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Allieva del geniale scienziato e originale studioso del rapporto corpo/mente Moshe Feldenkrais, Mara Della Pergola racconta la sua conoscenza con l’uomo che fece dire a David Ben Gurion:“Devo mettermi sulla testa per permettere a Israele di stare in piedi”! Il suo libro Lo sguardo in movimento apre i segreti della consapevolezza corporea dell’arte. / pagg.6-7 INTERVISTA Sguardo in movimento Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 10 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 2 - febbraio 2018 | שבט5778 www.moked.it SHABBAT TERUMÀ 17 FEBBRAIO 2018 MILANO 17.21 18.36 | FIRENZE 17.28 18.37 | ROMA 17.26 18.35 | VENEZIA 17.21 18.30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO Il mondo ebraico italiano in formato telefilm. Al di là delle intenzioni di Francesca Archibugi secondo lo studioso dell’Accademia Bezalel Asher Salah si tratta di un diluvio di velenosi luoghi comuni. a pag. 30-31 ROMANZO FAMIGLIARE TOSSICI STEREOTIPI ZYGMUNT BAUMAN David Bidussa STRANIERI Raniero Fontana METODO Enzo Campelli STRADE Aldo Zargani OPINIONI A CONFRONTO ------------------------------------ PAGG. 23-27 --------------------------------- Sergio Della Pergola/ a pag. 23 La sfida demografica e gli Haredim La quinta edizione dell’indagine sociologica condotta da SWG in collaborazione con Pagine Ebraiche rivela che la percezione della Memoria della Shoah si consolida. Ma non mancano segnali inquietanti di disimpegno che rischiano di ridurre il fenomeno a una scadenza istituzionale ed educativa più che a un dovere per le coscienze individuali. In aumento anche l’antisemitismo percepito. Dall’impegno delle istituzioni ebraiche, delle massime cariche dello Stato e di tanti semplici cittadini, alle grandi manifestazioni del 2018. Una stagione che vede l’Italia in prima fila e alla guida delle organizzazioni internazionali Osce e Ihra proprio a ottant’anni dalla promulgazione delle infami leggi razziste antiebraiche del 1938 che aprirono le porte allo sterminio. a pag. 4-5 Memoria e società rischio disimpegno Tornano gli scritti del grande storico dell’architettura dedicati all’identità ebraica. Il volume non si limita al raccordo fra lavoro di architetto e identità. È connesso alle sue molteplici battaglie civili, combattute sempre in prima persona. / pag. 29 Architettura e identità I saggi di Bruno Zevi Liliana Segre, al Senato per la vita Il Quirinale chiama al supremo onore la Testimone ed ex deportata milanese alle pagg. 2-3 Giorgio Albertini Sa quale commemorazione ricorre il 27 gennaio? (% di risposte affermative) 2018 54,3 52,1 43,8 48,2 54,4 2017 2016 2015 2014 DOSSIER MEMORIA VIVA Ricordare sia scuola contro l’odio pagg. 15-21

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Allieva del geniale scienziato e originale

studioso del rapporto corpo/mente Moshe

Feldenkrais, Mara Della Pergola racconta la sua

conoscenza con l’uomo che fece dire a David

Ben Gurion: “Devo mettermi sulla testa per

permettere a Israele di stare in piedi”!

Il suo libro Lo sguardo in movimento apre i

segreti della consapevolezza corporea

dell’arte. / pagg.6-7

INTERVISTA

Sguardo in movimento

Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 10 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00

n. 2 - febbraio שבט | 2018 5778

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SHABBAT TERUMÀ 17 FEBBRAIO 2018MILANO 17.21 18.36 | FIRENZE 17.28 18.37 | ROMA 17.26 18.35 | VENEZIA 17.21 18.30

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

Il mondo ebraico italiano in formato telefilm. Al di làdelle intenzioni di Francesca Archibugi secondo lo

studioso dell’Accademia Bezalel Asher Salah si trattadi un diluvio di velenosi luoghi comuni.

a pag.

30-31

ROMANZO FAMIGLIARE

TOSSICI STEREOTIPI

ZYGMUNT BAUMANDavid Bidussa

STRANIERIRaniero Fontana

METODOEnzo Campelli

STRADEAldo Zargani

OPINIONI

A CONFRONTO------------------------------------ PAGG. 23-27 ---------------------------------

Sergio Della Pergola/a pag. 23 La sfida demografica e gli Haredim

La quinta edizione dell’indagine sociologicacondotta da SWG in collaborazione con

Pagine Ebraiche rivela che la percezione dellaMemoria della Shoah si consolida. Ma nonmancano segnali inquietanti di disimpegno cherischiano di ridurre il fenomeno a una scadenzaistituzionale ed educativa più che a un dovereper le coscienze individuali. In aumento anchel’antisemitismo percepito.

Dall’impegno delle istituzioni ebraiche, delle massime

cariche dello Stato e di tanti semplici cittadini, alle

grandi manifestazioni del 2018. Una stagione che vede

l’Italia in prima fila e alla guida delle organizzazioni

internazionali Osce e Ihra proprio a ottant’anni dalla

promulgazione delle infami leggi razziste antiebraiche del

1938 che aprirono le porte allo sterminio.

a pag. 4-5

Memoria e societàrischio disimpegno

Tornano gli scritti del grande storicodell’architetturadedicati all’identitàebraica. Il volumenon si limita alraccordo fra lavorodi architetto eidentità. È connessoalle sue molteplicibattaglie civili, combattute sempre inprima persona. / pag. 29

Architettura e identitàI saggi di Bruno Zevi

Liliana Segre, al Senato per la vitaIl Quirinale chiama al supremo onore la Testimone ed ex deportata milanese alle pagg. 2-3

Gior

gio

Albe

rtini

Sa quale commemorazione ricorre il 27 gennaio?(% di risposte affermative)

2018 54,3

52,1

43,8

48,2

54,4

2017

2016

2015

2014

DOSSIER MEMORIA VIVA

Ricordare sia scuola

contro l’odio

pagg.

15-21

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Daniel Reichel

Una gamba davanti all'altra. Èuna frase che Liliana Segre, Te-stimone della Shoah e da gen-naio senatrice a vita per nominadel Presidente Mattarella, ripetespesso nei suoi discorsi. Unagamba davanti all'altra. Così laSegre bambina - nell'inverno del1943 - ha attraversato le mon-tagne, in fuga dai nazifascisti, perraggiungere la Svizzera e poi tro-vare la strada sbarrata da unafredda e intransigente guardia el-vetica. “Ci condannò a morte”,ricorda nelle sue testimonianzeoggi Segre. “Oggi quando sentoparlare di clandestinità mi tor-nano in mente tante cose: ancheio lo sono stata, ho cercato asilo.E siamo stati respinti, dopo unafuga inadatta a noi, borghesi pic-coli, piccoli. Eravamo anche noirichiedenti asilo sulle montagnecon le carte false, e la meravi-gliosa Svizzera ci respinse”. E do-po la sentenza del soldato sviz-zero, Liliana, il padre Alberto edue cugini furono catturati e im-prigionata prima a Varese, poi aComo e infine a Milano, a SanVittore.Una gamba davanti al-l'altra. Così Liliana tredicennecammina a fianco al padre neicorridoi del carcere di San Vit-tore mentre gli altri carcerati –detenuti comuni - dalle celle gri-dano “non avete fatto nulla dimale”, “Dio sia con voi”, “forza”.“Noi, insieme agli altri ebrei (605persone), non lo sapevamo maci stavamo dirigendo verso Au-schwitz, - racconta Segre - versola morte, e quei detenuti, con leloro grida di incoraggiamento,dimostrarono la loro umanità”.Umanità che invece la Milanofuori dal carcere non mostrò.“Ricordo Milano, la mia città,dove sono nata e cresciuta, cherimase totalmente silente, muta,indifferente. I milanesi avevanoaltri problemi e non badavanoal destino degli ebrei”. “Quelloche accadeva a noi ebrei, avve-niva nell’indifferenza generale. -ricordava, parlando delle leggirazziste del 1938, Segre nel libroFino a quando la mia stella brillerà,edito da Piemme e scritto assie-me a Daniela Palumbo - Per tuttiera come se niente fosse. L’indif-ferenza fa male. È l’arma peggio-re. La più potente. Perché sequalcuno ti affronta e ti vuole fa-re del male, puoi difenderti. Mase intorno a te c’è il silenzio, co-me fai a difenderti?”. Non ti di-

fendi ma continui a camminare,una gamba davanti all'altra, e so-pravvivi anche quando ti trovinell'inferno di Auschwitz, a soli13 anni e vedi tuo padre nell'al-tra fila. “Lui era lontano, nellafila degli uomini. Io cercavo di

fagli dei sorrisi, e di fargli ciaocon la mano. E poi non ci siamomai più visti”. In fila ad Au-schwitz. Quella fu l'ultima voltache Liliana vide suo padre Al-berto, “un uomo meraviglioso,per cui io ero tutto. Io vivevo

privilegiata, una bambina viziata,amatissima, una principessinache di colpo è passata dalla pic-cola reggia calda di amore e diaffetti, da una ‘tiepida casa’ comescriveva Primo Levi, all'infernodi Auschwitz”. Un padre costret-

to con gli occhi rossi a chiederescusa alla figlia per averla messaal mondo. “Non l'ho mai dimen-ticato. Nulla nella mia vita è statopiù importante di mio padre”. Ead Alberto Segre, Liliana ha vo-luto fosse dedicata la prima Pie-tra d'inciampo posizionata a Mi-lano, in corso Magenta 55: “Quiabitava Alberto Segre - si leggesul piccolo sampietrino in ottoneideato dall'artista Gunter Dem-nig - Nato 1899. Arrestato8.12.1943. Deportato ad Au-schwitz. Assassinato 27.4.1944”.Eravamo un duo particolare -dirà Liliana durante la cerimoniadi apposizione della pietra d'in-ciampo - un papà grande e altocon una bambina per mano. Sia-mo arrivati fino ad Auschwitz,ma là le mani sono state divise.Per sempre.Un dolore immenso, ricorda lasenatrice, che sempre in Fino aquando la mia stella brillerà, rac-conta di come sopravvisse agliorrori del lager. “Successe unacosa dentro di me senza che mene rendessi conto: a un certopunto la mia mente cominciò arifiutare di partecipare alle coseterribili che succedevano nelcampo. Non mi voltavo quandoqualcuna di noi era messa in pu-nizione, non ascoltavo quandole prigioniere parlavano di vio-lenze a cui avevano assistito oalle quali erano state sottoposte.[...] Io non volevo sapere. [...] So-lo il mio corpo - con la mia ma-grezza, la fame, il freddo, le pia-ghe, le febbri, le punizioni chesubivo - mi riportava nel campo,dentro Auschwitz. Ma la menteno, la mente distoglieva lo sguar-do, e io ricominciavo a fuggire.Senza vedere, senza sentire legrida di giorno e di notte. Avanti,una gamba dopo l’altra, a testabassa, senza guardare in faccia

/ P2 POLITICA / SOCIETÀ

“Grazie Presidente, un onore”Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

mi ha chiamato stamattina comunicandomi la

decisione di nominarmi senatrice a vita. Lo rin-

grazio per questo altissimo riconoscimento. La

notizia mi ha colto completamente di sorpresa.

Non ho mai fatto politica attiva e sono una per-

sona comune, una nonna con una vita ancora

piena di interessi e di impegni. Certamente il

Presidente ha voluto onorare, attraverso la mia

persona, la memoria di tanti altri in questo an-

no 2018 in cui ricorre l’80esimo anniversario

delle leggi razziali. Sento dunque su di me

l’enorme compito, la grave responsabilità di

tentare almeno, pur con tutti i miei limiti, di

portare nel Senato della Repubblica delle voci

ormai lontane che rischiano di perdersi nel-

l’oblio. Le voci di quelle migliaia di italiani, ap-

partenenti alla piccola minoranza ebraica, che

nel 1938 subirono l’umiliazione di essere degra-

dati dalla Patria che amavano; che furono

espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla so-

cietà dei cittadini ‘di serie A’. Che in seguito fu-

rono perseguitati, braccati e infine deportati

verso la ‘soluzione finale’. Soprattutto le voci

di quelli, meno fortunati di me, che non sono

tornati, che sono stati uccisi per la sola colpa

di essere nati, che non hanno tomba, che sono

finiti nel vento. Salvare dall’oblio quelle storie,

coltivare la Memoria, è ancora oggi un vaccino

prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un

mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze,

a ricordare che ciascuno di noi ha una coscien-

za. E la può usare. Il mio impegno per traman-

dare la memoria, contrastare il razzismo, co-

struire un mondo di fratellanza, comprensione

e rispetto, in linea con i valori della nostra Co-

stituzione, continuerà ora anche in Parlamento,

ma, lo dico sin d’ora, senza trascurare la mia

attività con gli studenti. Continuerò finché avrò

forza a raccontare ai giovani l’orrore della Sho-

ah, la follia del razzismo, la barbarie della di-

scriminazione e della predicazione dell’odio.

L’ho sempre fatto, non dimenticando e non per-

donando, ma senza odio e spirito di vendetta.

Sono una donna di pace e una donna libera: e

la prima libertà è quella dall’odio.

Liliana Segre

neo senatrice a vita

www.moked.it

Gior

gio

Albe

rtini

In alto, Liliana Segre con il sindaco di Milano Giuseppe Sala e!

l’artista Gunter Demnig durante l’apposizione della pietra

.d’incampo in memoria di suo padre Alberto, in via Magenta 55.

La senatrice della MemoriaNominata senatore a vita, Liliana Segre è la voce contro l’indifferenza

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/ P3pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 POLITICA / SOCIETÀ

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Fondamenti d’ebraismo, il laboratorioFondamenti di Ebraismo, il pro-getto dell’UCEI, è partito. Esembra già un miracolo. Un cor-so di lezioni sul pensiero ebraicoche avrebbe l’ambizione di du-rare tre anni. È partito, non pro-prio con il vento in poppa, perqualche problema tecnico. Lostreaming che collegava le co-munità non ha funzionato allaperfezione durante la prima le-zione da Torino. A Bologna, lalezione è andata decisamentemeglio, malgrado una brevesconnessione finale.I problemi tecnici sono dovuti,innanzitutto, a carenza di fondi.Regia, videoregistrazione, gestio-ne dei collegamenti con le sedicomunitarie, telefonate con lesedi cui cade l’audio, tutto è se-guito da una sola persona. Si stacorrendo ai ripari, ma la situa-zione non è facile. Ciò di cui stia-mo prendendo atto è che le co-munità, in genere, non offronocondizioni e attrezzature idoneeall’operazione avviata. La stradadell’aggiornamento tecnologicosembra ancora lunga. Detto conestrema onestà: la colpa è di chi,il sottoscritto, era convinto cheil problema tecnico fosse il mi-nore. Ci si illudeva anche cheogni comunità avesse un giovanetecnologico, capace di sbrigarselapiù o meno da solo. Così non è,anche se da anni si va dicendodi mettere in rete le piccole co-munità per condividere servizi eprestazioni. Non siamo pronti. Un problema è anche, fra moltientusiasmi e consensi, l’indiffe-renza con cui buona parte dellecomunità sta accogliendo il pro-getto. Come se riunirsi non aves-se molto senso. Non per studia-re, almeno. Lo spirito di aggre-gazione è venuto meno, ce lo di-cono sconsolati i presidenti concui abbiamo parlato. E ce lo di-cono i rabbanim che stiamocoinvolgendo. Del resto, se la si-tuazione fosse stata diversa dacosì non ci saremmo impegnati,rav Della Rocca e il sottoscritto,a inventarci un progetto culturaledi aggregazione comunitaria at-traverso lo studio. Ho scritto più volte che ciò chepiù ci lega all’ebraismo è la me-moria della Shoah e la difesa diIsraele. Nessuno contesta la giu-stezza e il merito di entrambi isentimenti, imprescindibili, mail nostro ebraismo non può ri-dursi a questo. Se, per assurdo,non ci fosse bisogno di ricordarela Shoah, e se, per assurdo, nonci fosse bisogno di difendereIsraele, ci si chiede che generedi ebraismo sarebbe il nostro.

Per fortuna, si potrebbe dire iro-nicamente, così non è, e Shoahe Israele ci distolgono dalla curadel nostro essere ebrei: del comeessere ebrei e perché.Più volte, in occasioni congres-suali, è stata sollevata la polemicacontro il passatismo delle piccolecomunità, occupate a curarsi dicimiteri e musei. Come per il so-lo interesse di lasciare un segnodel proprio passato, anziché im-pegnarsi a vivere ebraicamenteil presente. In verità, nelle piccolecomunità c’è anche chi fa altro.Ma si tratta di casi piuttosto rari.È vero, e duole riconoscerlo agliinterlocutori di antiche polemi-che, che in genere, il lavoro dicomunità – non solo nelle pic-cole – va a favore dell’immagine.Musei, festival, mostre, giornatedella cultura, festival cinemato-grafici, deposizione di corone.Spesso siamo usati, ci prestiamocome attori sulla scena di effi-meri rammarichi, fittizi mea cul-pa, fugaci contrizioni. Partecipia-mo, ignari ma disponibili, a sce-neggiate che ci vogliono vittimee sopravvissuti. Non che tuttociò non abbia una sua utilità: so-cializzare, farsi conoscere, con-trastare il pregiudizio, ricordareal mondo le tragedie del passato.Ma c’è un pericolo mostruosodietro l’angolo: non dimentiche-rò mai lo storico tedesco che aun convegno affermò: “a forza

di ricordare agli altri il male su-bito, le vittime rischiano di tra-sformarsi in carnefici”. La me-moria degli altri stanca, irrita, ealla fine la si rifiuta e la si nega.Magari la si compensa con lapolitica di Israele.La vita di una comunità non sipuò risolvere in attività di con-servazione e di commemorazio-ne. Non si può risolvere in atti-vità che curano l’immagine qun-do l’immagine non è affatto ciòche si è. Rappresentare non è es-sere, specie quando la rappre-sentazione è al di sopra e al dilà della realtà. I consigli di comunità sono presida problemi economici, da re-stauri di sinagoghe, da cure ci-miteriali. Incombenze primarie.Ma la scelta dell’attività culturalecade poi, guarda caso su ciò cheappare. Da attori diventiamocomparse, senza che la nostraidentità sia mai la vera protago-nista.Le lezioni avviate con il progettoFondamenti di ebraismo hannoattirato in alcune sedi comuni-tarie un numero di iscritti cheforse non ci si sarebbe aspettati.Una bella sorpresa. Ma si è lon-tani dal poter coltivare illusioni.La socializzazione delle comu-nità è in crisi. Ed è in crisi quel-l’amore per lo studio che il mitometropolitano riconosce comestorico retaggio del nostro po-

polo. Il moderno ci ha risucchia-to nel suo vortice e ci ha annul-lato, alla stregua di chiunque al-tro. Non siamo diversi.Fondamenti di ebraismo è unprogetto di studio sui principifondamentali del pensiero ebrai-co che per secoli ci ha tenuto invita e ci ha tenuto insieme, mal-grado qualche piccola traversia.Uno studio che non possiamoabbandonare per non abbando-nare la consapevolezza e l’essen-za della nostra identità, più chei fronzoli di cui la possiamo ri-vestire.Il programma del progetto, checompare in un gruppo di Face-book accessibile agli iscritti allecomunità, dovrebbe svolgersinell’arco di tre anni. Non sap-piamo se resisterà tanto. Certo,dipende molto dalle comunità,dai singoli e dall’insieme. Ma so-prattutto dalla volontà di chi gui-da le comunità di prendere co-scienza del problema della nostrasopravvivenza identitaria e di da-re, essi per primi, un segnale for-te. Perché non si dimostra co-scienza della crisi se, in prima fi-la, a studiare, non ci sono presi-dente e consiglieri, a studiare persé e a dare l’esempio agli altri.Perché la continuità dell’ebrai-smo non la si garantisce conl’amministrazione e la politicalocale. Fondamenti di ebraismo è un’oc-casione. Ne potrà uscire, fra l’al-tro, una fotografia del contributodella cultura dell’ebraismo italia-no in questo inizio secolo. Si au-spica che chi ha responsabilitàdi governo quest’occasione lasappia cogliere, sacrificando l’ef-fimero del presenziare e il super-fluo del mostrare. Per una voltasi tratta di esserci. E di essere.

Dario CalimaniResponsabile, con rav Roberto

Della Rocca, del progetto

FONDAMENTI DI EBRAISMO - L’AGENDA

4 febbraio Napoli “Cultura e educazione” 18 febbraio Ferrara “Testualità e commento” 4 marzo Ancona “Universalismo e particolarismo” 18 marzo Genova “Lingua ebraica” 15 aprile Mantova “Rispetto per animali e ambiente” 29 aprile Moked “Senso di comunità” 13 maggio Trieste “Etica e mitzwoth” 27 maggio Milano “Giustizia e misericordia” 10 giugno Vercelli “Etica sociale”

info: http://ucei.it/formazione/fondamenti-di-ebraismo/

chi mi stava intorno. Io non miappoggiavo a nessuno e nessunodoveva appoggiarsi a me per so-pravvivere. Ero diventata egoista.Era l’unico modo per continuarea vivere”. Poi il racconto di Jani-ne, la ragazza francese con cuiaveva condiviso il lavoro nellafabbrica di munizioni in cui eraoperaia e schiava. Janine, che Li-liana non salutò prima che da-vanti ai suoi occhi fosse mandataverso le camere a gas. “È un ri-morso che mi porto dentro. Ilrimorso di non aver avuto il co-raggio di dirle addio. Di farlesentire, in quel momento che Ja-nine stava andando a morire,che la sua vita era importanteper me. Che noi non eravamocome gli aguzzini ma ci senti-vamo, ancora e nonostante tut-to, capaci di amare. Invece nonlo feci. Il rimorso non mi diedepace per tanto, tanto tempo. Sa-pevo che nel momento in cuinon avevo avuto il coraggio didire addio a Janine, avevano vin-to loro, i nostri aguzzini, perchéci avevano privati della nostraumanità e della pietà verso unaltro essere umano. Era questala loro vittoria, era questo il loroobiettivo: annientare la nostraumanità”.Un ammissione coraggiosa peruna donna che non conoscel'ipocrisia, che parla di respon-sabilità e mette a nudo con di-sarmante sincerità le contraddi-zioni della storia. A Pagine Ebrai-che ad esempio, appena nomi-nata senatrice ha spiegato di averdetto a Mattarella: “La vita èmolto strana, sono così vecchiache purtroppo mi ricordo delleleggi razziste di 80 anni fa. Allorala mia colpa era quella di esserenata. Oggi mi viene riconosciutocome merito. Questo ho detto alPresidente quando mi ha chia-mato per annunciarmi la nomi-na”. Una gamba davanti all'altra,Segre è tornata alla vita dopoAuschwitz, è diventa madre,nonna, Testimone fondamentaledella Shoah e ora senatrice dellaRepubblica. Dice “di non avermai fatto politica nella sua vita”ma chi l'ha ascoltata sa che i suoiinsegnamenti, le sue parole, rap-presentano la più alta lezione po-litica. Lo è la parola che ha vo-luto fosse posta all'ingresso delMemoriale della Shoah di Mila-no (luogo che sorge dal binariosotterraneo da cui partì versoAuschwitz): Indifferenza. “Lamadre di tutti gli orrori è l’indif-ferenza. Combatterla è una bat-taglia persa”, aveva spiegato a Pa-gine Ebraiche ma non per questoLiliana Segre si è mai fermata, enon ha mai smesso di combat-tere. Una gamba dopo l'altra. Fi-no ad arrivare a Roma.

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Il lavoro sulla Memoria e in par-

ticolare la svolta impressa un

anno fa con il lancio di iniziative

mirate allo stimolo della memo-

ria viva e della partecipazione,

più che ristrette alla sfera della

celebrazione istituzionale, sta

offrendo risultati interes-

santi e apprezzabili. L’in-

quietante tendenza co-

stantemente manifestata

negli ultimi anni di un al-

lontanamento della massa

dell’opinione pubblica da una

percezione nitida del ricordo

della Shoah sembra si sia fer-

mata, anzi si registra un recu-

pero di consapevolezza. Eppure,

se lo sforzo delle istituzioni, a

cominciare dall’Unione del-

le Comunità Ebraiche Ita-

liane e dei pubblici poteri

che sono diretti interlocu-

tori della prima istituzione

dell’ebraismo italiano, offrono

motivi di speranza, sulla Memo-

ria continuano a delinearsi om-

bre inquietanti. Questo il risul-

tato dell’indagine “Gli italiani e

il Giorno della Memoria – L’evo-

luzione della percezione” realiz-

zata per il quinto anno conse-

cutivo dal prestigioso istituto

di ricerche SWG in collaborazio-

ne con la redazione del giornale

dell’ebraismo italiano Pagine

Ebraiche.

Fra il 2014, primo anno della ri-

levazione, e il 2016 si era forte-

mente allargata secondo i risul-

tati dell’indagine la componen-

te dell’opinione pubblica che si

diceva ignara di cosa fosse il

Giorno della Memoria. Un se-

gnale molto preoccupante che

poteva far temere nel tempo il

confinamento della ricorrenza

nell’ampio catalogo di quelle

date destinate a divenire una

scadenza formale e istituzionale

senza più alcuna presa emozio-

nale sulla massa della popola-

zione. Gli ultimi rilievi, del gen-

naio 2018, mostrano come que-

sto motivo di preoccupazione

si possa considerare largamente

rientrato e come la percentuale

che manifesta una forte consa-

pevolezza sia in forte crescita.

Il lavoro intrapreso con le Isti-

tuzioni si sta dimostrando utile,

e in particolare l’impegno del

mondo della Scuola fa sì che

/ P4 POLITICA / SOCIETÀ n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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Memoria, la minaccia del disimpegno

I dati del sondaggio 2018, il quinto della serie che la SWG de-

dica alla percezione della Memoria, confermano una inver-

sione di tendenza, peraltro già osservata nel 2017.

Si registra una una crescita del ricordo spontaneo della ri-

correnza del Giorno della Memoria, che passa dal 52,1 per

cento al 54,3 per cento. Il dato di riconoscibilità è quindi tor-

nato ai livelli del primo anno di rilevazione, da cui si discosta

dello 0,1 per cento.

La percezione del Giorno della Memoria - come mostra la seg-

mentazione per fasce d’età analizzata dai ricercatori - con-

tinua a rimanere piu forte tra i giovani e tra gli anziani e piu

debole tra coloro che appartengono alle classi d’eta centrali

della popolazione (ossia coloro che hanno tra i 35 e i 44 anni)

dove solo il 44 dei rispondenti è in grado di indicare corret-

tamente cosa ricorra il 27 gennaio. A rispondere al questio-

nario, che comprende anche tematiche di tipo sociale, politico

e di costume sono mille soggetti rappresentativi della popo-

lazione italiana maggiorenne.

Ricordare è “un atto dovuto”? Mentre anche per il 2018 si conferma in calo la percentuale di

coloro che condividono questa affermazione, calata con l'ultima indagine di dieci punti percentuali

rispetto alla prima rilevazione, è in aumento il dato di coloro che lo ritengono un appuntamento

"formativo" (46 per cento dei rispondenti). Aumentano nettamente anche coloro che ritengono

che il Giorno della Memoria sia "necessario" (dal 26 al 32 per cento) mentre l'aumento di coloro

che ritengono "giusta" l'occasione sale di un solo punto percentuale. L'appuntamento è "retorico"

per 13 rispondenti su cento, un dato in calo rispetto al 2017 che torna invece ad allinearsi con gli

anni precedenti. Resta "inutile" per una percentuale di italiani che si ferma all’8 per cento.

