Ci dovremmo essere al massimo in un paio di giorni.

Ormai sta facendo buio.

Ci fermiamo per mangiare qualcosa.

Tra un paio d'ore riprenderemo il nostro viaggio.

«Papà ti ha mai raccontato, quando eri piccolo, di quel capo indiano che ha

guidato la rivolta contro gli uomini bianchi?»

«Quale capo indiano, Jack?»

«Non lo so. Un tipo strano che ha combattuto e ha sconfitto l'esercito nono-

stante gli howitzer.»

«Howitzer? Sei sicuro? Non mi risulta che sia mai successa una cosa del gene-

re. Gli indiani, se si esclude l'episodio di Custer, hanno avuto sempre la peggio

contro i soldati.»

«Così mi raccontava papà quando ero piccolo. Poi da grande ho cercato nei libri

di storia qualcosa del genere, ma non ho mai trovato nulla, Eagle.»

«Ma la pianti di chiamarmi con quel nome?»

Stavolta sono davvero arrabbiato.

«Il mio nome è Tex. Lo sai benissimo.»

«Certo che lo so, ma...»

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Letizia  

92  

Lo interrompo.

«Il mio nome è Tex Willer, come il nonno.»

«Sì, ma il tuo nome navajo è Aquila Nera, come il nonno. Più o meno.»

«E allora chiamami Black Eagle, ma non Eagle e basta.»

«Ma anche papà chiama Luna la mamma. E più corto e più intimo. E anche lei

lo chiama Falco e non Falco Nero. E anche il mio nome navajo è Falco nero,

come papà. Quindi...»

«Sei incorreggibile. E poi tu non hai un nome indiano. Quando sei nato, la

mamma avrebbe voluto chiamarti Kit, come lo zio di papà. Ma poi c'era già pa'

con quel nome e quindi ti ha chiamato Tiger Jack, come il vecchio indiano.

Quindi è quello il tuo nome indiano e non Falco Nero.»

«Il mio nome completo è Tiger Jack?»

«Non lo sapevi?»

«No. Tutti mi hanno sempre chiamato solo Jack. E anche nei miei documenti

c'è scritto solo Jack.»

«Ebbene, te lo dico io, allora. Il tuo nome è Jack Willer e il tuo nome navajo è

Tiger Jack. Contento?»

«Per la miseria.»

Frank sta ascoltando divertito il nostro battibecco, quando sento un lieve ru-

more, quasi impercettibile.

«Tutti zitti.»

«Ho sentito, Tex.»

Strano non mi ha chiamato Eagle.

Che sia rinsavito tutto di un colpo?

Ma la mia attenzione è rivolta tutta verso la fonte di quel rumore.

Nel giro di dieci minuti il rumore si fa più forte.

E' un convoglio nemico.

Lo osservo con il binocolo e poi guardo anche nei paraggi.

Diavolo.

E' già buio, ma riesco a vedere qualcosa che si muove all'orizzonte.

Non riesco a distinguere bene.

Ma poi mi domando: se sono truppe tedesche, perché non si fanno avanti e si

congiungono con il loro convoglio?

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I due fratelli  

93  

Invece pare che se ne stiano nascosti, come se fossero... per la miseria, come

se fossero in agguato.

Sta' a vedere che sono truppe anglo-francesi.

Il fronte dovrebbe essere più a ovest, ma è passato molto tempo e può essere

benissimo che si sia spostato.

Se è così le nostre pene stanno per finire.

Staremo a vedere.

Jack intanto sta armeggiando insieme a Frank intorno alla mitragliatrice.

La sta sistemando in una posizione ottimale.

Molto bene.

«Jack, laggiù all'orizzonte. Potrebbero esserci delle truppe alleate. Da' un'oc-

chiata.»

Gli passo il binocolo.

Lui osserva attentamente e poi lo passa a Frank.

«Non si capisce bene, sir. E' buio e sono troppo lontani e ben nascosti.»

«Già» gli fa eco Jack.

«Però» continua, «si tengono nascosti. Perché?»

«E' quello che ho pensato anch'io, Jack. Sembrano in agguato.»

La conferma che sono nostri soldati arriva quasi subito.

Dall’orizzonte partono salve di cannone.

Deve essere artiglieria leggera.

C’è un grande scompiglio tra le fila tedesche, però ci mettono poco a organiz-

zarsi.

Anche loro hanno dei cannoni leggeri che mettono brevemente in posizione,

ma la nostra artiglieria crea dei grossi vuoti tra di loro.

Vediamo saltare in aria due o tre mezzi pesanti e anche qualche cannone.

E' l’inferno.

«Evviva, gliele stiamo suonando.»

«Calma, Jack. Calma piccolo scalmanato. Non siamo ancora fuori dai guai.»

Odio aver sempre ragione.

I tedeschi, incalzati dai nostri soldati, arretrano e si dirigono verso noi tre.

«Che dici, fratello? Gliela diamo una scaldata?»

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Letizia  

94  

Jack tiene il pollice sul pulsante di sparo della mitragliatrice e, mentre Frank gli

tiene il nastro dei proiettili pronto a ricaricare, mi sta praticamente chiedendo il

permesso di sparare.

E’ proprio cambiato.

«Forza, ragazzi. Dateci dentro.»

I tedeschi, presi di sorpresa, cadono sotto i colpi di Jack come marionette cui

abbiano tagliato i fili.

Non siamo però ancora in salvo.

I tedeschi si avvicinano pericolosamente.

Non so quanti ne butto giù con il mio winchester.

Sento un lamento e vedo Frank cadere.

Ha una macchia rossa nella camicia, nella parte destra del petto.

«Frank» urlo.

«Non è nulla, sir. E’ solo una piccola ferita. Non si preoccupi.»

Jack smette di sparare per prestargli soccorso.

«Continua a sparare, Jack. Penso io a lui.»

«No, ce la faccio, sir. Non badi a me, continui a sparare anche lei.»

«Non dire idiozie, Frank» ribatto.

Gli do una rapida occhiata.

Per fortuna il proiettile è entrato e uscito.

Devo solo fermare l’emorragia.

Ma i tedeschi non ci danno tregua e devo interrompermi spesso per dare una

mano a Jack.

Sono così vicini che posso usare le pistole.

Chiedo a Frank se è in grado di togliere la polvere da sparo a un paio di proiet-

tili.

«Sì, certo, sir. Ma cosa vuol fare?»

Gli rispondo mentre continuo a sparare.

«Strappati la camicia e versa la polvere da sparo sulla ferita sul petto. Io poi

penserò al foro di uscita nella schiena.»

«Certo, sir. Però continuo a non capire.»

