I CIELI NARRANO LA GLORIA DI DIO · ne diffonde il messaggio e la notizia corre sino ai ... Maria...

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1 Comunità in Dialogo I CIELI NARRANO LA GLORIA DI DIO 2 I CIELI NARRANO LA GLORIA DI DIO, L'OPERA DELLE SUE MANI ANNUNCIA IL FIRMAMENTO. 3 IL GIORNO AL GIORNO NE AFFIDA IL RACCONTO E LA NOTTE ALLA NOTTE NE TRASMETTE NOTIZIA. 4 SENZA LINGUAGGIO, SENZA PAROLE, SENZA CHE SI ODA LA LORO VOCE, 5 PER TUTTA LA TERRA SI DIFFONDE IL LORO ANNUNCIO E AI CONFINI DEL MONDO IL LORO MESSAGGIO. LÀ POSE UNA TENDA PER IL SOLE 6 CHE ESCE COME SPOSO DALLA STANZA NUZIALE: ESULTA COME UN PRODE CHE PERCORRE LA VIA. 7 SORGE DA UN ESTREMO DEL CIELO E LA SUA ORBITA RAGGIUNGE L'ALTRO ESTREMO: NULLA SI SOTTRAE AL SUO CALORE. 8 LA LEGGE DEL SIGNORE È PERFETTA, RINFRANCA L'ANIMA; LA TESTIMONIANZA DEL SIGNORE È STABILE, RENDE SAGGIO IL SEMPLICE. 9 I PRECETTI DEL SIGNORE SONO RETTI, FANNO GIOIRE IL CUORE; IL COMANDO DEL SIGNORE È LIMPIDO, ILLUMINA GLI OCCHI. 10 IL TIMORE DEL SIGNORE È PURO, RIMANE PER SEMPRE; I GIUDIZI DEL SIGNORE SONO FEDELI, SONO TUTTI GIUSTI, 11 PIÙ PREZIOSI DELL'ORO, DI MOLTO ORO FINO, PIÙ DOLCI DEL MIELE E DI UN FAVO STILLANTE. 12 ANCHE IL TUO SERVO NE È ILLUMINATO, PER CHI LI OSSERVA È GRANDE IL PROFITTO. 13 LE INAVVERTENZE, CHI LE DISCERNE? ASSOLVIMI DAI PECCATI NASCOSTI. 14 ANCHE DALL'ORGOGLIO SALVA IL TUO SERVO PERCHÉ SU DI ME NON ABBIA POTERE; ALLORA SARÒ IRREPRENSIBILE, SARÒ PURO DA GRAVE PECCATO. 15 TI SIANO GRADITE LE PAROLE DELLA MIA BOCCA; DAVANTI A TE I PENSIERI DEL MIO CUORE, SIGNORE, MIA ROCCIA E MIO REDENTORE. La Rivelazione di Dio agli uomini è avvenuta in due modi diversi: attraverso le cose e attraverso le parole, nel creato e nella Bibbia. Essi, scrive Agostino, sono come due libri: “Sia il tuo libro la pagina divina che devi ascoltare; sia il tuo libro l’universo che devi osservare. Nelle pagine della Scrittura possono leggere soltanto quelli che sanno leggere e scrivere, mentre tutti, anche gli analfabeti, possono leggere nel libro dell’universo”. Ormai nel cuore dell’estate voglio condividere con i lettori del nostro bollettino alcuni pensieri che nascono dalla lettura, dalla meditazione e dalla preghiera con le parole del Salmo 19. I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia.

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Comunità in Dialogo

I CIELI NARRANO LA GLORIA DI DIO

2 I CIELI NARRANO LA GLORIA DI DIO,

L'OPERA DELLE SUE MANI ANNUNCIA IL

FIRMAMENTO. 3 IL GIORNO AL GIORNO NE AFFIDA IL

RACCONTO

E LA NOTTE ALLA NOTTE NE TRASMETTE

NOTIZIA. 4 SENZA LINGUAGGIO, SENZA PAROLE,

SENZA CHE SI ODA LA LORO VOCE, 5 PER TUTTA LA TERRA SI DIFFONDE IL LORO

ANNUNCIO

E AI CONFINI DEL MONDO IL LORO

MESSAGGIO.

LÀ POSE UNA TENDA PER IL SOLE 6 CHE ESCE COME SPOSO DALLA STANZA

NUZIALE:

ESULTA COME UN PRODE CHE PERCORRE LA

VIA. 7 SORGE DA UN ESTREMO DEL CIELO

E LA SUA ORBITA RAGGIUNGE L'ALTRO

ESTREMO: NULLA SI SOTTRAE AL SUO CALORE.

8 LA LEGGE DEL SIGNORE È PERFETTA,

RINFRANCA L'ANIMA;

LA TESTIMONIANZA DEL SIGNORE È STABILE,

RENDE SAGGIO IL SEMPLICE.

9 I PRECETTI DEL SIGNORE SONO RETTI,

FANNO GIOIRE IL CUORE;

IL COMANDO DEL SIGNORE È LIMPIDO,

ILLUMINA GLI OCCHI. 10 IL TIMORE DEL SIGNORE È PURO,

RIMANE PER SEMPRE;

I GIUDIZI DEL SIGNORE SONO FEDELI,

SONO TUTTI GIUSTI, 11 PIÙ PREZIOSI DELL'ORO,

DI MOLTO ORO FINO, PIÙ DOLCI DEL MIELE

E DI UN FAVO STILLANTE. 12 ANCHE IL TUO SERVO NE È ILLUMINATO,

PER CHI LI OSSERVA È GRANDE IL PROFITTO. 13 LE INAVVERTENZE, CHI LE DISCERNE?

ASSOLVIMI DAI PECCATI NASCOSTI. 14 ANCHE DALL'ORGOGLIO SALVA IL TUO

SERVO

PERCHÉ SU DI ME NON ABBIA POTERE;

ALLORA SARÒ IRREPRENSIBILE,

SARÒ PURO DA GRAVE PECCATO. 15 TI SIANO GRADITE LE PAROLE DELLA MIA

BOCCA;

DAVANTI A TE I PENSIERI DEL MIO CUORE,

SIGNORE, MIA ROCCIA E MIO REDENTORE.

La Rivelazione di Dio agli uomini è avvenuta in due modi diversi: attraverso le cose e attraverso le parole, nel creato e nella Bibbia. Essi, scrive Agostino, sono come due libri: “Sia il tuo libro la pagina divina che devi ascoltare; sia il tuo libro l’universo che devi osservare. Nelle pagine della Scrittura possono leggere soltanto quelli che sanno leggere e scrivere, mentre tutti, anche gli

analfabeti, possono leggere nel libro dell’universo”. Ormai nel cuore dell’estate voglio condividere con i lettori del nostro bollettino alcuni pensieri che nascono dalla lettura, dalla meditazione e dalla preghiera con le parole del Salmo 19. I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia.

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Per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio. I cieli e le stelle, il giorno e la notte raccontano le opere delle mani di Dio. È un racconto fatto di silenzio e tuttavia forte e chiaro, universale, comprensibile a tutti. Non parole in questo racconto né voce che si ascolta: ma su tutta la terra se ne diffonde il messaggio e la notizia corre sino ai confini del mondo. I cieli e le stelle parlano un linguaggio accessibile a tutti, grandi e piccoli, uomini di ogni razza, di ogni lingua e di ogni religione. Purtroppo questo ‘silenzio’ delle cose l’uomo non lo ascolta più, perché ha riempito ogni angolo del mondo con il suo rumore. Le troppe parole che l’uomo crede importanti, quasi fossero le uniche degne di ascolto, soffocano le parole silenziose, discrete e intelligenti delle molte cose che Dio ha fatto. Le nostre parole sono invadenti e non lasciano più spazio al silenzio. Così non sentiamo più la voce della bellezza dei

fiori che chiedono di essere guardati, della foresta che chiede di non essere saccheggiata, o del mare e del cielo che chiedono di non essere inquinati. Quante volte anche Papa Francesco ci suggerisce e ci aiuta a comprendere meglio questi argomenti. Basti leggere la bellissima enciclica “Laudato sì”. Noi parliamo sempre, di tutto, e non sentiamo più la voce delle cose che - in silenzio - ci parlano di Dio. San Giovanni Crisostomo diceva: “Questo silenzio dei cieli è una voce più risonante di quella della tromba; questa voce grida ai nostri occhi e non alle nostre orecchie la grandezza di chi li ha fatti”. E allora ecco l’invito a coltivare quel senso di ammirato stupore di fronte al grande libro della creazione che faceva dire a papa Paolo VI ormai prossimo alla canonizzazione: “degno di esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell’uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle molte leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole!”. Ed è un dono dell’amore di Dio! Ma non ci sono soltanto le parole delle cose. C’è anche la Parola del Signore. La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.

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I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Dio ha parlato al popolo di Israele rivelandogli i suoi disegni, i suoi pensieri, le sue leggi. La seconda parte del Salmo è un inno alla parola di Dio, la parola del Signore è perfetta e vivifica l’anima; il comandamento del Signore è limpido e rischiara lo sguardo; le decisioni del Signore sono giuste, più desiderabili dell’oro, più dolci del miele. Il salmista non si stanca di tessere l’elogio di questa Parola di Dio: alcune qualità che egli enumera riguardano la Parola di Dio in se stessa (perfetta, sicura, limpida e giusta), altre gli effetti che produce nell’uomo (fa vivere, rende saggi, allieta il cuore, illumina lo sguardo). Nonostante il suo grande entusiasmo per la legge del Signore, nell’animo del salmista resta tuttavia un’ombra di salutare timore: “Preserva il tuo servo dall’orgoglio, che non abbia su di me presa alcuna”. Si tratta dell’orgoglio dell’uomo che vorrebbe mettere a tacere persino la Parola di Dio per sovrapporvi la propria: non la volontà di Dio, ma la propria volontà; non i disegni di Dio, ma le proprie decisioni, le proprie manipolazioni che arrogantemente egli chiama “creazioni”, quasi a voler rubare al Signore il titolo di creatore che spetta a Lui solo.

L’uomo è nel mondo anzitutto per rispettarlo, non per manipolarlo. Accanto al “libro della creazione”, “il libro della Parola”. San Girolamo, Dottore della Chiesa che ha vissuto per tanti anni a Betlemme vicino alla Grotta della Natività e appassionato studioso della Bibbia, diceva: “Il sole che si leva ti trovi sempre con il Libro in mano. Che il sonno ti colga con il Libro in mano e che la pagina sacra riceva il tuo capo caduto per la fatica”.

Anche il Card. Carlo Maria Martini ci ha educato e aiutato ad amare la Parola di Dio. Cito alcune sue parole: “Occorre che il primato della Parola sia vissuto. Ora esso non lo è. La nostra vita è lontana dal potersi dire nutrita e regolata dalla Parola. Ci regoliamo, anche nel bene, sulla base di alcune buone abitudini, di alcuni principi di buon senso, ci riferiamo a un contesto tradizionale di credenze religiose e di norme morali ricevute. Nei momenti migliori, sentiamo un po’ di più che Dio è

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qualcosa per noi, che Gesù rappresenta un ideale e un aiuto. Al di là di questo però sperimentiamo di solito ben poco come la parola di Dio possa divenire il nostro vero sostegno e conforto, possa illuminare sul “vero Dio” la cui manifestazione ci riempirebbe il cuore di gioia. Facciamo solo di rado l’esperienza di come Gesù dei Vangeli, conosciuto attraverso l’ascolto e la meditazione delle pagine bibliche, può divenire davvero “buona notizia” per noi, adesso, per me in questo momento particolare della mia storia, può farmi vedere in prospettiva nuova ed esaltante il mio posto e compito in questa società, capovolgere l’idea meschina e triste che mi ero fatto di me stesso e del mio destino. La Messa domenicale passa spesso sulle nostre teste senza riempirci il cuore e cambiarci la vita. Ci sembra che la Parola di Dio e la cronaca quotidiana costituiscano come due mondi separati. La nostra vita potrebbe riempirci di luce al contatto prolungato e attento con la Parola, e noi invece la trascorriamo in una penombra pigra e rassegnata. Perché non scuoterci, darci da fare affinché i tesori che abbiamo tra le mani siano resi produttivi?”.