Per la prima volta in calo dopo

l'inquietante raddoppio di coloro

che pensano che non serva più a

nulla, la prima risposta - "non ser-

ve più a nulla" - è il dato su cui si

misura la percezione della Memo-

ria. Il calo segue quattro anni di

forte progressione e il ritorno a

una percentuale che corrisponde

comunque a un quinto della po-

polazione può però essere letto

come un aumento dell'inquietudi-

ne. Scende anche l'altro dato pre-

occupante, quello secondo cui il

Giorno della Memoria servirebbe

“solo agli ebrei”: parrebbe più

chiaro come la Memoria serva a

tutta la società italiana, alla tu-

tela dei valori e dei diritti dei cit-

tadini. Forte però è il calo della

percezione rispetto all'utilità ef-

fettiva della Giornata.

non serve più a nulla

è una questione che riguarda solo gli Ebrei

aiuta a non dimenticare

ciò che è successo

aiuta a formare le coscienze

aiuta a mantenere viva l’attenzione

su queste problematiche

La conoscenza spontanea e sollecitata: "Lei sa quale comme-

morazione ricorre il 27 gennaio?" (% di risposte affermative)

Il significato della commemorazione:

“Secondo lei, ricordare il genocidio degli Ebrei e delle altre vittime del nazismo

attraverso il Giorno della Memoria e?” (% di risposte affermative)

n 2018 nn 2017 nn 2016 nn 2015 nn 2014

“Il 27 gennaio e il «Giorno della Memoria» che e stato istituito per ricordare gli Ebrei, i Rom e tutti coloro che sono morti per

mano dei nazisti nei campi di concentramento. Indichi quanto e d’accordo rispetto con ciascuna delle seguenti affermazioni”

(% di risposte molto o abbastanza d’accordo al netto delle risposte «non so»)

2018

dovuto

formativo

necessario

giusto

retorico

inutile

54,3

52,1

43,8

48,2

54,4

2017

2016

2015

2014

n 2018 nn 2017 nn 2016 nn 2015 nn 2014

3735

3942

45

46

3843

4239

32

3226

3332

26

3025

2425

13

1216

138

8

79

75

20

2223

2111

14

1617

1615

78

8184

8486

80

8785

8790

86

9190

9394

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analizzando i dati scomposti

per fasce d’età, le componenti

più consapevoli restino quelle

in età avanzata, per una logica

maggiore vicinanza ai fatti sto-

rici evocati, e i giovanissimi, che

sono ovviamente maggiormen-

te esposti alle attività educati-

ve. Resta in mezzo quella fascia

della popolazione fra i 35 e i 44

anni dove a fronte di un 54,3

per cento di consapevolezza

media nazionale la percentuale

scende fino al 44 per cento.

Ma anche altri segnali non sem-

brano confortanti. Sul fronte

della percezione dell’importan-

za della giornata in sé si arresta

la crescita di chi la ritiene una

ricorrenza inutile o significativa

solo per la realtà ebraica, ma,

più in generale, si raffredda il

grado di adesione anche alle al-

tre opzioni proposte, a confer-

ma di una crescita della distan-

za emotiva. Il Giorno della Me-

moria è considerato sempre

meno come un atto dovuto e

sempre più come un gesto for-

mativo, il che conferma il ri-

schio di un progressivo incap-

sulamento all’interno di una di-

mensione formale e scolastica

che potrebbe ulteriormente ali-

mentare il distacco emotivo e

il desiderio di delegare ogni re-

sponsabilità alle istituzioni.

Desta inquietudine, inoltre, la

netta crescita della percentuale

di italiani che ritiene che nel no-

stro Paese sia diffuso un senti-

mento antisemita. Il 47 per cen-

to che condivide questa preoc-

cupazione rappresenta la quota

più alta rilevata, eccezion fatta

per il primo anno di rilevazione.

Un segnale a doppio taglio, che

da un lato denuncia la crescita

di preoccupazione e del deside-

rio di vigilanza all’interno della

società italiana, ma dall’altro

porta con sé in parallelo anche

il germe di una crescita effetti-

va di antisemitismo espressa at-

traverso il rafforzamento di

pregiudizi negativi che chi è in-

terrogato trova meno imbaraz-

zante attribuire genericamente

all’insieme della società.

Guido Vitale

/ P5pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 POLITICA / SOCIETÀ

www.moked.it

Portato avanti come gli

scorsi anni dalla SWG, in

collaborazione con la re-

dazione giornalistica UCEI,

il sondaggio si intitola

quest'anno "Gli italiani e il

Giorno della Memoria.

L’evoluzione della perce-

zione nel quinquennio

2014-2018". I dati fanno ri-

ferimento alle rilevazioni

condotte nel quinquennio

su campioni rappresenta-

tivi, attraverso rilevazioni

effettuate con metodolo-

gia cawi tra il 12 e il 22

gennaio di ogni anno. Mille

rispondenti negli anni

2014, 2015, 2017 e 2018,

mentre nel 2016 il campio-

ne era composto da 1200

soggetti, rappresentativi

della popolazione italiana

maggiorenne. Il monito-

raggio ha come obiettivo

una verifica della percezio-

ne che gli italiani hanno

della Memoria, verifican-

done la conoscenza spon-

tanea e sollecitata, la per-

cezione di rilevanza e il

grado di coinvolgimento,

e come ogni anno anche

nel 2018 le domande sono

state inserite all’interno di

indagini più ampie, a ri-

comprendere tematiche di

tipo sociale, politico e di

costume.

Cresce il ricordo spontaneo

della ricorrenza, che torna

ai livelli del 2014. Si tratta

di un ricordo che resta più

tra le classi d’età centrali

(35-44 anni) dove solo il 44

per cento indica corretta-

mente la ricorrenza.

Si arresta la crescita di chi

la ritiene una ricorrenza

inutile o che riguarda uni-

camente il popolo ebraico,

ma c'è una crescita della

distanza emotiva dalla

Giornata. Non lo si consi-

dera un atto dovuto - il da-

to è in calo - ma un gesto

formativo, col rischio di un

progressivo contenimento

all’interno di una dimen-

sione scolastica che po-

trebbe ulteriormente ali-

mentare il distacco vero

questa ricorrenza. Signifi-

cativa è anche la crescita

netta della percentuale di

italiani che ritiene che nel

nostro Paese sia diffuso un

sentimento antisemita.

Con il 47 per cento si arri-

va alla quota più alta, ec-

cezion fatta per il primo

anno di rilevazione. a.t.

Con questa domanda viene richiesto lo

stesso sguardo laterale che ha preceden-

temente permesso di valutare il coinvolgi-

mento verso le celebrazioni del giorno del-

la Memoria: mettere il rispondente di fron-

te a una domanda diretta non è la strate-

gia migliore, non è stato quindi chiesto di-

rettamente a nessuno se si sente antise-

mita. Il tentativo è quello di arrivare a ot-

tenere la proiezione di una immagine che

il campione sociologico prescelto possa at-

tribuire in maniera asettica all'opinione

pubblica. Si tratta del dato più complesso

da interpretare, ma la percezione dell'an-

tisemitismo parrebbe in lievissimo calo per

quanto riguarda coloro che hanno risposto

"molto", alla domanda se esiste in Italia un

sentimento antisemita. Si passa dal sei per

cento dello scorso anno al 5 per cento. Cala

anche la percentuale di coloro che hanno

risposto "poco/per niente", mentre cresce

in maniera decisa la fascia "abbastanza": si

arriva in questa edizione del sondaggio a

un 41 per cento di rispondenti che ne con-

fermano in tale maniera la persistenza.

Il dato qui presentato va letto ricordando che con una strategia

molto usata dai sondaggisti si chiede al singolo di interpretare

una tendenza presente nella società di appartenenza. Attribuire

ad altri il proprio pensiero permette di dichiarare ciò che altri-

menti si direbbe con più difficoltà. I rispondenti attribuiscono

così agli italiani una ridotta partecipazione emotiva e un minor

coinvolgimento nei confronti delle celebrazioni del Giorno della

Memoria, un dato che segue un trend invariato sin dal primo

sondaggio. Nell'arco dei cinque anni di riferimento i rispondenti

"molto coinvolti" sono passati dal 7 al 5 per cento, gli "abba-

stanza coinvolti" dal 35 al 28 e infine coloro che si sentono "po-

co/per nulla" coinvolti sono aumentati dal 58 al 67 per cento,

con un salto percentuale di quasi dieci punti in un lustro.

LA RICERCA

2018

2017

2016

2015

2014

2018

2017

2016

2015

2014

“Secondo lei gli italiani si sentono, verso la celebrazione del

Giorno della Memoria, molto, abbastanza, poco o per nulla

coinvolti?” (% al netto dei «non so»)

“Secondo lei oggi in Italia esiste ancora molto, abbastanza, poco o per niente un

sentimento antisemita?” (% al netto dei «non so»)

“E lei personalmente, quanto si sente coinvolto?” (% al netto dei

«non so»)

Torna qui la stessa domanda posta precedentemente, a mostrare

come l'attribuzione di una opinione all'insieme della società per-

metta un'operazione disinibitoria importante.

Le risposte sono ora molto diverse: se è necessario dichiarare

in prima persona dove ci si pone intervengono processi di au-

tocensura forti. Ad essere "molto coinvolti" sono in questo caso

il 16 per cento degli italiani, un dato in crescita rispetto allo

scorso anno - ma l'andamento sul quinquennio è stato altale-

nante - e il 44 per cento si dichiara "abbastanza coinvolto", in

misura conforme alle scorse edizioni del sondaggio: a partire

dal 2015 il dato è sempre stato uguale, dopo la flessione di due

punti percentuali rispetto alla prima edizione. Si dichiara poco

o per niente coinvolto il 40 per cento degli italiani.

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

285

5

5

7 35 58

34 61

36 59

67

325 63

2018

2017

2016

2015

2014

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

415

6

4

7 37 56

7 40 53

34 61

33 61

54

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

4416

17

14

19 46 35

44 42

44 39

40

4414 42

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/ P6 INTERVISTA n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

www.moked.it

Guido Vitale

Se ci colpisce, se attira il nostrosguardo, un’opera d’arte innescaun duplice movimento. Chi laosserva entra all’interno dell’ope-ra, mentre l’opera d’arte entra innoi che la guardiamo trasfor-mando le nostre sensazioni e ri-disegnando la nostra corporeità.Si può dire che siamo colpiti dauna particolare opera perchéevoca in noi stati d’animo, pen-sieri che ci sono consoni. Ma inche modo questo avviene? Cosacambia nel corpo e nella perce-zione quando si entra in un qua-dro o ci si sente in relazione conuna scultura?Unica allieva italiana del genialescienziato e originale studiosoisraeliano del rapporto fra corpoe mente, Moshe Feldenkrais,Mara Della Pergola ha potutofrequentare ad Amherst all’iniziodegli anni ’80 l’ultimo dei tre cor-si che Feldenkrais tenne nelcorso della sua esistenza.La sua esperienza la rendenon solo uno dei più au-torevoli docenti dell’inse-gnamento di Feldenkrais,ma anche una profondaconoscitrice della relazioneche intercorre fra espres-sione artistica e consapevo-lezza psicofisica del movimento. Nel suo libro Lo sguardo in mo-vimento – Arte, trasformazione emetodo Feldenkrais (Astrolabioeditore) appena pubblicato, il let-tore vede dischiudersi contem-poraneamente i segreti della con-sapevolezza corporea rivelati daFeldenkrais e le chiavi di letturasu cosa significa davvero il rap-porto con l’arte.

Cominciamo da Feldenkrais.

Scienziato di valore, esperto e

pioniere delle arti marziali, pro-

tagonista della nascita di Israele.

Infine mito planetario per la sua

capacità di connettere apprendi-

mento, attività del sistema ner-

voso e consapevolezza corporea.

Le tracce della sua identità ebrai-

ca devono essere considerate so-

lo marginali?

All’origine del metodo Felden-krais, oggi all’attenzione di nu-merose scuole in tutto il mondo,oggetto di innumerevoli studi epubblicazioni, vi sono ovviamen-te delle intuizioni universali sulfunzionamento del sistema ner-voso che solo una mente genialepoteva concepire. Ma è impor-tante essere consapevoli che la

“Sguardo e azione per vivere meglio”Mara Della Pergola mette l’arte in moto, e racconta il genio del pensatore israeliano Moshe Feldenkrais

L’incontro fra Moshe Felden-krais e Mara Della Pergola av-venne a Tel Aviv. All’inizio dellibro Lo sguardo in movi-mento l’autrice racconta inpoche pagine memorabili comeandarono le cose: “Sebbenefosse uno scienziato molto sti-mato, Moshe Feldenkrais eranoto in Europa principalmenteper aver collaborato con il regi-sta Peter Brook e per aver datolezioni a grandi personalità,come il violinista Yehudi Men-huin, il compositore e direttored’orchestra Leonard Bernsteine il Primo ministro israelianoDavid Ben Gurion, uno deipadri fondatori dello Stato diIsraele. Quest’ultimo praticavaregolarmente yoga, ma alcuni

asana, come la posizione sullatesta, gli erano stati sconsi-gliati in considerazione dell’etàavanzata e della pressione alta:

le lezioni di Moshe gli consen-tirono invece di riuscirvi e unabella serie di scatti del fotografoPaul Goldman ritrae il Primo

Ministro, fiero settantenne, incostume da bagno e a testa ingiù sulla spiaggia di Tel Aviv,nel 1957. A questo riguardoresta famosa la sua frase:“Devo mettermi sulla testa perpermettere a Israele di stare inpiedi”!Il mio primo incontro con Fel-denkrais fu molto interessante.Arrivai senza appuntamento alsuo istituto di Tel Aviv, nel se-minterrato di una tipica casaisraeliana degli anni ’60, equando entrai vidi un uomoanziano che parlava animata-mente con alcuni giovani. Mifece cenno di aspettare e soloallora mi resi conto che ero to-talmente impreparata a un in-contro così immediato e

L’emozione del primo incontro

radice del pensiero di Feldenkraisè profondamente ebraica. La sua

formazione scienti-fica di ingegnere e fi-

sico gli consentiva dicreare collegamenti tra diversediscipline della cultura e la pra-tica e i principi delle arti marziali.Questa capacità di andare moltoa fondo di ogni settore del sape-re, ma anche di saper ricollegare

in maniera trasversale le proprieconoscenze in campi disparatiper comporre infine un quadrocomplessivo nuovo, una visionesorprendente è proprio uno deipilastri della cultura ebraica, se-condo la quale le conoscenzenon costituiscono mai un accu-mulo isolato dal contesto gene-rale. Feldenkrais, coerentementecon la tradizione del pensieroebraico, era molto orientato asollevare degli interrogativi, nona imporre delle risposte.

Chi era davvero Moshe Felden-

krais? Uno scienziato? Un guari-

tore? Uno stregone? Un appas-

sionato di culture esotiche? Per-

ché, già all’inizio del Novecento

quando pochi sapevano di cosa

si trattasse, si occupò di arti mar-

ziali?

Il percorso della sua vita, cosìcomplesso e contrastato, rappre-senta bene quello che è stato l’iti-nerario di molti ebrei nel Nove-cento. Lasciata la famiglia e laRussia appena adolescente, giun-to nella Palestina del mandatobritannico nel 1918, subito mem-bro dell’Haganah, Feldenkrais siavvicinò allo ju jitsu concepen-dolo come tecnica d’autodifesa.

È necessario comprendere comenella Tel Aviv di allora non eracerto questione di aderire a dellemode culturali come quelle checontrassegnano oggi la vita dellegrandi città occidentali. Ma ov-viamente, al di là dell’affascinantepossibilità di studiare i meccani-smi del corpo e del movimento,Feldenkrais era ben consapevoledi come queste tecniche, appa-rentemente poco efficaci in si-tuazioni dove possono contaremolto le armi da fuoco, non ser-vissero solo a battere l’avversarioin un confronto, ma fossero an-che utili per conquistare il mi-gliore coordinamento e il miglio-re controllo del corpo e dellospirito.

Torniamo a Lo sguardo in movi-

mento. Il punto di partenza è

sempre il patrimonio di consape-

volezza corporea che Feldenkrais

ha insegnato a esplorare, allo

scopo di migliorare l'immagine di

se stessi e di imparare ad agire in

modo più funzionale. Ma in que-

sto caso il punto d’arrivo è il rap-

porto con l’opera d’arte. Era una

conquista di maturità necessaria

proprio ai giorni nostri, quando

il consumo di massa di arte ap-

parentemente raggiunge livelli

parossistici, ma l’effetto di questa

esposizione alla creazione artisti-

ca resta ancora difficile da deter-

minare?

Mi sono chiesta perché amo tan-to alcune opere d'arte, come maimi toccano profondamente, che

Mara Della Pergola LO SGUARDOIN MOVIMENTO Astrolabio

Mara Della Pergola ha in-trodotto il metodo diMoshe Feldenkrais in Ita-lia con seminari, corsi elezioni individuali e neglianni ’80 ha fondato l’Isti-tuto di formazione Fel-denkrais di Milano, dovecentinaia di personehanno studiato e speri-mentato i metodi delgrande terapeuta israeliano. Ha condotto corsi in Conservatori dimusica, scuole di teatro, ospedali, università e scuole di psicomo-tricità. Dal 1988 organizza e dirige corsi di formazione al metodoe seminari di aggiornamento in Italia. Insegna anche in Europa,Nord e Sud America. Appassionata d’arte e autrice di numerosi ar-ticoli, vive e lavora a Milano. È stata socia fondatrice e presidentedell’Associazione italiana insegnanti metodo Feldenkrais.

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/ P7pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 INTERVISTA

www.moked.it

informale. Non sapendo comeiniziare, mi presentai e gli rac-contai del mio corso e di teatroe mimo e dei testi di autorifrancesi che avevo letto. La suaprima risposta fu che le personeche andavo citando parlavanodel suo lavoro a sproposito,perché non avevano mai lavo-rato con lui. Alla mia imbaraz-zata richiesta di unabibliografia, replicò che luistesso aveva scritto molti testi.Si alzò, aprì l’anta di una libre-ria, per mostrarmi i suoi libriscritti in ebraico, tradotti in te-desco, lingue che non cono-scevo, e, in uno stile moltodiretto e un po’ severo, mi in-vitò a leggerli. Poco dopo midisse che aveva un appunta-mento, ma se volevo potevoaspettarlo lì. Vidi dunque l’ini-zio di una sua lezione con una

bimbetta recalcitrante, e fuimolto colpita da come Felden-krais le si avvicinò e iniziò aparlarle. La bimba, che avràavuto sette o otto anni, eratutta chiusa in se stessa. Resi-steva, teneva la testa bassa enon voleva proprio avere a che

fare con lui. Feldenkrais le par-lava con considerazione, comesi fa tra adulti, e iniziò a toc-carla gentilmente. Sfiorava conun dito alcune parole stampatesulla maglietta della bambina egliele leggeva, facendole delledomande con grande natura-

lezza. A un certo momento,sorprendentemente, la bambinainiziò a rispondergli con un po’di titubanza, poi sollevò la testae lo guardò. Lui continuò alle-gramente a sfiorare le letterestampate sulla maglietta e fecealtre osservazioni, la bambinagli disse qualcosa e a quelpunto capii che i giochi eranofatti. Feldenkrais era arrivato lìdove era lei, aveva scelto le pa-role giuste per raggiungerla eper aprire uno spiraglio versola comunicazione. Lei lo seguìnel suo studio. Se non avessiassistito a questo delicato e in-telligente approccio, probabil-mente mi sarebbe rimastal’impressione di un signorepoco affabile e un po’ burbero enon so se sarei tornata a tro-varlo, come invece feci pochigiorni dopo”.

!– DONNE DA VICINO

VivianVivian B. Mann è direttoreemerito del Master di arteebraica e di arte figurativa alJewish Theological Seminary diNew York e curatore emeritodella sezione di Judaica del Je-wish Museum di New York.Appena raggiunta l’età dellapensione non ha frapposto in-dugio: ha stilato l’elenco deipiù interessanti luoghi ebraiciche aveva frettolosamente visi-tato e stabilito un dettagliatoprogramma di viaggio contappe di approfondimento estudio. Candidamente confessadi parlare correttamente solodue lingue, l’inglese e l’ebraico,ritenendole più che sufficientiper la sua vita e per il suo la-voro. E come darle torto? Al college si è specializzata inmatematica con eccellenti ri-sultati ma senza passione, conuna buona dose di coraggio hadeciso di abbandonare gli studiscientifici e buttarsi, senza maipentirsi, nello studio della sto-

ria dell’arte, suo grande amorefin da ragazzina. Mentre met-teva al mondo tre figli ha con-seguito il Ph.D. in Storiadell’arte medievale. Con uncurriculum accademico di tuttorispetto e una volontà di ferro,ha ottenuto la direzione dellasezione più prestigiosa delmuseo ebraico newyorkese, of-frendo al grande pubblico mo-stre temporanee di grandefascino, spaziando dagli ebreidi Corte, all’arte ebraica boema,agli argenti italiani. Ha percorso in lungo e in largoIsraele sostando ovunque: “Perrealizzare una mostra occorreinnanzitutto immergersi nelcontesto, respirarne l’aria, la-sciare decantare la mole di in-formazioni assunte e elaborareil progetto a freddo, quando leemozioni si sono cristallizzate eresta la pura bellezza del-l’arte.” Brillante, curiosa, mai banale,ha trascorso una settimana inPiemonte: un’esperienza spe-ciale e irrinunciabile per lei maanche per chi l’ha accompa-gnata alla scoperta di piccole egrandi gemme di cultura e diarte delle nostre comunità.Quando è tornata a casa, aisuoi dodici nipoti, ha certo rac-contato, come ha fatto con noi,i segreti degli arredi cerimo-niali ebraici romani e delle ke-tubot piemontesi.

Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

cosa mi succede nell'attimo incui le guardo. Ho tentato di pro-porre un percorso corporeo diespressione artistica in cui l’espe-rienza somatica assume un ruolodi guida. Il libro offre al lettorela visita a una galleria d’arte im-maginaria e straordinaria. DaRaffaello a Giacometti, da Picas-so a Calder, non è più in discus-sione il concetto di indiscussabellezza, ma fa da guida l’analisidell’attrazione istintiva. È unamaniera di portare la corporeitànella dimensione dei musei, nel-l’atmosfera rarefatta in cui nor-malmente le persone si accosta-no alla grande espressione arti-stica. E infine di scoprire che,come ha insegnato Feldenkrais,corpo e mente non sono sepa-

rabili. I principi astratti prendonocosì corpo e cresce la consape-volezza.

Che cos’era per Feldenkrais il mo-

vimento?

Il movimento è la via più facileper iniziare a sentire se stessi,per l'ascolto di sé senza giudizi,per provare piacere nel sentirsiintegri. Fino alle intuizioni diFeldenkrais il movimento eraconsiderato nella dimensionedella ginnastica, o della riabili-tazione o della espressione crea-tiva, come la danza. Mancava lacomprensione del dato di con-sapevolezza della propria cor-poreità, di scoperta di sé. Oggipossiamo dire che molte sue in-tuizioni sul funzionamento del

sistema nervoso e sull’importan-za dell’ascolto di sé sono poi sta-te puntualmente confermate dal-le neuroscienze. Ma soprattuttopossiamo comprendere perchéper Feldenkrais era importanteportare le persone ad agire nelmodo più economico ed effi-ciente. Il movimento è il mezzoscelto per far riconoscere le pro-prie abitudini, far sperimentarenuove possibilità, apprendere, esoprattutto per rendere la mentepiù flessibile.

Basta un libro per entrare nella

consapevolezza del movimento

generato dall’arte?

Il libro propone al lettore l’os-servazione di diverse opere d’ar-te e in parallelo alcune brevi pra-

tiche di autoesplorazione, o mi-nisequenze di movimento. At-traverso movimenti inusuali, ese-guiti senza fretta e senza la pre-tesa di dover raggiungere risul-tati predeterminati, diviene pos-sibile affinare le capacità percet-tive, ottenere una comprensionepiù ricca, precisa e consapevoledelle opere d’arte e ricollegareil loro significato alle nostreesperienze fondamentali: l'essereradicati, centrati, tridimensionali,sapersi orientare, realizzareun'intenzione, immaginare, in-contrare l'altro. L’opera d’artediviene così veicolo di indivi-duazione e trasformazione, gui-da alla scoperta di spazi interiorie apre a nuove modalità di per-cezione e di azione.

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/ P8 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

Sopra alle trafficate e un po'

frenetiche vie di Tel Aviv c'è un

piccolo mondo. Persone che

fanno yoga, che curano giardi-

ni, che dipingono o si allenano

nelle arti marziali. Si trovano

a diversi metri d'altezza, sui

tetti del cuore economico

d'Israele e la fotografa Corinna

Kern svela, in un servizio per

l'agenzia di stampa Reuters,

questa realtà nascosta agli oc-

chi dei passanti. “Per me è più

che altro un luogo dove sen-

tirmi più connessa alla città”,

racconta Hana Wimberly a Reu-

ters. Hana ha trasformato il

suo tetto in una sorta di rifu-

gio all'aperto con alcune sedie,

un divano, un tavolo. Dore Tur-

geman e Michael Alimelech

usano invece i tetti come pa-

lestra di allenamento: a Giva-

tayim, a est di Tel Aviv, tengo-

no le loro lezioni di krav maga.

Per il ventiseienne Guy Elhada-

dad, 26 anni, il suo tetto è un

incubatore creativo, “dove

possiamo fare tutto quello che

vogliamo perché non abbiamo

bisogno dell'approvazione de-

gli altri”. Iyar Semel, musicista

di 38 anni, ha invece piantato

un giardino biologico sul suo

tetto, con compost, verdure,

alberi da frutta e una doccia.

Tutto ciò gli permette di fon-

dere il suo stile di vita ecolo-

gico con i vincoli dello spazio

urbano. E il tema degli orti ur-

bani – oggi un po' meno discus-

si sui media ma comunque di

grane attualità – apre una fi-

nestra su un'altra realtà, ben

più grande di quella coltivata

da Iyar: nell'ambito di un pro-

getto chiamato "Green in the

City" (Verde in città), o Yarok

BaIr in ebraico, è stata istituita

negli ultimi anni un'azienda

agricola urbana sul tetto del

centro commerciale del famo-

so Dizengoff Center, il centro

Tetti di Tel Aviv, l’altra vita della città

“70 ore di festa che riuniranno icittadini di tutto il paese in eventidiversi e gioiosi”. Così il ministrodella Cultura israeliano Miri Re-gev ha definito le iniziative or-ganizzate dal ministero in occa-sione delle celebrazioni dei 70anni di Indipendenza dello Statod’Israele. Durante una conferen-za stampa tenutasi a Yad LaShi-rion, nel centro urbano di La-trun, Regev ha anche presentatoil logo dedicato ai festeggiamenti.Il ministro ha spiegato che la ce-

rimonia an-nuale alM o n t eHerzl del 18aprile saràaccompa-gnata da

una canzone ufficiale per cele-brare il 70° anniversario, seguita“dal più grande spettacolo piro-tecnico della storia del paese”.Poi prenderà il via una festa inspiaggia, che durerà tutta la not-te, “lunga 70 chilometri, da Ti-beriade a Eilat”. Il 19 aprile saràcaratterizzato da una “sfilata leg-gera” in onore dell’innovazioneisraeliana, vi sarà l’annuale quizdedicato alla Torah e la cerimo-nia del Premio Israele. Venerdì

20 aprile, in tutto il paese, si ter-ranno delle feste di strada inomaggio e ricordo delle esplo-sioni di gioia e delle danze spon-

tanee che furono organizzatenelle strade dopo che DavidBen-Gurion dichiarò la nascitadello Stato (14 maggio 1948).