Si vede che non conosce gli usi e costumi del West americano.

Mentre continuo a sparare lui fa quello che gli ho chiesto.

Non sospetta niente, poveraccio.

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I due fratelli  

95  

Meglio così.

Prima che Frank si renda conto di quello che sto facendo, accosto velocemente

la colt alla sua ferita ed esplodo un colpo.

Le scintille prodotte incendiano la polvere cauterizzando la ferita.

Il povero Frank sviene dal dolore.

Meglio così.

Ora devo ripetere l'operazione nella schiena e non sentirà altro dolore.

Mi devo interrompere spesso.

I tedeschi si fanno troppo sotto, incalzati dalle truppe anglo-francesi.

Alla fine ci riesco e finalmente il sangue non esce più.

Ora posso dedicarmi completamente a dare una mano a Jack che nel frattempo

ha finito i nastri e usa anche lui le colt.

Intorno a noi i tedeschi cominciano a diminuire di numero e alcuni si stanno già

arrendendo alle nostre truppe.

Era ora, finalmente.

E' stata una carneficina e non è stato per niente piacevole.

«Sembra che ce l'abbiamo fatta, Tex» mi dice mentre si avvicina verso di me.

«Pare proprio di sì, Jack.»

Non faccio quasi in tempo a vedere Jack rabbuiarsi in viso, estrarre e sparare.

Ma i colpi che sento sono due.

E sento un dolore lancinante alla schiena.

Le ultime parole che sento sono: «Tex. Mio Dio. Tex. Non morire, Tex. Non

morire. Ti prego.»

Poi più nulla.

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Letizia  

96  

La mano dipinta

E' stata una giornata orribile.

A pranzo eravamo pochissimi.

Con me c'erano solo papà, Tiger e Luna.

Sara è rimasta in città e i bambini sono stati tutto il giorno con Mamie.

Hanno pranzato con lei in cucina.

Ora stanno facendo la merenda.

E Jack... Jack non si è fatto vedere.

Forse siamo stati un po' duri con lui, ma se l'è ampiamente meritato.

Chissà ora dove diavolo si è ficcato.

Luna oggi non ha detto neanche una parola.

E' in pensiero per lui.

"Sarà voluto restare un po' in solitudine, a riordinarsi le idee. E' naturale" le ho

detto per rincuorarla un po'.

Ma senza risultato.

Vedere la mia Luna così triste mi fa star male.

Mi concentro tutto sul lavoro.

Al ranch ce n'è sempre tanto.

Sono al recinto dei cavalli dove papà, che sta arrotolandosi una sigaretta, è se-

duto sulla staccionata.

«Sicuramente è andato nella riserva.»

Immerso nei miei pensieri, ho sentito a malapena le parole di papà.

«Come?»

«Jack. E' andato ad ovest. Scommetto che è diretto verso il Grand Canyon.»

«Può essere.»

«No. Sicuramente è così.»

«E tu come fai a saperlo, pa'?»

«L'ho visto partire, a fine mattinata. Era diretto a ovest. Va a vistare il Canyon.

Non c'è mai stato.»

«Potevi dirlo prima.»

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I due fratelli  

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«Cosa sarebbe cambiato? E poi prima non potevo immaginare che non sarebbe

venuto a pranzo. Pensavo a un ritardo. Lo faceva spesso prima.»

Prima.

Prima che partisse per questa maledetta guerra.

«Se a cena non si è fatto ancora vedere, domattina partiamo a cercarlo. Io, tu

e Tiger. Come ai vecchi tempi.»

«Pa', stai parlando di trenta e più anni fa. Non sei più un ragazzino e nemmeno

Tiger lo è. Vado da solo.»

«Stai pensando che ti rallenteremo, vero? Che siamo troppo vecchi. Possiamo

dare dei punti a tanti nostri cowboy.»

«Sicuramente. Ma non certo a me. Mi rallentereste.»

«Puoi avere bisogno di noi.»

«No.»

«Potrebbe capitarti qualcosa e noi ti aiuteremo.»

«Cosa vuoi che accada? Che mi caschi un meteorite sulla testa?»

«Ci sono ancora dei puma da quelle parti. Sei occhi vedono meglio di due.»

«Non credo proprio. Considerata la vista che vi ritrovate, tutti e due.»

«E' inutile che insisti. E poi non siamo noi che veniamo con te, sei tu che vieni

con noi.»

Questa poi.

Ma tutto questo discorso è stato inutile perché sapevo benissimo che non lo

avrei convinto.

Testa dura.

«Ricordi quella volta che eravamo a caccia del puma? Quella volta che sono

stato catturato dagli Hualpai? 3»

«Pa', cosa vai a tirar fuori adesso? Sono passati tanti di quegli anni...»

«Sembra ieri.»

Nell'ombra di mio padre un velo di nostalgia.

«Ah, se ci fosse ancora il vecchio cammello. Tutti e quattro insieme, come ai

bei tempi...»

«Pa', lo zio Kit aveva quasi novant'anni. Una bella età per andarsene, non tro-

vi?»

                                                            3 Vedere "L'Aquila contro la Tigre", il primo romanzo della trilogia "I Navajo"

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Letizia  

98  

Era meglio che stavo zitto.

«Certo che se ci fosse Junior al nostro posto, tu saresti molto più tranquillo,

vero?»

«Pa', smettila. Lo sai che Tex è...»

«Lo so. Lo so. Era solo una considerazione.»

Luna sta arrivando al recinto insieme a Tiger.

«Falco, non sarebbe il caso che tu andassi a cercare Jack?»

«Io vengo con te, Kit. E credo che anche Aquila della Notte...»

«Partiremo domattina tutti e tre.»

«Forse è meglio che partiamo adesso, papà. Dirò a Sam di prepararci i cavalli,

Luna ci preparerà delle provviste e io...»

«E' tutto già pronto, Kit. Cavalli, cibo e acqua, coperte, munizioni... Tutto quel-

lo che ci potrà servire.»

«Tutto pronto, eh? Hai pensato proprio a tutto, Tiger.»

«Non a tutto. Alle provviste ha pensato Luna d'Argento.»

Sam si sta avvicinando con sei cavalli, tre dei quali portano il nostro equipag-

giamento.

Tiger ha proprio pensato a tutto.

E ha previsto che non staremo via solo un paio di giorni.

Ma Jack ha non più di otto ore di vantaggio.

Spero che lo troveremo prima.

Un lungo bacio a Luna e poi in sella.

Tex, Tiger Jack e Kit Willer sono sul sentiero di caccia.

E così i tre pard partono insieme ancora una volta, ma questa volta non per

dar la caccia al criminale di turno.

