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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO Documenta, esplosione di mostre, performance e idee chiude i battenti con un omaggio ai libri censurati e proibiti e con una forte denuncia delle depredazioni dei collezionisti ebrei perseguitati. a pag. 27 KASSEL, ARTE E LIBERTÀ SICUREZZA Luca Lotti VELENI Francesco Moises Bassano BILANCI Alberto Heimler PREGIUDIZIO Aldo Zargani RICORDO Guido Ottolenghi OPINIONI A CONFRONTO -------------------------------------- PAGG. 23-26 ----------------------------------- Il ministro Franceschini sceglie a New York il nascente museo ebraico di Ferrara come biglietto da visita per l’eccellenza italiana in campo culturale al convegno “World Cultural Conservation. Italy at the Forefront: Innovation versus Constraints”. L’installazione multimediale “Through the Eyes of the Italian Jews” all'Italian Academy for Advanced Studies in America della Columbia University. pagg. 2-3 Meis, il futuro è cultura Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 10 - ottobre 2017 | תשרי5778 SHABBAT NOACH 20-21 OTTOBRE 2017 MILANO 18.00 19.10 | FIRENZE 18.04 19.11| ROMA 18.02 19.08| VENEZIA 17.58 19.04 www.moked.it Politici, scienziati, letterati. Tutti si interrogano sulla terminologia più appropriata e sulla classificazione più efficace e più rispondente alle conoscenze dei giorni nostri. E si parla di correggere la Costituzione. Una cosa è certa: le razze non esistono, ma i razzismi sì. DOSSIER Ma che razza di parola Un mostro tutto da leggere Lo storico Vincenzo Pinto racconta il suo lavoro sul Mein Kampf a pagg. 6-7 Ristabilire il principio di uguaglianza. Su questa base la Corte suprema israeliana ha dichiarato incostituzionale l'accordo governativo che consente alla maggior parte dei cosiddetti ebrei ultraortodossi di essere esentati dalla leva obbligatoria. Ma il cammino di una integrazione equilibrata è ancora lungo. PAGG 8-9 ORIZZONTI UK-GERMANIA La Germania fronteggia le conseguenze delle elezioni politiche con la nuova ultradestra in parlamento, mentre il Jewish Policy Research mette a fuoco il problema dell’antisemitismo in Gran Bretagna. Israele, la Corte suprema vuole gli Haredim in divisa Sergio Della Pergola/ a pag. 23 Lasciare Gerusalemme: realtà e percezione alle pagg. 30-31 Presidenti, orgoglio in campo Leggi razziste e mondo del calcio, un libro racconta tre protagonisti pagg. 4-5 © Gado

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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

Documenta, esplosione di mostre, performance eidee chiude i battenti con un omaggio ai libri

censurati e proibiti e con una forte denuncia delledepredazioni dei collezionisti ebrei perseguitati.

a pag.27

KASSEL, ARTE E LIBERTÀ

SICUREZZALuca Lotti

VELENI Francesco Moises Bassano

BILANCIAlberto Heimler

PREGIUDIZIOAldo Zargani

RICORDOGuido Ottolenghi

OPINIONI

A CONFRONTO

-------------------------------------- PAGG. 23-26 -----------------------------------

Il ministro Franceschinisceglie a New York ilnascente museoebraico di Ferraracome biglietto da visitaper l’eccellenza italianain campo culturale alconvegno “WorldCultural Conservation.Italy at the Forefront:Innovation versus Constraints”.L’installazione multimediale “Through theEyes of the Italian Jews” all'ItalianAcademy for Advanced Studies in Americadella Columbia University. pagg. 2-3

Meis, il futuro è cultura

Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00

n. 10 - ottobre תשרי | 2017 5778

SHABBAT NOACH 20-21 OTTOBRE 2017MILANO 18.00 19.10 | FIRENZE 18.04 19.11| ROMA 18.02 19.08| VENEZIA 17.58 19.04

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Politici, scienziati, letterati. Tutti si interrogano sulla terminologia più

appropriata e sulla classificazione più efficace e più rispondente alle

conoscenze dei giorni nostri. E si parla di correggere la Costituzione.

Una cosa è certa: le razze non esistono, ma i razzismi sì.

DOSSIER

Ma che razza di parola

Un mostro tutto da leggereLo storico Vincenzo Pinto racconta il suo lavoro sul Mein Kampf a pagg.

6-7

Ristabilire il principio diuguaglianza. Su questa base

la Corte suprema israeliana hadichiarato incostituzionale l'accordogovernativo che consente allamaggior parte dei cosiddetti ebreiultraortodossi di essere esentati dallaleva obbligatoria. Ma il cammino di una integrazioneequilibrata è ancora lungo.

PAGG 8-9 ORIZZONTI UK-GERMANIA La Germania fronteggia le conseguenze delleelezioni politiche con la nuova ultradestra in parlamento, mentre il Jewish

Policy Research mette a fuoco il problema dell’antisemitismo in Gran Bretagna.

Israele, la Corte supremavuole gli Haredim in divisa

Sergio Della Pergola/a pag. 23 Lasciare Gerusalemme: realtà e percezione

alle pagg. 30-31

Presidenti, orgoglio in campoLeggi razziste e mondo del calcio, un libro racconta tre protagonisti pagg. 4-5

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Daniela Modonesi

Duemiladuecento anni di storiae cultura ebraica in 18 minuti.Poche parole per descrivere unprogetto in realtà complesso,scientificamente rigoroso, fruttodi mesi di ricerche e revisioni.E quel progetto è ora un’instal-lazione multimediale –"Through The Eyes Of The Ita-lian Jews" – che il MEIS pre-senterà in anteprima mondialeil 19 ottobre, a New York.L’appuntamento è nella presti-giosa sede dell'Italian Academyfor Advanced Studies in Ame-rica della Columbia University,dove il Ministro dei Beni e delleAttività Culturali e del Turismo,Dario Franceschini, interverràalla conferenza intitolata“World Cultural Conservation.Italy at the Forefront: Innova-tion versus Constraints”, dialo-gando con David Freedberg,che dirige l’Academy, e con ilPresidente del Museo Nazio-nale dell’Ebraismo Italiano edella Shoah, Dario Disegni. IlMinistro si soffermerà sulla po-sizione di primo piano dell'Italiain campo culturale, mettendoin luce le iniziative del Mi-BACT sul fronte delle relazioniinternazionali e introducendoil MEIS come case study rap-presentativo e fiore all’occhiellodel Ministero, che lo inaugureràa Ferrara il 13 dicembre. E delMuseo, nel corso del lancio ne-wyorkese, verranno anticipatialcuni contenuti sui due mega-

schermi di "Through The EyesOf The Italian Jews", l’esperien-za immersiva realizzata da Gio-vanni Carrada (autore e cura-tore) e Manuela Fugenzi (ricer-ca iconografica) che i visitatoridel MEIS potranno compieredal 14 dicembre, ripercorrendola storia della penisola dal pun-to di vista di un ebreo italiano. “Pochi sanno – premette Car-rada, tra gli autori della trasmis-sione Superquark – come gliebrei italiani hanno vissuto equale contributo hanno datoalle vicende del Paese. E adessoche il Museo sta per aprire, ab-biamo pensato che un’attrazio-

ne intelligente, spettacolare ecoinvolgente potesse coglieredue obiettivi: innanzitutto, in-curiosire il pubblico, stimolan-dolo a capire che, oltre allaShoah, ci sono tante dimensio-ni interessanti nell’ebraismo ita-liano. Inoltre, volevamo prefi-gurare il MEIS che verrà, for-nendo al visitatore un primoquadro dei temi che il percorsomuseale svilupperà in modo piùampio e organico”.Risultato: un’installazione cheindaga in tono divulgativo ilruolo dei pregiudizi, l’originedella discriminazione, il con-troverso legame con la Chiesa

cattolica, i grandi spostamentidel popolo ebraico, il significatodel ghetto, la partecipazionedegli ebrei italiani a momenticruciali della vita nazionale, lepagine di convivenza felice equelle più drammatiche.“La narrazione si rivolge a tutti,compresi i giovani – precisaCarrada – Infatti racchiudemolteplici livelli di lettura e al-trettanti messaggi. Ad esempio,con tutti i limiti delle semplifi-cazioni, che quando le cose, inItalia, vanno bene per gli ebrei,in genere vanno bene per tutti(e viceversa): ai periodi di tol-leranza e integrazione corri-

spondono epoche di grandefioritura, come nel Sud dell’altomedioevo, mentre l’emargina-zione e la persecuzione prelu-dono a fasi di profonda deca-denza, come avvenne sotto ilfascismo”.L’immersione che l’installazionesollecita è affidata a immaginidi documenti, opere d’arte,stampe e alla voce narrante: apunteggiare la ricostruzionedelle alterne fortune degli ebreiin Italia sono alcuni appelli(“immagina”), che invitano aimmedesimarsi con loro in pre-cise circostanze storiche. Ecco,allora, gli scomodi panni di un

È una firma storica quella che

è stata posta a settembre nella

sede dell’arcivescovado di Pa-

lermo. Dando continuità a un

impegno annunciato lo scorso

gennaio, l’arcivescovo Corrado

Orefice ha approvato infatti in

forma ufficiale la concessione

(attraverso comodato gratui-

to) di un oratorio di proprietà

ecclesiastica, l’Oratorio di S.

Maria delle Grazie, detto anche

del Sabato, che sorge negli an-

tichi quartieri della “Gazzetta”

e della “Meschita”, alla neonata

sezione ebraica del capoluogo

siciliano.

A oltre cinque secoli dall’editto

di espulsione degli ebrei dal-

l’isola, decisione che in tempi

rapidi portò al definitivo sra-

dicamento di una presenza plu-

risecolare dal territorio e al-

l’inizio di una lunga fase di

oblio su questa radice religiosa

e culturale, prende avvio in

modo solenne l’impegno di dar

vita in quegli spazi a una sina-

goga. La prima da allora.

Firmatari del contratto di co-

modato, iniziativa pubblica che

è stata celebrata alle porte del-

lo Shabbat e della Giornata Eu-

ropea della Cultura Ebraica che

ha avuto nella Sicilia l'assoluta

protagonista, sono stati oltre

a monsignor Lorefice anche la

presidente della Comunità

ebraica di Napoli Lydia Schapi-

rer e la referente della sezione

ebraica palermitana Evelyne

Aouate. Era inoltre presente al-

la cerimonia il vicepresidente

dell’Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane Giulio Disegni,

tra i protagonisti della stesura

del documento.

Si è giunti a questo momento,

vi si legge, “all’interno del fe-

condo cammino del dialogo in-

terreligioso” e nel segno di una

“cordiale amicizia”. Anche le

istituzioni locali, a partire dal

Comune, faranno la loro parte.

Così la Presidente UCEI Noemi

Di Segni aveva commentato ne-

gli scorsi mesi l’annuncio di

monsignor Lorefice sul futuro

dell’oratorio: “Un evento stori-

co e importante nei rapporti

tra Chiesa ed Ebraismo. Una

svolta locale, ancor più signifi-

cativa perché arriva da un Me-

ridione che già da tempo offre

significative testimonianze di

risveglio e di rinascita”.

Ha sottolineato il sindaco Leo-

luca Orlando: “Palermo è una

città orgogliosamente europea

ma anche mediorientale che si

impegna con forza a far dialo-

gare le diverse culture. È una

città mosaico, costruita da tan-

te tessere e ciascuna di queste

rappresenta una cultura diffe-

rente, come quella ebraica”.

Impostazione condivisa dal col-

lega catanese Enzo Bianco, che

ha affermato: “Prima del-

l’espulsione c’era una grande

coesione tra ebraismo e Sicilia.

Noi abbiamo voluto essere pro-

tagonisti, assieme all’UCEI, di

questa rinascita".

/ P2 POLITICA / SOCIETÀ n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Cultura e futuro, il Meis protagonistaPrestigiosi appuntamenti a New York per il museo dell’ebraismo italiano, che sarà inaugurato a dicembre

Palermo, firmato lo storico accordo

Nell’immagine grande au

sinistra una foto del quartiere

ebraico di Roma di inizio ‘900; in

alto il rav Angelo Sacerdoti, che

fu rabbino maggiore d’armata;

a destra la locandina

dell’evento di New York, cui

parteciperà anche il ministro

dei Beni e delle Attività

Culturali Dario Franceschini.

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ebreo deportato a Roma nel 70d.C., dopo la distruzione di Ge-rusalemme e del Tempio daparte del generale Tito; o quellipiù confortevoli di uno scribaebreo nella Palermo del XII se-colo dove, essendo tra i pochicapaci di leggere e scrivere, go-de di uno status privilegiato.Assai più complicata è l’esisten-za di un ebreo prestatore fraTrecento e Cinquecento, strettocom’è fra i poveri, che lo con-siderano un usuraio, e il Comu-ne o il Signore, che gli imponeprestiti di favore o gli estorceil denaro. Senza contare la tra-gica sorte di una bambina ebrea

alla quale, nel ‘38, viene toltotutto, a cominciare dal futuro.E dei panni non suoi ha dovu-to, in un certo senso, indossarelo stesso Carrada: “Non sonoebreo e per questo lavoro sonopartito quasi da zero. Ma mi af-fascinava la prospettiva di ac-costarmi ai rapporti tra culturediverse mettendomi in sogget-tiva, come vorrei che facesserogli spettatori. Del resto, un Mu-seo che vuole parlare a un pub-blico trasversale, deve innanzi-tutto vedersi con gli occhi deglialtri, senza dare nulla per scon-tato, e questo il MEIS lo ha ca-pito”.

Il clima del paese, nonostante ilconsolidarsi dei segnali di ripresa,rimane fondamentalmente ne-gativo e ripiegato: le aggressioniesterne (crisi economica non ri-solta, immigrazione, malaffare ecorruzione) sono i fattori prin-cipali che provocano questo sen-timento diffuso. La richiesta difondo rimane quindi quella di“essere difesi”, non solo da unpunto di vista economico-socia-le, pur centrale, ma anche da unacrisi identitaria e di ruolo che di-venta sempre più evidente.È quanto emerso nel corso dallapresentazione dell’indagine “Ste-reotipi e pregiudizi degli italiani”,fortemente voluta dalla Fonda-zione Centro di Documentazio-ne Ebraica Contemporanea diMilano in collaborazione con lasocietà di analisi e ricerche dimercato IPSOS. Realizzata nel-l’ambito di un progetto sulla sto-ria dell’antisemitismo coordinatodall’Università Statale di Milano,con la partecipazione diUniversità La Sapienzadi Roma, Università diGenova e di Pisa, la ri-cerca (di cui si parla piùampiamente all'internodel dossier) è stata postaa confronto con unaprecedente rilevazionecondotta nel 2007.Di grande interesse e attualità glispunti emersi sul tema del pre-giudizio (antiebraico e non solo).Il preludio a ulteriori approfon-dimenti che saranno effettuatinei prossimi mesi, come hannosottolineato nei loro interventisia il direttore del CDEC GadiLuzzatto Voghera che la socio-

loga Betti Guetta, responsabiledell’Osservatorio Antisemitismodella fondazione. L’obiettivo,confermato da entrambi, è chequesta rilevazione possa diven-tare un punto di partenza permonitoraggi periodici che vada-no a costruire una sorta di “ba-rometro dell’intolleranza”. In lorocompagnia, ad illustrare dati eprospettive dell’analisi, per la cuirealizzazione sono stati impiegatidiversi mesi di lavoro, il presi-dente IPSOS Nando Pagnoncel-li, il senatore Luigi Manconi e ildirettore del giornale dell’ebrai-smo italiano Pagine Ebraiche

Guido Vitale. In apertura di mat-tinata inoltre i saluti della presi-dente dell’Unione delle Comu-nità Ebraiche Italiane Noemi DiSegni e dalla presidente dellaComunità ebraica romana RuthDureghello, mentre tra i variospiti intervenuti nel corso dellagiornata da segnalare alcune ri-flessioni della parlamentare Mi-

lena Santerini sull’impegno delleistituzioni italiane ed europeenella lotta all’odio. “È necessarioche le autorità a tutti i livelli agi-scano per contrastare le diversemaschere dell’antisemitismo. Ènecessario che il mondo musul-mano si difenda da chi non gliconsente di maturare ed inte-grarsi. È necessario che la po-polazione civile si desti” l’appellodella presidente Di Segni. L’in-vito di Vitale è ad aprire gli oc-chi, anche in quel vasto mondoche si muove con messaggi con-troversi e ambivalenti come nelcaso dell’estrema destra tedesca.

“I movimenti populisti diestrema destra e populistiche affermano che gliebrei non hanno nulla datemere costituiscono unagrave minaccia – le sueparole – e questo perchéanche in assenza di uncrescere di episodi crimi-

nosi nei confronti della mino-ranza ebraica tentano di sepa-rare il mondo ebraico dai proprivalori, spesso con la complicitàdi singoli o di istituzioni vicineallo stesso che agiscono irre-sponsabilmente o si illudono dicircoscrivere il problema ebraicoalla difesa degli interessi parti-colari”.

/ P3pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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TUTELE PER L’INFANZIA

Individuare le figure che rispondano ai requisiti sta-biliti affinché le operazioni siano eseguite nel rispettodelle regole della Halakhah (la Legge ebraica) e conla massima cura della salute del neonato. Questol’obiettivo con cui è stato istituito, su iniziativa con-giunta di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,Assemblea Rabbinica Italiana e Associazione MedicaEbraica, il primo albo nazionale dei circoncisori ritualiautorizzati. L’iscrizione all’albo sarà approvata, a do-manda dell’interessato, dal consiglio dell’Ari sentitoil parere di un rappresentante dell’Unione e dell’Ame,che dovranno accertare il possesso di alcuni requisitida parte dei candidati tra cui un curriculum formativocon certificazione rilasciata da riconosciuti organismiebraici internazionali e accertata esperienza pratica;condotta religiosa ebraica; iscrizione all’Unione deimohalim europei; impegno all’osservanza del pro-tocollo operativo; iscrizione presso una Comunitàebraica italiana. L’abilitazione all’esercizio della pro-fessione di medico chirurgo costituisce inoltre untitolo preferenziale.

Visioni A 120 anni dal Congressodi Basilea in cui fu sancitala nascita del sionismo, ilmovimento di cui fu ilpadre, questo l’omaggioche il disegnatore MichelKichka ha voluto tributarea Theodor Herzl (1860-1904) immortalandolo,nella sua celebre posa chesembra guardare lontano,alle porte della Città Vec-chia di Gerusalemme.“Considero Herzl un visio-nario cui la Storia ha datoragione” spiega Kichka, ac-compagnando l’immaginecon una breve riflessione.“Ma il suo progetto rivolu-zionario - aggiunge poi -sarà segnato da un defini-tivo successo il giorno incui lo Stato di Israelevivrà in pace con tutti isuoi vicini”.

Milot, ecco l’albo

I numeri del pregiudizio

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/ P4 POLITICA / SOCIETÀ n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

L'effetto delle Leggi Razziali sul mondo del calcio fu

a dir poco devastante. Si tratta di un capitolo poco

approfondito e invece ricco di spunti per compren-

dere la portata di quell'infamia a un livello più am-

pio. In vita o in memoria, alcuni tra i principali pro-

tagonisti di quegli anni furono privati dei loro inca-

richi e messi in un angolo. Ebrei orgogliosi di esserlo,

ebrei sull'orlo dell'assimilazione, ebrei d'origine ma

ormai cattolici da tempo. Non fu fatta distinzione,

tutti finirono nel tritacarne (mediatico e non solo).

In vista dell'ottantesimo anniversario delle Leggi della

vergogna, annunciate da Mussolini in Piazza Unità

d'Italia a Trieste il 18 settembre del 1938, il saggio

Presidenti (ed. Giuntina) di Adam Smulevich si pro-

pone di gettare nuova luce su tre figure particolar-

mente significative: Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli,

Renato Sacerdoti. I loro destini seguono traiettorie

diverse, eppure possono essere ricompresi in una co-

mune narrazione.

L'estroso insegnante Jaffe, artefice del primo e unico

scudetto del Casale. Il lungimirante imprenditore

Ascarelli, che regalò a Napoli una squadra all'altezza

Quei Presidenti che fecero grande la Serie A

I tempi cambiano, i problemi in-calzano e la memoria rischia disbiadire. Parlare con la societàcivile è difficile come non mai.Sostenere in una stagione di du-ra crisi economica il peso delleistituzioni di una minoranzapiccolissima nei numeri e gran-dissima nella storia, negli idealie delle speranze, sembra quasiimpossibile.Poi, da un momento all’altro,salta fuori qualche antenato cheviene a darci una mano. E cirendiamo conto che il maggiorepatrimonio di sicurezza e di sta-bilità, il vero tesoro, in questitempi di ricchezze fasulle, nonsono tanto le glorie, ma molto dipiù le sofferenze di chi ci ha pre-ceduto.C’è ora un piccolo, grande libroche può riaprire una strada. Conil suo Presidenti Adam Smule-vich ha scelto di raccontare lastoria di tre ebrei italiani cheall’Italia donarono quello che gliitaliani più dicono di amare:l’emozione del calcio. E tornanoin campo tre personaggi che vol-lero essere italiani come gli altri,condividere le passioni di tutti,donare emozioni e godersi fugaciglorie sportive. Tornano oggi,dopo anni e anni di silenzio, dicolpevole oblio, proprio sui cam-pi di gioco da cui furono allonta-nati. Tornano con tutte le loroinevitabili contraddizioni dal-l’oblio, dalla persecuzione, dallosterminio, per ricordarci che nel-le piccole e nelle grandi cose nonc’è Italia senza gli ebrei italiani.Un libro sulla storia del calcionon credevo rientrasse nei mieiinteressi e non mi era ancora

Un piccolo grande libro ci fa tornare in campo

Oggi c'è la Juventus. Nei primianni del Novecento c'era la ProVercelli. Le epoche sono calci-sticamente incomparabili, è evi-dente, ma una matrice comunec'è. Gli avversari di turno, alloracome oggi, uscivano il più dellevolte con le ossa rotte dall'im-patto con un'armata quasi invin-cibile. Tre campionati vinti con-secutivamente dal 1910 al 1913.Preceduti da altre due afferma-zioni tra 1907 e 1909. Nel mezzouna finale persa con l'Internazio-nale, con il clamoroso passivo di10 a 3, ma solo perché in camposcesero dei ragazzini. In quel calcio un po' artigianalee affascinante che si avviava ver-so il professionismo, una mon-tagna ancora in gran parte dascalare, la Pro Vercelli era senzadubbio la regina del gruppo. Unasquadra tra l'altro piemontesis-sima. Anzi, per essere più precisi,vercellesissima. Ma questo fatto, oltre all'ammi-razione di tanti che anche al-l'estero ne lodavano le gesta, ge-

nerava non poca invidia e fru-strazione in chi vedeva come fu-mo negli occhi i successi altrui. Non serviva andare tanto lonta-no per cogliere il rancore checovava: il rivale più affamato,l'avversario più tosto, poteva es-sere appena fuori l'uscio di casa.E se aspettava questo momentoda diversi secoli, beh, non avreb-be mollato tanto facilmente lapresa. Ad interrompere lo stra-potere vercellese fu un sodalizioalmeno altrettanto incredibile daun punto di vista sia agonisticoche umano: un gruppo di volen-terosi studenti accomunati dallapassione per lo sport, cresciuti

tutti o quasi nel raggio di pochichilometri. E tutti fatalmentecontagiati dalla visione, dal ca-rattere e dall'entusiasmo di chiosò sognare l'impossibile. Di chidistrusse le poche granitiche cer-tezze costruite fino ad allora perimporre un nuovo modello disocietà vincente. Di chi osò vo-lare più in alto di quello che con-sigliavano la prudenza e il buonsenso. L'insegnante astigianoRaffaele Jaffe, uno dei figli piùoriginali del Piemonte ebraico diquegli anni, cadde come mannadal cielo per la gente del Mon-ferrato. Non solo fondò dal nullail Foot-Ball Club Casale, ma ad-dirittura lo portò alla vittoria delcampionato (non più come pre-sidente, ma comunque come di-rigente) nella stagione 1913-14.Ad oggi e chissà ancora perquanto tempo ancora l'unico tro-feo rilevante nella bacheca dellasquadra monferrina, nel momen-to in cui questo libro va in stam-pa protagonista di un discreto li-vello nel calcio dilettantistico.

La bella favola del Casale

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Giorgio Ascarelli nasce a Napolinel 1894, figlio di secondo lettodi Salomone Pacifico Ascarelli edi Bice Foà. Ha una sorella, Bian-ca, e quattro sorellastre nate dallaprecedente unione del padre conLuna Sonnino, morta per le con-seguenze delle ferite riportate nelterremoto di Casamicciola del1883. Sin dall'adolescenza Gior-gio si distingue per le idee bril-lanti che passano veloci nella suatesta. Concordano i frequentatoridi casa Ascarelli: il ragazzo hauna marcia in più, farà strada. Le pagine più belle e appassio-nanti le scrive proprio nel calcio,un mondo che impara a cono-scere negli Anni Venti. Il suoesordio da presidente è alla gui-da dell'Internaples, società natanel 1922 dalla fusione di due vi-vaci realtà locali: il Naples e l'USInternazionale. Anche in quel piccolo club, chearriva a disputare la finale dellaLega Sud con i romani dell'Alba,Ascarelli si impone con la mo-dernità dei suoi metodi. Il cambio di passo inizia dallapanchina, dove chiama un tec-nico pronto ad emergere come

mai capitato di dedicarmici. Maquesto libro è diverso, e ho pro-vato a leggerlo cercando di la-sciare le esaltanti vicende sporti-ve che racconta da un canto. Miinteressava capire cosa si può fa-re per raccontare all’opinionepubblica da dove veniamo, chisiamo, dove vorremmo andare. Equando abbiamo bisogno d’aiuto,e quanto potremmo essere d’aiu-to. E mi interessava vedere come

se la sarebbe cavata un giovanecollega cresciuto in questa reda-zione giornalistica alla provadella narrazione e della rigorosaricostruzione storica.Ho visto così i tre Presidenti tor-nare in campo, ottenere se nonaltro un atto di giustizia, unomaggio tardivo, documentare illoro lavoro coraggioso e le lorosofferenze. E ho sentito un mo-mento di silenzio, quasi un se-

gno di gratitudine, serpeggiarefra le folle degli spalti.Aver restituito loro voce e digni-tà è un merito enorme e un mo-tivo d’orgoglio per tutti coloroche credono nel giornalismoebraico. La loro lezione riapre ildialogo fra ebrei italiani e societàitaliana e ha da dire più di qua-lunque convegno, di qualunquecerimonia, di qualunque investi-mento pubblicitario, di qualun-

que smania di protagonismo. IPresidenti sono tornati per sve-larci il segreto che fino ad oggiha condotto nel bene e nel malegli ebrei italiani. Aver restituitoloro la voce che fu spenta è unsegno di professionalità e di spe-ranza più grande di un campo dicalcio. Perché gli ideali e il gior-nalismo sono un gioco di squa-dra.

g.v.

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/ P5pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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delle sue ambizioni. Il facoltoso banchiere Sacerdoti,

che gettò le basi del primo scudetto della Roma. Tre

ebrei italiani, nel cuore di milioni di tifosi, travolti

dalla propaganda e dalla valanga di odio

del regime.

Oggi quasi nessuno li ricorda.

Eppure è convinzione dell’autore che

attraverso queste vicende sia possa

guardare a quella stagione in modo

più consapevole. Le lettere inviate dal

fascista Sacerdoti a Mussolini durante

il confino subito dall'ex presidente

giallorosso, a lungo un fedelissimo

del Duce, costituiscono una testimo-

nianza inedita su cui vale la pena ri-

flettere. Anche perché il caso giu-

diziario che portò alla sua condan-

na, in quell'autunno del '38, fu uno dei bersagli

preferiti dei dardi carichi di veleno scagliati da Villa

Torlonia e dintorni. Una vicenda centrale a tutti i li-

velli: nelle aule dei tribunali, ma anche sulle colonne

dei giornali. Vanno riprese in mano, quelle pagine,

perché aiutano a capire fin dove si spinse la propa-

ganda. Anche ritorcendosi contro un uomo che fu ac-

ceso sostenitore del regime sin dalla Marcia su Roma

e che con lo stesso, poche ore prima dell'arresto, sta-

va collaborando a una missione strategica in Grecia. Il

veleno fu iniettato anche postumo. Ascarelli era già

mancato da otto anni quando le Leggi portarono alla

cancellazione del suo nome dallo

stadio di Napoli. Non un luogo

come tanti altri. Quattro anni

prima, la Germania giocò in quel-

l'impianto la finale per il terzo

posto al Mondiale italiano. Ed ec-

co un'altra sorpresa, stavolta

consolante. L'undici di Hitler di-

sputò l'incontro più importante

della sua storia in uno stadio comunque

consacrato alla memoria di un ebreo (tra l'altro so-

cialista). Una vendetta, sfuggita in questi termini agli

addetti ai lavori, che strappa oggi un sorriso amaro.

Quando le Leggi furono ufficializzate Ascarelli era già

morto, mentre Sacerdoti e Jaffe si professavano cri-

stiani. Si erano convertiti entrambi nel 1937, diversi

mesi prima che i divieti antiebraici entrassero in vi-

gore. Eppure subirono conseguenze

gravissime per via della loro origine.

Jaffe dovette lasciare la carica di

preside dell'istituto che dirigeva a

Casale, un'autentica gloria cittadina;

Sacerdoti finì addirittura in carcere

e fu poi allontanato da Roma per cin-

que lunghissimi anni. Dopo l'otto settembre, i nazisti

cercarono di far la pelle a tutti e due. Con Jaffe, che

fu ucciso al suo arrivo ad Auschwitz, ci riuscirono.

Con Sacerdoti, che si nascose in un convento, i loro

propositi fallirono.

"Questo per dire - scrive Smulevich - che quella pagina,

l'orrenda pagina del pregiudizio e della violenza fa-

scista, riguarda un po' tutti. E che rileggerla attra-

verso lo sport, linguaggio universale per eccellenza,

può forse aiutare a fare chiarezza. E al tempo stesso

contribuire ad aprire nuove strade, a rafforzare la

sfida di una Memoria realmente viva nel cuore delle

vecchie come delle nuove generazioni".

Sarebbe inoltre significativo, aggiunge l'autore, se

anche grazie a questo libretto il mondo del calcio po-

tesse avviare una riflessione e rendere un doveroso

omaggio a questi tre personaggi che molto hanno

fatto, con intuizioni formidabili, perché la grande av-

ventura del pallone potesse decollare anche in Italia.

AdamSmulevichPRESIDENTIGiuntina

Rovi, erbacce, rifiuti un po' ovun-que. Alcuni nomadi che hannodeciso di farne la propria resi-denza di fortuna. E inoltre di-verse incursioni di ratti e bisce,che arrivano ad infestare la scuo-la e la biblioteca adiacenti. Uncratere pieno di malinconia e de-grado nel cuore di uno degli sto-rici quartieri della Capitale. Una fine ingloriosa per CampoTestaccio, negli Anni Trentacentro propulsore di sogni pos-sibili. Lo stadio in cui nascevanopersonaggi indimenticabili e so-prattutto in cui nasceva la gran-de Roma. È in quel prato verdeinfatti, sormontato dal vicinoMonte dei Cocci, che i giallo-rossi costruirono le premesseper il loro primo scudetto(1941-42). 'Semo giallorossi e lo saprannotutti l’avversari de st’artranno.Fin che Sacerdoti ce stà accanto,porteremo sempre er vanto, Ro-ma nostra brillerà'. La Romascendeva in campo, andava allaguerra dei due punti caricandosi

con questa strofa. L'ultima del-l'inno di Campo Testaccio. Renato Sacerdoti, l'uomo chedoveva “stà accanto” al popoloromanista, è un personaggio fon-damentale nella storia del club.Secondo presidente più longevodi sempre (tenne le redini dellaRoma dal 1928 al 1935 e quindidal 1952 al 1958), fu uno dei piùluminosi personaggi di un calciotutto cuore e generosità. Ci ar-rivò con un profilo di banchieree imprenditore affermato, unosqualo nel suo settore. La reseuna meravigliosa storia d'amo-re. Una figura oggi dimenticata, che

pagò probabilmente più di altrela stagione d'odio antiebraicoche il fascismo volle intensificarecon la promulgazione delle Leg-gi Razziali. Paradossalmente, col-pendo uno dei più sfegatati so-stenitori del regime (almeno finquando non gli si ritorse contro)quale fu Sacerdoti. Un fascicolo conservato all'Ar-chivio Centrale dello Stato aprenuovi scenari in questo senso. Sacerdoti fu infatti coinvolto inuna trama losca che praticamen-te oggi nessuno più ricorda, e sucui nessuno forse ha riflettuto asufficienza per raccontare i giornidell'odio. Seguendo questa pista ci si im-batte così in alcune carte e testi-monianze inedite. Un pezzo distoria d'Italia. Con i suoi veleni,le sue bassezze, le sue contrad-dizioni. Da cattolico rispettabilea “giudeo” discriminato. Da parteessenziale del sistema a rifiutomaleodorante di cui liberarsi ilprima possibile. Il passo fu breve,tutto avvenne in poche ore.