Secondo i media israeliani, il co-sto della celebrazione ammon-terebbe a 100 milioni di Shekel(24 milioni di euro), meno dei

160 milioni spesi per il 60esimoanniversario. “Gli eventi – ha dichiarato Regev- sono pensati per essere adatti

ERETZ

IL COMMENTO IL MOMENTO D’ORO DELLA TV ISRAELIANA

È tanto grave se Fauda non mi è piaciuto? Confesso,ho mollato dopo un paio di puntate, e dico “confesso”

perché un po’ me ne vergogno. Fauda, la serie israe-liana in streaming per Netflix, è piaciuta a tutti, èstata un successone persino in America, dunque mirendo conto di essere in una minoranza imbarazzata e

imbarazzante: dire che non guardi Fauda oggi è un po’come dire che non guardavi Desperate Housewivesqualche anno fa, si rischia di fare la figura di quellafuori dal mondo. Il fatto è che preferisco le serie israe-

liane quando non parlano del conflitto (di quello sonogià pieni i giornali e i telegiornali): le mie preferitesono Srugim e Shtisel, che vertono molto più sul ro-mantico e sono ambientate, rispettivamente, in una co-

ANNA MOMIGLIANO

70 candeline, Israele prepara la festa

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Miri Regev, ministro popolareAggressiva, esuberante, a volte sboccata, Miri Regev, ministrodella Cultura e dello Sport israeliano, trova un sempre più solidoapprezzamento all'interno dell'elettorato del Likud, il partito delPremier Benjamin Netanyahu. In un sondaggio lanciato a iniziogennaio dal canale di informazione HaHadashot, Regev risultainfatti in testa con il 76 per cento di gradimento, seguita da Gi-deon Saar – ex delfino di Netanyahu, tornato alla politica loscorso anno dopo una pausa - e dal ministro alla Pubblica sicu-rezza Gilad Erdan. Davanti c'è dunque lei, Regev, che in passatoha più volte invocato la censura o il taglio dei finanziamenti aspettacoli o pellicole per il suo gusto poco patriottici o proprioanti-israeliani. Recente esempio, la sua condanna del film Foxtrotdi Samuel Maoz, premiato a Venezia, e definito dalla Regev unadisgrazia. Questo atteggiamento censorio non sembra però averintaccato il gradimento tra il suo elettorato, anzi.

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Page 9: mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ...moked.it/paginebraiche/files/2009/08/PE-02-2018_LR.pdf · Daniel Reichel Una gamba davanti all'altra. È una frase

/ P9pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

“Quello che abbiamo sentito daMahmoud Abbas è terribile. Ètornato alle idee espresse decennifa, e anche allora erano terribili.Ha dimenticato molte cose, e hadetto esattamente le cose che lohanno portato ad essere accusatoanni fa di antisemitismo e di es-sere un negazionista della Sho-ah”. A distanza di ventiquattroore dal discorso tenuto a Ramal-lah dal presidente dell’Autoritànazionale palestinese MahmoudAbbas – in cui è arrivato ad af-fermare che “il colonialismo hacreato Israele per svolgere unacerta funzione. Si tratta di unprogetto coloniale che non hanulla a che fare con l’ebraismo,ma piuttosto ha utilizzato gliebrei come strumento sotto loslogan della Terra Promessa” –è arrivata forte e chiara la rispo-sta del Presidente d’Israele Reu-ven Rivlin. Una risposta che stig-matizza le parole di Abbas, che,come rilevano i quotidiani israe-liani, ha pronunciato quello che

è suonato come un discorsod’addio alla presidenza, dopo 13anni alla guida dell’Anp, nove deiquali senza una nomina demo-cratica. E il bilancio di questa de-cade alla guida dei palestinesi neiTerritori per Abbas, a conti fatti,non può che essere desolante: lapace con Israele è lontana, la de-siderata – a parole - soluzionedei due Stati è sempre più eva-nescente, il rappacificamento conmovimento terroristico di Hamase il tentativo di riguadagnare

consenso Gaza sono praticamen-te falliti. E i palestinesi in tuttoquesto non hanno migliorato dimolto le proprie condizioni. Ma-moud Abbas si prepara a lasciareil palcoscenico e lo fa, scrivonodiversi analisti, senza prendersila responsabilità dei suoi falli-menti, e accusando Israele di tut-to (anche di non essere quelloche è, la Terra santa per gli ebrei).Eppure Abbas aveva un'oppor-tunità per lasciare il segno. “Qua-si dieci anni fa, negli ultimi mesi

della sua presidenza, Ehud Ol-mert offrì al Presidente dell'Au-torità palestinese Mahmoud Ab-bas praticamente tutto ciò che ipalestinesi apparentemente cer-cavano da Israele” ricordava sulTimes Of Israel il direttore DavidHorovitz. “Olmert offrì ad Abbasciò che rappresentava il 100%della Cisgiordania - con scambidi terre uno contro uno che con-sentivano ad Israele di estenderela sovranità a tre grandi blocchidi insediamenti e ai palestinesiandava una compensazione conterritori all'interno degli attualiconfini sovrani di Israele”. Olmertsi disse anche favorevole a tro-vare una soluzione giusta e con-cordata alla questione dei rifu-giati, includendo un fondo dicompensazione. Abbas rifiutò. Elì si concluse di fatto la sua storia.Ora quello che rimane del pre-sidente dell'Anp sono le tesi ne-gazioniste e cospirazioniste ri-proposte nelle scorse settimaneche ne qualificano il valore.

ERETZ

Abbas, un lascito di bugie e rancorisia al pubblico giovane sia per ipiù anziani, per intere famiglie,per gli ebrei di tutto il mondo.Stiamo per ospitare gli eventi piùdiscussi e commoventi della so-cietà israeliana, pieni di energia,positività e gioia. Sarà emozio-nante, elegante e commovente,proprio come questo paese cheamiamo merita”.Il tema generale della 70esimoanniversario di Israele è “Patri-monio dell'Innovazione”, basatosui successi della cosiddettaStart-Up Nation così come sullatecnologia all'avanguardia svi-luppata nel paese. La societàisraeliana è creativa, guarda alfuturo, pensa fuori dagli schemied è pioniera nella ricerca, nellamedicina e nell'agricoltura “e hafornito così un contributo vitaleper tutta l'umanità”, ha detto Re-gev. Il citato logo ufficiale portail numero 70, una Stella di Da-vide dal design moderno, che di-segna un continuum storico daitempi di re David con la sovra-nità israeliana moderna, e "Israe-le" come scritto da uno scriba inun rotolo di Torah, che esprime“l'indissolubile legame tra il mo-derno Stato di Israele e l'anticonazionalismo, tra il 2018 e i tem-pi biblici, tra Gerusalemme ce-leste e Gerusalemme terrena”,secondo una dichiarazione delministero della Cultura. Pochi giorni prima che partisse

per l'India – un viaggio positivo

dal punto di vista degli accordi

siglati – il Primo ministro israe-

liano Benjamin Netanyahu ha

dovuto far fronte a un nuovo

scomodo caso personale: il fi-

glio Yair – già noto alle crona-

che per aver postato una vi-

gnetta antisemita usata dal-

l'estrema destra contro il ma-

gnate George Soros – è stato

registrato mentre si vantava

riguardo a delle prostitute e al

fatto che il padre Premier

avesse permesso al padre di un

amico di ottenere una accordo

sul gas da 20 miliardi di dollari.

Il tutto mentre usciva da uno

strip club. La registrazione ri-

saliva a tre anni fa ed è stata

diffusa dal Canale 2 israeliano

a metà gennaio. Netanyahu ha

definito la messa in onda del-

l'audio in cui era coinvolto il

figlio una caccia alle streghe

orchestrata dai media per cac-

ciarlo. Parole simili il Premier

le ha più volte utilizzate per li-

quidare le indagini per corru-

zione in cui è coinvolto e che

hanno portato migliaia di per-

sone in piazza a Tel Aviv per

chiederne le dimissioni (i ma-

nifestanti avevano cartelli con

su scritto “fuori i corrotti” e

“Non di sinistra, non di destra,

ma onesto”). Dimissioni rasse-

gnate a fine dicembre dal brac-

cio destro di Netanyahu, David

Bitan, coinvolto in un altro ca-

so di corruzione: Bitan, a capo

della coalizione fino al suo bru-

sco passo indietro, è sotto in-

chiesta per aver accettato pre-

sunte tangenti – si parla di una

cifra intorno ai 500mila shekel

(120.000 Euro) – da uomini d'

affari mentre era vicesindaco

della città costiera di Rishon

Lezion. La storia di Bitan non

è legata alle indagini di Neta-

nyahu ma non ha certo fatto

bene all'immagine del Likud e

del Premier. Nonostante que-

sto, la posizione di quest'ulti-

mo nell'opinione pubblica

israeliana non sembra vacillare

troppo. “Ora che il governo ha

approvato il bilancio 2019 do-

po un mese di gravi crisi di

coalizione, i sondaggi pubbli-

cati il 12 gennaio hanno dimo-

strato ancora una volta che il

Likud non ha subito alcun dan-

no. Netanyahu può respirare

facilmente, almeno per ora”

scrive la giornalista Mazal

Mualem sulle colonne di Al-Mo-

nitor. L'approvazione del bilan-

cio, spiega la giornalista, ga-

rantisce al governo un livello

di stabilità durante un periodo

altrimenti delicato proprio a

causa delle indagini penali in

corso. Con l'approvazione del

bilancio, tutti i leader dei par-

titi della coalizione hanno dato

un segnale di sostegno a Neta-

nyahu. E, scrive Mualem, “an-

che l'anello più debole della

coalizione, il ministro delle Fi-

nanze Moshe Kahlon, probabil-

mente fornirà il suo sostegno

a Netanyahu. Dopo tutto, ha

già annunciato che non inten-

de smantellare la coalizione”.

Nonostante le nubi dunque,

per il più longevo Premier

d’Israele per il momento sem-

bra tornato il sole. In attesa

del responso delle inchieste.

Netanyahu, ancora saldo alla guida

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commerciale al centro di Tel

Aviv costruito negli anni '70.

L'azienda comprende due ser-

re, per un totale di 750 metri

quadrati di spazio per la colti-

vazione, oltre ad un'area didat-

tica dove i cittadini possono

apprendere le tecniche agrico-

le urbane e le ricette relative

agli ortaggi che vengono col-

tivate. L'azienda vende unità

idroponiche per uso domestico

e insegna alla gente come

usarle. In totale, sul Dizengoff

Center si producono – spiegano

sul sito di Green in the City -

10.000 unità al mese di verdure

a foglia come lattuga, basilico,

prezzemolo, spinaci, cavoli e

così via. “L'azienda - spiegano

- fornisce ai propri clienti la

verdura utilizzando solo mezzi

di trasporto ecologici". Diret-

tamente dai tetti di Tel Aviv,

nuovi luoghi da scoprire per

una città già piena di fascino.

munità datì leumì e in una comunità ha-redì. Del resto, ho una teoria: se Jane Au-sten scrivesse oggi, probabilmenteambienterebbe le sue storie tra gli ebrei

ortodossi, l’ambiente ideale per mettere inscena storie, beh, di corteggiamento,un’occupazione sempre meno centrale nelmondo laico moderno, dove flirtare è sem-

pre più qualcosa fine a se stesso (nulla dimale, eh, è che non è un buono spuntoper certi archi narrativi austiniani). Ilpunto di cui vorrei parlarvi però non è

questo, ma un altro. E cioè che dobbiamoprendere atto che il momento d’oro dellatv israeliana non è ancora finito. Quandoera fiorito, il decennio scorso, con BeTi-

pul e Hatufim, due successi prontamenteesportati all’estero, ci eravamo detti cheera troppo bello, non poteva durare. In-vece, contrordine, poteva durare.

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“'Questi sono i tempi’, disse Tho-mas Paine, ‘che mettono allaprova l’animo degli uomini’. Eora sfidano il nostro. È un mo-mento pieno di conseguenze, perla storia dell’Occidente. Abbia-mo visto elezioni laceranti, e so-cietà lacerate. Una crescita del-l’estremismo in politica e nellareligione, alimentato da ansietà,incertezza e paura, paura di unmondo che cambia a un ritmoquasi insostenibile, e con la solacertezza che quel ritmo aumen-terà. Ho un amico, a Washin-gton. Gli ho chiesto com’è statovivere lì durante le recenti ele-zioni presidenziali. Mi ha rispo-sto: ‘Be’, sembrava la barzellettadell’uomo seduto sul ponte delTitanic, con un bicchiere di whi-skey in mano, che dice, ‘Certoche avevo chiesto del ghiaccioma questo è esagerato’. Ma c’èqualcosa che possiamo fare,ognuno di noi, per riuscire ad af-frontare il futuro senza paura?Penso di sì”. Questo l’incipit concui rav Jonathan Sacks, una dellevoci più ascoltate dell’ebraismocontemporaneo, ha dato il vialo scorso aprile al suo Ted Talks(le celebri conferenze interna-zionali di divulgazione culturalee scientifica) riflettendo – tra ci-tazioni bibliche, letterarie, filo-sofiche, scientifiche – sulla mi-naccia del populismo e su comecontrastare i vari istigatori al-l’odio. Dodici minuti, intervallatida molti applausi, che hanno cat-

turato l’attenzione della rete, di-ventando virali: oltre 1,5 milionidi persone hanno infatti guarda-to (fino a gennaio scorso) il vi-deo disponibile sul sito dei Ted-Talks e su Youtube. “Grazie atutti coloro che hanno guardatoe condiviso il mio video”, hacommentato il rav, già rabbinocapo di Gran Bretagna, in untweet. “Per favore continuate adiffondere il suo messaggio, èancora molto utile mentre stia-mo entrando nel 2018”, ha sot-

tolineato Sacks. Nel suo inter-vento, il rabbino, autore di moltilibri di successo (in italiano, Nonnel nome di Dio. Confrontarsi conla violenza religiosa – Giuntina, eLa dignità della differenza. Comeevitare lo scontro delle civiltà, Gar-zanti), spiega che uno dei modi“per affrontare il futuro senzapaura” è chiedersi “cosa venera-no le persone?”. “La gente ha ve-nerato moltissime cose diverse:il Sole; le stelle; le tempeste. Al-cuni venerano molti dèi; altri

uno; altri nessuno. Nei secoliXIX e XX, le persone hanno cre-duto nella nazione, nella razzaariana, nello stato comunista. Enoi, in cosa crediamo? Penso chegli antropologi del futuro guar-deranno ai libri che abbiamoscritto sull'auto-aiuto, l'auto-rea-lizzazione, l'autostima. Guarde-ranno al modo in cui parliamodella moralità come fedeltà a sestessi, al modo in cui riduciamola politica a una questione di di-ritti individuali e osserveranno

questo nostro nuovo, straordi-nario rituale religioso. Lo cono-scete? Si chiama 'selfie'. E pensoche concluderanno che la verafede del nostro tempo sia nel sé,nel me, nell'io. E questo è fan-tastico. È liberatorio. Dà forza.È magnifico”. Un passaggio nonsenza ironia con il rav che ricor-da al pubblico come in ogni casol'uomo sia biologicamente unanimale sociale. “Abbiamo tra-scorso la maggior parte della no-stra storia evolutiva in piccoligruppi. Dobbiamo tornare aqueste interazioni faccia-a-faccianelle quali impariamo la coreo-grafia dell'altruismo e creiamoquesti beni spirituali come l'ami-cizia, la fiducia, la lealtà e l'amoreche alleviano la nostra solitudine.Quando abbiamo troppo 'io' etroppo poco 'noi', ci ritroviamovulnerabili, spaventati e soli. Nonè un caso se Sherry Turkle, delMIT, ha intitolato il suo libro,sull'impatto dei media sociali, In-sieme ma soli. Penso quindi cheil modo più semplice di proteg-gere il futuro 'tu' sia rafforzare ilfuturo 'noi' sotto tre profili: il noidelle relazioni; il noi dell'identitàe il noi della responsabilità. La-sciatemi iniziare con il noi dellerelazioni. E qui, perdonatemi seentro nel personale. C'è stato untempo, molti anni fa, in cui erouno studente universitario, ven-tenne, di filosofia. Mi occupavodi Nietzsche, Schopenauer, Sar-tre e Camus. Ero pieno di incer-

/ P10 ORIZZONTI n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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“Può un ebreo amare la Fran-cia?”, l'interrogativo che sul NewYork Times si pone AlexanderAciman, giornalista della rivistaebraica Tablet Magazine. Il gio-vane Alexander – classe 1990 –è cresciuto in una famiglia fran-cofona: è il figlio di André Aci-man, romanziere americano conpassaporto italiano, memoriali-sta, saggista e apprezzato stu-dioso di Marcel Proust (dal suoromanzo Chiamami col tuo no-me è stato tratto recentementel'omonima pellicola del registaLuca Guadagnino). “Ho trascor-so la mia vita cercando di spie-gare alla gente perché parlofrancese – racconta Aciman –perché sono cresciuto parlandofrancese con mio padre e i mieinonni, perché metà delle mie te-lefonate contengono esclama-zioni in francese”. In un edito-riale autobiografico, il giornalistaapre un piccolo spaccato sullasua storia famigliare, sull'influen-za avuta dall'organizzazione

francese Alliance israélite uni-verselle su una parte di mondo

ebraico e sul sogno di una Fran-cia ideale che ne è scaturito. “La

mia confusa storia familiare e laragione per cui parlo franceseinizia nel 1860, quando AdolpheCrémieux, un francese che sa-rebbe poi diventato ministro del-la giustizia, fondò un'organizza-zione ebraica chiamata Allianceisraélite universelle e iniziò quel-la che definì una 'missione civi-lizzatrice' volta ad insegnare agliebrei mediorientali a parlarefrancese e ad introdurli alla cul-tura francese. L'Alleanza haaperto scuole in Turchia e in tut-to il Maghreb, e nel 1900 avevaquasi 30.000 ebrei sotto la suatutela”. Grazie al progetto por-tato avanti dall'Alliance, raccon-

ta Aciman, tanti ebrei stranieriincominciarono così a sentirsifrancesi, anche se alcuni di loronon avrebbero mai messo piedein Europa. “Per gli ebrei franco-foni di tutto il mondo, l'Alliancepromise qualcosa di potente econvincente simile al sognoamericano”. Alexander Aciman,e prima di lui suo padre – natoad Alessandria d'Egitto ma dimadrelingua francese - e suononno – vissuto a Costantino-poli in una famiglia francofona- sono il risultato di quella pro-messa che però negli ultimi anniha cominciato a rompersi. L'an-tisemitismo, come ricorda ilgiornalista del Tablet sul NewYork Times, ha ricominciato og-gi – come era accaduto oltre unsecolo fa con il caso Dreyfus –a mettere in difficoltà l'ebraismotransalpino e tutto quel mondo

La lezione del rabbino vista da 1,5 milioni di persone

Rav Jonathan Sacks (Londra, 1948) è una del-le autorità spirituali e morali ebraiche orto-dosse più ascoltate nel panorama interna-zionale. È stato Rabbino Capo di Gran Bre-tagna e del Commonwealth dal 1991 al 2013.Nominato Sir dalla Regina Elisabetta II nel2005, dal 2009 è Lord nella Camera alta delParlamento britannico. Lo scorso anno Sacksha partecipato ai celebri Ted Talks e la sualezione è stata vista on line da oltre 1,5 mi-lioni di persone. Della tecnologia il rav, inun'intervista a Pagine Ebraiche, aveva det-to: ”È un modo per avvicinare ed entrare incontatto con chi non frequenta la comunita,con chi non viene in sinagoga. Ma e ancheuna possibilita per parlare con il mondo nonebraico. Comunicare con l’esterno fa partedella nostra sfida come comunita, come mi-noranza all’interno della societa. Dobbiamolavorare per trasmettere i nostri valori, con-dividerli con gli altri e confrontarci sulle gran-di tematiche della modernita”.

Comunicare l’ebraismo

Rav Sacks: “Come battere i populismi”

A lato, il disegno di R. Fresson!

per l’articolo di Alexander

Aciman sul New York Times: “Un

ebreo può amare la Francia?”

Sognando una Francia senza odio

Page 11: mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ...moked.it/paginebraiche/files/2009/08/PE-02-2018_LR.pdf · Daniel Reichel Una gamba davanti all'altra. È una frase

Fede e sopravvivenza, non la macchina del-

la morte, sono i temi centrali di un museo

della Shoah di Brooklyn. Un museo un po'

atipico, scrive l'Associated Press. L'Amud

Aish Memorial Museum, nato tre anni fa e

situato lontano dalle aree più turistiche,

si concentra sulle esperienze degli ebrei

haredi durante e dopo la Shoah. La sua col-

lezione comprende lettere, diari, foto e

oggetti religiosi, come un talled (scialle di

preghiera) rovinato e indossato segreta-

mente da un prigioniero ad Auschwitz.

Molti degli oggetti presenti nel museo,

spiegano dallo staff, sono stati donati da

ebrei ortodossi e haredi che li avevano la-

sciati – e un po' abbandonati - in sotter-

ranei e soffitte di casa e non li avrebbero

mai dati ad un altro museo. “Una delle ra-

gioni (per cui non avrebbero donato gli

oggetti ad altri musei) è dovuta al fatto

che la loro cultura è diversa e, in genere,

non sostengono i musei”, dichiara Shosha-

na Greenwald, direttrice delle collezioni

all'Associated Press. “Ma qui hanno avuto

la percezione che si trattasse di un museo

in grado di raccontare la loro storia e ca-

pire la loro origine”. La collezione com-

prende il diario del Ghetto di Varsavia di

Hillel Seidman, scomparso nel 1995 e che

in quelle pagine descrisse la lotta quoti-

diana degli ebrei polacchi per sopravvivere

e praticare la loro religione di fronte alle

orribili persecuzioni. Seidman partecipò

all'organizzazione della rivolta del Ghetto

ma fu arrestato prima che questa fosse

messa a punto. “Quello di Seidman è un

diario noto - spiega Dovid Reidel, direttore

di ricerca per il museo - Questo è l'origi-

nale (nell'immagine)”. “La famiglia di Seid-

man diede il diario ad Amud Aish perché i

parenti "sentivano che altri musei si sa-

rebbero concentrati solo sulla sua storia

generale - ha spiegato Reidel - Sentivano

che non sarebbe stato apprezzato anche

nella sua dimensione religiosa”. Attual-

mente situato in una posizione piuttosto

periferica e un po' di emergenza – si trova

in uno spazio temporaneo al piano infe-

riore di un' azienda di assistenza sanitaria

a domicilio - l'Amud Aish Memorial Mu-

seum ha da tempo pianificato di spostarsi

in una posizione più centrale. L'idea, sin

dal 2015, era di realizzare una struttura

permanente (cifra stimata per i lavori 11

milioni di dollari) nel parco del distretto

di Brooklyn, ha spiegato ad Ap il direttore

Sholom Friedmann. “Amud Aish mostra la

‘resistenza spirituale’ degli ebrei che man-

tenevano la loro religione anche nei campi

di concentramento” spiega Tova Rosen-

berg, ricordando il significato del piccolo

museo della Shoah di Brooklyn.

tezze ontologiche e angosce esi-stenziali. Era fantastico. (Risate)Ero ossessionato da me stesso eostinatamente scorbutico, fino algiorno in cui vidi, dall'altra partedel chiostro, una ragazza che eratutto ciò che io non ero. Irradia-va luce. Emanava gioia. Scoprìche si chiamava Elaine. La in-contrai. Le parlai. Ci sposammo.E 47 anni, tre figli e otto nipotidopo, posso dire con sicurezzache fu la miglior decisione dellamia vita, perché sono le personediverse da noi a farci crescere.Ed ecco perché penso che do-vremmo farlo. Il problema deifiltri di Google, degli amici diFacebook e dei media specializ-zati, anziché generalisti, è chesiamo quasi completamente cir-condati da persone come noi icui punti di vista, le opinioni,persino i pregiudizi, rispecchianoi nostri”. “E Cass Sunstein, diHarvard, - avverte il rabbino, inriferimento al noto studioso deldiritto - ha dimostrato che se cicircondiamo da persone troppoaffini a noi, ci radicalizziamo”.“Penso che dovremmo tornarea questi incontri faccia-a-facciacon persone diverse da noi. Pen-so che dovremmo farlo per ren-derci conto che si può dissentirefortemente e restare comunqueamici. È in questi incontri di per-sona che scopriamo come lepersone diverse da noi sono per-sone, proprio come noi. E a direil vero, ogni volta che tendiamola mano in segno di amicizia aqualcuno diverso da noi, la cuiclasse, o credo, o colore, sonodiversi dai nostri, in realtà curia-mo una delle fratture del nostro

mondo ferito. È questo il noi del-le relazioni”. Poi c'è il noi del-l'identità: il rav spiega che i po-pulismi attecchiscono quandol’identità di popolo si indebolisce.“In Occidente abbiamo abban-donato questa narrazione di chisiamo e perché, persino in Ame-rica. E nel contempo, l’immigra-zione incalza più che mai. Quan-do avete una narrazione, e la vo-stra identità è forte, – spiega ilrav – potete dare il benvenutoallo straniero; ma quandosmettete di raccontarla, l’iden-tità si indebolisce e vi sentiteminacciati dallo straniero. Equesto è un male. Gli ebrei so-no stati perseguitati, cacciatied esiliati per 2.000 anni. Mala loro identità ha resistito.Perché? Perché almeno una voltaall’anno durante Pesach, raccon-tiamo la nostra storia e la inse-gniamo ai nostri figli, mangiamoil pane azzimo dell’afflizione e

l’erba amara della schiavitù. Enon abbiamo mai perso la nostraidentità. Penso che, collettiva-mente, dovremmo ritornare anarrare la nostra storia, la storiadi chi siamo, eda dove venia-mo, degli idea-li per cui vivia-mo”. E infine c'è ilnoi della re-

sponsabilità, con-clude Sacks, che ci avverte daldiffidare da chi si presenta comeun leader forte, soluzione a tuttii mali, e ci invita invece a condi-

videre le responsabilità di fronteai problemi. “Volete sapere unacosa? La mia frase preferita dellaretorica politica, ed è una frasemolto americana. è: 'Noi, la gen-te'. Perché 'Noi, la gente?' Perchéafferma che tutti noi condividia-

mo unaresponsa-bilità col-lettiva ver-so il no-stro futuro

collettivo.Ed è così che le cose dovreb-bero essere. Avete mai notatoquanto il pensiero magico do-mini la politica di oggi? Ci di-ciamo che basta eleggere quelleader forte e lui, o lei, risolverà

tutti i problemi per conto nostro.Credetemi, è pensiero magico. Epoi arriviamo agli estremi: l'estre-ma destra, l'estrema sinistra, gliestremisti religiosi e anti-religiosi,l'estrema destra che vagheggia

un'età dell'oro mai esistita, men-tre l'estrema sinistra sognaun'utopia irrealizzabile e i reli-giosi sono convinti quanto gliatei che solo Dio, o la sua assen-za, ci salverà da noi stessi. Anchequesto è pensiero magico, perchéle sole persone che ci salverannoda noi stessi siamo noi, le perso-ne, Tutti noi, uniti. E quando lofacciamo, e passiamo da una po-litica del "me" a una politica deltutti noi insieme. riscopriamo al-cune belle verità che vanno con-tro le aspettative: che una nazio-ne è forte quando si cura del de-bole. Una nazione diventa riccaquando si cura dei poveri, diven-ta invulnerabile quando si curadel vulnerabile. È questo, cherende grande le nazioni”. Inter-rotto dagli applausi in sala, ravSacks conclude chiedendo al suopubblico di fare un esperimentoche potrebbe “favorire l'inizio diun cambiamento mondiale. Fateun'operazione di 'Trova e sosti-tuisci' nel copione della vostramente, e ogni volta che incon-trate la parola 'auto' sostituitelacon 'altro'. Invece di autoaiuto,aiuto dell'altro; invece di auto-stima, stima dell'altro. Se lo fa-rete, inizierete a sentire la forzadi quella che per me è una dellefrasi più emozionanti d tutta laletteratura religiosa: 'Quand'an-che camminassi nella valle del-l'ombra della morte, io non te-merei alcun male, perché tu seicon me'. Potremo affrontare sen-za paura qualunque futuro, fin-ché sapremo che non saremosoli. Per il bene del futuro 'tu',oggi rafforziamo, insieme, il fu-turo 'noi'”.