Questa volta cercano una persona cara.

Luna d'Argento li guarda sparire all'orizzonte, con il disco rosso del sole che sta

tramontando e che fa da contorno alle loro sagome nere.

Quando non li vede più, si dirige verso casa.

Da est vede arrivare l'automobile che riporta Sara dalla città.

Sara e...

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I due fratelli  

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Corre verso di loro.

«Tex, oh Tex. Mio piccolo Tex» singhiozza quando arriva all'automobile che sta

fermandosi.

«Ciao, mamma» rispondono all'unisono.

E Sara aggiunge: «Mica tanto piccolo. E' alto un metro e novanta.»

«Ma è sempre il mio piccolo. Il mio bambino.»

E singhiozza ancora di più.

«Mamma dai, non fare così. Fai piangere anche me. Sono un po' malconcio,

ma sono ancora vivo.»

«Lo sai, mamma? Il governo gli ha messo a disposizione un intero vagone del

treno. Un vagone attrezzatissimo con tanto di letto e persino un medico e due

infermiere.»

«Sì. E le infermiere non erano niente male.»

«Oh, Tex. Sei incorreggibile. Sei mezzo morto e hai ancora voglia di scherza-

re.»

«Mezzo morto un corno. Sono solo un po' malconcio. Ed ho una fame da lupo.

Non vedo l'ora di essere a tavola con tutti voi. Papà, il nonno, il vecchio Tiger.

E i bambini. Non vedo l'ora di riabbracciare Charlie e Thomas.»

«Tex.»

Luna d'Argento si fa scura in volto.

«Che c'è, ma'? Dov'è Jack? E papà? Dove sono tutti?»

«Tex, Jack se n'è andato verso ovest. Papà, il nonno e Tiger sono partiti

mezz'ora fa per andare a cercarlo.»

«Jack se n'è andato? Ma perché? Cosa è successo?»

«Vieni. Andiamo a casa. Ti racconterò. Sam e Gordon ti aiuteranno.»

Portare Tex a casa non è impresa facile.

Non è in grado di camminare da solo e pesa novanta chili.

Sam e Gordon faticano non poco, ma alla fine Tex è disteso in una comodissi-

ma poltrona nella biblioteca.

Tex ascolta attentamente sua madre che gli racconta tutto, da quando Jack è

arrivato fino al momento in cui lui e Sara sono arrivati.

«Questa mattina è andato a trovare Elisabeth» termina.

«E lei non deve essere stata troppo tenera con lui. E neanche noi lo siamo sta-

ti.»

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Letizia  

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«Già. Pensavo che Jack fosse molto più forte. Ma la guerra deve averlo cam-

biato molto. Ha visto, abbiamo visto troppi orrori.»

«Potevi venire anche tu, con lui, ieri. Forse Jack sarebbe ancora qui.»

«Mamma, non puoi darmi la colpa di questo, ora.»

«Oh, Tex. Non ti sto dando la colpa di niente. E solo che... che...»

E scoppia di nuovo a piangere.

«Mamma, ti prego. Non fare così.»

«Non ti preoccupare. Mi è passato. Vedrai, tuo padre tornerà con Jack e tutto

tornerà come prima.»

«Ma certo, mamma.»

Ma Tex non è molto convinto di quello che ha detto.

Oh, certo.

Jack tornerà a casa, ma niente sarà come prima.

Tex ha troppi morti sulla coscienza.

E Jack non è da meno.

I due fratelli hanno portato a casa la pelle, è vero.

Tex guarirà dalla ferita e col tempo ritornerà ancora a domare cavalli selvaggi.

Ma ci sono ferite che non si rimarginano.

Mamie arriva con i bambini che corrono strillando verso il loro padre che non

vedono da troppo tempo.

«Papà, papà.»

«Papà sei tornato.»

«Cosa hai fatto? Perché sei bendato?»

«Papà è stato ferito dai cattivi. E' molto stanco. Lasciatelo riposare, da bravi.

Su, venite qui.»

«Lasciameli ancora un po', Mamie. Ho bisogno di stare un po' con loro. Ho bi-

sogno di sentire le loro grida d'allegria.»

E li abbraccia.

Sente delle fitte al petto, ma il dolore è compensato enormemente dalla gioia

che prova nell'abbracciare i suoi figli.

I suoi figli che per poco non avrebbero più visto il loro padre.

Tex si lascia sfuggire un leggero lamento.

«Ora però basta, bambini. Salutate papà e poi di corsa su con Mamie.»

«Sì, mamma.»

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I due fratelli  

101  

«Ciao, papà.»

I bambini danno un bacio al padre e poi spariscono con Mamie.

«Ma ora tu. Tocca a te raccontare. Chissà quante cose avrai da raccontarci.»

Luna d'Argento forse non è molto interessata a sentire parlare della guerra.

I suoi figli sono entrambi vivi, è questo che importa.

Null'altro.

Però pensa che parlarne non possa che fare bene al figlio.

E Tex racconta.

Racconta del viaggio, dell'Inghilterra, del suo volo verso la Francia.

Racconta del comandante Pierce e della sua gentilezza, degli amici di Jack.

Racconta di Frank e di come lo abbia aiutato nella sua ricerca.

Omette fino a quanto sia possibile tutti gli orrori, la morte e la distruzione cui

ha assistito.

E tace anche sul numero dei nemici che ha dovuto uccidere.

Racconta fino a quando ha sentito il colpo che qualche tedesco ferito è riuscito

a sparargli nella schiena prima di venire ucciso da Jack.

«Frank poi ho saputo che se l'è cavata. Gli alleati erano vicinissimi e ci hanno

portato in salvo tutti e due.»

Riprende fiato.

Ne ha bisogno.

«Poi più nulla. Mi sono svegliato due giorni dopo in un ospedale francese e so-

no rimasto lì fino a quando non sono stato giudicato in grado di viaggiare. Un

sacco di tempo in realtà. E Jack è sempre stato lì con me. Mangiava lì con me e

dormiva su una sedia che doveva essere scomodissima. Ma i letti erano tutti

occupati. Troppi soldati che ne avevano bisogno. E molti non ce l'hanno fatta.»

Si interrompe mentre una lacrima gli scende sulla guancia.

«Ora basta» lo interrompe Luna d'Argento.

Si avvicina a lui e gli asciuga la lacrima con un bacio.

«Vado a preparare da mangiare. Mamie è con i bambini. Penso io alla cena.»

«Ci penso io, mamma.»

«No, Sara. Rimani qui con Tex. Faccio in un attimo.»

«Non ho fame, mamma. Mi è passato completamente l'appetito.»