Quante volte ci confrontiamo con parole umane spesso limitate. Impariamo a cogliere il valore della Parola unica ed eterna contenuta nella Bibbia. Impariamo a confrontarci più spesso con le pagine del Vangelo proprio perché possiamo vedere la realtà che ci circonda con una prospettiva nuova. Il tempo estivo può diventare l’occasione per far nascere e far crescere in noi il “gusto” della Parola di Dio, così che davvero possiamo dire: “Lampada peri miei passi è la tua Parola?”. Valorizziamo questo tempo nell’ascolto attento del grande “libro della creazione” e del “libro della Parola”. Buon tempo estivo a tutti!

Don Lodovico

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LO SGUARDO FRATERNO

«Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.» (Gv 9,1-7)

Gesù passa con i suoi discepoli, vede un uomo; anche i suoi discepoli lo vedono, ma in modo diverso. Si chiedono il perché della sua condizione, ricercano l’origine della malattia e della sua sofferenza. È un desiderio legittimo, che però sta sempre al livello della riflessione teologica e filosofica. Un po’ come succede a noi, quando vediamo il male del mondo, le sofferenze e difficoltà

delle altre persone. Quante riflessioni facciamo sulla malattia, sulla povertà, sulla mancanza di casa e di lavoro, sulle “difficoltà” dei più giovani; e ognuno può continuare la lista, a livello di Chiesa, di società, di famiglia …

Gesù, invece, vede con una profondità diversa. Il verbo “vide”, riferito a Gesù, nel testo originale con cui è stato scritto il vangelo, ha una forma particolare; qualcosa come “notò, fece attenzione, ci fece caso”. Gesù “nota” questo cieco, gli altri lo vedono e basta. Il Signore poi non si limita a vedere, ma anche opera, “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di

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Dio”. Il vedere di Gesù si traduce in opere; egli vede e fa, agisce.

Non dovremmo forse anche noi cristiani comportarci così? Non fermarci alla riflessione, ma essere attenti a chi abbiamo davanti, alla persona concreta che ci è posta accanto, con il suo bisogno, le sue emozioni, le sue aspettative, i suoi tempi, i suoi doni. Non dovremmo anche noi pensare a volti concreti, invece che a schemi e a progetti sulla carta, che chiedono poi di essere tradotti nella “lingua corrente”, o ancora più pensare solo al compito assegnato o a quello che si fa per “portare avanti la baracca”? I volti

concreti sono quelli che ci sono consegnati dalla storia e dalla Provvidenza: quello del marito o della moglie, del figlio, del collega, del vicino, del confratello nel ministero, di chi collabora per una stessa iniziativa. Non dunque quelli che abbiamo in mente noi, che erano dei nostri genitori, degli amici d’infanzia, o peggio ancora degli autoritratti.

Un rischio che corre la comunità cristiana, in buona fede ovviamente, è quello di nascondere i problemi o disagi delle persone pensando che creino disturbo al vangelo. «E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla,

il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". Chiamarono il cieco, dicendogli: "Coraggio! Àlzati, ti chiama!". Egli, gettato via il suo mantello,

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balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: "Che cosa vuoi che io faccia per te?". E il cieco gli rispose: "Rabbunì, che io veda di nuovo!". E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.» (Mc 10,48-52). Il grido dell’uomo non dà fastidio a Gesù, anzi l’accoglienza di quel grido, che molti volevano soffocare, apre alla sequela del discepolo “e lo seguiva lungo la strada”; e l’evangelista Marco fa capire che quel seguire è anche di esempio ai Dodici che non comprendono le parole di Gesù e il suo cammino verso il dono d’amore per l’umanità. Il compito del credente non è nascondere o ignorare, ma intercedere, pregare, accompagnare: Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". Chiamarono il cieco, dicendogli: "Coraggio! Àlzati, ti chiama!"

Solo così potremo manifestare le opere di Dio, che vuole la salvezza e il bene di tutti i suoi figli. La comunità cristiana non è una associazione, ma un insieme di persone che vivono la fraternità. L’essere umano è comunitario e dialogico “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18). È pensato a immagine di Dio, e Dio si è rivelato una comunità: tre Persone che si amano e reciprocamente si donano. Per questo

la persona umana non è chiamata a vivere da sola, ma sempre in una comunità di relazioni. La Chiesa è chiamata a sviluppare questa dimensione di relazione che possiamo chiamare “fraternità”. È diversa da un gruppo di amici; gli amici si scelgono, i fratelli e le sorelle li trovi. I fratelli si riconoscono perché figli dello stesso padre. L’origine della fraternità viene dall’alto.

Naturalmente deve trattarsi di una comunità che si modella sull’amore di Gesù in modo serio. E l’amore di Gesù è reciproco e al tempo stesso gratuito: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35). Appare qui il rapporto tra gratuità e reciprocità. Questo è ciò che ogni comunità è chiamata a vivere e a mostrare se vuole essere segno di novità. L’amore gratuito e reciproco, è nuovo perché è frutto e segno del mondo nuovo inaugurato con la venuta di Gesù.

don Franco

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ORATORIO ESTIVO 2018 “ALL'OPERA”

Siamo ormai a giugno e come ogni anno si sta mettendo in moto il grande impegno estivo dell'oratorio, che è l'oratorio estivo, segno della cura della comunità per i più piccoli.

Questo anno il tema di questo oratorio è “ALL'OPERA” in continuità con il tema dell'oratorio estivo dell'anno passato DETTO FATTO, infatti dalla contemplazione del creato questo anno passiamo all'azione, passiamo a metterci in azione per garantire la meraviglia del creato.

Scrive don Stefano Guidi, direttore della FOM: «L'oratorio estivo 2018 ci aiuta ad aumentare la nostra scoperta. Il creato è bello. Ed è straordinariamente bello partecipare alla bellezza del creato. Lo vogliamo dire con uno slogan che intenzionalmente abbiamo voluto stampare sulla maglietta destinata ai nostri animatori: “la bellezza è nelle mani di chi si mette all'opera”. Dobbiamo riconoscerlo: il creato è bellissimo. Eppure si tratta di una bellezza incompleta. Incompiuta. In attesa di ulteriore perfezione. Dio ci chiede di partecipare alla creazione, per aumentare la bellezza della creazione».

Come avete capito, questo oratorio sarà un'occasione per spingersi nella creatività e nella partecipazione!

Sarà questo oratorio un luogo in cui mostrare ai nostri bambini e ragazzi che è bello costruire, che è bello collaborare e progettare insieme, che tutto ciò corrisponde alla nostra più aspirazione, perché come dice Gen

2,15: «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».

Con il linguaggio efficace dell'animazione, l'Oratorio estivo 2018 vuole aiutarci a scoprire questa straordinaria dimensione del nostro essere uomini e abitanti di questo mondo. Ci sarà tanto gioco, tanto divertimento, tanta animazione, tanto lavoro di fantasia e di ambientazione per aiutare i nostri ragazzi a vivere e conoscere i tanti e diversi ambienti del mondo. Partecipare all'opera di Dio, allora, è la modalità sorprendente e straordinaria attraverso cui ogni uomo diventa sé stesso e costruisce la propria umanità. Ecco che ogni oratorio diventa un vero e proprio laboratorio. Non soltanto perché ospita tante diverse attività. Ma prima di tutto perché può diventare quel contesto favorevole e provvidenziale dove chi lo frequenta – indipendentemente dall'età – ha

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l'occasione di prendere in mano la questione delle questioni: diventare umano! I ragazzi crescono e diventano umani attraverso la fatica, il progettare, l'aggiustare e riparare, collaborare, lavorare nel rispetto del creato e del

progetto di Dio; così da camminare sempre più nella responsabilità di chi si mette a collaborare con Dio nel “dominio” del creato.

Don Raffaele

PASTORALE GIOVANILE

Con l’arrivo dell’estate si concludono i vari percorsi formativi per lasciare il giusto spazio alle varie esperienze estive che caratterizzano una Comunità Cristiana delle nostre zone. Di queste è ancora caposaldo l’Oratorio Feriale, ben presentato da Don Raffaele. Qui invece si vorrebbe fare un passettino indietro e tentare un semplice bilancino di ciò che invece è stata l’attività con adolescenti e giovani durante l’anno. Una parola che potrebbe riassumere quanto tentato è “gruppo”. Non è l’unica certamente, ci sono state le tematiche, le discussioni, le attività, ma l’impegno di fondo è stato orientato alla volontà di consolidare il gruppo degli adolescenti e dei giovani che frequentano, animano e vivono i nostri oratori; quei ragazzi che nelle esperienze oratoriane cercano ancora occasioni preziose di crescita umana e cristiana. Non sono pochi numericamente; non sono lì per caso al di là di tutte le difficoltà che derivano

da un’agenda frenetica. Rendere preziosa la loro presenza è una responsabilità certo di chi si occupa in modo diretto dei percorsi dedicati a loro (con tutti i limiti con i quali facciamo i conti), ma anche di tutta la “comunità educante”, utilizzando con decisione questa densa espressione del Card. Scola. L’estate è come spesso avviene una grande occasione per avere un riscontro, ma anche un consolidamento di quanto vissuto durante l’anno. Ritorniamo al discorso del gruppo, il concetto con cui abbiamo cercato di orientare questi mesi trascorsi insieme. Focalizzarsi sul fare gruppo vuol dire spingersi in due direzioni, quella interna e quella verso l’esterno. Fare gruppo vuol dire consolidare rapporti, condividere valori, saper vivere insieme esperienze. Qui il lavoro maggiore, da svolgersi sulle buone basi che già c’erano, è stato creare maggiore collante tra le varie fasce

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d’età dei ragazzi, perché il gruppo funziona se è capace di rigenerarsi, di attrarre, di coinvolgere. In più è stato necessario confrontarsi con i ragazzi di Alserio, appena entrati nella Comunità Pastorale, cercando di mantenere la loro legittima specificità di rapporti e piano piano avvicinarli ai ragazzi che già vivono le logiche della CP da qualche anno. Per fare ciò si è puntato allo stare insieme proponendo esperienze forti, come quella delle convivenze in oratorio per qualche giorno. Detto ciò, un gruppo “funziona” se è riconoscibile e sa portare testimonianza verso l’esterno, se sa dialogare con il resto della comunità. In questo senso l’Oratorio Feriale è sempre una grande prova per gli adolescenti; mentre i giovani parteciperanno al pellegrinaggio che porterà all’incontro con il papa di

agosto. Con questo obiettivo i giovani si sono resi disponibili per piccoli lavoretti, spesso la preparazione di alimenti freschi (gnocchi, pasta), allo scopo di abbattere le spese vive del pellegrinaggio e renderlo più sostenibile, ma anche (non meno importante) di “rendersi riconoscibili” all’interno della comunità per testimoniare la loro presenza con la speranza anche di attrarre altri ragazzi. Non è una cosa da poco, se a questo si aggiunge il tentativo di animare le S. Messe (adolescenti) o qualche funzione particolare, ad esempio la Via Crucis all’esterno del Santuario di cui le foto qui sotto. Non resta che augurare a tutti i ragazzi un’estate da protagonisti!