/ P11pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 ORIZZONTI

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Jonathan SacksNON NEL NOMEDI DIO Giuntina

Jonathan SacksLA DIGNITÀDELLADIFFERENZAGarzanti

A Brooklyn, la Memoria dei religiosi ebraico che vede nella culturafrancese una patria. “Nel nostropaese, l'antisemitismo è vivo. […] Si nasconde dietro nuove ma-schere, cerca di giustificarsi perragioni diverse. Questa ideologiadell'odio è qui, è presente e stacostringendo a fare l'aliyah adalcuni ebrei francesi” aveva dettoil Premier francese Edouard Phi-lippe incontrando la dirigenzaebraica d'oltralpe. A minacciarela sicurezza della Comunità –che ogni Shabbat dedica orgo-gliosamente una preghiera allaRepubblica – soprattutto l'anti-semitismo di matrice islamicama non solo, con diversi casigravi denunciati a gennaio (unagiovane è stata picchiata a Sar-celles perché ebrea). L'amoredegli ebrei per la Francia, comeha più volte detto il Gran rab-bino Haim Korsia, è saldo. Maè un amore che deve essere cor-risposto, altrimenti ad alimen-tarlo sarà chi, come Aciman, inFrancia non ci vive.

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/ P12 ECONOMIA n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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Nelle scorse settimane il Parla-mento americano ha approvatodefinitivamente la riforma fiscalefortemente voluta dal PresidenteDonald Trump, riforma che ri-durrà in misura significativa latassazione delle imprese. Ma peruna serie di ragioni la riformamette in pericolo il settore hightech israeliano, come ha denun-ciato di recente l’amministratoredelegato di Intel Israel, la sede

israeliana del colosso informaticoamericano. Per quali motivi? Equali contromisure potrebberoadottare le autorità israeliane?L’obiettivo principale della rifor-ma fiscale di Trump, che ha ri-dotto l’aliquota sui redditi delleimprese dal 35 al 21 %, è quellodi spingere le imprese multina-zionali americane a investire ecreare posti di lavoro negli USAinvece che all’estero, dove la ma-nodopera costa meno; gli incen-tivi mirano anche a incoraggiarei colossi americani a rimpatriareprofitti e liquidità parcheggiataall’estero: non a caso nelle scorsesettimane la Apple ha annuncia-to un piano di massicci investi-

menti negli USA nonché il rim-patrio dell’ingente liquidità (cen-tinaia di miliardi di dollari) de-tenuta all’estero.Qui scatta il campanello d’allar-me per l’high tech israeliano, chenel 2017 ha mietuto nuovi re-cord: il volume di acquisizionidi società israeliane da parte dicolossi americani ha raggiunto i28 miliardi di dollari (metà deiquali si riferiscono all’acquistodell’israeliana MobilEye da partedi Intel). Il successo di questosettore poggia infatti su tre pila-stri: in primo luogo il capitaleumano, ossia la disponibilità dimanodopera qualificata e alta-mente scolarizzata; in secondo

luogo gli investimenti dall’estero,che portano capitali e know-how (quelli di Intel e Microsoft,per intendersi); terzo, l’interventostatale, che fornisce sussidi e in-centivi fiscali alle start-up e alsettore in generale. Adesso la ri-forma fiscale americana mette inserio pericolo il secondo pilastro,perché potrebbe ridurre al lumi-cino gli investimenti delle im-prese americane in Israele nelsettore high-tech.Quali contromisure invocano gliesponenti del settore high-techisraeliano? Essi ritengono urgentiinterventi sugli altri due dei trepilastri sopra elencati su cui pog-gia il settore. In primo luogo oc-

corre aumentare il capitale uma-no, ossia il numero di ingegnerie tecnici informatici: ultimamen-te le aziende del settore non rie-scono più a trovare manodoperaqualificata e devono pagare sti-pendi sempre più alti per attiraretalenti. Vi é un enorme bacinopotenziale di manodopera tragli ebrei ultraortodossi e gli arabiisraeliani (3-4 milioni di abitan-ti), bacino che non viene sfrut-tato perché a bassa scolarizza-zione, e le autorità israeliane so-no chiamate a fare uno sforzoparticolarmente impegnativo,date le peculiarità dei due grup-pi sociali, per far aumentare ilnumero di laureati e tecnici nel

Israele, la riforma fiscale di Trump preoccupa Aviram Levyeconomista

Sei giorni in India, aperti da unemblematico abbraccio, segno diun rapporto che si sta consoli-dando. Dopo la missione delloscorso anno di Narendra Modiin Israele - primo Premier india-no a recarsi in visita ufficiale nelPaese - a metà gennaio il Primoministro israeliano Benjamin Ne-tanyahu ha ricambiato il favore.Ad aspettarlo all'aeroporto diNew Delhi, rompendo il proto-collo, proprio Modi. I due si sonoscambiati un caloroso abbraccioma sono state le strette di manoquelle che hanno caratterizzatoil viaggio, strette di mano chehanno suggellato intese:diversi infatti gli accordi bilateralie i contratti siglati o messi a pun-to sia tra i due governi sia traaziende private. Uno dei puntipiù importanti è stato il progettoper avviare la stesura di un ac-cordo di libero scambio. Sarebbeun passo importante che potreb-be dare un notevole impulso alcommercio tra i due Paesi, at-tualmente stimato in 4,5 miliardidi dollari. Netanyahu si è impe-gnato in prima persona per la-

vorare a un accordo e Modi haaccettato di avviare un tavolo, haspiegato ai giornalisti il segretariodel ministero degli esteri indianoVijay Gokhale. “Una delegazionedel ministero del Commercio sirecherà (in Israele) il mese pros-simo per discussioni inerenti alcommercio”, ha detto Gokhale.“Abbiamo AVUTO relazioni di-plomatiche per 25 anni, ma qual-cosa di diverso sta accadendoora”, ha affermato Netanyahu su-bito dopo aver firmato nove ac-cordi bilaterali con Modi, riguar-

danti la cooperazione in materiadi sicurezza informatica, lo spazioe le esplorazioni per petrolio egas. Ai corrispondenti israelianiche lo accompagnavano in India,il Primo ministro israeliano haspiegato che il mercato indiano“è chiuso a causa delle difficoltàburocratiche che incidono suipassaggi che vogliamo portareavanti. Se ci sarà una direttivadel governo indiano e del primoministro per aprire questo pro-cesso, tutto verrà accelerato. Eavrà un riflesso sulla prossima

riunione della loro delegazioneper i colloqui su una zona di li-bero scambio. Ho detto al pre-sidente indiano che vogliamomolto andare avanti su questo;è cosa nota, e ci stiamo lavoran-do. Come misura provvisoria,inoltre, abbiamo fornito un elen-co di diverse centinaia di prodottiche vogliamo siano esentati daidazi doganali, in modo che pos-sano entrare” nel mercato india-no e le imprese israeliane possa-no arrivarci senza grandi ostacoli.L'India, ricorda il Jerusalem Post,

è nota per le sue ingombranti po-litiche mercantilistiche, che fannoparte di un progetto per incorag-giare la produzione locale: in pas-sato il governo ha favorito l'au-tarchia che però sul lungo perio-do, sottolineava l'economista in-diano Jagdish Bhagwati, hannodanneggiato il paese. Bhagwatispiegava nel 2016 come NewDelhi avesse imposto un cambiodi rotta, ma rimangono traccedelle sue trascorse politiche au-tarchiche. Ad esempio, sembranoproprio questi strascichi ad aver

IL COMMENTO MEZZOGIORNO DI CENERE E FUOCO

Sono passati sette anni da quei diffusi e tu-multuosi fermenti sociali che abbiamo cono-sciuto come «primavere arabe». Si trattò di uncolpo di frustra che interessò un grande nu-mero di società maghrebine e mediorientali. Leproteste popolari, esplose in Tunisia, si diffu-sero - perlopiù spontaneamente - in molti altripaesi della costa mediterranea dell’Africa,transitando poi nell’Asia occidentale. Se la vi-

rulenza dei moti di piazza, inizialmente carat-terizzati dalla richiesta di «pane» e «libertà»,colpì gli osservatori, i loro successivi sviluppi,purtroppo, risultarono quasi da subito preve-dibili. La mancanza di interlocutori politici ingrado di farsi carico delle domande che le so-cietà locali andavano esprimendo, il quasi im-mediato intervento, in ben più di un caso, deimovimenti fondamentalisti (che cercarono dicapitalizzare a loro esclusivo favore le ondatedi rabbia che si susseguivano), le risposte bru-

tali dei poteri costituiti, i colpi di mano attuatida coalizioni e gruppi di interesse operanti inquegli scenari, condizionarono infatti la re-stante evoluzione di un movimento collettivoche non aveva capi ma neanche progetti. Il re-spiro, quindi, gli mancò da subito, moltospesso ingenerando una specie di eterogenesidei risultati: invece che concorrere ad avviareun lungo ma necessario processo di transi-zione verso una democratizzazione delle so-cietà nazionali, agevolò involontariamente le

strette autoritarie con le quali una parte delleclassi dirigenti non decadute hanno cercato dimantenersi in sella. Laddove invece le cosesono andate diversamente, la detronizzazionedelle vecchie élite ha comportato che ad esse sisostituissero gruppi di potere non meno circo-scritti ed esclusivi. Gli elementi che avevanocausato le proteste, e i successivi moti dipiazza, peraltro permangono a tutt’oggi volu-tamente irrisolti. Il primo di essi è l’intollera-bile grado di sperequazione tra classi sociali

CLAUDIO VERCELLI

Netanyahu e l’abbraccio indiano

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Il Comitato Internazionale di

Soccorso, l'Alleanza Multireli-

giosa per i rifugiati siriani, Hias

(Hebrew Immigrant Aid Socie-

ty), l'Help Refugees e la Hillel

International. Sono le cinque

istituzioni a cui il noto artista

Anish Kapoor, impegnato atti-

vista per i diritti umani, desti-

nerà il Genesis Prize nel 2017

(il riconoscimento a personali-

tà che hanno raggiunto l'eccel-

lenza e la fama internazionale

nel loro campo professionale ,

e che ispirano gli altri attraver-

so la loro dedizione alla comu-

nità ebraica e ai valori ebraici).

Un milione di dollari che, d'ac-

cordo con la Genesis Prize

Foundation verranno destinati

per aiutare i rifugiati in tutto

il mondo. “Come molti ebrei,

non devo tornare molto indie-

tro nella mia storia familiare

per trovare persone che erano

loro stesse rifugiate”, il com-

mento di Kapoor – destinare ii

fondi del Premio Genesis a que-

sta causa è un modo per aiuta-

re le persone che, come i miei

antenati non molto tempo fa,

fuggono dalla persecuzione”. A

dover abbandonare il proprio

paese fu la madre di Kapoor,

ebrea irachena che lasciò Ba-

ghdad quando aveva pochi me-

si per l'India. Il nonno divenne

cantore della sinagoga di Pune,

120 chilometri a sud-est di

Mumbai. Il padre di Anis invece,

era originario di una famiglia

indù Punjabi nonché un idro-

grafo della Marina indiana. Il

più grande di tre fratelli, l'ar-

tista raccontò in un'intervista

al Financial Times, che a 17 an-

ni decise di lasciare l'India per

Israele: “I miei genitori erano

molto cosmopoliti, siamo cre-

sciuti con l' ebraismo come re-

altà culturale, una realtà fami-

liare, piuttosto che religiosa -

e penso sia giusto, io credo in

questo”. Inizialmente, trovò la

propria dimensione in un kib-

butz, poi si diede allo studio

dell'ingegneria prima di ren-

dersi conto che "non era dav-

vero per me, era troppo rigido.

Così sono tornato al kibbutz e

ho deciso che sarei dovuto es-

sere un artista. Mi sono preso

un piccolo studio e ho fatto al-

cuni dipinti davvero brutti. I

miei genitori non erano entu-

siasti. Ero così giovane e inge-

nuo. Non avevo praticamente

mai visto nessun arte, pratica-

mente mai visto un quadro. Poi

sono andato alla scuola d'arte

[Hornsey College of Art] a Lon-

dra e mi sono sentito comple-

tamente liberato. Sono stati

anni molto difficili emotiva-

mente, ma in un certo senso ne

sono grato. Ci sono voluti molti

anni di psicoanalisi per supe-

rarla”.

Come artista, Kapoor divenne

noto negli anni' 80 per le sue

sculture geometriche o bio-

morfe che utilizzavano mate-

riali semplici come granito, cal-

care, marmo, e gesso. Queste

prime sculture sono spesso

semplici forme curve, general-

mente monocromatiche e co-

lorate con colori vivaci, che uti-

lizzano pigmenti in polvere per

definire e permeare la forma.

“Il mio ruolo di artista è dire

qualcosa, esprimere, essere

espressivo? Penso che sia que-

sto a portarmi all'espressione.

Non ho niente di particolare da

dire, non ho nessun messaggio

da dare a nessuno. Ma il mio

ruolo è quello di far emergere,

diciamo così, i mezzi che per-

mettono di definire le perce-

zioni fenomenologiche e di al-

tro tipo, che si possono usare,

con cui si può lavorare, per poi

muoversi verso un'esistenza

poetica”, aveva detto l'artista

in una conversazione con il fi-

losofo Homi K. Bhabha alla Ro-

yal Academy Organization. Che

Kapoor non abbia un messag-

gio non è in realtà vero, so-

prattutto sul sociale, come di-

mostra il suo impegno e le scel-

te legate al premio Genesis. As-

sieme alla Genesis Prize Foun-

dation, l'artista ha collaborato

con l'International Rescue Com-

mittee (IRC) per migliorare i

servizi sanitari della comunità

per i rifugiati nel nord del-

l'Uganda e fornire un accesso

vitale all'acqua sicura per la

minoranza etnica rohingya nel-

lo stato di Rakhine, in Myan-

mar. I fondi Genesis sosterran-

no anche l'estensione in Italia

di Refugee.Info, una piattafor-

ma digitale che usa i social me-

dia e altri strumenti digitali

per garantire ai rifugiati l'ac-

cesso alle informazioni critiche

di cui hanno bisogno per pren-

dere decisioni informate sulla

loro vita. Il milione di dollari

del Premio di Kapoor andranno

a legarsi ad altri progetti messi

in campo dalla Genesis Prize

Foundation, tra cui: fornire a

cinque campi profughi in Gre-

cia e a un campo profughi a Ca-

lais, in Francia il necessario per

confrontarsi con l'inverno,

comprese il finanziamento del

cibo e delle attrezzature inver-

nali più essenziali (attraverso

Help Refugees); la spedizione

di 36 container di aiuti ai rifu-

giati siriani (tramite l' Alleanza

Multireligiosa per i rifugiati si-

riani): il contenuto dei primi

due container che l'AMF spedi-

rà nell'ambito del programma

Genesis Prize avrà un valore

complessivo di 20,7 milioni di

dollari in medicinali e attrez-

zature mediche. Altra iniziati-

va, rafforzare la capacità dei

leader locali nelle comunità di

tutta l' America nel sostenere

gli immigrati e i rifugiati negli

Stati Uniti (attraverso l'HIAS);

l'importo della sovvenzione è

stato raddoppiato a seguito

del recente dibattito politico a

Washington volto a ridurre il

numero di immigrati e rifugiati

provenienti da alcuni paesi che

gli Stati Uniti dovrebbe accet-

tare in futuro. Ancora – nella

lista di iniziative - unire miglia-

ia di studenti ebrei e di giovani

volontari affinché raccolgano

pacchetti di aiuto per 5.000 ri-

fugiati siriani (tramite Hillel In-

ternational, in collaborazione

con il Comitato Congiunto di

Distribuzione). “Negli ultimi

mesi, la consapevolezza della

difficile situazione in cui ver-

sano decine di milioni di rifu-

giati e sfollati in tutto il mondo

è notevolmente diminuita,

mentre la crisi dei rifugiati

continua senza sosta - ha di-

chiarato Kapoor - Credo in un

mondo di compassione, e ho la

fortuna di poter lavorare con

la Genesis Prize Foundation e

le fantastiche ong che ricevono

i nostri sussidi per portare più

compassione nel mondo”.

/ P13pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 ECONOMIA

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Kapoor, arte al servizio dei rifugiatiportato alla sospensione da parteindiana di un acquisto da 500mi-lioni di dollari di sistemi di difesadall'israeliana Rafael AdvancedDefense Systems. Durante il suoviaggio al fianco di Modi, Neta-nyahu ha riportato sul tavolol'accordo, che sembra possa tor-nare in piedi.Sul lato opposto, gli uomini d'af-fari indiani si sono lamentati del-l'attesa che Israele riserva loro inmateria di visti: i permessi a bre-ve termine per l'ingresso nel pae-se, dicono dall'India, sono com-plicati da ottenere, mentre nonesiste una tipologia a lungo ter-mine. “Vedo che sempre piùaziende indiane stanno arrivandoa esplorare le tecnologie, a esplo-rare progetti di joint venture”, haspiegato Anat Bernstein-Reich,presidente della Camera di Com-mercio Israele-India, che viag-giava con la delegazione del Pri-mo ministro. “Gli indiani stannoora cercando di investire in star-tup, è una cosa totalmente nuovaper l'India in generale, dal mo-mento che sono avversi al ri-schio. Ma sono disposti a guar-dare le start-up israeliane, com-prendendo che l'innovazione èqui”.

Daniel Reichel

nella fruizione dei benefici derivanti dallamessa in economia delle risorse nazionali. Idifferenziali di reddito sono elevatissimi e nonhanno altra giustificazione che non sia quelladel riprodurre le già preesistenti disegua-glianze di trattamento. Quasi che queste ul-time siano una sorta di garanzia per chi ilpotere lo controlla pressoché autocratica-mente. Il secondo fattore è la diffusissima cor-ruzione, che imperversa un po’ ovunque, difatto intossicando non solo i processi econo-

mici ma anche le relazioni sociali. In un talecontesto, infatti, qualsiasi innovazione vieneimmediatamente impedita o interdetta. Ilterzo aspetto è il legame tra la demografia diquesti paesi, caratterizzata dalla presenza dicoorti generazionali giovanissime (di controalla crescente senilità delle popolazioni euro-pee) e la drammatica mancanza di occasionidi lavoro, all’interno di mercati spesso cristal-lizzati poiché controllati da alleanze di inte-ressi che si alimentano della presa

monopolistica su molte produzione. Un esem-pio, a tale riguardo, è il ruolo del clero sciitarispetto alla produzione e al commercio dellematerie energetiche. Un quarto ed ultimo pro-blema è quello dell’incremento dei prezzi deibeni di prima necessità. Il paniere dei bisognielementari è anche l’indice dell’andamento deisentimenti politici nelle società arabe (e nonsolo in queste): quando i prezzi aumentano,quasi sempre subentrano le proteste. Ma se lesocietà misurano il grado di maggiore o di mi-

nore legittimazione dei loro governanti sullabase di questi fattori, allora qualsiasi prospet-tiva di un qualche mutamento positivo è deci-samente lontana. Poiché a fondarne la lorostessa essenza non è la speranza di ridurre lediseguaglianze, incentivando parimenti pro-cessi di transizione verso la democrazia, bensìil mantenere l’ossidazione delle clamorose di-sparità. A suggello di un modello di relazionisociali dove l’autorità non si basa sull’autore-volezza ma sull’autoritarismo.

loro ambito.Il secondo fronte sul quale do-vranno intervenire le autoritàisraeliane è quello degli incentivifiscali (terzo pilastro): anche inquesto caso le difficoltà sonoenormi perché una riduzionedelle imposte per gli investitoriesteri comporta dei buchi al bi-lancio pubblico, che vanno col-mati aumentando le tasse o ri-ducendo la spesa pubblica adanno di qualche altra catego-ria. È ancora rovente la pole-mica sul colosso farmaceuticoTeva, che agli occhi dei criticiha beneficiato di miliardi di dol-lari di sgravi fiscali ma non si èfatto scrupolo, alle prime diffi-coltà, di chiudere impianti e li-cenziare centinaia di dipendentiin Israele...

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CULTURA EBRAICA

! הל( החבל אחר הדליLA CORDA È ANDATA APPRESSO AL SECCHIO

Scusate se questa volta apparirò meno politically correct del solito. È unperiodo in cui mi danno particolarmente per la crescente assimilazioneche colpisce tutte le nostre comunità, quelle più piccole in modo più sen-sibile. Sto cominciando a prendere confidenza con la storia di intere famiglieebraiche che si sono dissolte nel brevissimo spazio di mezzo secolo. Tantee tante persone oggi avanti con l’età con figli e nipoti lontani da ogni rap-porto con la tradizione, persino inconsapevoli della loro origini, che quandole incontri non fanno che esprimere il loro dolore, a volte la rassegnazioneper una sorte fatale e ineluttabile; mentre si assottigliano i numeri degliiscritti oltre la soglia del non ritorno. Non sono così ingenuo da non capire le difficoltà di vivere in comunitàpiccole ma ci si può definire sfortunati della propria sorte solo dopo averfatto un esame di coscienza. Ho messo in pratica quelle condizioni minimeche mi avrebbero dato una speranza? Quegli “obblighi” da cui non ci sipuò sottrarre se si vuole accarezzare l’idea di passare il testimone alla ge-nerazione successiva? I cardini rimangono invariati anche se possono esseredeclinati in modo differente: shabbat, casherut, feste e anche un intensolegame con Israele. E ci si deve spendere, ci si deve sacrificare, i figli devonoalmeno vedere in modo costante che da parte dei genitori non c’è spazioa compromessi su questi principi. Sia chiaro a tutti, non ci sono possibilitàdi manovra alternativi. Senza tutto ciò è come non comprare il bigliettodella lotteria e lagnarsi di non avere vinto. E si deve essere sinceri con noistessi, l’allontanamento non è il risultato di una trasformazione inaspettatae repentina della nuova generazione che getta tutto alle ortiche, ma è ilnaturale esito di un progressivo e graduale indebolimento di identità cheè partito da noi. Nella Torah Yehudà affronta Yosef nel momento cruciale del racconto,quando Binyamin è accusato di essere il ladro della coppa d’argento delVicerè. Lo implora dicendogli: cosa dirò al babbo quando mi presenteròsenza il ragazzo che mi sono impegnato a proteggere? Secondo il midrashTanchumà, Yosef forzando i suoi sentimenti risponde in modo laconico,proprio un momento prima di fare esplodere le proprie emozioni: “Dì al-l’anziano tuo padre, che la corda ha seguito il secchio!”. Un modo per dire:“Binyamin ha pagato le conseguenze del suo furto ed è stato fatto schiavosaluti e baci”. Yehudà non poté sopportare la risposta così sommaria e im-pertinente di Yosef, che scatenò in lui ancora più coraggio e risolutezzanel voler affrontare la situazione ingiusta. Quel coraggio che raggiunse ilcuore del fratello fino a non poter più resistere rivelandosi ai fratelli. Quantoho scritto nelle prime righe, leggiamolo allora così, una provocazione, alpari di quella espressa da Yosef, colma di amore e di passione..

Amedeo Spagnolettosofer

!– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Un'eredità difficile !– STORIE DAL TALMUD! LE PORTE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME Hanno insegnato i nostri Maestri: A Nikkanor, un ebreo alessandrino, ac-caddero dei miracoli riguardo alle porte che sono a suo nome. E quali fu-rono questi miracoli? Così hanno raccontato: Quando Nikkanor andò adAlessandria d’Egitto (i cui artigiani erano famosi in tutto il mondo) perprocurare delle porte di rame per il lato orientale del cortile del Tempiodi Gerusalemme, nel viaggio di ritorno una tempesta minacciò di inabissarela nave su cui viaggiava. Allora i marinai presero una delle due pesantiporte nel tentativo di alleggerire la nave e la gettarono nel mare. Ma lafuria del mare non si placò. I marinai allora vollero gettare anche l’altraporta, ma Nikkanor si avvolse strettamente a essa e disse loro: Gettatepure me insieme a essa! A quel punto il mare si placò. Però Nikkanor sidispiaceva per la porta che era finita in mare. Quando arrivarono nel portodi Acco, la porta spuntava da sotto la nave. E c’è chi dice: Una grandecreatura marina l’aveva inghiottita e l’aveva rigettata all’asciutto, e su que-sto si può applicare il versetto del Re Salomone nel Cantico dei Cantici(1:17): “Le travi delle nostre case sono di cedro, le nostre porte sono dicipresso”, non leggere “berotim” (cipressi) bensì “berit yam” (patto dimare). Perciò, tutte le porte del Santuario di Gerusalemme furono sostituitecon porte d’oro, eccetto quelle di Nikkanor, perché per esse erano avvenutidei miracoli. E c’è chi dice che erano di rame dorato. Rabbì Eliezer benYaakov dice: Erano di rame puro che splendeva come l’oro. (Adattato dalTalmud Bavlì, Yomà 38a, con il commento di Rashì e altri).

Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

Rav Alberto Moshe Somekh

"Giusto Tu sei H. e retta è la Tua Giustizia".Ogni volta che accompagniamo un defuntoall'estrema dimora ripetiamo queste parole.La morte, si sa, è momento di din ("giudi-zio") per eccellenza. Ma non solo per l'ani-ma di chi non c'è più. Nella nostra Tradi-zione due sono gli attributi della Divinità.Il chessed ("bontà, misericordia") connessostrettamente con la nozione di "dare". E ildin, appunto. Questo è legato al concettodi "ricevere". Nel senso che quando ci siaspetta di ricevere qualcosa, si viene giudicatise si è meritevoli di riceverlo. Il trapasso èdunque momento di din anche per gli eredi.Se questo vale per la prospettiva di un'ere-dità materiale, tanto più nel caso di un'ere-dità intellettuale e spirituale.La figura di rav Giuseppe Laras, recente-mente scomparso, ci ha lasciatoun'eredità morale di enorme por-tata. Legata non solo alla suaversatilità e alla molteplicitàdei suoi interessi (rabbino,filosofo, scrittore, come èstato giustamente ricor-dato), ma anche per lastraordinaria varietà deiruoli che ha ricoperto:rabbino capo di tre Co-munità, presidente del-l'Assemblea rabbinica,presidente di un Tribu-nale Rabbinico, docenteuniversitario. Un'ereditàche non sarà facile rac-cogliere e gestire. Beninteso, non mi riferiscoin questo momento allasua successione nelle cariche formali, ma alsuo messaggio complessivo e complesso aun tempo. Nella Menorah, il candelabro asette braccia del Bet ha-Miqdash, un lumeera perpetuo (Ner Tamid), nel senso chementre gli altri sei erano accesi dalla seraalla mattina soltanto, questo ardeva sempre.È nota la controversia sulla sua identifica-zione. Secondo una scuola era il lume postoa una delle due estremità; secondo l'altrascuola era invece il lume centrale, verso cuitutti gli altri erano rivolti. Nella sua prefa-zione alla versione italiana degli ShemonahPeraqim ("Otto capitoli"), la dottrina eticadi Maimonide che rav Laras pubblicò neglianni Settanta, egli ricorda come nella storiadel pensiero ebraico convivano due dottrinedifferenti sulla qedushah, la virtù ideale nelcomportamento. Una prima dottrina, cheha la sua base nei libri biblici di Iyov (Giob-be) e Qohelet predilige un impegno "estre-mo", ai limiti dell'ascesi. Pensatori come R.Yonah da Gerona nel Medioevo e R. MosheChayim Luzzatto (Ramchal) in epoca piùprossima a noi hanno condiviso questa ve-duta. L'altra trova la sua espressione biblicanel libro dei Mishlè (Proverbi) ed è rappre-sentata proprio da Maimonide: essa stabi-lisce che la massima virtù consiste nel per-seguire il giusto mezzo tenendosi lontanidagli estremi. È il lume centrale cui ci si ap-pella come guida. Rav Laras ha incarnato quest'ultima visione

non solo nei suoi interessi accademici, maanche nella sua attività rabbinica in un'epocain cui sembrava prevalere decisamente laprima. In un frangente in cui l'unità del grup-po non pareva all'ordine del giorno delmondo ebraico e tendenze particolaristesembravano avere il sopravvento anche nelnome di principi importanti ed elevati, egliha sempre messo l'accento sulla necessitàprimaria di mantenere la compagine dellaComunità al di sopra di ogni altra conside-razione. A mio modesto avviso ciò va anchecollegato a due esperienze personali che lohanno profondamente segnato. La sua in-fanzia di figlio della Shoah gli deve aversuggerito quanto una Comunità piccola co-me la nostra non possa permettersi divisionidi sorta a fronte di un nemico esterno la cuiviolenza è endemica. In secondo luogo, gio-va ricordarlo, rav Laras ha ricoperto la cat-

tedra di una Comunità "grande" (nelsuo caso Milano) dopo essere pas-sato da una Comunità "piccola"(Ancona) e da una Comunità "me-

dia" (Livorno). Prima di lui ancherav Toaff z.l. era approdato da

Livorno a Roma passandoper Ancona e Venezia. RavLaras era nato a sua voltaa Torino, dove si era forma-to alla Scuola di Rav DarioDisegni z.l. Chi meglio dirav Laras avrebbe potutorendersi conto, anche unavolta giunto all'apice dellacarriera, delle esigenze direaltà dalle risorse deboli,

legate a una sopravviven-za quotidiana sempre piùardua e certamente lon-

tane dalle esperienze sia pure interessanti eaccattivanti dei "grandi" centri. Da qui l’ur-genza da lui sentita di creare un Bet Din(Tribunale Rabbinico) che dedicasse i proprisforzi alle Comunità più esigue e marginali.Un’iniziativa che a suo tempo fu accoltanon senza incomprensioni. Forse questeavrebbero potuto essere mitigate se solo ilBet Din in questione avesse avuto sede asua volta in una Comunità diversa da Romae Milano, vicino al proprio raggio d’azionee lontano dal rischio di interferenze. Ma aquesto punto non spetta a noi giudicare.Oggi l'interrogativo da porsi è proprio comesalvare l'ebraismo italiano, o anche solomantenerlo in equilibrio fra la dissoluzioneper mancanza di forze e l'assimilazione permancanza di ideali. Ci si domanda se pro-muovere le due realtà maggiori, qualitati-vamente più significative e promettenti, con-sci del fatto che solo fra Testaccio e Traste-vere vivono oggi più ebrei di quanti sonogli iscritti alle diciannove Comunità minorimesse assieme; o se dare un’estrema fiduciaa queste ultime in tutti i sensi, che doman-dano di non essere lasciate al proprio de-stino. È un dilemma obbiettivamente diffi-cile. Rav Laras una risposta ha cercato didarla, nel segno della mediazione. Con lasaggezza di chi operava conciliando il cer-vello con il cuore. Ora "udii la Voce di H.che diceva: chi manderò? chi andrà per noi?"(Yesha'yahu 6,8).

Tas (c. 1770-76) - Joachim Hübener II!

- The Jewish Museum, New York

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“La Memoria non è solo nostrapersonale, o del popolo ebraico.La Memoria è anche quella delleistituzioni che furono allora, ot-tant’anni fa, artefici del bene edel male sistemico e di un geno-cidio sistematico. Memoria si-gnifica un impegno per la veritàsulle discriminazioni di ieri peraffrontare le discriminazioni dioggi anche di altri popoli, etnieo ‘razze’ cosi chiamate per chiquesti valori al contrario non liha nel cuore affatto”. Ad affer-marlo la presidente dell'Unionedelle Comunità Ebraiche ItalianeNoemi Di Segni, che così sinte-tizza il senso ancora attuale dellaMemoria. Una Memoria viva, ar-gine contro le discriminazioni econtro l'antisemitismo, da tra-mandare alla giovani generazio-ni, senza retorica ma con unmessaggio chiaro: la responsa-bilità prima della Shoah fu quelladei nazifascisti, di chi attivamen-te costruì la fabbrica del genoci-dio ma tutto questo fu possibileanche grazie a schiere di indif-ferenti. “All’indomani della guer-ra neanche si aveva il coraggiodi chiedersi del perché, neanchesi aveva il coraggio di raccontare.Forse non negare, ma ricomin-ciare e dimenticare. Oggi a set-tantatré anni dalla fine dellaguerra, ad ottant’anni passatidall’emanazione delle leggi raz-ziste non possiamo non riflettercie non chiederci i perché. È follia

di un uomo solo o di tante mas-se indifferenti?”, l'interrogativoposto dalla presidente Di Segniai cento ragazzi protagonisti delViaggio della Memoria organiz-zato dal ministero dell'Istruzioneassieme all'UCEI a gennaio. Unmomento per rinnovare il pro-tocollo “Memoria e didattica del-la Shoah” tra Miur e Unione –siglato da Fedeli e Di Segni nellasinagoga Tempel di Cracovia(nell'immagine un momento le-gato alla firma con la partecipa-zione di due studenti) - sanciscel'impegno congiunto delle dueistituzioni a “creare un Portaleper la pubblicazione di buone

pratiche italiane per l’educazionealla Shoah nelle scuole; realiz-zare mostre itineranti dedicatealle migliori opere prodotte peril concorso ‘I giovani ricordanola Shoah’; elaborare un semina-rio nazionale di formazione sulletematiche relative alla Shoah; at-tivare attività educative negli isti-tuti scolastici con il supporto delConsiglio Superiore della Magi-stratura” (art. 2 del protocollo).Ad impegnarsi nell'educazionesulla Memoria – in modo ancorapiù esteso che in passato - è in-fatti anche il Csm che per la pri-ma volta quest'anno ha decisodi aprire agli studenti le giornate

e cerimonie di inaugurazionedell’anno giudiziario presso lecorti d’appello. Il massimo orga-no della magistratura si è impe-gnato inoltre in un calendario diiniziative legate al tema dellaMemoria e all'anniversario delleleggi razziste del 1938. “Le ce-lebrazioni del Giorno della Me-moria di questo anno hanno co-me filo conduttore – ha spiegatoDi Segni - quello della co-re-sponsabilità delle diverse istitu-zioni, ponendo l’attenzione an-zitutto sugli apparati normativied amministrativi che hannoconsentito e legittimato la discri-minazione e poi preordinato e

gestite le deportazioni e lo ster-minio. Tutto perfettamente le-gale. Tutto perfettamente corri-spondente al formalismo delprincipio di legalità. Tutto invececontrario alle più elementari nor-me etiche e di rispetto di un es-sere umano, a partire da normesolo apparentemente leggere(certamente lo erano rispetto almassacro scientificamente per-petrato) come il divieto di fre-quentare la scuola o il cinema.A partire dalla stessa definizionedel concetto di razza. Dal ’38 sicompie una sistematica e benpensata privazione della capacitàgiuridica. Esclusi e sradicati dauna vita ‘nel diritto’ per poi giun-gere allo sradicamento (la de-portazione) e alla negazione nonsolo dei diritti ma della vita stes-sa”. “Si è sottolineata l’esigenzaper questo Paese – il richiamodella presidente UCEI - di spo-stare il baricentro dell’esame del-le responsabilità storiche dal na-zismo al fascismo. In ottant’anniquesta indagine e questo esame,anche in sede processuale, sonomancati e questo Paese doveva,e deve, fare di più. Oggi assistia-mo nuovamente a preoccupantifenomeni di neo fascismo. Nonpossiamo ignorarli e quindi ab-biamo definito un percorso: dallatutela della razza alla tutela deidiritti. Dalla legittimazione del-l’odio alla tutela contro ogniodio”.

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/ P15pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

DOSSIER /Memoria vivaIl futuro passa dalla scelta di non dimenticare“La realtà dei campi di sterminio va oltre l’umana comprensione e oltre i limiti delle possibilità di espressione”. Ma anche se provoca orrore e dolore, “nulla deve

fermare la nostra volontà di ricordare”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento per la celebrazione del Giorno della Memoria al

Quirinale dello scorso anno. Volontà di ricordare e richiamo alle responsabilità che quest'anno per l'Italia hanno un significato particolare. Come raccontato in

questo pagine, il 2018 è l'anno dell'anniversario delle Leggi razziste: 80 anni fa l'Italia voltò le spalle ai suoi concittadini ebrei e li condannò alla persecuzione. Oggi

le istituzioni, assieme all'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sono impegnate a ricordare quella macchia indelebile e a trarne una lezione per il futuro.

“Ricordare sia una scuola contro l’odio”

L’INIZIATIVA DI UCEI E GOVERNO

Processo al re e all’Italia

Una rappresentazione teatrale richiama le respon-sabilità di Vittorio Emanuele III di fronte alle Leggirazziste del ‘38. E, con lui, quelle di tutta l’Italia.

L’IMPEGNO INTERNAZIONALE

L’Italia e la lotta all’odio

Italia protagonista quest’anno sul fronte interna-zionale con la presidenza dell’Osce e dell’Ihra. E incima all’agenda c’è la lotta contro l’antisemitismo.

BROVEDANI, IMPRENDITORE TRIESTINO

Il coraggio di Mr. Fissan

“Solo Dio xe infallibile”, è una delle note frasi diOsiride Brovedani. Fu internato in Germania ma sisalvò. E, tornato a Trieste, divenne un benefattore.

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“Il Giorno della Memoria è un giorno per il futuro, per

superare l’indifferenza. Per ricordare che è importante

lavorare sull’educazione, e monitorare e contrastare

in fenomeni di estremismo e razzismo".

Le parole della sottosegretaria alla Presidenza del Con-

siglio con delega alle pari opportunità Maria Elena Bo-

schi, pronunciate nel corso della tradizionale confe-

renza stampa a Palazzo Chigi con al fianco la Presidente

UCEI Noemi Di Segni, hanno aperto settimane di intenso

confronto istituzionale sul fronte della Memoria. Ini-

ziative con le scuole, convegni ad alto livello, nuovi

impegni educativi e didattici. Un programma denso e

articolato. “Abbiamo una responsabilità forte nei con-

fronti della conoscenza del passato. Quella conoscenza

che ti permette di cogliere gli elementi critici nella

modernità, i segnali di pericolo” ha affermato in una

seconda conferenza stampa (convocata al Miur) la mi-

nistra dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Va-

leria Fedeli. Proprio Boschi e Fedeli sono le firmatarie

di due diversi protocolli d'intesa con la Presidente del-

l'Unione. Due impegni per lasciare il segno.

Attraverso il protocollo siglato con la sottosegretaria,

le parti si impegnano a realizzare un programma con-

giunto di attività, di durata annuale, rinnovabile per

altri due anni, "con lo scopo di promuovere l’effettività

del principio di parità di trattamento fra le persone

anche di religione diversa e di contribuire a rimuovere

le discriminazioni fondate sull’origine etnica e religiosa,

incentrato sui settori di intervento di competenza

dell’Unar previsti dal decreto legislativo n. 215 del

2003". Il programma riguarderà in particolare la pro-

mozione dell’adozione, da parte di soggetti pubblici e

privati, di misure specifiche, compresi progetti di azio-

ni positive, dirette alla diffusione dell’informazione

sui temi del contrasto alla discriminazione per razza,

etnia e religione; la diffusione della massima conoscen-

za possibile dei mezzi di tutela disponibili nell’ordina-

mento, anche mediante azioni di sensibilizzazione del-

l'opinione pubblica sul principio della parità di tratta-

mento e la realizzazione di campagne di informazione

e comunicazione; la promozione di corsi di formazione,

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DOSSIER /Memoria

/ P16 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

“Nella Storia la tua condanna”Celebrato a teatro il processo al re Vittorio Emanuele III, che firmò le Leggi del ‘38

Memoria viva, l’impegno delle istituzioni

La Corte decide all’unanimità. LoStatuto Albertino, la legge vigenteallora, dice che la persona del re è“sacra” e “inviolabile” e quindi Vit-torio Emanuele III in un’aula nonci sarebbe finito. Ma resta la “con-danna della Storia”, quella sì netta,per una chiara complicità del so-vrano nella promulgazione e nel-l’entrata in vigore delle Leggi raz-ziste. Si chiudono così due intenseore di dibattimento processuale.Uno spettacolo, certo. Ma in cuiavvocati e magistrati di fama siconfrontano sulle responsabilità diquelle Leggi. E in particolare suquelle del penultimo re d’Italia, albanco degli imputati.Un lungo applauso decreta il suc-cesso de “Il processo”, la rappre-sentazione teatrale voluta dal-l’Unione delle Comunità Ebraichee dalla Presidenza del Consiglio deiministri nell’ottantesimo anniver-sario delle Leggi del ’38. Qualificatala platea che si è raccolta all’Audi-torium Parco della Musica di Ro-ma: in sala tra gli altri la presidentedella Camera Laura Boldrini, la mi-

nistra dell’Istruzione Valeria Fedelie il vicepresidente del Csm Gio-vanni Legnini. E qualificato il par-terre degli attori-giuristi. Paola Se-verino, Giuseppe Ayala e RosarioSpina compongono la corte, pre-sieduta dalla prima, che è rettoree professore di Diritto Penale allaLuiss oltre che ex ministro dellaGiustizia, mentre Ayala è magistra-to ed è stato pubblico ministerodel maxiprocesso di Palermo con-tro la mafia e Spina, anche lui ma-gistrato, è presidente di sezionepresso la Corte d’Appello di Mila-no. Marco De Paolis, che in car-riera ha istruito oltre 450 procedi-menti per crimini di guerra duranteil secondo conflitto mondiale, è ilpubblico ministero; mentre GiorgioSacerdoti, avvocato cassazionista,professore emerito di diritto inter-nazionale alla Bocconi e presidente

David MeghnagiUniversità Roma TreAssessore alla Cultura UCEI

La didattica intorno alla sto-ria e alla Memoria della

Shoah è tra le sfide più complesse con cuiconfrontarsi, perché mette in gioco compe-tenze e specializzazioni diverse: storia e geo-grafia, psicologia e pedagogia, antropologiaculturale, filosofia e letteratura. Per non par-lare della storia della scienza e della medi-cina; del simbolismo religioso,  della storiasociale ed economica, etc. La tragedia della Shoah ha coinvolto l’interaciviltà umana. Non solo i territori in cui si èconsumato lo sterminio, ma anche i luoghiverso cui le persone in fuga cercavanoscampo. Se le armate tedesche non fossero

state fermate a El Alamein, le comunitàebraiche del mondo arabo e lo stesso Yshuv(l’insediamento ebraico nato con il movi-mento di rinascita nazionale ebraica) avrebbesubito un destino analogo a quello riservatoagli ebrei europei. Le camere a gas mobili,sperimentate nel corso dell’avanzata del-l’esercito tedesco sul fronte orientale, eranopronte per essere utilizzate con l’appoggio e ilsostegno dei seguaci del Muftì di Gerusa-lemme, al Cairo e ad Alessandria; a Tel Avive a Gerusalemme come a Damasco e Bagdad ein ogni altro luogo occupato. La Germania nazista avrebbe comunque per-duto la guerra, ma la distruzione dell’ebrai-smo europeo e mediterraneo sarebbe stata

totale. Non a caso nei mesi in cui le truppebritanniche si trovarono in difficoltà, a TelAviv come a Gerusalemme il romanzo diFranz Werfel sullo sterminio degli armeniera tra i più letti. Con la consapevolezza chenon ci sarebbero stati navi dall’Europa chesarebbero venute in soccorso, e che la lottasarebbe stata per una morte diversa, come poiaccadde nel corso della rivolta del Ghetto diVarsavia e in altri ghetti dell’Europa orien-tale.      Si è precisato tutto ciò per sottolineare ladrammaticità della vicenda storica e la di-mensione non esclusivamente europea dellaquestione. Tanto più di fronte alle ricaduteche l’insegnamento dell’odio ha poi avuto

nello sviluppo del negazionismo nel mondoarabo e islamico nel dopoguerra. La didatticasi è dovuta confrontare con gli usi ideologiciche di quella pagina tragica del Novecento sisono fatti, con il racconto e la rappresenta-zione della storia e con le modalità di tra-smissione della memoria collettiva. Ladidattica ha dovuto tener conto delle succes-sive rappresentazioni collettive, come parte diuno scontro fra sistemi e visioni diverse dellapolitica, della cultura e della società, influen-zando dall’interno la storiografia, le scienzesociali, la psicologia, la teologia, l’arte e laletteratura.Gli orizzonti della ricerca, in un primo tempolargamente limitati al periodo bellico, si sono

Buone pratiche per la formazione

Nell’immagine una fase del dibattimento: a prendere la parola è Giorgio Sacerdoti!

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della Fondazione Cdec di Milano,rappresenta la parte civile e neipanni del re troviamo UmbertoAmbrosoli, avvocato penalista, edi-torialista e saggista e già Consiglie-re regionale della Lombardia.“Questa è una serata dedicata allaMemoria” sottolinea la PresidenteUCEI Noemi Di Segni. “La Me-moria di un popolo che si è sempresentito parte di un Paese, la Me-moria di un Paese e delle sue isti-tuzioni; Memoria di una patria,bandiera e identità collettiva”. Levicende evolutive o involutive diquesti legami, aggiunge Di Segni,“sono trascritte e sigillate in alcunifondamentali testi legislativi ai qualidedichiamo questa particolare rap-presentazione teatrale”. Perché leparole, i termini, le virgole, comeinsegnano i giuristi e i giudici, “han-no un significato ben preciso”.Nello spettacolo si scava a fondo,ricostruendo le premesse delleLeggi e il clima di quella partico-lare stagione politica. E in parti-colare la pagina dell’indifferenza edella complicità che fu tra gli altri

scritta proprio da Vittorio Ema-nuele III. E insieme a lui dai tanticittadini italiani, a tutti i livelli, cheabbandonarono gli ebrei al lorodestino. L’attacco è in musica, conl’esecuzione di alcuni brani ineditidel compositore Mario Castelnuo-vo-Tedesco, che per via delle Leggifu costretto a lasciare l’Italia, inter-pretati dal violino di Francesca De-go e dal pianoforte di FrancescaLeonardi.Si entra poi nel vivo del processoe come in ogni processo che si ri-spetti la parola passa ai testimoni.Per l’accusa Carla Perugia DellaRocca, Piera Levi Montalcini, Ani-ta Garibaldi, Federico Carli, Mor-gane Kendregan. Ciascuno, nelproprio vissuto familiare, porta unaferita e una lacerazione. Ma anchela reazione, minoritaria ma signi-ficativa, di quella parte di paeseche disse no. Lorenzo Del Boca,già presidente della FederazioneNazionale della Stampa Italiana eper tre mandati consecutivi del-l’Ordine dei Giornalisti, e l’ex mi-nistro ed ex presidente Istat Enrico

Giovannini illustrano il quadro sto-rico ed economico e le conseguen-ze cui tali Leggi portarono. Unanegazione dei diritti fondamentali,che fu premessa alla Shoah; maanche la fuga di tanti cervelli chescelsero di abbandonare il paesee che, altrove, avrebbero conse-

guito risultati straordinari in mol-teplici campi.Testimoni della difesa sono inveceMatias Manco, avvocato penalista,e Giovanni Rucellai, avvocato delForo di Milano, che descrivonoun re sempre più ai margini men-tre l’asse nazifascista andava raf-

forzandosi. La mancata firma delleLeggi, sostengono, avrebbe com-portato la definitiva esautorazionedel rappresentante di casa Savoiae un imminente colpo di Stato conHitler in pieno controllo dell’Italia,insieme all’alleato Duce, già dal1938. Ed è a questo che si appella

Ambrosoli-Vittorio Emanuele III,convinto nella sua rivendicazionedi aver evitato una guerra civile edi aver scelto “il male minore”.Ma, come dice Hannah Arendt ecome ricorda la Corte nella suasentenza, chi sceglie il male mi-nore “dimentica rapidamente di

aver scelto a favore di un male”.C’è ancora spazio per un’ultimariflessione, del giornalista MaurizioMolinari. Perché la vergogna per-petuò i suoi effetti a lungo, comenel caso di quei solerti funzionaripubblici e baroni universitari che,nell’Italia democratica e repubbli-cana, ostacolarono in tutti i modiil rientro dei docenti e dirigentiebrei cacciati nel ’38. E c’è vergo-gna anche in numerose vicende diesecutori del razzismo fascista chein quell’Italia democratica e repub-blicana non solo furono reintegratima addirittura arrivarono a tenerele redini del suo diritto. Come nelcaso di Gaetano Azzariti, già pre-sidente del Tribunale della Razza,che dal 1957 al 1961 fu presidentedella Corte costituzionale.Cala il sipario, ma non prima diun saluto corale. Sul palco gli in-terpreti del processo, gli artisti, lavoce narrante Marco Baliani, il re-gista Angelo Bucarelli, le autriciViviana Kasam e Marilena CitelliFrancese, la curatrice della partelegale Elisa Greco.

scambi di esperienze e studi e analisi diretti a verificare

l’esistenza e l’eventuale diffusione e trasformazione

dei fenomeni discriminatori anche al fine di elaborare

linee guida o codici di condotta per il contrasto di di-

scriminazioni fondate su origine etnica e religiosa; la

progettazione e la realizzazione di interventi e azioni

di tipo sperimentale che saranno valutate, in relazione

a tutte le differenze di natura etnica e religiosa da ri-

spettare e tutelare.

In quello siglato con il Miur le parti si impegnano con-

giuntamente a creare un portale per la pubblicazione

di buone pratiche italiane per l’educazione alla Shoah

nelle scuole; realizzare mostre itineranti dedicate alle

migliori opere prodotte per il concorso “I giovani ri-

cordano la Shoah”; elaborare un seminario nazionale

di formazione sulle tematiche relative alla Shoah; at-

tivare attività educative negli istituti con il supporto

del Consiglio Superiore della Magistratura

L’UCEI dal suo canto si impegna a sostenere con la pro-

pria collaborazione e consulenza culturale la proget-

tazione delle iniziative in oggetto con particolare ri-

guardo ai contenuti e agli obiettivi congiuntamente

individuati; mentre il Miur a dare comunicazione dei

contenuti del protocollo agli Uffici Scolastici Regionali,

e per il loro tramite alle istituzioni scolastiche, alle

consulte provinciali degli studenti, al forum nazionale

delle associazioni studentesche, al forum nazionale

delle associazioni dei genitori; favorire la diffusione

nel mondo della scuola dei progetti educativi e delle

mostre itineranti elaborate in collaborazione con

l’Unione; favorire la partecipazione di insegnanti, stu-

denti e genitori ai corsi di informazione/formazione

organizzati insieme all’UCEI, soprattutto in materia di

didattica della Shoah; sostenere la realizzazione e la

diffusione di materiali ad hoc (cartacei, filmati o web);

favorire l’organizzazione di viaggi della Memoria in

Italia e all’estero in maniera organica e continuativa;

valorizzare il già citato concorso “I giovani ricordano

la Shoah”; promuovere in ogni sede i lavori e i progetti

di partenariato, le iniziative culturali, didattiche, ac-

cademiche e di ricerca dirette a mantenere viva la Me-

moria collettiva della Shoah, nonché sui correlati temi

dell'antisemitismo, del pregiudizio, del razzismo e del

negazionismo; sostenere e valorizzare le attività e le

iniziative promosse dalla delegazione italiana presso

l’International Holocaust Remembrance Alliance.

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/ P17pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

progressivamente ampliati ed estesi e al pe-riodo di incubazione che l’ha preceduto: laprima guerra mondiale con le sue devastanticonseguenze in ogni sfera della vita pubblicae privata. Senza togliere nulla alla specificitàdi ogni singola fase, gli studiosi hanno estesola loro ricerca a temi della storia culturale dibreve e lungo periodo: il darwinismo sociale el’eugenetica, l’antisemitismo di matrice reli-giosa e quello “razziale”.   Non per caso, il tema della didattica dellaShoah ha stentato a trovare in ambito accade-mico una sua definizione disciplinare e solodagli anni ‘60, con la discussione pubblicainnestata dal Processo Eichmann, ha pro-gressivamente conquistato ambiti che dap-prima erano rimasti ai margini o limitati aicontributi di eccezione di alcuni studiosiebrei di origine tedesca: ad esempio in psico-

logia con gli studi di Stanley Milgram sul-l’obbedienza, in psicoanalisi con un’atten-zione nuova ai temi della testimonianza,nelle scienze sociali, con un rinnovato inte-resse al tema del male. Più recentemente gliapprocci storiografici hanno riposto una at-tenzione maggiore alla dimensione giuridicae psicologico sociale. La complessità delle questioni, con l’istitu-zione del Giorno della Memoria, ha fattoemergere negli insegnanti la consapevolezzadelle difficoltà da affrontare. La sfida mettevain gioco la classificazione delle discipline el’arbitrarietà dei confini. Allo stesso tempoindicava un modo nuovo di fare didattica cheaveva implicazioni per ogni ambito discipli-nare. La sfida della didattica della Shoahaveva implicazioni più vaste che coinvolge-vano ogni ambito del sapere. Anche gli inse-

gnamenti disciplinari non sarebbero statipiù gli stessi. Per queste ragioni nel 2005-2006 fu istituito il Master internazionale diII livello incentrato su una didattica cheavesse un respiro interdisciplinare e facessedialogare studiosi di discipline diverse. Inquesta prospettiva anche gli iscritti potevanoprovenire da specializzazioni diverse, nellaconvinzione che il differente curriculum, dilà delle difficoltà iniziali nella ricezione degliinsegnamenti disciplinari, avrebbe rappre-sentato per i docenti e per il funzionamentodel gruppo classe un valore aggiunto, con ri-cadute inestimabili sulla didattica nellascuola. Si pensi, solo per fare degli esempiconcreti, alle ricadute sugli insegnamentidelle scienze e della biologia. In questa pro-spettiva, i diplomati sono stati in seguitocoinvolti in un vasto progetto avviato dal

Master internazionale di II livello in didat-tica della Shoah in attività di formazione perle scuole che hanno riguardato oltre un mi-gliaio di ragazzi delle seconde e terze mediedelle Regioni Toscana, Lazio e Piemonte, perun anno intero, con test d’ingresso e diuscita per la valutazione delle competenzeacquisite. Il progetto ha coinvolto per laprima volta in Italia studenti di origine ma-grebina di religione islamica, assumendouna sicura e positiva valenza interculturalee interreligiosa, nel rispetto delle culture diorigine e della sensibilità degli studenti edelle famiglie. In questo progetto si è fatto te-soro dell’esperienza di altri Paesi europei,evitando di ripeterne gli errori.L’attività è stata portata avanti con successoe presentata in occasione della Fiera delLibro di Torino nel 2008. 

