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“I COSTI”

PROF. MATTIA LETTIERI

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Università Telematica Pegaso I costi

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1. LE FUNZIONI DI COSTO --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

2. I COSTI DELL’IMPRESA NEL BREVE PERIODO ------------------------------------------------------------------ 5

3 I COSTI DELL’IMPRESA NEL LUNGO PERIODO ----------------------------------------------------------------- 10

4 LA DIFFERENZA TRA RICAVI TOTALI E COSTI TOTALI ---------------------------------------------------- 14

5 L’EGUAGLIANZA TRA RICAVI MARGINALI E COSTI MARGINALI -------------------------------------- 16

6 LA CURVA DI OFFERTA DELL’IMPRESA -------------------------------------------------------------------------- 18

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1. Le funzioni di costo

Per produrre l’imprenditore deve acquistare i fattori produttivi necessari, sostenendo, quindi,

i relativi costi.

Per poter realizzare la massimizzazione dei profitti, l’imprenditore, deve scegliere la combinazione

produttiva che gli consente di produrre la massima quantità di output al più basso costo possibile.

Il costo viene distinto, dalla teoria economica in:

Costo contabile;

Costo economico.

Nel costo contabile entrano tutte, e solo, le spese effettivamente sostenute dall’impresa per

l’acquisto dei fattori produttivi: salari pagati ai dipendenti, l’affitto e l’assicurazione dello

stabilimento, il costo delle materie prime necessarie alla produzione, gli interessi pagati sul capitale

preso in prestito.

Il costo economico comprende, invece, oltre alle spese effettive anche i costi impliciti. Nelle

decisioni economiche, infatti, riveste un ruolo fondamentale il costo-opportunità.

Uno dei principi economici fondamentali è che le risorse sono scarse, e ogni volta che si decide in

quale misura destinare una risorsa, si rinuncia alla possibilità di utilizzarla per scopi alternativi.

Il costo-opportunità è esattamente il valore del bene o del servizio a cui si rinuncia ogni volta che si

attua una scelta.

Nella teoria della produzione i costi-opportunità si ricollegano ai fattori produttivi che

l’imprenditore possiede e impiega direttamente nella propria impresa. Nell’esempio della

produzione del grano, se l’imprenditore agricolo è anche il proprietario del terreno che coltiva, il

costo opportunità è il ricavo che potrebbe realizzare qualora affittasse l’appezzamento di terreno ad

un altro agricoltore anziché utilizzarlo direttamente per la coltivazione di grano.

Nei costi opportunità rientra anche il tempo che l’imprenditore dedica per organizzare la produzione

e che, invece, potrebbe offrire a qualche altra impresa in cambio di una remunerazione.

Tutti questi costi rientrano nel costo economico, ma se non comportano almeno un costo esplicito,

non vengono computati dal punto di vista contabile.

L’imprenditore impegna il proprio tempo nell’organizzazione dell’attività produttiva,

investe capitali, così facendo rinuncia all’opportunità di destinare lavoro e capitale per impieghi

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alternativi. L’imprenditore sostiene costi opportunità che entrano nella determinazione dei costi

economici.

L’insieme di tutti i costi opportunità viene definito con il termine di profitto normale, ovvero

il reddito che l’imprenditore ricava dalla sua attività.

Il profitto economico è la differenza tra costi totali e ricavi totali. Questo profitto è indicato

come extra-profitto, ed è ciò che resta del ricavo totale all’imprenditore dopo che egli ha

remunerato tutti i fattori produttivi, incluso il lavoro e il capitale da lui stesso prestato.

Quando si parla, quindi, di massimizzazione del profitto, non ci si riferisce al profitto

normale ma al profitto economico o extra-profitto.

Gli extra-profitti potrebbero essere nulli quando i ricavi sono esattamente uguali ai costi, ma

potrebbero anche essere che i ricavi siano inferiori ai costi, in tal caso l’imprenditore non realizza

extra-profitti ma subisce una perdita.

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2. I costi dell’impresa nel breve periodo

Nel breve periodo i costi dell’impresa possono essere distinti in:

Costi fissi totali;

Costi variabili totali.