In bocca al lupo dagli educatori!

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DAL CONSIGLIO

DEGLI AFFARI ECONOMICI IL RENDICONTO DELLE NOSTRE PARROCCHIE

Il rendiconto parrocchiale è uno degli adempimenti amministrativi che ogni parrocchia è chiamata ad assolvere in base alla normativa canonica. A carico del Parroco e del Consiglio Affari Economici, il rendiconto annuale, che comprende sinteticamente tutte le attività della parrocchia, seppure svincolato da qualsiasi rilevanza civile e/o fiscale, rappresenta uno strumento di fondamentale importanza per la verifica di una corretta e ordinata gestione amministrativa dell’Ente Parrocchia.

Inoltre questo rendiconto ha una duplice utilità: da un lato aiuta la parrocchia a tenere sotto controllo l’amministrazione, fornendo i punti di riferimento per valutare obiettivamente potenzialità ed esigenze finanziarie; dall’altro lato aiuta l’Ordinario diocesano (il Vescovo) ad esaminare le eventuali richieste di contributo economico o di autorizzazione per l’esecuzione di atti di straordinaria amministrazione. Le parrocchie sono soggetti passivi dell'Imposta sul Reddito delle Società (IRES). Le parrocchie, in quanto enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono equiparate agli enti con finalità di

beneficenza ed istruzione e, come tali godono della riduzione alla metà dell'aliquota IRES da applicarsi al reddito complessivo.

Anche quest’anno dopo aver adempiuto i vari passaggi di presentazione del rendiconto parrocchiale viene pubblicato sul nostro Bollettino perché tutti possano conoscere l’andamento economico delle nostre parrocchie.

Le strutture a disposizione per l’evangelizzazione (le sette chiese, i quattro oratori, le case parrocchiali ...) non sono di proprietà del parroco che nella parrocchia è “pro tempore”, ma di tutta la comunità che si impegna a mantenerle in ordine e secondo le norme di legge.

A tale scopo, il Consiglio Affari Economici ha individuato un programma che prevede degli interventi straordinari per mantenere in ordine le strutture.

Per la Parrocchia SS. Pietro e Paolo a breve partiranno i lavori per il rifacimento del tetto della chiesa prepositurale con l’inserimento di due nuove capriate e la messa a norma del campanile, con un impegno di spesa

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superiore a 200.000,00 euro, che assorbirà tutto l’avanzo della gestione ordinaria.

Per la Parrocchia di S. Andrea stanno terminando i lavori di adeguamento alle norme vigenti dell’Oratorio e a breve inizieranno i lavori di rifacimento della facciata della chiesa parrocchiale e della casa parrocchiale. I costi preventivati sono di circa 100.000 euro.

Per la Parrocchia di S. Michele è in corso di approvazione il progetto per il rifacimento del tetto, della facciata e il consolidamento del campanile della Chiesa Parrocchiale. I costi preventivati sono di circa 200.000 euro.

Ricordiamo che la stesura dei progetti per gli interventi su edifici e pertinenze ecclesiastiche hanno tempistiche molto più lunghe rispetto alle tempistiche per i lavori su edifici privati, in quanto richiedono il parere e l’approvazione dell’Ufficio Amministrativo Diocesano e della Soprintendenza Beni Culturali.

Per la Parrocchia di S. Clemente il bilancio pubblicato è parziale: infatti è stato redatto partendo dal mese di settembre 2017 cioè dal momento in cui è avvenuto il cambio del parroco con il passaggio di consegne da don Mario a don Lodovico e l’ingresso della

parrocchia nella Comunità Pastorale Beata Vergine di Rogoredo.

Questo è anche il momento per dire “grazie” ad un gran numero di persone, che con un profondo senso di gratuità e di corresponsabilità, danno “una mano forte” nei vari impegni che le nostre parrocchie si assumono per il bene di tutti. Gesù dice nel Vangelo: "Senza di me, non potete far nulla". Ma è Gesù che suscita in parrocchia queste persone generose perché senza di loro potremmo davvero fare poco o nulla.

Speriamo di suscitare il bisogno a chi legge, di porsi questa domanda: "E perché non do anch’io una mano, se lo posso fare?”.

Non sempre certo è possibile ma o poco o molto tutti possiamo fare qualcosa. E' questo un invito quindi per tutti coloro che vorranno unirsi a questi collaboratori perché con il poco aiuto di molti si fa sempre tanto e di più. La parrocchia in fondo è la “grande famiglia” di noi tutti.

La parrocchia come la famiglia delle famiglie.

Il Consiglio Affari Economici

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I CRESIMANDI DELLA V PRIMARIA IN VISITA

ALLA BASILICA DI SANT’ AMBROGIO

Domenica pomeriggio 15 aprile un gruppo di V primaria Cresimandi delle nostre parrocchie, sono partiti per visitare, scoprire, conoscere la splendida Basilica di Sant’Ambrogio perno della nostra Diocesi di Milano.

I ragazzi di V primaria della Comunità Pastorale B.V. di Rogoredo, si stanno preparando a ricevere il Sacramento della Cresima seguendo le indicazioni dell’anno di catechesi della nostra diocesi. Il nostro arcivescovo Mario Delpini ha voluto, in parallelo alla preparazione “guidata" farci meditare sul tema della Chiesa in quello che è stato ed è per i ragazzi il “cammino dei 100 giorni”.

Un cammino che li sta portando a conoscere meglio la propria Diocesi di appartenenza e il proprio Vescovo, facendo esperienza della CHIESA, anzitutto in famiglia, nella propria Parrocchia inserita oggi nella Comunità Pastorale, che a sua volta, vive all’interno di una diocesi e del suo Vescovo coadiuvato dai presbiteri.

Il cammino proposto, poi, sta aiutando i ragazzi a prepararsi all’incontro con il Vescovo il 26 maggio a San Siro.

Durante le prime tappe del percorso, si sono portati i ragazzi a conoscere

meglio il vescovo Mario e a conoscere un

po’ la nostra Diocesi di Milano cercando di andare in profondità, tornando alle origini della Chiesa Ambrosiana, facendo conoscere loro, la figura di Sant’Ambrogio. Per questo è stata proposta una visita “guidata” alla basilica per approfondire ulteriormente la figura di Sant’Ambrogio, dell’edificio dove riposa il corpo del nostro patrono per riuscire a comprendere meglio le origini della Chiesa Ambrosiana.

Domenica 15 aprile, iI nostro Parroco Don Lodovico ci ha accompagnato a Milano e da profondo conoscitore della Basilica, ci ha fatto da guida permettendoci di vedere e comprendere bene l’interno e l’esterno della chiesa.

Certo domenica pomeriggio non abbiamo visto una porzione extra-urbana della Mediolanum periferica dove il vescovo Ambrogio andava a pregare sulla “terra dei martiri cristiani” e a meditare in silenzio, ma una chiesa in centro alla città di Milano in mezzo a vie trafficate, cantieri e mercatini!

Don Lodovico, in un bel percorso ci ha fatto vedere alcune opere d’arte

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importanti, la cui conoscenza ci ha aiutato ad approfondire il nostro essere comunità inserita nel corpo vivo della Chiesa ambrosiana, tramite la figura di Ambrogio, dei santi martiri Protaso e Gervaso, e dei santi vescovi milanesi. Ci siamo fermati poi nell’atrio e il Don ci ha spiegato che anticamente questo era uno spazio utilizzato dai catecumeni per la formazione religiosa.

Molto interessante ascoltare la spiegazione dettagliata di ciò che abbiamo visto all’interno della basilica stessa. Ci ha colpito l’imponente sarcofago paleocristiano di Stilicone, l’altare maggiore composto da due lati principali: quello verso di noi in oro e pietre preziose, costituito da piccoli quadrati che ricordano la pianta della Gerusalemme celeste. Il lato opposto, non visibile da chi stava ai piedi del presbiterio, in argento che racconta la storia di sant’Ambrogio.

E poi …tutti con il naso all’insù verso il catino absidale per vedere uno dei rari

mosaici medioevali di Milano. Passo dopo passo siamo giunti alla cripta, cuore della basilica ambrosiana. Tutti si sono guardati intorno, ci siamo trovati in un locale sotterraneo con al centro una importante urna di cristallo e argento entro cui è conservato e si conserva il corpo di sant’Ambrogio con ai lati i santi Gervaso e Protaso.

Incuriositi e un po’ timorosi, i ragazzi hanno fatto tante foto, poi Don Lodovico ci ha fatto pregare davanti al nostro santo Patrono, per tutti i ragazzi, per tutte le famiglie, per la Comunità Pastorale e per tutti i credenti e non credenti.

E’ stato molto bello per tutto quello che abbiamo visto, sentito, scoperto, e grazie a Don Lodovico abbiamo capito che visitare una basilica non è solo occasione per una bella gita, ma una preziosa possibilità di catechesi, di cultura e di annuncio del Vangelo, arricchimento nel cammino di tutti i cristiani.

Le catechiste Donatella, Anna, Milena, Virginia,

Luisella

Nella foto. I ragazzi all’esterno della Basilica di

S.Ambrogio

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GITA A TORINO

Domenica 8 aprile 2018 un gruppo di ragazzi di 1° secondaria, con le loro catechiste, don Raffaele e due papà (autisti dei pulmini) si sono recati in pellegrinaggio a Torino sulle tracce di don Bosco (fondatore della congregazione dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice).

Il complesso di Valdocco è chiamato anche “la terra santa” salesiana perché don Bosco portò qui il suo primo oratorio, vi fondò i Salesiani e lì visse fino al giorno della sua morte (31.1.1888).

L’opera da lui svolta è stata grande: educare, assistere, e formare i giovani poveri e abbandonati, in particolar modo quelli che oggi sarebbero definiti “a rischio”. Il luogo trasmette messaggi

di fiducia in Dio e in Maria, di sfida alle difficoltà di ogni genere e dedizione verso i giovani. I ragazzi erano attenti, interessati e divertiti….

“E’ stato interessante e divertente perché abbiamo scoperto molte cose nuove su una persona speciale”.

“La cosa che mi è piaciuta di più è stata la basilica perché era immensa e piena di ricordi, oggetti e cose interessanti”.

“Don Bosco è riuscito a compiere un’impresa quasi impossibile perché è partito da poco ed è riuscito ad arrivare a qualcosa di grande. E tutto questo con l’aiuto di Dio”.

Questi alcuni dei commenti dei ragazzi. Nella foto la Basilica di Valdocco

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ANNIVERSARI DI MATRIMONIO 2018

Il matrimonio unisce due anime che si sono scelte già dal principio. Nel giorno della unione matrimoniale tutto viene incorniciato dal simbolo dello scambio degli anelli nuziali. Il santo Giovanni Paolo II scrisse che le fedi sono un simbolo che sta a significare l’essere preziosi insieme. Le fedi non hanno spigoli, e sono infatti il segno dell’amore e della fedeltà reciproche, che nel loro giorno più bello gli sposi si scambiano.

Domenica 3 giugno, durante la cerimonia in ricordo del loro matrimonio, gli sposi si sono scambiati nuovamente il simbolo della loro unione. Da figlia di una coppia che ha ricordato il suo anniversario, durante questa funzione, mi sono commossa, nel vedere questo rinnovato scambio, che è il primo segno di una nuova famiglia che nasce. Ed è proprio la

famiglia, il significato profondo del matrimonio cristiano.