Da Testaccio al confino il varesino Carlo Carcano. Èun'intuizione formidabile, la pri-ma di una serie. Pochi anni infattie lo ritroveremo sulla panchinadella Juventus, dove conquisteràben quattro scudetti. Napoletano fino al midollo,Ascarelli aveva comunque unaprospettiva e uno sguardo na-zionale. Stava cambiando, ilmondo del calcio. E Giorgio fuuno dei primi in assoluto a ca-pirlo, dando vita al Napoli nellestesse ore in cui veniva appro-vata la Carta di Viareggio, il do-cumento che segnò la prima sto-rica svolta del sistema verso ilprofessionismo. Nella Carta, sot-toscritta il 2 agosto del 1926, icalciatori venivano divisi in duemacrocategorie: dilettanti e non-dilettanti, chiaramente distinti.Da una parte chi faceva sul serio,dall'altra chi un po' meno. Inoltre, in un altro paragrafo fon-damentale, si apriva la strada allanascita del girone unico nel cam-pionato italiano.Ventiquattro ore prima il presi-

dente riunisce i soci dell'Inter-naples e dà loro il solenne an-nuncio: “Pur grati a coloro chesono stati la nostra matrice – af-ferma il primo giorno di quel-l'agosto di passione – l'impor-tanza del momento e la maggio-re dignità cui il nostro sodalizioè chiamato mi suggeriscono unnome nuovo, nuovo e antico co-me la terra che ci tiene, un nomeche racchiude in sé tutto il cuoredella città alla quale siamo rico-noscenti per averci dato natali,lavoro e ricchezza. Io propongoche l'Internaples da oggi in poi,e per sempre, si chiami Associa-zione Calcio Napoli”.

Passione azzurra

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/ P6 INTERVISTA n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Gadi Luzzatto Vogheradirettore Fondazione CDEC

Mein Kampf per lunghi decenniè stato solo un nome di un libroche si includeva nelle lezioni –troppo brevi – impartite ai ra-gazzi delle superiori. Poi lo scor-so anno è uscita in allegato colGiornale la ristampa anastaticadell’edizione Bompiani, con unaprefazione dello storico France-sco Perfetti. Un’operazione cheha fatto discutere. Vincenzo Pin-to, che del Mein Kampf ha dapoco curato un’edizione critica,la pensa così: “Quando è uscitala ristampa anastatica dell’edi-zione Bompiani - racconta - mitrovavo a Berlino. Lo storico egiornalista Sven Felix Kellerhoff,caporedattore di Die Welt, michiese che cosa pensassi di quellatrovata. Io risposi che, a mio av-viso, quella pubblicazione era larisposta della famiglia Berlusconialla c.d. legge sul negazionismo,di cui non condivideva l’impian-to “liberticida”. A distanza di unanno confermo la mia riflessionedi allora e – aggiungo – chel’operazione fu anche di naturaculturale e commerciale: da unlato, lanciare la collana di testidedicati al Terzo Reich e, dall’al-tro, sostenere la tesi della “nuovaegemonia economica tedesca”(il Quarto Reich). Ora, la difesadi Sallusti è stata debole perchél’edizione proposta non è affattocritica (non basta l’introduzionedi uno storico ancorché validocome Perfetti per renderla tale).In secondo luogo, se è condivi-sibile l’assunto che il nemico va-da conosciuto per essere megliocombattuto (e battuto), mi chie-do quale tesi “forte” abbia soste-nuto l’edizione proposta dalGiornale. In terzo luogo, non èminimamente paragonabile losforzo dell’edizione dell’Institutfuer Zeitgeschichte di Monaco(con tutti i limiti che citerò) allaristampa anastatica dell’edizioneBompiani (del secondo volume,tradotto da Angelo Treves). Pertutti questi motivi, ritengo chel’operazione sia stata molto di-scutibile.L’edizione che lei ha curato con sua

moglie per “Free Ebrei” può sem-

brare ai profani un’edizione ana-

loga all’edizione critica prodotta

dall’Institut fuer Zeitgeschichte di

Monaco. Ma forse non è così. Se ne

discosta? In che modo?

L’edizione “Free Ebrei” (che hotradotto con la mia compianta

“Il mostro nazista, nemico da svelare”Il Mein Kampf nell’edizione critica di Vincenzo Pinto e le nuove prospettive didattiche della Memoria

Studioso del sionismo e dell'antisemitismo, attento analista delrapporto tra la destra e gli ebrei, il ricercatore di storia con-temporanea Vincenzo Pinto è dal 2012 coordinatore dell'asso-ciazione culturale Free Ebrei. Per conto della stessa ha da pococompletato un'operazione che sta facendo parlare il mondodegli storici: la pubblicazione, in una versione ricca di apparaticritici, del Mein Kampf. Il testo in cui il futuro dittatore nazistaAdolf Hitler, in carcere in seguìto al fallito colpo di Stato del1923. delineò il suo folle pensiero totalitario e il programmadel partito che dieci anni dopo avrebbe guidato la Germania.“Bisogna imparare a conoscere veramente ilproprio nemico per poterlo sconfiggere. Ma perconoscerlo - spiega Pinto in questa intervista aPagine Ebraiche - bisogna capirlo”.

consorte Alessandra Cambatzu)non è affatto analoga a quellatedesca. Come ho spiegato nel-l’introduzione, la nostra edizionecita sì alcune note dell’edizionetedesca, ma non è affatto unasua copia. Anzi, proprio per di-mostrare la discontinuità conl’approccio tedesco abbiamo, daun lato, introdotto ogni capitolocon un’analisi del testo e, pochesettimane fa, pubblicato un se-condo volume di saggi dedicatialla storia del libro, al contenuto,all’uso politico e didattico. L’edi-zione tedesca si è posta treobiettivi: presentare al lettore lefonti di Hitler, vagliare alla provadei fatti le sue affermazioni, va-lutare la loro realizzazione dopoil 1933. Si tratta, in altre parole,di un lavoro di natura filologica.Quest’opera è indubbiamente digrandissima rilevanza etico-po-litica, perché consente al lettoredi avvicinare un testo difficilecome il Mein Kampf (difficile perragioni sintattiche, estetiche, cul-turali e politiche). Ma si trattadi un’operazione “politicamentecorretta”: non sposta di una vir-gola la percezione (e la conce-zione) del nazionalsocialismo.Tutti sappiamo che un politicotende a manipolare i fatti perpiegarli alla sua posizione poli-tica. Perché Hitler avrebbe do-vuto essere diverso? Cercare lacorrispondenza tra affermazionie fatti (dopo il 1933) può essererassicurante in un’ottica inten-zionalistica (perché dimostra cheil “gran disegno” hitleriano eragià chiaro ben prima della presadel potere), ma non ci porta al-cuna nuova comprensione delMein Kampf. E qui veniamo alpunto. Tanto Sallusti (citando

superficialmente Sun Tzu e lasua classica “Arte della guerra”),quanto l’Istituto di Monaco nonhanno tentato di analizzare il te-sto hitleriano dal punto di vistalogico e retorico, forse perchéhanno ritenuto che ciò fosse inu-tile (il male del nazismo è un fat-to “oggettivo”) o – come io cre-do – perché mancavano deglistrumenti culturali e interpreta-tivi. La nostra edizione critica –come avrebbe detto lo strategacinese vissuto oltre duemila anni– ha tentato di conoscere il “cie-

lo” (oltre che la “terra”), ovveroha proposto una chiave di let-tura innovativa: il Mein Kampfva visto come una sorta di “ro-manzo poliziesco”, dove il me-dico-detective (Hitler) guida illettore attraverso la visione degliindizi e l’individuazione del col-pevole del male (cioè della “pu-gnalata alla schiena”). Già annifa, dedicandomi alla figura di Ju-lius Langbehn, avevo sostenutol’uso del paradigma indiziariocome metodo non solo storio-grafico (mi riferisco a Carlo Gin-zburg), ma anche “pragmatisti-co” per studiare i movimenti po-litici di massa del Novecento.Grazie anche allo studio dellostorico americano Ben Novakdedicati alla logica abduttiva diPeirce (studiata anche da Um-

bertoEco nei suoilavori di semiotica del romanzopopolare), è stato possibile sco-prire e valorizzare la grande mo-dernità del Mein Kampf e spie-gare l’enigma del consenso (aldi là del contesto storico, socialeed economico). Esso si basa, perfarla in breve, nella capacità daparte di Hitler (vorace lettore diKarl May, una sorta di Salgaritedesco) di utilizzare un percor-so letterario “divinatorio” nellacostruzione politica del nemico.Qui sta l’interpretazione storio-grafica “forte” della nostra edi-zione critica, oltre all’aggiuntadi un apparato bibliografico,analitico ecc.

Come Lei sa, sono molte le persone

che si dicono contrarie alla ripub-

blicazione del Mein Kampf. Intrave-

dono nella diffusione di quel libro

un’operazione pericolosa di “nor-

malizzazione” del linguaggio anti-

semita che ne costituisce uno dei

cardini concettuali. Crede sia pos-

sibile una lettura critica in qualche

modo asettica e priva di giudizio

etico sul libro?

La nostra edizione è critica.Questo dovrebbe tranquillizzaretutti coloro che temono che iltesto possa creare una nuova ge-nerazione di antisemiti. Esistonomolte edizioni clandestine e pri-ve di note (per lo più ristampeanastatiche di quella Bompiani),quelle sì capaci di fomentare ipeggiori istinti antiebraici e an-tisemiti. Ma veniamo al veroproblema della sua domanda:“normalizzare” il linguaggio an-tisemita. Che cosa intendiamocon normalizzare? Se col termineintendiamo condurre entro “i li-

miti della ragione” l’antisemiti-smo, allora il nostro lavoro puntaa questo: far capire al lettore chel’antisemitismo, cioè una certavisione dell’ebreo, esiste e va ac-cettata. Ora, accettare che esistaun certo linguaggio non significacerto approvarlo oppure soste-nerlo. Significa accettarlo come“forma” argomentativa di unadeterminata (ed estrema) situa-zione umana. Questo è, a mioavviso, l’unico modo per potersconfiggere veramente l’antise-mitismo. Se pensiamo che dopo

settant’anni alcuneidee circolano an-cora e che il divie-to non ha sconfit-to l’antisemitismo,bisogna chiedersiche cosa non abbia

funzionato. Possiamo pensareche l’antisemitismo sia sempiter-no oppure che vi sia un odiocongenito e irrazionale verso gliebrei. Oppure che i responsabilipolitici abbiano sbagliato qual-cosa o che il cammino “illumi-nistico” dell’uomo sia ancoramolto lungo. Ma tutto questonon può bastare, a mio avviso,a sconfiggerlo. L’antisemitismoè un mito e va affrontato con unaltro mito ancor più forte. La ra-gione argomentativa non basta:è come tentare di uccidere unlupo cattivo e affamato con learmi del dialogo. Al tema delcontro-mito dedicherò un saggionei prossimi anni.Ora, per tornare all’edizione cri-tica di “Free Ebrei”, io credo chei testi come quello di Hitler va-dano letti in maniera asettica,perché altrimenti la loro pubbli-cazione è inutile: chi è antinazistarimarrà antinazista e chi è filo-nazista rimarrà filonazista. Se vo-gliamo rompere il muro che se-para i due schieramenti, bisognasottoporre ad analisi critica qual-siasi documento, anche il peg-giore. La storia ci insegna chenon sono i libri, ma il loro usopolitico ad aver ucciso gli uomini.Le nuove generazioni di studiosie di cittadini devono avere il co-raggio di andare oltre i propri“padri”, non per tradire la loromemoria, ma per renderla piùutile ed efficace per la loro esi-stenza futura. Non è un caso chela mia edizione critica abbia su-bito pesanti attacchi (e il silenzio)da parte dell’area dell’estrema de-stra: il nome (“Free Ebrei”) ci hasubito associati alla “lobby sio-nista” e, poi, commentare un te-

Adolf Hitler LA MIABATTAGLIAEdizione critica

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/ P7pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

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INTERVISTA

ú– DONNE DA VICINO

AnnieAnnie Sacerdoti è una delle trefondatrici della Giornata Euro-pea della Cultura Ebraica,l’evento che lo scorso 10 settem-bre ha compiuto il suo diciotte-simo compleanno. L’idea è natanel 1999 da un incontro a Parigitra Assumpcio Hosta per la Spa-gna, Claude Bloch per la Franciae Annie per l’Italia. Le signorecredevano fermamente nella ne-cessità di unire l’Europa ebraica,l’hanno fatto, con entusiasmo edeterminazione, lavorando in-sieme, creando l’AEPJ - associa-tion européenne pour lapréservation et la valorisation dela culture et du patrimoine juifs- e ideando sempre nuovi pro-getti, ultimo il prestigioso Itine-rario ebraico europeo giàufficialmente riconosciuto dalConsiglio d’Europa.

La sfida europea è il grandeobiettivo di Annie che, già nel2000, ha rappresentato l’UCEInella campagna “Sites reli-gieux”, curata dal Service duPatrimoine culturel del Consi-glio d’Europa e lo straordinariopatrimonio ebraico italiano in in-numerevoli seminari internazio-nali, convegni e riunioni . La pubblicistica ebraica italiana èuna passione costante. Con lapubblicazione di nove volumisull’Italia ebraica Annie ha sve-lato al grande pubblico un patri-monio pressoché sconosciuto.Località grandi e piccole, vestigiae sinagoghe recenti sono statepresentate a livello regionale econ fotografie e planimetrie. Aconclusione di trent’anni di ri-cerche ha pubblicato la “Guidaall’Italia ebraica”: richiestissimae apprezzata anche nell’edizioneinglese. Nella curatela della mo-stra “Meraviglie dal ghetto”, al-lestita nel 1989 a Ferrara aPalazzo Diamanti, ha offerto concompetenza gemme di arteebraica. Come giornalista ha col-laborato con il mensile Shalomdal 1969, per quasi vent’anni hadiretto il Bollettino della Comu-nità ebraica di Milano. Ultimo, non certo in ordined’importanza, è l’impegno nelleistituzioni ebraiche italiane: davice presidente della Fondazionebeni culturali ebraici in Italia, aconsigliere UCEI, all’associa-zione donne ebree italiane, alMuseo ebraico di Bologna.

Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

sto come quello hitleriano signi-fica – ai loro occhi – manipolarneil significato intangibile. Certo,non sono mancati lettori dellaparte opposta che hanno soste-nuto l’inutilità di pubblicare untesto del genere. Ormai tutto sisa di Hitler e del nazismo, perchérovistare nel fango? Io invece cre-do che Hitler e il nazismo nonsiano stati capiti a fondo e che ilnostro lavoro critico può certocontribuire a gettare un po’ dichiarezza sulle loro strategie ar-gomentative.

In Germania esiste una certa con-

cordanza di vedute sulla possibilità

che il Mein Kampf sia usato a scuo-

la per educare i giovani alla tolle-

ranza. Io stesso in un saggio di ol-

tre vent’anni fa ne raccomandavo

un’attenta lettura critica in ambito

scolastico. Ritiene che questo me-

todo “omeopatico” possa funzio-

nare, specialmente in un’epoca co-

me la nostra caratterizzata da

grandi flussi migratori? Se sì, in che

modo?

La concordanza di vedute è pres-soché unanime (anche fra le co-munità ebraiche tedesche, a ec-cezione forse di quella bavarese).Il problema è come mediare untesto storicamente così impegna-tivo. L’uso dell’edizione commen-tata tedesca è difficoltoso per va-rie ragioni. È necessario un la-voro di adattamento agli stan-dard scolastici. Nei saggi pubbli-cati nel secondo volume dellanostra edizione critica alcuni stu-

diosi e docenti tedeschi si sonosoffermati sulle forme in cui av-vicinare il pubblico a questo te-sto. Io sono favore all’uso accor-to e contestualizzato del MeinKampf a scuola, sia per spiegareai giovani come ragionava l’au-tore, sia per mostrare come lecondizioni storiche possonospingere la ragione “illuminista”a commettere atti efferati e a ri-cadere, di fatto, nella barbariepiù profonda. D’altro canto, nonso se il fenomeno della persecu-zione antiebraica illustrata neltesto hitleriano sia paragonabileal problema migratorio di oggi.Bisogna ricordarsi che il MeinKampf è essenzialmente un testodella Repubblica di Weimar. Gliebrei di cui parla Hitler sonofondamentalmente i cittadini diconfessione mosaica dello Statotedesco. Paragonare cittadini do-tati di pieni diritti e pienamenteintegrati con gli immigrati in fu-ga dalle guerre o dalla fame è, amio modo di vedere, alquantoazzardato. Non certo per sminuire la con-dizione umana dei secondi, ma,al contrario, per enfatizzare quel-lo che fu il vero dramma degliebrei tedeschi: vedersi rifiutatida uno Stato e da una cultura dicui loro si sentivano pienamenteparte e partecipi. Quanto ai modiin cui mediare il Mein Kampf, iocredo che ci siano due grandistrade: una “istituzionale”, una“psico-drammatica”. Da un latobisogna che il docente selezioni

alcuni brani o alcune sezioni deltesto e fornisca ai ragazzi gli stru-menti storici, culturali e retoriciper analizzarli. Tralasciando (perquanto è possibile) la storia deglieffetti, è giusto e opportuno chei giovani si rendano conto dellinguaggio utilizzato dal nazismo,delle sue radici storiche e cultu-rali e delle ragioni del suo “fa-scino”. In un secondo luogo, i ragazzidevono poter comprendere chel’approccio emotivo, “sentimen-tale” e “risentito” offerto dal na-zismo (cioè il suo populismo)non è una soluzione dei proble-mi (politici, economici, sociali,ecc.), anzi è un modo per esa-cerbarli e per condurre poi lorostessi e le persone più care aibordi dell’abisso (qui le letturedi testi come quello di AnnaFrank, Primo Levi ecc. potrebbeessere di grande aiuto). Accanto a questo approccio “isti-tuzionale” vi è, a mio avviso, unaltro modo di avvicinare i gio-vani a questi testi. Fare in mododi creare una specie di gioco diruolo “vittima”-“carnefice”. Nonbasta simpatizzare con la vittimaper poter acquisire una visionecomplessiva delle cose. Bisognaanche (inizialmente) capire il“carnefice”, entrare nella sua testae nei suoi sentimenti e, in qual-che modo, metterli in “scena” (informa teatrale, per esempio).Questo modo può condurre auna forma di catarsi finale, per-ché il ragazzo, depurato dalle

scorie della storia, può finalmen-te acquisire un solido bagaglioculturale e umano (i cosiddettianticorpi) per affrontare nella vi-ta avvenire forme di intolleranzapiù o meno larvate che potrebbedover affrontare. Il divieto nonbasta coi giovani, ma bisogna co-struire faticosamente il loro as-senso. Ma per farlo non bisognaaver paura di guardare e di “vi-vere” il lato oscuro della condi-zione umana.

Il proliferare di edizioni del Mein

Kampf sembra non arrestarsi. Ne

hanno riproposta una gli editori

neofascisti di Thule, e ora è in pre-

parazione un’edizione critica Gar-

zanti che si aggiunge a quella cu-

rata da lei. Non trattandosi di un

testo particolarmente affascinan-

te e, anzi, un po’ noioso se non ci

si occupa in maniera specialistica

delle origini del nazismo e dei to-

talitarismi, Lei pensa che le nuove

edizioni del Mein Kampf e di testi

simili abbiano un futuro?

Non so cosa ne sarà delle futureedizioni del Mein Kampf di cuiLei parla (ammesso e non con-cesso che ce ne saranno). Possosolo dire che l’edizione Thule èun esempio di come non fare unservizio pubblico. I curatori han-no ritradotto integralmente il te-sto, anche se alcune rese sonodiscutibili (come “giudeo” e “giu-daismo”) e sin troppo letterali.In questo modo non hanno fa-vorito la leggibilità e la scorre-volezza di un testo così pesantedi suo. Inoltre, Thule ha evitatodi fornire un apparato critico, so-stenendo che esso avrebbe “tra-dito” e “guastato” l’originale. Ora,il motivo è un altro: se i curatoriavessero commentato il MeinKampf, avrebbero potuto incor-rere nell’apologia del nazismooppure nella sua critica. Nel pri-mo caso avrebbero potuto avereproblemi giudiziari. Nel secondoavrebbero scontentato i loro let-tori. Come detto, è necessarioche un testo come il Mein Kampfvada pubblicato criticamente.Ciò che abbiamo fatto noi di“Free Ebrei” non è affattoun’operazione commerciale (co-me hanno malignato alcuni filo-nazisti), ma è stata dettata dal-l’esigenza di costruire un “ponte”verso le nuove generazioni. Percostruire questo ponte, a volte,bisogna scendere all’inferno (co-me fece a suo tempo Dante) perpoi risalire verso le “stelle”. Più prosaicamente, rifacendocialle parole citate all’inizio di SunTzu (che Sallusti ha citato, madi cui non ha capito lo spirito),bisogna imparare a conoscere ve-ramente il proprio nemico perpoterlo sconfiggere. Ma per co-noscerlo bisogna capirlo.

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Contare quanti siano gli antise-miti presenti in una data societànon è la stessa cosa che misu-rarne il livello di antisemitismo.Questa osservazione è al centrodella ricerca dell'Institute for Je-wish Policy Research (JPR) in-titolata "Antisemitism in con-temporary Great Britain. A studyof attitudes towards Jews andIsrael", l’antisemitismo nellaGran Bretagna contemporaneae nella stagione della Brexit. Unostudio degli atteggiamenti neiconfronti degli ebrei e di Israe-le". È firmato da L. Daniel Sta-etsky, Senior Researcher Fellowdel JPR - ente di ricerca e think-thank indipendente basato aLondra che indaga temi stretta-mente connessi alle comunitàebraiche britannica e dei diversipaesi europei - uno studioso giànoto per alcune recenti indaginidi grande interesse, come "AreJews leaving Europe?" del 2017e "The rise and rise of Jewishschools in the United Kingdom:Numbers, trends and policy is-sues" del 2016, e parte da uncampione di 5.466 rispondenti,su dati raccolti da Ipsos MORI.L'esistenza di un antisemitismoche Staetsky definisce "forte, so-fisticato, forse dotato di una suacoerenza interna e a volte addi-rittura 'colto', un antisemitismoper il quale una aperta avversionenei confronti degli ebrei si com-bina con idee negative articolatesugli ebrei, riguarda una percen-

/ P8 ORIZZONTI n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Pregiudizio in salsa Brexit Il Jewish Policy Research mette a fuoco il problema dell’antisemitismo in Gran Bretagna

In una delle manifestazioni delpost elezione in Germania, di-verse centinaia di tedeschi hannosfilato con in mano cartelli chedicevano: “l’odio non è un’alter-nativa per la Germania”, riferen-dosi al 13 per cento ottenuto dalpartito di estrema destra Alter-native für Deutschland. Un ex-ploit che ha sorpreso molti e hagenerato preoccupazione nelmondo ebraico. Il risultato a duecifre dell’AfD riempie di preoc-cupazione la comunità ebraicain Germania. Un partito che aiz-za contro le minoranze e altreculture e che tollera idee di estre-ma destra, è diventato il terzopartito nel Bundestag. “Al mo-mento l’AfD attacca soprattuttomusulmani e profughi. Ma sonosicuro che potrebbero farlo an-

che con noi, non appena lo ri-tenessero opportuno”, ha denun-ciato il presidente del Consiglioebraico di Germania Josef Schu-

ster in un'intervista. “Un vero in-cubo”, ha dichiarato la presiden-te della Comunità ebraica diMonaco Charlotte Knobloch, già

presidente dell’assise dell’ebrai-smo tedesco. Parlando del risul-tato dell’AfD, la Knobloch ha af-fermato che “questo cambia il

dibattito politico e la cultura epregiudica l’immagine della Ger-mania nel mondo”, invitando go-verno e opposizioni democrati-che “a fornire soluzioni non par-ziali ai problemi e alle paure delpopolo, sul terrorismo, integra-zione e immigrazione, sicurezza”.“Ogni persona democratica èchiamata a preservare e difen-dere la dignità, la libertà e la na-tura democratica della Repub-blica federale di Germania”, haconcluso Knobloch. In parte di-versa la valutazione sul presti-gioso quotidiano ebraico tede-sco Juedische Allgemein da partedello storico Michael Wolffsohn.“Il processo storico, che per laprima volta ha portato alla sgra-dita entrata di un partito comun-que legale, ha avuto inizio molto

“L’opzione dell’odio non avrà presa in Germania”

Popolazione della Gran Bretagna: opinioni sugli ebrei e su altri gruppi religiosi

Popolazione della Gran Bretagna: opinioni sugli ebrei e su altri gruppi religiosi - una visione alternativa

Molto negativa

Sui musulmani

Sugli ebrei

Sugli induisti

Sui Cristiani

Nota: Campione di rispondenti intervistati di persona N=900. A causa degli arrotondamenti il totale potrebbe non corrispondere sempre al 100%.Domanda: Per cortesia mi dica se la sua opinione di (musulmani, ebrei, induisti, cristiani) è molto positiva, slmeno parzialmente positiva, almenoparzialmente negativa o molto negativa.

Almeno parzialmente negativa

10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90%0% 100%

Né positiva né negativa

Non so/Non rispondo

Almeno parzialmente positiva

Molto positiva

Molto negativa Almeno parzialmente negativa

Non so/Non rispondo

Almeno parzialmente positiva

Molto positiva

46,8 9,1 21,0 17,8

44,7 9,9 21,3 18,6

36,4 6,0 24,8 29,8

5,7 8,7 8,2 18,0 17,441,9

2,4

3,0

3,61,9

1,0 2,1

Sui musulmani

Sugli ebrei

Sugli induisti

Sui Cristiani

Nota: Campione online, N=1,001. A causa degli arrotondamenti il totale potrebbe non corrispondere sempre al 100%

10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90%0% 100%

10,0 19,7 47,6 19,6

10,2 19,4 49,6 18,4

9,4 15,4 44,3 29,6

9,9 23,7 18,9 35,4 12,0

3,0

2,4

1,3

tuale di adulti britannici che nonsupera il 2,4 per cento, indipen-dentemente dal metodo di analisidei dati. Si tratta di persone cheesprimono idee e atteggiamentiantisemiti in maniera immediatae decisa. Va poi aggiunto un 3

per cento di popolazione chepuò essere considerato antisemi-ta, anche se in maniera più "mor-bida": adulti che esprimono an-che più di una singola idea anti-semita, ma in maniera meno de-cisa, con meno certezze. Si tratta

di un totale di circa 5 per centodi britannici che si può con faci-lità definire antisemita, personeche hanno una vasta gamma diatteggiamenti negativi nei con-fronti degli ebrei. Le idee antise-mite, però, hanno una circola-

zione diversa nella società, chesupera ampiamente i confini ditale gruppo, ed esiste una per-centuale maggiore di personeche potrebbe non essere consa-pevole di avere idee ostili neiconfronti degli ebrei, o pregiudizi.

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Circa il 15 per cento dei rispon-denti ha almeno due degli atteg-giamenti antisemiti su cui si èsvolta l'indagine, e un ulteriore15 per cento è molto d'accordoo tende ad essere d'accordo conalmeno una di esse. Sommandotali gruppi si arriva al 30 per cen-to circa. Ossia circa il 30 per cen-to della società britannica si ri-conosce in almeno uno specificoatteggiamento antisemita, conuna intensità variabile. Questoperò non signi-fica che il 30 percento della po-polazione è an-tisemita. La maggioranza di co-loro che si sono dichiarati d'ac-cordo con una affermazione ne-gativa nei confronti degli ebreisi sono dichiarati concordi anchecon uno o più affermazioni po-sitive nei loro confronti. In so-stanza l'esistenza in un rispon-dente di uno specifico e/o ste-reotipico pregiudizio antisemitanon corrisponde necessariamen-

te a un definito e radicato anti-semitismo. Quell'inquietante 30per cento, spiega Staetsky, vapiuttosto inteso come corrispon-dente al livello di diffusione diidee antisemite nella società bri-tannica, così come pure dellapossibilità che un ebreo britan-nico si trovi a doversi confron-tare con tali idee. Si tratta di unapercentuale di popolazione chepur non commettendo azioniantisemite ha una responsabilità

i m p o r t a n t enella percezio-ne ebraica dicosa sia e co-

me sia radicato l'antisemitismo.Una percezione in evoluzione,che non corrisponde al numerodi incontri fra ebrei e antisemitidichiarati, o violenti, ma che cor-risponde a un deciso peggiora-mento dell'atmosfera generale,e a un aumento deciso delle pro-babilità di essere esposti a situa-zioni sgradevoli, o decisamenteoffensive. Quindi ragionare in

maniera diversa da quanto vienefatto normalmente nelle ricerchesull'antisemitismo e il passaggiodal contare degli antisemiti (quel2-5 per cento di antisemiti, chesiano più decisi o più "morbidi")al quantificare l'antisemitismo (ladiffusione di visioni e idee) nonè irrilevante. Le idee antisemitein Gran Bretagna non hannouna diffusione così marginale co-me suggeriscono alcune ricerche,e la probabilità di trovarsi in unasituazione potenzialmente offen-siva, spiacevole, in grado di tur-bare non è uno a venti ma, mol-to più probabilmente uno a tre.Quella che la ricerca chiama"elastic view", "visione elastica",permette di comprendere me-glio quanto siano comuni fra gliebrei britannici ansia e preoccu-pazioni, dovute a un antisemiti-smo che seppur diffuso vienenormalmente sottovalutato.

Ada Treves twitter @ada3ves

/ P9pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 ORIZZONTI

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“Ho deciso di chiamarmi Marie Catherine Ochs. È, che i miei an-

tenati mi perdonino, un nome di famiglia. Ho qualche diritto su

questo nome, e sono preparate sulle sue origini europee. Inoltre

suona troppo serio per essere falso”. Nel 1963 la giornalista,

scrittrice e femminista Gloria Steinem scelse il nome della nonna

materna per nascondere la sua identità ed entrare sotto coper-

tura tra le “conigliette” dei Playboy Club: in quegli anni infatti

Hugh Hefner – morto a fine settembre a 91 anni, padre della ri-

vista Playboy e celebrato da molta stampa come uno dei pro-

motori della rivoluzione sessuale – apriva la sua catena di locali

notturni e invitava le giovani e belle americane a farne parte.

“Ragazze: davvero le conigliette dei Playboy club hanno vite gla-

mour, incontrano celebrità e guadagnano bei soldi? Sì, è vero!”,

si leggeva nell'ammiccante offerta di lavoro per entrare a far

parte dell'universo glitterato di Hefner. Era davvero così? Stein-

men, nipote per parte di madre di una importante suffraggetta

- Pauline Perlmutter, ebrea di origine tedesca – e quindi già se-

gnata in famiglia dalla lotta per i diritti delle donne, decise di

verificare in prima persona. Il risultato, oltre al prevedibile ruolo

da donne-oggetto delle giovani, fu che in realtà la paga era ben

inferiore ai 200-300 dollari alla settimana promessi nella pubbli-

cità: le “conigliette” dovevano pagare il costume e la sua pulizia,

anche il trucco d'ordinanza era a loro carico mentre il club trat-

teneva buona parte delle mance. Lo stipendio veniva trattenuto

se le ragazze arrivavano in ritardo nei camerini riservati al truc-

co, se la loro bianche-

ria intima era visibile

da sotto il costume o

se mangiavano qual-

cosa durante l’orario

di lavoro – il sistema

era illegale. C'era poi

un stringente regola-

mento da seguire

condensato nella “Bibbia della coniglietta”: non essere troppo

amichevoli con i clienti, non uscire con loro ma neanche farsi

vedere con un uomo nei due blocchi vicini al club. Nel suo repor-

tage pubblicato da Show Magazine in due puntate, Steinmen met-

te a nudo da subito l'ipocrisia di chi crede che Hefner abbia aiu-

tato l'emancipazione femminile: più che altro ne ha tratto pro-

fitto, come emerge chiaramente dal pezzo di Steinmen, costruito

come un diario quotidiano in cui, non senza ironia, la giornalista

denuncia il sistema Playboy. Come scrive la giornalista Jessica

Valenti, “le persone e i movimenti sono complicati. Hefner non

trattava molto bene le donne, ma sosteneva le lotte per i diritti

civili. Si è costruito un incredibile brand a livello internazionale

che ebbe un ruolo molto importante nel dibattito nazionale sul

sesso e fece partire una discussione sul primo emendamento (sulla

libertà di espressione)”. Leggere A Bunny's tale, anche a distanza

di cinquant'anni, fa capire in parte questa complessità e aiuta a

non lanciarsi in celebrazioni semplicistiche. Ma questo racconto

apre anche un capitolo molto ebraico: il ruolo delle donne ebree

o di origine ebraica nel movimento femminista. Oltre a Steinmen,

nomi come Bella Abzug e Andrea Dworkin, protagoniste della sta-

gione per la lotta dei diritti delle donne, raccontano di una certa

coincidenza tra ebraismo e il movimento. “Odio generalizzare –

ha dichiarato a proposito Steinmen - ma penso che l'accento sulla

giustizia sociale ha probabilmente creato una situazione in cui

le donne ebree sono rappresentate in modo sproporzionato ri-

spetto ai numeri nel movimento delle donne”.

