I BAMBINI DELLE FAVELAS -  · TESTO PANNELLO 1 I BAMBINI DELLE FAVELAS «Tutto cominciò con...

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TESTO PANNELLO 1 I BAMBINI DELLE FAVELAS «Tutto cominciò con l’alluvione del ’77: le poche famiglie che c’erano allora le avevano alloggiate in chiesa finché il fiume ritornasse al suo livello normale. Quando le famiglie, passate le piogge, sono ritornate nelle loro baracche, ho iniziato ad andarle a trovare a “casa” loro e da quest’amicizia è nata la “baracca” come punto d’incontro e attività». Rosetta Brambilla, infermiera brianzola da quarant’anni in Brasile, racconta così l’inizio della sua presenza nelle favelas di Belo Horizonte. La situazione di bisogno è un’occasione che non esaurisce il rapporto fra chi chiede aiuto e chi lo offre. Così, Rosetta, insieme a don Pigi Bernareggi, missionario in Brasile dal 1962, e a decine di volontari di Avsi, ha dato vita negli anni ad opere d’assistenza, asili, scuole, dispensari, corsi di formazione e d’igiene, ma soprattutto ad una rete di relazioni umane e sociali che danno senso al vivere anche in una situazione degradata come quella delle favelas brasiliane. Questa mostra nasce dall’incontro tra un fotografo meranese, Fabrizio Arigossi, sostenitore dell’attività di Avsi, e l’esperienza in atto a Belo Horizonte. La sequenza d’immagini esposta non è il reportage di un osservatore neutrale, per quanto sensibile. Attraverso il particolare colto dall’obiettivo della macchina fotografica, vuole invece testimoniare un’esperienza di carità che, pur partendo dal bisogno, non si ferma ad esso. La centralità della persona, il fare insieme, la positività: è il “metodo” insegnato da don Luigi Giussani.

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TESTO PANNELLO 1

I BAMBINI DELLE FAVELAS

«Tutto cominciò con l’alluvione del ’77: le poche famiglie che c’erano allora le avevano alloggiate

in chiesa finché il fiume ritornasse al suo livello normale. Quando le famiglie, passate le piogge,

sono ritornate nelle loro baracche, ho iniziato ad andarle a trovare a “casa” loro e da quest’amicizia

è nata la “baracca” come punto d’incontro e attività». Rosetta Brambilla, infermiera brianzola da

quarant’anni in Brasile, racconta così l’inizio della sua presenza nelle favelas di Belo Horizonte.

La situazione di bisogno è un’occasione che non esaurisce il rapporto fra chi chiede aiuto e chi lo

offre. Così, Rosetta, insieme a don Pigi Bernareggi, missionario in Brasile dal 1962, e a decine di

volontari di Avsi, ha dato vita negli anni ad opere d’assistenza, asili, scuole, dispensari, corsi di

formazione e d’igiene, ma soprattutto ad una rete di relazioni umane e sociali che danno senso al

vivere anche in una situazione degradata come quella delle favelas brasiliane.

Questa mostra nasce dall’incontro tra un fotografo meranese, Fabrizio Arigossi, sostenitore

dell’attività di Avsi, e l’esperienza in atto a Belo Horizonte. La sequenza d’immagini esposta non è

il reportage di un osservatore neutrale, per quanto sensibile. Attraverso il particolare colto

dall’obiettivo della macchina fotografica, vuole invece testimoniare un’esperienza di carità che, pur

partendo dal bisogno, non si ferma ad esso. La centralità della persona, il fare insieme, la positività:

è il “metodo” insegnato da don Luigi Giussani.

TESTO PANNELLO 2

BELO HORIZONTE

Belo Horizonte, capitale dello Stato del Minas Gerais, è stata fondata poco più di un secolo fa

secondo un progetto che prevedeva 100 mila abitanti. Oggi, la città, eminentemente industriale, ha

una popolazione di oltre 2 milioni e mezzo d’abitanti che supera i 4 milioni se si considerano i

municipi della regione metropolitana.

Una parte importante di questa popolazione – oltre il 22% secondo le più recenti stime – vive nella

cosiddetta “città informale”, in vilas e favelas, in condizioni molto precarie, dovute all’assenza di

infrastrutture, servizi e possibilità d’accesso al lavoro.

Abitazioni fatiscenti, alta disoccupazione, reddito insufficiente, disgregazione familiare, instabilità

del tessuto sociale: tutto ciò si ripercuote soprattutto su bambini e ragazzi, i più esposti

all’abbandono, alla violenza ed allo sfruttamento.

La conseguenza più comune per questi bambini è quella dell’abbandono della scuola per l’entrata

precoce nel mondo del lavoro, spesso associata alla vita in «strada». Nella maggioranza dei casi ciò

compromette definitivamente per questi bambini la possibilità di studiare ed in seguito qualificarsi

professionalmente per emergere dalla loro condizione sociale.