Papa Francesco, parlando di famiglia, la collega a tre parole: “permesso”, “grazie” e “scusa”. Vorrei dare a queste parole un significato personale. Il matrimonio è condivisione in ogni senso e momento della vita; il coniuge chiede “permesso” per entrare nella vita del compagno\a, e poi cerca di accompagnarlo, mano nella mano,

durante tutta la vita e anche oltre, attraverso ogni gioia o avversità.

L’unione coniugale è anche un “grazie”, per tutte le volte che, nelle gioie e nei dolori che accompagnano il cammino della vita, si è riusciti insieme a trovare la forza per tenersi ancora la mano, senza arrendersi alle difficoltà. Vedo il matrimonio come una scalata: più gli anni

passano, più la parete di roccia diventa ripida, le diversità di carattere affiorano all’interno del rapporto e bisogna trovare in queste differenze una comunione, per mantenere fede e memoria al “sì” che è stato pronunciato anni addietro.

Ed è nei momenti di avversità che bisogna saper chiedere “scusa”, sì

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proprio scusa, perché gli anni passano e l’amore si trasforma, ed è esattamente allora che bisogna lottare di più per mantenerlo vivo. E allora scusa perché l’amore “cambia”, e anche chi lo vive cambia nel proprio cammino di vita; a volte addirittura si dividono le strade, ed è in questi momenti che si deve trovare una nuova via da percorrere insieme, certamente trasformati dal tempo, ma comunque insieme.

Nessuno pensa, al principio del cammino appena intrapreso, che sarà senza difficoltà; esiste, fin da principio, la consapevolezza che ci saranno momenti avversi, ed è proprio in questi momenti, che si deve richiamare il vangelo della famiglia cristiana, la famiglia delle famiglie, protetta dall’amore e dall’unione di Dio.

Oggi, durante la cerimonia, ho visto amore, amore negli occhi dei miei genitori, che in questi anni sono stati capaci di chiedersi permesso, grazie e scusa; amore negli occhi di chi è

insieme da una vita e ha saputo accettarsi e rispettarsi, condividendo tante diverse strade insieme, perché, come dice Papa Francesco “mai finire la giornata senza fare la pace”; amore negli occhi di tutti i coniugi che oggi si sono scambiati nuovamente le fedi, con le mani che tremavano dall’emozione e il cuore che, nonostante gli anni, batteva forte; amore negli occhi delle famiglie che, nel giorno in cui sono state pronunciate le promesse matrimoniali, non erano presenti, ma lo sono state oggi.

E allora il grazie, scusa e permesso lo chiediamo noi figli a voi genitori, perché ci avete accolto, anche se non abbiamo chiesto permesso per entrare nella vostra vita, grazie perché ci avete accettato, con estremo amore, e scusa perché non sempre riusciamo a dimostrarvi quanto vi siamo grati, di essere entrati a far parte del vostro cammino insieme.

Ballabio Francesca

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RUBRICA “RACCONTI DI VITA”

Prosegue il nostro itinerario nella nostra Comunità Pastorale, per conoscere persone che hanno una storia di vita da raccontare, una storia che rivela il traguardo raggiunto, ma che nasconde anche fatiche, paure e ci parla di coraggio e di fede. Questa volta abbiamo incontrato due famiglie che, con modalità diverse, hanno vissuto l’esperienza dell’adozione. Due percorsi lunghi e per certi versi estenuanti, a causa delle lungaggini burocratiche e delle necessarie tempistiche organizzative, ma accomunati dal grande desiderio della coppia di sposi di diventare genitori di bambini, con una loro storia, che desiderano continuare a scriverla in una famiglia tutta loro. Franca e Moreno Mascheroni ci hanno accolto, una sera di maggio, a casa loro dove abbiamo incontrato anche i loro 3 figli Andrea, Anatolij e Sascia, provenienti dalla Russia. Quando avete iniziato a pensare all’adozione? Dopo il matrimonio desideravamo avere dei figli, ma quando abbiamo capito che non potevamo averne naturalmente, abbiamo pensato di poterli adottare e così nel 2005 abbiamo intrapreso il percorso dell’adozione internazionale.

Quali sono le pratiche necessarie all’adozione e quanto tempo durano? Occorre anzitutto presentare la domanda al Tribunale dei minori competente per territorialità, che a sua volta attiva i servizi socio assistenziali degli Enti e delle Aziende Sanitarie Locali, per fare delle valutazioni della coppia, attraverso colloqui ed osservazioni dirette, volte ad evidenziare la reale disponibilità e idoneità ad accogliere il bambino, le risorse economiche per il mantenimento e quelle umane per sostenere le difficoltà del suo inserimento nel nuovo paese. Si tratta di un percorso che dura in tutto tre anni da quando si presenta la domanda fino all’accoglienza dei bambini in casa. Per chi come noi ha il desiderio di costruire una famiglia, si tratta di un tempo molto, a volte troppo lungo, di attesa. Quali sono stati i momenti più faticosi e difficili di questo percorso? Sicuramente il primo anno, quando siamo stati sottoposti a tanti colloqui con l’Assistente Sociale dell’Asl, che ci ha veramente messo a nudo in tutti i nostri ambiti di vita personale, familiare e sociale. In alcuni momenti ci sembrava quasi di essere sottoposti a degli esami, e questo ha riguardato non solo noi, ma anche la nostra casa,

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che è stata osservata e valutata a fondo, per rispondere ai requisiti spaziali e ambientali di accoglienza del minore. Oggi capiamo la necessità di quelle valutazioni, ma allora era veramente difficile tenere i nervi saldi. Pensiamo di aver superato questi momenti grazie al nostro amore e affiatamento di coppia. Oltre ai colloqui facevamo anche dei momenti di formazione, incontrando altre coppie, e condividendo con loro le nostre storie, le nostre paure, le nostre aspettative e speranze e ricevendo da esperti, importanti supporti teorici, per prepararci all’importante compito educativo di crescita dei nostri figli. E dopo aver fatto i colloqui… Al termine degli incontri con l’Assistente Sociale, durati un anno, abbiamo avuto un incontro con lo psicologo, che ci ha somministrato separatamente, un test per valutare la conoscenza reciproca e la sintonia su determinate scelte di vita e al termine del suo lavoro anche lui ha steso una relazione. La documentazione fin qui raccolta è stata così consegnata al Tribunale dei minori di competenza, nel nostro caso di Milano, unitamente alla richiesta di idoneità all’adozione. Vi è stato chiesto di esprimere una preferenza per l’adozione?

Si, ci è stato chiesto di sottoscrivere un documento nel quale dovevamo indicare le caratteristiche, per sesso, età, ecc, del bambino che volevamo adottare, quanti ne volevamo, senza poter però indicare il paese di provenienza. Per quanto tempo avete atteso la risposta del Tribunale? Per 2 anni. Poi siamo stati convocati per un colloquio e il Giudice Tutelare ci ha dato l’idoneità per l’adozione di 1 o più minori. A questo punto cosa avete fatto? Ci siamo rivolti, su consiglio di amici, ad una associazione in provincia di Bergamo, fra le tante accreditate, che sono in contatto con i paesi da cui provengono i minori e si occupano di tutte le pratiche necessarie del caso. Per l’adozione internazionale si seguono delle procedure stabilite dalla legge internazionale e italiana, al fine di garantire il rispetto dei diritti dell’adottato, ma anche della famiglia che adotta. Questa associazione era in contatto con la Russia, l’Ucraina, lo Sri Lanka e la Costarica. Anche in questo caso abbiamo avuto momenti formativi con psicologi e con altre coppie per prepararci al nostro futuro ruolo di genitori. Perché avete pensato alla Russia?

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La scelta della Russia è stata formalizzata durante il percorso con l’associazione, ed è stata da noi preferita agli altri paesi, perché avevamo sotto casa la badante della mamma, di lingua russa, e abbiamo pensato che ci avrebbe certamente potuto aiutare, per gli iniziali problemi di comunicazione legati alla non conoscenza della lingua. Quando ci hanno chiamato ci hanno detto che c’era la possibilità di adottare 3 fratelli. Dovevamo però decidere subito. Cosa ricordate di quel momento? Non è stato facile, perché eravamo stati “sballottati” da un paese all’altro nel giro di poco tempo e quando poi è arrivata la conferma è cambiato anche il numero dei bambini… tre in un solo colpo! La motivazione era comprensibile, non volevano separare i fratelli, ma per noi decidere, è stato un po’ come andare controcorrente nella nostra cerchia familiare, per la grande responsabilità che ci prendevamo nei confronti di così tanti bambini. Ma noi abbiamo accettato, e così nel giro di tre mesi abbiamo preparato tutti documenti necessari per andare a San Pietroburgo a conoscere i nostri bambini. Com’è stato il primo incontro? Siamo rimasti lì per 3-4 giorni e abbiamo avuto la possibilità di vedere tutti e tre i bambini, anche se per poco

tempo, perché poi Sasha e Anatolij sarebbero partiti per il mare. I bambini erano in un istituto grandissimo suddiviso in settori per età; Andrea era con i bambini più grandi e aveva 7 anni, mentre Anatolij e Sascia erano insieme, avendo rispettivamente 6 e 5 anni. Parlavano tutti e tre solo il russo, mentre noi non eravamo in grado di comunicare con loro, e per questo c’era un traduttore. Ricordiamo che appena entrati in istituto, tutti i bambini ci venivano incontro, ci saltavano in braccio, quasi a ricercare un contatto umano personale. Quando siete andati a prendere i bambini per portarli finalmente a casa? Ad ottobre è arrivata la sentenza del Tribunale che ufficializzava l’adozione, ma per motivi burocratici non ci è stato possibile portarli a casa nel nostro secondo viaggio avvenuto a novembre, bensì solo a dicembre. Pertanto da ottobre i bambini erano a tutti gli effetti figli nostri, ma abbiamo dovuto mantenerli, anche economicamente, ancora in Istituto per altri 2 mesi. Raccontateci il finale in Russia… Siamo tornati lì a dicembre e siamo rimasti per 8 giorni soli con i bambini in un appartamento, per conoscerci un po’ prima di rientrare in Italia con loro. Ricordiamo in particolare la prima notte, dopo una giornata di giochi e di

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serenità nello stare insieme. Quella notte invece i bambini non avevano voluto dormire con noi, bensì loro tre insieme e hanno pianto in continuazione, con poca possibilità di essere consolati perché non capivamo cosa dicevano. E’ stato veramente difficile e straziante sentirsi impotenti in ciò che avevamo desiderato per tanto tempo. Poi nei giorni successivi tutto è andato meglio. Come sono stati i primi mesi da genitori in Italia? Impegnativi. La badante che avevamo a casa ci aiutava con la lingua e nel frattempo anche noi cercavamo di insegnare qualche parola di italiano, vedendo che imparavano tutto in fretta. Abbiamo voluto mandarli presto anche a scuola, per la lingua e per la socializzazione con altri bambini e a catechismo, per dar loro anche il dono della fede, inserendoli pure nella vita dell’oratorio. Siamo stati ancora visitati dai Servizi Sociali, dopo l’arrivo dei bambini, per monitorare il loro inserimento, e poi dopo un anno ci siamo sentiti liberi da controlli. Come sono stati accolti i bambini dalla gente? All’inizio è stato difficile fare i conti con le etichette date dalla gente, che ti toglie l’identità e ti identifica per un aspetto che ti appartiene. “Arrivano i

russi” ci sentivamo dire a scuola e in altri contesti che frequentavamo. Poi, con il passare del tempo e con la nostra azione di accompagnamento della gente, ci siamo sentiti più naturali, nel non dover più giustificare o dire a nessuno chi erano e da dove arrivavano i nostri bambini. Erano i nostri figli e basta, e questo è ciò che importava, allora e oggi. Abbiamo chiesto ai ragazzi cosa ricordano di tutta la storia che vi abbiamo raccontato. I ragazzi sono apparsi molto sereni. Andrea, il più grande dei fratelli ricorda tutto e ci racconta alcuni aneddoti dell’incontro con noi e della vita in istituto. Anatolij e Sascia hanno ricordi sfuocati. Andrea ci dice che ha dovuto fare i conti con le domande e la curiosità della gente, ma ora lui non ci fa più caso, perché la sua storia lo ha reso caratterialmente forte e sicuro di sé. Franca e Moreno che messaggio volete lasciarci da questa meravigliosa esperienza familiare? A distanza di dieci anni siamo felici di aver scelto l’adozione per diventare genitori, è stata una scelta consapevole e desiderata. Volevamo donare tutto il nostro amore e se avessi potuto, dice Franca, avrei adottato anche una bambina che ci avevano proposto, ma avremmo dovuto rifare ancora tutto il

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percorso burocratico durato tre anni, e con tre bambini, poi non ce la siamo più sentiti. E’ stata comunque per noi un’esperienza meravigliosa, che ci ha fatto nascere come famiglia e che continua ancora oggi, con le gioie e le fatiche naturali che accompagnano le tappe di crescita dei nostri figli.