«Ma a me no. E poi, storie. Non ci credo per niente. Scommetto che mangerai

un bisonte intero.»

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Letizia  

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Sparisce in cucina.

Lui rimane lì con Sara, mano nella mano.

Come quando erano fidanzati.

Mille anni fa.

Quando la madre ritorna con un vassoio fumante, non si ricorda nemmeno di

aver detto di non aver fame.

Fa sparire tutto in quattro e quattr'otto.

Due giorni dopo, i tre pard sono ancora sulle tracce di Jack.

Sembra instancabile.

Cavalca giorno e notte e si ferma solo ogni tanto per far riposare i cavalli.

«E' molto probabile che dorma a cavallo.»

«Tuo padre ha ragione, Kit. A quest'ora lo dovremmo aver già raggiunto. Ci

siamo fermati pochissimo.»

«Uhm. Forse è il caso di fare segnali di fumo. Se qualcuno l'ha visto ci rispon-

derà.»

«Buona idea, figliolo. Però non vorrei che Jack li vedesse e decidesse di na-

scondersi. Non sa che lo stiamo seguendo.»

«Jack è molto scaltro. Ci ha visti sicuramente e si nasconde.»

«Tanto peggio, Tiger. Tenteremo.»

«Ok, ragazzi. Io vado a cercare un po' di legna.»

«Papà è proprio matto. Ci ha chiamati ragazzi.»

Più tardi accendono il fuoco e, con l'aiuto di una coperta, mandano il messag-

gio.

"Falco Nero, il grande capo di tutta la nazione Navajo, figlio del grande capo

Aquila della Notte, è sul sentiero di caccia.

E' sulle tracce del suo giovane figlio Tiger Jack che ha con sé due mustang

pezzati.

Cercate le sue tracce e riferite."

«E ora si tratta solo di aspettare.»

«Preparo il caffè. Ne volete una tazza?»

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I due fratelli  

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«Buona idea, Tiger» risponde Kit mentre il vecchio Tex si arrotola una sigaret-

ta.

I tre si concedono un po' di meritato riposo intorno ad un fuoco.

Sta cominciando a farsi sera e il calore del giorno comincia a diminuire.

All'orizzonte ben presto arriva la risposta.

Due colonne di fumo ravvicinate parlano a loro.

"Il giovane Navajo Mano Dipinta è stato visto vicino al posto chiamato Due

Denti.

Una decina di Navajo stanno dirigendosi là per avvisarlo che suo padre, il

grande capo Falco Nero, lo sta cercando."

Kit si fa scuro in volto.

«Mano dipinta?» chiede Tex incuriosito. «Cos'è questa storia della mano dipin-

ta?»

Kit sta per rispondere, anche se non sa ancora bene cosa dire, ma Tiger lo pre-

cede.

«Mano di Sangue4 è il nome del grande guerriero che ha guidato il popolo Na-

vajo contro le Giacche Azzurre.»

Kit impallidisce.

«E tu come lo sai?»

«Io ero al suo fianco nella grande battaglia in cui lo vidi per l'ultima volta.»

«Ehi, ma di cosa state cianciando voi due?»

«E' una lunga storia, papà. Non l'ho raccontata a nessuno, neanche a Luna. Ne

ho solo accennato qualcosa a Jack quando era molto piccolo, come se fosse

una favola.»

«Io conosco quella storia. La conosco molto bene.»

«Perché non me ne hai mai parlato, Tiger?»

«Non era una buona cosa. Meglio tacere. E poi non sapevo se tu ricordavi. Tuo

padre e Carson non ricordavano nulla.»

«Ma di che accidenti parlate? Cosa non ricordavamo?»

«Pa', te la racconterò strada facendo. Ma ora dobbiamo correre verso i Due

Denti. Devo assolutamente trovare Jack prima che faccia qualche pazzia.»

Kit getta il caffè sul fuoco e balza su uno dei suoi cavalli.

                                                            4 Vedere "L'urlo del Falco", il terzo romanzo della trilogia "I Navajo"

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Letizia  

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Parte al galoppo trascinandosi dietro l'altro.

Tiger lo imita subito dopo e Tex rimane un attimo sbigottito prima di seguire i

suoi pard.

«Ma che diavolo gli piglia a quei due?»

Elisabeth sta arrivando al galoppo al ranch dei Willer.

Ha saputo che Jack se n'è andato via da casa.

Lascia il suo cavallo dinanzi alla casa.

Entra nel salone e vede Mamie sulle scale che tiene per mano i bambini.

«Zia Betty, zia Betty» gridano in coro Charlie e Thomas.

«Ciao, Mamie. Dov'è la signora Willer?»

«E' in biblioteca con il signor Tex e Sara.»

«Grazie, Mamie.»

Si precipita in biblioteca dove trova Tex seduto su una poltrona e Sara che gli

sta cambiando le fasciature.

Luna d'Argento non c'è.

E' di là in cucina che sta preparando qualcosa da mangiare.

«Buongiorno, signor Willer. Signora.»

«Oh ciao, Elisabeth. Vieni, siediti.»

«Signor Willer, Jack...»

«Non preoccuparti, Elisabeth. Jack tornerà presto, vedrai. Ha soltanto bisogno

di starsene un po' da solo. Devono rimarginarsi parecchie ferite.»

«E' ferito? Sta male ? Come...»

«No no. Le sue ferite non sono fisiche. Dal quel lato sta benissimo. Certamente

meglio di me.»

«Sono una stupida e una maleducata. Mi perdoni, signore. Non le ho neanche

chiesto come sta.»

«Oh, non ti preoccupare. Sei in pensiero per Jack, è evidente. Ma ti ripeto, non

temere. Tornerà presto. E' molto cambiato, sai? Ha sofferto molto. Ha visto co-

se atroci in Europa. E si è reso conto di tutta la sofferenza che ha causato agli

altri.»

Si interrompe un attimo.

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I due fratelli  

105  

«E anche a te.»

«E' per colpa mia che se n'è andato.»

«No Elisabeth. Non è colpa di nessuno.»

«Io... io l'ho trattato male. Io... gli ho detto che non avrei mai più amato nes-

suno e neanche lui. Ma non è vero... non è vero. Io lo amo ancora, Lo amo an-

che più di prima. E adesso che ho saputo che se n'è andato via, mi sento mori-

re...»

«Elisabeth, bambina cara.»

Si volta e vede la madre del suo Jack.

Le corre incontro e la abbraccia piangendo.

«Non piangere, bambina mia, non piangere. Il nostro Jack ritornerà a casa. Mio

marito è andato a cercarlo con suo padre e Tiger. Quei tre sono dei mastini.