Ecco perché centrale nell’azione di Avsi è il sostegno ad opere educative. I cartelli che seguono

documentano, attraverso le parole di Rosetta Brambilla e di altri volontari, la nascita e lo svilupparsi

di queste opere nelle favelas di Belo Horizonte, attualmente riunite sotto la sigla “Obras educativas

Padre Giussani”.

TESTO PANNELLO 3

LE CRECHES

Sono quattro gli asili (creches) dell’Obras Educativas Padre Giussani attivi attualmente

nelle favelas di Belo Horizonte. L’asilo “Etelvina Caetano de Jesus” nacque nel 1978, sotto

un semplice tendone. Seguirono, negli anni successivi, le creches “Jardim Felicidade”,

“Dora Ribeiro” e “Gilmara Iris”.

«Il lavoro educativo comprende momenti d’incontro, visite alle case, gite, laboratori, feste

con la partecipazione delle famiglie e di tutte le persone della comunità che lo desiderano.

Per le mamme l’asilo è diventato nel tempo un punto di riferimento ed è per tutte loro un

luogo dove si possono incontrare amici, conversare, imparare e costruire. Fin dai primi

anni si è loro offerta l’opportunità di imparare ad accudire i figli e la casa partecipando alle

attività dell’asilo. Oltre ad imparare a lavare, stirare e spazzare, hanno scoperto che

potevano ed erano capaci di dialogare, coccolare e accarezzare i propri figli».

(Helena Perdigão, ottobre 2004)

TESTO PANNELLO 4

CASA NOVELLA Fra la fine del 2001 e l´inizio del 2002, l’Associação Creche Jardim Felicidade ha costruito nel bairo “Jardim Felicidade" il Centro "Casa Novella", una struttura d’accoglienza per bambini abbandonati o in situazioni di rischio.

«In casi d’emergenza, il poter offrire rapidamente un aiuto e un sostegno materiale e

psicologico è di fondamentale importanza e l’allontanamento provvisorio dall’ambito

familiare, a volte, può rappresentare l’unica possibilità di sopravvivenza per questi

bambini.

Il lavoro con le famiglie è un lavoro impegnativo, non privo d’insuccessi, di passi avanti e

poi di ritorno al punto di partenza, ma vale la pena sempre, perché significa valorizzare e

rafforzare ciò che le persone hanno costruito, la loro storia, le relazione esistenti, cioè quel

tessuto sociale e quell’insieme di esperienze che costituiscono il loro patrimonio di vita».

(Rosetta Brambilla, dicembre 2002)

TESTO PANNELLO 5

CENTRO ALVORADA Il Centro Alvorada è sorto nel 1998 con lo scopo di offrire un luogo educativo per bambini, giovani e adolescenti del quartiere Jardim Felicidade. Oggi, ospita 240 adolescenti dai 6 ai 15 anni ed offre, oltre ad un aiuto scolastico, laboratori di teatro, musica, informatica, arte su legno e attività ricreative. Il Centro Alvorada si prende cura, inoltre, di altri 78 giovani da 15 fino ai 18 anni che sono accompagnati ed introdotti nel mondo del lavoro.

«Il Centro socio-educativo Alvorada è nato dall’amicizia fra cinque professori e alcune famiglie, che volevano poter offrire continuità stabile al lavoro educativo svolto dall’Asilo Jardim Felicidade. Non è stato pensato come “un progetto a tavolino”, ma si è sviluppato rispondendo alle esigenze che bambini e famiglie evidenziavano. Oltre al doposcuola, sono così nate attività differenziate come i laboratori di teatro, musica e danza per accompagnare i giovani nella riscoperta del bello e della tradizione, l’officina di falegnameria per insegnare l’ordine e l’importanza del lavoro manuale, il laboratorio di informatica e la biblioteca per assaporare il gusto del conoscere, il cinema e lo sport per imparare a divertirsi. Dal 2003, attraverso il progetto “Adolescentes Trabalhadores” del Banco do Brasil, il Centro Alvorada ha iniziato ad accompagnare circa 100 giovani di 16-17 anni nell’avventura dal primo lavoro; rinsalda le motivazioni, offre sostegno nelle difficoltà del lavoro e aiuto scolastico».

(Cristina Soffiantini, ottobre 2007)

TESTO PANNELLO 6

LA PRIMA CARITÀ È L’EDUCAZIONE

«L’accoglienza in contesti caratterizzati da povertà, rappresenta non solo una soluzione per bambini, ma si traduce in un’esperienza educativa per la comunità intera che spinge nel tempo a ridare al nucleo famigliare un’identità precisa e quindi una solidità».