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DOSSIER /Memoria

/ P18 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

Sicurezza, cooperazione, demo-crazia, Europa. Il 2018 sarà unanno da protagonisti per la di-plomazia italiana che assume laguida dei 57 stati membri dell’or-ganizzazione internazionaleOSCE. E il primo atto di questogrande impegno per la Farnesina,fortemente voluto dal ministrodegli Esteri Angelino Alfano, tro-va spazio proprio a Roma, nelcuore del ministero degli Esteri,con la prima Conferenza inter-nazionale sulla responsabilità de-gli stati, delle istituzioni e degliindividui nella lotta all’antisemi-tismo.Una giornata di incontri interna-zionali al massimo livello che èstato possibile realizzare graziealla collaborazione fra l’Organiz-zazione per la sicurezza e la coo-perazione europea, l’Office forDemocratic Institutions and Hu-man Rights (ODHIR), la fonda-zione Centro di documentazioneebraica contemporanea (CDEC)e l’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane. “Una delle prime re-sponsabilità dell’OCSE, con isuoi Stati membri e gli 11 paesipartner, è quella che concerne ilrispetto dei diritti umani e, diconseguenza, l’impegno control’antisemitismo. L’iniziativa pren-de in considerazione il contestopiù ampio del nostro impegnocontro ogni forma di razzismo,

xenofobia, discriminazione, intol-leranza e crimini d’odio, compre-se le discriminazioni verso cri-stiani e musulmani”. L’ambascia-tore Francesco Maria Talò, a lun-go console generale d’Italia aNew York e amba-sciatore di Roma inIsraele, è stato in-caricato dal mini-stro Alfano, anchesulla base della sua grande cono-scenza del mondo ebraico, di fareda catalizzatore per questa primagrande occasione italiana di po-

litica internazionale sul fronte del-la difesa della democrazia e dellalotta all’antisemitismo.“Lavorare con dei partner in uncontesto multilaterale – commen-ta – è strategico per l’Italia. E

l’esperienza che ilnostro paese ha ac-quisito ci conferisceun credito significa-tivo sul campo in-

ternazionale. Vorrei ricordare chel’Italia è l’unico paese regolar-mente presente con una propriainiziativa allo Yad Vashem in oc-

casione del 27 gennaio e sono or-goglioso che proprio dal Conso-lato d’Italia a New York risuoniormai da anni nella città la voceche ripete i nomi degli ebrei ita-liani assassinati nella Shoah. IlGiorno della Memoria, cui il no-stro paese ha aderito con con-vincimento, ormai non è più solouna data, ma una capillare retedi iniziative. Ma la nostra respon-sabilità non è solo quella di farei conti con la storia, la nostra re-sponsabilità è anche quella di an-dare al di là del dovere di ricor-

dare per tradurre dalla Memoriaun’azione nella dimensione con-creta quotidiana”.Ma l’incontro alla Farnesina, oltrea costituire il modo migliore peravviare questo anno di leadershipitaliana all’OSCE, serve ancheper aprire uno scenario nuovoche caratterizzerà l’intero 2018.Un impegno considerato parti-colarmente rilevante in vista dellaricorrenza dell’ottantesimo anni-versario delle leggi persecutorieantiebraiche volute dal fascismoche aprirono le porte allo ster-minio e alla rovina dell’Italia. De-stinata a riunire delegazioni go-vernative, istituzioni indipendenti,rappresentanti della società civileadottando un criterio fortementeinclusivo, l’architettura della Con-ferenza mette in parallelo alla ple-naria politica, gestita dal ministroAlfano assieme al Segretario ge-nerale dell’Osce Thomas Gre-minger e al direttore dell’ODIHRIngibjörg Sólrún Gísladóttir,un’articolazione in quattro paneltutti incentrati sul concetto di re-sponsabilità. Responsabilità nelruolo dei legislatori, del mondopolitico, della magistratura, delleForze dell’ordine. Responsabilitàdelle confessioni religiose. Re-sponsabilità nell’utilizzo dellepiattaforme digitali. Responsabi-lità della Scuola e del mondo del-lo sport. È proprio la responsa-bilità il dato di raccordo fra azio-ne delle istituzioni e azione deisingoli cittadini che consente ditenere alta la dignità delle demo-crazie e di tutelare al meglio il fu-turo e i valori del mondo libero.

“Responsabilità e impegno”Italia protagonista nell’iniziativa OSCE di coordinamento internazionale sull’antismitismo

Prendersi cura della MemoriaAumenta ogni anno il numero delle pietre d'inciam-

po, le Stolpersteine, l'iniziativa dell'artista tedesco

Gunter Demnig che incorpora in maniera concreta

nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee

la Memoria dei cittadini deportati nei campi di ster-

minio nazisti. Sono decine di migliaia, sui marcia-

piedi di tantissime strade in tutta Europa, e di fron-

te ai portoni, ultima residenza nota, ricordano no-

me e cognome del deportato, insieme all'anno di

nascita, alla data e al luogo di deportazione e, quan-

do è nota, alla data della morte, nei campi di con-

centramento nazisti. Ben presenti a tutti in questa

stagione in cui il pensiero si sofferma sulla Memo-

ria, e quando finiscono sui giornali in occasione

della posa di nuove pietre, sono però lì a ricordarci

di non dimenticare ogni giorno, e anche se chi le

nota non le pesta, anzi, si sofferma e le aggira con

attenzione, è inevitabile che l'ottone si scurisca e

che lo sporco si accumuli.

La manutenzione diventa così, soprattutto in alcu-

ne città tedesche, un progetto a sé, e la responsa-

bilità di pulire e controllare lo stato delle pietre

d'inciampo è parte di un vero e proprio processo

di "Frühjahrsputz", pulizie di primavera. Avvicina-

mento alla Memoria, punto di partenza per progetti

di scoperta della storia, con diverse declinazioni

possibili. Poco sfruttata in questo senso in Italia,

la manutenzione delle Stolpersteine attiva a sua

volta un processo di conoscenza e consapevolezza

potente. In Germania è possibile in alcuni luoghi

farsi affidare alcune pietre, e pulire le Stolpersteine

è un modo per onorare le vittime della furia nazi-

sta, assicurarsi che i nomi siano sempre leggibili,

e che continuino ad attirare l'attenzione, a far 'in-

ciampare il pensiero', come devono fare. È strano

- è stato notato - come le persone passino e guar-

dino. E molto raramente si fermino. Quando lo fan-

no, però - è un racconto comune e condiviso - chie-

dono informazioni, vogliono sapere la storia delle

persone, che escono nuovamente dall'anonimato,

e per un po' non sono solo nomi sul marciapiede.

Quando si allontanano, poi, spesso ringraziano.

a.t.

twitter @ada3v

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L'hashtag, che si sta diffondendo

in maniera virale, è #PaintBack,

e l'obiettivo chiaro: combattere

razzismo, antisemitismo e pro-

paganda contro i migranti con

un uso intelligente di bellezza e

umorismo. Il progetto è nato

grazie a "Die kulturellen Erben",

Il patrimonio

culturale, as-

sociaz ione

fondata dal

trentaset -

tenne berli-

nese di origini turche e libanesi

Ibo Omari. Proprietario di un co-

lorificio, con la sua associazione

si occupa di avvicinare e far in-

teragire giovani di origini diver-

se grazie a una moltitudine di

attività che vanno dall'hip-hop

allo skateboard. Passando ovvia-

mente dalla street-art.

La sua notorietà è dovuta a

quello specifico progetto, #Pain-

tBack, che da qualche anno tra-

sforma le

svastiche in

graffiti co-

lorati spes-

so ripresi

anche sui

social: al-

l'ennesimo

simbolo na-

zista, che

per di più

era com-

parso in uno spazio dedicato ai

bambini, un parco giochi, Omari

è intervenuto. Tutto grazie a un

residente del suo quartiere, en-

trato nel suo negozio per com-

prare una bomboletta di colore:

"Non mi sembrava un graffitaro,

così gli ho chiesto a cosa gli ser-

viva... mi ha spiegato che voleva

coprire una svastica. Non potevo

non intervenire". Così ha chia-

mato a raccolta un gruppo di

amici ed è partito per far sparire

croci celtiche e scritte razziste,

coperte da zanzare, conigli, qua-

drifogli e persino un cubo di Ru-

bik. A Schoeneberg, quartiere

della ex Berlino ovest noto per-

ché vi è nata Marlene Dietrich e

perché vi hanno abitato David

Bowie e Iggy Pop, e dove Omari

ha il suo negozio, punto di rife-

rimento per i graffitari berlinesi:

"Vogliamo mandare un messag-

gio chiaro, forte. Per di più i

graffiti non hanno nulla a che fa-

re col razzismo, sono colore, al-

legria, diversità, è una cultura

che permette ai giovani di espri-

mersi in maniera creativa. E ora

i residenti ci chiamano, chiedono

di intervenire per coprire i sim-

boli dell'odio".

E i giovanissimi, nel laboratorio

dell'associazione, si esercitano,

e imparano a trasformare le cro-

ci uncinate. Una civetta, un gat-

to alla finestra... "Non è difficile

trovare idee - commenta un

adolescente - e mi diverto: le

svastiche non le vogliamo a Ber-

lino, è una città aperta al mon-

do, e voglio difenderla". E il nu-

mero di coloro che hanno deciso

di combattere le svastiche con

#PaintBack continua a crescere.

a.t.

twitter @ada3ves

La parola chiave è responsabilità.Responsabilità dei singoli, di tuttii cittadini. Così come responsa-bilità delle istituzioni e dei go-verni. L’importante giornataOsce dedicata alla lotta all’anti-semitismo serve a chiarire giànei suoi intenti dichiarati chesenza una forte affermazione diresponsabilità per le democrazienon c’è futuro.Responsabile del primo paneldell’incontro, quello tutto dedi-cato alla responsabilità delle isti-tuzioni e dei governi, l’ambascia-tore Sandro De Bernardin, giàambasciatore italiano in Israele,è ben consapevole dell’impor-tante ruolo che la diplomazia ita-liana si assume nell’anno da pococominciato. Certo la guida del-l’Osce, ma anche, ormai manca-no poche settimane, l’avvio dellapresidenza italiana dell’Interna-tional Holocaust RemembranceAlliance (IHRA), che propriosotto la guida del diplomaticoitaliano prenderà il via all’iniziodi marzo con una solenne ceri-monia a Berlino.Un gruppo di lavoro destinato achiamare in prima persona aconfronto funzionari governativied esperti dei 57 paesi aderentiall’Osce e degli 11 paesi partner.Proprio questa straordinaria lar-ghezza di partecipazione – spie-ga De Bernardin – serve a capirecome su questo tema delicato dicombattere l’odio e l’antisemiti-smo il ruolo di una grande or-ganizzazione internazionale co-me l’Osce e dell’Ihra, che ha unnumero di paesi partner più ri-

stretto e più omogeneo possa es-sere diverso e complementare.“Uno dei temi di spicco, quandosi fa riferimento al concetto diresponsabilità degli stati e deigoverni – aggiunge il diploma-tico – è confrontare i modelli ele possibili procedure nell’iden-tificazione e nella classificazionedei problemi. In queste organiz-zazioni ci troviamo alle presecon modelli politici differenti,con apparati legislativi differentiche sono stati ideati per perse-guire i reati di odio e discrimi-

nazione. E non possiamo dimen-ticare le diversi esigenze di darerisposte precise al diritto di si-curezza delle realtà ebraiche inEuropa”.Prevenire l’antisemitismo e ri-spondere con durezza ed effica-cia a ogni azione criminale. “So-no dilemmi – aggiunge l’amba-sciatore spiegando il filo condut-tore del panel a lui affidato – chedevono essere calibrati fra il ri-spetto della legge e l’obbligo del-la morale”.E se in questo anno di forte im-

pegno italiano sul fronte delladifesa della democrazia e dellalotta all’odio sarà possibile tro-vare una convergenza einnescare un circolovirtuoso, questo verràproprio dalla possibi-lità di identificarenuovi standard condi-visi. Per raggiungere unrisultato effettivo è importanteche il sistema Italia metta al ser-vizio della collettività internazio-nale le esperienze acquisite e co-stituisca un esempio di buone

pratiche. “In pratica quello checonta – conclude De Bernardin– è ricordare che il discorso nonsi gestisce solo con manifesta-zioni formali e che non si chiudeil 27 gennaio. Che si tratta diguardare molto più avanti al finedi raggiungere una collettiva as-sunzione di responsabilità”.Guardando oltre in un annodenso di impegni, c’è da ricor-dare le due grandi conferenzeinternazionali dell’Ihra in pro-gramma per la primavera e l’au-tunno a Roma e a Ferrara e insettembre il ricordo dell’infamediscorso pubblico tenuto a Trie-ste con cui Mussolini annunciòl’avvio della legislazione antie-braica in Italia. Con un marcatoaccento posto dall’Osce sul fron-te della lotta all’odio antiebraicoe le altre date che scandirannoun 2018 denso di impegni per ladiplomazia italiana, il banco diprova della giornata alla Farne-

sina serve per rivendicareal nostro paese un ruoloda protagonista sulfronte della protezionedei diritti e delle libertà

e serve a fare dell’Italiail terreno di confronto e

di scambio d’esperienze fra tuttii governi e fra tutte le istituzioniimpegnate nella difesa degli idea-li di democrazia e valorizzazionedella diversità.

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/ P19pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

Educare per meglio prevenire All’Italia la presidenza 2018 dell’International Holocaust Remembrance Alliance

Una bomboletta contro razzisti e antisemiti

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ti successi cheavrebbe potutomettere in luce (lanascita di un consi-derevole gruppo in-

dustriale, l’instancabile attività dibenefattore, le attività per la gio-ventù e gli anziani della Fonda-zione da lui voluta e finanziata)il museo accoglie il visitatore conla logora casacca a righe da in-ternato che Brovedani aveva con-servato. I suoi ricordi della depor-tazione, la denuncia contenutanelle sue memorie, tradotte in piùlingue e a disposizione per suovolere anche in ebraico, aiutanoa capire meglio quello che vienericordato come l'imprenditoreche si era fatto da sé, il benefat-

tore di tanti bisognosi e anche co-me l'eccentrico personaggio inbermuda diviso tra il lavoro, ilmare del golfo e le Alpi Giulie.La ricerca storica sulla permanen-za di Brovedaninei campi di con-centramento haconsentito di sco-prire documentiora disponibili peril visitatore insie-me al diario e aglialtri riferimentiche consentono di marcare ildrammatico momento dell’arrestodi un uomo, figlio di madre ebreache nella città occupata dai nazistie annessa al Reich finì per esseredeportato sulla base di una spiata

in quanto oppositore politico.Nella Fondazione che porta il suonome si racchiude oggi tutta lavita di un uomo, che, dopo averraggiunto l’apice della sua attività

creativa e pro-du t t i v a

nell’indu-stria che aveva creato con le suemani, si è voluto ricordare di quel-la che era stata la sua base di par-tenza ardua, difficile e sofferta,che lo indusse, in uno slancio di

umana solidarietà ed altruismo, avoler risparmiare a quanti più gio-vani poteva le sue sofferenze e of-frire loro la sua esperienza per af-frontare la vita con quella serenitàe sicurezza che a lui erano man-cate.

Nato in una mode-sta famiglia, com-posta dal padreGiovanni, impiega-to comunale, dallamadre, Noemi Mo-ravia, casalinga e

dalle due sorelle maggiori si im-pegnò fortemente negli studi finoa quando, fu costretto ad inter-romperli per aiutare, con il suolavoro, il padre che non riuscivaa sostenere la famiglia. Prima “ga-

La sua testimonianza della depor-tazione si aggiunge alle altre nu-merose che in questi anni abbia-mo imparato a conoscere. Senzala pretesa di essere uno storico,né un grande scrittore, ma solola chiara voce di denuncia di unsopravvissuto, il suo libro Da Bu-chenwald a Belsen non suscita gliappetiti editoriali della macchinadi produzione che è cresciuta inquesti ultimi anni attorno al Gior-no della Memoria. L’industrialetriestino Osiride Brovedani (1893-1970) è rimasto in definitiva unmistero per tutti. Taciturno, dotato di una perso-nalità complessa, forgiata dalleesperienze gravi di una vita diffi-cile, oggi l’apertura al pubblicodella sua modesta abitazione divia Leon Battista Alberti riportaalla luce il suo esempio. Si tratta di un piccolo museo sen-za fronzoli, proprio nel segno del-la semplicità dell’uomo che vissee lavorò in quei lo-cali. E di un ritornoalle origini.È in quello stabile,infatti, che tutto eb-be inizio. È lì cheOsiride abitava conla moglie Fernanda,ed è nel salotto dicasa sua che rice-veva per gli appuntamenti di la-voro, trasformando il tavolo dellasala da pranzo in scrivania. Masoprattutto, è nello scantinato chenacque la Fissan, il celebre mar-chio che impose in tutte le fami-glie la pasta protettrice per le pellidelicate dei bambini, nel 1930.Al di là del suo leggendario un-derstatement, del suo culto per ladiscrezione, infatti, Brovedani fuun grande industriale, ma fu so-prattutto una persona che la de-portazione segnò in maniera in-delebile. Fra le tante glorie e i tan-

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DOSSIER /Memoria viva

/ P20 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

Brovedani, il coraggio del signor Fissan La casa-museo dell’industriale triestino svela le ferite della deportazione e l’altruismo di un animo nobile

BrovedaniDA BUCHENWALD

A BELSEN

Durante la prigionia un suo compagno di sventura, poi amico,

gli diceva che quelle note di diario che prendeva di tanto in

tanto un giorno avrebbe dovuto pubblicarle. A insistere con

Brovedani era l’inventore di Don Camillo e Peppone, il grande

scrittore Giovannino Guareschi. Solo dopo la sua morte il

manoscritto venne pubblicato dalla Fissan per onorarne la

memoria e, stampato in decine di migliaia di copie, distri-

buito a tutti i farmacisti e molti medici italiani.

Ma gli amici veri di Osiride Brovedani lo ricordano ai piedi

della statua di bronzo che lo riporta al centro del Campo

San Giacomo, la piazza del rione più popolare della città giu-

liana, roccaforte degli operai e dei portuali e teatro nel 1920

delle furiose proteste che la criminale amministrazione ita-

liana scelse di prendere a cannonate, compiendo una strage

di innocenti e aprendo le porte al fascismo. Brovedani un

monumento non l’avrebbe mai desiderato. Eppure oggi la

sua ombra riprende il suo passo bizzarro e trasandato, la

sua mano, sempre pronta ad aiutare in silenzio la gente co-

mune, impugna di nuovo quella borsa di cuoio consumato

che si diceva potesse contenere tutto il suo ufficio.

Quando Guareschi gli disse: “Il tuo diario va pubblicato”

Alcune immagini della casa-museo, in via Leon Battista Alberti !

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È grazie a un ritrovamento for-tunato che il Museo Revoltelladi Trieste può offrire al pubblicouna mostra eccezionale: "ZoranMušič. Occhi vetrificati" presentainfatti ventiquattro opere perlunghi anni date per disperse.L'artista, nato nel 1909 a Buko-vica - oggi Slovenia, allora Im-pero asburgico - per anni nonera più riuscito a misurarsi conl’angoscioso ricordodel lager, e si era de-dicato a raccontareVenezia e i paesaggidalmati. In una seriedi opere dell'iniziodegli anni Settanta(l'artista è mancatoproprio a Venezianel 2005), intitolataNoi non siamo gliultimi, Mušič eratornato a trasforma-re l'orrore della pri-gionia nel campo diconcentramento diDachau in docu-menti di una trage-dia universale, maera una rielaborazione, arrivataa decenni di distanza dalla suaesperienza. Quanto esposto alRevoltella, invece, è un corpusdi opere a matita e carboncinosu carta di recupero, disegnatedurante la prigionia, che trasfor-mano anche il museo nell'entepubblico detentore del più co-spicuo numero di suoi lavori sultema della deportazione.

Il professor Franco Cecotti, cuisi deve la scoperta, ha spiegatodi aver individuato le opereesposte negli archivi dell'Anpilocale, dove si trovavano insiemead altri documenti in una tren-tina di pacchi legati con lo spa-go. Grazie all'interessamento del-la Soprintendenza ai Beni archi-vistici della Regione è iniziatauna sistemazione del materiale,

che ha portato alla mostra al Re-voltella. Arrestato a Venezianell’ottobre ’44 dalle SS, portatoa Trieste, si era ritrovato nellecelle della Gestapo, nel sotterra-neo del palazzo di piazza Ober-dan, accusato di aver collaboratocon un’organizzazione clande-stina. Durante la deportazione a Da-chau, dove restò per sette mesi,

riuscì a ritrarre segretamente lavita del campo correndo enormipericoli. Disegnando quasi intrance, in condizioni estreme,cercando con ogni mezzo di li-berarsi dall'orrore, ha ritratto ca-taste di cadaveri. Cadaveri amucchi, a pile, corpi e volti diuomini che erano stati compagnidi prigionia, disegni in cui si co-glie ancora l’urgenza di allonta-

narsi dall’incubo chelo avrebbe segnatoper sempre.“I 24 disegni diMušič, vero tesorod’arte e di storia, do-po l’esposizione re-steranno in depositonelle nostre colle-zioni - ha sottolinea-to la curatrice dellamostra Laura Carli-ni Fanfogna, diret-trice del Servizio Ci-vici Musei e Biblio-teche del Comunedi Trieste - Sarannoaffiancati dalla vide-ointervista rilasciata

20 anni fa in occasione della suamostra alla Risiera di San Sabba,in cui aveva rievocato la depor-tazione a Dachau. Con l'occa-sione abbiamo voluto anche do-cumentare la realtà di quello edi altri campi di sterminio attra-verso una selezione di immaginiche l’USIS-United States Infor-mation Service vi realizzò all’ar-rivo delle truppe alleate". a.t.

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/ P21pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

Gli occhi vetrificati Tornano alla luce gli strazianti appunti ritrovati di Zoran Music

loppino tuttofare” al giornale quo-tidiano “Il Piccolo”. In seguito,grazie alla sua versatilità ed intel-ligenza, riuscì a passare da “cor-rettore di bozze” a “critico d’arte”nel glorioso quotidiano socialistatriestino “Il Lavoratore”, che me-glio esprimeva i suoi ideali. Nelfrattempo non smise di studiareper conto proprio, spinto da unagrande curiosità di conoscere edi sapere. Il giornale lo inviò spes-so a Vienna come corrispondenteed ebbe così l’opportunità di mi-gliorare la conoscenza della linguatedesca, approfondendo inoltre ilsuo amore per la letteratura te-desca.Nel 1930 passò dal giornalismoad un altro lavoro: a una Fiera diMilano, il celebre ricercatore Ar-thur Sauer, inventore della pastaprotettiva Fissan (il nome è unasintesi latina “Fissuram Sanare”:sanare le screpolature) gli proposedì diventare rappresentante pertutta l’Italia dei suoi prodotti. Ac-cettò il rischio di introdurre e pro-pagandare una novità assoluta.Gli inizi furono difficilissimi, mala sua capacità, la sua volontà diaffermarsi superarono ogni sco-glio. In quaranta anni, nonostantela ferita della deportazione, fece

della sua piccola ditta un’industriadi importanza nazionale nel cam-po dei prodotti per l’igiene deibambini.Aiutava i deboli e nel tempo li-bero, oltre a dedicare le sue at-tenzioni ai gatti del rione, si oc-cupava di fotografia sviluppandole foto da solo, in un laboratorioallestito in casa. Non amava ap-parire né sentirsi protagonista, equando era costretto a parteciparea incontri pubblici sedeva in ul-tima fila. La sua rinomata umiltàsi rifletteva sull’aiuto silenzioso al-le persone in difficoltà, a cui fa-ceva giungere ragguardevoli som-me, avendo cura che non cono-scessero mai il nome dell’ignotobenefattore.Brovedani non si limitò ad essereil titolare della sua ditta: divennechimico, tecnico, propagandistamedico, pubblicitario, venditoree… distributore. La Pasta di Fis-san veniva inserita in tubetti di al-luminio e confezionata in astuccimuniti dell’immancabile bugiar-dino. Il lavoro era affidato alle fa-miglie del rione operaio di SanGiacomo. La merce veniva con-segnata e poi ritirata dallo stessoBrovedani. Immancabilmente in bicicletta.

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Un giornale libero e autorevole può vivere solo grazie al sostegno dei suoi lettori

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po media (Figura 1), le nuoveproiezioni fino all'anno 2065mostrano che il traguardo di 10

milioni di abitanti sarà rag-giunto in Israele nei primi anni'20 di questo secolo, ossia fra

pochi anni; 15 milioni potrebbe-ro essere raggiunti alla fine de-gli anni '40; e 20 milioni negli

anni '60. Queste cifre non han-no mancato di allarmare gliecologisti, guidati da Alon Taldell'Università di Tel Aviv, chein un suo recente libro si chiedecome sarà possibile trovare spa-zio per tante persone e racco-manda una drastica riduzionedel ritmo di accrescimento dellapopolazione israeliana. Il pro-blema è complicato dal fatto chela popolazione israeliana non èomogenea ma si compone digruppi differenti ognuno conun suo profilo culturale e de-mografico e un ritmo di accre-scimento diverso. I ritmi dellademografia sono ben più com-plessi di un rubinetto dell'ac-qua che si può aprire e chiude-re. Le nuove proiezioni mostra-no di fatto che una quota cre-scente della popolazione ebraicarifletterà la crescita più rapidadella componente Haredi (mol-to religiosa). La quota di Hare-dim nella popolazione ebraicatotale aumenterà da 14% nel2015, a 28% nel 2045, e 40%nel 2065. La popolazione arabaisraeliana manterrà invece lasua attuale quota del 21% deltotale con aumenti minori nellungo periodo. Se ora guardia-mo all'intero territorio di EretzIsrael fra il Mare Mediterraneoe il Fiume Giordano, ricerchecondotte all'Università di Ge-rusalemme indicano che la po-polazione aumenterà rapida-mente sia in totale, sia all'in-terno di ciascuna delle duecomponenti, Israele e l'AutoritàPalestinese. Entro la metà del21° secolo, gli ol-

L'Ufficio Centrale di Statisticadi Israele (CBS) – ente statalenoto per la sua impeccabile re-putazione e indipendenza – harecentemente pubblicato unanuova serie di proiezioni demo-grafiche della popolazione israe-liana fino al 2065. All'inizio del 2018 la popola-zione israeliana totale ammontaa circa 8,8 milioni di abitanti,di cui 6.600.000 ebrei, 400.000non-ebrei membri di famiglieebraiche per la Legge del Ritor-no (ossia una popolazioneebraica "allargata" di 7 milio-ni), e 1.800.000 arabi, con Ge-rusalemme Est, il Golan, e i re-sidenti israeliani negli insedia-menti della Cisgiordania. Sonoesclusi da questa cifra gli abi-tanti palestinesi della Cisgior-dania e della zona di Gaza. Unaproiezione naturalmente non èuna profezia: è semmaiun'estrapolazione delle vicendenote della società e delle ten-denze di mutamento già in cor-so nei comportamenti familiari,nei livelli di salute, e nelle mo-bilità migratorie. Al fine di in-corporare mutamenti importan-ti che non sono per il momentofacilmente pronosticabili, si usacalcolare una gamma di scenariche attorno alle tendenze proba-bili costruiscono un cospicuomargine di variazione versol'alto o verso il basso. Si creacosì un ventaglio di ipotesi: al-ta, media e bassa, che indicanol'ambito plausibile di ciò chepotrebbe avvenire nei prossimidecenni. Ciò che non si usa in-trodurre nelle proiezioni demo-grafiche sono elementi catastro-fici e non graduali, come guerremondiali, epidemie disastrose,incontri con meteoriti, e simili.Su questi temi si possono sbiz-zarrire le fantasie degli scritto-ri, anche se in realtà ogni tantosimili avvenimenti imprevisti edirompenti effettivamente av-vengono. Un esempio abbastan-za recente di un avvenimentoimprevisto è stato il crollo del-l'Unione Sovietica che ha avutonotevoli conseguenze per ilmondo ebraico e per il mondoin generale. Entro questi limitie seguendo un'ipotesi di svilup-

/ P23pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

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OPINIONI A CONFRONTOOPINIONI A CONFRONTO

Nel novembre 2016 (meno di duemesi prima di morire) ZygmuntBauman tiene una lezione sullafine del mondo al Centro per l’ar-te contemporanea Luigi Pecci diPrato. In quelle pagine che ora si leggo-no in un libro (L’ultima lezione,con un’introduzione di WlodekGoldkorn, Laterza, introduzioneche si potrebbe considerare comeun contributo a quella storia

dell’altro mondo ebraico, quellolaico in cerca di composizione del-la propria identità, eche ancora attende ilsuo storico) uscito inlibreria una settimanafa, a un certo puntoBauman osserva chel’incertezza è “la sen-sazione di non poterprevedere come sarà ilmondo quando ci sve-glieremo la mattina se-guente”. E conclude:“Il mondo ci cogliesempre di sorpresa,impreparati per il fu-turo”.È un’osservazione saliente che il-

lumina i percorsi mentali dell’ul-timo Bauman e che è ciò che ci la-

scia in eredità. Negli stessi mesile linee generali di quella labora-

torio concettuale sono proposti inRetrotopia (Laterza 2017), l’ul-

timo libro compiuto acui Bauman abbiamesso mano prima dimorire. Bauman è con-vinto che futuro e pas-sato si siano scambiatii ruoli. Il futuro ci spa-venta, dice, perché lopercepiamo come unaretrocessione, comeperdita della possibilitàdi avanzamento perchénon siamo in grado dicontrollarlo. E comun-que dal futuro ricevia-

mo immagini che non ci piaccio-no, immagini di

Il vuoto che Zygmunt Bauman ci ha lasciatoDavid BidussaStorico sociale delle idee

Sergio Della Pergola UniversitàEbraica di Gerusalemme

/ segue a P27

/ segue a P24

Arabi

Totale

Ebrei allargata

Ebrei non Haredim

Ebrei Haredim

25.000

20.000

15.000

10.000

5.000

0

2015

2025

2035

2045

2055

2065

Figura 1. Popolazione dello stato di Israele, 2015-2065 – Ipotesi media!

