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I contratti di lavoro a seguito della Riforma Fornero. La riforma del mercato del lavoro (c.d. riforma Fornero) è contenuta nella Legge 28 giugno 2012, n. 92, successivamente modificata dal decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto Sviluppo) convertito, con modificazioni, nella Legge 7 agosto 2012, n. 134. Ci limiteremo qui ad analizzare, sinteticamente, le principali tipologie di contratto di lavoro e le modifiche apportate dalla riforma. Per quanto riguarda il contratto di lavoro a tempo indeterminato, la riforma, a modifica del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, prevede, all’art. 1, comma 9, che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato “costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Per il contratto a tempo determinato, la riforma Fornero, con l’intento di scoraggiare le parti dall’addivenire alla stipula di questa tipologia contrattuale, dispone che: a) il primo contratto non possa superare i 12 mesi; b) la durata massima non possa eccedere i 3 anni; c) l’incremento dei costi contributivi; d) allungamento dell’intervallo temporale tra la scadenza di un contratto e la stipula di quello successivo (si passa da 10 a 60 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi e da 20 a 90 giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi). Passiamo ora in rassegna le ulteriori tipologie di contratti di lavoro, compresi i c.d. contratti atipici, disciplinati dalla riforma Fornero. IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO . Il contratto di apprendistato, già regolato dalla Riforma Biagi, viene sensibilmente ritoccato dalla Legge n. 92/2012. La riforma mira ad elevare tale tipologia contrattuale a modalità “prevalente” per l’ingresso nel mercato del lavoro ed interviene a modifica della Legge n. 167/2011, con l’intento di limitare le opportunità di abusi. La legge stabilisce che i contratti di apprendistato debbano avere: a) la forma scritta; b) una durata minima di 6 mesi (eccezion fatta per i contratti stagionali) e massima di 3 anni. Per le imprese con più di 10 dipendenti, vi è la possibilità di assunzione di nuovi apprendisti solo se viene garantita la prosecuzione del rapporto di lavoro di almeno il 50% degli apprendisti in servizio (nel primo triennio di applicazione della riforma – e, quindi, sino al 2015 - tale limite è abbassato al 30%) e viene innalzato il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2. La riforma prevede, altresì, che il contratto di apprendistato possa essere stipulato solo dopo aver compiuto 15 anni di età e che possa essere utilizzato in tutti i settori. L’apprendista non può essere inquadrato in una categoria lavorativa inferiore per più di due livelli alla categoria spettante ai dipendenti adibiti alle medesime mansioni. IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE . Il contratto di lavoro intermittente (c.d. job on call, lavoro a chiamata) è caratterizzato dal fatto che il lavoratore si mette a disposizione dell’imprenditore ed aspetta, per l’appunto, la sua chiamata: la

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I contratti di lavoro a seguito della Riforma Fornero.

La riforma del mercato del lavoro (c.d. riforma Fornero) è contenuta nella Legge 28 giugno 2012, n.

92, successivamente modificata dal decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. Decreto Sviluppo)

convertito, con modificazioni, nella Legge 7 agosto 2012, n. 134.

Ci limiteremo qui ad analizzare, sinteticamente, le principali tipologie di contratto di lavoro e le

modifiche apportate dalla riforma.

Per quanto riguarda il contratto di lavoro a tempo indeterminato, la riforma, a modifica del decreto

legislativo 6 settembre 2001, n. 368, prevede, all’art. 1, comma 9, che il contratto di lavoro

subordinato a tempo indeterminato “costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.

Per il contratto a tempo determinato, la riforma Fornero, con l’intento di scoraggiare le parti

dall’addivenire alla stipula di questa tipologia contrattuale, dispone che: a) il primo contratto non possa

superare i 12 mesi; b) la durata massima non possa eccedere i 3 anni; c) l’incremento dei costi

contributivi; d) allungamento dell’intervallo temporale tra la scadenza di un contratto e la stipula di

quello successivo (si passa da 10 a 60 giorni per i contratti di durata inferiore a 6 mesi e da 20 a 90

giorni per i contratti di durata superiore a 6 mesi).

Passiamo ora in rassegna le ulteriori tipologie di contratti di lavoro, compresi i c.d. contratti atipici,

disciplinati dalla riforma Fornero.

IL CONTRATTO DI APPRENDISTATO.

Il contratto di apprendistato, già regolato dalla Riforma Biagi, viene sensibilmente ritoccato dalla Legge

n. 92/2012.

La riforma mira ad elevare tale tipologia contrattuale a modalità “prevalente” per l’ingresso nel

mercato del lavoro ed interviene a modifica della Legge n. 167/2011, con l’intento di limitare le

opportunità di abusi.