(Rosetta Brambilla, Dicembre 2002) «Fin dall’inizio delle creches lo sguardo al bambino si è sempre rivolto anche all’ambito educativo al quale appartiene, che è la famiglia, anche se molte volte non sapeva affrontare il proprio compito o avesse bisogno dell’aiuto di qualcuno per scoprirlo. Durante il cammino di questi anni il poter partecipare del cambiamento di rapporto, assistendo al miracolo di madri che cominciavano ad occuparsi dei loro figli perché vedevano com’erano trattati ed amati nella creche, ci ha sempre più convinti che questo è il cammino certo».

(Rosetta Brambilla, S. Natale 2003)

TESTO PANNELLO 7

LA CARITÀ SARÀ SEMPRE NECESSARIA Quando c'è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando si vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro. Tale esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti e noi la chiamiamo giustamente legge dell'esistenza.

TESTO PANNELLO 8

Questa “spinta” verso la carità non è qualcosa di esteriore a noi, come un dovere, ma qualcosa che coincide con noi stessi: siamo fatti così, abbiamo questa struttura. Questo darsi, questo comunicarsi, questo interessarsi all’altro, fa parte della nostra natura così come la sorprendiamo nell’esperienza.

TESTO PANNELLO 9

“Ti ho amato con un amore eterno e ho avuto pietà del tuo niente” (Geremia)

La vera carità è questo entrare, questo condividere il nostro nulla da parte del Figlio di Dio. La carità non è una generosità: la generosità parte da quello che a noi manca, che vogliamo riempire con qualcosa, e prima o poi ci stanchiamo. La gratuità, invece, parte da quello che sobbalza nel nostro cuore, da quello che ci riempie, da quello che trabocca di quello che noi riceviamo a nostra volta.

TESTO PANNELLO 10

Se noi non allarghiamo la nostra ragione per essere disponibili a cogliere, a sorprendere, a lasciare venire fuori veramente il bisogno dell’altro, ci sembra sempre che ci debba essere qualcuno che ci dice cosa dobbiamo essere o qual è il nostro vero bisogno. Se non ci rendiamo veramente disponibili ad ascoltare, ad accogliere il vero bisogno, come possiamo non imporre la nostra misura? Soltanto condividendo ci rendiamo conto che «non siamo noi a farli contenti.

(Julián Carron)

TESTO PANNELLO 11

Il nostro bisogno è essere contenti, il nostro vero bisogno è la felicità. L’unica vera giustizia piena è quella che corrisponde alla nostra esigenza di pienezza; qualsiasi altra idea di giustizia è riduttiva. Perciò andare fino in fondo è come capire di più noi stessi, la realtà e il bisogno che abbiamo noi, e che hanno gli altri, dell’unica risposta, di che cosa mi corrisponde, perché attraverso questa condivisione, attraverso l’impotenza del mio tentativo, io capisco che quello di cui hanno bisogno è quello di cui ho bisogno io: Cristo.

(Julián Carron) «La carità sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo”.

(Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 28)

TESTO PANNELLO 12

Gesù non ha guarito tutti gli ammalati del suo tempo: avrebbe potuto farlo, aveva la possibilità di farlo e non l’ha fatto. Quando sentiamo la nostra impotenza nel rispondere a tutti, non dobbiamo scoraggiarci, perché neanche Lui, che poteva farlo, l’ha fatto. Quando rispondiamo, quello che possiamo fare è come un segno attraverso cui portiamo tutto. Quello che a noi tante volte manca è vedere nel particolare, nel gesto concretissimo, la totalità. Per rispondere al bisogno Gesù ha fatto, a volte, dei miracoli; attraverso quei segni era come dicesse: «Guardate che ci sono io. Guardate che la realtà è più grande di quello che voi avete in testa, e non siete da soli con il vostro nulla: ci sono io qui». Questo rispondeva molto di più al vero bisogno, perché rispondendo al bisogno concreto, rendeva presente quella Sua presenza, che era la risposta totale.

(Julián Carrón)

TESTO PANNELLO 13

Le foto esposte sono state scattate da Fabrizio Arigossi a Belo Horizonte e San Paolo in occasione di due viaggi in Brasile nel gennaio 2005 e nel febbraio e marzo 2007. Le citazioni di don Luigi Giussani sono tratte da “Il senso della caritativa”(1° ed. Milano, 1961); quelle di don Julián Carrón si riferiscono all’intervento all’assemblea dei responsabili delle Tende Avsi 2006/2007 e degli Avsi Point, tenuta a Milano il 18 novembre 2006. Hanno collaborato: Fabrizio Arigossi, Antonio Battistella, Emanuele Beltrami, Alice Bertoli, Costanza Giatti, Gottardo Giatti, Martin Götsch, Neide Lima de Oliveira, Giuseppe Marzano, Annamaria Mendola, Franco Pedranz, Nicola Properzi, Cristina Soffiantini, Marco Stefanini, Roberto Vivarelli La mostra è stata realizzata con il contributo della Provincia Autonoma di Bolzano – Ripartizione Presidenza, Ufficio affari di gabinetto. Musiche: “STABAT MATER” di Giovanni Battista Pergolesi