Ho distrutto mio padre. Ma il mostro non era lui

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Una bambina in ostaggio, una madre criminale, un padre stritolato dalle accuse di molestie sessuali

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  • in prima persona

    Ho distrutto mio padre. Ma il mostro non era lui

    Carolina non vede il genitore da quando, a 12 anni, lo accus di pedofilia, manipolata da una madre bellissima e criminale. Oggi, a 32, lo discolpa in un libro, giurando che questa tutta la verit. E lunico da cui vorrebbe essere creduta proprio lui

    So che faccia ha mio padre dagli articoli di cronaca che negli anni hanno seguito la nostra inquietante vicenda. Lultima volta di persona stato, a 12 anni, in unaula di tribunale. Ventanni fa. Seduti alle mie spalle, da una parte mia madre e il suo nuovo compagno (feci il mio ingresso tenendoli per mano, assurdo!), e dallaltra mio padre con lavvocato. Per cinquanta minuti, come un soldatino telecomandato, ho ripetuto le accuse con cui mia madre mi ha riempito la testa da quando (avevo quattro anni) mio padre se ne and di casa chiedendo la separazione da una donna manipolatrice e ossessiva (ma questo lho capito dopo). Mio padre, signor giudice? Un mostro, un verme, un pedofilo capace di abusare sessualmente di sua figlia piccola. Durante la testimonianza il cuore mi batteva cos forte che credevo si sentisse. Anche se deporre il falso, per quanto riprovevole, era sempre meglio che avvicinarmi a mio padre e sputargli in faccia. Cos come, pilotata da mia madre, feci prima di uscire. Non potr mai dimenticare il suo sguardo, tra linerme e lincredulo. Invece di buttargli le braccia al collo e scoppiare a piangere, guardai mia madre e il suo ghigno soddisfatto. Avevo fatto il mio dovere di figlia robot (secondo la diagnosi degli assistenti sociali), conquistandomi i titoli dei quotidiani.

    I miei genitori si erano conosciuti a met anni Ottanta a Roma, quando lei, Aurora Pereira Vaz dal Portogallo (diceva di esser figlia di un diplomatico, ma era solo una delle sue bugie), era arrivata in Italia al seguito di un primo marito. Aveva 25 anni, fascino indiscutibile e aveva deciso di vivere nel lusso. Mio padre, Enzo Alberto Tana era, con il doppio dei suoi anni, lallora presidente della Borsa di Roma, un uomo importante dellalta borghesia, abituato a gestire molti soldi. In lui mia madre vide la seconda chance della sua vita. Un errore di valutazione che lui pag carissimo. Soprattutto da quando per mia madre sono diventata larma per annientare senza esclusione di colpi luomo che si era sottratto al suo potere distruttivo. Luomo che sperava di liberare anche me.

    testimonianza di Carolina Tana raccolta da Monica Piccini

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  • in prima persona

    Purtroppo, dopo quella diabolica recita in tribunale, mia madre si aggiudic il diritto di portarmi via con s, da Roma a Milano, ostaggio suo e del suo nuovo compagno, un ricco industriale vicentino che per lei aveva venduto lazienda di famiglia. Per pi di dieci anni abbiamo fatto una vita che a raccontarla ora sembra inventata, tra lussi eccessivi e violenze domestiche, in bilico sulla catastrofe. Abitavamo tra la Costa Azzurra, la Svizzera e Londra, in ville che compravamo per poi rivenderle. Oppure in alberghi deluxe in cui arrivavamo a bordo di auto sempre pi costose. Sembravamo una famiglia felice, invece nascondevamo segreti (compresi due bambini, maschio e femmina, arrivati in casa neonati, senza che mia madre li avesse mai partoriti) su cui le forze dellordine non si sono mai prese la briga di indagare. In una di quelle suite, al telegiornale in tv, vidi mio padre sanguinante su una barella, gambizzato nel parcheggio del circolo Canottieri Aniene, la sua seconda famiglia. I mandanti risultarono essere quei due che mi controllavano a vista (motivo per cui non sono mai andata scuola, se non per brevi periodi). Quelle immagini furono uno choc. E per la prima volta a 14 anni pensai di scappare. Prima di allora non mi ero lamentata troppo della mia vita. Non ne immaginavo altre possibili.