Gloria, che smascherò Hefner

Affermazioni antisemite fatte dalla populazione britannica

72%nessuna

affermazione antisemita

28% d’accordo con

almeno una delleaffermazioni with at least

one statement

3% d’accordo con 3 di esse

3% d’accordo con 4 di esse

1% d’accordo con 5 di esse

1% d’accordo con 6-7 di esse

14% d’accordo conuna afferma-

zione antisemita 6% d’accordo con 2 affermazioni

antisemite

prima della fondazione dell’AfD.Chiunque lo abbia capito non siè trovato sorpreso dal successodi AfD e saprà contrastarlo. LaGermania non è persa. Nuoviestremisti sono entrati in parla-mento ma non sono al potere,e questo continuerà per il pros-simo futuro”.Wolffsohn, storico dal passapor-to israeliano e tedesco, mette inguardia dall’accusare l’AfD di es-sere un partito nazista, non per-ché non sia pericoloso ma per-ché definirlo in questo modo ri-schia di portare fuori strada chivuole contrastarlo. Ovvero, unadefinizione corretta di questo fe-nomeno è il primo obiettivo daperseguire per poterlo sconfig-gere: “possiamo dire questo:molti nazisti vecchi e nuovi han-no scelto l’AfD ma non tutti glielettori dell’AfD sono nazisti.Un’affermazione simile a un’altra

già sentita: la maggior parte deiterroristi è musulmana ma nontutti i musulmani sono terroristi”.Espressioni di una certa vaghez-za che non aiutano a compren-dere la complessità di questi fe-nomeni: e rispetto all’AfD, unrecente sondaggio sottolineavache soltanto il 34 per cento deisuoi elettori ha detto di essereconvinto dal programma delpartito, mentre il 60 per centoha detto di averlo votato comeforma di protesta nei confrontidelle altre forze politiche. “Sem-bra essere un voto piuttosto vo-latile e non troppo convinto, in-somma”, sottolineava il Post inuna sua analisi.Il tedesco Tageschau riporta idati di una altro sondaggio, se-condo cui tra il 90 e il 99 percento degli elettori AfD affermache il movimento comprenderele questioni che gli stanno a cuo-

re meglio degli altri partiti. Se-condo questi elettori i tedeschinon si sentono più sicuri, voglio-no diminuire l'influenza del-l'Islam in Germania e l'afflussodei profughi. Alla domanda sulleprincipali preoccupazioni, glielettori AfD hanno dichiaratodi aver paura che la propria cul-tura tedesca si perda e che l'in-fluenza dell'Islam comportigrandi cambiamenti nella vita inGermania. Questa percezione èstata influenzata dai social net-work: la forte presenza sui questicanali dell'AfD sembra aver con-tribuito al risultato del partito,come conferma l'analisi del Wa-shington Post. E molto del ma-teriale condiviso era legato allecosiddette fake news sui migran-ti, che hanno rafforzato le pre-occupazioni dell'elettorato cheha votato l'alternativa di estremadestra.

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Migliaia di persone hanno par-

tecipato a settembre a una

mezza maratona nei pressi del

lago di Tiberiade per comme-

morare i 421 combattenti drusi

caduti in battaglia o a causa di

attacchi terroristici mentre

servivano per l'esercito d'Israe-

le. La gara di quest'anno è stata

dedicata alla memoria dei due

agenti di frontiera Hail Satawi

e Kamil Shnaan, assassinati in

un attacco terroristico al Mon-

te del Tempio di Gerusalemme

da tre terroristi provenienti

dalla città araba israeliana di

Umm al-Fahm. “Non è facile per

noi partecipare a un evento

senza i nostri figli” hanno detto

i membri delle famiglie Satawi

e Shnaan. “Tuttavia, rimarranno

nei nostri cuori, non li dimen-

ticheremo, hanno sacrificato la

loro vita per lo Stato”. A pre-

senziare alla corsa c'erano, tra

gli altri, il capo di Stato mag-

giore Gadi Eisenkot e il ministro

della Giustizia Ayelet Shaked.

“Nel 1956, i leader della comu-

nità drusa – ha affermato Sha-

ked - sono andati dalla leader-

ship israeliana e hanno chiesto

di applicare la legge sulla co-

scrizione anche ai drusi. Oggi

più dell'80 per cento della co-

munità drusa è arruolata, più

della percentuale degli ebrei:

chi ha fatto parte dell'esercito

è inestricabilmente legato a

questa comunità e ai suoi figli”.

Come sottolineano le parole di

Shaked, la realtà drusa d'Israele

è un esempio di integrazione

all'interno della società seppur

con diverse complessità e bar-

riere ancora da superare, anche

culturali. Una comunità che

conta 120mila persone, per lo

più nel nord del Paese con di-

verse famiglie residenti nell'al-

ture del Golan, conquistate nel-

la Guerra dei sei giorni del 1967.

Proprio qui, per la prima volta

da quando Israele ha conquista-

to l'area, si terranno delle ele-

zioni in quattro cittadine druse:

Buq'ata, Masadeh, Majdal

Shams e Ein Kinya. Fino ad ora

i sindaci di questi comuni erano

stati nominati dal ministro de-

gli Interni e quello attuale, Arye

Deri, ha annunciato invece le

elezioni per il prossimo 30 ot-

tobre.

Circa 23mila drusi vivono in

queste quattro città. Alcuni so-

no cittadini israeliani, ma la

maggior parte sono solo resi-

denti permanenti, e per legge,

i sindaci e i consiglieri comunali

devono essere cittadini israe-

liani. Da qui è nata una polemi-

ca: la maggior parte dei resi-

denti non è in grado di correre

e alcuni si oppongono alle ele-

zioni. “Questo non è democra-

tico – si è lamentato con Haa-

retz uno dei residenti di Majdal

Shams - È una mossa politica e

niente di più, come dire che la

gente vuole integrarsi nella so-

cietà israeliana, e questo non è

vero. La nostra identità è siria-

na, e questo è il nostro patri-

monio”. Questa è infatti una

delle complessità di questo

mondo: in queste comunità

molti si sentono siriani e hanno

parenti in Siria, tanto da aver

chiesto ufficialmente due anni

fa a Israele di intervenire per

aiutare i drusi oltreconfine:

/ P10 ERETZ n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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IL COMMENTO IN EQUILIBRIO TRA SCIENZA E CULTURA

Quando, a diciotto anni, mi trasferii in Israele perstudiare, una delle cose che più faticavo a capire erail prestigio sociale che gli israeliani attribuivano allo

studio delle materie scientifiche. Per un'italiana abi-tuata a un certa forma mentis che sembrava tenerein maggior conto gli studi umanistici, era un belloshock culturale. Quell'esperienza m'è tornata inmente in queste settimane, mentre in Italia sta tor-

nando l'ennesimo dibattito sulla sproporzione tra ilaureati in materie umanistiche rispetto a quelli inmaterie scientifiche. L'Italia sforna troppi laureatiin lettere: lo dice un rapporto Ocse pubblicato a set-tembre, non è mica un'idea mia. E, ma questa in-

vece è un'idea mia, questa sproporzione potrebbe di-pendere anche da fattori culturali. Abitiamo unacultura, di cui il nostro sistema scolastico è undegno riflesso, che fin dall'infanzia ci inculca nelprofondo l'idea che la cultura umanistica sia un

ANNA MOMIGLIANO

Ristabilire il principio di ugua-glianza in Israele. Su questa basela Corte Suprema ha dichiaratol'incostituzionalità dell'accordogovernativo che consente l'esen-zione per la maggior parte deiharedim (cosiddetti ebrei ultra-ortodossi) dalla leva obbligatoria.A metà settembre otto giudicidella Corte su nove hanno con-dannato l'attuale sistema appli-cato agli studenti delle yeshivot(scuole religiose) e approvato dalgoverno Netanyahu nel 2015, di-chiarandolo discriminatorio neiconfronti degli altri cittadini: pri-ma della sentenza, agli studentidelle scuole religiose era statagarantita l'esenzione fino al 2023,liberandoli di fatto dall'obbligodi servire nell'esercito (Tsahal).La Corte ha dato un anno ditempo a governo e Knesset perprodurre un legge che regoli laquestione. “La storia di questacontroversia sociale riflette lastoria dello Stato d'Israele” hascritto la presidente della CorteMiriam Naor nelle 148 paginedella sentenza. Si tratta infatti diun dibattito che da decenni di-vide l'opinione pubblica israelia-na: il primo a garantire l'esonero

dall'esercito al mondo haredi fuil Primo ministro David Ben Gu-rion nel 1949. Allora a usufruirnefurono in 400, oggi parliamo di62mila persone che “non servo-no il Paese mentre i nostri figlimuoiono per difenderli”, comerecita una delle affermazioni piùdiffuse tra chi contesta l'esenzio-ne. Nel settore ultra-ortodosso,una delle risposte a questa con-testazione è che “anche lo studiodella Torah aiuta a difendere lo

Stato d'Israele”. “È impossibilemettere in discussione lo studiodella Torah – il commento diElyakim Rubinstein, giudice del-la Corte Suprema ed ebreo os-servante – e la sua voce, che rap-presenta una protezione, una sal-vezza e la continuità per la no-stra esistenza come nazione,continuerà ad essere ascoltatacome un valore dello Stato.Quello che è stato detto qui (intribunale) non è un attacco ma

un tentativo di costruire. Il gior-no in cui l'intera società ebraica– le parole di Rubinstein - avràla sensazione che la sicurezza fi-sica dello Stato sarà garantita daiharedim, sarà un giorno di festa”.Il giudice, vicepresidente dellaCorte che presto lascerà il suoruolo per andare in pensione, haanche detto che “fino a che con-tinuerà l'attuale saga (i contrastisulla leva obbligatoria), le leggicontinueranno ad andare e ve-

nire, mentre rimarrà l'amara lasensazione di diseguaglianza”. Secondo la radio dell'esercitoisraeliano, nel 2016 il 72 per cen-to delle persone che inizialmenteerano nella lista di leva ha poieffettivamente servito nell'eser-cito (dal 2015, 32 mesi per gliuomini, due anni per le donne).Il restante 28 per cento è rap-presentato per la maggior parteda giovani haredim (la statisticacomprende anche persone esen-tate per motivi medici e una pic-cola minoranza di obiettori dicoscienza), su cui si concentrala sentenza della Corte. Una di-sposizione per costringerli a ve-stire l'uniforme era stata già ap-provata nel recente passato: unprovvedimento voluto in parti-colare da Yair Lapid e passatonel 2014, quando questi facevaparte con il suo Yesh Atid delgoverno del Primo ministro Ben-jamin Netanyahu. Un anno dopoperò, nuove elezioni, nuovo go-verno Netanyahu e niente piùlegge sulla coscrizione obbliga-toria dei haredim: Netanyahu in-fatti in questa ultima legislaturaconta sull'appoggio dei partitiultraortodossi che, tra le prime

“La leva deve essere uguale per tutti”

Drusi, dolore e integrazione

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/ P11pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 ERETZ

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qualche modo superiore e che appren-dere nozioni applicabili al mondo dellavoro sia meno importante: il risultatoè una generazione «incatenata aun'educazione che la costringe a desi-

derare un'esistenza che non può per-mettersi», come ha scritto RaffaeleVentura nel suo saggio Teoria dellaclasse disagiata (minumum fax).Quando qualcuno prova a proporre di

cambiare le cose, di incoraggiare attiva-mente i ragazzi a iscriversi a facoltà chepermettano loro di trovarsi un lavoro,c'è chi protesta: così si svilisce la cul-tura. Eppure il senso pratico, non

esclude l'amore e la valorizzazionedella cultura umanistica. Così mi ri-trovo a domandarmi se invece l'attitu-dine israeliana non possa essere unmodello cui ispirarsi: è un Paese dove

buona parte dell'economia gira attornoa scienza e tecnologia, ma che ha sa-puto produrre letterati apprezzati intutto il mondo e che ha un'invidiabileproduzione culturale.  

Il sì di Israele al KurdistanIl Kurdistan iracheno vuole l'in-dipendenza, come testimonia ilrisultato del recente referendum:degli oltre tre milioni di curdi chesi sono recati alle urne (il 72,6per cento degli aventi diritto), il92,7 per cento ha votato sì all'in-dipendenza. Ma la strada per ot-tenerla appare molto lontana:uno dei pochi Paesi che ha so-stenuto il presidente MassoudBarzani e il referendum è statoIsraele mentre buona parte dellepotenze mondiali, Stati Uniti eRussia in testa, si sono dette con-trarie e hanno detto di non volerriconoscere l'esito del voto. PerWashington, a dare l'annuncio ilsegretario di Stato, Rex Tillerson.“Gli Usa non riconosceranno maiil risultato del referendum unila-terale per l'indipendenza del Kur-distan” ha dichiarato Tillerson,appellandosi a tutte le parti peril dialogo per scongiurare violen-ze. “Il voto e i risultati non sonolegittimi e noi continuiamo a so-stenere un Iraq unito, federale,democratico e prospero”. Anchela Turchia di Erdogan era con-traria al referendum e ancor piùal suo risultato perché teme cheun Kurdistan iracheno indipen-dente riaccenda la miccia – in re-altà mai spenta - del conflitto in-terno con i curdi che vivono sulterritorio turco. Erdogan è arri-vato a minacciare Israele a causadel citato sostegno alla causa cur-da: il presidente turco ha annun-ciato che se Gerusalemme noncambierà atteggiamento, verranorivisti i rapporti diplomatici conAnkara. Rapporti appena norma-lizzati dopo anni di gelo. “Non èpossibile per noi fare passi avanticon chi non vede la Turchia co-me uno dei protagonisti nella re-gione. La Turchia è protagonistanella regione”, le parole di Erdo-gan. Come spiegava la giornalistaElena Zanchetti “i curdi sono laquarta etnia più grande del Me-dio Oriente, sono tra 25 e i 35milioni e non hanno uno stato,anche se lo vorrebbero. Sono di-stribuiti in cinque paesi (Iraq, Si-ria, Turchia, Iran e Armenia) e lamaggior parte di loro è musul-mana sunnita, ma c’è grande va-rietà. Oggi non ha più molto sen-

so guardare ai curdi come a unblocco monolitico, perché ognigruppo nazionale ha le sue prio-rità e i suoi alleati. Quelli chec’entrano con la guerra in Siriasono tre: i curdi turchi, i curdi si-riani e i curdi iracheni, che com-battono tutti contro lo Stato Isla-mico”. I curdi iracheni sono ilgruppo nazionale curdo che negliultimi decenni ha ottenuto piùautonomia, spiega la giornalista,riconosciuta nel Governo regio-nale del Kurdistan: hanno un loroparlamento, dei ministri, un eser-cito (i Peshmerga) e sono guidatidal citato presidente Barzani. Ehanno il sostegno del governo diGerusalemme. “Israele si opponeal Partito dei Lavoratori del Kur-distan [il PKK – il partito curdoin lotta con Ankara] e lo vedecome un'organizzazione terrori-stica, al contrario della Turchia,che sostiene l'organizzazione ter-roristica di Hamas. Ma mentreIsraele si oppone al terrorismo inquanto tale, sostiene i legittimisforzi del popolo curdo per otte-nere uno stato proprio” ha detto

il primo ministro Benjamin Ne-tanyahu prima del referendum,inviando un messaggio a Erdo-gan e mettendosi in una posizio-ne in controtendenza con gli al-leati nella regione. L'appoggio diNetanyahu, spiegavano diversiquotidiani israeliani, nasce sia daun legame che risale agli anni '60tra Israele (con l'arrivo di circa200mila ebrei) e popolo curdosia da motivi strategici: un Kur-distan indipendente sarebbe unapossibile “forza cuscinetto” in gra-do di controbilanciare i diversipaesi arabi e l'Iran. Al New YorkTimes l'ex agente della Cia Ken-neth M. Pollack ha spiegato che“I curdi iracheni e iraniani hannolegami profondi. E per creareproblemi all'Iran, un modo è in-coraggiare l'indipendenza dei cur-di iraniani. Gli iraniani sono ter-rorizzati e furiosi proprio per que-sto: che siano gli israeliani a por-tare avanti la cosa e che un Kur-distan indipendente sarà una baseper le operazioni israeliane control'Iran, attraverso la popolazionecurda iraniana”.

DOVE È IL KURDISTAN IRACHENO–––– Official claimed borders of Iraqi Kurdistan

•••• Official borders of Iraqi Kurdistan pre-2014

Undisputed territory of Iraqi Kurdistan

Disputed territory within its official borders which is control-

led by Iraqi Kurdistan

Territory outside of its official borders which is controlled by

Iraqi Kurdistan

Other territory claimed by Iraqi Kurdistan

Rest of Iraq

cose, hanno chiesto in cambiodel sostegno la cancellazione del-la norma voluta da Lapid. In questa battaglia normativa afar riflettere sono però i dati dicui scrive il giornalista israelianoDanny Zaken, che aprono unaprospettiva diversa. Secondo unafonte del giornalista all'ufficio delpersonale di Tsahal negli ultimitre anni le reclute haredi sonoaumentate del 12/13 per cento.Nel 2016 erano 2800, mentre lestime per tutto il 2017 parlano di3200 persone. In 10 anni, conti-nua Zaken, c'è stato un aumentodella partecipazione dei haredimdovuto a un maggiore dialogotra questo settore, le istituzionicivili e militari. Nel decennio1997-2007 si erano arruolati 1500

uomini ultraortodossi, nel decen-nio successivo 16.500. Un nume-ro 11 volte superiore. SecondoZaken ma anche secondo GiladMalach dell'Israel democracy in-stitute, la sentenza della CorteSuprema, per quanto giusta, ri-schia di essere d'ostacolo a que-sto trend, mettendo sulla difen-siva tutto il mondo haredi e dan-do un appoggio a chi, al suo in-terno, ostracizza chiunque scelgadi servire nell'esercito invece chestudiare in una yeshiva. “I numeri– scrive Zaken - dimostrano cheil dialogo e la cooperazione conla leadership ultra-ortodossa sultema della coscrizione obbliga-toria conducono ad un aumentodel numero di studenti di yeshivache servono nell'esercito”.

“Siamo in un pericolo imminen-

te, senza alcuna ragione. Per

questo chiediamo a tutti i lea-

der, inclusi i nostri amici mu-

sulmani, di unirsi alla nostra ri-

chiesta a tutte le fazioni che

combattono in Siria di fermare

il massacro dei drusi e non solo

- aveva dichiarato Jaber Ha-

med, a capo del Consiglio di Sa-

jur (area nel nord di Israele) e

presidente dell’organizzazione

che rappresenta i drusi e cir-

cassi d’Israele - Chi più degli

ebrei può capire a cosa stiamo

passando oggi, come minoran-

za nel mondo”.

La religione dei drusi è nata cir-

ca mille anni fa, staccandosi

dall’Islam. Pur avendo un’origi-

ne musulmana, però, è molto

diversa dall’Islam. La sua dot-

trina mette insieme elementi

islamici, cristiani ed ebraici, e

anche il principio della reincar-

nazione: questo è alla base del-

la chiusura della comunità re-

ligiosa, perché si pensa che solo

un druso possa reincarnarsi in

un druso. Tra le caratteristiche

della religione dei drusi c’è an-

che il fatto che le donne posso-

no essere guide religiose come

gli uomini, che la poligamia è

vietata e che non ci sono orari

del giorno precisi o luoghi pre-

stabiliti in cui pregare. I drusi

considerano il Nuovo Testamen-

to della Bibbia e il Corano dei

testi sacri, ma hanno anche un

proprio testo sacro, il Kitab al

Hikma, che solo un selezionato

numero di iniziati può leggere.

Nel tempo i drusi sono stati più

volte vittime di persecuzione

da parte dei musulmani e a par-

tire dal 1975, con l’inizio della

guerra civile in Libano, hanno

cominciato a emigrare dal Me-

dio Oriente, disperdendosi.

Iran

Siria

Siria

Iraq

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/ P12 ECONOMIA n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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nistri aveva approvato un testomolto severo, che metteva albando tutte le società che offro-no trading online ma poi, nelcorso del lungo iter di approva-zione parlamentare, il testo dilegge è stato fortemente diluito.Cosa ha determinato questo “an-nacquamento”? Il quotidiano Ti-mes of Israel riferisce che i rap-presentanti di queste società, os-sia la loro “lobby”, sono interve-nuti “pesantemente” per indurre

i legislatori israeliani a più miticonsigli; questa lobby ha buoni“mezzi di persuasione” visto chele centinaia di società del settoredispongono di ampi mezzi finan-ziari (i loro ricavi si stimanonell’ordine dei miliardi di dollari)e forniscono lavoro a migliaia diaddetti. In che misura l’ultima versionedel testo di legge stronca il fe-nomeno? Nella versione “annac-quata” discussa in Commissione

Riforme all'inizio di agosto, lamessa al bando (ossia il divietodi esercitare ogni attività, neiconfronti di chicchessia), si limi-tava alle società che offrono lecosiddette "binary options" (os-sia scommesse su eventi che pos-sono avere solo due esiti, comel'aumento oppure il calo di unindice azionario) mentre conti-nuava a venire permessa l'attivitàdei siti internet cosiddetti "forex",ossia quelli in cui si investe e si

scommette su tassi di cambio travalute. Il rischio che si configura,qualora venga approvata questaversione “leggera” della legge, èche le società di opzioni binariecontinuino a operare sotto lesembianze di società di forex on-line. Solo una volta approvataed entrata in vigore la legge sipotrà verificare se effettivamentecesserà il fenomeno delle “truffeonline” ai danni di ignari inve-stitori.

IL COMMENTO FOLLOW-UP NATION

Non solo «Start-up Nation», come oramaid’abitudine si dice quando si parlad’Israele, ma qualcosa di più e di diverso.Quanto meno in prospettiva. E nei fatti,prima ancora che nelle intenzioni o neicalcoli di circostanza. Un conto è pensarsied essere vissuti dagli “altri” come unpaese che agevola l’innovazione, fondandouna parte crescente della propria economia

sull’evoluzione intensiva ed estensivadelle intelligenze operative. Ben diversodiscorso, invece, è il diventare il centro diricerca d’eccellenza nel mondo. Due oriz-zonti distinti, benché tra di loro in direttarelazione. A differire non sono solo le di-mensioni di scala (locali, nel primo caso;globali, nel secondo) ma anche le prospet-tive politiche che si accompagnano. Poichése una economia ad alto tasso di innova-zione è senz’altro uno dei fattori vincenti

nella globalizzazione, il divenire un fonda-mentale tassello planetario nei processi ditrasformazione tecnologica implica il po-tere esercitare un’egemonia culturale. Laquale è poi destinata a riflettersi su moltialtri paesi, concorrendovi a determinarneatteggiamenti, condotte e scelte di lungoperiodo. La tecnologia in quanto sapereapplicato, infatti, non è mai neutra. Unaprospettiva fantascientifica o, addirittura,il manifestarsi, sotto nuove spoglie, del

“mostro giudaico del complotto”? Nulladella prima ipotesi né, tantomeno, della se-conda. Piuttosto il discorso è ben diverso,aggirando tra l’altro anche le tradizionalilogiche del boicottaggio, delle sanzioni edei disinvestimenti: l’incentivazione deiprocessi a forte tasso d’innovazione, desti-nati a produrre beni (ma anche pensieri)facilmente esportabili e fruibili un po’ovunque, travalica le dimensioni dell’ap-partenenza nazionale, così come abitual-

CLAUDIO VERCELLI

Quando a metà settembre latrentenne israeliana Lee Elbaz èscesa dall'aereo che da Tel Avivl'aveva portata a New York, nonsi aspettava che ad attenderla nelterminal dell’aeroporto Kennedyci fossero due agenti dell'FBIcon un mandato d’arresto: il ca-po d'accusa principale per la El-baz è di concorso in truffa, peraver raggirato centinaia di clientinegli Stati Uniti mediante la so-cietà israeliana di trading onlinedi cui lei è amministratore dele-gato. Alla Elbaz sono stati con-cessi gli arresti domiciliari, siapure dietro cauzione di quasi duemilioni di dollari, ma ora rischiauna condanna fino a venti annidi carcere.Questo episodio rappresental'ennesima conferma che l’attivitàillecita che da molti anni le so-cietà israeliane di trading onlinecompiono ai danni di cittadinistranieri, soprattutto europei eamericani, è divenuta ormai perIsraele una fonte di problemi di-plomatici con le autorità dei pae-si dove risiedono le vittime: i go-verni degli Stati Uniti e del Re-gno Unito, in particolare, hannodeciso di intervenire direttamen-te per contrastare il fenomeno,come dimostra il clamoroso ar-resto effettuato a New York, estanno esercitando forti pressionisulle autorità israeliane affinchémettano fine a questa attività.Le pressioni dall’estero e l'accu-mularsi di denunce da parte dellevittime hanno sortito i loro effettiperché il parlamento israelianosta finalmente esaminando undisegno di legge che impone re-strizioni a questa attività. Alla fi-ne di giugno il Consiglio dei mi-

Trading online, un argine alle truffe

Uman è una cittadina di quasi

90mila abitanti nel sud ovest

dell'Ucraina, a tre ore di mac-

china da Kiev. Qui ogni anno

convergono tra le 25 e le 30mila

persone durante Rosh HaSha-

nah, il capodanno ebraico: ebrei

israeliani e non affollano la città

per rendere omaggio a rav Na-

chman, il rebbe fondatore del

chassidismo di Breslav, morto a

Uman il 16 ottobre del 1810. Da

allora i suoi discepoli si recano

in Ucraina in solenne pellegri-

naggio e i numeri dei pellegrini

cresce gradualmente di anno in

anno, cambiando anche il volto

della città. Dal 2012, ad esempio,

via Puskin, arteria principale che

porta alla tomba di rav Na-

chman e in cui vivono tutto l'an-

no circa 500 ebrei, ha visto

l'apertura di venti ristoranti ca-

sher e 25 alberghi. Vendendo

caffè ai pellegrini, ha raccontato

un giovane ucraino all'agenzia

Jta, si guadagna più di quanto

un insegnante guadagna in un

anno: gli affari di Yuri Breskov,

il nome del ragazzo di appena

18 anni, durante Rosh HaShanah

gli portano in tasca 3mila dolla-

ri. La segnaletica in ebraico do-

mani le strade di Uman, spin-

gendo professionisti di ogni ge-

nere, da elettricisti ad avvocati,

da medici agli operatori di vasca

idromassaggio fino ad agenti

immobiliari, a cercare fortuna

qui, racconta la Jta. Questa tra-

sformazione urbana riflette

l'esplosione di pellegrini ebrei

ad Uman. Mentre in passato i vi-

sitatori erano per lo più gli uo-

mini del movimento hassidico,

ora comprendono “tutti quelli

che potete immaginare, da ado-

lescenti a uomini che hanno fi-

nito la leva militare” ha spiegato

Shimon Buskila, ex leader della

comunità ebraica locale in un'in-

tervista. “È stato improvviso e

inaspettato ed è stato un cam-

biamento molto profondo - ha

sottolineato Buskila - Da un fe-

nomeno legato alla corrente di

Breslav, il pellegrinaggio è di-

ventato un fenomeno israeliano,

se non proprio internazionale”.

Pronipote di Baal Shem Tov, il

Uman, come ti cambiano i pellegrini

Aviram Levyeconomista

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/ P13pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 ECONOMIA

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I cambiamenti climatici, le lorocause ed effetti, la questione dellaresponsabilità dell’uomo perquello che è accaduto e per quel-lo che accadrà. Negli ultimi anniqueste tematiche sono state alcentro del dibattito della comu-nità scientifica e poi sociale e po-litica, fino ad arrivare agli accordidi Parigi nel 2015, con cui 195paesi incluse le maggiori potenzemondiali si sono impegnate a ri-durre le emissioni di anidridecarbonica, e infine alla recentedecisione dell’amministrazioneTrump di ritirarsi. A offrireun’analisi della situazione nellaprospettiva del pensiero ebraicoè stato di recente David Krae-mer, professore di Talmud al Je-wish Theological Seminary diNew York, in un articolo pub-blicato dalla Jewish TelegraphicAgency.“La stragrande maggioranza de-gli scienziati concordano che l’at-tività umana contribuisce in mo-do significativo al surriscalda-mento globale, e che le sue con-seguenze saranno significative ecatastrofiche” scrive Kraemer.“Non è solo una questione diprincipio. Se gli scienziati hannoragione, siamo di fronte a unaquestione di vita o di morte per

un numero potenzial-mente alto di creature,esseri umani inclusi.Le questioni di vitae di morte sonocentrali nel pensieroe nella religioneebraica. Dunquenoi ebrei dobbiamodomandarci: cosa cirichiedono gli inse-gnamenti dell’ebrai-smo in materia disurriscaldamentoglobale?”.Il primo punto toccatoda Kraemer riguarda il gradodi certezza a proposito dell’ef-fettiva esistenza di un fenomenodi surriscaldamento globale fa-vorito dal comportamento del-l’uomo, fatto talvolta disputato.“Nella prospettiva ebraica nonfa alcuna differenza che ci sianoalcuni, incluso un piccolo nume-ro di scienziati, che mettono indiscussione la scienza e quindile sue allarmanti conclusioni.Poiché il surriscaldamento glo-bale potrebbe potenzialmentecondurre alla morte di esseriumani, è da inserire nella cate-goria del ‘safek nefashot’, situa-zioni in cui la vita umana po-trebbe essere messa a rischio. E

fondatore del chasidismo, rabbi

Nachman dimostrò precocemen-

te un notevole carisma spiritua-

le. Portatore di una fede incrol-

labile, visse la sua esperienza re-

ligiosa accentuando i toni gio-

iosi e vitalistici di essa. In poco

tempo radunò un cospicuo nu-

mero di seguaci e comincio a

viaggiare attraverso l’Europa

orientale portando in giro il suo

messaggio di entusiasmo. “Esse-

re sempre felici è una grande

mitzvah”, sosteneva, “l’unico ve-

ro peccato è la tristezza, lo sco-

ramento”. Egli però non volle

fondare una dinastia chassidica,

pratica comune tra queste co-

munità. Quando morì di tuber-

colosi, neanche quarantenne,

nel 1810, si rifiutò di nominare

un successore. “Non aspettate

nessun altro rebbe”, disse ai suoi

discepoli, “fino alla venuta del

Messia rimarrò io la vostra gui-

da”. I pellegrinaggi per celebra-

re rav Nachman a Uman non

hanno portato solo benefici alla

città: più volte sono stati regi-

strati comportamenti molesti

da parte di pellegrini tanto che

le autorità israeliane inviano

ogni anno una squadra di polizia

per tenere sotto controllo la si-

tuazione. “Chiunque creda in me

deve passare Rosh HaShanah in

mia compagnia, questo è il nu-

cleo della mia missione”, una

delle citazioni di rav Nachman.

“I seguaci che visiteranno la mia

tomba e faranno tzedakah in

mio onore”, disse inoltre “can-

celleranno tutte le loro colpe.

Io li tirerò fuori dalla Gheenna

per le pe’ot”.

popolo ebraico dopo l’Uscitadall’Egitto, stipulato “sia con co-loro che si trovano con noi inquesto giorno, sia con coloro chenon sono con noi oggi” (Deute-ronomio 29:13-14).“Infine, la nostra responsabilitàcome ebrei non comprende solola nostra specie, ma il mondonella sua interezza, con tutte lecreature di Dio presenti in esso”conclude il professore. “La Terranon è nostra da sfruttare – o ad-dirittura distruggere – secondoi nostri desideri. Come è spiega-to in Genesi 2:15, siamo stati po-sti in questo nostro ‘giardino’ per‘lavorarlo e custodirlo’. Non sa-rebbe giusto affermare chel’ebraismo ci richiede di rimanereparte degli accordi di Parigi sulclima: le prescrizioni bibliche erabbiniche non sono semplice-mente trasferibili nei dettagli del-la politica del XXI secolo. Mal’ebraismo ci richiede di perse-guire gli obiettivi degli accordidi Parigi, e persino di superarli.Il fatto che rimangano delle do-mande aperte non cambia questaconclusione. Secondo la visionedell’ebraismo, la sopravvivenzadella Terra e delle sue creatureè nostra responsabilità”.

Rossella Tercatin

Cambiamenti climatici, risposte ebraiche

la legge ebraica non presentaambiguità quando la vita potreb-be essere minacciata: l’obbligo èsempre quello di errare nella di-rezione di essere eccessivamentecauti e non il contrario”. L’esem-pio portato nell’articolo è quellodi una donna incinta duranteYom Kippur: se pure lei si sentebene, ma un dottore ha dichia-rato che la sua vita è in pericolo,l’obbligo è quello di nutrirla; allostesso modo, se il dottore ha di-chiarato che sta bene, ma la don-na si sente male, l’obbligo rimanequello di nutrirla. Quando si trat-

ta di vita umana, le precauzionida prendere sono sempre quelledel caso più allarmista.“Qualcuno potrebbe rispondereche il caso di Yom Kippur ri-guarda una persona già in vita,mentre la preoccupazione per ilsurriscaldamento globale guardaa coloro che vivranno (o mori-ranno) in futuro. Ma l’ebraismoè chiaro nell’insistere che i nostriobblighi si estendono non soloa coloro che vivono oggi ma an-che alle generazioni future” spie-ga ancora Kraemer, facendo ri-ferimento al Patto tra Dio e il

Gior

gio

Albe

rtini

mente la si pensa, scavalcando inoltreconfini e divisioni di ogni genere. Creasemmai un sistema di relazioni e discambi che diventano poi parte inte-grante del comune modo di pensare. Nonè quindi solo una questione economica.Un tempo neanche troppo lontano Israeleera una nazione piccola e determinata chelottava per la sua esistenza. Oggi è ancheun modello culturale, molto sfaccettatopoiché fortemente pluralistico. Il fuoco

della sua identità è il rapporto tra tradi-zione e innovazione. Due facce dellastessa medaglia che trovano nell’impegnodi spesa per la ricerca e lo sviluppo (il4,3% del Pil) un passaggio fondamen-tale. L’obiettivo, adesso, non è solo quellodi continuare a crescere ma anche di tra-sformare Israele in un hub internazionaledell’innovazione. Si sa che il paese ha piùsocietà quotate al Nasdaq di qualsiasialtro Stato, con l’eccezione degli Usa, e

più investimenti in venture capital diGermania e Francia. Tanto per dire. L’-High-Tech, inoltre, costituisce oramai il50% del suo export. Nel 2016 l’economianazionale è cresciuta del 4%, a fronte dicinque miliardi di investimenti stranierinel settore dell’innovazione. La chiave divolta, in questi ultimi vent’anni, è stataquella di creare un ecosistema favorevoleal trasferimento di conoscenze e compe-tenze dai luoghi di studio, così come dalla

stesso società civile, ad un circuito im-prenditoriale in continuo mutamento.Quella d’Israele è una economia di flussipersistenti, basata sugli scambi internitra intelligenze e risorse e su quelliesterni al paese, con continui conferi-menti di capitali in entrata e cessioni disaperi organizzati in uscita. Un modelloculturale, quindi, sul quale è necessarioriflettere in maniera non schematica. C’èun grande futuro nel proprio passato.

