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I climi organizzativi 1

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I climi organizzativi1

Su di un’altra direzione, sempre però all’interno di prospettive di matrice psicosociale, altri studiosi hanno concentrato la loro attenzione sul rapporto «valori soggettivi / esercizio del ruolo» all’interno del sistema organizzazione, facendo della dimensione percettiva l’indicatore privilegiato di valutazione del cosiddetto clima organizzativo.

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LaCultura

n Sono stati, in particolare, L.R. James e A.P. Jones a sostenere che il comportamento organizzativo è la risultante del sistema valoriale del soggetto, sottolineando come questo resti di stretta pertinenza degli individui.

n Basandosi sull’osservanza dei propri valori rispetto a quelli percepiti nel contesto lavorativo, e sulla successiva valutazione comparativa, gli individui rispondono in forma tendenzialmente emozionale, attribuendo un senso a ciò che accade nella situazione intorno a loro, laddove il significato attribuito viene valutato strettamente collegato al proprio benessere psico-fisico ed alle aspettative di tipo valoriale che hanno elaborato nel corso della loro vita.

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SecondoL.R.JAmeseA.P.Jones

L.R. James e A.P. Jones propongono una concettualizzazione del costrutto di clima, tendente a differenziare il clima psicologico, come dimensione esclusivamente soggettiva, rispetto al clima all’interno dei contesti organizzativi: quest’ultimo «si riferisce ad attributi organizzativi ed ai loro effetti principali, o stimoli; il primo [clima psicologico] si riferisce ad attributi individuali per mezzo dei quali il soggetto trasforma l’interazione tra attributi organizzativi percepiti e caratteristiche individuali in una serie di aspettative atteggiamenti, comportamenti»

(L.R. James e A.P. Jones, 1974, pp. 1096-1112).

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SecondoLewin

Lewin indica le condizioni di tipo psico-sociale che si vengono a creare nei gruppi con il concetto di atmosfera: l’atmosfera è qualcosa d’intangibile, una proprietà della situazione sociale complessiva, e potrà essere valutata scientificamente se verrà valutata da questo punto di vista e inoltre una proibizione o una meta da raggiungere possono giocare un ruolo essenziale nella situazione psicologica senza tuttavia essere chiaramente presenti alla coscienza. Lo stesso è in particolare vero per ciò che riguarda l’atmosfera sociale generale: il suo essere favorevole, ostile o tesa.

(K. Lewin, R. Lippitt e R. White, 1939; corsivo degli A.)

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C. Argyris arriva a impiegare il concetto di organizational climate, ad interessarsi cioè dei processi di crescita psicologica degli individui e degli effetti provocati su questi dalle rigide formalizzazioni vigenti in una organizzazione, coniandone questo termine e sviluppando un vero e proprio modello di analisi e d’intervento.

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SecondoArgyris

n Nel modello di Argyris sono previsti tre gruppi di variabili organizzative.

n Le politiche, le procedure e le posizioni formali nell’organizzazione.

n I fattori personali che includono bisogni, valori e capacità individuali.

n L’insieme di variabili associate con gli sforzi degli individui per conformare i propri fini con quelli dell’organizzazione.

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Rispetto all’azione di queste tre dimensioni Argyris arriva ad introdurre il concetto di organizational climate definendolo come:

«L’energia potenziale a disposizione dell’individuo [rivolta al conseguimento dei fini che l’organizzazione gli propone], funzione del grado di autostima: più alta è l’auto-valutazione, maggiore sarà l’energia potenziale. L’energia dispiegabile da un individuo è dunque funzione del grado in cui sperimenta il successo psicologico, convalidato dall’approvazione degli altri; ciò aumenta nell’individuo la capacità di recepire in maniera adeguata il mondo che lo circonda e rafforza il giusto stato mentale» (1958, p. 83).