Quanto vi ha aiutato la vostra fede? Tanto, nel mantenerci saldi sul nostro obbiettivo di essere famiglia. Ringraziamo anche Don Lodovico che ci è stato vicino in tutto il percorso, dandoci conforto e speranza.

Dopo aver incontrato la Famiglia Mascheroni, abbiamo voluto conoscere anche l’esperienza di adozione vissuta dalla famiglia Crippa, che anche in questo caso, ci ha accolte con calore, per condividere con noi, non solo il

percorso burocratico, ma anche gli aspetti umani che hanno fatto da cornice a tutta la vicenda, determinandone il valore centrale e sostanziale di questa scelta di vita familiare, che ha portato all’adozione

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di 2 bambini, ora di 9 e 4 anni, Federico e Alessio.

Tralasciamo, di raccontare la prassi e la procedura formale di avvio e di conduzione della pratica adottiva, che ci è stata confermata uguale a quella della famiglia Mascheroni, nel suo iter esecutivo, per concentrarci meglio sugli aspetti che hanno caratterizzato l’esperienza di questa famiglia.

Quando avete incominciato a pensare all’adozione?

Eravamo sposati ormai da 3 anni e quando abbiamo capito che non avremmo potuto avere figli naturali, ci siamo detti “se il destino vuole questo…” e abbiamo così pensato di intraprendere il percorso dell’adozione, perché desideravamo tanto diventare genitori. Abbiamo presentato la prima domanda nel 2005 e ci sono voluti 5 anni per avere il primo bambino.

Che impatto avete avuto con questa realtà?

Per tutte le coppie che non hanno mai adottato si tratta di confrontarsi con un mondo sconosciuto, anche se cerchi di avvicinarti documentandoti prima. Si è coinvolti, come coppia, in corsi di formazione e colloqui di ogni genere con Assistenti Sociali e Psicologi, che cercano di conoscere ogni aspetto della vita familiare, da quelli valoriali ad altri più di natura concreta, per

valutare la presenza di requisiti formali ed educativi.

Pensiamo che sia importante entrare a far parte di associazioni di genitori adottivi, per poter condividere i vissuti, e capire i disagi e le paure che si provano nella coppia, supportandosi a vicenda e aiutandosi a prepararsi a ciò che verrà.

Che tipo di domanda avete presentato?

Inizialmente abbiamo presentato una domanda nazionale, ma poi, ci siamo orientati verso l’adozione internazionale, per il decorso troppo lungo e lento dei tempi burocratici della prima.

A chi vi siete rivolti per la prima adozione?

Siamo stati ben seguiti dall’associazione Enzo B di Torino, che ci ha accompagnati in tutte le fasi del percorso, anche in quelle più faticose sul piano umano.

A che paese era rivolta la vostra attenzione?

Al Vietnam, e per i nostri requisiti di età, ci avevano detto che ci sarebbe stato assegnato un bambino in età prescolare. I bambini adottabili provengono da diverse tipologie di problematiche sociali, maggiormente rilevanti a seconda del paese di provenienza.

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Come è stata da voi vissuta la prima esperienza di adozione, attraverso tutto l’iter burocratico che ci ha raccontato anche la famiglia Mascheroni?

E’ stato un periodo lungo e faticoso, che ci ha messi a dura prova a livello di coppia. Ci siamo accorti di quanto sia importante che la coppia sia solida e che non si senta mai sola. Ci siamo sempre più convinti che non si è genitori solo biologicamente, ma che lo si diventa anche, sentendo sempre più nascere dentro di sé quel desiderio di donare la vita attraverso l’amore.

Che età aveva Federico quando lo avete incontrato e lo avete portato a casa?

Federico, il nostro primo bambino, aveva solo 13 mesi quando siamo andati in Vietnam per portarlo a casa. E’ stato sufficiente un solo viaggio con una permanenza sul posto di soli 16 giorni. Abbiamo capito fin da subito, che era un bambino molto sensibile, ma anche attivo, sveglio e curioso, con tanta voglia di muoversi e di conoscere il mondo, come del resto è ancora oggi, con la sua bella vitalità, che lo rende simpatico a tutti i compagni e agli amici che lo ricercano e che gradiscono stare con lui.

Che cosa va detto, se è giusto farlo, ad un bambino adottato del suo passato?

Le associazioni che ci hanno seguito nel nostro percorso di formazione, ci hanno sempre detto che non bisogna nascondere nulla ai bambini ma accompagnarli a conoscere la loro storia, nei modi e nei tempi a loro funzionali, ad esempio per noi è stato più facile farlo utilizzando il racconto delle fiabe.

Quando avete incominciato a pensare alla seconda adozione?

Dopo 2 anni dall’arrivo di Federico avevamo un grande desiderio di dargli un fratellino, nonostante conoscessimo ora perfettamente tutto l’iter da fare, che si ripete esattamente per ogni nuova adozione.

Come sono andate le cose in questa seconda esperienza, che vi vedeva da un lato già provati sul fronte delle pratiche e dei colloqui, e dall’altro più pronti a fronteggiare eventuali criticità di percorso?

In realtà, ci si sono posti dinnanzi degli ostacoli formali ancora più grandi, che in alcuni momenti sembravano volerci convincere dell’impossibilità di riuscire ad adottare un altro bambino. I numerosi colloqui e verdetti degli “esperti”, si basavano talora su interpretazioni di fatti e situazioni non realmente corrispondenti alla nostra storia familiare, ma generate invece da eventi stressanti e contingenti, che ci coinvolgevano insieme con il bambino,

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fino al punto di arrivare, con una sentenza negativa, “a rubarci la speranza”, perché la decisione non è mai stata accompagnata da una motivazione davvero valida.

A quel punto cosa avete pensato e fatto come coppia?

Ci hanno messo davvero a dura prova come coppia, ma noi pesavamo che, se il destino ci aveva posto su questa strada, dovevamo andare avanti.

Isa ci dice che in quel momento aveva sentito dentro di sé una grande forza, che le diceva che doveva andare avanti a tutti i costi, che doveva farlo per i suoi bambini, per Federico che già era con loro e per l’altro bambino, già tanto desiderato e atteso nella loro famiglia.

Così abbiamo deciso di fare ricorso in Appello e abbiamo dato la disponibilità per fare numerosi corsi di formazione. Alla fine, dopo un lungo tempo, di impegno concreto per le continue trasferte a Milano, ed emotivo per la messa in gioco del rapporto di coppia, abbiamo avuto il verdetto positivo, che ci ha permesso di rivolgerci ad un’associazione, diversa dalla prima, che ci ha aiutati nel concretizzare l’adozione.

E questa volta a quale paese vi siete rivolti?

Abbiamo scelto la Cina, e sapevamo che il bambino avrebbe avuto un’età inferiore ai 4 anni, dovendo avere almeno 2 anni di differenza con il fratellino già presente.

Come si chiama il vostro secondo figlio?

Si chiama Alessio, ed è un bambino dolcissimo. Fin da subito ci siamo accorti che, pur non sapendo parlare, per un problema curabile, al palato, capiva tutto e si faceva ben capire da tutti.

Alessio è ancora così, dolce, tranquillo e amorevole. Ora frequenta con gioia l’asilo di Alzate, e ha tanti amici ed è coccolato anche dagli amici di suo fratello. Federico ha avuto un ruolo importante nell’accoglienza di Alessio, ha fatto da ponte, da collante con noi. Federico e Alessio si sono fin da subito cercati e ancora adesso c’è uno splendido rapporto tra loro, un vero rapporto tra fratelli.

C’è qualche aneddoto che ci volete raccontare, che riassume un po’ la vostra esperienza?

Risponde Isa e ci racconta che un giorno era in auto con il figlio Federico e si sentiva sconfortata e sentiva di non essere brava a fare la mamma. Così le era venuto spontaneo e naturale dirlo al bambino e chiedere a lui ”ma, Federico, secondo te, cosa sa fare bene la mamma? E ricorda, con

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emozione ancora viva oggi, che Federico aveva risposto…”amarmi”

Crediamo che questo sia il sottile filo che ha tessuto la trama di tutta questa splendida storia familiare.

Che messaggio volete lasciarci dopo tutto ciò che ci avete raccontato?

Ci piace sottolineare la bellezza di questo percorso, un percorso che si sceglie, con gioia, di intraprendere, ma che nasce da un lutto, cioè dalla consapevolezza di non potere avere figli propri, una consapevolezza faticosa, che va elaborata.

La coppia non parte insieme, perché ognuno ha una sua storia e ha esperienze di vita diverse, ma è importante che arrivi ad avere un desiderio univoco.

Con l’adozione, la coppia si apre ad un’altra forma di genitorialità, che non passa solo da ciò che è biologico, ma che si costruisce attraverso l’amore quotidiano. Ci dice Isa” mi ritengo fortunata per ciò che ho vissuto e costruito, perché siamo usciti rafforzati, come coppia, da questa faticosa esperienza, e perché ho scoperto in Aldo un padre forte, deciso, e amorevole per i nostri figli. A conclusione di queste 2 bellissime storie familiari, che ci parlano di perseveranza nella fede e nell’amore,

vogliamo citare una riflessione di Papa Francesco in merito all’adozione.

Papa Francesco evidenzia come l’adozione sia una via per realizzare la maternità e la paternità in un modo molto generoso, desidera inoltre “incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi. Adottare – sottolinea Papa Francesco – è l’atto d’amore di donare una famiglia a chi non l’ha. Coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio”.

Luisa e Wilma

Anche voi potete raccontarci una vostra

significativa esperienza di vita o

segnalarci persone della Comunità

Pastorale da intervistare, contattandoci

all’indirizzo di posta elettronica della

Redazione

[email protected] .

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RUBRICA RACCONTI

C’era una volta un uomo seduto ai bordi di un’oasi all’entrata di una città del Medio Oriente.

Un giovane si avvicinò e gli domandò:” Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?”.

Il vecchio gli rispose con una domanda: “Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”.

“Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là”.

“Così sono gli abitanti di questa città” rispose il vecchio.

Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all’uomo e gli pose la stessa domanda:” Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?”.

L’uomo rispose di nuovo con la stessa domanda:” Com’erano gli abitanti della città da cui vieni?”.

“Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto tanta fatica a lasciarli”. “Anche gli abitanti di questa città sono così”, rispose il vecchio.

Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all’abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si

allontanò, si rivolse al vecchio in tono di rimprovero:” Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?”.