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/ P14 CULTURA EBRAICA n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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u טב למיתב טן דוÈ MEGLIO STARE IN DUE…

Il primo a rendersi conto che l’essere umano da solo non avrebbe rettoalla noia fu Dio benedetto, che ebbe la brillante idea di mettergli non ac-canto ma di fronte una compagna. Da allora, non si contano i fogli usatida rabbini, filosofi, storici, economisti e pensatori di ogni specie per rac-contare al mondo che l’uomo è un essere sociale assolutamente incapacedi vivere se non aggregato e connesso ai suoi simili.Se in ogni attività una buona compagnia è desiderabile, nello studio, se-condo l’ottica ebraica è addirittura essenziale. È ancora oggi in uso il si-stema di apprendimento usato nelle yeshivot detto chaverutà, per affinarel’apprendimento di un testo in maniera dialogica, a gruppi di due studenti. Una delle coppie più famose che si incontra nel Talmud è quella formatada Resh Laqish e Rabbi Yochannan vissuti nel III secolo in Eretz Israel. Unrapporto che nasce sotto il segno di una amicizia d’infanzia, si trasformain relazione allievo - maestro e matura come legame di colleganza di stu-dio, al punto che la morte di uno dei due determina inesorabilmente lafine pure per l’altro, che non trova sostituti altrettanto validi. Non deve stupire allora che questo detto sia un principio citato nel Talmudsempre a nome di Resh Lakish, anche se a dire il vero, l’intero adagio“meglio stare in due che rimaner vedove” si riferisce propriamente algentil sesso. Presuppone che la donna sia disposta ad adattarsi a una si-tuazione sfavorevole, persino scomoda, e non sfasciare la relazione co-niugale più di quanto non lo sia l’uomo. Nel trattato di Ketubbot si con-sidera il caso di colui che ha contratto matrimonio a condizione che l’altraparte non avesse una determinata malformazione; una volta venuto allaluce il difetto, il matrimonio è dichiarato senz’altro nullo secondo il dirittoebraico. Il contrario non produce automaticamente lo stesso effetto,questo perché in fondo la moglie, si suppone che mentalmente esprimail suo consenso a convivere anche con il difetto del marito, quando questaimperfezione può trovare cura e rimedio. Secondo Rav Soloveitchik non si tratta di un assunto da considerare solotenendo conto delle condizioni storiche sociali nelle quali è pronunciato.Un’epoca che vedeva la donna priva di tutela e sprovvista di garanzie inassenza di un rapporto coniugale stabile. Si tratta piuttosto di uno statoesistenziale che è proprio dell’essere femminile, una situazione che nascelontano ed è già prefigurata con le parole pronunciate dopo il peccatodi Eva (Genesi 3:16) “sarai spinta dall’istinto verso il tuo uomo”, un atteg-giamento da non valutare né bene né male, ma da cogliere solo comeelemento che differenzia i sessi anche dal punto di vista psicologico. Rita Pavone, che tanti anni fa accorata si addolorava perché il marito lalasciava sola ed era disposta ad andare persino alla partita pur di stargliaccanto, non lo faceva solo per gelosia.

Amedeo Spagnolettosofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

I salvati e i sommersi ú– STORIE DAL TALMUDu L’ALFABETO EBRAICO

SPIEGATO DAI BAMBINI – 1Dissero i rabbini a rabbì Yehoshua ben Levi: oggi sono venuti i bambinia scuola e hanno detto cose che neanche dall’epoca di Giosuè figlio diNun ne sono state dette di simili. Le lettere àlef e bet stanno per alèf(studia) e binà (l’intelligenza, ossia la Torà). Le lettere ghìmel e dàlet al-ludono a ghemòl (aiuta) e dalìm (i poveri). E perché la gamba sinistradella ghìmel è protesa verso la dàlet? Perché è chi fa beneficenza chedeve correre appresso ai bisognosi. E perché la gamba della dàlet si pro-tende verso la ghìmel? Affinché il povero si faccia trovare dal benefattoree non gli causi eccessivo disturbo. E perché la dàlet è rivolta dalla parteopposta della ghìmel? Perché il benefattore deve fare beneficenza dinascosto, senza causare imbarazzo a chi la riceve. Le lettere he e vavcostituiscono parte del Nome del Santo benedetto Egli sia. La zàyin e lachet, la tet e la yud, la kaf e la làmed alludono a questo, ossia: se tu ticomporti così, come abbiamo detto, il Santo benedetto Egli sia ti nutre(zan), ti farà grazia (chen), ti farà del bene (tov), ti darà un’eredità (ye-rushà) e ti legherà una corona (kèter) per il mondo futuro (leolàm habà).La lettera mem aperta (ossia la mem iniziale o in mezzo di parola) e lamem chiusa (la mem finale) indicano che c’è un detto (maamàr) aperto,che tutti possono conoscere, e un detto chiuso, che non si può rivelarea tutti. La lettera nun piegata (iniziale e mediana) e quella diritta (finale)alludono al fedele (neemàn) piegato e umile che alla fine entrerà dirittoe a testa alta nel mondo futuro. (Adattato dal Talmud Bavlì, Shabbat104a con i commenti; il seguito alla prossima puntata B”H).

Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

Rav Alberto Moshe Somekh

Occorre saper mostrare gratitudine versochi ci ha aiutati. È questo un aspetto del-l’etica biblica non adeguatamente messoin luce. Si predica sui meriti di chi aiuta,ma poco o nulla sui doveri incombenti suchi è aiutato. Questi deve dire grazie. Se-condo un’esegesi creativa del pensiero rab-binico in questo sarebbe consistito il co-siddetto Peccato Originale, di cui si leggeproprio in queste settimane nei primissimicapitoli della Torah. Quando l’Eterno rim-proverò Adamo di aver mangiato il fruttoproibito, il Primo Uomo rispose: “È statala donna che hai posto al mio fianco a dar-melo dall’albero, sì che l’ho mangiato” (Be-reshit 3,12). Rashì commenta: Adamo èstato un ingrato. Invece di ringraziare D.del dono della donna, lo ha accusato di es-sere la causa del suo male.Esistono moduli diversi per ringraziare ilS.B. di averci garantito la salvezza. A livelloindividuale vi è la Birkat ha-Gomel che re-citiamo per scampato pericolo. Sul pianocollettivo il pensierograto si esprime nelcanto del Hallel. Lo re-citiamo a Pesach e aChanukkah, le grandifeste di liberazione,mentre a Purim la let-tura della MeghillatEster prende il suo po-sto. In questo mese lorecitiamo a Sukkot. Daun lato anche a Sukkotricordiamo, sia pure in-direttamente, il miraco-lo dell’Uscita dall’Egitto. D’altronde il Tal-mud (‘Arakhin 10b) afferma che gli angelisi aspettavano un’estensione della sua re-citazione anche a Rosh ha-Shanah e YomKippur, ma D. rispose loro: è possibile can-tare nel momento in cui il registro dei vivie dei morti è aperto davanti a Me nel Gior-no del Giudizio? Ecco dunque che lo Halleldi Sukkot potrebbe essere stato istituitoanche per celebrare l’avvenuta liberazio-ne… dalle trasgressioni, una volta che ilGiudizio Divino si è ormai felicemente con-cluso. Il Talmud (Sanhedrin 94a) ci rac-conta che Chizqiyahu (Ezechia) era addi-rittura candidato a divenire il Mashiach.Fu uno dei più grandi re della dinastia diDavid. Aveva ripristinato lo studio dellaTorah in tutto il regno di Yehudah e forseper questo motivo si era rifiutato di pagareil tributo ai potenti Assiri: preferiva risarcirei propri lavoratori per il tempo che dedi-cavano allo studio piuttosto che finanziarelo straniero. Ciò provocò l’ira di Senna-cherib, che invase il suo territorio con unesercito immane (700 a.E.V.). Dopo averprovocato morte e distruzione nel paesepose l’assedio a Yerushalaim. Chizqiyahunon fece altro che pregare e H. lo esaudì.Un angelo colpì l’esercito assiro uccidendo185.000 soldati e Sennacherib dovette ri-piegare sui suoi passi (2Melakhim 19,35).Fu un miracolo. Ma Chizqiyahu non cantòil Hallel in quella occasione, come ci si sa-rebbe aspettato in segno di gratitudine. E

per questo perse il posto di Mashiach.Quante sciagure ci avrebbe risparmiato al-trimenti! I due Battè Miqdash non sareb-bero stati distrutti, non ci sarebbero statele Crociate, la Cacciata dalla Spagna, laShoah…Perché una punizione tanto graveper una mancanza apparentemente cosìlieve?Richiamando l’episodio del Primo Uomo,Rav Ouri Cherki spiega che la gratitudinerappresenta la vera realizzazione dell’operadella creazione. “Solo nel momento in cuila creatura dice grazie possiamo dire cheil S.B. ha avuto successo. Creare significadare l’esistenza a qualcun altro e l’esistenzadi quest’altro si esprime in modo autonomoproprio attraverso la gratitudine. Chi dicegrazie completa la creazione, mentre chinon lo fa dimostra ancora di aspettarsi cheil S.B. esegua tutto il lavoro senza che eglidebba muovere un dito neppure per rin-graziare: in tal caso la creazione sarebbefallita” (Be’od Mo’ed, p.227). Ecco perchédi fronte a tanta gravità Chizqiyahu nondivenne il Mashiach. Per quali ragioni il re

di Yehudah commise lagrave omissione? RavCherki ne individua tre.La prima è che si trattavadi una personalità tal-mente immersa negli stu-di e lontana dalla politicada non dare sufficienteimportanza alla miraco-losa liberazione dagli As-siri, ancorché questi do-minassero il mondo in-tero. La seconda spiega-zione è che Chizqiyahu

potrebbe essere rimasto frastornato all’ideache 185.000 vite, sia pure appartenenti alleschiere nemiche, fossero state soppresse inuna sola notte. Questo ci ricorda il passag-gio del Mar Rosso. Il Talmud (Sanhedrin39b) racconta che anche in quel caso gliangeli avrebbero voluto intonare un cantoma il S.B. li fermò: “Le Mie creature affo-gano nel mare e voi vi accingete a cantare?”Può darsi che questo sia stato lo spunto diChizqiyahu, ma evidentemente si sbagliava.Un conto è che cantassero gli angeli, merispettatori dell’evento. Altro conto è checantassero i beneficiari stessi della libera-zione. Su questi incombeva l’obbligo di rin-graziare! E in effetti all’epoca dell’Uscitadall’Egitto Moshe e i Figli d’Israele, seguitianche da Miriam e dalle donne, intonaronola Cantica del Mare. E noi la ripetiamoogni mattina. Ma c’è una terza ipotesi. CheChizqiyahu si sia astenuto dal cantare ilHallel pensando ai danni inflitti dagli Assiriin quei medesimi anni ad altri settori dellostesso popolo ebraico. Erano stati gli Assiripoco tempo prima a provocare la distru-zione del Regno del Nord (Efraim) e la de-portazione dei suoi abitanti. Chizqiyahu,preso dal senso di colpa, si sarà allora do-mandato: perché proprio io fra i tanti som-mersi sono stato salvato? La tradizioneebraica su questo punto è chiara. Sei statobeneficiato e devi comunque ringraziareper questo. È la sfida che attende il candi-dato Mashiach.

Vanitas painting, Benjamin Senioru

Godines, 1681 - Jewish Museum London

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/ P15pagine ebraiche n.10 | ottobre 2017

DOSSIER /Che razza di parola

L’articolo 3 della Costituzio-ne italiana recita: “Tutti i cit-tadini hanno pari dignità so-ciale e sono eguali davantialla legge, senza distinzionedi sesso, di razza, di lingua,di religione, di opinioni po-litiche, di condizioni perso-nali e sociali”. Un articoloscritto per sancire l'ugua-glianza formale e sostanzialedi tutti i cittadini in Italia.Una risposta che i padri co-stituenti decisero di dare inmodo chiaro dopo gli annibui del fascismo, dopo unventennio in cui la politicadelle discriminazioni era po-litica di Stato. Ma un inter-rogativo, leggendo l'articolo,continua a rimanere vivo: èancora giusto o utile man-tenere il termine “razza” al-l'interno della nostra Costi-tuzione? A maggior ragioneoggi che la scienza ha di-mostrato che, per quanto ri-guarda l'uomo, le razze nonesistono. Già nel 2015 gliautorevoli antropologi han-no chiesto al legislatore diabolire il termine “razza”.“Non è possibile parlare dirazze umane. Ce lo dice ilbuon senso, ce lo confermala comunità scientifica conle sue ricerche. Per questoritengo opportuno che il ter-mine ‘razza’ sparisca dal ter-zo articolo della Costituzio-ne italiana e dalla Carta deidiritti fondamentali del-l’Unione Europea e vengasostituito con una espressio-ne maggiormente rispettosadelle diverse identità etni-che, culturali e religiose”,scrissero, appoggiando l'ap-

pello, Renzo Gattegna eVictor Magiar, allora rispet-tivamente Presidente del-l'Unione delle ComunitàEbraiche Italiane e assessorealla Cultura UCEI. Dellostesso parere anche il rab-bino capo di Roma e vice-presidente del Comitato Na-zionale di Bioetica RiccardoDi Segni. Ora quell'appelloè tornato attuale grazie al-l'iniziativa del genetista Car-lo Alberto Redi e della bio-loga Manuela Monti, orga-nizzata a Pavia per il 12 ot-tobre e significativamenteintitolata “No razza, sì cit-tadinanza”: una conferenzadibattito tra esperti di diver-se discipline sul concetto di

razza, sulla sua inesistenzadal punto di vista scientificoe dal sua pervasività nel di-battito pubblico e politico.Se la scienza ha superato –e dimostrato empiricamentela loro inesistenza – le divi-sioni in razze umane noncosì hanno fatto molti ita-liani. “Di fronte a quello cheaccade intorno a noi, in cuila retorica razzista è tornataa scuotere in modo profon-do il dibattito pubblico inItalia così come in tutto ilmondo – spiega a PagineEbraiche Carlo Alberto Re-di – non potevamo esimerci,come comunità scientifica,dal dare il nostro contributoe richiamare simbolicamen-

te l'appello per l'abolizionedel termine razza dall'arti-colo 3 della nostra Costitu-zione”. A riguardo, Redi eMonti hanno curato un vo-lume che ha lo stesso nomedel convegno di Pavia, “Norazze, sì cittadinanza”, in cuiscienziati, filosofi, giuristianalizzano e riflettono sultermine e sul concetto dirazza. Tutti concordi nel di-re che non esistono, menoad esempio, sull'opportunitàdi eliminarne il riferimentonella Costituzione: per il ge-netista Guido Barbujani, adesempio, i padri costituentinell'inserire quella parola ve-devano una chiara condan-na della politica razzista e

antisemita del fascismo.Rappresenta un argine les-sicale e un monito controchiunque cerchi di ripristi-nare quelle ideologie. “Nonsono d'accordo con l'amicoBarbujani ma capisco il suopunto di vista – afferma Re-di – Ed è positivo che siapra un dibattito sul tema”.Il problema rimane peròquello di portare la questio-ne al di fuori dei circoli ac-cademici e fare in modo chedel razzismo e delle altreforme di discriminazione siparli seriamente. La discus-sione e il dialogo sul tema,ricorda Redi, servono perfar capire che per il razzi-smo non può e non deve es-

serci spazio. E a riguardotorna utile ricordare quantoaccaduto negli Stati Uniti direcente: dopo che qualcunoaveva scritto frasi razzistesulle bacheche dell'accade-mia militare dell'aviazionestatunitense, il tenente ge-nerale Jay Silveria, sovrin-tendente dell’aviazione, hatenuto un discorso di frontea tutti gli allievi e alla pre-senza di tutto lo staff. “Senon siete capaci di trattarequalcuno con dignità e ri-spetto, allora ve ne doveteandare. - ha detto Silveria -Se non siete capaci di trat-tare una persona di un altrogenere, che sia uomo o don-na, con dignità e rispetto, al-lora ve ne dovete andare. Seumiliate qualcuno, in qual-siasi modo, allora ve ne do-vete andare. E se non sietecapaci di trattare una per-sona di un’altra etnia, o conun colore diverso della pelle,con dignità e rispetto, allorave ne dovete andare”. “Pren-dete i vostri cellulari – hapoi aggiunto - Voglio cheregistriate questa cosa per-ché voglio che ce l’abbiate,che la usiate. Dobbiamomostrare tutti, tutte le per-sone qui dentro, coraggiomorale. Questa è la nostraistituzione. E se avete biso-gno delle mie parole, e neavete bisogno, ecco quelleche dovete tenervi, quelleche dovete usare, e che do-vete condividere, e di cuidovete parlare: se non sietecapaci di trattare una per-sona con dignità e rispetto,allora andatevene”.

IL DIBATTITO SULLA COSTITUZIONE

La riforma dell’art. 3

L’articolo 3 della nostra Costituzione prevede an-cora il termine razza. Un nuovo volume rilancia ildibattito sulla necessità di cancellarlo.

L’INDAGINE CDEC-IPSOS

L’Italia e il pregiudizio

Cosa pensano gli italiani degli immigrati? E comeconsiderano le minoranze, in particolare quellaebraica? L’indagine che fa luce sulla questione.

HATESPEECH

L’odio off e online

Antisemitismo e razzismo sono un problema moltoattuale sia sulla rete sia nella vita reale. Nelle auledi tribunale, e non solo, si cercano nuove soluzioni.

a cura di Daniel Reichel

Le razze non esistono. Il razzismo sì

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che stabilisca non soltanto delledifferenze, ma delle superiorità. Ilproblema ebraico non è dunque

che un aspetto diquesto fenomeno”,dichiarava il duce,istituendo ufficial-mente l'antisemiti-smo di Stato, facen-do sì che sulla basedi una supposta

teoria razziale un intero paese vol-tasse le spalle a una minoranza diconcittadini. A quasi settant'anni

da quel tradimento, fondato suun'idea – l'esistenza delle razze –smentita in modo chiaro dallascienza, il tema del razzismo è an-cora profondamente attuale e pe-ricoloso. Da qui l'idea del gene-tista Carlo Alberto Redi e dellabiologa Manuela Monti di dedi-care il 12 ottobre un intero con-vegno a Pavia per dire “No razza,sì cittadinanza”, con la presenta-zione di un omonimo volume ela partecipazioni di genetisti, an-tropologi, storici, filosofi, giuristi

e studiosi di altre discipline.Un'iniziativa – sostenuta dalle fon-dazioni Collegio Ghislieri, Um-berto Veronesi e Merck – chevuole rilanciare una proposta giàrichiamata in passato: l'abolizionedel termine “razza” dall'articolo 3della Costituzione. “È il momento– scrivono Redi e Monti nella pre-messa del volume - per una do-verosa operazione di pulitura, di-cura” del testo che tanto amiamo,quello della nostra Costituzione.Nessuno si illude che il percorso

La razza non è un fenomeno

scientifico, punto. Per comin-

ciare, se il principale obiettivo

del categorizzare le varie razze

fosse quello di cogliere le dif-

ferenze genetiche, si starebbe

facendo un pessimo lavoro. La

differenza genetica tra alcuni

gruppi africani è uguale a quel-

la tra molti gruppi considerati

“di razze diverse” del resto del

mondo. La distanza genetica

tra i popoli dell’Asia orientale

e quelli europei è minore della

differenza tra gli Hazda del

centro-sud della Tanzania e i

pastori Fulani dell’Africa occi-

dentale (che vivono negli at-

tuali Mali, Niger, Burkina Faso

e Guinea). E questo è tutto per

quanto riguarda le categorie

nero, bianco, asiatico e altro.

Armati di questa consapevolez-

za, molti ricercatori nel campo

delle scienze biologiche hanno

sostituito il termine “razza”

con il termine “stirpe continen-

tale”. Questo riflette in parte

il rifiuto di “razza” come clas-

sificazione biologica. Ogni co-

siddetta razza presenta gli

stessi geni che codificano le

proteine e non esiste una vera

e propria linea di divisione ge-

netica tra le specie umane. Un

altro vantaggio dell’usare il

termine “stirpe continentale”

al posto di “razza” è la maggio-

re precisione nel localizzare le

origini storiche e geografiche

in base al genoma. “Stirpe con-

tinentale” rende pertanto pos-

sibile una descrizione genetica

più precisa. Per esempio, il Pre-

sidente Barack Obama non era

solo il primo presidente “nero”,

ma anche il primo (per quanto

ne sappiamo) con ascendenza

europea e africana.

Le differenze genetiche sono

una potenziale – ma molto im-

probabile – spiegazione alle dif-

ferenze di comportamento e

successo tra nazioni, razze ed

etnie. In sintesi, le categorie

razziali che vengono usate oggi

sono basate su storie contorte

e spesso dannose, che includo-

no tanta disinformazione crea-

ta intenzionalmente. È un’otti-

ma occasione, quindi, per sfa-

tare alcuni miti sulla variazione

genetica, portati avanti sia dal-

la sinistra sia dalla destra. Mol-

ti esponenti di sinistra cercano

di screditare l’idea che la va-

riazione genetica stia alla base

delle differenze tra i gruppi,

sostenendo il fatto che essa sia

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DOSSIER /Che razza di parola

/ P16 n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

“Articolo 3, aboliamo il termine razza”Un volume e una giornata di studio riaprono il dibattito sul’uso della parola nella nostra Costituzione

“È tempo che gli Italiani si pro-clamino francamente razzisti. Tut-ta l'opera che finora ha fatto ilRegime in Italia è in fondo delrazzismo. Frequentissimo è statosempre nei discorsi del Capo ilrichiamo ai concetti di razza. Laquestione del razzismo in Italiadeve essere trattata da un puntodi vista puramente biologico, sen-za intenzioni filosofiche o religio-se. La concezione del razzismoin Italia deve essere essenzialmen-te italiana e l'indirizzo arianonor-dico” dichiarava il punto 7 delDecalogo degli scienziati razzisti,ispirato da Benito Mussolini, re-datto da alcuni giovani antropo-logi, sottoscritto dallo stato mag-giore della scienza fascista e pub-blicato nel primo numero de Ladifesa della razza, il 5 agosto 1938.Pochi mesi dopo, il 18 settembre,Mussolini – e successivamentetutti i principali giornali dell'epoca- annunciava conorgoglio da Piazzadell'Unità a Triestela promulgazionidelle leggi razziste:“La storia c’insegnache gli imperi siconquistano con learmi ma si tengono con il presti-gio. E per il prestigio occorre unachiara, severa coscienza razziale,

Scienza, errori a destra e sinistra

12 ottobreNO RAZZA, SÌ CITTADINANZACollegio Ghislieri, Pavia

sia breve, diversi tentativi già han-no aperto la strada: Rickards –Biondi, Scotto, Destro Bisol, Mi-chele Anzaldi ed altri tra i quali iltentativo delle società scientifichedegli Antropologi: Il 23 gennaio2015 gli antropologi dell’Istitutoitaliano di antropologia (Isita) equelli dell’Associazione nazionaleuniversitaria antropologi culturali(Anuac) hanno chiesto l’abolizio-ne del termine «razza» dalla Co-stituzione dopo una giornata distudi all’Università La Sapienzadi Roma formulando una propo-sta alla quale hanno aderito il pre-sidente dell’Unione delle comunitàebraiche Renzo Gattegna e il rab-bino capo di Roma Riccardo DiSegni. Quello ora messo in cam-po, nell’ambito delle celebrazioniper i 450 anni di Storia del Col-legio Ghislieri, vuole portare un’ul-teriore riflessione sul tema e pen-sare ad un modo operativo permantenere viva la preoccupazionedi noi tutti sul perdurare e mani-festarsi di tanti fenomeni di raz-zismo”.

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venivano dall’Africa e via dicen-do, mi si avvicina un signore emi dice 'se i negri fossero comelei e me, li chiameremmo bian-chi'”. Il problema, prosegue loscienziato, è che assistiamo aun'erosione costante della soli-darietà sociale: “sembra esserediventato un bene di lusso, unvalore che solo i ricchi possonopermettersi, mentre un tempoera uno strumento in mano aideboli”, tra cui invece fa semprepiù presa – come dimostrano irisultati di partiti apertamente xe-nofobi in Europa e non solo – laretorica razzista. Una questioneperò, sottolinea Barbujani, chenon è riconducibile a una que-stione semantica ed è anche perquesto che si dice contrario al-l'idea di eliminare la parola “raz-za” dall’articolo 3 della Costitu-zione. Una proposta che, secondoil genetista “muove senz’altro daintenzioni nobili, e basta guardareai nomi e al curriculum di chi l’haproposto per convincersene. Ioperò dubito che Terracini, La Pirae tutti coloro che collaboraronoalla stesura dell’articolo 3 stesseropensando a noi biologi. In quelmomento, non era tanto la di-scussione sulle nostre differenzebiologiche che contava, ma la re-cente e drammatica esperienza

delle leggi razziali del1938”. Il termine all'ar-ticolo 3 insomma comeun monito per il non ri-petersi delle distorsionitragiche del passato.

maggiore all’interno del grup-

po stesso che tra i vari gruppi.

Un’altra argomentazione molto

quotata è che tutti gli esseri

umani sono geneticamente

identici al 99,9 per cento e che

non c’è un gruppo che ha un

gene (e cioè un codice di pro-

teine) che in un altro gruppo

manca. Ma entrambe le affer-

mazioni sono false. Dopotutto,

siamo geneticamente simili per

oltre il 98% agli scimpanzé e al

99,7 per cento all’uomo di Ne-

anderthal. E quanta differenza

fa questo 2 per cento (o 0,3 per

cento)! In altre parole, la va-

riazione genetica ci dà meno

informazioni sulle differenze

specifiche importanti. Immagi-

niamo un gruppo di esseri

umani con una mutazione nel

gene FOXP2 (o gene del lin-

guaggio) tale che questo fat-

tore di trascrizione (un gene

che aiuta a stimolare la sele-

zione di altri geni specifici) non

funzioni. A queste persone

mancherebbe la capacità di co-

municare attraverso il linguag-

gio. L’importanza di questo ge-

ne è stata scoperta per la pri-

ma volta tramite lo studio ef-

fettuato su una famiglia ingle-

se, nella quale la metà dei

membri, appartenenti a tre ge-

nerazioni diverse, soffriva di

una grave disprassia verbale

evolutiva – cioè non poteva co-

municare oralmente.

Questa famiglia potrebbe esse-

re geneticamente identica al

99,9999 per cento ai vicini di

casa, ma lo 0,00001 per cento

fa un’enorme differenza. La cri-

ticità di particolari differenze

genetiche in confronto alla so-

miglianza globale non è pre-

sente soltanto negli esseri

umani. Tramite la manipolazio-

ne genetica di solamente quat-

tro geni, alcuni scienziati sono

riusciti a trasformare una pian-

ta di mostarda in una pianta le-

gnosa. Sembra una versione

genetica del game show degli

anni ‘70 Name That Tune: qual

è il numero minimo di note (o

geni) sufficiente per cambiare

radicalmente il fenotipo di un

organismo?

Sottolineare che tutti gli esseri

umani condividono gli stessi

geni, trascura il fatto che gran

parte del cambiamento gene-

tico e della differenza biologica

è basata non tanto sullo svilup-

po di nuove proteine (cioè i ge-

ni), quanto sulla regolazione

dell’espressione di questi geni

– vale a dire l’estensione, il

tempo e la posizione di quando

e dove vengono attivati e di-

sattivati. Infatti, quando il Hu-

man Genome Project iniziò, ci

si aspettava che i geni che co-

dificano le proteine fossero più

di 100 mila. Dopotutto, siamo

sicuramente più complessi di

Zea may (il mais), che presenta

32 mila geni, no? Si è scoperto,

invece, che abbiamo solamente

20 mila geni (o forse meno).

Quindi, la maggior parte delle

differenze umane deriva dal-

l’attivazione o dalla disattiva-

zione di questi 20 mila geni in

tessuti specifici e in situazioni

particolari. È possibile che gli

stessi geni vengano espressi sia

nel cervello sia nel fegato e che

possano venire attivati da un

batterio aggressivo e disatti-

vati da un pasto caldo. Ogni ge-

ne è come un padre o una ma-

dre multitasking che concilia

lavoro e famiglia.

Il fatto che tutti di noi condi-

vidiamo gli stessi geni non

esclude, tuttavia, la possibilità

che ci siano differenze impor-

tanti basate sulla variazione

nelle regioni regolatrici del ge-

noma (promotori, enhancer,

micro), RNA e altri interruttori

molecolari. Piuttosto che chie-

dersi se abbiamo proteine di-

verse è più corretto chiedersi

se abbiamo alleli diversi. Un al-

lele non è altro che una versio-

ne del DNA. Potrebbe essere un

singolo nucleotide che varia

nella popolazione di un certo

luogo (e cioè A, C, T, o G), o po-

trebbe essere quella che viene

scientificamente chiamata va-

riabilità dei numeri di copie

(come quando una persona ha

una parte di DNA con la com-

binazione ATG ATG ATG ma

un’altra ha cinque copie di que-

sta combinazione). Se chiedia-

mo se ci sono alleli che esisto-

no solamente in un popolo e

non negli altri – la domanda pa-

rallela a quella sui geni identici

– la risposta è sì. Difatti, esisto-

no popoli africani che hanno il

maggior numero di alleli “pri-

vati” (esclusivi, che non esisto-

no negli altri popoli). Questo

riflette la diversità più grande

dell’Africa subsahariana rispet-

to a quei gruppi africani che

hanno sofferto

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/ P17pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

“Razzismo, problema politico”Il genetista Guido Barbujani spiega perché non è la scienza che può cambiare le cose

Le razze, biologicamente parlan-do, non esistono. Ma, come spie-ga il genetista Guido Barbujania Pagine Ebraiche, anche “lascienza non è esente dall’affer-mare sciocchezze. A volte la sidistorce e la si usa come scorcia-toia e dietro ad essa si nascon-dono in realtà decisioni politi-che”. Esempio, le leggi razzistedel 1938 così come le discrimi-nazioni subite dagli afroamericaninegli Stati Uniti o l'apartheid su-dafricano. Modelli discriminatoriche rivendicavano l'esistenza del-le razze per applicare sistemi cheprivano alcuni cittadini/esseriumani dei loro diritti e garanti-scono ad altri di mantenere il po-tere nelle sue diverse forme. Nonche non esista un razzismo dalbasso che anzi oggi, in tempo digrandi migrazioni, riaffiora sottoforma di paura. “Saremmo piùonesti – affermava Barbujani inuna lunga intervista proprio conPagine Ebriche - se invece chemascherarci dietro a questioni dirazze ammettessimo che ‘tra mee te ci sono differenze geneticheminuscole, il fatto è che proprionon sopporto la tua cultura’; al-meno saremmo sinceri”. “Le dif-ferenze esistono, non siamo certotutti uguali, e queste differenzeci permettono, a volte, di collo-

care uno sconosciuto nel conti-nente da cui ha avuto origine -spiega ancora Barbujani nel vo-lume No Razza, sì cittadinanzacurato da Manuela Monti e Car-lo Alberto Redi - Ma spesso cisi sbaglia: quello che vediamo (oche crediamo di vedere) nellapelle e nei tratti somatici del no-stro prossimo non è sempre unarappresentazio-ne accurata diquello che stascritto nei no-stri geni. Inoltre,queste differen-ze riguardanol’uno per mille

del nostro genoma: abbiamo incomune con ogni sconosciuto,di qualunque continente sia, il re-stante 999 per mille”. Autore dilibri a carattere divulgativo sultema, come Sono razzista ma stocercando di smettere (Bompiani –scritto assieme al giornalista Pie-tro Cheli), Barbujani è spesso in-vitato a conferenze per spiegare

che no, le razze scientificamen-te non esistono. “Temo che il

dibattito scientifico sia però lar-gamente ininfluente sul tema delrazzismo - afferma il genetista -È difficile scardinare con la scien-za l’intolleranza che si genera alivello di quartiere, di vita quoti-diana. Sono due aspetti diversi.Le faccio un esempio: dopo averfatto il mio discorso su come in

fondo siamo tutti parenti, inostri an-tenati pro-

Guido Barbujani, Pietro CheliSONO RAZZISTA MA STOCERCANDO DI SMETTERELaterza

Guido BarbujaniL’INVENZIONEDELLE RAZZEBompiani

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/ segue a P18

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DOSSIER /Che razza di parola

/ P18 n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

L’Italia e lo specchio del pregiudizioLo studio della Fondazione Cdec in collaborazione con Ipsos mette a fuoco il pensiero degli italiani

La crisi economica, l'emergenzaumanitaria legata ai migranti, iltema dell'integrazione, il terro-rismo. Sono i principali elementidi cui si discute oggi nel dibat-tito pubblico: partiti che fomen-tano sentimenti di insicurezzae paura guadagnano sempre piùconsensi in Europa e non solo.D'altra parte, la lentezza delleistituzioni nel rispondere a que-ste problematiche facilita la stra-da a chi cerca di guadagnare ilpotere attraverso la retorica xe-nofoba e creando confusionesenza però proporre ricette reali.E in questo quadro di una so-cietà la cui tenuta democraticarischia di vacillare e che viveuna profonda crisi identitariatorna ad essere interessante, co-me termometro della situazione,analizzare il tema del pregiudi-zio e in particolar modo di quel-lo anti-ebraico, da sempre car-tina di torna sole delle dinami-che sociali. A farlo, l’indagine“Stereotipi e pregiudizi degli ita-liani”, voluta dalla FondazioneCentro di DocumentazioneEbraica Contemporanea di Mi-lano in collaborazione con lasocietà di analisi e ricerche dimercato IPSOS. Realizzatanell’ambito di un progetto sullastoria dell’antisemitismo coor-dinato dall’Università Statale diMilano, con la partecipazionedi Università La Sapienza di Ro-ma, Università di Genova e diPisa. Una ricerca già effettuatadieci anni fa e che permette dicapire se vi sono stati cambia-menti all'interno della società

italiani rispetto ai rapporti coni propri concittadini ebrei. Trai dati emersi dallo studio - pre-sentato a Roma dal direttoredel CDEC Gadi LuzzattoVoghera, dalla sociologaBetti Guetta, respon-sabile dell’Osserva-torio Antisemiti-smo della fonda-zione, assieme alpresidente IPSOSNando Pagnon-celli – uno fa riflet-tere: moltissimepersone non hannoopinioni né conoscen-ze del mondo ebraico,ovvero vi è un'area grigiamolto ampia che può essereconsiderata un’area vergine dacoltivare in modo proficuo mache può diventare un’area appe-tibile per chi spinge alla crescitadei sentimenti xenofobi. Così èaccaduto - come ricordato inqueste pagine - in Germania, do-ve ha votare il partito xenofobosono stati molti elettori di quellazona grigia.