Costi fissi totali sono i costi complessivi che l’impresa sostiene per i fattori produttivi fissi,

come ad esempio, l’affitto dello stabilimento, il leasing degli impianti e dei macchinari, le

assicurazioni. Questi costi non cambiano qualunque sia il livello di produzione dell’impresa, anche

quando lo stabilimento è chiuso e gli impianti non funzionano. Questi costi devono essere

comunque sostenuti dall’impresa.

I costi variabili totali sono quei costi che l’impresa sostiene per i fattori produttivi variabili:

materie prime impiegate nella produzione; l’energia necessaria a far funzionare gli impianti; il

salario dei lavoratori addetti alla produzione. Questi costi variano in relazione alla quantità

prodotta, per cui tanto maggiore è la produzione tanto superiore sarà anche il tempo di attività degli

impianti e quindi l’energia necessaria al loro funzionamento, l’impiego di manodopera e del

personale addetto, tanto più elevati saranno i costi totali necessari a remunerare questi fattori

variabili.

I costi totali (CT) che l’impresa sostiene nel breve periodo sono pari alla somma dei costi

fisi totali (CFT) e dei costi variabili totali (CVT):

costi totali = costi fissi totali + costi variabili totali

CT = CFT + CVT

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Figura n. 30

I costi fissi totali (CFT) sono indipendenti dal livello di produzione dell’impresa dal punto di

vista grafico sono pertanto rappresentabili con una retta parallela all’asse delle ascisse, la cui

intercetta è pari all’ammontare del costo fisso totale.

Qualunque sia il livello di produzione i costi fissi non variano. (figura n. 30).

I costi variabili totali (CVT) dipendono dalla quantità prodotta dall’impresa.

Sono pari a zero se la produzione è nulla, la funzione parte dall’origine degli assi, e crescono al

crescere dell’output, più lentamente all’inizio dell’origine degli assi. Crescono al crescere

dell’output più lentamente all’inizio come indicato dal grafico, figura n. 30, e più rapidamente oltre

un certo livello.

I costi totali sono la somma fra costi fissi e costi variabili, l’andamento di questa funzione è

simile alla funzione di CVT. Si differenzia dalla CVT solo perché l’intercetta, anziché partire

0 1 6

Costi

2 3 4 5 7

200

400

600

800

1000 1200

1400 1600

1800 2000

2200

2400 2600

Quantità

prodotta

CT = CFT + CVT

CFT

CVT

CFT

= CFT

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dall’origine, si trova in corrispondenza di un valore pari all’ammontare dei costi fissi totali. La

distanza tra CT e CVT è sempre la stessa qualunque sia il livello di output.

Il costo medio totale (CMT) è il costo totale (CT) diviso la produzione totale (PT).

Il costo totale (CT) è la somma dei costi fissi totali (CFT) e dei costi variabili totali (CVT):

CT = CFT + CVT

PT PT PT

Costo medio = costo medio + costo medio

Totale fisso variabile

CMT = CMF + CMV

Il costo marginale (CMg) indica come varia il costo totale quando l’impresa produce un’unità in

più:

costo marginale = variazione del costo totale

variazione della quantità prodotta

CMg = ΔCT

ΔPT

Quando varia la produzione variano solo i costi per i fattori produttivi variabili, nella

determinazione dei costi marginali non entrano i costi fissi.

Nella figura n. 31, vengono rappresentate le curve di costo medio e marginale.

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Figura n. 31

Osservando il lo andamento possiamo ricavare:

I costi medi fissi (CMF) hanno un peso via via minore al crescere della produzione;

Le funzioni di costo medio totale (CMT), di costo medio variabile (CMV) e di costo

marginale (CMg) hanno una forma ad U, diminuiscono al crescere della produzione,

raggiungono un punto minimo oltre il quale iniziano a crescere;

0 1 6

Costi

2 3 4 5 7

50

100

150

200

250 300

350 400

450 500

550

600

Quantità

prodotta

CMg

CMT

CMV

CMF

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I costi marginali diminuiscono e poi aumentano più in fretta rispetto ai costi medi;

La distanza tra le funzioni di CMT e di CMV è data dai costi medi fissi (CMF), per bassi

livelli produttivi questa distanza è elevata, mentre diventa sempre più piccola al crescere

della produzione;

La funzione di costo marginale (CMg) interseca le curve dei costi medi, totali e variabili, in

un punto in cui tali funzioni sono al loro livello minimo.