La legge stabilisce che i contratti di apprendistato debbano avere: a) la forma scritta; b) una durata

minima di 6 mesi (eccezion fatta per i contratti stagionali) e massima di 3 anni.

Per le imprese con più di 10 dipendenti, vi è la possibilità di assunzione di nuovi apprendisti solo se

viene garantita la prosecuzione del rapporto di lavoro di almeno il 50% degli apprendisti in servizio

(nel primo triennio di applicazione della riforma – e, quindi, sino al 2015 - tale limite è abbassato al

30%) e viene innalzato il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2.

La riforma prevede, altresì, che il contratto di apprendistato possa essere stipulato solo dopo aver

compiuto 15 anni di età e che possa essere utilizzato in tutti i settori.

L’apprendista non può essere inquadrato in una categoria lavorativa inferiore per più di due livelli alla

categoria spettante ai dipendenti adibiti alle medesime mansioni.

IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE.

Il contratto di lavoro intermittente (c.d. job on call, lavoro a chiamata) è caratterizzato dal fatto che il

lavoratore si mette a disposizione dell’imprenditore ed aspetta, per l’appunto, la sua chiamata: la

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prestazione viene quindi svolta in maniera discontinua e la disponibilità del prestatore viene

ricompensata da una “indennità di disponibilità”, corrisposta dal datore di lavoro oltre alla retribuzione

per le ore effettivamente lavorate.

Questo contratto può, in ogni caso, essere concluso con soggetti con più di cinquantacinque anni di

età e con soggetti con meno di ventiquattro anni di età, fermo restando, in tale ultimo caso, che le

prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età.

La riforma prevede che, prima dell'inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di

prestazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro sia tenuto a comunicarne la

durata, con modalità semplificate, alla Direzione territoriale del Lavoro competente per territorio.

I contratti ascrivibili a questa categoria, stipulati prima del 18 luglio 2012, scadranno un anno esatto

più tardi.

IL CONTRATTO A PROGETTO.

Il contratto a progetto trova la propria disciplina nell’art. 1, commi 23-25, L. n. 92/2012, che apporta

alcune modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

I suddetti commi stabiliscono che, “ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio”, i

rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di

subordinazione, debbano essere riconducibili ad uno o più progetti specifici determinati dal

committente e gestiti autonomamente dal collaboratore.

L'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di

collaborazione coordinata e continuativa; in mancanza, si determina la costituzione di un rapporto di

lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale e non può

consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente, avuto riguardo al

coordinamento con l'organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato per

l'esecuzione dell'attività lavorativa.

Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi.

Inoltre, la descrizione del progetto deve essere tale da permettere l’individuazione del suo contenuto

caratterizzante e del risultato finale che si intende perseguire.

Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può essere

inferiore ai minimi stabiliti, per mansioni equiparabili, dai contratti collettivi.

La facoltà del committente di recedere prima della scadenza del termine, viene concessa solo nei casi

in cui siano emersi “oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la

realizzazione del progetto”.

Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, nel caso in cui tale

facoltà sia prevista nel contratto individuale di lavoro.

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Qualora l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe rispetto a quelle svolte dai

dipendenti, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati

rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, “fatte salve le prestazioni di

elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

PRESTAZIONI SVOLTE IN REGIME AUTONOMO.

La riforma del lavoro, all’art. 1, commi 26-27, enuncia quali delle prestazioni svolte in regime

autonomo possano essere assimilate ai co.co.co. e dunque soggette al contributo IVA.

La norma prevede che, affinché le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai

fini dell'imposta sul valore aggiunto, possano essere considerate, salvo prova contraria da parte del

committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, è necessario che ricorrano almeno

due dei seguenti presupposti: a) durata della collaborazione oltre gli 8 mesi; b) corrispettivo superiore

all’80% di quanto percepito nell’anno solare; c) postazione fissa del lavoratore in una sede del

committente.

Detta presunzione non opera per tutti quei ruoli professionali legati a registri, albi o elenchi

professionali.

L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE.

Con il contratto di associazione in partecipazione, un imprenditore, associante, attribuisce ad un altro

soggetto, associato, “una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un

determinato apporto” (art. 2549 c.c.).

Solitamente, l’apporto conferito dall’associato è rappresentato da una somma di denaro, ma può

consistere anche nella prestazione di un’opera o di un servizio: è il caso preso in esame dalla riforma.

La riforma Fornero regolamenta l’associazione in partecipazione all’art. 1, commi 28-31, aggiungendo

un comma al sopra citato art. 2549 c.c.