Si legge nella relazione di ac-compagnamento all’indagine, icui dati salienti sono stati illu-strati in prima battuta da Pa-gnoncelli: “Era probabile che allafine l’incapacità di progettare co-me risolvere alcune questioni divitale importanza per le persone

che abitano la loro vita, avrebbeprodotto rabbia, rancore, razzi-smo, complottiamo e rigurgitifascisti. In questo quadro di‘smottamento sociale’ quello cheresta stabile è il pensiero stereo-tipato, i pregiudizi. Una costantein termini quantitativi. La cosastraordinaria almeno per ora(sperando che le cose non peg-giorino ulteriormente) è che l’im-magine degli ebrei, i luoghi co-muni, gli stereotipi non sianocresciuti ma siano stabili”.È aumentata l’intolleranza versogli immigrati, la xenofobia, cre-sce il pensiero di destra e, comeè stato osservato, ci si sarebbepotuti aspettare un balzo inavanti dell’antisemitismo. Invecei dati, a distanza di dieci anni

dal primo studio, sono rimastiquasi invariati. Una stabilità checonferma che gli ebrei rappre-sentano nell’immaginario collet-tivo qualcosa di fisso che, è statofatto notare, “prescinde dagliepisodi dell’attualità, della poli-tica, dell’economia”.Come appare dalla ricerca la co-noscenza degli ebrei è in generepiuttosto scarsa. Solo pochi tragli intervistati indicano infatticorrettamente la quantità di ebreipresenti in Italia, mentre la mag-gioranza assoluta non sa espri-mersi e molti (il 36%) ne sovra-stimano la presenza. Gli ebreisono in perlopiù percepiti comeuna comunità coesa e solidale alproprio interno, capace di fareaffari, secondo uno stereotipo

storico. Tanto che la prima ca-ratterizzazione, spiega la ricerca,“è data dalla convinzione chesiano capaci di manovrare la fi-nanza mondiale a proprio van-taggio”.Per quanto concerne gli atteg-giamenti di fondo verso gli ebrei,il gruppo prevalente appare, perla scarsa informazione generale,quello dei neutrali (41% oggi,43% 10 anni fa). Cioè quelli chenon prendono cioè posizione sugran parte delle affermazioni te-state. Sono i più distanti dallapolitica, un po’ più residenti nelSud del paese, tendenzialmentepiù giovani della media della po-polazione. Vi sono poi due grup-pi speculari e di analoga consi-stenza: in primis quello di chinon ha pregiudizi (15% oggi,13% nel 2007), cioè che non ade-risce a nessuno o quasi degli ste-reotipi testati. Sono giovani, conun livello di scolarizzazione ele-vato, maggiormente presenti nelNord Est, di sinistra e non cre-denti, soddisfatti delle proprierelazioni con atteggiamenti diapertura verso gli immigrati. Al-l’estremo opposto il gruppo degliantisemiti (11% oggi, 12% diecianni fa), che aderiscono a tuttio quasi gli stereotipi testati. “Gliantisemiti – si legge nella rela-zione – si caratterizzano per es-sere maggiormente uomini, dibassa istruzione, più presenti alSud, di destra, con un’elevataostilità verso gli immigrati.” Infineesiste un gruppo articolato diambivalenti, cioè di intervistatiche aderiscono solo ad alcuni

una riduzione nella popolazio-

ne a causa dell’emigrazione. Ma

il punto è che, nello spiegare

le differenze tra i gruppi, non

c’è un motivo alla base per cui

si possa ignorare un potenziale

impatto di questi alleli privati.

È un ottimo momento per sfa-

tare miti sulla variazione gene-

tica promulgati sia dalla sini-

stra che dalla destra. Un terzo

argomento usato dalla sinistra

con l’obiettivo di screditare

ogni base genetica per le dif-

ferenze di gruppo osservate, è

che non c’è stato ancora abba-

stanza tempo – in termini evo-

lutivi –per far emergere diffe-

renze importanti. Viene spesso

citato Stephen J. Gould: “Non

c’è un cambiamento biologico

negli esseri umani da 40 mila o

50 mila anni. Tutto ciò che chia-

miamo cultura e civiltà, lo ab-

biamo costruito con lo stesso

corpo e lo stesso cervello.” Da

questo punto di vista, l’evolu-

zione umana sarebbe finita più

o meno con l’emergere di esse-

ri umani anatomicamente mo-

derni nella Rift Valley. Dopotut-

to, 60.000 anni passano in un

batter d’occhio in confronto al-

l’intera storia degli ominidi e,

analizzando le differenze tra i

gruppi al di fuori dell’Africa,

questo periodo di tempo dimi-

nuisce in modo ancora più

drammatico. Differenze cruciali

tra i gruppi possono, comun-

que, emergere non solo trami-

te una selezione positiva di

mutazioni nuove, ma anche

tramite una selezione di tratti

altamente poligenici, per i qua-

li c’è già una variazione gene-

tica molto alta nel genoma da

sistemare e riprodurre. Sappia-

mo già che l’altezza e l’abilità

cognitiva sono fattori altamen-

te poligenici, influenzati da mi-

gliaia di piccole differenze nel

genoma umano. Se le persone

più intelligenti si riproduces-

sero più delle persone meno in-

telligenti, sarebbe possibile

uno spostamento genetico

complessivo nella distribuzione

del QI nel giro di un paio di ge-

nerazioni (supponendo che le

possibilità di riproduzione e so-

pravvivenza del QI siano abba-

stanza forti). Da questo punto

di vista, 60 mila anni non sono

un batter d’occhio, ma un’eter-

nità. Se ci fossero quindi diffe-

renze nella fertilità e possibi-

lità di sopravvivenza per i di-

versi tratti di comportamento

– non solo il QI ma anche la fi-

ducia, il coraggio, l’autocon-

trollo, eccetera – potremmo fa-

cilmente osservare una diffe-

renza genetica nel corso dei

millenni. Infatti, questa è la po-

sizione polemica di alcuni stu-

diosi come l’antropologo Gre-

gory Cochran e più tardi anche

Henry Harpending. In The 10

mila Year Explosion, essi pre-

suppongono che la rivoluzione

neolitica e l’affermarsi delle co-

munità sedentarie abbiano

portato a una condizione in cui

gli impegni sociali umani – e

non, quindi, l’ambiente – sono

diventati il principale motore

dei cambiamenti nella genetica

delle popolazioni. Secondo il lo-

ro parere, molte delle differen-

ze di oggi potrebbero, per que-

sto, essere ricondotte all’acce-

lerazione della pressione selet-

tiva introdotta dalla società

La percezione della presenza di ebrei in Italia

Fino a 35.000

Da 35.001 a 100.000

Base casi: totale intervistati (1000). Valori % - © 2017 Ipsos

55%

10%

9%

17%

9%

Non so

Oltre un milione

Da 100.001 fino a un milione

SCIENZA da P17 /

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/ P19pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

degli stereotipi. Sono comples-sivamente il 33% degli italiani(32% nel 2007) che si suddivi-dono a loro volta in tre gruppidi circa il 10% ciascuno: i con-temporanei, che reputano chegli ebrei strumentalizzino la lorostoria per giustificare la politicadi Israele, trasformandosi così davittime in aggressori. In maggio-ranza persone di sinistra, di buo-na scolarizzazione, maggiormen-te residenti al Nord.Quindi i classici che ritengonogli ebrei persone subdole, nonaffidabili, non integrate con gliitaliani. È questo un gruppo dietà elevata, “di centrosinistra econ una presenza consistente dicattolici praticanti”. Infine gli am-bivalenti moderni che ritengonogli ebrei un gruppo con vastopotere politico ed economico,fedeli a Israele e non all’Italia.“Di età medio/alta – spiega laricerca – tendono a collocarsi dipiù al centro dello schieramentopolitico, cattolici saltuari, sonoun po’ più residenti nel centro-Nord, le cosiddette ‘regioni ros-se’”. In buona parte degli inter-vistati (il 46%) vi è inoltre la con-vinzione che gli italiani abbiano

agraria. Questa pressione favo-

risce tratti mentali come la

pianificazione avanzata del di-

spendio di energia fisica e altri

tratti che sarebbero più van-

taggiosi per dei cacciatori-rac-

coglitori. Il periodo dallo svi-

luppo dell’agricoltura in una

data società, sostengono, è un

indicatore valido di come il pa-

norama genetico di popolazio-

ni diverse si sia adattato a que-

ste nuove esigenze di soprav-

vivenza. La loro ipotesi, seppur

plausibile, non è basata su dei

dati, ma rappresenta, invece,

una teoria che si basa su prove

circostanziali. Anche se alcune

ricerche recenti affermano che

l’evoluzione non si sia fermata

grazie al progresso tecnologico

e sociale, non sappiamo quali

forze spingano la selezione re-

cente o in che modo potrebbe-

ro influenzare il mondo con-

temporaneo. In altre parole, sì,

gli esseri umani si stanno an-

cora evolvendo e continuano a

differenziarsi geneticamente

tra di loro. Comunque, affer-

mare che i gradienti di soprav-

vivenza e riproduzione siano

diversi tra i vari continenti e

subcontinenti – in particolare

rispetto alle capacità sociali e

mentali – non è supportato da

dati. Per quanto riguarda l’evo-

luzione umana, la sinistra non

riesce pienamente a provare le

proprie affermazioni, mentre

la destra riesce a diffondere le

proprie fandonie in modo effi-

cace. Autori come Nicholas Wa-

de, con il suo libro A Trouble-

some Inheritance, per spiegare

le differenze tra i singoli grup-

pi si concentrano su genotipi

in un locus che presentano dif-

ferenze etniche significative.

Non è che un gene non possa

avere un effetto rilevante, co-

me dimostra il FOXP2, ma quel-

li che sono presenti in frequen-

ze differenti tra i gruppi “raz-

ziali” non ce l’hanno. Wade e al-

tri autori spesso fanno leva sul-

la variabilità dei numeri di co-

pie MAOA, che chiamano “gene

del guerriero”: i primi studi di

geni candidati dimostravano,

infatti, che la presenza di que-

sto allele aumentava la proba-

bilità di comportamenti violen-

ti: i due studiosi fanno notare

che questo allele “violento” si

può trovare in quantità più ele-

vata nella popolazione nera.

Comunque, quegli studi di geni

candidati – e in particolare

questo – non hanno resistito ai

test di replicazione, ma, anche

se li avessero superati, la va-

riazione misurata nell’allele sa-

rebbe risultata quasi irrilevan-

te. Questo non è, perciò, un

presupposto solido per creare

un modello genetico di diffe-

renze comportamentali tra i

gruppi.

Dalton Conley e Jason Fletcher,

Nautilus, 1 luglio 2017

Traduzione di Clara Ehret, stu-

dentessa dell’Università di Ra-

tisbona, con l’aiuto di Anna Za-

nette e Arianna Mercuriali, stu-

dentesse della Scuola Superio-

re di Lingue Moderne per Inter-

preti e Traduttori dell’Univer-

sità di Trieste, tirocinanti pres-

so la redazione giornalistica

UCEI.

(versione integrale sul sito

www.moked.it)

Sulla base del livello di prossimita o lontananza rispetto a queste opinioni, sono stati individuati 4 sottogruppi

Ebrei: immagine e pregiudizi

I SENZA PREGIUDIZI 15% erano il 13% nel 2007 +2%Sono in disaccordo con la gran parte delle affermazioni sui cui e stata definita la segmentazione

CHI SONO: 18-34 anni; Laureati; Residenti al Nord Est; Collocati a sinistra; Non credenti; Molto soddisfattidelle loro; relazioni sociali; Con un basso livello di ostilita nei confronti degli immigrati

I NEUTRALI 41% erano il 43% 2007 -2%Non sono ne in accordo ne in disaccordo con la gran parte delle affermazioni sui cui e statadefinita la segmentazione

CHI SONO: 18-49 anni; Residenti nel Sud e Isole; Non collocati sull’asse; sinistra/destra; Cattolici non pra-ticanti; Leggermente insoddisfatti delle loro relazioni sociali; Con un livello di ostilita nei confronti degliimmigrati che varia tra il neutrale e il medio alto

GLI ANTISEMITI 11% erano il 12% 2007 -1%Sono d’accordo con la gran parte delle affermazioni sui cui e stata definita la segmentazione

CHI SONO: Uomini; Scarsamente istruiti; Residenti nel Sud; Collocati a destra; Polarizzati tra soddisfattie insoddisfatti delle loro relazioni sociali; Con un alto livello di ostilita nei confronti degli immigrati

GLI AMBIVALENTI 33% erano il 32% 2007 +1%Enfatizzano principalmente una delle tre immagini stereotipiche legate agli ebrei:1. Gli ebrei dispongono di potere economico e politico e sono piu fedeli ad Israele che al paesein cui vivono (MODERNI)2. Gli ebrei sono subdoli, di loro non ci si puo fidare, non sono del tutto italiani (CLASSICI)3. Gli ebrei si sono trasformati da vittime ad aggressori strumentalizzando le loro tragedie pergiustificare la politica di Israele (CONTEMPORANEI)

CHI SONO: 1. MODERNI - oggi il 10% (+1 rispetto al 2007): Oltre 50 anni; Residenti nel Centro; Nord; Collocati al cen-tro; Cattolici saltuari; Mediamente soddisfatti delle loro relazioni sociali; Con un livello di ostilita nei; con-fronti degli immigrati medio basso2. CLASSICI - oggi il 10% (= rispetto al 2007): Oltre 65 anni; Residenti al Nord Est e nel Centro Sud; Collocatinel centrosinistra; Cattolici partecipanti; Molto soddisfatti delle loro relazioni sociali; Con un livello di ostilita nei;confronti degli immigrati medio basso3. CONTEMPORANEI - ggi il 13% (+2 rispetto al 2007): Laureati; Residenti dal Centro Nord in su; Collocati asinistra; Polarizzati quanto a pratica religiosa tra non credenti e cattolici praticanti; Con un basso livellodi ostilita nei confronti degli immigrati

34

29

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25

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49

+2

-1

+2

-1

+2

=

=

-5

-6

-6

-1

-6

Muovono la finanza mondiale a loro vantaggio

Parlano troppo delle loro tragedie e trascurano quelle degli altri

Sono piu leali verso lo stato di israele che verso il paese in cui vivono

Gira e rigira i soldi sono sempre in mano agli ebrei

Non sono italiani fino in fondo

Controllano i mezzi di comunicazione in molti paesi del mondo

Approfittano dello sterminio nazista per giustificare la politica di Israele

Fanno ai palestinesi quelli che i nazisti hanno fatto agli ebrei

Riescono sempre ad avere un potere politico sproporzionato

Si sono trasformati da un popolo di vittime in un popolo di aggressori

Sotto sotto hanno sempre vissuto alle spalle degli altri

Non ci si puo mai fidare del tutto degli ebrei

Accordo Neutralita Disaccordo

una vena antisemita, prodotta daun mix di atteggiamenti antie-braici e antiisraeliani. Per quantoconcerne la specifica realtà israe-liana, anche in questo caso lamaggioranza relativa non siesprime. Circa il 30% invece ri-chiede un atteggiamento più du-ro della comunità internazionalenei confronti di Israele “a causadei suoi comportamenti verso ipalestinesi” e perché il conflittoisraelo-palestinese “è percepitocome una delle concause del ter-rorismo internazionale”. Ma

dall’altra parte si pensa ancheche tutto sommato Israele siauno Stato che cerca la conviven-za pacifica con i suoi vicini. E lamaggioranza assoluta ritiene cheper appianare il conflitto sianonecessari due Stati.La ricerca si apre con un focussull’immigrazione, il grande temadi oggi. Dai dati emersi si ap-prende che due gruppi numeri-camente equivalenti si contrap-pongono: quello di chi rispondeche i migranti dovrebbero essereaccolti tutti in quanto persone

in fuga dalla fame o dalla guerra(25.4%) e chi invece rispondeche bisognerebbe respingere tuttiperché l’Italia non può accoglierepiù nessuno (24%). In mezzo lamaggioranza (44.4%), che ritienenecessario accogliere solo i rifu-giati politici.Per molti inoltre in Italia ci sonotroppi immigrati e l’immigrazio-ne ha messo a dura prova i ser-vizi pubblici e il mercato del la-voro. Ma c’è anche un quartocirca degli intervistati che espri-me un giudizio positivo: l’immi-

grazione è un bene per l’econo-mia e contribuisce alla sprovin-cializzazione del paese.Il multiculturalismo in generenon convince. Molti intervistatiesprimono infatti bisogno di ras-sicurazione: per la maggioranza(54%) le culture di minoranzadevono adattarsi alla cultura del-la maggioranza. La migrazioneda paesi islamici è consideratauna minaccia per l’Occidente peril 60.8% degli intervistati, mentrel’Islam appare una religione trop-po tradizionalista e incapace diadattarsi al presente per il 65,5%.Tuttavia il 44,7% pensa che i mu-sulmani abbiano il diritto di co-struire le loro moschee in Italia,(opinione non condivisa dal31,8%) e questo dato, si legge,“evidenza una discreta tolleran-za”. Per quanto riguarda la Shoahmaggioranza degli intervistati(52.9%) pensa che sia stata unagrande tragedia insieme ad altredi cui si parla meno mentre circaun terzo pensa che la Shoah siastata la più grande tragedia del-l’umanità (34,6). Il resto del cam-pione si divide tra chi dichiaradi non sapere cosa sia (9%) e chila nega (3,5%).

Base casi: totale intervistati (1000). Valori % - © 2017 Ipsos

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DOSSIER /Che razza di parola

/ P20 n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

norile (il caso legatoal quartiere del Parioli dove duegiovani si prostituivano in cam-

bio di dena-ro e doni) di comprare 30 librilegati al femminismo alla giova-

ne, “perfarle capire il danno che le erastato fatto come donna”. Tra i li-

bri indicati, unodella filosofaAdriana Cavareroche aveva com-mentato la vicen-da sottolineando

che forse sarebbe stato meglioaffidare quelle letture al crimina-le. Valutazioni su chi debba leg-

La lettura, vaccino contro l’intolleranza Possono i libri aiutare a combattere razzismo e pregiudizio? Per un tribunale americano questa è la strada

Nella sua celebre Blowin in thewind Bob Dylan si chiedeva“How many roads must a manwalk down / Before you callhim a man?”. Quante strade devepercorrere un uomo prima di es-sere chiamato uomo? Forse an-che l’ascolto di questa canzonepotrebbe aggiungersi ai compitiaffidati da un giudice della Vir-ginia a un gruppo di giovani van-dali che lo scorso anno avevanodipinto scritte razziste e svastichesulla Ashburn Colored School,una scuola aperta nel 1892 perdare un istruzione ai bambiniafroamericani. Il procuratore del-la contea Alex Rueda lo scorsofebbraio ha deciso di punire icinque responsabili, tutti adole-scenti incensurati con la letturadi 35 libri legati ai diritti degliafroamericani, all’antisemitismoe alla cultura ebraica, alla paritàdi genere. Tra i titoli si trovanoad esempio La notte del TestimoneElie Wiesel, tre libri di LeonUris (Exodus, Mila 18, Tri-nity), Danny l’eletto e Il mionome è Asher Lev di ChaimPotok, La banalità del maledi Hannah Arendt per ci-tare quelli legati ai temidell’a Shoah e dell’ebrai-smo. Ma nell’interessanteprova educativa del giudiceamericano ci sono anche libricome Ragazzo negro di RichardWright o Il cacciatore di aquilonidi Khaled Hosseini. Ogni mese, gli adolescenti de-vono presentare un resoconto diun libro Devono anche scrivere un do-cumento per spiegare il signifi-cato delle svastiche e dei simbolidel suprematismo bianco. Nel-l’elenco delle cosa da fare, anchela visita al museo della Shoah eal museo di storia americana.L’auspicio, ha spiegato il procu-ratore Rueda, è che dopo que-st’anno i ragazzi impereranno adapprezzare le diversità di sesso,cultura, religione, e la tolleranza.“E poi quando saranno fuori nelmondo, saranno loro insegnanti”,l’idea del giudice. E come ricordava il Guardian,anche in Italia un magistrato hadeciso di punire un colpevolecon una lista di libri: un giudicedi Roma ha infatti ordinato a unuomo condannato per favoreg-giamento della prostituzione mi-

Concluso Kippur, sul suo profilo

Facebook Mark Zuckerberg ha

scritto: “stasera termina Yom

Kippur, il giorno più sacro per

gli ebrei, quando riflettiamo

sull'anno passato e chiediamo

perdono per i nostri errori. Per

coloro che ho ferito, chiedo

perdono e cercherò di essere

migliore. Per i modi con cui il

mio lavoro è stato usato per

dividere le persone invece di

unirle, chiedo perdono e lavo-

rerò per fare meglio. Possiamo

essere tutti migliori nell'anno

venturo e possiamo essere tut-

ti iscritti nel libro della vita”.

Pochi giorni prima di questo

post, il sito di giornalismo in-

vestigativo ProPublica ha sco-

perto che Facebook consentiva

a chi utilizzava il suo servizio

per la pubblicità online di

sfruttare termini come “odiare

gli ebrei” e “come bruciare gli

ebrei” per selezionare i desti-

natari dei messaggi promozio-

nali, in modo da aumentare le

probabilità di ottenere la loro

attenzione. In seguito alla pub-

blicazione della notizia, il sito

d’informazione Slate ha nota-

to che la stessa selezione po-

teva essere fatta cercando pa-

role che ricorrono spesso nei

gruppi di razzisti sul social net-

work, compresi termini come

“ku-klux-klan”. Facebook ha ri-

sposto dicendo di avere rimos-

so la possibilità di usare quelle

chiavi di ricerca, riprometten-

dosi di effettuare controlli più

accurati in futuro.

“Fino a questa settimana,

quando ne abbiamo chiesto

conto a Facebook – raccontava

ProPublica - il più grande so-

cial network del mondo per-

metteva ai suoi inserzionisti di

indirizzare i propri post verso

la news feed (la sezione notizie

che, come spiega lo stesso so-

cial network, “mostra le noti-

zie più importanti per te ogni

volta che accedi a Facebook”)

di 2300 persone che hanno

espresso interesse a temi come

'jew hater', 'How to burn jews'

(come bruciare un ebreo), or,

History of ‘why jews ruin the

world' (storia del perché gli

ebrei rovinano il mondo)”. Le

giornaliste Julia Angwin, Ma-

deleine Varner e Ariana Tobin

hanno fatto una prova per ve-

dere se queste categorie erano

reali. “Abbiamo pagato 30 dol-

lari per targhettizzare quei

gruppi con tre 'post sponsoriz-

zati', in cui un articolo di Pro-

Publica o un suo post sarebbe-

ro apparsi nelle loro news fe-

ed. Facebook ha approvato

tutte e tre le sponsorizzazioni

nel giro di quindici minuti”. Le

chiavi di ricerca antisemite, co-

me scritto, sono poi state ri-

mosse una volta che le giorna-

liste hanno fatto presente al

social network la loro esisten-

za: con ogni probabilità a crea-

re quelle parole chiave è stato

un algoritmo, spiegano, e da

Facebook hanno fatto sapere

di lavorare per introdurre un

maggior controllo su questo

tipo di operazioni.

Il servizio per la pubblicità on-

line offerto da Facebook, spie-

ga il Post, riscuote molto suc-

cesso perché permette di sele-

Alice WalkerIL COLORE VIOLASperling & Kupfer

Richard WrightPAURAMondadori

Leon UrisEXODUSBompiani

Odio online, servono regole

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/ P21pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

zionare accuratamen-

te i destinatari dei

messaggi promozio-

nali. Gli algoritmi rac-

colgono informazioni

dai profili di ogni

utente, compresi i da-

ti sulle scuole che

hanno frequentato, il

posto in cui lavorano

e altri dati di questo

tipo. Ogni utente è li-

bero di scrivere ciò

che vuole in quei cam-

pi: spesso si trovano

indicazioni creative e

innocue, ma in altri

casi contenuti offen-

sivi come “hater degli

ebrei” o altre formu-

lazioni razziste. Gli algoritmi

rilevano queste parole e le in-

seriscono nei database. Chi

vuole creare una pubblicità

con destinatari specifici, può

poi cercarle sulla piattaforma

per le sponsorizzazioni e crea-

re una campagna pubblicita-

ria ad hoc. Questo strumento

è stato usato molto nelle cam-

pagne elettorali ne-

gli Stati Uniti (470

account falsi avreb-

bero speso intorno a

100mila dollari su Fa-

cebook per promuo-

vere più di 3mila

contenuti politici e

manipolare l’opinio-

ne pubblica in vista

del voto, hanno de-

nunciato le autorità

americane con cui il

social network ha

collaborato), in Fran-

cia, in Germania, pri-

ma del voto per Bre-

xit, in particolare per

veicolare post e ma-

teriali xenofobi e

razzisti. Quello che ci si chiede

è come fermare questa ondata

che tocca, sull'altro versante,

anche chi fomenta il terrori-

smo islamista. Sembra che una

forma di censura online stia

funzionando: chiudere gli spazi

online dove troll e utenti raz-

zisti pubblicano i loro com-

menti offensivi può aiutare a

combattere lo hate speech su

internet, ha scoperto un nuovo

studio realizzato da un gruppo

di ricercatori della Emory Uni-

versity, del Georgia Institute

of Technology e della Univer-

sity of Michigan. Analizzando

cosa sia successo dopo la chiu-

sura di due diversi gruppi di

Reddit esplicitamente dedicati

a raccogliere contenuti offen-

sivi, in un caso contro le per-

sone grasse e nell’altro contro

gli stranieri, i ricercatori han-

no scoperto che gli utenti che

vi scrivevano hanno diminuito

dell’80 per cento il volume

di hate speech pubblicato suc-

cessivamente in altri gruppi di

Reddit.

gere a parte, la domanda – so-prattutto sul caso dei giovanivandali – che si pone è se effet-tivamente la cultura e la parolapossano essere antidoto di frontealla violenza delle diverse formedi estremismo. In una fotografiascattata a Parigini che ritrae unodei luoghi che ricordano le stragidi Charlie Hebdo e dell’Hyper-casher, spunta un pezzo di cartain cui si legge “Books. Notbombs”.“Usare le parole – spiega a Pa-gine Ebraiche il critico letterarioGoffredo Fofi mentre parla del-l’ultimo libro di Frank Wester-man I soldati delle parole - serveper farci vedere quello che nonvogliamo vedere, per raccontarei diversi mondi che dobbiamoaffrontare nel modo più efficacepossibile”. Leggere passato e presente deglialtri aiuta a capirli ma quantoaiuta ad evitare che diventinoviolenti? “Tutto ha un passato.Tutto – una persona, un oggetto,una parola, tutto. Se non conosciil passato, non puoi capire il pre-sente e non potrai pianificare nelmodo giusto il futuro”, recita unodei passaggi del citato Dannyl’eletto di Chaim Potok. La co-noscenza, dicono i dati, effetti-

vamente aiuta a valutazionipiù critiche e meno legateal pregiudizio: si vedano leelezioni in Germania, doveAlternative fur Deutchlandha fondato la sua campagnaelettorale sulla retorica anti-im-migrati e sulla richiesta di isti-tuire maggiori controlli alle fron-

tiere: curiosamente,però, l’AfD è andata meglio nellearee del paese dove negli ultimi

danni sonoarrivati meno migranti. Il sistematedesco, infatti, distribuisce i ri-

chiedenti asilo sulla base dellapopolazione e del reddito impo-nibile. Le aree più ricche delpaese, quindi, ricevono in pro-porzione più migranti di tutte lealtre. Secondo gli ultimi dati,per esempio, più del 50 per cen-to dei richiedenti asilo è statoospitato in tre soli Lander: Ba-viera, Baden-Württemberg eNord Reno-Westfalia, dove AfDnon ha ottenuto risultati parti-colarmente buoni. La Sassonia, dove AfD è andatamolto bene, è invece la regionead aver ospitato il numero piùbasso di richiedenti asilo di tuttoil paese. Nella zona tedesca chefatica di più economicamente,paura e rabbia hanno trovato –sembrano dire i numeri – facilesfogo nell’odio contro gli immi-grati anche se meno giustificato,visti i citati dati sull’accoglienza.Anche in questo caso a fare da

miccia sono state le pa-role: soprattutto quellefalse. Un’analisi del Wa-shington Post rivelavacome l’AfD sia stato ilpartito che ha saputocatalizzare meglio l’at-

tenzione sui social network e trale sue armi, la condivisione dinotizie false o parzialmente talisui migranti. Come rispondere a questo usodistorto delle parole? Con infor-mazioni chiare e con l’ironia,suggerisce Erin Marie Saltman,ricercatrice che in un recenteTed Talk è salita sul palco perparlare di “How young peoplejoin violent extremist groups —and how to stop them”. Saltmanracconta di alcuni progetti messiin piedi sui social network in cuisi chiede a tutti coloro che sannofare comunicazione - artisti, scrit-tori, giornalisti, videomaker, co-mici - di produrre materiali chespieghino la realtà delle cose eche mettano in ridicolo i pregiu-dizi. Questi materiali, spiega la ricer-catrice parlando nello specificodi Facebook, vengono poi indi-rizzati al pubblico specifico, in-dividuato come più sensibile allefake news. “Abbiamo ottenutorisultati positivi”, afferma Sal-tman.