Le funzioni di costo assumono una forma ad U ed è legata alla legge dei rendimenti marginali

decrescenti.

Questa legge economica afferma che, nel breve periodo, la produttività di un fattore variabile è

dapprima crescente, raggiunge un livello massimo e poi è continuamente decrescente; tale

andamento si riflette sulla forma delle curve di prodotto medio e marginale.

Il passaggio dalle grandezze totali a quelle medie e infine a quelle marginali, consente

all’imprenditore di decidere quale può essere il livello produttivo ottimale, grazie alle informazioni,

sempre più dettagliate sull’andamento dei costi.

La ragione per cui la produzione è decrescente è legata alla presenza del fattore produttivo. In tali

situazioni l’imprenditore dovrà programmare i propri investimenti futuri, dovrà quindi porsi in

un’ottica di lungo periodo.

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3 I costi dell’impresa nel lungo periodo

Nel lungo periodo la distinzione tra costi fissi e costi variabili non esiste più perché tutti i

fattori sono variabili, poiché possono essere modificati dall’impresa in relazione alle sue aspettative,

presenti e future, sulle condizioni di mercato.

Nel caso in cui l’impresa prevede o spera in un aumento della domanda del bene che essa

produce, avrà interesse a modificare le proprie dimensioni per essere in grado di far fronte a tale

aumento di domanda, quindi di poter offrire un output maggiore.

Se i prezzi di un dato fattore produttivo impiegato nella produzione sono particolarmente

elevati, l’impresa cercherà di disporre di tecniche produttive e di impianti che permettano di ridurre

l’impiego del fattore produttivo più costoso.

L’imprenditore nel lungo periodo dovrà valutare quali tecniche produttive adottare e quale

livello di output risulterà più adeguato rispetto alle proprie previsioni e aspettative.

La combinazione di fattori ottimale è data, sovrapponendo gli isoquanti e gli isocosti, dal

punto in cui sono tangenti, al quale è associato il minimo costo.

Indichiamo le funzioni di costo di lungo periodo con la lettera L:

Il CMT L è il rapporto tra costi totali di lungo periodo e quantità prodotta;

Il CMg L misura di quanto aumenta il costo totale quando la produzione viene aumentata di

un’unità.

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Figura n. 32

Nella figura n. 32, sono rappresentate le funzioni di costo totale.

Nella figura n. 33, sono rappresentate le funzioni di costo medio e marginale nel lungo periodo.

0

CT

Quantità

prodotta

CT

(a)

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Figura n. 33

Nel lungo periodo i costi totali aumentano al crescere della quantità prodotta e le funzioni di

costo medio e marginale assumono ancora la forma ad U. Le ragioni di questo andamento sono

riconducibili alla presenza dei rendimenti di scala.

I rendimenti di scala indicano come varia l’output al variare di tutti gli input nella stessa

proporzione.

A ciascun impiego di fattori corrisponde anche un costo, la relazione tra rendimenti e costi è

evidente.

La relazione per il costo medio di lungo periodo (CM L):

Quando i rendimenti di scala sono crescenti, i costi medi sono decrescenti;

Quando i rendimenti di scala sono costanti anche i costi medi tendono ad essere costanti;

Quando i rendimenti di scala sono decrescenti, i costi medi sono crescenti.

0

CM

CMg

CMg

CML

Rendimenti

crescenti

Rendimenti

costanti

Rendimenti

decrescenti

Quantità

prodotta

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Nel primo tratto della curva fig. n. 33, poiché prevalgono rendimenti crescenti, i costi medi

diminuiscono al crescere della dimensione di impresa. Tendono a stabilizzarsi quando prevalgono

rendimenti costanti. Se le dimensioni di scala sono tali da generare rendimenti decrescenti i costi

medi aumentano gradualmente.