    Una storia triste, fatta di odio e dinganni, una bambina manipolata tra due, tre o pi adulti incapaci di comportarsi come tali. Questo un caso limite di un tema abbastanza comune, labuso genitoriale dei figli per interessi personali, commenta Paolo Mordazzi, psicoterapeuta tra Parma e Milano. Abuso che nasce dal fatto che mettere al mondo un figlio ed essere genitori sono due cose diverse: in un caso basta lapparato riproduttivo, nellaltro serve la capacit di formare individui autonomi e responsabili. La distanza tra padre e figlia in questo caso insanabile? No, ma il padre dovrebbe riuscire a riconoscere che colpevolizzare la figlia, non volendola incontrare, non lo liberer dal dolore. Al contrario, un passo in avanti sarebbe per lui riconoscere la propria responsabilit nella sofferenza che ha vissuto, dovuta (anche) alla sua scelta di avere una figlia con quel tipo di donna.Per la ragazza invece, pi che giustificare (e in parte idealizzare) il padre, sarebbe molto pi lenitivo esprimere la rabbia, che inconsapevolmente reprime come di solito fa chi ha subito abusi psicologici. Il senso del suo libro dovrebbe essere in passato ti ho accusato ingiustamente, seppur manipolata; adesso ti accuso per un motivo preciso. Come a dire: anche tu sei responsabile di quel che ci accaduto. Labbraccio paterno che cerca Carolina, infatti, sar liberatorio se dallaltra parte ci sar un pap consapevole dei propri limiti.

    lO psiCOlOgO quando un figlio unarma lEtalE

    in seguito ho tentato molte volte la fuga fino a quando, ormai ventenne, sono riuscita a denunciare mia madre e il suo compagno per i gravi maltrattamenti ai danni della mia sorellina acquisita, tenuta legata al buio e in solitudine. Ora sono entrambi in carcere, anche per aver ricattato, nel 2007, i coniugi inglesi McCann dopo la sparizione della figlia, la piccola Maddie, in Portogallo. Solo sapendoli dietro le sbarre mi sono sentita finalmente libera. Libera anche di scrivere a mio padre, che non avevo mai pi visto. Peccato che il suo avvocato mi disse che non desiderava ricevere le mie lettere. Era stremato come dargli torto? dallultimo scandalo, il libro La bugiarda. La violenza di un padre, la violenza della legge, fatto pubblicare da mia madre nel momento in cui mio padre stava recuperando un po di credibilit. Avevo quattro anni la prima volta: cominciava cos e io, Carolina T. (il cognome, da minorenne, era meglio non scriverlo), ne ero lautrice. Io, il burattino di mia madre. Mio padre querel tutti e ne ottenne il ritiro. Nel 1996 stato infine assolto da tutte le accuse. Ma non mi ha mai voluto incontrare.

    Dribblando i consigli dellavvocato e la solerzia del custode del palazzo dovero nata e dove mio padre ancora viveva, un giorno di dieci anni fa ho suonato il campanello di casa. Ho visto lo spioncino farsi nero, segno che dallaltra parte cera qualcuno, lui. Pap sono io, Carolina, ho detto. Ha cominciato a urlare che, se non me ne fossi andata, avrebbe chiamato la polizia. A quel punto ho fatto un passo indietro davanti al suo dolore, ho solo aggiunto: Pap basta polizia. Vorrei solo abbracciarti!. Da allora stato sempre silenzio, a parte il libro scritto da lui, Il buio negli occhi, uscito un anno fa, in cui racconta la sua storia chiamandomi Palletta, come quandero bambina. Ora, dopo un percorso di psicoanalisi, ho deciso di scrivere anchio la mia versione dei fatti, sperando che possa un giorno perdonarmi. So di averlo quasi ucciso dal dolore, mio malgrado. Adesso per Giuro di dire la verit, nientaltro che la verit: il titolo del mio libro, pubblicato da Alpes. E questa volta, pap lunico da cui vorrei esser creduta sei tu.

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    11235441_10206559604698833_7413740088766921910_nBinder1.pdfcarolina.pdf