Hannah ArendtLA BANALITÀDEL MALEFeltrinelli

Khaled HosseiniIL CACCIATOREDI AQUILONIPiemme

Rebecca SklootLA VITAIMMORTALE DI HENRIETTALACKSAdelphi

Chaim PotokIL MIO NOME È ASHER LEVGarzanti

Elie WieselLA NOTTEGiuntina

Arthur MillerIL CROGIUOLOEinaudi

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/ P23pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

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Il tema della sicurezza degli stadiè strettamente connesso all’am-modernamento-ristrutturazionedell’impianto sportivo.È unascelta obbligata, si deve partireda lì. Mi sono speso tantissimosu questo, e non solo per quantoriguarda il calcio, perché tutte lediscipline sportive per esserecompetitive devono disporre diimpianti adeguati. Gli stadi sonopunti di ritrovo per milioni dipersone, rappresentano la “casa”per molte famiglie, per i tifosi,ma sono anche luoghi che posso-no portare beneficio dal punto divista economico e vetrina per ilnostro Paese\territorio. Ed è perquesto che abbiamo lavorato a unquadro normativo ad hoc: a giu-gno è stata approvata la leggesugli stadi, uno strumento vali-do perché consente ai privati dipoter usufruire di agevolazioni equindi di investire con più facili-tà nelle opere infrastrutturali. Inuna fase di contenimento dellaspesa pubblica come quella chestiamo vivendo, non è pensabileche lo Stato e gli enti locali af-frontino i costi necessari alla co-struzione di grandi impiantisportivi, che richiedono investi-menti enormi, incompatibili conle disponibilità della finanza in-dietro. In Italia esistono stadimoderni che rientrano in que-st’ottica di investimento e svi-luppo seppur non collegati allamanovra in questione: parlo del-lo stadio della Juventus e di quel-lo dell’Udinese, due arene mo-derne, accoglienti e al passo constandard di sicurezza e qualità alivello internazionale. Ad ognimodo la norma è giovane, è appe-na entrata in vigore ma confidonella sua buona riuscita. Dobbia-mo attendere il medio periododall’entrata in vigore per vederei primi positivi risultati. Il mioobiettivo è quelli di avere strut-ture moderne e confortevoli, masoprattutto sicure e adatte pertutte le esigenze di sportivi e ti-fosi. Perché, appunto, uno Stadiomoderno e a norma di legge, èanche sicuro.Il calcio e lo sport in generalerappresentano inclusione, socia-lità, apertura e gli stadi devonoessere luoghi di festa e di gioia,

non certo di paura. Con questointento il 4 agosto a Roma abbia-mo firmato un protocollo d’inte-sa insieme a FIGC, Coni e mini-stero dell’Interno per proseguirecon passo deciso nel percorso dicambiamento culturale nel mon-do del calcio, al fine di riportarela famiglie negli stadi e promuo-vere il bel tifo reintroducendoanche i tamburi e i megafoni. Perprima cosa abbiamo rimosso lebarriere dallo Stadio Olimpico epoi, con il protocollo appunto,abbiamo provato a superare lavecchia tessera del tifoso attra-verso modalità che snellisconol’accesso agli impianti attraversoanche una più semplice procedu-ra di acquisto dei biglietti e degliabbonamenti per i prossimi treanni. Sono piccoli ma importantipassi per tornare a vedere gli sta-di pieni di giovani e appassiona-ti, e promuovere così quel sensodi inclusione che lo sport favori-sce. Riportare gli stadi ad essereluoghi di festa non vuol dire fareun passo indietro sulla sicurez-za, ma non si può derogare sullasicurezza. La sicurezza di tifosi egiocatori è prioritaria: ecco per-ché rimane la facoltà di far valerele cautele, già sperimentate, inoccasione di partite valutate a ri-schio dall’Osservatorio Naziona-le per le Manifestazioni Sportive.Stadi non più zona franca in cuisono permesse situazioni giusta-mente non tollerate fuori. Nellosport sono state perse molte bat-taglie ma la guerra continua ed èquella che voglio combattere finoalla fine del mio mandato. Ancheper questo mi sono battuto perfare la Ryder Cup in Italia, ab-biamo promosso e sostenuto imondiali di Scherma Paralimpi-ca a Roma, i mondiali di Pallavo-lo il prossimo anno che farannotappa anche a Firenze. L’Italianon deve aver paura di organiz-zare grandi eventi perché abbia-mo capacità organizzative, bel-lezza del nostro Paese e caloredella nostra passione sportiva; eperché rappresentano anche untraino economico. Nessuno (pri-ma di me) ha mai pensato di in-serire un capitolo ad hoc sullosport nella Legge Finanziaria, èquesto è uno degli obiettivi delmio mandato: dedicare delle ri-sorse importanti per lo sport, eper lo sport di base, e vorrei farlocambiando anche alcune normedentro la legge di stabilità cheapproveremo già entro la fine diquesto anno.

Israele è uno dei paesi nei qualil’indice di ottimismo è fra i piùelevati del mondo. L’ottimismoriflette le valutazioni sulle con-dizioni economiche personali ecollettive attuali e previste per ilprossimo futuro, lo stato di sa-lute, la situazione familiare, l’al-loggio, la qualità della vita, emolti altri indicatori. Esiste, èvero, il problema della sicurez-za, sia al livello macro-strategi-co della potenza iraniana, sia allivello micro-tattico dell’accol-tellatore dilettante in liberauscita. Questi fattori raccoman-dano cautela e saggezza, e intro-ducono un elemento di insicu-rezza nella vita quotidiana. Sitratta di fenomeni ciclici da se-guire attentamente. In comples-so, per lo meno relativamente adaltri momenti storici, le cosevanno abbastanza bene. Allostesso tempo lo sport nazionalein Israele è il continuo lamen-tarsi che le cose vanno male:nella politica, nelle discussionial bar, nelle serate familiari insalotto o davanti alla televisio-ne. Una delle conclusioni diquesti piccoli simposi è che ilpaese è invivibile, e l’unica cosache resta da fare è andarsene.Emigrare. E tutto questo, dopoche tutti gli indicatori di fatti eopinioni dimostrano manifesta-mente il contrario.Resta la curiosità, anzi il dove-re, di accertare che cosa stia re-almente avvenendo con l’emi-grazione da Israele: valangainarrestabile di masse o stillici-dio di individui? Quali sono letendenze? Riassumiamo alcunidati dell’Ufficio Centrale di Sta-tistica – l’integerrimo e profes-sionalissimo CBS (in ebraico: laLishkà, l’Ufficio). I dati definiti-vi sono sempre in ritardo di unanno o due perché per definireche una persona è emigrata biso-gna attendere un tempo suffi-ciente dal momento della par-tenza. Un “emigrato” è tecnica-mente una persona assente dalpaese per 12 mesi consecutivi.D’altra parte un “cittadino cheritorna” è una persona che rien-tra in Israele dopo aver trascor-so 12 mesi consecutivi all’estero. Nei cinque anni 2010-2014, ci

sono stati in totale 38 milioni e782.693 di ingressi in Israele, dicui 22 milioni e 864.400 cittadi-ni israeliani, contro 38 milioni631.900 di partenze dal paese,di cui 22 milioni 942.300 israe-liani. Queste cifre quasi incredi-bili per un paese di 8 milioni e

700.000 abitanti danno un’ideadell’intensità dei contatti traIsraele e il resto del mondo.Molte di queste partenze e diquesti arrivi sono di persone cheviaggiano e soggiornano al-l’estero più di una volta nel cor-so di un determi-

Luca LottiMinistro dello Sport

Gli stadi? Più sicuri Israele, i numeri dell’emigrazioneSergio Della Pergola UniversitàEbraica di Gerusalemme

Figura 1. Cittadini tra i 25 e i 34 anni che hanno lasciato Israele e non sonotornati, secondo l’anno di partenza

Figura 2. Cittadini tra i 25 e i 34 anni che hanno lasciato Israele e non sonotornati, secondo l'anno di partenza, percentuale del gruppo di età, 2010-2013

Figura 3. Percentuale di persone tra i 25 ei 34 anni che non hanno lasciatoIsraele, secondo l’anno di partenza dei partenti, 2010-2013

Figura 4. Totale cittadini israeliani di età tra i 25 e i 34 che sono tornati dopoaver soggiornato all’estero per tre anni o più, secondo l’anno di partenza

OPINIONI A CONFRONTO

/ segue a P25

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/ P24 OPINIONI A CONFRONTO n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Il veleno di chi riscrive la Storia Francesco Moises Bassano

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane

Registrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 – Codice ISSN 2037-1543

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Il paese attraversa un momento non semplice da un punto di vista economi-co-finanziario. Crisi del lavoro, persistenti disavanzi e squilibri, un futuro nonsemplice da progettare. Quale è, al riguardo, lo stato di salute dell’ebraismoitaliano? Ci sono risorse per costruire un futuro all’insegna di un pur minimoottimismo?

Roberto Lucci, Benevento

LETTERE

La somma cumulata dei disa-vanzi annuali dalla Comunitàebraica di Roma degli ultimianni è di circa 4,8 milioni diEUR, con un aumento di oltre1 milione di EUR solo nel 2016(quest’ultimo dato è in partesovrastimato perché la CER hagiustamente deciso dal 2016 dicontabilizzare per l’anno solo lerette scolastiche riguardanti ilperiodo settembre-dicembre enon quelle relative a tutto l’an-no scolastico come avveniva inpassato). È un’emergenza perl’ebraismo romano e anche perquello italiano. Il bilancio di una Comunitàebraica deve essere rigorosa-mente in pareggio. E invece aRoma questi disavanzi sono di-ventati strutturali. E quasinessuno ne è informato. Sul si-to web della Comunità di Romasi chiedono donazioni e contri-buti ai visitatori, ma il bilancioè introvabile. Esso viene pre-sentato alla Consulta, un orga-no formalmente aperto a tuttigli iscritti ma in pratica vi par-tecipano solo i consultori, epertanto la situazione economi-co-finanziaria della Comunità ènota a pochissimi. Qualchemese fa è stato chiesto con unalettera a tutti gli iscritti dellaComunità di Roma un contri-buto straordinario, riferendosiimplicitamente alle gravi perdi-te subite dall’Ospedale israeli-tico, ma senza indicare, nean-che a grandi linee, l’ammontaredel disavanzo previsto dallaComunità né fornendo alcunaprevisione sugli obiettivi dellacontribuzione straordinaria.Inoltre niente si è saputo deglieffetti di quella campagna.Adesso Roberto Coen, l’asses-sore al Bilancio, si dimette conuna lettera a Shalom, il giorna-le della Comunità di Roma, incui ci informa che i suoi pro-getti non sono stati accolti (necita genericamente tre, ma dicosa si trattava con esattezza?),e Ruth Dureghello, la presiden-

te, risponde, sempre su Sha-lom, informandoci che è statonominato un valente nuovo as-sessore al Bilancio e che la Co-munità si avvarrà di consulentiesterni per la “ristrutturazionedel bilancio della Comunità”.Ma nel citato scambio su Sha-lom non si viene informati del-le previsioni del disavanzo an-nuale della Comunità di Romanel 2017 (ormai siamo a metàanno) né rassicurati (neanchein maniera generica) sul se, co-me e in quanto tempo la Giun-ta intenda quanto meno ripia-nare le ingenti perdite annualidella Comunità . Roberto Coen conclude la sualettera a Shalom auspicandol’avvio di un dibattito sulla“sorti economico-finanziariedella nostra CER”. Concordoin pieno. Ma per raggiungerelo scopo occorre che le informa-zioni rilevanti siano agevol-mente disponibili a tutti e nonsolo a Roma. Innanzitutto il bi-lancio, certamente non il suodettaglio ma le sue linee essen-ziali, dovrebbe essere disponibi-le tempestivamente sul sito ditutte le Comunità, in modo chegli iscritti possano giudicare irisultati della gestione. I progetti alternativi di espan-sione o di contrazione dei servi-zi forniti potrebbero così esserevalutati anche in relazione aicollegati aspetti finanziari.Senza informazioni il dibattitoresta molto generico (prevalen-temente sulle competenze rela-tive dei responsabili) e non èpossibile farsi una qualsivogliaidea dei problemi da affrontaree delle possibili soluzioni. Ma per raggiungere una mag-gior trasparenza, occorre unaguida, un indirizzo. L’Unionea questo riguardo può fare mol-to.Uno dei compiti dell’Unionedelle Comunità ebraiche italia-ne è “assicurare la preservazio-ne della tradizionale presenzanel territorio italiano di radica-te comunità ebraiche locali…fornendo loro e ai loro iscrittiassistenza e consulenza”. Maquale deve essere l’oggetto ditale consulenza e assistenza?Come ho già scritto in prece-denti articoli, la funzione di in-

dirizzo esercitata dall’Unionedovrebbe essere anche di carat-tere generale, non solo per ri-solvere le patologie e le emer-genze. In altre parole l’Unionedovrebbe, tramite linee guida,dare indicazioni precise alleComunità al fine di promuove-re una gestione più trasparentee più aperta al controllo degliiscritti. Per esempio, l’Unione potrebbeindicare le informazioni di bi-lancio che le Comunità devonorendere pubbliche (dando indi-cazioni per esempio su comeaccorpare le diverse poste).Inoltre l’Unione potrebbe sug-gerire (imporre?) che i presi-denti delle Comunità predi-spongano periodicamente (ognidue anni, per esempio, se si do-vesse ritenere che annualmentesia troppo oneroso) una relazio-ne sull’attività svolta da rende-re pubblica (per lo meno agliiscritti), contenente una indi-cazione dei costi associati allediverse macro attività e unavalutazione in merito al rag-giungimento o meno degliobiettivi (non solo di bilancionaturalmente) perseguiti. Solocosì le diverse amministrazioniche si alternano alla guida delleComunità potrebbero essere va-lutate, non solo dagli iscritti,ma anche dall’Unione stessa.Altrimenti come potrebbel’Unione fornire assistenza econsulenza alle Comunità?Non si tratta di funzioni chel’Unione dovrebbe svolgere solosporadicamente e su richiesta,ma dovrebbero diventare unaparte fondamentale della suamissione. Peraltro una migliorecomunicazione è soltanto unprimo passo rispetto a quelliche potrebbero essere punti fon-damentali dell’azione del-l’Unione. Nello Statuto è pre-visto che ogni alienazione pa-trimoniale da parte di una Co-munità debba essere preventi-vamente autorizzata. È maipossibile che un disavanzo cu-mulato di 4,8 milioni di EUR(quanti appartamenti sono?)da parte di una Comunità ita-liana possa essere accumulatosenza alcuna forma di controlloo di intervento di indirizzo daparte dell’Unione?

AlbertoHeimlerEconomista

Jürgen Habermas scrisse a proposito di “uso pubblico della storia”come “l'azione di chi parla di storia fuori dalle sue sedi deputatecon obiettivi politici pedagogici espliciti o con finalità ludico con-sumistiche”. Oggi si può parlare anche di “uso pubblico” o meramanipolazione della cronaca e dell'attualità, che del resto diventeràstoria pure quella a breve. Ciò si riscontra ormai anche nel lavorodi molti quotidiani italiani che invece di combattere populismo eignoranza assecondano tutto questo, facendo leva sulle paure e suipiù bassi istinti dell'uomo comune. I titoli di Libero e del Tempo iquali asserivano qualche giorno fa che “i migranti portano le malattie”amalgamando poi il tutto con lo stupro di Rimini – degno di notail commento di Annalena Benini sul Foglio riguardo “l'uso porno-grafico dei verbali di Polizia – ne sono un classico esempio. Comenella formazione concettuale delle più note teorie del complottosi riportano dati e statistiche a caso (vere, presunte, carenti, enfa-tizzate o false), decontestualizzando, per creare una semplice equa-zione ed una libera interpretazione degli elementi, come: “i malatidi malaria nel nostro paese sono prevalentemente stranieri” quindi“se qualcuno si ammala di malaria è per colpa degli stranieri”. Così il tipico “molti ebrei ricoprono ruoli importanti nel settore fi-nanziario” e se “il mondo è in mano alla finanza” significa che “gliebrei controllano il mondo”. La storia, come l'attualità, si può poicancellare, collegare e riscrivere a piacimento, per qualunque fine,ideologico soprattutto. E allora si potrebbe tranquillamente affermareche il fascismo italiano non condividesse le leggi razziali, che i pa-lestinesi abbiano lottato per la liberazione d'Italia, che visto il risaputosodalizio tra il Gran Muftì e Hitler la Shoah sia un prodotto arabo(del resto questa diventa comunque il metro per ogni conflitto ogenocidio), che se esiste il jihadismo è per colpa dell'imperialismoo dei comunisti.

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/ P25pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 OPINIONI A CONFRONTO

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nato anno. Israele è parte inte-grante della vita economica, ac-cademica, turistica nell’era dellaglobalizzazione. Vivere in Israe-le non significa rimanere po-steggiati a vita, e questo è verooggi in una certa misura pertutti i paesi del mondo. L’emi-grazione definitiva non può es-sere completamente isolata daaltri tipi di partenza temporaneae di ritorno al paese di residen-za. È molto difficile definirel’emigrazione permanente, per-ché si può sempre tornare dopoqualche anno, o anche soggior-nare a lungo termine all’estero,ma tornare per brevi periodi ditempo, rompendo così il periododi permanenza di un anno al-l’estero che è il principale indi-catore del numero di migranti.Questa incertezza aiuta a nutri-re un ricorrente discorso selvag-gio e in parte inspiegabile sulnumero degli “emigranti” israe-liani all’estero. Secondo le misure dei flussi cor-renti, il numero degli emigrantida Israele oggi è simile o inferio-re a quello che era in passato, evisto che la popolazione israelia-na è notevolmente cresciuta, lapercentuale di emigranti è moltopiù bassa rispetto al passato.L’emigrazione riflette fondame-talmente fattori economici, inprimo luogo la situazione del-l’occupazione e dei redditi e leopzioni disponibili per l’avanza-mento nelle carriere personali inIsraele. C’è una chiara e inversarelazione tra i principali indica-tori economici e la tendenza alasciare il paese. Se focalizziamoin particolare sui giovani, il nu-

mero dei cittadini di età 25-34che hanno lasciato tra il 2005 e2014 e non sono tornati apparenella Figura 1. I dati per gli an-ni più recenti creano un’illusio-ne ottica perché chi è partitonon ha avuto abbastanza tempoper tornare rispetto a chi è par-tito prima. Negli anni dal 2005al 2009 i numeri sono stati sta-bili, ma dal 2010 esiste un certoaumento.La Figura 2 drammatizza latendenza: la percentuale dei gio-vani in età compresa tra i 25 e i34 che lasciano rispetto al totaledei loro coetanei è più che rad-doppiata tra il 2010 e il 2013.Tuttavia, le percentuali sonoestremamente basse: ogni annosiamo a circa la metà dell’1% omeno rispetto all’intera fasciad’età.La Figura 3 invece sdrammatiz-za, ma è necessaria per mostrareil quadro completo: è la percen-tuale delle persone di età 25-34che non hanno lasciato il paese,tutto il tempo molto vicina al100%. Come si vede, presentan-do gli stessi dati in modo diffe-

rente si ottiene un’impressionedifferente o addirittura opposta.Certo non si può ignorare il fat-to che spesso gli israeliani chevanno via, in particolare i gio-vani, sono talenti e comportanouna perdita per il paese. Moltimettono a profitto all’estero laformazione che hanno acquista-to in Israele. Ma è anche veroche Israele ha tratto enorme be-neficio dall’ondata di immigran-ti dall’ex-URSS, la cui forma-zione spesso di alto livello eraavvenuta all’estero. Esiste sem-pre un ritorno di giovani israe-liani che sono partiti anni pri-ma, e questo in qualche modo bi-lancia coloro che continuano aemigrare. La Figura 4 mostraquanti israeliani tornano dopoaver trascorso tre anni o piùall’estero, secondo l’anno di par-tenza. Di nuovo chi è partitopiù tardi ha avuto meno anni ditempo per rientrare. Ma i datipossono essere anche interpreta-ti nel senso di una certa erosio-ne nella tendenza a tornare inIsraele dopo un lungo soggiornoall’estero.

Quello che conta veramente è ilsaldo migratorio degli israeliani,cioè la differenza tra il numerodi cittadini che partono e torna-no secondo l’anno di partenza. Idati per tutti i gruppi di etàcombinati indicano una incre-mento nel disavanzo negli ulti-mi anni, da -5.400 nel 2010 a -7.300 nel 2013 (e a -8.200 se-condo il dato aggiornato al2015). L’osservazione dei saldimigratori negativi secondo l’età(Figura 5) per il 2013 mette inevidenza il gruppo 15-24 conuna perdita netta di 2.200, consaldi decrescenti fra i più anzia-ni. Interessante anche il disa-vanzo tra i bambini, di cui1.500 sotto i 5 anni e 1.000 fra i5 e i 14 anni.Oltre al ritorno di numerosiisraeliani che sono partiti neglianni precedenti, ogni anno arri-vano in Israele 4-5.000 cittadininati all’estero, che possiedono lacittadinanza israeliana dei geni-tori ma non hanno mai vissutoin Israele (Figura 6). Questorientro di bambini e giovani, inaumento rispetto ai decenni pre-

cedenti, indica una tendenza anon interrompere la connessionecon Israele da parte di chi si tra-sferisce all’estero.In complesso, l’emigrazione daIsraele non è alta rispetto ad al-tri paesi. Parte dell’emigrazioneannuale è compensata dal fre-quente rientro degli emigrantidegli anni precedenti e dai citta-dini israeliani nati all’estero.Tuttavia l’impressione è che ne-gli ultimi anni sia aumentato ilnumero di giovani israeliani chevanno all’estero per un soggior-no prolungato. Bisogna capirese l’aumento è reale e rifletteun’espansione quantitativa delletendenze del passato, o se sitratta di una tendenza nuova.Oltre ai soliti motivi economicipuò esserci insoddisfazione perla vita, mancanza di identifica-zione con il discorso politico el’andamento generale della so-cietà (compreso il problema disicurezza), un’indebolimentodell’identità ebraica e israeliana,e anche le difficoltà di assorbi-mento in Israele degli immigratipiù recenti.

Figura 5. Bilancio negativo tra il numero di israeliani partiti e tornati per un annoo più secondo l'età, 2013, migliaia

Figura 6. Cittadini israeliani che entrano in Israele per la prima volta, 2005-2014

Sembra proprio che sia in attoun risveglio dell’antisemitismo.Lo leggiamo sui giornali, ci de-primono alcune vignette, l’odioislamico contro gli ebrei, e gliisraeliani in particolare, non ac-cenna a diminuire. Persistonomanifestazioni misteriose, comeper esempio il vandalismo nei ci-miteri, delle quali non si riesce atrovare spiegazione. Le popola-zioni dell’Occidente dovrebberoessere interessate all’antisemiti-smo perché anch’esse sono di-ventate bersaglio di una sorta diantisemitismo esteso. Duranteun viaggio in Israele di molti

anni fa, una mia amica carissi-ma, non ebrea, che oggi purtrop-po non c’è più, si stupì per unpiccolo cimitero musulmano pre-servato in piena città. La stradanella Gerusalemme ebraica si eradivisa in due, aggirandolo ri-spettosamente. L’unico esempiodi una prassi affine è a Roma nelRaccordo Anulare, dove l’auto-strada si divide in due e nel mez-zo si trova una serie di negoziabusivi di illuminazione. Sichiama “La variante dei lampa-dari”. Voleva esser certa dei suoiocchi, la mia amica, e perciò michiese se quello era un cimiteroebraico o musulmano. I cippieretti e le scritte in arabo mi fe-cero rispondere senza esitazione:“Musulmano”, ma quella, conuno sguardo di sospetto che nonle era solito, mi intimò: “Vai achiedere a quel signore che pas-

sa”. Mi offesi e al mio ritorno mioffesi peggio ancora. Aveva cre-duto più a un passante scono-sciuto che non a un suo amicoebreo. Trascorsi molti anni diriflessione, sono oggi convintoche ho fatto male a offendermi.Infatti lei pensava che gli ebreidemolissero all’impazzata Mo-schee e cimiteri arabi, e gli ara-bi Sinagoghe e cimiteri ebraici.Avrei dovuto accompagnarlanella Valle del Kedron, nell’im-menso cimitero dove “convivo-no”, nell’attesa del Giorno delGiudizio, morti ebrei e musul-mani. Non ridete: il conviveredei morti è una contraddizionema esiste. È molto raro che unantisemita si metta a discutereserenamente con un ebreo e per-ciò manca la conoscenza reci-proca. D’altra parte sappiamoper induzione che l’antisemiti-

smo sembra cavalcare i millennie ci segue come la nuvola del-l’impiegato. Sappiamo anche cheesiste una categoria non ben de-finita di amici degli ebrei. GiulioCesare era uno di questi, e iopensavo che lo fosse perché in-fantilmente lo credevo di sini-stra. Invece ho poi trovato nellasua “Guerra civile” il motivoprobabile per cui guardava agliebrei come suoi simili: “Di tuttii popoli ne sopravvivranno tre: iGreci, i Latini e gli Ebrei, perchésono popoli ubiqui”. DunqueCesare, di destra o di sinistrache fosse, era un profeta, unprofeta laico. Adriano non sicomportò niente bene anche per-ché condannava la pratica “bar-barica” della circoncisione. Chea molti appare barbarica ancheoggi. Un’altra mia amica, pre-senti due iraniani, ebbe a dirmi

con una certa malevolenza: “Voiebrei vi circoncidete perché vole-te sempre esser diversi dagli al-tri”, e i due giovanotti persianiper il gran ridere appoggiaronola fronte al braccio sui tavolinidel caffè. Da qui nascono dueipotesi se si tiene conto che unodei due era il suo fidanzato: o illoro rapporto era platonico, o leinon aveva conosciuto altr’uomoall’infuori di lui…Mi sono infilato in un bel pa-sticcio. Ma non è così complessocome sembra: si tratta di capirese una persona non ebrea legge“Il mercante di Venezia” diShakespeare come commedia an-tisemita o invece come tragediadella condizione ebraica… e an-che di capire perché di tutte leopere di Shakespeare “Il mer-cante di Venezia” è la più rap-presentata.

I segni del pregiudizio e quelle risate dal sapore amaroAldo ZarganiScrittore

DELLA PERGOLA da P23 /

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/ P26 PROTAGONISTI n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Fin dai tempi di Abramo, che lodòle qualità di Sara quando morì, èuso ebraico congedarsi dalle perso-ne che amiamo ricordandone lequalità. Per Luisella, la zia Luisellaper me, vi sono davvero tante coseda dire. Era figlia di Guido Otto-lenghi e Ada Valabrega, sorellamaggiore di Emilio, mio papà, edEmma. Aveva sposato AmedeoMortara, mancato al nostro affettonell’aprile del 2013. La figlia Raf-faella, cui ha consacrato i suoi af-fetti, le è stata molto vicina in que-sto ultimo doloroso periodo. La sua vita professionale è stata de-dicata all’ebraismo, sia in quantostudiosa di codici miniati ebraici,materia di cui Luisella è stata pio-niera, sia per la sua passione civilesui temi della memoria ebraica, perla quale ha dedicato molti anni allaaffermazione ed alla crescita delCentro di Documentazione EbraicaContemporanea – Cdec.Quanto alla prima attività, il lavo-ro e la ricerca di Luisella aprironoun nuovo filone di studi e favoriro-no la nascita di una vera e propriascuola di studiosi della materia.Trovò nel suo lavoro materiale digrande importanza, spesso dimen-ticato. “Scavò” nei fondi librariitaliani e stranieri, scoprendo mi-niature di eccezionale qualità e ca-talogando Kettubot antiche ed ele-ganti. Indagò sul rapporto tra com-mittente e artista, sulla reciprocainfluenza della miniatura cristianaed ebraica, scoprendo nel contempo

storie di individui, famiglie e co-munità associate ai libri e alla loroproduzione.Quanto al suo lavoro al Cdec, dicui fu vicepresidente dal 1973 epresidente dal 1980 al 2004, Lui-sella si è molto impegnata, insiemeai colleghi cui era molto affeziona-ta, a raccogliere e catalogare quan-to più materiale possibile sullaShoah, con risultati esemplari, estrutturare meglio il Cdec per dar-gli continuità nel tempo, facendoneprima una fondazione, poi ottenen-do gli speciali statuti e sostegni an-che pubblici che lo hanno rafforza-to. Il suo impegno al Cdec a me èsempre sembrato molto coerentecon quello di studiosa dei codiciminiati: se attraverso quelli rico-struiva con fatica frammenti delle

vicende ebraiche quotidiane del me-dioevo, col Centro di Documenta-zione lasciava idealmente agli sto-rici futuri una ben più completatraccia della vita quotidiana ebrai-ca italiana, non solo legata allaShoah, aiutandoli a fare meglio econ meno fatica il lavoro che leiaveva fatto sul passato.Interpretò anche col suo impegnopolitico l’idea ebraica che dobbiamoperseguire la giustizia e contribui-re al miglioramento della società incui viviamo. Credo che questo sen-tire lo avesse respirato in casa finda bambina, negli anni delle perse-cuzioni razziali e della ripresa dellavita politica democratica italianadal 1945, quando era adolescenteed era testimone della passione ci-vile del padre, Guido. Ma sono si-

curo di non sbagliare se dico chequesto sentimento fu coltivato epotenziato da Amedeo, suo marito,sostenitore del movimento federali-sta europeo e idealista della politi-ca. Luisella fu al suo fianco con lasua intelligenza e diligenza, e con-dussero insieme molte battaglie ci-vili a Milano e in Italia, vivendonegli anni ’80 il sogno di una poli-tica più alta incarnato da Spadoli-ni e dal Partito Repubblicano diquegli anni. Ricordo che allora laloro casa era un fermento di idee evisitatori, discorsi alti e progetti.Nel Pirkè Avot Rabbi Tarfon dice:“Non spetta a te portare a termineil lavoro, ma neppure sei libero diesentartene”. Se quegli anni nonrealizzarono i loro sogni, mi pareperò indubbio che Luisella e Ame-

deo incarnarono quella massimacon le loro scelte di vita.Luisella è anche stata Grand’Uffi-ciale al merito della RepubblicaItaliana, per i suoi meriti accade-mici e civili (2002) ed è stata peralcuni decenni (dal 1983 al 2016)consigliere di amministrazionedella Petrolifera Italo Rumena, lasocietà di famiglia nel cui consigliosiedo anch’io dal 1996. Era unaconsigliera affettuosa: comprensi-va se le cose non andavano bene, egrata dei buoni risultati, ma seaveva delle opinioni le diceva,pronta ad ascoltare visioni oppo-ste, ma per nulla timida nei suoiargomenti. Mi aveva visto cresceree ospitato fin da bambino ai seder epoi alle cene di shabbat quandostudiavo a Milano, mi aveva vistoformare la mia famiglia. Quandoal tempio leggiamo il misheberach,chiediamo una benedizione per chifinanzia la comunità e per chi lafrequenta, per chi aiuta in un mo-do e chi in un altro: non per chi fatutte queste cose, ma per chi ne faalmeno una, riconoscendo che ilbene dell’ebraismo è sostenuto datante azioni, cui ognuno di noi èchiamato almeno in parte, senzasapere quale sia più importante inun dato momento. Di Luisella sipuò dire che fece molte di questecose, animata da un profondo amo-re per l’ebraismo, la famiglia e isuoi Amedeo e Raffaella. Questoamore, radicato nella tradizione vi-vente prima ancora che nella hala-chà, è un esempio prezioso, e le ve-niva sia dai suoi genitori che daglisuoceri, in particolare dalla nonnaMarianna, che sempre ricordava eche sempre la ispirò. Che il suo ri-cordo sia in benedizione – BaruchDayan Haemet.

“Com’è difficile trovare una don-na di carattere! Essa vale molto dipiù delle perle di corallo… Datelecredito per tutto quello che fa: tut-ta la città le deve rispetto per ilsuo lavoro.” (Proverbi 31, 10-31. Le parole iniziali e finali del-l’Eshet Chail ben rappresentano lapersonalità e la storia di LuisellaOttolenghi Mortara, storica del-l’arte, esperta codicologa, protago-nista della vita culturale e politicadell’ebraismo italiano, dal 1980 al2004 presidente del Cdec di Mila-no. Nacque a Torino in una fami-glia originaria di Acqui e di Astiche nel corso dell’800 aveva pro-dotto importanti figure di prota-gonisti del processo risorgimenta-le, fra i quali spiccano i nomi diGiacomo Dina e Isacco Artom. Suquesta scia il padre, Guido Otto-

lenghi, fu protagonista attivo dellaresistenza antifascista. Colpita alpari dei suoi coetanei dai provve-dimenti discriminatori della legi-slazione antiebraica, dal 1938 fre-quentò per alcuni anni la scuolaebraica Colonna e Finzi di Torino.Sfollata poi con la famiglia a Ra-venna, trovò rifugio a Cotignola,dove con l’aiuto della resistenzalocale l’intera famiglia riuscì a na-scondersi durante il duro periododi persecuzioni 1943-44 riuscendopoi a raggiungere Roma. Tornataa Torino dopo la guerra, frequentòil liceo D’Azeglio e infine si lau-reò, nel 1954, in storia dell’artebizantina. Iniziò da allora la suaesperienza di studiosa stimata eapprezzata, collaborando conl’École des Hautes Études di Pari-gi, con diverse università italiane

e con la Hebrew University di Ge-rusalemme. A lei si deve fra l’altrola riscoperta e l’inizio degli studiapprofonditi del ricco patrimoniodi decorazioni miniate che caratte-rizzano i manoscritti biblici ebrai-ci medievali (molti dei quali di ori-gine italiana), sui quali volle orga-nizzare nel 1966 una prima gran-de mostra presso la Biblioteca Tri-vulziana di Milano in collabora-zione con l’Adei Wizo. Sposatanel 1957 con Amedeo Mortara,personalità ebraica e cofondatoredel Movimento federalista euro-peo, spostò la sua residenza a Mi-lano che divenne la sua città dielezione. Con lui ebbe una figlia,Raffaella, anche lei molto impe-gnata nella Fondazione Cdec. Nel1973 entrò nel consiglio di ammi-nistrazione del Cdec e dimostrò

presto di avere le capacità e la vi-sione necessaria per trasformarel’istituto di documentazione in uncentro di ricerca più strutturato eal centro di una rete scientifica dilivello internazionale. Fu una pre-sidente particolarmente attenta,pronta ad ascoltare i collaboratorie a dare suggerimenti operativi,sostenendo attivamente le iniziati-ve scientifiche e illuminò il lavorodel centro con la sua multiformepersonalità. Il Libro della Memo-ria, pubblicato nel 1991 da LilianaPicciotto, fu fra i prodotti della ri-cerca del Cdec che la resero più or-gogliosa. Luisella Ottolenghi Mortara fuper un quadriennio (1974-78)consigliera dell’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane e si im-pegnò in politica nelle file del Par-

tito Repubblicano. Si dedicò inol-tre in maniera efficace al dialogoebraico-cristiano stringendo rap-porti cordiali in particolare con ilCardinale Johannes Willebrands econ l’Arcivescovo, Cardinale diMilano Carlo Maria Martini. Nel2002, al culmine di una carrierascientifica e politica brillante e col-ma di soddisfazioni, il PresidenteCarlo Azeglio Ciampi le conferìl’onorificenza di Grand’Ufficialeal merito della Repubblica. Donnadalle mille sfaccettature, forte e te-nace nelle numerose attività che lavidero protagonista, lascia un se-gno importante di professionalità,dedizione e competenza. Per tutti quelli che l’hanno cono-sciuta e hanno avuto il piacere el’onore di lavorare con lei, che ilsuo ricordo sia di benedizione.