Ebrei allargatamedia totale

Ebrei allargatacorretta

Arabi totale Israele+territori

Haredim media

Haredim bassa

Arabi in Israele

18.000

16.000

14.000

12.000

10.000

8.000

6.000

4.000

2.000

0

2015

2025

2035

2045

2055

2065

Figura 2. Popolazione di Israele, Cisgiordania e Gaza, 2015-2065 – Ipotesi diverse!

Israele, il futuro demografico nelle mani dei Haredim

Zygmunt Bauman!

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/ P24 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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OPINIONI A CONFRONTOE

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L’illusione degli odiatori

Francesco Moises Bassano

Dopo la manifestazione d'odio avvenuta qualche settimanafa a Milano, a Parigi nell'anniversario della strage dell'Hy-percacher alcuni negozi ebraici vengono vandalizzati o datialle fiamme – tra cui uno di proprietà di un musulmano! -,a Djerba in Tunisia durante le proteste antigovernative ven-gono attaccate le sinagoghe locali, in West Bank un cittadinoisraeliano viene assassinato mentre era alla guida della propriaauto. Potrei aggiungere altri fatti recenti anche per contro-bilanciare l'antisemitismo arabo, come per esempio il prin-cipale giornale di Puerto Rico, El Nuevo Dìa, il quale asse-risce che se gli Usa non hanno aiutato abbastanza la propriacolonia dopo le devastazioni dell'uragano Maria è a causadegli ebrei di Wall Street e della politica filo-israeliana diTrump. Qualcuno poi potrebbe controbattere che la sofferenza quo-tidiana del popolo palestinese sarebbe ben peggiore di questiepisodi, come di qualunque altro. Questo è in definitiva sem-pre un leitmotiv ripetuto quando viene affrontato il conflittoisraelo-palestinese, che però per la maggioranza dei casi cheho citato non c'entrerebbe (e non dovrebbe c'entrare) proprioniente. Ciò che rimane certo è che chi ritiene che attaccandogli ebrei della diaspora o i cittadini israeliani pensa in talmodo di aiutare il popolo palestinese o di sostenere unacausa è soltanto un illuso, se non propriamente un dementeo peggio. Questo non è altro che il miglior modo per acu-tizzare e ampliare a livello globale un conflitto, favorendoancora ostilità e estremismi vari, senza nessuna prospettivarisolutiva all'orizzonte. Sembra quasi un'ovvietà, ma alloraperché è così difficile da comprendere?

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane

Registrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 – Codice ISSN 2037-1543

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“PAGINE EBRAICHE” É STAMPATO SU CARTA PRODOTTA CON IL 100 % DI CARTA DA MACERO SENZA USO DI CLORO E DI IMBIANCANTI OTTICI. QUESTO TIPO DI CARTA È STATA FREGIATA CON IL MARCHIO “ECOLABEL”, CHE L’ UNIONE EUROPEA RILASCIA AI PRODOTTI “AMICI DELL’AMBIENTE”, PERCHÈ REALIZZATA CON BASSO CONSUMO ENERGETICO E CON MINIMO INQUINAMENTO DI ARIA E ACQUA. IL MINISTERO DELL’AMBIENTE TEDESCO HA CONFERITO IL MARCHIO “DER BLAUE ENGEL” PER L’ALTO LIVELLO DI ECOSOSTENIBILITÀ, PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E STANDARD DI SICUREZZA.

DA STRANIERI A RESIDENTIL’idea che il popolo ebraico nonsia autoctono è indiscutibilmen-te biblica. Offrendo le primizie(bikkurim) dei prodotti del suoloal sacerdote, l’israelita dichiaradi essere entrato (ki-bati: Dt26,3) nel paese che Dio ha giu-rato ai padri di dare alla loro di-scendenza. M. Buber ha eviden-ziato il ruolo formativo che unatale dichiarazione ha per la co-scienza (todaah) di ogni israelitaresidente in terra di Israele. Lacondizione di estraneità (gerut)ha così impresso il suo tratto in-delebile sulla coscienza di Israe-le. Già ad Abramo fu preannun-ciato che i suoi discendenti sa-rebbero stati stranieri (gerim)“in un paese non loro” (Gn15,13). Stranieri, perché inEgitto; fuori-luogo appunto,perché in un paese non loro. Ra-shi (1040-1105), il grande ese-geta ebreo medievale, definiscelo straniero (ger) biblico nel mo-do seguente: “L’espressione gersignifica ogni volta un uomo chenon è nato nello stesso paese(medinah) ma proviene da unaltro paese per abitare là (kol la-shon ger adam lo nolad be-otahmedinah ella ba mi-medinahacheret lagur sham)” (Rashi suEs 22,20). Lo straniero, dunque,è il forestiero che viene da fuoriper abitare (lagur) temporanea-mente, in modo non definitivo,in un paese non suo. La Hagga-dah racconta che Giacobbe nonscese in Egitto per impiantarvi-si, per risiedere là in pianta sta-bile (lehishtaqea), ma per abitar-vi (lagur sham). Egli e i suoi fi-gli abitarono in Egitto comestranieri (ke-gerim). I padri fon-datori di Israele furono tuttistranieri (gerim). Nel suo impo-nente studio dal titolo The Reli-gion of Israel (New York, 1960),Y. Kaufmann pone l’epoca deipadri (tequfat ha-avot), prece-dente l’Esodo, sotto il segno del-l’estraneità dello straniero: “Latradizione biblica inizia la storiaisraelitica con l’epoca dei pa-triarchi, un’epoca di peregrina-zioni e di spostamenti della du-rata di quattro o cinque genera-zioni. I patriarchi sono descritticome capi di grandi nuclei triba-li. Quello che caratterizza la lo-ro condizione è il loro stato di

gerim (protected aliens)” (p.216). L’Egitto sigilla in modopermanente la loro esperienzaponendo tale condizione diestraneità come elemento basila-re e formativo (meatzev) dellacoscienza di sé di coloro che do-vranno diventare i futuri citta-dini della terra di Israele. Signi-ficativo è ancora il nome sceltoda Mosè per suo figlio Gershom(Es 2,22) - scelta che inscrivenella memoria e nell’identità latraccia indelebile della propriaestraneità. Come accade con ilricordo della schiavitù in Egitto(Es 21; Lv 25; Dt 15), lo stessoaccade con il ricordo del sog-giorno da stranieri in quel paesenon loro. Una volta entrati nellaterra promessa ai loro padri, i fi-gli di Israele dovranno tradurloe renderlo operativo. Dalla co-scienza di non essere autoctonideriva un modo diverso di rap-portarsi allo straniero che risie-de sulla loro stessa terra. Essaaccomuna lo straniero e il citta-dino. Per questo la Torah richia-ma ripetutamente ai figli diIsraele le loro origini straniere.Per non soccombere all’orgoglioche nasce dalla condizione di sa-persi padroni in casa propria.Pure loro, i figli di Israele, sonodi ceppo straniero sulla terra cheDio gli ha destinato. La presen-za stessa dello straniero tra i fi-gli di Israele è dunque per loroun costante rinvio alla propriastoria e costituisce un appellopressante a rispettare i suoi di-ritti. È la memoria del soggiornoin Egitto a imporre i doveri del-la giustizia alla coscienza ebrai-ca: “Non lederai il forestiero enon lo opprimerai poiché voi sie-te stati stranieri in Egitto (ve-ger lo toneh ve-lo tilchatzenu kigerim heitem be-eretz mit-zraim)” (Es 22,20). Non si trat-ta di un atto di misericordia sol-tanto, ma di un imperativo digiustizia. Esigenza di giustiziada articolarsi in norme. E quimi fermo, senza entrare nel me-

rito dei diritti e dei doveri dellostraniero-residente (ger toshav)e del cittadino (ezrach) israelita,un tema assai complesso da af-frontare, se non si vuole pre-scindere dai rapporti di forza, enon si vuole pagare l’esoso pe-daggio esigito dalla modernità. Per concludere. L’esperienzadell’estraneità (gerut) è partedel dna di Israele. Stranieri fu-rono i padri e stranieri furono iloro discendenti in Egitto. Laconsapevolezza generata nei fi-gli di Israele è tale da inaugura-re nella terra stessa dei padriuna cittadinanza ‘paradossale’.In questo consiste propriamentela dimensione politica della ge-rut. Dimensione che Israele è te-nuto a incarnare con un mododi abitare ‘altrimenti’ la terrache da Dio ha ricevuto in pos-sesso: da straniero in casa pro-pria (keger baaretz). Situazionepiu paradossale ancora di quelladi Abramo. Egli, infatti, fu asua volta straniero-residente(Gn 23,4: ger we-toshav). Ma seil luogo per lui era giusto -Abramo è l’ebreo (haivrì: Gn14,13) e il luogo è la terra degliebrei (eretz haivrim: Gn 40,15)– non lo era ancora il tempo.Suo era il tempo della residenza(toshavut) e non della cittadi-nanza (ezrachut).

DA RESIDENTI A CITTADINIPensatori ebrei come H. Cohen,F. Rosenzweig, E. Levinas, J.Derrida e altri ancora, hannofatto dello straniero il punto dipartenza di una riflessione cheinveste criticamente una conce-zione di cittadinanza basata sul-l’appartenenza e sul radicamen-to. Essi avevano di mira i nazio-nalismi xenofobi e i fanatici pa-triottismi. Ma tutti loro, ciascu-no a suo modo, hanno deterrito-rializzato radicalmente l’esi-stenza ebraica. H. Cohen lo hafatto in nome della missioneuniversale che Israele ha da

retrocessione. Per questo preferia-mo rifugiarci nel passato. Ma ancora quel viaggio nel pas-sato è soprattutto un’illusione.“Il passato è immaginario quantoil futuro – scrive in L’ultima le-zione – Non siete stati nel futuroe non lo conoscete, ma non sietestati nemmeno nel passato. Potete solo leggere libri sull’argo-mento, che però difficilmente pos-sono restituire le sensazioni diuna vita realmente vissuta nel

passato” [p. 15].E altrove aveva scritto: “Ricorda-re è interpretare il passato; o, piùcorrettamente, raccontare unastoria significa prendere posizio-ne sul corso degli eventi passati”[pp. 42-43].Bauman ci ha lasciato, un annofa (era il 9 gennaio 2017) su que-sta soglia.Al centro stava una questione cheprobabilmente innerverà un seg-mento rilevante del nostro futuroprossimo. Il tema è la nostalgia, il

RanieroFontanaFilosofo

BIDUSSA da P23 /

Stranieri, residenti, cittadini

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OPINIONI A CONFRONTO

svolgere tra le genti; F. Rosen-zweig in nome del carattere me-ta-storico di un Israele eterno;E. Levinas in nome dell’esigen-za etica e della sua priorità; J.Derrida in nome dell’ospitalità.Per Avi Sagi, tutti costoro sa-rebbero parimenti interpreti diuna tradizione tipicamente esili-ca (galutit) che, di fatto, è assailontana dalla tradizione biblicache rivendicano per sé. Ma an-cora più velleitaria è DonatellaDi Cesare nel suo ultimo libroStranieri-residenti. Una filoso-fia della migrazione (Torino2017). Ella vuole spingersi benoltre le esitazioni degli altri.Sovverte in modo arbitrario lecategorie bibliche dello straniero(ger) e del cittadino (ezrach), in-vertendone i significati, quandovede nel primo il cittadino spe-rato e nel secondo uno stranieroalienato. L’autrice vorrebbe tra-durre in politica la visione in-clusiva di uno spazio comunenel quale tutti sono ospiti ditutti, sempre in nome di unacittadinanza autentica che coin-cide, appunto, con l’ospitalità.Ella si propone di uscire final-mente dall’impasse tra etica epolitica. Vuole abbattere la con-vinzione che l’ospitalità, oltre aessere impossibile, sia circoscrit-ta all’etica, alla morale (p. 230).Il diritto non si deve arrestare alconfine dello Stato. Ma può an-cora chiamarsi politica quellache si esaurisce nel puro gestodell’accoglienza indiscriminatadell’altro, lo straniero, e non sipreoccupa affatto delle conse-guenze che potrebbe avere? Chenon assume ora la responsabili-tà del dopo? Ella scrive: “Maquel che sarà appunto in segui-to, non può essere previsto nédeterminato anzitempo e non hanulla a che fare con il gestodell’accoglienza che fa postoall’altro” (p. 247). A me sembrache non sia solo lo Stato, il suobersaglio preferito, a non potersipermettere il rischio di un com-portamento avventato. L’ospita-lità ha essa pure le sue leggi e isuoi cerimoniali. E una loro os-servanza che volesse prescindere

dal contesto e dalle situazioni,potrebbe avere un prezzo spa-ventoso, come, per esempio, ilsacrificio delle figlie preconizza-to nella storia di Lot (Gn 19).Guarda caso, C. Di Sante, nelsuo libro Lo straniero nella Bib-bia. Ospitalità e dono (Milano2012), mentre annovera l’episo-dio tra le ‘pagine stupende’ dellaBibbia sull’ospitalità allo stra-niero, tace però sulle figlie e sor-vola sull’offerta crudele del pa-

dre (pp. 18-19). Di grave non cisarebbe che la tentata violenzadei sodomiti nei confronti deidue ospiti illustri - tanto illustrida rendere forse sopportabilequalunque prezzo? Questo libro,sintomatico dell’effetto-valangacausato dall’opera di E. Lévinas,compare nella bibliografia dellaDi Cesare. Proprio l’ebraismo, dicui l’autrice si vorrebbe autenti-ca portavoce (ma ho il fondatosospetto che in questo ambitol’ebraismo si riduca per lei a S.Trigano e alla sua nota ossessio-ne per le dicotomie paoline), in-segna la misura e non perde maidi vista la realtà. Lei vorrebbedar voce agli stranieri in carne eossa che popolano le nostre città.Non vuole passare attraverso laretorica dello Straniero con la ‘s’maiuscola o dell’Altro con la ‘a’maiuscola. Ma la voce che ascol-

tiamo, quando ci parla, tra i tan-ti, di M. Heidegger e di H.Arendt, è esclusivamente la sua.Ho insomma la netta impressio-ne che a monte del suo discorsosullo straniero ci sia la ‘logica dipolarizzazione’ di cui ha scrittoZ. Bauman nel suo libro La so-cietà dell’incertezza, (Bologna1999; 2016): “Il chiasso e loscalpore arrivano da altre zonedella città” (p. 71); le stesse chelei ha tutta l’aria di non frequen-

tare: “Non c’è straniero (zar) danoi, in casa” (1Re 3,18). Quantosia astratta e velleitaria bastereb-be a illustrarlo il suo giudizio

sulla riflessione dedicata allostraniero di A. Schütz (pp. 152-153), il quale, proprio perchéesule lui stesso, testimonia e co-munica la sua esperienza ancheattraverso il gergo tecnico dellasua disciplina, cosa che gli riescebene, risultando, lui sì, credibile.La tradizione biblica insegna chelo straniero (ger) che vive in ter-ra di Israele è il non-ebreo (goy).E tale resta. Il fatto di esserestraniero non lo fa diventareebreo. Mentre l’ebreo in terra diIsraele è cittadino (ezrach) (Es12,49; Lv 16,29; 18,26; 19,34;24,16.22, ecc.) e non straniero.Egli è ‘cittadino della terra’ (Nm9,14). La tradizione biblica nonconcede agli ebrei entrati in ter-ra di Israele un diritto di resi-denza (toshavut) soltanto, maconcede loro il diritto di cittadi-nanza (ezrachut). La definizionedel termine usato per indicare ilcittadino si trova nel Salmo 37(v 35: ezrach raanan) e ha il sen-so di pianta radicata nel suolo(tzemach mushrash baadamah).Il ricordo dell’Esodo introduceuna dimensione che corregge lederive possibili della cittadinan-za. Derive che sono implicite alsuo carattere autoctono, indige-

no e territoriale. Ma questo nonautorizza la Di Cesare a idealiz-zare lo statuto di straniero-resi-dente (ger toshav) al punto daelevarlo a paradigma di un altro

modo di abitare. Già in un suolibro precedente: Israele. Terra,Ritorno, Anarchia (Torino2014), concernente lo Stato diIsraele, aveva posto la domandaseguente: come si può esserestranieri-residenti? (p. 50). Ba-stava chiederlo a me, e glieloavrei spiegato volentieri, avendoio tutte le carte in regola per far-lo dopo 29 anni trascorsi inIsraele da straniero-residente - siveda in proposito il mio Diarionoachide. Un non-ebreo ai piedidel Sinai (San Pietro in Cariano,VR, 2015). La Bibbia, di cui laDi Cesare si vorrebbe esegetasottile nel recupero dell’ebraicodei suoi testi (p. 188), non inse-gna affatto che la terra sia ditutti, non appartenendo a nessu-no in particolare. Se, infatti, laterra appartiene a Dio, suo è ildiritto di darla a chi vuole (Ra-shi su Gn 1). Dando la terra aifigli di Israele, Dio ha mantenu-to la promessa fatta ad Abramo.E per loro ha così trasformato laresidenza di Abramo in cittadi-nanza. Focalizzarsi solamentesull’uscita dall’Egitto, signifi-cherebbe amputare la storiadell’Esodo. Parimenti, sarebbeprivare la storia biblica della suacoerenza, il voler puntare tuttosulla promessa come principio diuna politica dello straniero, perimpedire il radicamento, il pos-sesso, la sovranità. La Di Cesarescrive: “Migranti su una terrapromessa, ospiti tutti, rinviatil’uno all’altro, in un’accoglienzadell’estraneità che è il solo e uni-co vincolo di questo abitare” (p.201). Come, infatti, negare unposto all’altro quando ciascuno èa sua volta estraneo al luogo,agli altri, a se stesso? Ma, orachiedo, c’è forse uno scenario chesia più allarmante? Chi/cosa migarantisce che l’ospite che è cia-scuno di noi non diventi prestol’ostaggio di tutti gli altri? Irapporti di forza sono immanca-bili anche in uno spazio comequello che erige a norma l’alie-no. La Torah, una volta donataal Sinai, è nelle mani di Israele.Lo è pure la terra a lui destina-ta. La Torah detta le condizionidella cittadinanza, certo, ma laterra è ormai inscritta nell’Alle-anza di cui la stessa Torah si-naitica è la Carta. Poiché Diosempre si ricorderà della terra diIsraele e dell’Alleanza (Lv26,42). Per concludere. La con-sapevolezza di essere (stati)stranieri suppone, per i figli diIsraele, l’assegnazione della ter-ra e la realizzazione della citta-dinanza promessa. Una cittadi-nanza da mantenere aperta, cer-to, senza però cancellare ruoli eidentità, e senza mai confonderel’ospite con lo straniero.

rimpianto costante per il passato(un sentimento che ci piaccia omeno popolerà con insistenza lanostra condizione di incerto pre-sente). Sentimento che esprimesenso al nostro agire, secondoBauman, una volta che il futurosia percepito non solo come incer-to, ma come tempo segnato dallaperdita di status.Ma Bauman, a differenza di altrevolte, non individuava ancorauna parola come, invece, moltealtre. L’assenza di quella parola è

forse il segno più tangibile delvuoto che ha lasciato ZygmuntBauman. Il nome è importante,non solo per i significati che in-clude, ma perché l’atto di denomi-nare non è un dato tecnico, madescrive un processo culturale eintellettuale di primaria impor-tanza. È nel nome che la linguamanifesta il suo carattere ontolo-gico: nel nome il mondo viene allapresenza, nel nome l’uomo si aprealla verità del mondo. In esso laparola dell’uomo si apre, prima

ancora che alla conoscenza delmondo, all’incontro con il mondoe la sua lingua si svela tutt’altroche semplice strumento per affer-rare e impadronirsi di ciò che nonha lingua. Le cose esistono, manon basta indicarle. Per compren-derle, perché acquistino per noiun significato, siano discutibili,entrino a pieno titolo nella rifles-sione pubblica e dunque siano og-getto di confronto, e di crescita,occorre che abbiano un nome. Lafacoltà di nominare come aveva

intuito Walter Benjamin nel suoSulla lingua in generale e sullalingua dell’uomo (1916), èquella condizione e che consentepoi di dare un volto e, nel tempo,contenuto alle cose. Non solo diriconoscerle, ma anche di parlar-ne. L’assenza di quella parola èforse il segno più tangibile delvuoto che ha lasciato ZygmuntBauman e della nostra condizionedi orfanità, ovvero di dare non so-lo una descrizione ma anche unsignificato a questo nostro tempo.

! Franz Rosenzweig

! Emmanuel Levinas

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/ P26 OPINIONI A CONFRONTO n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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Molti dei principi metodologicifondamentali della scienza mo-derna e dei suoi criteri di auto-rappresentazione vengono ela-borati durante quella che gli sto-rici definiscono la fase della «ri-voluzione scientifica», cioè il pe-riodo convenzionalmente com-preso fra la pubblicazione a No-rimberga del De revolutioni-bus orbium coelestium di Co-pernico (1543) e quella dei Phi-losophiae Naturalis PrincipiaMathematica di Newton, avve-nuta a Londra nel 1687. Ele-menti che sembrano oggi deltutto ovvi, come il fondamentoinnanzitutto empirico dellascienza, la sua operatività sulpiano materiale (in quanto con-giunta alla tecnica ma distintada essa) o la sua responsabilitàsociale, si configurano in questoperiodo, e faticosamente si fa-ranno strada nelle epoche suc-cessive. Gli Ebrei partecipano inmisura assai limitata a questoprofondo rinnovamento cultura-le, non solo – come è ovvio – intermini assoluti, ma anche pro-porzionalmente alla consistenzanumerica della popolazioneebraica nell’Europa di quel pe-riodo. E con buone ragioni: i piùinfluenti Maestri dell’epocatraggono dalla tradizione, a que-sto proposito, indicazioni assaidiverse. Non tanto, per la verità,sull’interesse e l’importanzadelle nuove scienze della natura,quanto sul fatto che il dedicarsiad esse costituisca per un Ebreol’investimento più opportunodel proprio tempo e delle proprieenergie intellettuali. Senza nes-suna pretesa di completezza, sipuò così ricordare ad esempio ilMaharal, quando scrive che nonpuò essere convenientemente de-finito «sapere» quello di chi sioccupa delle cose del mondo ma-teriale, laddove il «sapere» per-tiene piuttosto all’attività distudio degli «argomenti santi».D’altra parte Moses Isserles,l’autorevole guida della accade-mia rabbinica di Cracovia, insi-ste ripetutamente sull’idea cheuna adeguata conoscenza dei fe-nomeni del mondo fisico costi-tuisce implicitamente riconosci-mento ed esaltazione della gloriadel Creatore, ed è in questo sen-so compito positivo degli Ebrei. In questo scenario diviso, in cui

gli insegnamenti tratti dalla tra-dizione sembrano autorizzarestrategie di segno diverso, nonmancano – peraltro - personaggidi sicuro rilievo. David Gans,scienziato che gode della stimadi Ticho Brahe e di Keplero, èuno di questi: studioso di astro-nomia, geometria e matematicaè anche un appassionato divul-gatore – per l’esiguo pubblico dilettori in ebraico – delle cono-scenze nuove in materia di

scienze naturali. La corte pra-ghese di Rodolfo II di Asburgo,estimatore di arte e di scienza,nonché alchimista lui stesso, èfrequentata – oltre che da av-venturieri di ogni risma - da in-tellettuali provenienti da tutti ipesi europei, e fra questi ancheda molti ebrei, scienziati e inge-gneri - come il mantovanoAvraham Colorni – ai quali unavoce popolare attribuisce ungrande quanto occulto potere.Una parziale eccezione è poi co-stituita dagli studi e dalle facol-tà di medicina. Come ha messoin evidenza David Ruderman(Jewish Thought and Scienti-fic Discovery in Early Mo-dern Europe, 1995) l’universi-tà di Padova, allora consideratala miglior scuola di medicina inEuropa, consente gli studi a uncerto numero di studenti ebrei,provenienti dai diversi paesi eu-ropei. In condizioni mai facili -talvolta attraverso l’escamotagedi un falso nome o trascinandoverso la conversione - ma anche,in alcuni casi, favorendo la for-mazione di personalità scientifi-che di grande rilievo. Joseph So-lomon Delmedigo, allievo diGalileo, è uno di queste, fra lepiù eminenti e note. Gli studi dimedicina, che permettono la

formazione di medici ebrei assaiconsiderati – nel tempo si daràil caso anche di archiatri ponti-fici – rappresenta una eccezioneparziale quanto interessante nelrapporto fra Ebrei e nascita del-la scienza moderna, che peraltrova probabilmente studiata an-che da un punto di vista diver-so. Quello dell’ebreo-che-guari-sce costituisce infatti a sua vol-ta un archetipo culturale com-plesso, che affonda parte delle

sue radici anche nel terrenoprofondo dei pregiudizi, e delmisterioso potere che essi attri-buiscono all’ebreo in quanto ta-le: un potere oscuro, inquietantema straordinario, che gli derivadalla sua pretesa prossimità conil Male assoluto.Nel panorama complessivo dellarivoluzione scientifica, in ognicaso, il contributo ebraico è co-stituito da casi sostanzialmenteisolati. A fronte di un esordiocosì stentato, quanto accadrànelle epoche successive è tantodiverso da giungere alla nega-zione. Il contrasto con la scienzadel Novecento, come è ben noto,non potrebbe essere più striden-te, con la quota ben più che pro-porzionale di eminenti studiosiebrei che vi si registrerà, precisa-mente nelle scienze naturali edin ogni settore di esse. Molteipotesi sono state avanzate perdar conto di questo straordinariosuccesso, comprese quelle di na-tura biologistica circa una parti-colare predisposizione genetica.Fra quelle plausibili vale forse lapena di insistere su un argomen-to che ha piuttosto a che fare conla sociologia della conoscenza. Sitratta del profondo ripensamentodei propri fondamenti metodolo-gici che tutte le discipline scien-

tifiche – senza eccezione alcuna– si trovano costrette ad affron-tare nei ultimi decenni del XIXsecolo e nei primi del XX. La di-scussione metodologica cambiacompletamente la fisionomia delmetodo scientifico e del’auto-rappresentazione della scienzastessa. Sempre meno essa potràessere pensata – secondo quantouna convinzione irrinunciabilepretendeva da secoli – come illuogo della conoscenza certa, as-

soluta e indubitabile. In terminiben più problematici essa tende-rà piuttosto aa porsi come svi-luppo di inferenze «semplice-mente» argomentate, anzichéproclamate con apodittica asser-tività. Gli scienziati – fisici, ma-tematici, logici - scoprono glispazi di indeterminazione e diincertezza che costituiscono ilterreno «normale» della scienzae che si configurano, all’internodi essa, come caratteristichestrutturali e non come sempliciincidenti di percorso: non zoneprovvisoriamente opache desti-nate ad essere cancellate da un«progresso» scientifico che pro-cede sempre in avanti, linear-mente e senza scosse o ripensa-menti, ma tratti stabilmente co-stitutivi del sapere scientifico.Probabilità e approssimazionesempre più appaiono come il ter-reno proprio della scienza, il soloeffettivamente perseguibile. Èl’idea stessa della «verità» comecriterio semplicemente unitario esempre raggiungibile dalla ricer-ca, che sembra sempre meno cre-dibile. «È mai possibile, - si chie-de Heisenberg in Scienza e filo-sofia - che la natura sia così as-surda come ci è apparsa in que-sti esperimenti atomici?» Il pre-supposto indiscusso della natura

come meccanismo perfetto e in-tegralmente conoscibile si accor-dava perfettamente con un meto-do scientifico rappresentato car-tesianamente attraverso «regolecerte e facili» che il ricercatoredeve semplicemente applicare. Ilnuovo metodo scientifico non èpiù cartesiano: non è più negabi-le il ruolo dell’interpretazioneche attribuisce senso e non si li-mita a rilevarlo, né la consape-volezza che solo un margine sot-tile distingue fatti da teorie: ilmetodo della scienza è impensa-bile senza una ermeneutica delmetodo e le regole del metodonon si sottraggono alla necessitàed al rischio dell’interpretazio-ne. Sempre più il lavoro scienti-fico vive di contraddizioni, rivo-luzioni e fratture e sempre piùrichiede confronto, negazione escambio all’interno di una co-munità di competenti. Ebbene, a una attività intellet-tuale di questo genere il pensie-ro ebraico è abituato da tempoimmemorabile. Da sempre ilmodo di studio ebraico è statoprecisamente questo: un metodoche non teme le contraddizioni,che esige il contraddittorio e illavoro di gruppo, che non can-cella le dissidenze, non ama ilpensiero unico, privilegia la do-manda sulla risposta, ammettel’incertezza e l’indeterminazio-ne, è antiautoritario pur nel ri-spetto dei maestri, è razionalema non teme le associazioni libe-re, non ha mai privilegiato le re-gole rispetto agli utilizzatori del-le regole, non ha mai preteso dieliminare la soggettività dell’in-terprete, ma anzi ne ha semprefatto il proprio punto di forza, èstato capace di conciliare il rigo-re con la creatività, l’attenzioneed il rispetto del «testo» con ilsuo superamento. In questa ri-voluzione di metodo che coinvol-ge tutta la scienza a partire dallafine del XIX secolo, il pensieroebraico si trova insomma deltutto a proprio agio: non a casolo sconvolgimento epistemologi-co legato alla scoperta – o all’in-venzione - delle geometrie noneuclidee era stato da molti de-nunciato come una «congiuraebraica» (Imre Toth, No! Libertàe verità creazione e negazione,1998). Quando senza più vincolied esclusioni gli Ebrei, alle so-glie della modernità, accedono inmassa a una scienza dal metodoprofondamente rinnovato, trova-no forse, in questa modalità mil-lenaria di studio, una risorsastrategica dalle impensate possi-bilità.