“Figlio mio - rispose il vecchio - ciascuno porta il suo universo nel cuore”. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici nell’altra città troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perche, vedi, le persone sono ciò che noi troviamo in loro”.

Si trova sempre ciò che si aspetta di trovare…

(Bruno Ferrero,

A volte basta un raggio di sole”)

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RUBRICA “COMUNITÀ IN BIANCO E NERO”

Parrocchie d’altri tempi…

Nel precedente articolo abbiamo rivissuto, con un po’ d’immaginazione, la prima visita pastorale del Card. Ferrari alla Parrocchia di Alserio. Cerchiamo ora di dare uno sguardo d’insieme alle nostre comunità cristiane, così come risultano appunto dai questionari preparatori di questa visita.

E’ giusto partire dal basso, cioè dal popolo, nello stile del Card. Ferrari, ed anche di papa Francesco. Vediamo quanti erano gli abitanti delle (allora) tre parrocchie:

- Parrocchia di Alzate 2.000

- Parrocchia di Anzano 1.360

- Parrocchia di Alserio 780

Per un totale di 4.140 anime. Verifichiamo se i nostri parroci sono stati scrupolosi. Il censimento del Regno del 1901 registra:

- Comune di Alzate con Verzago

abitanti 1.546

- Comune di Fabbrica Durini

abitanti 757

- Comune di Anzano del Parco

abitanti 1.105

- Comune di Alserio abitanti 745

Per un totale di 4.153 residenti. I nostri parroci sono stati precisi. Le apparenti vistose differenze derivano dalle suddivisioni amministrative. Così Monticello era Parrocchia di Alzate ma comune di Anzano, Carbusate parrocchia di Alzate ma comune di Fabbrica Durini, e così via.

Una curiosità: molti penseranno che a quell’epoca quasi tutti esercitassero il mestiere di contadini… Ebbene, non era più così: ci sovviene anche in questo caso il censimento del Regno d’Italia del 1901. Possediamo i dati dettagliati del Comune di Alzate con Verzago, ed è ragionevole supporre che anche nei comuni vicini la situazione fosse analoga.

Se prendiamo in considerazione tutti i maschi con più di 10 anni, quindi conclusa la scuola dell’obbligo delle tre prime classi elementari, parliamo di 571 persone, ebbene, queste sono le loro occupazioni:

Contadini 66,5% Operai 11,6%

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Artigiani 10,2% Commercianti 6,1% Burocrazia 3,9% Benestanti 1,2% Domestici 0,5%

Eh, sì, i due terzi sono contadini, gli operai solo il 10%. Per burocrazia intendo impiegati, insegnanti, medici, avvocati, ingegneri, insomma tutti i “colletti bianchi”.

Se però comprendiamo anche le donne sopra i 10 anni, arriviamo a 1087 persone, e troviamo qualche sorpresa:

Contadini 38,2% Operai 23,0% Casalinghe 22,7% Artigiani 5,3% Commercianti 3,8% Benestanti 2,9% Burocrazia 2,4% Domestici 1,7%

I contadini sono ancora in maggioranza, ma ormai al di sotto del 40%. Gli operai, vicini al 25%, hanno già superato la folta schiera delle casalinghe. Più che di operai sarebbe meglio parlare di operaie, giacché sono ben 184 le donne impiegate nelle fabbriche. In ogni famiglia infatti le ragazze, terminata la scuola e fino almeno al matrimonio, venivano impiegate nelle numerose filande, o incannatoi della zona.

Dall’almanacco statistico della Provincia di Como, all’anno 1905, apprendiamo che ad Alzate vi era un incannatoio di proprietà dell’industriale Colombo Edoardo, posto di fronte all’ingresso della villa Odescalchi, che occupava oltre 100 operaie. Ad Alserio vi era un incannatoio e una filanda, ad Anzano una bachicoltura. Bisogna ricordare che il fiorente allevamento dei bachi da seta era diffuso in quasi tutte le famiglie che avevano locali appositi e la coltivazione del gelso, il “morone” aveva soppiantato altre colture. A fine secolo in Alzate erano state censite oltre 5000 alberi di gelso.

Assai diffusa anche l’emigrazione stagionale. ”Annuale e notevole l’emigrazione in Svizzera” (Don Bellini-Alzate), “Emigrazione in Svizzera di 20 persone nella stagione dei lavori” (Don Bettega – Anzano).

Caratterialmente com’era la popolazione? Don Bellini dice che era “quieta, rispettosa, religiosa di cuore e di pratica”. Non vi circolavano discorsi irreligiosi, né libri o giornali “cattivi”. Alla domanda sui nati illegittimi nell’ultimo quinquennio, i parroci rispondono uno ad Alzate, uno ad Alserio e nessuno ad Anzano.

Interessante il quesito sulle “unioni concubinarie”, cioè come oggi le chiameremmo “convivenze”. Tutti e tre

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i parroci dichiarano che non ve ne sono. In realtà ad Alzate ne sarebbe giunta l’anno seguente almeno una: la contessa Giuseppina Corneliani, proprietaria della Villa Odescalchi, viveva “more uxorio” con il suo amministratore/contabile e con tre figli, due figlie nate nel 1897 e 1898 a Milano portavano il cognome della madre e risultavano figlie di padre ignoto. La terza figlia, nata nel 1900 ad Alzate vi era stata battezzata, “obtorto collo” dal prevosto Bellini e dichiarata figlia della nubile contessa e del vedovo contabile. Quasi una soap opera in salsa brianzola…

Pratica religiosa

La partecipazione alle celebrazioni religiose era pressoché totalitaria. Un quesito chiedeva di indicare quanti fedeli non avessero rispettato il “precetto pasquale” l’anno

precedente. Come tutti ben sapranno, uno dei cinque precetti della Chiesa cattolica dispone infatti “Confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi almeno a Pasqua”. Era ritenuto talmente importante questo precetto che nelle nostre parrocchie era in vigore, almeno fino agli anni Settanta, l’usanza di distribuire al momento della Comunione un’immaginetta con l’indicazione “Precetto pasquale anno xxxx” quasi come “attestazione” dell’adempimento. Ebbene i buoni sacerdoti rispondono: ad Alzate 3 uomini, ad Alserio ben 4 uomini, ad Anzano, più fervoroso, nessuno!

Alla domanda sulla frequenza del popolo ai sacramenti, il prevosto di Alzate risponde “generalmente una volta al mese le donne, tre, quattro volte l’anno gli uomini” i parroci di Alserio e Anzano sono più evasivi.

Alserio: “Piuttosto di spesso” Anzano “Colla debita direzione”.

Catechesi

Alcune domande si appuntano sulla “dottrina cristiana”, come allora la si chiamava, ed in particolare si chiede se in parrocchia siano funzionanti le “classi” in tutte le domeniche e

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Comunità in Dialogo

feste, quale sia la loro frequenza e se siano provviste di buoni maestri e maestre. Come funzionavano dunque queste classi dette popolamente“dutrinètt”? I ragazzi e le ragazze tra i 6/7 anni e i 16 circa erano suddivisi in classi, in genere quattro, basate in linea di massima sull’età ma anche sulla preparazione. Ad essi si aggiungevano adulti cha avevano bisogno, a insindacabile giudizio del parroco, di approfondire qualche aspetto. Le “classi” si radunavano la domenica, di primo pomeriggio, sotto la guida di “maestri” e “maestre”, laici volonterosi che si prestavano al difficile compito. Ebbene, tutti e tre i parroci assicurano che le classi si tengono, ma differiscono sul giudizio circa la frequenza, si va dal “lodevole” di Anzano, al più realistico “discreta” di Alserio, fino ad Alzate che distingue la presenza “numerosa” del settore femminile dalla “scarsa” da parte del settore maschile.

Viene poi chiesto se dopo le classi il parroco faccia la “dottrina” dal pulpito. Tutti assicurano. In pratica il giorno festivo degli abitanti dei nostri paesi era scandito dagli impegni religiosi. Al mattino Messa, di pomeriggio Vesperi e Dottrina cristiana.

Infine si chiede se nelle scuole pubbliche (nei nostri paesi si

trattava di scuole comunali, gestite e pagate dai comuni), si insegni il Catechismo. Come mai questa domanda? Nei programmi e istruzioni del Regno d’Italia, datate 1867, il ministro Coppino, pur senza abrogare l'insegnamento della religione cattolica, non ne fece più espressa menzione; di conseguenza alcuni Comuni interpretarono il silenzio come abolizione e non ne curarono più l’attuazione. I buoni parroci rassicurano invece che i maestri e maestre comunali provvedono puntualmente all’insegnamento religioso, che il parroco si reca di

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Comunità in Dialogo

sovente presso le scuole e che “lo si accoglie garbatissimamente nelle sue visite amichevoli alla scuola, e lo si invita ad assistere all’esame orale della chiusa dell’anno scolastico” (Don Bellini).

Prima Comunione – Quarantore - Confessioni

La prima comunione era preceduta, in tutte e tre le parrocchie, da un periodo di intensa catechesi, che iniziava con la Quaresima, e proseguiva fino al giorno della celebrazione. Particolare curioso, le tre Parrocchie avevano date diverse per la Prima Comunione. Ad Alzate la prima domenica di Maggio, ad Alserio nella Solennità dell’Ascensione, ad Anzano la Festa di San Luigi (21 giugno).

Alla domanda “Se e quando si facciano le Ss 40 Ore, e se siavi predicazione” tutti e tre i parroci rispondono affermativamente. In momenti diversi, però. Ad Alzate negli ultimi tre giorni del Carnevale precedenti la Quaresima ambrosiana, ad Anzano i tre giorni dopo l’Epifania, ad Alserio la terza domenica di gennaio.

Viene poi chiesto in quali occasioni vengano invitati confessori straordinari. Interessanti le risposte.

Alzate: “Si chiamano nelle Vigilie delle Feste: Patronale dei S.S Apostoli Pietro

e Paolo, dell’Assunta, della Natività, del S. Rosario; alle 40 Ore, al Martedì Santo, e il 10 maggio (S. Giobbe)”.

Alserio: “Quattro volte l’anno: alla Festa dell’Indulgenza della Porziuncola, alla festa del Santo Patrono, alle Sante Quarntore, a Pasqua”.

Anzano: “In occasione delle Quarantore, in tempo Pasquale principalmente e alla Festa di S. Michele”.

Oratori

Punto assai delicato, che sta molto a cuore al Card. Ferrari, è la diffusione degli Oratori in tutte le Parrocchie, per l’educazione cristiana della gioventù. E’ ferma in lui la consapevolezza che tale opera fondamentale non possa essere delegata unicamente alle famiglie, già allora in profonda trasformazione, né tanto meno alle scuole, ormai in gran parte nelle mani dello stato laico. Sono necessari ambienti nei quali detta formazione sia assicurata, sotto la guida dei sacerdoti, in particolare i giovani coadiutori e, per le ragazze, delle suore, che in quel periodo cominciano a diffondersi capillarmente in ogni parrocchia.

Ebbene alla domanda “Se sianvi gli oratori, e quanti giovinetti e giovinette li frequentino”, le risposte sono abbastanza evasive, pur confermando che in nessuna delle Parrocchie vi sia

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Comunità in Dialogo

ancora una struttura apposita. Il parroco di Alserio non risponde, quello di Alzate dice “Non si ha che l’Oratorio deiConfratelli attiguo al Presibitero della Parrocchiale”, risposta che c’entra ben poco, limitandosi ad affermare che esiste una struttura, adiacente la chiesa prepositurale ad uso della Confraternita del SS. Sacramento, per i loro raduni.