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n L’attenzione viene rivolta già a partire dagli anni ‘70, nei confronti degli aspetti percettivi del clima e, di conseguenza, al rapporto di complementarietà esistente tra caratteristiche inerenti l’individuo e dimensioni attribuibili al contesto.

n Da questo punto di vista, significativa appare la definizione fornita da J. P. Campbell: il clima è «un set di attributi specifici di una data organizzazione, causati dal modo stesso in cui una organizzazione si occupa dei suoi membri e dell’ambiente» (1970, p. 390)

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SecondoJ.P.Campbell

SecondoT.A.DeCotiiseD.J.Koys

Da quest’ultimo contributo deve trascorrere circa un ventennio per arrivare a quanto viene proposto da T. A. De Cotiis e D. J. Koys (1991) che definiscono il climao m o g e n e a c h e p e r m e t t e d i d i s t i n g u e r e un’organizzazione dalle altre; esso, infatti, incorpora le percezioni collettive degli individui rispetto a dimensioni organizzative quali il grado di autonomia, di coesione, di sostegno.

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SecondoKopelman

n Secondo Kopelman (1990), il clima organizzativo: corrisponde a quel particolare processo psicologico che pone in relazione l’ambiente lavorativo con i comportamenti e gli atteggiamenti correlati al lavoro;

n Da esso derivano, quindi, le percezioni di benessere o di malessere vissute dai lavoratori durante la loro permanenza all’interno dell’organizzazione, capaci di influenzare, anche fortemente, la soddisfazione e le performance lavorative dei singoli.

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Approcciostrutturale(E.T.MoraneJ.F.Volkwein)

n Sono stati E. T. Moran e J. F. Volkwein (1992) ad identificare quattro tipi di approcci che hanno caratterizzato la ricerca sul clima organizzativo:

n l’approccio strutturale: considera il clima quale attributo appartenente all’organizzazione. Assume che l’origine del clima si debba trovare nelle caratteristiche dell’organizzazione. La struttura organizzativa produce un clima con proprietà che esistono indipendentemente dalle percezioni individuali dei suoi membri, come posseduti dall’organizzazione stessa (R. M. Guion, 1973).

n Esso si forma in base alle dimensioni oggettive dell’organizzazione (ad esempio il numero dei livelli gerarchici, i tipi di tecnologie utilizzate, le politiche di gestione del personale, il grado di centralizzazione delle decisioni).

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n L’approccio percettivo/psicologico: pone l’origine del clima nel singolo individuo (L.R. James e A.P. Jones, 1974). Il clima, osservato solo a livello individuale è definito come «una descrizione del contesto fondata su basi percettive ed elaborazioni psicologiche» (L.R. James et al., 1978, p. 84).

n L’assunzione di partenza è che gli individui reagiscono ed interpretano le variabili situazionali non solo sulle basi delle caratteristiche oggettive della specifica situazione o degli attributi strutturali, ma anche a quegli aspetti che sono psicologicamente significativi per loro.

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Approcciopercettivo/psicologico(E.T.MoraneJ.F.Volkwein)

Approcciointerattivo(E.T.MoraneJ.F.Volkwein)

L’approccio interattivo: interpreta il clima quale combinazione tra gli elementi strutturali dell’organizzazione e le caratteristiche di personalità dei singoli. La «comunicazione», per questo approccio, è una componente centrale per la formazione del clima organizzativo. Il clima diventa una sintesi rappresentativa creata dall’interazione tra i membri di un gruppo. L’approccio interattivo, se da un lato sottolinea l’importanza delle interazioni tra individui nel processo di apprendimento e nell’interpretazione della realtà organizzativa, dall’altro, tuttavia, riconosce che i processi intersoggettivi generanti significato, richiedono l’interazione tra contesto (dimensione oggettiva) e consapevolezza (dimensione soggettiva).

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Approccioculturale(E.T.MoraneJ.F.Volkwein)

L’approccio culturale: focalizza l’attenzione sulle modalità con cui i gruppi costruiscono e negoziano la realtà grazie anche alla creazione di una cultura organizzativa. Il clima, secondo questo approccio, «edifica significati in funzione dei quali gli individui interpretano le loro esperienze e guidano le loro azioni, influenzando le interazioni nell’organizzazione».

(C. Geertz, 1973, p. 145)

L’approccio culturale esplora le dinamiche attraverso le quali si produce una coscienza condivisa, riguardante esplicitamente le condizioni nelle quali queste dinamiche ricorrono e come diventano significative dal punto di vista organizzativo.