Non hanno mai abbandonato una traccia. E non hanno mai fallito. Torneranno

con Jack, vedrai.»

«Ma il nonno e l'indiano sono molto vecchi. Non ce la faranno mai a star dietro

a Jack. Lui è giovane e molto forte e...»

La voce di Tex la interrompe.

«Non vorrei essere nei tuoi panni se il nonno ti sente dire che è vecchio. E an-

che Tiger. Scommetto che i tuoi bei capelli starebbero molto bene appesi alla

sua cintura.»

Ride.

E un cenno di un sorriso appare anche sul viso rigato dalle lacrime di Elisabeth.

«Ma adesso basta. E tu, Elisabeth, è ovvio che rimani a pranzo da noi.»

Il tono di Luna d'Argento è perentorio, di quelli che non ammettono rifiuti.

«E poi ti farà bene giocare un po' con i bambini. Sai che ti vogliono bene. Ti

chiamano già "zia Betty". Manderò uno dei ragazzi da tua madre per avvisarla

che ti fermi da noi.»

Si avvicina poi al figlio.

«Come stai, tesoro? Come va la tua ferita?»

«Molto meglio, ma'. E' stata una fortuna che la pallottola non abbia leso organi

vitali. E' stata fermata da una scapola che si è solo incrinata un po'. Ma ora,

quando muovo il braccio destro, non mi fa più male come prima.»

«E la ferita alla schiena è già un pezzo che non sanguina più. Ci rimarrà solo la

cicatrice» aggiunge Sara.

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Letizia  

106  

«Bene. Molto bene. E allora tutti a tavola. E' pronto. Sara, tu va' a chiamare

Mamie con i bambini.»

«Ma è una storia assurda.»

«Eppure è vera, pa'. E Tiger te lo ha già confermato. Conosce dei particolari

che può sapere solo chi l'ha vissuta personalmente.»

«Così è.»

«Cioè vorreste venire a dirmi che Luna d'Argento è stata uccisa e che poi è re-

suscitata? Che tu, Tiger, ti sei preso una fucilata e che sei passato a miglior vi-

ta? E che poi anche tu sei stato miracolato?»

«No, papà. Le cose non stanno così.»

«E come stanno allora?»

«Quando stavo tornando a quello che era stato il villaggio di Orso Macchiato

per piangere l'ultima volta sulla tomba della mia Luna, dopo quasi un anno...»

«Vuoi dire che questa storia è durata un anno?»

«Quasi, pa'. Vi ho visti da lontano venire verso di me. Tu e lo zio Kit. Credevo

voleste convincermi e fermare l'assurdo genocidio del popolo navajo.»

Un lungo silenzio.

«Ebbene?»

«Ebbene, è successo qualcosa di molto strano, qualcosa che non riesco a capi-

re neanche adesso. Eppure ci penso molto spesso.»

«Cosa? Cosa è successo, diamine.»

Il vecchio Tex comincia a spazientirsi.

E' ovvio che non crede una parola di quello che ha sentito.

«E' successo che mi sono ritrovato indietro nel tempo. Prima del matrimonio.

Tiger era ancora vivo. Cioè non era mai morto. Tu e lo zio stavate venendo al

villaggio per la cerimonia. E soprattutto Luna, la mia Luna, la mia promessa

sposa, era ancora viva. Ma io avevo ancora addosso le ferite ricevute in decine

di battaglie. Avevo ancora la mano dipinta sul mio petto, disegnata con il mio

sangue e con quello dei miei nemici. Mi chiamavano "Mano di Sangue".»

«E' assurdo. Non è possibile.»

«Eppure è la verità, papà. E c'è di più.»

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I due fratelli  

107  

«Cosa, dannazione? Cosa c'è ancora oltre tutto questo? Cosa può esserci di

più?»

«Ho visto la mamma.»

«Cosa?»

«Sì, papà. Ho visto la mamma, il suo spirito. Portava al collo una collana di

turchesi con una stella azzurra al centro. Credo di lapislazzuli.»

Tex sbianca in viso, incapace di parlare.

«E' stata Lilyth. Con l'aiuto dello sciamano Te-Hi-Nak» aggiunge Tiger.

«Come... come fai a sapere della collana? Tu non gliel'hai mai vista. Non puoi

averla vista. Gliel'ho regalata io prima che tu nascessi. La pietra di lapislazzuli

l'avevo intagliata io a forma di stella. Lei non l'ha mai messa. Diceva che era

troppo preziosa per lei per poterla mettere. E quando lei... se n'è andata, la

collana è stata sepolta con lei.»

«Infatti non gliela avevo mai vista, pa'. Quando ho visto lo spirito della mam-

ma, era la prima volta che vedevo la collana.»

Un lungo attimo e i tre tacciono.

«Sai, pa'? La mamma mi ha sorriso. Era bellissima. Come la mia Luna. E' stato

il giorno delle nozze. E mi ha baciato sulla fronte5.»

E ora il vecchio Tex non è più tanto sicuro che suo figlio Kit sia poi così pazzo.

Forse comincia a pensare che quella storia di un anno vissuto due volte non sia

poi così tanto assurda.

Ha visto troppe cose soprannaturali nella sua lunga vita e poi, a dire vero, una

volta ha visto anche lui lo spirito della sua dolce Lilyth6.

Quando arrivano a poche miglia dai Due Denti, intravedono una figura.

Kit prende il binocolo dalla tasca della sella e guarda.

Suo figlio Jack è in piedi, immobile accanto alle rocce.

Li sta aspettando.

E' a torso nudo e porta nel petto il simbolo di una mano dipinta con l'argilla.

In lontananza un gruppo di indiani a cavallo.

                                                            5 Vedere il finale del romanzo "L'urlo del Falco" 6 Vedere "La luce nelle tenebre", il secondo romanzo della trilogia "I Navajo"

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Letizia  

108  

Sono certamente gli stessi che hanno risposto ai loro segnali di fumo.

Segnali che sicuramente ha visto anche Jack.

Arrivano e scendono da cavallo tutti e tre senza dire una parola.

Anche Jack tace.

Gli indiani sono ancora lontani.

Arriveranno tra qualche minuto.

«Come ti sei conciato, Jack?»

«Mi sono dipinto una mano rossa nel petto, padre. Come il guerriero di cui mi

hai raccontato.»

Andiamo bene.

Lo ha chiamato padre, come aveva fatto lui stesso quando suo padre era anda-

to a convincerlo a desistere dalla sua pazzia di combattere i soldati.

La storia si ripete.

Ma per Jack ci potrà essere un'alternativa?