Luisella Mortara Ottolenghi (1930-2017)

Brillante e tenace, il segno indelebile che ha lasciato

GuidoOttolenghiImprenditore

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/ P27pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017

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Molti osservano le cose come stanno e si domandano: “Perché”? Io penso a come dovrebbero essere. E chiedo: “Perché no”? (George Bernard Shaw)

u /P28-29CINEMA

u /P30-31STORIA

u /P32-33FESTIVAL

u /P34-35SPORT

La stagione era questa. E appenachiusi i battenti di Documenta, latravolgente, sensazionale esposizionemonstre che si svolge a Kassel ognicinque anni, il segno resta. L’Europache guarda alla cultura è tornata inAssia per rincorrere l’esplosione dimostre, di performance, di idee cheil punto di raccolta di tutte le avan-guardie riserva al visitatore. Orga-nizzata in parallelo fra la città tede-sca e un’Atene che ha perduto quasitutto, non è più una capitale dellacultura e men che meno uno spazio

di benessere, Documenta ha messoal centro la ricostruzione di un Par-tenone a grandezza naturale.Una miriade di esposizioni e di ap-puntamenti ha fatto il resto, renden-do la visita ai diversi punti di incon-tro un labirinto di itinerari tortuosie affascinanti. Ma il filo conduttore,come si conviene all’aspirazione diessere casa di tutte le avanguardie,è rimasto legato a una riflessionesulle inquietudini dell’Europa, i flussimigratori, il problema della libertàd’espressione, la paura della crisi, i

conti con la Storia.Proprio il rapporto con il nostro pas-sato è stato l’orizzonte cui gli orga-nizzatori hanno voluto ricongiun-gere i fili di questa Babele apparente.Nel cuore di Documenta, infatti, ilPartenone portatile non era solotempio ideale della cultura, ma an-che costruzione sofferta. I pilastridell’intera costruzione, trasparenteal sole estivo di giorno, emananteluce propria nella notte, erano co-struiti con mattoni del tutto i parti-colari: i libri censurati, i libri proibiti,

i libri distrutti e perseguitati nei roghie in particolare nei roghi antiebraicidel XX secolo. Salendo alle colonne,le copertine dei libri, moltissimi diautori o editori ebrei, si potevanodistinguere una ad una, moltiplican-do una potenza simbolica moltosuggestiva.Nelle sale del Fridericianum, il cuoredi Documenta, la posizione centraleè stata poi riservata a Maria Ei-chhorn, l’artista berlinese che dellaMemoria ha deciso di fare la sua for-za creatrice. Torri vertiginose fatte

di libri rari rubati ai legittimi pro-prietari, liste e documentazione dellagrande spoliazione delle opere d’artedei collezionisti ebrei d’Europa. Nonsolo un omaggio alla verità storica,non solo un atto d’accusa alle re-sponsabilità delle dittature e la di-mostrazione che ogni oppressionenon è solo violazione della dignità,è anche delitto e turpitudine. Ma so-prattutto la dimostrazione che conla Giustizia e la Memoria è possibiletornare all’attività creativa e alla spe-ranza.

Arte e libertà, il vulcano Documenta

A DOCUMENTA 2017 IL PUNTO SULL’INGENTE PATRIMONIO ESPROPRIATO DAL NAZISMO

A metà strada fra creazione artistica contemporanea e rigoroso presidio di giustizia e di conoscenzadella storia, l’Istituto Rose Valland ha preso le mosse a Kassel proprio in mezzo ai fermenti di Do-cumenta 2017. Al di là delle stanze e delle rielaborazioni che sparavano negli occhi dei visitatoril’osceno volto di decine e decine di gerarchi nazisti, la sconvolgente documentazione sulla spoliazionedi tesori artistici che in restano in parte ancora da ritrovare, dietro alle quinte della grande mani-festazione prendeva forma un movimento che vede ormai fra i protagonisti artisti, investigatori,storici dell’arte, semplici cittadini. Un grande convegno per fare il punto sugli effetti devastanti esulle ombre che ancora gravano sull’immenso furto perpetrato dalle grandi dittature, sulle complicità, su quanto ancora resta da chiarire, haavuto luogo a Kassel alla fine di settembre quando Documenta era ormai alle sue battute finali. E l’omaggio all’eroica protagonista dellaResistenza francese che giocò un ruolo determinante nel salvataggio e nel recupero di almeno 60 mila pezzi d’arte di cui l’istituto onora il

nome si è tramutato in un momento di riflessione determinante. L’appuntamento è ora in novembre quando in contemporanea i governi tedesco e svizzero aprirannoper la prima volta al pubblico a Bonn e a Berna la possibilità di visitare una parte della collezione d’arte rubata nascosta dal famigerato Cornelius Gurlitt.

Arte sottratta, arte restituita

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/ P28 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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CINEMA

C’è forse una minaccia moltopeggiore del terrorismo. È il pre-giudizio che si insinua, che cor-rompe le società libere e condi-ziona i comportamenti dei mi-gliori cittadini. Che ci cambia dadi dentro. In una commedia go-dibilissima e lacerante allo stessotempo un’intelligenza poliedricacome Tzahi Grad, che scrive, di-rige e interpreta Ha Ben Dod (Ilcugino), un film che racconta lastoria di un israeliano consape-vole che vorrebbe un mondo mi-gliore e non vuole rinunciare alsogno della pace e della convi-venza. Per lui i cugini palestinesidevono essere avvicinati, bisognaoffrire loro fiducia e nuove op-portunità. Dalla sua intenzionedi assumere un operaio araboper ristrutturare e rimettere inpiedi una piccola abitazione neipressi di casa sua prende le mos-se una travolgente commedia

degli equivoci che diverte, ma faanche terribilmente male. Nonè qui il caso di ricostruire tutti ipassaggi di un film che gioca unaparte delle sue carte sul tavolodell’azione e dell’imprevisto, bastidire che una concatenazione divicende fa concentrare sul lavo-

ratore straniero sospetti che sa-rebbe stato meglio indirizzare incasa propria. Proprio la lente, ap-parentemente progressione delmale del pregiudizio nella societàdi cui si sente parte integrante ecittadino in prima linea, è quelloche fa scattare in Naftali la con-

sapevolezza di dover decidere.Lasciarsi trascinare dalla irrazio-nalità collettiva, dai comporta-menti emotivi che portano allereazioni incontrollate? Oppureresistere e rifiutarsi di farsi pren-dere dalla frenesia del sospetto,anche al costo di farsi dei nemici.

Naftali decide di resistere, di te-nere duro, fino al punto di ri-schiare di perdere tutto. Gli ami-ci, la stima dei figli, la fiducia del-la propria moglie. E in

questa vicenda solo apparente-mente personale sta invece tuttoil dilemma del cittadino di Israe-le. E di tutto il sistema Israele.Alla fine di un film che è mode-sto solo nella mancanza di boriadi chi ci ha lavorato, ma in realtàha molto da dirci su di noi e suIsraele, ci si rende conto che seuna speranza c’è questa si ap-poggia proprio nella determina-zione dell’israeliano comune.Che ai suoi sogni, ai suoi idealinon vuole proprio rinunciare.

Non era facile comprendere nel1960 il visionario Abschied vonden Eltern (Il congedo dai geni-tori) del grande drammaturgo te-desco Peter Weiss. La devastazio-ne della guerra e dello sterminiosi era placata da poco e le feriteerano ancora fresche. Solo ungrande visionario come il genialeautore del Marat Sade potevamettere il dito sulla piaga dellaidentità nelle famiglie spezzatedal dolore e dall’esilio. Sul dovereimpossibile e inevitabile della Me-moria. Sui conti perennementeaperti fra genitori e figli. Un filmcoraggioso e terribilmente difficileriporta alla luce quel testo che al-lora solo in pochi avvicinarono. Illavoro autobiografico di Weiss, cheera nato a Potsdam nel 1916. Èl’esilio, più della Shoah, da Londra,al Ticino alla Svezia che contras-segna il suo modo di essere in fa-miglia, la trasmissione di quella vi-sione della vita tanto importanteper gli ebrei tedeschi da costituireancora oggi un tratto distintivo intante dimensioni del mondo ebrai-co, da New York, a Gerusalemme,a Berlino. Ma alla ferita dell’esiliosi sovrappongono quelle della cre-

scita in una fami-glia dura e diffici-le, la necessità ditrovare la propriadimensione arti-stica come pitto-re e come scritto-re. Non era un compito facile,quello che si è assunta l’austriacaAstrid Johanna Ofner nel tentaredi ricostruire lo scritto giovaniledi Weiss, quasi il punto di partenzadel suo itinerario di intellettualeeuropeo che ha anticipato gli annidella contestazione e della grandetrasformazione. La soluzione chepropone allo spettatore offre forsepoco all’intrattenimento, ma moltoal cinema di qualità e alla possi-bilità di riprendere in mano in

maniera piùmatura l’opera

del grande auto-re tedesco. In uncaleidoscopioche combinaelementi di rigo-

rosa ricostruzione testuale, fictione testimonianza, non è solo il te-sto di Weiss a tornare in vita, matutto il suo itinerario di ebreo te-desco e di letterato di frontierache riprende il suo spazio. E sene esce con la sensazione di ungrande arricchimento, con la chia-ra consapevolezza che quelle pa-gine bruciate con lo sguardo feb-brile dei ragazzi di allora possonoessere oggi rilette nell’ambito diun’esperienza più consapevole.

Locarno e Venezia, i due grandi, tradizio-nali appuntamenti con il cinema di qualità,consentono di misurare lo stato di salutedella realtà israeliana e le tendenze espres-se quando la tematica è ebraica. E i segnali

sono contrastanti, una risposta univocadavvero ardua. La capacità del cinema

israeliano di sfornare continuamente suc-cessi strepitosi anche dal punto di vista

Weiss, una luce nuova

Qualità, senza troppo clamore

HA BEN DOD (IL CUGINO)

Regia: Grad Tzahi

ABSCHIED VONDEN ELTERN (IL CONGEDO DAIGENITORI)

Regia: Astrid Johanna

Ofner

“Tara moartă”, The Dead Nation, La nazionemorta. È questo il titolo del quinto lavoro delrumeno Radu Jude, capace di raccontare conforza il passato problematico del suo paese.Con “Aferim!”, dedicato alla schiavitù dei gitani nella Vallacchia di inizioOttocento, aveva vinto l’Orso d’argento per la migliore regia alla Ber-linale mentre in "Inimi cicatrizate”, Scarred Hearts, vincitore a Locarnonel 2016 del Premio speciale della Giuria, aveva ricostruito la vita neisanatori negli anni Trenta del Novecento, dove era ricoverato il poetaebreo Max Blecher. Con "Tara moartă" torna nel territorio inquietodella non fiction: in una sorta disaggio storico racconta in manieraintelligente e originale la pervasività

di antisemitismo e propagan-da nazionalista e il loro es-

sere parte della vita quotidiana dellapopolazione. Una collezione di fo-tografie scattate in una piccola lo-calità della Romania durante anni ‘30 e ‘40 è ripresa frontalmente, inrapporto serrato con quanto non si vede. Il racconto è affidato a unavoce fuori campo che legge estratti del diario di Emil Dorian, dottoreebreo vissuto nello stesso contesto storico. Scelto dalla giuria di Lo-carno per la sezione denominata “Signs of Life”, Tara moartă è il suolavoro più radicale e sperimentale, per lo meno sino ad ora.

a.t. twitter @ada3ves

TARA MOARTA(LA NAZIONE MORTA)

Regia: Radu Jude

La nazione morta

L’israeliano comune che salva la speranza

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/ P29pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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commerciale appare in lieve declino. Certo,come si può leggere anche in queste pa-gine, non mancano proposte di grande ri-lievo e prove ben riuscite. Ma la capacitàdi trascinare e di domare le grandi platee

forse non è più attuale. Per il resto le te-matiche ebraiche continuano a restare inprimo piano e si nota anche una crescitadi maturità nella declinazione dell’inesau-ribile tema della Memoria. Mondo ebraico

e cinema hanno ancora molto da dirsi, ese ci riescono anche senza fare tanto chias-so in fondo non c’è niente di male.

g.v.

"Tutti i miei film sono in qualchemodo collegati a persone che so-no circondate da palazzi e fine-stre. È il mio modo per raccon-tare la solitudine". È con questasemplicità che Miki Polonski, ilregista israeliano che ha conqui-stato l'ambito Pardino d'argentonell'anno in cui il cinema israe-liano sembrava praticamentesparito dal Festival internazionaledel Cinema di Locarno, raccontail suo lavoro. Presentato tra "IPardi di domani", una sezionedel festival sempre seguita conattenzione perché la sua selezio-ne di corto e mediometraggi èconsiderata la vera fucina di ta-lenti di Locarno, "Shmama" è ilterzo cortometraggio di Polon-ski. Dopo essersi diplomato allaMinshar School of Arts di TelAviv è stato selezionato con uncortometraggio a Cannes e iniziaa essere conosciuto nel circuito

dei festival dove ha portato unracconto la cui narrazione, comein tutti i corti di Polonski, è in-centrata su personaggi e palazzi,costruzioni che diventano a loro

volta personaggi. Per i "Pardi didomani" ha portato sullo scher-mo il rapporto tra una madre euna figlia. Leah e Meital, che la-vorano nello stesso albergo, la

prima come cameriera duranteil giorno e la seconda come can-tante, la sera. Molto applaudito, "Shmama" èil terzo cortometraggio di Po-

lonski - che ha diretto negli scor-si anni "Ten Buildings Away" e"1 Building and 40 People Dan-cing" - mentre del 2017 è il quar-to corto, "Livorno 32", un titoloche ovviamente incuriosisce lospettatore italiano. Ma semplicecome è lui e allo stesso tempospiazzante allo stesso tempo èla spiegazione: "Livorno

32 è l'indirizzo del palazzo dovesono cresciuto, e dove ancora vi-ve mia madre. Tutto qui". Manulla è scontato negli 11 minutiin cui Polonski ancora una voltaesplora con sensibilità sentimentie rapporti complessi.

a.t.twitter @ada3ves

Un palazzo, i destini di madre e figlia

SHMAMA

Regia: Miki Polonski

Sarah Adler, attrice franco israe-liana già vincitrice di premi inter-nazionali. Lior Ashkenazi, anchelui pluripremiato, è interprete dicinema e di teatro, noto soprat-tutto per i suoi ruoli in"Matrimo-nio Tardivo" di Dover Kosashvilie in "Footnote" di Joseph Cedar.Protagonisti di "Foxtrot", dannospessore e emozioni a una coppiache riceve dagli ufficiali dell’eser-cito la notizia della morte del figlioJonathan. Mentre lei riposa sottosedativi, lui diventa presto insof-

ferente alla presenza di parenti efunzionari militari troppo addolo-rati e troppo zelanti, per poi veniretravolto da un vortice di rabbia.Coproduzione di Israele, Germa-nia, Francia e Svizzera, il film è siasceneggiato che diretto da SamuelMoaz, vincitore del Leone d’oroa Venezia con "Lebanon", lungo-metraggio del 2009, che ha rac-

contato di aver voluto fortemen-te narrare una storia che fosse

pertinente a quella che definisceuna "realtà contorta". Un messag-gio di valenza sia locale che uni-versale. Una vicenda che parla dipersonaggi appartenenti alla se-conda e terza generazione: nonsopravvissuti alla Shoah ma lorodiscendenti. Si aggiungono ildramma di una famiglia che sispezza e si riunisce, il conflitto traamore e senso di colpa, e un trau-ma dalla portata insostenibile.

A confronto con il vuoto

FOXTROT

Regia: Samuel Maoz

Documentarista pluripremiato - anche con il Leoned'oro alla carriera, nel 2014, Frederick Wiseman èdocumentarista noto per il suo modo di rappre-sentare l’esperienza umana attraverso la narrazionedelle istituzioni sociali contemporanee. "Ex Libris – The New York Public Library", del 2017, presentato a Ve-nezia lo scorso mese, racconta come una delle più grandi istituzioniculturali del mondo sia non solo un luogo accogliente, ma soprat-tutto un centro dove scambio culturale e apprendimento sono la

regola, in tutte le suenovantadue sedi sparsetra Manhattan, il Bronxe Staten Island. "La bi-blioteca è la più democratica delle istituzioni. Tutti sono i benvenutie tutte le razze, etnie e classi sociali sono parte attiva nella sua vita- ha spiegato Wieseman - Non si tratta solo di una istituzione cul-turale fondamentale per la città di New York, ma le sue sedi sonodiventate centri per le comunità. Una risorsa enorme." E il simbolodi un credo profondamente americano, di una città che sa essereaccogliente, sfaccettata e cosmopolita. Il documentario, così, nonnarra solo la storia di una istituzione prestigiosa, ma interpella tuttiricordando come l'America creda profondamente nel diritto indi-viduale di sapere e di essere informati. Comunque, anche oggi.

EX LIBRIS

Regia: Frederick Wiseman

Il diritto di sapere

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/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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Il libro di Liliana Picciotto, Sal-varsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti allaShoah 1943-1945 (Einaudi 2017)è il prodotto di una lunga ed ac-curata ricerca documentaria e diuna straordinaria opera di raccol-ta di testimonianze orali. Un libroche offre al lettore una serie im-portante di spunti di riflessionein un momento storico partico-lare, quello che viviamo ora, incui molti nodi della storia sem-

brano riaffiorare dal passato e ri-chiedono capacità critica e so-prattutto uno sguardo non ste-reotipato, disposto a cogliere learticolazioni di una realtà com-plessa. Nel periodo 1943-45 inItalia e in tutto il mondo interes-sato dal tragico conflitto mon-diale ci furono i cosiddetti giusti,e ci furono gli ingiusti. Ci furono atteggiamenti cheoscillavano fra questi due estremi(anche nelle stesse persone) e cifurono tanti indifferenti, o incon-sapevoli, o silenti, o altro ancora.Il giudizio storico sull’atteggia-mento dei singoli deve esseresempre cauto e formulato, quan-do necessario, sulla base di do-

cumentazione certa. E deve, cre-do, essere mediato da quella pìe-tas umana che è necessaria quan-do noi, dai nostri letti caldi e dallenostre confortevoli abitazioni, ciaccingiamo a esprimere giudizisul comportamento dei singoli insituazioni estreme. Non che nonci si possa pronunciare, natural-mente, ma la distanza storica eambientale deve essere tenutanella giusta considerazione.Quando però si passa ai giudizicollettivi il discorso cambia. Inquesto senso, la recensione cheAntonio Ferrari ha voluto dedi-care al libro in uscita sulle paginedel Corriere della Sera indirizzail lettore in una direzione che non

solo non rispecchia il quadro teo-rico nel quale si inquadra la ri-cerca di Liliana Picciotto, ma di-mostra di non tenere in nessunaconsiderazione il ricco dibattitostoriografico che da più di tren-t’anni si incentra sulla favola pseu-do antropologica degli “italianibrava gente”. “L’italiano non è e non sarà maiun carnefice”, come si legge nel-l’articolo, è un’affermazione chesi commenta da sola per la suaassurdità storica, ma che non sa-rebbe presa bene se pronunciata,che so, alle orecchie di qualcheetiope di buona memoria, o frale dune della Libia e della Cire-naica, per non parlare - se voglia-

mo rimanere in tema – degliebrei arrestati da italiani (la mag-gioranza) proprio negli anni og-getto della ricerca recensita. Af-fermare poi che Mussolini “si ade-guò” alle leggi razziali “con qual-che mal di pancia” è semplice-mente un falso storico (che lostesso Mussolini rifiuterebbe disicuro con sdegno). È infatti noto e documentato ilsuo coinvolgimento diretto e pernulla “suggerito e caldeggiato daHitler” (che non si espresse maiin questo senso per la situazioneitaliana) nell’elaborazione teoricae poi pratica delle legislazione raz-zista del 1938. Ma, quel che èpeggio, è del tutto palese la sua

“Salvarsi”, il mio ultimo librouscito in settembre presenta i ri-sultati del progetto Memoria del-la Salvezza del CDEC, finanziatodalla Viterbi Family Foundation.La finalità del lavoro è stata diprodurre una riflessione su comemolti ebrei abbiano potuto sal-varsi malgrado fossero il bersa-glio della specifica “caccia all’uo-mo” programmata nei loro con-fronti dalle autorità fasciste e na-ziste. Al contrario di quanto giàdescritto ne Il libro della memoria(Mursia editore) a proposito de-gli ebrei arrestati e deportati, siparla qui dunque del “rovesciodella medaglia”. Questa ricerca, per gli obiettiviraggiunti e per la metodologiaapplicata, può essere un progettoguida per analoghe indagini inaltri Paesi europei. Gli ebrei sfug-giti alla Shoah in Italia furonopiù dell’81 %, nella Francia di Vi-

chy la percentuale di ebrei salviè vicina a quella dell’Italia, 78%,mentre la civilissima Olanda haavuto una percentuale di salviche si aggira sul 29%. Sarebbeinteressante e aprirebbe nuove

piste storiografiche poter fare unacomparazione sia quantitativa,sia qualitativa tra le varie politi-che nazionali e i rispettivi atteg-giamenti popolari verso gli ebreie la Shoah.

Nessuno in realtà si era finoraposto il problema in modo siste-matico e scientifico su chi fosseroi salvi e come mai si fossero sal-vati. Con questo approccio, lostaff del CDEC guidato da da

chi scrive e composto da ChiaraFerrarotti (purtroppo scomparsanel settembre dello scorso anno,z’l), Luciana Laudi e Gloria Pe-scarolo, ha raccolto, in otto annidi lavoro, una mole immensa dimateriale documentario. Sonostate realizzate 700 interviste adanziani in grado di raccontare leloro vicende di ansia, di terroree di fuga davanti al pericolo mor-tale. Sono stati sondati 520 libri dimemoria, sono state analizzatedecine di migliaia di documentidi archivio per arrivare ad un ri-sultato veramente soddisfacente.Si sono infatti raccolti più di10.000 nomi di ebrei salvi e i lorodati caricati su di un sistemacomplicato di data base incro-ciati. Tramite questo, siamo oggiin grado di dire quanti ebrei sui10.000 identificati sono stati soc-corsi negli ospedali, quanti nellecase religiose, quanti fuggendoin Svizzera, quanti rifugiandosinelle campagne, quanti sono pas-sati nella clandestinità dotati didocumenti falsi, e molto altro. Siè cercato insomma di uscire dallamodalità di scovare “casi esem-

STORIA E LETTERATURA

In libreria da fine settembre Salvati. Gli ebrei d'Italia sfuggiti alla Shoah 1943-1945, la documentataricerca sulla memoria della salvezza lanciata dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporaneadi Milano con il coordinamento di Liliana Picciotto. Al contrario di quanto già descritto dall’autricene Il libro della memoria e in altri studi, si parla qui dunque del “rovescio della medaglia”. Diverse ledomande che si pone la storica in questo nuovo lavoro. Tra le altre le seguenti. Che cosa sapevano gliebrei in Italia della Shoah che infuriava già nell'Europa nazista? E che cosa ne sapeva la gente comune? Qual era ilrischio per un normale cittadino che desse soccorso agli ebrei? Può questo soccorso definirsi come resistenza civile?

Storie di salvezza nell’inferno delle persecuzioni

“Italiani brava gente”, un mito che resiste ú–– Gadi

Luzzatto Voghera direttore Fonda-zione CDEC

LilianaPicciottoSALVARSIEinaudi

Liliana Picciottostorica, Fondazione Cdec

Nuove domande per la Memoria viva

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Seguire le pa-role e i raccon-ti di Primo Levi,chimico e scritto-re, testimone e in-ventore, significa fare diverse vol-te, e in diversi modi, il giro delmondo. Lo ricorda la mostra “Imondi di Primo Levi. Una stre-nua chiarezza”, visitabile fino al27 ottobre al Quirinale. Diventato narratore per un inti-mo impulso dopo essere preci-pitato in uno degli abissi dellastoria, Auschwitz, e ricondottoalla scrittura per dar conto delsuo riemergere alla vita, Levi hapoi usato il suo italiano limpidoe ammaliante per narrare altriuniversi di cui pure e in altromodo era testimone privilegiato.Ha insieme inseguito e fabbrica-to le avventure di un tecnico pie-montese e globale, l'operaiomontatore Tino Faussone, daTorino agli estremi della terra.Si e cimentato con l’arte dellafinzione, da un genere “popola-re” come la fantascienza al ro-manzo. E in un tour de force let-terario ineguagliabile e appassio-nante ha emulato la natura stessaper ricostruire la tavola degli ele-menti di cui come chimico eraabituato ad apprezzare l’essen-ziale semplicita, fino a seguire letraversie nel tempo e nello spa-zio del germe della vita, un ato-mo di carbonio.Il senso di una mostra su PrimoLevi non sta nel raccontare conaltre parole quello che il grandescrittore ha saputo cosi bene nar-rare con le sue. Sta nell’usare l’ar-te del suo Faussone – il prota-gonista della Chiave a stella – ilmontaggio, per mettere insiemelinguaggi diversi (fatti di opereartistiche e di video, di docu-menti e ancora di parole, inclusequelle che arrivano dalla vocestessa, limpida e inconfondibile,dello scrittore) per condurre ilvisitatore a incontrare i tantimondi di Levi e farne il periplo.Sta nel fargli scoprire la coerenzache lega insieme tante avventureletterarie apparentemente distan-ti l’una dall’altra: i toni duri masempre pacati della testimonian-za dell’orrore, quelli quasi mo-zartiani del viaggio nella materiafino all’umorismo di altre narra-zioni. Sta nel portarlo dentro illaboratorio della scrittura per vi-sitare il mondo che e al centrodi tutti gli altri, quello persona-lissimo di uno dei grandi dellacultura del Novecento.

La mostra, nel suo itinerario,conduce prima il visitatore

nell’infinitamente picco-lo dell’atomo di carbo-

nio, accompagnatoda un’interpretazio-ne personalissimad’artista, per poiprecipitarlo nelviaggio agli in-feri di Au-schwitz. Qui eguidato dalle

parole di Levi,ma anche da unadocumentazione cheaiuta a capire come quelnome un tempo scono-sciuto sia diventato essenzialealla coscienza dell’umanita mo-derna e, insieme, un problemairrisolto su cui lo scrittore con-tinuo a interrogarsi fino alla fine.E poi c’e la chimica: quella nar-rata, personale e fantastica, delSistema periodico, che si da da leg-gere proprio sulla tavola di Men-deleev, e quella vissuta in una vi-ta di professionista innamoratodel suo lavoro. E poi ancora altrilavori, di cui Levi era appassio-nato e curioso: lavori di operaicon cui sapeva condividere con-versazioni ed esperienze o formedi bricolage di mani e materialitra arte e sperimentazione. Soloalla fine, come i titoli di coda diun film, l’esposizione cronologicadella biografia riunisce nelle tap-pe di una vita i tanti mondi at-traversati nel corso della visita.L’allestimento e suddiviso in seisezioni e offre al visitatore l’oc-casione di penetrare per il tra-mite di immagini e parole (illu-strazioni inedite, videoistallazio-ni, audiovisivi, pannelli esplica-tivi...) in alcuni dei molteplicimondi di Primo Levi e di cono-scerne la personalita multiforme:

la sua inesauribile curiosita perl’animo umano, il suo sguardospesso ironico e la sua inesaustaricerca del dialogo, soprattuttocon i piu giovani.La prima sezione, Carbonio,prende il titolo dall’ultimo rac-conto de Il sistema periodico, pub-blicato nel 1975. Vi si descrive ilviaggio avventuroso di un atomodi carbonio nel corso dei millen-ni e nell’immenso spazio plane-tario. Le sue straordinarie tra-sformazioni ne fanno il protago-nista della nascita e dello svilup-po della vita su questa terra. Laseconda, Il viaggio verso il nulla

/ il cammi-no verso ca-sa, in unagrande cartageogra f i c adell’Europapropone l’iti-nerario delviaggio cui Levi fu costretto trala fine del ’43 e l’inizio del ’44,dopo l’arresto in Valle d’Aosta:dal campo di Fossoli (pressoCarpi, in provincia di Modena)fino ad Auschwitz. Sulla stessacarta e inoltre descritto il lungoperiplo dell’Europa centro-orien-tale che lo scrittore dovette com-piere per tornare a casa nel ’45.Il percorso continua lungo unasorta di tunnel, dove sono solole parole di Levi a “illuminare”la realta di Auschwitz. Subitodopo, una sequenza di pannelliaiuta a seguire alcuni dei passag-gi piu significativi della testimo-nianza sul lager, che Levi non

cesso mai di dare nel corso ditutta la sua vita, fino all’ultimosuo libro I sommersi e i salvati del1986. La terza sezione, Cucireparole, è dedicata a Levi scrit-tore. Una ricca successione diimmagini e citazioni illustra in-fatti i diversi mondi da lui im-maginati nei suoi libri, fra rac-conto, romanzo, poesia e saggio.Centrale risulta anche nel per-corso espositivo la sua cura dellaparola, dalla ricerca inesausta diuna “strenua chiarezza” (comenel titolo della mostra) fino aldivertimento di interessanti gio-chi linguistici. La quarta sezione,Cucire molecole, racconta inveceil Levi chimico e inizia con la ri-produzione della tavola degli ele-menti – la tavola di Mendeleev

– presente nell’Istituto di Chi-mica dove Levi studio neglianni ’40 del secolo scorso.Di fronte, un’installazionevisiva propone un’altra ta-vola degli elementi, quellaentro cui egli volle inscri-vere i passaggi fondamen-

tali della sua vita e del suo me-stiere di chimico quando scrisseIl sistema periodico.A seguire, il percorso espositivopropone in ordine cronologicoi momenti salienti del rapportodi Levi con la chimica, dagli annidi scuola ad Auschwitz, fino allalunga esperienza nella SIVA, lafabbrica di vernici dove lavorofino alla pensione.Tema centrale della quinta se-zione, Homo Faber, e la relazio-ne fra mano e cervello. Una re-lazione gia cosi stretta e decisivanel mestiere del chimico, per ilquale le capacita sensoriali e lamanualita rivestono un’impor-tanza essenziale. Ma Levi colti-vava quel rapporto anche in altrimodi: ad esempio affinando lapropria capacita di costruire scul-ture in filo di rame. La sesta se-zione, Il giro del mondo delmontatore Faussone, si apre conuna installazione su cui spiccanodue schermi: nel primo scorreun video in cui l’autore parla deLa chiave a stella e del suo pro-tagonista; nell’altro, immagini insequenza descrivono mestierivecchi e nuovi. La sezione si svi-luppa poi intorno al tema del la-voro, centrale nel libro e nel pen-siero di Levi, portato quasi pernaturale vocazione a misurarsisia con la realta concreta dei me-stieri piu diversi, sia con il signi-ficato del lavoro nella vita del-l’uomo.

plari” di Giusti che hanno salvatoebrei e dalla descrizione di singoliepisodi, per passare ad una analisidei comportamenti collettivi.Modalità comuni di ricerca disalvezza da parte degli ebrei sonoemerse chiaramente, mentre si ècercato di spiegare anche l’atteg-giamento della società civile edella Chiesa davanti all’emergen-za Shoah. I temi trattati dall’opera sono adesempio: che cosa sapevano gliebrei in Italia della Shoah che in-furiava già nell’Europa sotto in-fluenza nazista? E che cosa nesapeva la gente comune? Qualeera il rischio per un normale cit-tadino che desse soccorso agliebrei? Può questo soccorso defi-nirsi come resistenza civile? C’eradifferenza tra il soccorso agliebrei e quello ad altre parti socialiugualmente bisognose di passarenella clandestinità: renitenti allaleva, soldati dell’esercito alleatoevasi, antifascisti? Come il fattodi essere perseguitati per famiglieintere ha influito sulla scelta dellemodalità di ricerca della salvezza? Oltre ad una ponderosa ricostru-zione storica, l’ultima parte delvolume è dedicata a testimoni di-retti che raccontano in prima per-sona le loro vicende. Sono statiscelti episodi paradigmatici di soc-corso ricevuti da cittadini laici oda religiosi e episodi dove, auto-nomamente, cittadini ebrei tro-varono il modo di salvarsi. Questolibro costituisce un omaggio aigenerosi soccorritori di ebrei, maè anche un tributo a quei capifa-miglia di allora che seppero usarepreveggenza, coraggio e capacitàdi affrontare uno stato di allarmepermanente.

mano nella legislazione della re-pubblica sociale italiana che con-dannava sostanzialmente a mortetutti quegli ebrei che poi – se-guendo percorsi personali fortu-nosi – riuscirono per l’appunto a“salvarsi”. L’appiattimento su giu-dizi storiografici collettivi autoas-solutori non ci aiuterà a fare ve-ramente i conti con il passato (inun momento in cui si discutemolto di musei del fascismo e del-la resistenza), e non ci aiuta certoa guardare con il dovuto acumealla complessa e articolata realtàche ci troviamo a vivere, nellaquale gli italiani – come nel corsodi tutta la loro storia – non sonocollettivamente né gente brava négente non brava, ma una realtàcomposita che segue comporta-menti diversificati, come in tuttele società complesse.

Primo Levi, i suoi mondi al Quirinale

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Rabbino, storico ed ebraista di fama inter-nazionale. Personalità di spicco del suotempo, la cui eredità è ancora oggi signi-ficativa nel mondo ebraico e nel solo. Sono

dedicati al rav Umberto Cassuto (1883-1951), indimenticabile protagonista dellacultura italiana del Novecento, due volumidella Rassegna Mensile di Israel appena

pubblicati sotto il coordinamento di An-gelo M. Piattelli e Alexander Rofé. Gran-de l'interesse della comunità degli stu-diosi per questa preziosa opera, che èstata presentata a Firenze nel corso diun convegno tenutosi nell'aula magnadel rettorato.