Il numero massimo degli associati impegnati nella medesima attività non può superare le 3 unità,

parenti esclusi, indipendentemente dal numero degli associanti.

In caso di violazione di detto divieto, il rapporto con tutti gli associati, il cui apporto consiste anche in

una prestazione di lavoro, si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

I rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia

stata un'effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare, ovvero senza

consegna del rendiconto, previsto dall'articolo 2552 c.c., si presumono, salva prova contraria, rapporti

di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

IL LAVORO OCCASIONALE ACCESSORIO.

Le prestazioni occasionali di carattere accessorio (introdotte dalla Riforma Biagi) sono regolate dall’art.

1, commi 32-36, della L. 92/2012 che le definisce come “attività lavorative di natura meramente occasionale

che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un

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anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie

degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso

di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al

presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro,

rivalutati annualmente”.

Questa tipologia contrattuale fa riferimento a particolari prestazioni lavorative, quali: piccoli lavori

domestici a carattere straordinario, compresa l’assistenza domiciliare ai bambini ed alle persone

anziane, ammalate o diversamente abili; insegnamento privato supplementare; piccoli lavori di

giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; realizzazione di manifestazioni

sociali, sportive, culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato

per lo svolgimento di lavori di solidarietà o di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi

naturali improvvisi.

L’impresa che voglia servirsi di detta forma di lavoro, dovrà acquistare, presso rivendite autorizzate,

dei “buoni” (i c.d. voucher), il cui valore è fissato dal Ministero del Lavoro.

L’impresa consegna poi i voucher a titolo di pagamento al lavoratore che, a sua volta, li cambierà in

denaro presso le medesime rivendite.

IL LAVORO RIPARTITO.

Nato negli Stati Uniti negli anni Sessanta con il nome di job sharing, il c.d. lavoro ripartito è un contratto

atipico che introduce il principio della condivisione del lavoro, secondo cui due o più persone in

accordo con l’imprenditore, assumono “in solido” un’unica obbligazione di lavoro.

Ciascun lavoratore sarà indifferentemente tenuto nei confronti del datore di lavoro all’esecuzione della

medesima prestazione.

Il contratto in esame prevede, pertanto, due intestatari, che possono liberamente concordare come

ripartirsi gli incarichi e come suddividersi un lavoro a tempo pieno.

Le dimissioni di un solo lavoratore portano automaticamente all’estinzione del contratto.

Il job sharing è sostanzialmente simile al contratto di part-time.

LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO.

La somministrazione di lavoro (c.d. staff leasing) è la fornitura professionale di manodopera a tempo

determinato da parte delle Agenzie per il lavoro.

La somministrazione di lavoro, detta anche “lavoro in affitto”, si basa su tre attori principali, ovvero:

l’impresa somministratrice (l’Agenzia per il lavoro); l’impresa utilizzatrice; il lavoratore che presta la

propria attività presso l’utilizzatore ma dipende dal somministratore.

Per tutta la durata della somministrazione, i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse,

nonché sotto la direzione ed il controllo, dell’utilizzatore.

IL LAVORO PART - TIME.

Il part-time (lavoro a tempo parziale) è in vigore da molti anni nel nostro Paese.

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Com’è noto, si tratta di un lavoro con carico orario inferiore rispetto all’orario normale di lavoro

fissato dai contratti collettivi.

I soggetti interessati sono molteplici: possono, infatti, lavorare part-time tutti i lavoratori dipendenti,

senza distinzione di qualifica e settori.

Le tipologie del part-time sono tre:

1) part-time orizzontale: consiste nella riduzione giornaliera all’orario di lavoro rispetto all’orario

pieno;

2) part-time verticale: si ha quando l’attività viene svolta a tempo pieno, ma limitata a periodi

predeterminati nel corso o della settimana, o del mese o dell’anno;

3) part-time misto: è una combinazione di part-time orizzontale e verticale.

Infine, per quanto riguarda gli stage e i tirocini, la riforma si limita a rinviare alla individuazione delle

linee guida ad un accordo con la Conferenza delle Regioni, per rispettare il riparto di competenze

previsto dall’art. 117 Cost.

Le linee guida stilate dal Ministero del Lavoro sono, per il momento, molto vaghe. Due i punti chiave:

la “congrua indennità”, fissata con un compenso minimo di 400 euro al mese e la durata, che non

potrà superare i sei mesi per gli stage formativi e di orientamento e un anno per quelli di inserimento.

Articolo redatto a cura dell’Avv. Luca Rufino