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4 La differenza tra ricavi totali e costi totali

Consideriamo l’ipotesi di un’impresa molto piccola che opera su un mercato in cui vi sono

tante altre imprese, altrettanto piccole, nessuna delle quali può decidere il prezzo di vendita del

bene.

Il prezzo viene definito dal mercato, dalle condizioni di domanda e di offerta complessive.

Il ricavo totale che l’impresa riuscirà a realizzare dipenderà allora dal prezzo di mercato, ̅ , oltre

che dalla quantità venduta (q):

RT = ̅ q

1 La funzione di ricavo totale è una retta crescente che parte dall’origine

degli assi (RT = 0 se q=0) con un coefficiente angolare, inclinazione,

pari a ̅.

Tanto più elevato è il prezzo di mercato tanto più ripida è la funzione di ricavo totale (figura n. 34).

Figura n. 34

0

(a)

q

RT

q

p

0 q

CT

q

0 q

RT

q

(b) (c)

CT

q

RT

q CT

q

perdite

profitti

CF

q

q1 q2

RT

q CT

q

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I costi totali hanno un’intercetta sull’asse verticale pari all’ammontare dei costi fissi e che

crescono al crescere della produzione, ma non in modo costante. Per la legge dei rendimenti

marginali decrescenti il loro aumento è più graduale per bassi livelli di output e più rapido oltre un

certo livello di produzione.

Per poter individuare la quantità di output che permetterà di realizzare il massimo profitto,

dobbiamo sovrapporre le due funzioni (figura n. 34, c).

Dal grafico, abbiamo che, se la produzione è inferiore a q1, i costi superano i ricavi e quindi

l’impresa è in perdita.

Una produzione superiore a q1 garantisce dei profitti in quanto i ricavi sono maggiori dei

costi.

Il livello di output in corrispondenza del quale costi e ricavi si eguagliano(q1) viene

chiamato punto di pareggio o breakeven point. A destra di questo punto si trova l’area di profitto

mentre a sinistra l’area delle perdite.

I profitti sono massimi quando la produzione è pari a q2, dove la distanza tra funzione di

ricavo totale e funzione di costo totale è la più ampia possibile.

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5 L’eguaglianza tra ricavi marginali e costi marginali

Per poter determinare l’output di equilibrio per l’impresa si può utilizzare un altro modo,

ovvero quello che si basa sulle grandezze marginali anziché totali.

Il ricavo marginale (RMg) misura la variazione del ricavo totale per ogni variazione unitaria

delle vendite:

ricavo marginale = variazione del ricavo totale =

variazione della quantità venduta

RMg ΔRT

Δq

Tracciando un grafico vedremo che la funzione di ricavo marginale, si presenta come una

retta parallela all’asse delle ascisse con un’intercetta sull’asse delle ordinate pari a ̅, figura n. 35.

Riportando nello stesso grafico anche la curva di costo marginale, possiamo individuare la quantità

ottimale di produzione come quella quantità che garantisce l’uguaglianza tra costi marginali e ricavi

marginali, punto E.

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Figura n. 35

Per una quantità , prodotta e venduta, pari a q0, i ricavi marginali superano i costi marginali (RMg >

CMg).

Se i ricavi sono superiori ai costi, per l’impresa è conveniente continuare ad aumentare la

produzione, almeno fino a quando c’è spazio per ulteriori guadagni.

Se la quantità di output è pari a q2, i costi marginali sono maggiori dei ricavi marginali. In questo

caso l’impresa sta realizzando delle perdite ed è conveniente ridurre la produzione.

Il punto E identifica, quindi, il livello ottimo di produzione.

0

E

Z

P

q

RMg <CMg

CMg

CMg2

CMg RMg

RMg

CMg0

RMg >CMg

q0 q1 q2

RMg = p

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6 La curva di offerta dell’impresa

Ora consideriamo il caso in cui il prezzo di mercato aumenta.

Figura n. 36

Se il prezzo aumenta, la quantità di output offerta dall’impresa aumenta (figura n. 36, a) .