Potrà tornare indietro e fare in modo che tutto torni come un anno fa?

Jack che non parte per la guerra, suo fratello che non è costretto ad andare a

cercarlo...

Troppo bello per essere vero.

«La mano che avevo io sul petto non era dipinta, come la tua, con della terra

rossa. Era dipinta con il mio sangue e con quello dei miei nemici.»

«Tu? Eri tu quel guerriero, pa'? Ma non è possibile. Il nonno non mi ha mai

raccontato storie del genere. E poi mi sono documentato. Non ci sono più state

guerre tra i Navajo e i soldati, da quando tu non eri ancora nato. E poi solo e-

pisodi che il nonno ha saputo evitare che si trasformassero in tragedia7.»

Kit allora si apre la camicia e scopre il suo petto mostrando le numerose ferite

ricevute durante la sua guerra indiana che per fortuna però "non c'è mai sta-

ta".

«E queste cosa sarebbero? Secondo te come me le sarei fatte? Andando a pe-

sca con tuo fratello?»

Jack tace.

«E ora, lavati quell'assurdo disegno sul petto e andiamocene a casa.»

«No, padre.»

                                                            7 Vedere l'episodio di Tex "Sangue navajo"

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I due fratelli  

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«Non dire stupidaggini, Jack» risponde Kit mentre si avvicina al figlio.

Ma Jack arretra di un paio di passi ed estrae una delle due colt, puntandola

verso il padre.

«Stai indietro, papà. Ti prego stai indietro.»

Non lo ha chiamato "padre", lo ha chiamato "papà".

La risposta di Kit viene con voce tonante.

«Cosa vuoi fare, Jack? Vuoi sparare a tuo padre?»

Si avvicina ancora di più mentre il figlio arretra ancora.

Nel frattempo arrivano i Navajo.

«Ti prego, pa'. Stai indietro.»

Ma Kit si avvicina ancora e, prima che Jack possa reagire in qualche modo, af-

ferra la canna della colt con la sinistra e la sposta verso lato.

Poi gli sferra un destro tremendo che lo fa rotolare a terra.

I Navajo fanno per impugnare le armi.

«No, fermi» grida Jack passandosi il dorso della mano sulla bocca.

«Come? Come osi tu dare ordini ai miei Navajo? E vuoi, cuccioli di coyote, co-

me osate impugnare le armi di fronte a Falco Nero, capo supremo di tutto il

popolo navajo?»

La voce di Kit piena di collera intimorisce i giovani indiani.

Ma Tex e Tiger Jack portano istintivamente le dita sul grilletto.

«Non sono un cucciolo di coyote. Sono il grande guerriero Kid Coltello Giallo e

sono venuto con i miei prodi per unirmi a Mano Dipinta.»

«Cosa ne sai tu di Mano Dipinta, ragazzino?»

«Io so che Mano Dipinta è un grande guerriero che ha guidato i Navajo alla vit-

toria contro le Giacche Azzurre.»

Diavolo, ma questa storia la conoscono proprio tutti?

«I Navajo vivono in pace con l'uomo bianco da prima che nascesse tuo padre,

cucciolo. Chi ti ha raccontato queste menzogne?»

«Non sono menzogne. Lo ha raccontato a mio nonno un grande sciamano che

era presente alla battaglia della vittoria del nostro popolo.»

«Un grande sciamano? E chi è costui?»

«E' il grande Te-Hi-Nak. Lo sciamano del grande capo Freccia Rossa.»

Il volto di Kit si fa sempre più scuro.

Te-Hi-Nak?

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Letizia  

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Possibile che lo sciamano sia andato in giro a raccontare della guerra navajo

contro i soldati?

Kit lo vide l'ultima volta quando celebrò le sue nozze con Luna d'Argento.

Anche Tex impallidisce.

Si ricorda dello sciamano che ha celebrato il matrimonio del figlio e di come

fosse rimasto sorpreso nel venire a sapere che il suo nome era lo stesso dello

sciamano che aveva spostato lui e Lilyth.

Il giovane navajo prosegue: «Noi riconosciamo in te il grande capo Falco Nero,

ma adesso vogliamo seguire Mano Dipinta. Lui è un vero Navajo. Tu ora vivi

nella tua grande casa come un bianco e non ti occupi più del popolo rosso.»

«Come come?»

Kit è furente.

«Il popolo navajo non è mai stato così bene. Da quando il grande capo Aquila

della Notte mi ha passato il comando della nazione, mi sono fatto in quattro

per il mio popolo.»

«Il grande capo Aquila della Notte non c'è più. Ora è solo leggenda.»

«Un corno. Aquila della Notte sono io.»

Se si dovesse fare una gara a chi è più "incavolato", non so chi la vincerebbe

tra il padre e il figlio.

E, se devo proprio dire, anche Tiger è terribilmente nervoso e il suo dito si con-

trae sempre più sul grilletto del suo winchester.

«E sono anche convinto che debba essere mio figlio Falco Nero a darti una le-

zione, giovanotto. E questa è la tua fortuna perché io avrei usato il tuo brutto

muso per spazzolare il terreno fino a far sparire tutta la polvere.»

«Tu... tu...» balbetta il giovane navajo «tu sei il grande Aquila della Notte?»

«Così pare.»

E Kit incalza: «Il popolo navajo è diventato ricco. Ho usato parte dell'oro della

montagna sacra per portare il benessere. Ho acquistato tutte le terre della ri-

serva che ora il governo di Washington non può più togliere ai Navajo. Ci sono

delle carte che non possono essere ignorate come quelle dei trattati con gli al-

tri popoli rossi. I Navajo hanno un benessere che non ha eguali tra gli uomini

rossi. I Dakota, i Cheyenne, gli Apache... sono quasi scomparsi. Solo i Navajo

crescono e diventano sempre più forti.»

«Ed è con questa forza che sconfiggeremo gli occhi bianchi.»

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I due fratelli  

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«La forza da sola non conta niente. La forza senza la saggezza è soltanto stolta

ferocia. E la saggezza dice che le guerre non portano a niente. E poi, ricordalo

bene. La grande casa bianca in cui vivo con la mia sposa e la mia famiglia è

stata costruita solo con il nostro denaro. Neanche un mattone è stato comprato

con l'oro dei Navajo. Il denaro ci è stato donato dal governo per tutti i servigi

che abbiamo reso loro, al servizio della legge e della giustizia.»

«Giustizia dei bianchi.»

«Non c'è colore nella giustizia.»

«Mano Dipinta ha difeso i Navajo meglio di te. E ora tuo figlio ha raccolto la

sua eredità. Ora è lui Mano Dipinta, il nostro capo.»