Dal parroco di Anzano apprendiamo invece una notizia interessante. “L’Oratorio dell’Addolorata per 4 mesi d’estate è servito ad uso dottrina per giovinetti e giovinette dalla graziosa assistenza dei Chierici in vacanza alla Villa di S. Giuseppe”. Una specie di Oratorio estivo in embrione, per rdunare e istruire i ragazzi, senza però, ancora, la dimensione del gioco e del divertimento.

Confraternite e Pie Unioni

Nelle tre parrocchie è presente la Confraternita del Ss. Sacramento, con il seguente numero di adesioni: Alzate 162 confratelli e 402 consorelle; Anzano 120 confratelli e 240 consorelle; Alserio 54 confratelli e 140 consorelle. Fatte le proporzioni con gli abitanti, possiamo così desumere che il 25/30% degli uomini e il 75/80% delle donne fosse iscritto alla Confraternita.

In quali modi si attuava nelle opere la partecipazione a questa devota associazione, fondata da S. Carlo

Borromeo? Sono gli stessi parroci a descriverne l’attività: assistenza con la divisa alle funzioni solenni, alle Processioni, accompagnamento ai funerali dei confratelli defunti, preghiera di suffragio per gli stessi, ad Alserio anche accompagnare il S. Viatico per i moribondi.

Oltre alla Confraternita del SS. Sacramento, ad Alzate troviamo anche la Confraternita del SS. Rosario nella Chiesa Parrocchiale. I confratelli si ritrovano dopo i Vespri ogni 1° domenica del mese alla Cappella della Madonna nella Parrocchiale e recitano il Rosario, seguito dal canto delle Litanie e dell’Antifona.

Vi sono poi le pie unioni delle giovinette e dei giovinetti. Per le ragazze le Figlie di Maria, presenti ad Alzate ed Alserio. Ad Alzate troviamo 65 aspiranti e 170 Figlie, con proprio regolamento, divisa costituita da medaglia con nastro e due o tre adunanze mensili. Ad Alserio non viene detto quante siano, ma il parroco ci informa che ogni domenica “si ritirano nell’Oratorio a recitare il loro Ufficio”.

Ad Alzate esistono anche i Luigini, pia unione per la gioventù maschile che si richiama all’esempio di San Luigi Gonzaga, ma Don Bellini lamenta: “Nessun cooperatore. Difficili le radunanze e scarsi gli interessamenti. Molti i disertori dei 50 iscritti”. Già

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Comunità in Dialogo

allora non era facile coinvolgere i ragazzi…

E ad Anzano? Così si sfoga il buon parroco Bettega: “La divisione della Parrocchia in Anzano e in Fabbrica, la loro distanza, la moltitudine e lontananza delle cascine, il non potere i due Sacerdoti prestare efficace assistenza alle Pie Unioni di giovinetti e giovinette rende impossibile le dette Unioni, per intenderci Luigini e Figlie di Maria”.

Clero

Concludiamo parlando dei sacerdoti che in quel momento si trovavano nelle nostre comunità. Ad Alzate c’era il Prevosto Prof. Don Elia Bellini, di Milano, 65 anni e lunga parte della sua vita passata ad insegnare in Seminario e nel Collegio San Carlo. Un letterato dalla profonda conoscenza della Bibbia (Potete vedere la sua foto, con il tricorno in testa e lo sguardo da miope). Con lui Coadiutore Titolare presso la chiesa di San Giorgio c’era Don Ambrogio Sala, di Macherio, 44 anni, e tutta la sua esperienza pastorale vissuta nelle parrocchie.

Ad Alserio il parroco era Don Domenico Parravicini, di Erba, 66 anni, coadiutore per 20 anni a Brugora, poi dal 1877 ad Alserio (Anche di lui ho riportato una

vecchia foto, sempre col tricorno, ma senza fiocco). Coadiutore cappellano alla villa di Tassera era Don Antonio Caprotti, 44 anni, originario del Lago Maggiore.

Parroco di Anzano era Don Francesco Bettega, nativo di Dorio, alto lago di Como, già avanti in età con i suoi 72 anni; coadiutore per 35 anni a Colnago, poi dal 1886 ad Anzano. Coadiutore Cappelano a Fabbrica dal 1840 Don Giosuè Villoresi, 81 anni. Entrambi anziani, dunque, e poco in salute, tanto che non partecipano ai periodici raduni del clero della pieve di Incino “per impotenza”.

Ultimo particolare. E’ chiesto ai parroci, a loro parere, quali siano “disordini od abusi da correggersi” nelle loro Parrocchie. Ad Anzano ed Alserio sembrano non esserci problemi. Don Parravicini risponde “In ispecie nessuno”, Don Bettega, quasi seccato: “Fu già detto che i costumi sono generalmente buoni e non vi sono disordini”.

Don Bellini invece, riguardo ad Alzate, è un po’ più critico, e sottolinea tra l’ironico e il realistico: “Noncuranza e debolezza nei genitori. Osterie parecchie e frequentate.”

Angelo Pifferi

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Comunità in Dialogo

NON FARÒ MAI L’INSEGNANTE

(DI ALESSANDRO D’AVENIA)

«Cari professori, siete la

categoria che più mi irrita.

So già cosa state pensando:

“i soliti adolescenti”,

“questi giovani di oggi”,

“non ci ascoltate mai”.

Fermatevi. Capovolgete la

situazione. Siamo noi

ragazzi a pensare: “i soliti

insegnanti”, “questi frustrati di oggi”,

“non ci ascoltano mai”. La passione che

trasmettete è pari a uno schiaffo.

Magari alcuni professori vi hanno

rovinato la vita. Posso capirlo. Perché

allora non agire per contrasto?

Trasmetteteci tutta la passione che

avreste voluto ricevere. Guardateci

negli occhi e scovate le scintille di vita

e di talento. Sfidateci. Siate padri e

madri. Semplicemente: siate! Cercate

di cogliere la nostra individualità e

diversità. Gli adolescenti non sono tutti

uguali. Non sprecate energie nel

tarparci le ali o dirci che non ne vale la

pena, perché altrimenti penseremo

che VOI non ne valete la pena. Non

farò mai l’insegnante: questa è l’unica

certezza che mi avete dato. La buona

notizia però è che siete in tempo per

cambiare e per cambiarci. Se

lo farete sarete ricompensati.

Noi vi seguiremo. Lo

prometto». Qualche mese fa

ho ricevuto questa impetuosa

lettera che, al netto dei toni

dettati dall’intransigenza

adolescenziale, da un lato

mostra il forte desiderio di

maestri appassionati e affidabili da

seguire senza la pretesa illusoria di

poter crescere da soli, dall’altro mette

il dito nella piaga della scuola: l’assenza

di cura per l’unicità delle persone.

Quella stessa cura che noi insegnanti

fatichiamo a prestare perché, prima di

tutto, non la riceviamo noi. Il fuoco che

anima chi comincia con entusiasmo la

professione viene puntualmente

spento da un sistema che ottiene il

contrario di ciò che si propone, come

tradisce la sua iper-burocratizzazione,

tipica delle strutture umane

autoreferenziali e impersonali, in cui il

tempo da dedicare alle vite viene

sostituito da carte prodotte da chi in

classe non entra.

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Comunità in Dialogo

Guardate la vita contenuta

nella vostra mano: le linee sul

palmo e le impronte digitali con

le quali il vostro cellulare vi

riconosce, sono le stesse che

avevate a neanche un mese dal

vostro concepimento. Fu

osservando al microscopio

questi solchi, che a metà del

secolo scorso Jerome Lejeune

scoprì la causa genetica della

sindrome di Down. Lo scienziato

amava dire che già nello zigote,

la cellula frutto dell’unione di

spermatozoo e ovulo, era contenuta la

profezia di una vita intera: il genoma, il

corredo cromosomico per metà

materno e per metà paterno, equivale

a un libro inedito di oltre 3 miliardi di

lettere scritto nel nucleo di una cellula

di 0,1 millimetri. Un messaggio, unico e

irripetibile, che si sviluppa e specifica

gradualmente in un essere altrettanto

unico e irripetibile, la cui vita cresce

solo se ne viene curata e rispettata

l’originalità. L’alternativa è infatti la

morte fisica o spirituale, come

mostrano le parole scelte da Vasilij

Grossman all’inizio del suo capolavoro,

«Vita e destino», per descrivere

l’uniformità dei campi di

concentramento: «La ferocia disumana

dell’enorme lager si esprimeva nella

regolarità perfetta. Le izbe

russe sono milioni, ma non

possono essercene — e non ce

ne sono — due perfettamente

identiche. Ciò che è vivo è

irripetibile. Due uomini, due

cespugli di rose selvatiche, non

possono essere uguali. E dove

la violenza cerca di cancellare

varietà e differenze, la vita si

spegne».

In modo diverso scienza,

letteratura e storia ci mostrano che

l’esistenza è posta sotto il segno

dell’unicitàe qualsiasi struttura umana

ignori o annulli tale segno spegne la

vita: per questo conformismo e

totalitarismo sono gemelli, il primo

costringe a fare ciò che gli altri fanno, il

secondo ciò che gli altri vogliono. Sono

disumani tutti i sistemi che ostacolano

la pluralità necessaria per vivere la

propria libera e autentica dimensione

sociale, in cui ciascuno dà agli altri

quello che è e riceve dagli altri quello

che non è, come accade in

un’orchestra, in una squadra, perché il

timbro di ogni singolo strumento o il

ruolo occupato in campo sono

necessari all’armonia totale. Il nostro

sistema scolastico tende a ignorare e

persino ostacolare l’unicità, per questo

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Comunità in Dialogo

spesso produce insegnanti e alunni

frustrati. Che cosa avvelena un

mestiere così bello e la naturale

predisposizione dell’uomo alla

conoscenza? Il fatto che docente e

studente vengono inseriti in una

catena di montaggio da cui escono

sfiniti più che finiti, perché trattati da

oggetti anonimi e non da soggetti di

possibilità irripetibili.

Basta correggere i compiti degli

studenti per scorgere una potenziale

orchestra o squadra: la loro grafia in

cerca di sé stessa, ora illeggibile, ora

elegante, è il segno evidente di un

rapporto unico con la realtà. Stanno

elaborando la loro presa di posizione di

fronte al mondo, possibile solo grazie

alla scoperta, conoscenza, accettazione

della propria unicità. Per essere

originali bisogna essere originari,

questo vuol dire che nel periodo di

formazione è fondamentale che gli

educatori per primi siano consapevoli

della propria unicità. Noi insegnanti

siamo direttori d’orchestra o allenatori,

abbiamo a che fare con vite irripetibili

a cui affidare la sinfonia o la partita.

Eppure nei nostri registri mancano

spazi per descrivere i talenti di un

ragazzo. I consigli di classe si riducono

alla condivisione di voti e fatti

spiacevoli di condotta. Se un ragazzo

assistesse al momento in cui parliamo

di lui durante un consiglio, che cosa

scoprirebbe di sé? Si sentirebbe

riconosciuto, tra punti forti e deboli,

come portatore unico di qualcosa di

nuovo? I collegi docenti diventano

spesso dibattiti burocratici più che

educativi. Negli scorsi anni abbiamo

dovuto seguire corsi sulla sicurezza, e

mi sembra opportuno, ma io vorrei

essere obbligato anche a formarmi su

come si scoprono i talenti dei ragazzi,

sul mondo del lavoro di oggi e di

domani, per orientarli in un presente

che sta subendo una trasformazione

senza precedenti. Quando sento dire,

da chi in classe non entra, che l’uso del

cellulare in aula è un toccasana per

l’apprendimento ho la conferma

dell’assenza di un progetto adeguato

alle esigenze reali degli studenti, a cui

invece servirebbe imparare come

funzionano i linguaggi di

programmazione che permettono alle

app di funzionare, agli algoritmi di

profilarci, proprio grazie a quel

cellulare. Un sistema che non valorizza

i docenti si merita una scuola che

spegne la vita e che, invece di

affrontare il mondo, lo ignora o vi si

adegua.