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Sebbene il clima abbia avuto una storia di ricerca più lunga rispetto alla cultura nell’ambito della psicologia organizzativa e del comportamento organizzativo, i due costrutt i s i sono svi luppat i piuttosto indipendentemente e sono stati di norma, presentati come isolati l’uno dall’altro. Per questo motivo, da più parti si contesta il fatto che cultura e clima vengano considerati come sinonimi nella teoria organizzativa.

(B. Schneider, 1987)

CulturaeClima:unasovrapposizionepossibile?

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Climaeculturasonofralorolegatidadueversanti:

n Sul primodelle dimensioni espressive, comunicative e sociali di una organizzazione:

n Il clima esibisce quelle caratteristiche comportamentali e di atteggiamenti dei partecipanti che sono maggiormente accessibili agli osservatori esterni.

n La cultura, invece, rappresenta quegli aspetti più impliciti di una organizzazione e che non sono immediatamente interpretabili dall’esterno.

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Climaeculturasonofralorolegatidadueversanti:

n Sul secondol’influenza che i valori storicamente costruiti e i significati impliciti nella cultura organizzativa hanno nel determinare gli atteggiamenti e le pratiche insite nel clima organizzativo:

n La cultura è la fonte di continuità e di azione in cui vengono esibiti quei comportamenti adattivi nel clima da cui traggono forza.

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n L’ipotesi centrale di Ashforth (1985) è quella secondo cui la cultura concepita come «valori ed assunti […] dati per scontati», informi il clima aiutando gli individui a definire ciò che è importante, attribuendo così un senso alla loro esperienza.

n Ambedue le dimensioni, inoltre, vengono apprese mediante il processo di socializzazione e l’interazione simbolica tra i membri del gruppo.

n Entrambi i concetti, infine, hanno carattere multi-dimensionale.

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n E. T. Moran e J. F. Wolkwein (1992) prefigurano un approccio culturale alla spiegazione della formazione del clima:

n Il clima opera a livello di atteggiamenti e valori (il modo in cui le persone si sentono parte di un’organizzazione), di conseguenza esso si interseca con le varie forme della cultura che fanno parte dell’esperienza dei soggetti (ossia, le basi su cui si è sedimentato i l modo di funzionare di una organizzazione).

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daquestaprospettivadunque:

n Il climaesprime una reazione immediata alla realtà organizzativi; e questa è una caratteristica relativamente durevole di una organizzazione, prende forma più velocemente e muta più rapidamente.

n La cultura,«iperinclusiva» (H. M. Trice e J.M. Beyer, 1984, p. 653), agisce integrando ai livelli superiori (atteggiamenti e valori) gli assunti fondamentali (spesso assunzioni inconsce di una collettività), configurandosi così come una caratteristica molto durevole dell’organizzazione.

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Perconcludere....

Possiamo concludere che:

n Il clima è la risposta di un gruppo di individui, facenti parte della stessa organizzazione, vincolati da una comune cultura organizzativa, alle contingenze dell’ambiente (interno ed esterno all’organizzazione).

n Clima e cultura sono quindi distinti ma collegati: si sovrappongono nelle componenti delle dimensioni espressive, comunicative e sociali delle organizzazioni.

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n Il clima mostra ad osservatori esterni i comportamenti e gli atteggiamenti dei membri di una specifica unità organizzativa, mentre la cultura rappresenta gli elementi di base dell’organizzazione stessa.

n Il cambiamento del gruppo, se da una lato può intaccare piuttosto velocemente il clima, è molto improbabile che abbia qualche impatto sulla cultura. Tuttavia, il legame che il clima ha con gli elementi culturali impedisce che lo stesso diventi un fenomeno assolutamente transitorio, trasformato da qualsiasi contingenza situazionale.

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Effettidelclima:

Gli effetti del clima si manifestano:

n Sulla capacità organizzativa di impiegare e sfruttare le proprie risorse tecniche e umane: esso è uno strumento di consapevolezza e di diagnosi organizzativa (P. De Vito Piscicelli, 1984), è un valido strumento di riprogettazione partecipata al cambiamento.

n É importante anche nell’analisi delle dinamiche che presiedono alla socializzazione al lavoro del neoassunto (E. Pozzi, 1992).

n Può essere predittore della soddisfazione lavorativa, del successo aziendale e spesso contribuisce alla riflessione sugli elementi legati alle motivazioni al lavoro (A. Cascioli e P. Cascioli, 1991).

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