Kit ha stranamente ripreso la sua solita calma.

Si toglie la camicia che aveva già aperta e afferra il suo coltello.

E' lo stesso bowie che ha da quando era ragazzo, quello che gli ha regalato il

padre.

E' un vecchio coltello ma è sempre lucido e affilato che sembra nuovo.

E taglia come un rasoio.

Si passa la lama sul petto e intinge le dita sul filo di sangue che esce dalla feri-

ta.

Si preme poi la mano insanguinata sul petto su cui spicca ora una mano rossa.

«Io sono Mano di Sangue.»

Tutti i presenti ammutoliscono.

«Tornate alla vostra tribù, ora. E non riferite ad alcuno ciò che avete visto e

udito oggi. E se qualcuno vi chiede qualcosa, dite che lo spirito di Mano di San-

gue veglierà sempre sul grande popolo navajo e chiederà al gran Dio Manito

che mantenga la pace tra gli occhi bianchi e i Diné.»

Il Kid abbassa gli occhi e poi salta in sella al suo mustang.

«Andiamo» ordina ai suoi uomini.

I Navajo si allontanano in fretta.

Kit prende una borraccia dalla sella del cavallo e la lancia a suo figlio.

«E adesso lavati quell'assurda macchia di fango nel petto.»

Jack afferra la borraccia al volo e in breve si toglie l'argilla dal petto.

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Letizia  

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Lancia poi la borraccia al padre.

«Lavati la ferita, pa'. Sta continuando a sanguinare.»

«Non preoccuparti. Il taglio è superficiale e sottilissimo. Il mio coltello è più af-

filato di un rasoio e la mia mano è stata molto leggera» risponde Kit cancellan-

do la mano dal suo petto.

«Bravi. Adesso che siete puliti e profumati, togliamo le tende e torniamocene a

casa.»

«No, nonno. Andate voi. Io non vengo. Non posso tornare.»

Kit comincia ad arrabbiarsi sul serio.

«Jack. Mi sto stancando. Ora tu vieni a casa con noi. E non una parola con la

mamma su questa storia di Mano di Sangue. E anche voi, giovanotti, acqua in

bocca.»

«Grazie per i "giovanotti", Kit.»

«Papà non posso tornare a casa. Cosa vengo a fare? La mia vita è distrutta. Ho

quasi causato la morte di mio fratello, ho fatto soffrire tutte le persone che mi

vogliono bene, Elisabeth non mi vuole più vedere. E ho parecchi morti sulla co-

scienza. Non ti sembrano motivi sufficienti per desiderare di stare solo?»

«Già, hai ragione. Che ci torni a fare a casa? In fondo che frega alla mamma di

te? E a tuo fratello? In fondo ha rischiato solo la vita per venire a cercarti e

portarti a casa sano e salvo. A lui che gliene frega? Sara, i bambini, Mamie, i

cowboy, tutti quanti. Non frega a tutti un bel niente di te.»

«Hai dimenticato Elisabeth, pa'. Per non parlare di te.»

«No. Non ho dimenticato. A me invece frega. E son convinto anche a Elisa-

beth.»

«Pa'...»

«Sei un gran egoista, Jack. Non pensi a tutte le persone che ti vogliono bene, e

non ci hai mai pensato. Non pensi che loro hanno ancora bisogno di te.»

«No, pa'. Loro hanno bisogno di Jack. Ma Jack non c'è più. E' rimasto a Verdun.

Quello che è tornato non è lui. Ed è meglio che sparisca prima che qualcuno se

ne accorga.»

«E allora vai. Dirò a tua madre che sei morto. Non è questo che stai dicendo?

Jack è morto in Europa. Quello che è tornato è un impostore. Mentirò a tua

madre. Le dirò che per sfuggirmi sei caduto in un dirupo e ti sei sfracellato tra

le rocce.»

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I due fratelli

113 

«No, papà. Non farlo. Ti prego.»

«E perché no?»

Jack tace.

Lentamente sale in sella al suo pezzato, prende le redini del suo secondo

mustang e comincia ad allontanarsi.

Suo padre, suo nonno e il vecchio Tiger lo guardano ammutoliti.

«Torna a casa, Jack.»

La voce femminile alle sue spalle lo fa fermare.

Una voce dolcissima.

Jack si volta stupito.

E la vede.

E' una giovane navajo bellissima che gli ripete: «Torna a casa, Jack.»

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Letizia 

114 

La giovane navajo

E questa da dove è spuntata?

Prima non c'era, ne sono sicurissimo.

Oltre a me c'erano solo papà, il nonno e il vecchio Tiger.

Che sono ancora là e mi stanno guardando.

Questa ragazza non c'era.

E' bellissima nella sua candida veste di daino e la sua voce è giunta alle mie

orecchie come una musica dolcissima.

Chi sarà mai?

«Chi sei, ragazza? E come sei arrivata qui? Conosci il mio nome. Ci siamo mai

visti prima?»

L'ultima domanda è un po' sciocca perché se l'avessi già vista, mi ricorderei

senz'altro di lei.

«Tu sei Tiger Jack. Tua madre è Luna d'Argento, figlia del capo Orso Macchia-

to. E tuo padre è Piccolo Falco, figlio del grande capo Aquila della Notte.»

Conosce anche i miei genitori, a quanto pare.

«Il nome di mio padre non è Piccolo Falco, ma Falco Nero, capo di tutta la na-

zione navajo.»

«No. Il nome che gli è stato dato alla nascita è Piccolo Falco. Quello è il suo

nome. Gli sono poi stati dati altri nomi: Kit, Falco Nero, Mano di Sangue. Ma il

suo nome è Piccolo Falco.»

Accidenti, ma chi è questa ragazza che sa così tante cose di papà?

Sa anche di Mano di Sangue.

Io perbacco l'ho saputo solo ora.

«Chi sei tu dunque, che conosci così tante cose di mio padre e di me? E perché

mi chiedi di tornare a casa?»

«Tua madre ti sta aspettando in ansia.»

Dannazione, non mi ha ancora detto il suo nome.

«Mia madre sta aspettando suo figlio Jack. Sta aspettando un figlio che non e-

siste più. Ora al suo posto ci sono io e io non sono più il figlio che lei amava.»

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I due fratelli

115 

«Tu sei il figlio che ora lei ama. E anche Beth ti ama.»

Mannaggia, conosce anche Beth.

E l'ha chiamata Beth come la chiamo solo io.

Tutti gli altri, compresa sua madre, la chiamano Elisabeth.

«Beth non mi ama più. Mi ha lasciato.»

Poi mi correggo.

«L'ho lasciata.»