Per questo, oggi più che mai, a

prescindere dalle forze politiche in

43

Comunità in Dialogo

gioco è urgente un programma

trasversale di riforma

dell’istruzione con obiettivi minimi non

più procrastinabili, immuni da

partigianerie. In Germania, dove hanno

impiegato mesi per formare un

governo, su una cosa tutti i partiti

erano concordi: aumentare i fondi per

la ricerca. Abbiamo bisogno di una

riforma condivisa e affrancata

dall’essere una leva politica. Da dieci

anni si aspettava la revisione del

contratto di chi lavora nella scuola e

l’accordo raggiunto, a pochi giorni dalle

recenti elezioni, prevede una

quarantina di euro netti in più in busta

paga: uno zuccherino elettorale per

uno stipendio molto al di sotto della

media europea. Dibattiamo invano sul

liceo di quattro anni, quando ci sono

da rivedere tutti i percorsi, asfissiati

dall’impossibilità di costruire un

curriculum flessibile e scegliere gli

insegnanti, soprattutto in un mondo in

cui è imprescindibile una preparazione

che metta in comunicazione area

umanistica, scientifica, economica e

tecnologica. La formazione

professionale diventa una giungla se

non è frutto di un progetto coerente

con le necessità del lavoro e del

territorio. I precari sono spesso

utilizzati per il sostegno per il quale

non sono formati. I vincitori di cattedra

sono lanciati lungo la penisola senza

rispetto delle vite familiari: ho

ascoltato lo sfogo di colleghe che, pur

di non perdere il posto, spendevano

più dello stipendio per tornare in

famiglia nel fine settimana. Perché i

docenti, ottenuta l’abilitazione, non

possono essere chiamati dalle scuole

sulla base del curriculum come accade

all’università e muoversi liberamente

come in tutti i sistemi europei? I fatti di

cronaca recenti mostrano che l’assurda

violenza, verbale e fisica, contro i

professori è l’esito di una frustrazione

che non potendo cambiare un sistema

anonimo si scaglia sui suoi

rappresentanti.

Il letto da rifare oggi è nelle parole un

po’ corsare di una sedicenne contro

un sistema, obsoleto e impersonale,

che spegne prima i docenti e quindi i

ragazzi, trattandoli come oggetti. I

discorsi sul rispetto delle diversità

restano slogan, se nei fatti la scuola

trascura le differenze, perché non cura

l’unicità. Riformare l’istruzione è

necessario se vogliamo un nuovo

Rinascimento italiano, ed è una

responsabilità della politica, il cui

compito è valorizzare e semplificare

l’iniziativa dei cittadini non ingabbiarla

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Comunità in Dialogo

fino ad annullarla, come accade nei

sistemi totalitari e in quelli conformisti:

nei primi è vietato dire che qualcosa

non va, nei secondi diventa inutile

persino dirlo.

LETTO PER VOI

a cura di S. Pleuteri

MARIA, DONNA DEL PANE

"E lo depose nella mangiatoia".

Nel giro di poche righe, la parola "mangiatoia" è ripetuta tre volte. La qual cosa, tenuto conto dello stile di Luca, insospettisce non poco.

L'evangelista allude: non c'è dubbio. Lui, il pittore, vuole ritrarre Maria nell'atteggiamento di chi riempie il cestino vuoto della mensa. Se è vero che nella mangiatoia si mette il pasto per gli animali, non è difficile leggere in quella collocazione l'intendimento di presentare Gesù, fin dal suo primo apparire, come cibo del mondo. Anzi, come il pane del mondo.

Sotto, quindi, la paglia per le bestie.

Sopra la paglia, il grano macinato e cotto per gli uomini.

Sulla mangiatoia, avvolto in fasce come in candida tovaglia, il pane vivo disceso dal cielo.

Accanto alla mangiatoia, come dinanzi a un tabernacolo, la fornaia di quel pane.

Maria aveva capito bene il suo ruolo fin da quando si era vista condotta dalla Provvidenza a partorire lontano dal suo paese, lì a Betlem: che vuol dire, appunto, casa del pane.

Per questo, nella notte del rifiuto, ha usato la mangiatoia come il canestro di una mensa. Quasi per anticipare, con quel gesto profetico, l'invito che Gesù, nella notte del tradimento, avrebbe rivolto al mondo intero: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi".

Maria portatrice di pane, dunque. E non solo di quello spirituale.

Deformeremmo la sua figura se la sottraessimo alla preoccupazione umana di chi si affatica per non lasciare vuota la mensa di casa sua. Sì, ella ha tribolato per il pane materiale. E qualche volta, quando non riusciva a procurarselo, forse avrà pianto in segreto. Come quell'altra Maria, povera donna, che abita in un sottano con una nidiata di figli e col marito disoccupato, e, per insolvenza, non le

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Comunità in Dialogo

fanno più credito nemmeno al negozio di generi alimentari.

Gesù deve aver letto negli occhi splendenti di sua madre il tormento del pane quando manca, e l'estasi del suo aroma quando, caldo di cenere, si sbriciola sulla tovaglia in un arcipelago di croste.

Per questo c'è nel vangelo tanto tripudio di pane, che dividendosi si moltiplica, e, passando di mano in mano, sazia la fame dei poveri adagiati sull'erba, e trabocca nella rimanenza di dodici sporte.

Per questo, al centro della preghiera da rivolgere al Padre, Gesù ha inserito la richiesta del pane quotidiano. E ha lasciato a noi la formula per implorare dalla Madre la grazia di una sua giusta distribuzione, in modo che nessuno dei figli rimanga a digiuno.

Santa Maria, donna del pane,

chi sa quante volte all'interno della

casa di Nazaret hai sperimentato pure

tu la povertà della mensa, che avresti

voluto meno indegna del Figlio di Dio.

E, come tutte le madri della terra

preoccupate di preservare dagli stenti

l'adolescenza delle proprie creature, ti

sei adattata alle fatiche più pesanti

perché a Gesù non mancasse, sulla

tavola, una scodella di legumi e, nelle

sacche della sua tunica, un pugno di

fichi.

Pane di sudore, il tuo. Di sudore,

e non di rendita. Come anche quello di

Giuseppe, del resto. Il quale, nella

bottega di falegname, era tutto

contento quando dava gli ultimi ritocchi

a una panca che avrebbe barattato con

una bisaccia di grano. E nei giorni del

forno, quando il profumo caldo di

focacce superava quello delle vernici, ti

sentiva cantare dall'altra parte, mentre

Gesù, osservandoti attorno alla madia

dava anche lui gli ultimi ritocchi alle

sue parabole future: "Il regno dei cieli è

simile al lievito che una donna impasta

con tre misure di farina..."

Santa Maria, donna del pane, tu

che hai vissuto la sofferenza di quanti

lottano per sopravvivere, svelaci il

senso dell'allucinante aritmetica della

miseria, con la quale i popoli del Sud un

giorno ci presenteranno il conto

davanti al tribunale di Dio. Abbi

misericordia dei milioni di esseri umani

decimati dalla fame. Rendici sensibili

alla provocazione del loro grido. Non

risparmiarci le inquietudini dinanzi alle

scene di bambini che la morte coglie

tragicamente attaccati ad aridi seni

materni. E ogni pezzo di pane che ci

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Comunità in Dialogo

sopravanza metta in crisi la nostra

fiducia sull'attuale ordinamento

economico, che sembra garantire solo

le ragioni dei più forti.

Tu, la cui immagine, quasi fosse

un amuleto, pietà di madre o tenerezza

di sposa nasconde furtivamente nel

bagaglio dell'emigrante o nella valigia

di chi affida al mare la sua vita in cerca

di fortuna, tempera le lacrime dei

poveri ai quali è diventata troppo

amara la terra natale. Alleggerisci la

loro solitudine. Non esporli

all'umiliazione del rifiuto. Colora di

speranza le attese dei disoccupati. E

raffrena l'egoismo di chi si è già

comodamente sistemato al banchetto

della vita. Perché non sono i coperti che

mancano sulla mensa. Sono i posti in

più che non si vogliono aggiungere a

tavola.

Santa Maria, donna del pane,

da chi se non da te nei giorni

dell'abbondanza con gratitudine e nelle

lunghe sere delle ristrettezze con

fiducia, accanto al focolare che

crepitava senza schiuma di pentole,

Gesù può aver appreso quella frase del

Deuteronomio, con cui il tentatore

sarebbe stato scornato nel deserto:

"Non di solo pane vive l'uomo, ma di

ogni parola che esce dalla bocca di

Dio"? Ripeticela, quella frase, perché la

dimentichiamo facilmente. Facci capire

che il pane non è tutto. Che i conti in

banca non bastano a renderci contenti.

Che la tavola piena di vivande non

sazia, se il cuore è vuoto di verità. Che

se manca la pace dell'anima, anche i

cibi più raffinati sono privi di sapore.

Perciò, quando ci vedi

brancolare insoddisfatti attorno alle

nostre dispense stracolme di beni,

muoviti a compassione di noi, placa il

nostro bisogno di felicità e torna a

deporre nella mangiatoia, come quella

notte facesti a Betlem, il pane vivo

disceso dal cielo. Perché solo chi

mangia di quel pane non avrà più fame

in eterno.

Don Tonino Bello

da "Maria, donna dei nostri giorni", pagg. 55-59

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Comunità in Dialogo

DALL'ESORTAZIONE APOSTOLICA DI PAPA FRANCESCO

"GAUDETE ET EXULTATE"

Anche per te

14. Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali.[14]

15. Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio

sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr. Gal. 5,22-23). Quando senti la tentazione di invischiarti nella tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: “Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore”. Nella Chiesa, santa e composta da peccatori, troverai tutto ciò di cui hai bisogno per crescere verso la santità. Il Signore l’ha colmata di doni con la Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei santi, e una multiforme bellezza che procede dall’amore del Signore, «come una sposa si adorna di gioielli» (Is. 61,10).

(citazione di Don Raffaele nell'omelia di

Pentecoste)

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Comunità in Dialogo

ALZATE BRIANZA

Battesimi Laperdrix Andrea

Laperdrix Matteo

Tornati al Padre Mucaria Francesco di anni 89

Riva Silvano di anni 83

Erba Maria di anni 96

Coppola Rosaria di anni 91

Vitali Lidia di anni 87

Besio Lino Giovanni di anni 65

Sangiorgio Gabriele di anni 76

Gaiani Olimpio Luigi di anni 80

Bono Lucia di anni 83

Mancuso Francesco di anni 74

Mellone Silvia

Brunati Maria di anni 91

Matrimoni Boi Luca e Gatti Letizia

Il Libro

della Vita

ANZANO DEL PARCO

Battesimi

Ferrari Marco

Almasio Diego

Tornati al Padre

Baronio Rosina di anni 77

Macaluso Beniamino di anni 77

Spreafico Giuseppina di anni 93

Palladina Angela di anni 87

Meroni Francesca di anni 78

aggiornato al 2 giugno 2018

FABBRICA DURINI

Battesimi Ianniello Nicla

Sgambati Giorgia

Maspero Federico

Tornati al Padre

Tassone Giovanni di anni 60

Azzalini Domenico di anni 59

ALSERIO

Battesimi

Primo Cecilia