/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

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L’ultimo numero doppio dellaRassegna, curato da Angelo M.Piattelli e da Alexander Rofé, è in-teramente dedicato all’opera dellostorico e biblista Rav UmbertoMoshè David Cassuto (Firenze,1883-Gerusalemme, 1951). Questaraccolta di studi mette a disposi-zione dei lettori uno strumentoricco di materiali utili per riconsi-derare una delle figure più brillantidell’ebraismo italiano del Nove-cento e per rivisitare un’esperienzaculturale e umana originale e si-gnificativa. Offre altresì l’occasionedi ripercorrere l’iter scientifico diCassuto, nonché di tracciare unbilancio del suo contributo.Il primo volume costituisce unaraccolta di saggi dedicati ai mol-teplici aspetti della figura di Um-berto Cassuto, promotore deglistudi ebraici in Italia. La ricercamoderna sugli ebrei in Italia ebbeinizi nel primo Ottocento all’epocadella Haskalà (Illuminismo ebrai-co) e si sviluppò sotto gli auspicidella Wissenschaft des Judentums.Ebbene, fu proprio Cassuto, tra ipochi in Italia, a raccogliere i pro-positi di quel movimento, insiemeai compagni di studio presso ilCollegio Rabbinico Italiano. Daquell’ambiente culturale Cassutotrasse vigoroso slancio ideale perpromuovere indagini e ricerche,prevalentemente storico-letterariedapprima, bibliche e semitistichepoi, sostenuto da una solida pre-parazione storico-filologica acqui-sita al Collegio Rabbinico e all’Isti-tuto di Studi Superiori di Firenze(poi Università di Firenze). In oc-casione del primo Convegno gio-vanile ebraico di Firenze (30 ot-tobre 1911), Cassuto prese la pa-rola proponendo di istituire la So-cietà per la Storia degli Ebrei inItalia. Un progetto culturale im-portante, le cui vicende vengonoricostruite attentamente da MarioToscano in uno dei saggi del pri-mo volume. Queste vicende con-tribuiscono a spiegare la naturadelle prime indagini storiche delgiovane Cassuto, che può essereconsiderato erede della grande tra-dizione fiorentina umanistica,l’ebraista che ‒ come scrive Ida

Zatelli nel suo contributo ‒ «in-carna l’ideale rinascimentale delvir trilinguis sorto nella città chedel bell’idioma ci ha fatto dono».Dalle pubblicazione scientifiche diCassuto traspare lo straordinariocompendio di competenze incampo classico e negli studi ebraicie semitici, ma anche la rigorosaimpostazione metodologica. Leggendo i contributidel primo tomo si ri-percorre il curriculumdi Cassuto, a partiredalla formazione cul-turale, l’ambiente uni-versitario e quello delCollegio rabbinico. Sitratteggia il Cassutosegretario della Comu-nità ebraica fiorentinae quello, per un brevelasso di tempo, che lovide ricoprire la catte-dra di Rabbino Capodella sua città natale,come ci informa Lio-nella Viterbo. Nel sag-gio di Angelo M. Piat-telli si rivisitano le pri-me ricerche bibliche diCassuto svolte affron-tando un percorso psi-cologico, complesso etravagliato, che lo por-tò ad abbandonare lacarriera rabbinica perdedicarsi completa-mente alla ricerca eagli studi. Attraversogli scritti di AlfonsoPacifici, si mette in lu-ce la problematicità af-frontata da Cassutonel condurre studi dicritica biblica, pur ri-manendo saldamentenel solco della tradizione ebraica. Alla fine del 1932, dopo aver giu-rato fedeltà al partito fascista, co-me la maggioranza dei docentiuniversitari italiani, Cassuto vennechiamato a sostituire Giorgio LeviDella Vida, docente di Ebraico eLingue Semitiche comparate al-l’Università di Roma, che corag-giosamente aveva scelto di nongiurare. Gabriele Rigano, nel suostudio, mette in risalto la partico-

larità del percorso intellettuale diCassuto, caratterizzato dallo spic-cato approccio scientifico, ma an-che dal dialogo continuo con ilmondo circostante, mettendoloin relazione da una parte conquello intrapreso da Giorgio LeviDella Vida, e dall’altra con IsraelZoller (Italo Zolli), suo anticocompagno di studi al Collegio

rabbinico di Firenze. Tornando alle prime ricerchescientifiche di Cassuto, come ci ri-vela l’originale saggio di Ariel Ra-thaus, «sebbene la letteratura ebrai-ca italiana abbia rappresentato perCassuto un ambito secondario diricerca, essa ha costituito il suotrampolino di lancio come studio-so, coinvolgendolo in un coerenteimpegno storiografico ed esegeticoperdurato negli anni». Egli quindi

acquisì notorietà e fama – comesottolinea nel suo testo Bruno DiPorto ‒ dedicandosi alla storia de-gli ebrei italiani, con completezzadi competenze nell’indagine dellefonti italiane ed ebraiche. Dopoalcuni saggi monografici, composela fondamentale opera sugli ebreia Firenze nell’età del Rinascimen-to, apparsa nel 1918, pietra miliare

della storiografia ebraica fiorentina.Lo stesso talento che Cassuto mo-strò negli studi storici si riscontraaltresì nel Cassuto biblista, comeillustrato da Alexander Rofé, chenel suo contributo ne rivaluta l’ap-porto agli studi biblici, analizzandogli scritti dello stesso studioso fio-rentino riproposti nel secondo vo-lume. Cassuto dedicò le miglioriforze intellettuali per contestarel’ipotesi documentaria, attraverso

un’attenta analisi stilistica, lessicalee filologica del testo biblico, sot-tolineando la peculiarità dellamentalità orientale. Inoltre sosten-ne con rigore ed efficacia l’unitàdi autore e di composizione dellaTorà. Mentre però la fortuna del-l’opera di Cassuto negli studi sto-rico-letterari sull’ebraismo italianoè tuttora ampiamente riconosciuta,

si può affermare che lesue ricerche di criticabiblica non hanno avu-to pari risonanza, omeglio non hanno ot-tenuto la medesimaunanimità di giudizio.Ai nostri giorni infatti,se possiamo asserireche l’impianto teoricoe le conclusioni a cuiCassuto giunse in quelcampo sono da consi-derare parzialmentesuperati, le obiezionidel biblista fiorentinoall’ipotesi documenta-ria, così come il siste-ma metodologico im-piegato e la ricchezzadi fonti portate all’at-tenzione degli studiosi,costituiscono un donoprezioso alle scienzebibliche. Come perogni altro biblistaebreo osservante, l’im-postazione teorica emetodologica raziona-le portò anche Cassutoa trovarsi su posizioniscomode e insidiose,derivate dalla tensionefra l’assioma sull’originedivina della Torà e laricerca scientifica liberada qualsiasi preconcet-

to. In ogni modo, gli studi biblicidi Cassuto vennero recepiti condifficoltà e scetticismo da partedella società ebraica coeva. Incom-preso, condannato e bandito dabuona parte del mondo ebraicoortodosso, che lo considerò un mi-scredente, e inoltre biasimato oignorato da diversi biblisti per lesue posizioni, talvolta consideratepersino apologetiche, confessionalio di impianto pseudoscientifico.

IDEE

Cassuto, l’eredità di un grande Maestro

Una vita dedicata alla conoscenza

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Ada Treves

Decine di migliaia di biglietti

staccati, presenze stabili o in

crescita, programmazione at-

tenta, attenzione nei confronti

del territorio, volontari che ac-

corrono da ogni dove per il pri-

vilegio di far parte di organiz-

zazioni che funzionano oramai

12 mesi all'anno. Questi, decli-

nati in tante maniere differenti

quanti sono i festival culturali

che arricchiscono la vita di

grandi metropoli così come di

piccoli centri capaci a volte an-

che di federarsi e allearsi intor-

no a un'idea, sono i fatti con cui

bisogna confrontarsi. Perché

non è vero che "con la cultura

non si mangia". Dal Festivalet-

teratura di Mantova, festival

culturale capostipite che apre

la stagione autunnale degli ap-

puntamenti che ormai sono dif-

fusi praticamente in tutta Italia

sino agli appuntamenti più di

nicchia, che hanno saputo però

attirare di anno in anno un pub-

blico sempre più folto. Dalle

giornate del cinema muto di

Pordenone, che si fregia anche

del successo di Pordenonelegge,

al Festival della tv e dei nuovi

media di Dogliani, non c'è luogo

in cui un amministratore, se ac-

corto, non abbia saputo acco-

gliere e cogliere le proposte di

chi fa cultura.

Pordenone, poi, è un caso esem-

plare, ed è proprio Gian Mario

Villalta, direttore del festival

noto come “La festa del libro

con gli autori”, a spiegare con

orgoglio il valore e l’importanza

– studiata e riconosciuta – della

ricaduta economica della sua

creatura: “Il nostro territorio

una volta era conosciuto per le

lavatrici Zanussi, oggi lo è per

Pordenonelegge”. Nato su com-

mittenza della locale Camera di

Commercio che con lungimiran-

za quasi venti anni fa seppe co-

gliere il valore tuttora crescen-

te che avrebbero saputo espri-

mere i festival culturali, il festi-

val anche nella sua edizione

2017 e nonostante il tempo non

favorevole ha saputo attirare

un pubblico numeroso e forse,

proprio a causa della pioggia,

più determinato, deciso, "di

qualità". Oltre trecento incontri

e 500 ospiti per giornate la cui

collocazione periferica nulla to-

glie all’attrattiva. E il festival si

è saputo affermare grazie all’at-

tenzione e all’intelligenza con

cui Villalta, insieme ad Alberto

Garlini e Valentina Gasparet, gli

altri due curatori, costruisce

ogni anno il programma e gra-

zie alla passione e alla compe-

tenza con cui Michela Zin guida

la Fondazione omonima.

E Pordenonelegge è anche un

ottimo investimento, non solo

di immagine: un recente studio

della Bocconi ha mostrato come

ogni euro investito ne faccia

tornare sette al territorio, una

prova che Camera di Commercio

così come Comune e Regione

Friuli Venezia Giulia avevano vi-

sto giusto e che la città tutta

ha saputo con lungimiranza e

determinazione cogliere l'im-

portanze della cultura e credere

nella carta stampata.

Diversa è l'evoluzione del Festi-

valetteratura di Mantova, che

dopo quella che per un paio di

edizioni era sembrata quasi una

crisi di crescita, ha fatto per

l'edizione chiusa a inizio set-

tembre una scelta controcor-

rente, annunciata già lo scorso

anno. Nonostante la riduzione

del numero di incontri giorni

pienissimi, iniziati già il fine set-

timana prima dell’apertura uf-

ficiale, con una folla gioiosa e

partecipe, come sempre, scrit-

tori, lettori, critici, editori, gior-

nalisti e professionisti dell’edi-

toria mescolati alle centinaia di

giovanissimi volontari, ai man-

tovani che affollano come sem-

pre gli incontri e che cercano

anche di portare avanti la pro-

pria vita intanto che collabora-

no alla buona riuscita del festi-

val allestendo vetrine a tema,

dando informazioni e generica-

mente mostrandosi sempre ca-

lorosi e ospitali.

E si tratta solo di due esempi,

perché la stagione autunnale è

davvero ricca, per non dire pie-

na, troppo piena, esagerata-

mente affollata di date e ap-

puntamenti, tutti interessanti,

tutti meritevoli, tutti da segui-

re. Ci sono il Festival di Inter-

nazionale a Ferrara e Torino

spiritualità, il Festival Filosofia

di Modena, Carpi e Sassuolo, e

Babel, a Bellinzona oltre a cosa

più piccole ma altrettanto in-

teressanti come per esempio le

già citate Giornate del cinema

muto di Pordenone. L'unica co-

sa che manca ancora, nonostan-

te i tentativi, è un accordo, un

coordinamento, che permetta

alle varie iniziative di non so-

vrapporsi sottraendosi pubbli-

co e a coloro che vorrebbero

andarci, o che si trovano a la-

vorare in una realtà così bella

e ricca di non essere obbligati

a scegliere. Chi riuscirà in que-

sto difficile se non impossibile

intento farà il bene del pubbli-

co, dei professionisti che ci la-

vorano, obbligati a veri e pro-

pri tour de force così come gli

autori, ma anche dei festival

stessi e, in definitiva, della cul-

tura e del paese.

/ P33pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Tuttavia, i suoi commenti alla Ge-nesi e al libro dell’Esodo vengonotuttora studiati e consultati. Gli interessi scientifici di Cassutospaziarono anche in altre aree diricerca considerate apparentemen-te marginali; ciò nonostante, anchein quei campi il suo contributo sirivelò significativo e pioneristico.Per quanto riguarda il giudeo-ita-liano, Cassuto indagò testi medie-vali e rinascimentali, formulandola famosa teoria della koiné lin-guistica giudeo-italiana di originecentro-meridionale. Tuttavia il suointeresse per il giudeo-italiano fuvivo anche nei confronti delle par-late moderne superstiti dal periododei ghetti, come sottolinea MariaLuisa Mayer Modena in questaraccolta di saggi. D’altra parte, nelsuo contributo Sandra Debenedet-ti Stow, non solo sottolinea l’ap-porto di Cassuto agli studi sul giu-deo-italiano, ma fornisce un qua-dro generale e l’attuale stato deglistudi sul giudeo-italiano dalle ori-gini fino al Rinascimento.Ormai pienamente avviato nellacarriera universitaria, Cassuto ri-coprì incarichi accademici di rilie-vo ottenendo nomine di primissi-mo piano. A partire dal 1923 fucorrispondente della prestigiosaSocietà Colombaria di Firenze, eil 15 luglio 1935 divenne sociocorrispondente dell’Accademia deiLincei. Per alcuni anni, fino al feb-braio 1932, servì da Commissarioper la Biblioteca della Facoltà diLettere e Filosofia dell’Universitàdi Firenze e direttore della Scuoladi perfezionamento per bibliote-cari e archivisti-paleografi. L’interesse per le indagini archivi-stiche coltivato ai fini della ricercastorico-filologica sugli ebrei d’Italiae quello più spiccatamente biblio-grafico, collegato con gli incarichiassunti presso la biblioteca univer-sitaria, suscitarono in Cassuto lecuriosità intellettuali che lo por-tarono a inaugurare un nuovo fi-lone di ricerca: lo studio del libroebraico manoscritto e a stampa.Da buon catalogatore studiò conparticolare attenzione collezionidi incunaboli e manoscritti ebraicidi importanti biblioteche fiorenti-ne, per poi dedicarsi con ingegnoe perspicacia ai manoscritti dellaBiblioteca Apostolica Vaticana. Siimpegnò, come sottolinea Pier-francesco Fumagalli nel suo sag-gio, nello studio storico di tali col-lezioni, della loro formazione e delloro sviluppo. Le testimonianzestorico-letterarie disseminate inmanoscritti, antichi testi a stampaed epigrafi ebraiche costituironoper Cassuto fonti storiografiche,spesso trascurate, ma preziose per

gettare nuova luce su capitoli igno-ti della storia ebraica medievale.Con il conseguente e costante ap-profondimento ognuno dei temiricordati acquisì, nella sua sensi-bilità di intellettuale, la piena co-scienza di disciplina scientifica au-tonoma. È il caso, ad esempio, del-le iscrizioni ebraiche di epoca tar-do-romana e medievale dell’Italiameridionale. Nei primi anni Tren-ta, Cassuto iniziò a occuparsi si-stematicamente delle iscrizioniebraiche rinvenute particolarmentein alcune località della Puglia edella Basilicata, progettando lapubblicazione di un corpus epi-grafico tutt’oggi incompiuto. Diquesto capitolo poco noto, Gian-carlo Lacerenza qui ricostruisce letappe principali. A seguito della lapromulgazione delle leggi antie-braiche Cassuto partì per EretzIsrael, chiamato a insegnare Bibbiaall’Università Ebraica di Gerusa-lemme, come usava dire con unpizzico di superbia, andò a fare il«Maestro di Bibbia nel paese dellaBibbia». Con la aliyà si aprì un nuovo eimportante capitolo della sua vita,durante il quale, in condizionieconomiche spesso disagiate, im-postò di nuovo con grande de-terminazione la propria attivitàaccademica di docente e di ricer-catore. Secondo la ricostruzionedi Ariel Viterbo, la sua presenzafu determinante nel consolida-mento e lo sviluppo del Diparti-mento di Bibbia dell’ateneo diGerusalemme e in generale nellavita culturale del Paese. Con gran-de entusiasmo Cassuto progettòla redazione di un nuovo com-mento all’intera Bibbia, opera del-la quale riuscì a pubblicare solo ilcommento all’Esodo e parte diquello alla Genesi. Gli anni di Cas-suto in Eretz Israel e poi nel neo-Stato di Israele furono decisamen-te fecondi di ricerche, ma anchedi divulgazione scientifica. Chiudela sezione dei saggi la toccante te-stimonianza di Susanna e David,figli di Nathan Cassuto, RabbinoCapo di Firenze e oculista, figliodi Umberto, deportato ad Au-schwitz da cui non fece ritorno.Nel racconto emerge la dimen-sione umana e sentimentale diUmberto Cassuto, nonno premu-roso e attento, che si fece caricodi allevare i nipoti rimasti orfaniin tenera età, occupandosi perso-nalmente della loro istruzione. Letragedie familiari fanno da cornicealla narrazione e allo scorrere dellavita privata dello studioso, scan-dita dagli aneddoti, dal rapportocon i parenti e gli amici, dall’af-fetto e il rispetto per gli studenti.

La cultura che crea ricchezza

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/ P34 SPORT n. 10 | ottobre 2017 pagine ebraiche

Emozioni rosa a GerusalemmeIl prossimo Giro d’Italia in Israele. Una sfida inedita, destinata a lasciare il segno

Adam Smulevich

La sala è carica di energia, voltisorridenti e tante pacche sullespalle. È il momento degli annun-ci storici, quelli che lasciano il se-gno. Il Giro d'Italia del 2018 par-tirà da Israele: tre tappe in tutto,l'esordio a cronometro tra le stra-de di Gerusalemme e poi due tap-pe in linea. Da Haifa a Tel Aviv,e quindi da Beersheva ad Eilat.Dal verdeggiante monte Carmeloal deserto più intenso, passandoper città chiave dell'identità re-mota e moderna dello Statoebraico. Il Giro in Israele: unapossibilità che ad alcuni apparivalontana, anche in ragione di re-centi scontri e tensioni che hannomonopolizzato le cronache, e cheinvece ha trovato la strada dellaconcretezza sul finire dell'estate.Appuntamento quindi al prossi-mo 4 maggio, per un'edizione as-solutamente imperdibile della cor-sa più amata dagli italiani (“Il pri-mo capitolo di una nuova era.Uniremo Israele e Italia” dichiaraal riguardo il direttore Mauro Ve-gni). È il primo Giro in assolutoa prendere il via fuori dai confinieuropei, con un sentiero chiara-mente tracciato da antiche peda-late: quelle di Gino Bartali. La fi-gura del campione di Ponte aEma, frazione alle porte di Firen-ze patria di uno dei più grandi ci-clisti di sempre, come collega-mento ideale tra i due paesi. Al-meno attraverso i sentieri che par-lano di Sport e di Memoria, dimemorabili imprese in corsa chel'hanno portato ad aggiudicarsipiù volte Giro e Tour (oltre a unamiriade di altre corse minori) maanche di formidabili atti di eroi-

Tre tappe, cinque città chiave.La prima è una cronometro in-dividuale con un percorsomolto articolato all’interno diGerusalemme, a ridosso dellemura della Città Vecchia. Si af-frontano in sequenza nume-rose svolte tra vie cittadine inun susseguirsi di saliscendi. Lavelocità necessiterà di rilanci

continui mentre il percorso co-steggerà alcuni luoghi simbolocome il Parlamento (Knesset)e le mura storiche. Finale tuttoin salita, da leggera a impegna-tiva.Da Haifa a Tel Aviv: prima tappain linea con probabile arrivo involata a ranghi compatti. Dopola partenza si affrontano le uni-

che asperità di giornata con isaliscendi attorno a Acri e inparticolare con il gran premiodella montagna di Zikron Yaa-kov. Nella seconda parte l’alti-metria della corsa si addolciscenotevolmente fino a diveniresostanzialmente piatta su stra-de ampie man mano che ci siavvicina all’arrivo. Ultimi chilo-

metri in parte all’interno del-l’abitato di Tel Aviv con arrivosul rettilineo del lungomare.Terza tappa, da Beersheva a Ei-lat, interamente allineata in di-rezione sud. Dopo la partenzasi affrontano le uniche dolciasperità che portano al deser-to del Negev e in seguito finoalle rive del Mar Rosso. Si at-

traversa in particolare l’abitatodi Mitzpe Ramon dopo il qualeuna lunga discesa conduce aipiedi della scarpata per proce-dere poi fino all’arrivo di Eilat.Anche questa tappa si presen-ta come prevedibilmente de-stinata a una volata a ranghicompatti che precederà il rien-tro in Italia.

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LE TRE TAPPE ISRAELIANE

smo extra-agonistici che l'hannoreso a pieno titolo eroe del No-vecento. Nasce nel segno di Bartali questoGiro 2018 e soprattutto nel segnodelle azioni compiute per gli ebreiperseguitati dal nazifascismo, chenel settembre 2013 gli sono valse

il riconoscimento di "Giusto trale Nazioni" conferito dallo YadVashem. A partire dall’ebreo fiu-mano Giorgio Goldenberg, chenel dicembre del 2010 ha rivelatoal nostro giornale di essere statonascosto in una casa di proprietàdi Bartali e di suo cugino Arman-

dino Sizzi a Firenze, in via delBandino. Un’intervista circolatain poche ore in tutto il mondo epoi diventata, alcuni giorni dopo,testimonianza vera e propria contanto di firma e visita al Memo-riale. Una lacuna che, grazie algiornale dell'ebraismo italiano e

con il supporto dei familiari, fi-nalmente si colmava: anche lapratica Bartali aveva la sua testi-monianza diretta. Un requisitoimprescindibile per procedere ol-tre e assegnare il titolo (anche sesoltanto in memoria) allo sportivotoscano.

Dall’alto in senso orario: la presentazione alla stampa italiana e internazionale; i nipoti di Gino Bartali allo Yad Vashem; il sindaco diu

Gerusalemme con gli ex corridori Ivan Basso e Alberto Contador; il turco Ahmet Orken con due dei suoi nuovi compagni di squadra.

Da Haifa a Eilat, un paese a colpi di pedale

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/ P35pagine ebraiche n. 10 | ottobre 2017 SPORT

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Il passo spedito, qualche lacrimadi commozione sul volto. Gioiae Giacomo, i nipoti di Gino invi-tati in Israele da Gazzetta delloSport e Rcs, varcano con emo-zione la soglia dello Yad Vashem.Una visita veloce ma particolar-mente intensa quella che li portanel luogo più significativo al mon-do per la difesa della Memoria vi-va e consapevole. “Un’emozionepazzesca, indescrivibile. È la pri-ma volta che siamo qua” sottoli-nea Gioia entrando nel Giardinodei Giusti, poche ore prima dellaconferenza stampa che annunciaal mondo la sfida e i contenuti diquesto Giro "israeliano". Accantoai nipoti di Gino ci sono gli atletidell’Israel Cycling Academy, pri-ma squadra professionistica delpaese, il fondatore e presidentedella squadra Ron Baron, il teammanager Ran Margaliot. Tutti in-sieme, per un momento di racco-glimento che dà il senso profondodi questa memoria. A proposito di sport e simboli.Un altro spunto lo regala propriola Academy, nella stessa giornata.Ha la mezzaluna disegnata sullamaglia, ma dalla prossima stagio-ne correrà con una squadra il cuisimbolo è la Stella di Davide. Ilturco e musulmano Ahmet Ör-ken, 24 anni, è l’ultimo acquistodel team. La Academy, tra le po-tenziali wild card del Giro d’Italia2018, lancia un messaggio chiaroall'opinione pubblica. In un mo-mento storico ancora attraversatoda lacerazioni profonde tra i duepaesi, lo sport rilancia l’impegnodi un dialogo e di un confrontonecessari tra due paesi chiave del-la regione. “Sono felice di esserea Gerusalemme e di rappresen-

tare questo team. È davvero unagrande sfida” ha spiegato Örkennel corso della sua presentazioneai giornalisti israeliani e interna-zionali invitati. Anche Pagine Ebraiche era trale redazioni coinvolte, per unatre giorni di impegni che ha por-tato la stampa a contatto con leprime suggestioni del percorsoma anche con la realtà di Israelevista nella prospettiva delle dueruote. E inoltre, con l'ingentesforzo che più in generale vienecompiuto sul fronte sportivo esulla sua comunicazione. Primotestimonial il sindaco Nir Barkat,uno sportivo a tutto tondo cheogni primavera affronta (com-pletandola) l'ormai sempre piùapprezzata Maratona di Geru-salemme. Il 18 settembre scorso,vestito di tutto punto, ha per-corso invece il primo tratto dellacronometro del Giro con arrivodavanti alla Porta di Jaffa. Ad ac-compagnarlo due ex corridorinon proprio di secondo piano:lo spagnolo Alberto Contadore l'italiano Ivan Basso. Ha di-chiarato il primo, fresco di ritiroma con tanto ancora da dare:"Avevo già visitato Israele nel2012 ed ero stato a Gerusalem-me. Sarà un Giro eccezionale,una opportunità per tutti". Con-corda Ivan, che ha lasciato pri-ma del collega iberico ma cheappare ancora in forma sma-gliante: “Il Giro d’Italia è sempreuna grandissima emozione, so-prattutto per un italiano comeme che sognava di correre in bi-cicletta. Questa corsa è il mas-simo, non finisce mai di stupi-re". Per Gerusalemme, il futuroè rosa.

Un'edizione che lascerà il se-

gno. Ne sono convinti tutti, sia

italiani che israeliani. Ha tra

gli altri sottolineato Paolo Bel-

lino, direttore generale di RCS

Sport, durante la presentazio-

ne della partenza a Gerusalem-

me: “Per tutto il gruppo RCS e

per il Giro d’Italia in particola-

re è un’opportunità unica por-

tare un evento come il nostro

in Israele, prima volta per un

grande Giro fuori dall’Europa.

L’internazionalizzazione me-

diatica e la ricerca di nuove

frontiere per le nostre mani-

festazioni, e in particolare per

la corsa rosa, sono obiettivi

che ci stimolano e che ci devo-

no far guardare anche oltre i

confini italiani senza mai di-

menticare la nostra storia e la

nostra nazione. Il Giro deve di-

ventare ogni giorno di più una

vetrina che racconta e pro-

muove il Paese Italia nel Mon-

do".

Grande anche la soddisfazione

di Mauro Vegni, direttore del

Giro. “Ogni anno - le sue parole

- vogliamo narrare luoghi e

storie di grande interesse.

Senza dubbio città come Geru-

salemme con la cronometro,

Tel Aviv con l’arrivo sul suo

lungomare, le partenze di Hai-

fa e Be’er Sheva fino a toccare,

l’ultimo giorno, le rive del Mar

Rosso ad Eilat rientrano a pie-

no titolo in questa filosofia. I

territori attraverso i quali pas-

seranno le tappe in Israele mo-

streranno al mondo tradizio-

ne, cultura e scenari meravi-

gliosi". Tre frazioni spettaco-

lari, ha poi aggiunto, "che sor-

prenderanno sia dal punto di

vista sportivo che da quello

paesaggistico".

Condivide la sfida il ministro

dello Sport Luca Lotti: “La par-

tenza da Gerusalemme - dice -

sottolinea l’esistenza di un

ponte ideale, fatto di storia,

cultura e tradizioni, tra le no-

stre terre. Ma c’è un ulteriore

aspetto che, da toscano, mi

rende particolarmente orgo-

glioso: il fatto che questa edi-

zione del Giro d’Italia nasca nel

ricordo del grande Gino Barta-

li. È bello che la sua figura ven-

ga ricordata proprio qui, a Ge-

rusalemme, perché il grande

Ginettaccio non è stato soltan-

to un campione dello sport. È

stato anche uno straordinario

campione della vita, un uomo

di virtù eroiche che vanno tra-

smesse soprattutto alle giova-

ni generazioni".

Non sfugge il senso di questa

opportunità unica al ministro

israeliano del Turismo Yariv

Levin: "Abbiamo lavorato negli

ultimi anni con il Giro pubbli-

cizzando Israele su Eurosport,

canale che trasmette la corsa.

Quest’anno intensificheremo

questa cooperazione e sono si-

curo che ne vedremo il risul-

tato". Mentre la ministra della

Cultura Miri Regev lancia un

ulteriore messaggio: "Invitia-

mo tutti gli appassionati del

Giro a venirci a trovare in

Israele. Questa gara ciclistica

sarà infatti un viaggio affasci-

nante nel tempo che ripercor-

rerà migliaia di anni di storia.

Un’esperienza emozionante

per tutti, ne sono sicura”.

LE REAZIONI

“Noi qua, sensazione unica”Lo dice subito chiaramente,

precedendo le inevitabili do-

mande dei cronisti. Questo Giro

d'Italia, per Israele, ha avuto

un costo considerevole. Non

declama cifre ufficiali, ma cer-

to diversi fattori hanno con-

corso a far sì che il prezzo alla

fine fosse considerevolmente

più alto rispetto ad altre par-

tenze dall'estero. Non ultimo

le complesse condizioni logisti-

che che costringeranno a situa-

zioni e trasferimenti mai spe-

rimentati finora dall'organiz-

zazione (si parla di tre voli

charter che trasporteranno le

persone, due navi per i mezzi

e un cargo per spostare le bi-

ciclette da Israele all'Italia).

“Ma non è stato questo il mo-

tivo principale che ci ha spinti

qua, in Israele” racconta il di-

rettore del Giro d'Italia Mauro

Vegni ai giornalisti coinvolti

nella recente missione di Rcs e

Gazzetta dello Sport a Gerusa-

lemme. “L'elemento decisivo –

spiega – è stata la volontà di

portare avanti un processo di

internazionalizzazione già av-

viato da tempo e con ottimi ri-

sultati. In questo caso, ancora

più di altri, a motivarci è stato

il desiderio di qualcosa di nuo-

vo, oserei dire di straordinario.

Un evento davvero unico nel

suo genere”.

Gerusalemme in particolare,

sottolinea il direttore, è una

città dalla valenza simbolica

fortissima. Il punto di partenza

ideale per una corsa che punta,

oltre la dimensione agonistica,

evidentemente la più impor-

tante per una manifestazione

sportiva tra le più amate in Ita-

lia e all'estero, a lasciare co-

munque un segno su diversi

piani. I primi riscontri sono de-

cisamente positivi: la carovana

non passerà indifferente, poco

ma sicuro.

“Qui c'è la storia del mondo, è

tutto molto emozionante” so-

spira Vegni. Che tra l'altro non

ha alcun dubbio sul livello di si-

curezza personale dei corrido-

ri, un tema su cui molto hanno

puntato nei mesi scorsi gli op-

positori alla soluzione israelia-

na (in alcuni casi osteggiata

platealmente, come nel caso

del suo predecessore Angelo

Zomegnan). “Questo è un paese

sicuro, dove si vive tranquilla-

mente la quotidianità. L'ho vi-

sto più volte coi miei stessi oc-

chi” conferma il direttore, che

“Vetrina sia per Italia che per Israele”

ha già effettuato diverse rico-

gnizioni sul percorso delle tre

tappe che attraverseranno il

paese. Un concetto su cui ha in-

sistito anche in una successiva

intervista alla Gazzetta, dove

in un passaggio ha affermato:

“Con la corsa rosa Israele ha in-

vestito tantissimo sulla propria

immagine e la sicurezza non è

un problema che dobbiamo in-

segnar loro come si risolve. Lo

conoscono molto bene: sulla si-

curezza si giocano l'investi-

mento di questa operazione”.

C'è sempre all'esterno, riflette-

va ancora Vegni coi giornalisti,

“questa idea di Israele come

nazione pericolosa, ed è pro-

prio questo il motivo per cui si

è voluto investire sul Giro”.

Israele quindi come paese gio-

vane, che vuole “mostrarsi al

mondo” e “sdoganarsi da alcuni

stereotipi che purtroppo circo-

lano sul suo conto”. In questo

piccolo paese da sempre osser-

vato speciale del mondo, ag-

giunge poi il direttore, “ci sono

invece cultura, storia, qualità

della vita”.

E il percorso rispecchia con in-

telligenza queste particolari

caratteristiche, toccando città

d'arte e città turistiche dove si

vive con la stessa intensità

ogni giornata. Al centro, come

noto, la figura del campione

Giusto. Il ponte perfetto attra-

verso lo sport, ma anche nel se-

gno della Memoria e dell'uma-

nità più profonda, tra due pae-

si che idealmente si cercherà

di unire a colpi di pedale. ”Gino

Bartali – dice Vegni – è un

esempio per tutti noi. Per la

grande famiglia del ciclismo, di

cui scrisse pagine indimentica-

bili. E per tutti quei cittadini

israeliani che, anche attraverso

il riconoscimento dello Yad Va-

shem, vedono in lui un eroe. È

motivo di orgoglio e di immen-

sa gioia essere qua, a Gerusa-

lemme, anche nel suo nome”.

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