Nel caso in cui il prezzo, invece, diminuisce, occorre considerare i costi marginali e i costi medi.

Fino a quando il prezzo di mercato permette di coprire almeno i costi medi, all’impresa conviene

produrre.

Se il prezzo di mercato è più basso del costo medio, l’impresa lavora in perdita ed è

preferibile interrompere la produzione (figura n. 36 b).

L’impresa ha interesse a produrre solo fino a quando il prezzo di mercato non scende al di

sotto di p*, quando il prezzo corrisponde al punto minimo della curva dei costi medi, e il prezzo p*

viene definito prezzo di chiusura.

0

P

q

p

p’

q’ q 0

P

q

p’’

q q*

E

(a)

RMg’

RMg

CMg

p RMg

RMg’’

q’’

CM

CMg

A

(b)

Curva d’offerta

dell’impresa

p*

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Il tratto della curva dei costi marginali che si trova al di sopra del punto minimo della curva

dei costi medi è la curva d’offerta della singola impresa, ed indica quanto l’impresa è disposta ad

offrire in relazione a differenti livelli di prezzo.

L’offerta dell’impresa è funzione crescente del prezzo del bene, quando i prezzi aumentano,

la quantità offerta dalle imprese aumenta e viceversa, legge di offerta.

La curva di offerta è una curva ascendente da sinistra verso destra.

L’offerta complessiva di un dato bene è la somma delle quantità offerte dalle singole imprese per

ogni dato livello di prezzo (figura n. 37).

Figura n. 37

Lungo la curva di offerta si può vedere la relazione che esiste tra prezzi e quantità offerta di

beni, e l’offerta varia in relazione diretta rispetto al prezzo.

Il coefficiente di elasticità dell’offerta ci consente di misurare questa relazione:

EP = variazione % della quantità offerta

variazione % del prezzo

0

Impresa A

q

A

P

3

2

Impresa B Settore industriale o mercato

10

9 0 q

A

P

2

2

10

8 0 q

A

P

5

2

O 10

17

OB OA

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la curva di offerta è ascendente da sinistra verso destra, il coefficiente di elasticità dell’offerta

rispetto al prezzo è positivo.

In base ai valori assunti dal coefficiente , l’offerta viene definita:

Rigida, se Ep < 1;

Elastica, se Ep > 1;

Neutrale , se Ep = 1.

Nel caso in cui si verifica un aumento del prezzo del 10%:

L’offerta è rigida se la variazione della quantità offerta è inferiore rispetto alla variazione di

prezzo;

L’offerta è elastica se la variazione della quantità offerta è superiore alla variazione di

prezzo;

L’offerta è neutrale se la variazione percentuale dell’offerta è uguale alla variazione di

prezzo.

Figura n. 38

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O

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Università Telematica Pegaso I costi

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Il coefficiente di elasticità dipende dalla capacità dell’impresa o di un intero settore

industriale di adeguare la propria offerta ai mutamenti del prezzo.

Un caso estremo di curva di offerta perfettamente rigida , figura n. 39, dove la quantità offerta non

cambia qualunque sia il livello di prezzo, è ad esempio, l’offerta di quadri di un pittore non più in

vita, come quelli di Picasso.

L’offerta dei suoi quadri è data e non può adeguarsi alle esigenze del mercato. Un aumento della

sua domanda determina un aumento dei prezzi a cui nessuno, però, potrà far corrispondere un

aumento di offerta. In questi casi la curva di offerta è una retta verticale parallela all’asse delle

ordinate e il coefficiente di elasticità è pari a zero.

Inoltre tanto più è breve il tempo considerato, tanto maggiori sono le difficoltà per le imprese, di

adeguare la loro offerta al cambiamento dei prezzi di mercato.

Quando la curva di offerta si sposta verso destra, a parità di prezzo la quantità di beni a disposizione

dei consumatori sul mercato aumenta (figura n. 39) .

Se la curva d’offerta si sposta verso sinistra, a parità di prezzo, la quantità offerta sul mercato è

inferiore.

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