«Beth ti sta aspettando. In questo momento è da tua madre e sta piangendo

per te.»

«Come puoi dirlo? Beth non vuole più vedermi.»

«Questo è quello che pensi tu. Lei ora ti sta chiamando per nome e sta pre-

gando affinché tu ritorni da lei.»

«Mi stai prendendo in giro. Lei non mi ha perdonato. Non vuole più...»

«Lei si sta asciugando le lacrime con il fazzoletto azzurro di seta. Quello che le

hai donato tu il giorno che l'hai baciata per la prima volta.»

«Tu... tu... come fai a sapere queste cose? Lo sappiamo solo io e Beth. Anche

gli altri sanno che è un mio regalo, ma nessuno sa in che occasione gliel'ho re-

galato.»

«Io c'ero.»

«Tu c'eri? Ma cosa stai dicendo?»

«Eravate nel vostro bosco, l'Arora. Io ero lì che vegliavo su di voi.»

La guardo come inebetito.

«Ero lì a vegliare su di te, come ero presente in Francia a proteggere te e tuo

fratello Tex.»

«Tu... tu... Ma chi sei?»

«Jack. Credo che sia l'ora di smetterla.»

E' la voce di mio padre che sembra venire dall'oltretomba.

Non mi ero accorto che lui e i due "giovanotti" si stavano avvicinando a me.

«Ora ce ne torniamo a casa. Con le buone o con le cattive. Io ti ci vorrei porta-

re tutto intero, ma se mi obblighi... Ho già chiesto a Tiger, nel caso in cui ce ne

fosse bisogno, di costruirmi un bel travois.»

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Letizia  

116  

Strano che non abbia detto una sola parola su questa misteriosa ragazza che...

Noto solo ora che non c'è più.

Ma dove cavolo si è cacciata?

«Sai, nel caso in cui tu non sia più in grado di cavalcare, dopo che avrò con-

sumato i miei stivali sul tuo sedere.»

Non afferro una sola parola di quello che dice.

«Pa', non l'hai vista quella ragazza navajo che parlava con me?»

«Ragazza? Quale ragazza? Senti se è un tuo maldestro tentativo di...»

«La ragazza navajo. Quella ragazza bellissima che...»

«Stai a sentire, Jack. Ora sto perdendo la pazienza...»

Vedo il nonno che mi sta guardando come se fossi un elefante verde.

Tiger invece mi sta guardando con un'espressione impenetrabile.

Non ho mai capito cosa gli frulla in quella testa.

«Papà, vuoi dire che non hai visto la ragazza indiana? Tu non l'hai vista, non-

no? E tu, Tiger?»

«Senti nessuno ha visto nessunissima ragazza per la semplice ragione che

"non c'era" nessuna ragazza. Ti sta dando di volta il cervello?»

«No, papà. Ti assicuro. C'era eccome. E'... è comparsa come dal nulla e io...»

«Senti, Jack. Andiamo a casa. Ne riparleremo. Magari dopo che ti sarai fatto

una bella dormita. Scommetto che sei stanco morto.»

«Papà, lo so che mi credi pazzo. Ma io l'ho vista. Le ho parlato. Mi ha detto del-

le cose...»

«Che diavolo ti ha detto?»

Credo che pa' stia perdendo la pazienza.

Loro non l'hanno vista davvero.

Ma lei c'era e mi ha detto cose che nessuno poteva sapere.

«Lei ti conosce, pa'. Conosce il nonno, la mamma. Conosce anche Beth e sa

delle cose di noi che nessuno poteva sapere.»

«In nome del cielo, Jack. Cosa hai fatto a Elisabeth?»

«Beth? Ma no, papà. Cosa hai capito? Io e Beth... oh insomma, non l'ho mai

toccata neanche con un dito.»

«Ah. Bene.»

E aggiunge: «Hai davvero visto questa ragazza?»

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I due fratelli

117 

«Sì, papà. Era una giovane ragazza navajo. Era bellissima nella sua veste di

daino in cui spiccava la sua collana di turchesi con quella sua strana pietra.»

«Quale pietra?»

Papà e il nonno sono sbiancati in viso.

«Cosa avete voi due? Non vi sentite bene? Sarà meglio che ce ne andiamo su-

bito a casa. Tutti e quattro. Ne abbiamo tutti un gran bisogno. Ho avuto

una notizia meravigliosa: Beth mi ama. Mi ha perdonato e mi sta aspettando.»

«Quale pietra?» insiste papà.

E ci si mette anche il nonno ora: «Quale pietra, Jack?»

Ma che cavolo hanno tutti e due?

«Una pietra stranissima. Un lapislazzulo credo. Una pietra che aveva una stra-

na forma.»

«Che forma aveva, Jack? Che forma aveva?»

Ma perché la cosa è così importante per loro?

«La forma di una stella, papà.»  

FINE

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Letizia  

118  

I dieci Comandamenti degli Indiani d’America

La Terra è la nostra Madre, abbi cura di Lei.

Onora e rispetta tutti i tuoi parenti.

Apri il tuo cuore ed il tuo spirito al Grande Spirito.

Tutta la vita è sacra, tratta tutti gli esseri con rispetto.

Prendi dalla Terra solo ciò che è necessario e niente di più.

Fai ciò che bisogna fare per il bene di tutti.

Ringrazia costantemente il Grande Spirito per ogni giorno nuovo.

Devi dire sempre la verità, ma soltanto per il bene degli altri.

Segui i ritmi della natura, alzati e ritirati con il sole.

Gioisci nel viaggio della vita senza lasciare orme.

Preghiera Sioux

Rallenta il ritmo della mia vita, Signore.

Calma il battito del mio cuoreacquietando la mia vita.

Rallenta il mio passo frettolosocon una visione delle eterne distese del tempo.

Dammi in mezzo alla confusionela calma stabilità della montagna millenaria.

Spezza la tensione dei miei muscolicon la serena musica del canto degli uccelli.

Aiutami a conoscereil magico potere del sonno.

Insegnami l’arte di prendermibrevi momenti di pausa,di rallentare il mio ritmo per osservare un fiore,accarezzare un animale,leggere un buon libro.

Ricordami ogni giornola favola della lepre e della tartarugaperché possa imparareche nelle corse non sempre vince chi va più velocee che nella vita si può fare qualche cosadi meglio che aumentare la propria velocità.

Fa che io alzi lo sguardo alla grande querciae sappia che essa è diventata grande e forteperché è cresciuta lentamente e bene.

Rallenta il ritmo della mia vita, o Signore,e ispirami ad affondare le mie radiciaffinché io pos-sa innalzarmiverso le stelle del mio più grande destino.

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