Metodo scientifico, la rivoluzione e il segno dell’identitàEnzo Campelli sociologo

Imre Toth!

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/ P27pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 OPINIONI A CONFRONTO

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Più passa il tempo della sua vi-ta, meno uno si trova in gradodi confezionar nuove metafore.Questo gli accade per aver sac-cheggiato ogni metafora eredita-ta? Il mondo del reale sembradivenire sempre più diafano, sitrasferisce dunque sull’arido al-tipiano del pensato?Se si potesse contare l’enormequantità di metafore prodottenel breve correre di due o tre se-coli da profeti, tragedi, comme-diografi, filosofi, oratori, politici,si comprenderebbe perché le duesponde del Mediterraneo, l’Atti-ca e la Mezzaluna “fertile”, so-no state ridotte alle aride bru-ghiere d’oggidì.Fascismo e nazismo erano fra-telli gemelli ma forse non omo-zigoti. Diversi soprattutto in unparticolare: il nazismo siabbeverava di sangue esofferenza come il fasci-smo, ma, a differenza diquesti, rinviava la felici-tà al futuro, al terminedelle guerre di sterminioche aveva ordito. Il fasci-smo invece, nella medesi-ma fossa di orrori e lor-dura, ingannava se stes-so con guerre truffaldinecombattute per finta dal-la parte di chi già le ave-va vinte, e perciò deposi-tava subito nel mondodel reale le proprie uovadi sogno: il futuro fasci-sta, la modernità fasci-sta, la romanità imperia-le fascista. Metteva in es-sere opere di architetti,scultori, urbanisti, pitto-ri, per illudersi di avergià dato alla luce il futu-ro sognato. “Forse nontutto ciò che è fascista èbene, ma tutto ciò che èbene è fascista” questo era ilpensiero di quegli sciagurati chenon potevano tormentare gli ar-tisti dato che ne avevano tantobisogno.Ho visto foto della vecchia viaRoma prima che cadesse nellemani dell’architetto pazzo Pia-centini. Era una via barocca,raffinata senza supponenza, unfrac elegante e consunto, e, acolpi irrevocabili di bisturi e co-late di cemento, si trasformò inuna via marmorea, lucida di ve-trine curve, di gigantesche co-

lonne, lucida di pavimenti mar-morei per incedere al riparo diportici giganti di marmo attra-verso l’intera città. Fu appuntoin una gelida giornata, tutta to-rinese, di ghiaccio, nasi rossi eraffiche di neve, che venne inau-gurata la fulgente strada del fu-turo fascista.Ma purtroppo la neve si appicci-ca sotto le scarpe e, una voltaentrati nei portici, si compattain una terrificante suola senzaattrito. E così, quando le fami-glie (tutte iscritte al Partito fa-scista, e lo si sapeva dal distinti-vo all’occhiello soprannominato“la cimice”) incedevano estasia-te di tanta glaciale lucidità, co-me pervenivano agli scivoli vo-luti dall’arcipiacentini per noninterrompere con banali gradinil’incedere sontuoso, tutti scivo-lavano come perognocchi, bat-tendo culate da far spavento.Il papà e la mamma (oh, miodio, quant’erano giovani!) te-nendo per mano Aldo e Roberto,ridevano fino alle lacrime per il

fatto di vedere la sconfinata bo-ria fascista sconfitta da una del-le solite cavolate architettoniche,e ancor più ridevano all’ululatodelle sirene che correvano a soc-correre i fratturati, mentre laGioventù del Littorio, coi fioc-chettoni neri dei fez ondulantisulle fronti corrusche, facevanoda balaustra umana da una par-te e dall’altra degli orridi scivo-li. Via Roma era come il CanalGrande. Invece di camminare siandava in gondola. Nei giorniseguenti intervennero rapide le

maestranze con martelli e scal-pelli per picchettare di strisceraspose i ferali scivoli.Buttare giù nel ’45 la nuova viaRoma per ricostruirla in neoba-roccolibertyumbertino senzaportici sarebbe stata un’infamiae tutti, anche i più furibondi an-tifascisti, si rassegnarono a te-nerla com’era. Come un parenteun po’ mongoloide.Oggi gli italiani perbene, sino-nimo di antifascista, dividono leopere figurative del ventennio inbrutte e belle, e sperano si salvi-no quelle belle, mentre quellebrutte vengano affidate ai Mo-stri palazzinari. La città di Sa-baudia è un sommo capolavoroarchitettonico fascista, tenuto fi-no a ora in piedi da un complot-to segreto che unisce tutti, dal-l’estrema destra all’estrema sini-stra mentre la mafia sogna pa-lazzoni di 10 piani così anonimie scrostati da fare invidia a quel-li di Ostia Nuova. Il Colosseorotondo degli antichi Romani equello quadrato degli antichi Fa-

scisti, sono ambedue gi-ganteschi capolavori ar-chitettonici, ma derivatida un unico orrore: “Pa-nem et circenses”.Poco si parla degli sfon-damenti, quello di viadell’Impero è irrimedia-bile, ma potrebbe esseremedicato da un’aiuolafiorita nel mezzo, mentrele strade carraie, ai duelati, potrebbero ospitare,a cura dell’antiterrori-smo, colonne smozzicatee capitelli slabbrati dacercare fra i tanti repertiche in Italia non si samai dove mettere.Invece, per via della Con-ciliazione, cedo gratis perpatriottismo un progettomeraviglioso. Quando,più di mezzo secolo fagiunsi nella Città Eter-na, molti mi esaltavanole meraviglie della Spinadi Borgo: si percorrevano

vicoli tortuosi e si sfociava para-lizzati dalla radicalità spazialedi Piazza San Pietro e del suocolonnato. Per ricostruire quelmagico effetto potrebbe esseresufficiente un complotto con lamafia palazzinara: lasciar co-struire palazzine all’impazzata,senza alcun vincolo urbanisticodentro Via della Conciliazione.Ne risulterebbero vicoli e vico-letti, bui, sudici e maleodoranti,superati i quali tornerebbe l’oh!di meraviglia per l’immensoovoidale di San Pietro.

Metafore urbanistiche

tre 13 milioni di abitanti attua-li potrebbero raddoppiare (Fi-gura 2). Uno sguardo alla sto-ria mostra che sull'intero terri-torio si era raggiunta una mag-gioranza ebraica all'inizio deglianni '50, poi la crescita demo-grafica era stata più rapida tragli ebrei fino agli anni '70, se-guita da una crescita demogra-fica più rapida tra gli arabi.Quest'ultima sarebbe prospet-tata fino ai prossimi anni '30,seguita poi nuovamente da unacrescita leggermente più velocedella popolazione ebraica. Que-sto rifletterebbe la prevista cre-scente quota di Haredim sul to-tale degli ebrei israeliani. Nel2065, sull'intero territorio, lapopolazione ebraica "allargata"potrebbe superare i 16 milioni equella araba potrebbe superare i13 milioni, per un totale diquasi 30 milioni. Le proiezioni nella Figura 2 so-no basate sulla variante media.Ma nell'ipotesi che la crescitadegli ebrei Haredim possa gra-dualmente moderarsi in seguitoa un maggiore inserimento nel-la società e nel mondo del lavo-ro (variante bassa), la popola-zione ebraica totale crescerebbepiù lentamente e di pari passorispetto alla popolazione arabatotale.Queste tendenze comportanoprofonde conseguenze per gliequilibri dei principali gruppietno-religiosi all'interno dellapopolazione totale fra il Mare eil Giordano (Figura 3). Sempresulla base di una definizione dipopolazione ebraica "allarga-ta", entro i confini dello statodi Israele fino alla seconda metàdel 21° secolo dovrebbe prevale-re una sostanziale maggioranzaebraica di circa l'80%, ma ilquadro cambia se i territori pa-lestinesi e le loro popolazionisono inclusi. Se a Israele si ag-giunge il territorio e l'interapopolazione della Cisgiordania,la maggioranza ebraica si ridu-ce al 60%, rendendo di fatto in-sostenibile il concetto di statoebraico e democratico; e se si in-

cludesse anche la popolazionedi Gaza, la maggioranza ebrai-ca si ridurrebbe appena al di so-pra del 50%, mettendo fine alprogetto dello stato ebraico.Tutte queste proiezioni rifletto-no la variante media del CBS.Se però ipotizziamo una va-riante bassa per il gruppo ebrai-co Haredi, la popolazione ebrai-ca è destinata a crescere piùlentamente e la sua quota dimaggioranza sarebbe ridotta diconseguenza.L'impatto delle tendenze demo-grafiche attuali e previste saràdunque di cruciale importanzaper il futuro carattere culturale,economico e politico, e in parti-colare per gli equilibri bilateralidell'insieme di Israele e Palesti-na. Le influenze previste dellademografia richiedono da partedei responsabili dello statod'Israele grande attenzione ecapacità di programmazionestrategica. Il fatto nuovo emer-gente è la dipendenza che esistefra la crescita della popolazioneebraica in generale e quella deiHaredim. Se quest'ultimi au-mentassero meno, ne risentireb-be l'aumento della popolazioneebraica totale, e crescerebbe cor-rispettivamente l'aliquota dellapopolazione araba. D'altra par-te, un aumentato peso dei Hare-dim può consentire il manteni-mento degli equilibri demografi-ci attuali ma solleva altri inter-rogativi. Riusciranno a inte-grarsi meglio nell'economia e amigliorare le proprie condizioniconseguendo maggiore autono-mia e minore povertà e dipen-denza dai sussidi pubblici? Nederiveranno famiglie sempretradizionali ma meno numerosedi quelle attuali? Quello che ècerto è che la chiave del futurodemografico di Israele è nellemani dei Haredim. Nell'ambitodella demografia dello statod'Israele è in atto una specie disanta alleanza fra le diverseparti. Le conseguenze, nell'unoe nell'altro caso, produrrannoalla metà del 21° secolo e oltreuna società israeliana profonda-mente diversa.

DELLA PERGOLA da P23 /

Figura 3. Percentuale di ebrei nella popolazione totale di Israele,!

Cisgiordania e Gaza, 2015-2065

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0

2015

2025

2035

2045

2055

2065

Israele

Più Cisgiordania

Più Gaza

Israele Haredimbassa

Più Cisgiordania

Più Gaza

Aldo Zarganiscrittore

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/ P28 n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

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“L’arte è essenzialmente testimo-nianza. Testimonianza umana, im-portante quanto quella più scienti-fica della storiografia”. In un collo-quio torinese con Manuel Disegni,il grande scrittore israeliano Aha-ron Appelfeld spiegava così il ruoloavuto nella sua vita dalla letteratu-ra, intesa appunto come arte dellatestimonianza. Nel suo caso, so-prattutto testimonianza dell’orroredella Shoah, che nelle sue innume-revoli opere (45) Appelfeld – scom-parso in gennaio all’età di 85 anni– seppe raccontare con lucida e di-sarmante innocenza. “Non sonocapace di immaginare un veroscrittore che non tratti di se stessoe della sua vita” spiegò a Disegni,che lo intervistò per Pagine Ebrai-che, riassumendo in poche parole lapropria identità letteraria.Considerato uno dei maggioriscrittori israeliani, Appelfeld nac-que nel 1932 nei pressi di Czerno-witz, nella Bucovina del nord, allo-ra Romania e oggi Ucraina. I geni-tori erano ebrei secolari, che guar-davano a se stessi con una visionecosmopolita. I suoi nonni invece –come raccontò lui stesso – eranoebrei osservanti, contadini che co-struirono una sinagoga sui i loroterreni. La sua vita cambiò nel1941 quando l’esercito rumeno, al-leato dei nazisti, riconquistò la suacittadina, Jadova, dal controllo so-vietico. Sua madre e sua nonna fu-rono assassinate. Appelfeld inveceriuscì a scappare con il padre madopo poco entrambi furono cattu-rati e deportati in un lager inTransnistria, dove furono separati.A nove anni si trovò da solo mariuscì ad avere la forza di fuggiredi nuovo, trascorrendo due anni anascondersi nella foresta, svolgen-do i più strani lavori per un grup-po di prostitute e di ladre. Quandol’esercito sovietico avanzò nuova-mente, nel 1944, si unì all’ArmataRossa, lavorando nelle cucine, epercorrendo la sua personale stradadall’Italia e dalla Jugoslavia, versoil futuro Stato d’Israele (dove arri-vò nel 1946). Nei suoi libri raccontò l’esperienzadi essere un bambino solo al mon-do, del tempo passato a raccoglierefrutti da mangiare, a trovare riparoper dormire, a lavorare per crimi-nali ucraini che non sapevano fosseebreo e comunque lo trattavano co-me uno schiavo, pur permettendo-gli di sopravvivere. Più tardi in-contrò una prostituta che gli diederiparo per cinque mesi e che piùtardi divenne un personaggio inBlooms of Darkness. Nel 1960 sco-prì che anche suo padre era soprav-vissuto alla Shoah, ricongiungen-

dosi a lui dopo anni di silenzio. InIsraele, tra i 13 e 14 anni Appelfeldiniziò ad imparare la sua nuovalingua madre, l’ebraico. “Fu fatico-so”, confessò in in diverse intervi-ste ma gradualmente il ragazzino

che a lungo fu costretto al silenziodal mondo attorno a lui, riuscì apadroneggiare la nuova lingua incui inizierà a scrivere tutte le sueopere. Un tema centrale anche in una

successiva intervista di DanielaGross, sempre per il giornale del-l'ebraismo italiano. "Una delle suegrandi paure, ha scritto, è quella diperdere l’ebraico. Al punto da so-gnare spesso di ritrovarsene priva-

to. Perché questo timore?" chiede-va Gross allo scrittore. "Perché -rispondeva Appelfeld - è una lin-gua che ho acquisito da ragazzo,non ci sono nato. La lingua acqui-sita devi sorvegliarla tutto il tempoperché non vi penetri nulla di stra-niero. L’ebraico è ormai la mia lin-gua materna. Sogno e scrivo inebraico. Ma ancora oggi ho paurache se ne vada. Talvolta mi sveglioe questo ebraico imparato con tantafatica svanisce, scompare. Voglioafferrarlo ma non ci riesco". Unalingua comunque in costante evo-luzione, diversa da quella che ave-va appreso in gioventù. "Ci sonomolto slang e localismi - riflettevalo scrittore - ma non potrebbe esse-re altrimenti. Ogni generazioneesprime un suo ritmo nella lingua,toglie o aggiunge qualcosa. E poi-ché Israele è un grande crogiolo dipopoli e di culture questa mesco-lanza si percepisce in modo signifi-cativo. Ma non vi è nulla di nega-tivo in tutto ciò. È un pluralismolinguistico che apprezzo molto.Non credo che la lingua vada pre-servata in una sua fissità: è belloveder convivere tanti suoni e tantesfumature".Appelfeld è stato per molti suoicontemporanei un maestro, un ine-guagliabile punto di riferimento.Ha detto di lui Philip Roth: “Il suosoggetto letterario non è l’Olocau-sto, né la persecuzione ebraica. Né,a mio avviso, ciò che scrive è sem-plicemente narrativa ebraica oisraeliana. Né, essendo cittadinoebreo di uno Stato ebraico compo-sto in gran parte da immigrati, lasua è una narrativa dell’esilio. E,nonostante l’ambientazione euro-pea di molti dei suoi romanzi e gliechi di Kafka, questi libri scritti inlingua ebraica non sono certo nar-rativa europea. Infatti, tutto ciòche Appelfeld non è si aggiunge aquello che è, ovvero uno scrittoredisarticolato, uno scrittore depor-tato, uno scrittore espropriato esradicato. Appelfeld è uno scrittoresfollato di una narrativa sfollata,che ha fatto dello sfollamento e deldisorientamento un soggetto uniconel suo genere". Unica come il soggetto, la testimo-nianza di Appelfeld nasce per Roth"in una coscienza ferita, che si tro-va da qualche parte tra amnesia ememoria”.Tra i tanti riconoscimenti, Appel-feld vinse nel 1983 il prestigiosoPremio Israele per la letteratura.“Il suo lavoro e la sua memoria sa-ranno sempre di benedizione” leparole con cui l'ha salutato il Pre-sidente israeliano Reuven Rivlin,che gli era molto amico.

Aharon Appelfeld, la salvezza nella lingua ebraica PROTAGONISTI

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A 100 ANNI DALLA NASCITA

È lungo l'elenco delle pubblicazioni di Bruno Zevi, storico e critico dell'architettura che avrebbe compiuto centoanni in questi giorni, e difficile è dare conto della sua profondità e della sua creatività, ma la nuova edizione diEbraismo e architettura, ripubblicato da Giuntina, è un buon punto di partenza grazie anche all'aggiunta di untesto inedito e di un documento che proviene dall’archivio di Daniel Libeskind. I temi sono attualissimi: per

Zevi quanto è accaduto nella letteratura ebraico-americana si riflette nel campo architettonico.Si può dire che esiste un'arte ebraica? Si tratta del prodotto esclusivo degli artisti ebrei, o invece

si potrebbe configurare come un orientamento, valido anche per i non-ebrei? I numerosi disegni rinvenuti nei campi di sterminio pongono unadomanda che va affrontata, nonostante tutto: quali legami esistono trai loro autori e i linguaggi artistici dell'epoca? La diaspora va vista comevalore del passato, come convivenza tra attualità e retaggio storico ocome impulso a influenzare la cultura internazionale?

Protagonista di animate battagliecivili, politiche, culturali e urba-nistiche, Zevi ha scritto di ebrai-smo in moto del tutto sporadicosino al 1993, data della primapubblicazione di Ebraismo e ar-chitettura. Si tratta, come scriveManuel Orazi nell'appassionataintroduzione intitolata "I loveBruno", di un volume in cui"l’autore fa finalmente i conti conil suo ebraismo, che certo nonera sostenuto da un sentimentoreligioso. Il volume però non silimita alla questione esistenziale,al raccordo fra il suo multiformelavoro di architetto con il sostra-to ebraico delle sue origini, deisuoi affetti, delle sue speranze. Èconnesso alle sue plurime batta-glie civili, combattute sempre inprima persona". Sono plurime leipotesi sul perché Zevi abbia tan-to rimandato: poteva non sentirsiall'altezza, seguendo l'idea diWittgenstein secondo cui "Su ciòdi cui non si può parlare si devetacere", o forse perché vivevacon qualche difficoltà il suo es-sere nella Diaspora. Poteva al-tresì esserci una qualche aderen-za al dettato crociano secondoil quale gli ebrei sopravvissutiavrebbero dovuto "fondersi sem-pre meglio con gli altri italianiprocurando di cancellare quelladivisione - continua in un pre-veggente scritto del 1945 - nellaquale hanno persistito nei secolie che come ha dato occasione epretesto in passato alle persecu-

zioni, è da temere ne dia ancorain avvenire". Protagonista dimolteplici scelte eterodosse, par-tendo spesso da posizioni mino-ritarie, Zevi ha animato nel corsodella sua vita movimentata,"scuole di pensiero, conventicole,consorterie che sempre devias-sero dalla strada maestra". Fu co-sì dai tempi del liceo, per prose-

guire con architettura, dove sitrovò a convergere con LionelloVenturi, uno dei pochi professoriche rifiutarono il giuramento difedeltà al fascismo e fu maestrodi Giulio Carlo Argan, che sa-rebbe poi stato legato a Zevi pertutta la vita. Alla scelta sionistadella sua famiglia, emigrata pri-ma della guerra, Zevi rispose an-

dando prima a Londra e poi ne-gli Stati uniti, dove si unì ai cir-coli degli esuli antifascisti. Ete-rodosso anche in politica, aderìalle idee del partito liberal socia-lista dei fratelli Rosselli, dei cir-coli di Giustizia e Libertà, e delPartito d'Azione, professandosipoi azionista per tutta la vita.Scrive Orazi: "Le obiezioni ze-

viane contenute in Marxismo eebraismo sono obiezioni al con-tempo ebraistiche e azioniste.Inoltre nel libro della sua pienamaturità, Il linguaggio modernodell’architettura, quasi ricalca le'sette invarianti' dell’architetturamoderna sui 'sette punti' del ma-nifesto politico del P.d.A". Di-chiarava di odiare l’accademia,il classicismo, la simmetria, i rap-porti proporzionali, le cadenzearmoniche, gli effetti scenograficie monumentali, la retorica e lospreco degli ‘ordini’, i vincoliprospettici... e di apprezzare osubire richiami contraddittori.Dichiarò inoltre di amare i ritualie di non sopportare il conformi-smo". Nell’esistenza di Zevi c'èstata una costante tensione travolontà di durata e stabilità econsapevolezza della violenza edella fragilità della condizioneumana. Finì per apprezzare ar-chitetture connotate da irrazio-nalità, disordine, estraneità alcontesto, che esprimevano disa-gio, irrequietezza, ribellione e do-lore. In Ebraismo e concezionespazio-temporale dell’arte Zeviscrive: "Non occorre un’inter-pretazione simbolista per capireche l’emancipazione della disso-nanza coincide con l’emancipa-zione del popolo ebraico, l’ele-mento dissonante più osteggiato,odiato, deriso ed offeso, dellacultura umana".

Ada Treves

/ P29pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018

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“Dobbiamo lottare per le idee, non per le persone che hanno importanza relativa” (Bruno Zevi)

! /P30-31CINEMA

! /P32-33MASTER

! /P34-35SPORT

Bruno Zevi, tra architettura e identità

Bruno ZeviEBRAISMO EARCHITETTURAGiuntina

Un grande saggio torna in libreria

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/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. xx | xxxxxx 2018 pagine ebraiche

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Sugli schermi televisivi in Italiaè abbastanza insolito vedere per-sonaggi ebraici inseriti in un con-testo che non riguardi le perse-cuzioni della seconda guerramondiale. Infatti se già nel cine-ma si contano sulle dita dellamano i lungometraggi fictionche fanno riferimento all’attualeesistenza di comunità ebraichein Italia, gli ebrei nelle soap ope-ras nostrane sono addirittura del-le mosche bianche, ad eccezionedi alcuni personaggi secondaricome quel David Savona (Gia-como Piperno) della popolareserie Un medico in famiglia(1998-2011). La scelta della Rai1 di esordire in prima serata, apartire dell’otto gennaio scorso,con una serie televisiva incentra-ta sulle vicende di una famigliaebraica nella Livorno di oggi èquindi di per se un evento degnodi nota, che sembra peraltro es-sere stato ricompensato da ele-vati indici d’ascolto, pari a quelliraccolti dal film, record di incassi2016, Quo Vado? di GennaroNunziante, trasmesso nella stessafascia oraria dal concorrente Ca-nale 5. Lo sceneggiato, ideato e direttoda Francesca Archibugi, ha perprotagonisti i membri di tre ge-nerazioni di una dinastia ebraicalivornese, i Liegi. La più giovane,la sedicenne Micol (Fotinì Pelu-so), clarinettista di talento, è alleprese con una gravidanza pre-coce e con i problemi legati altrasferimento del padre AgostinoPagnotta (Guido Caprino), ca-pitano di corvetta della marinaitaliana, da Roma all’accademianavale di Livorno. Queste circo-stanze portano Emma (VittoriaPuccini), la madre di Micol, a fa-re i conti con il suo passato inuna città da cui era fuggita daragazza, ancora minorenne e incinta di Micol, e dove incombela tentacolare presenza del suogenitore, il cavaliere Gian Pietro(Giancarlo Nannini), alla testadi un vasto impero finanziarioma ormai affetto da un incipien-te Alzheimer, col quale i rapportidella figlia sono a dir poco assaiturbolenti. Non è la prima volta che Fran-

cesca Archibugi porta allo scher-mo personaggi ebraici. Già nel2007 nel suo Lezioni di voloaveva descritto il viaggio di ini-ziazione e di scoperta identitariadi Apollonio Sermoneta, sopran-nominato “Pollo”, e del suo com-pagno detto “Curry”, due ragazziromani di buona famiglia partitiper l’India. Come in Lezioni divolo anche in Romanzo fami-gliare la regista ha cercato di nonattribuire all’identità ebraica deisuoi personaggi un qualsiasi sta-tuto di eccezionalità, non semprein modo convincente, rendendodel tutto anodino e circostanzialeil fatto che essi appartengano omeno a una determinata comu-nità. In ogni caso, in Romanzofamigliare la condizione ebraicadi alcuni protagonisti - tuttosommato piuttosto assimilati,sposati a non ebrei e amanti delbuon prosciutto -, non sembraavere un gran peso nelle loroscelte esistenziali. Inoltre, la serieaffronta con maggiore attenzionealtre tematiche, ben più centralinella cinematografia di Archibugiche non quella ebraica, come irapporti di coppia, le tensioni in-tergenerazionali o i problemi le-gati all’adolescenza.È certamente da segnalare co-

munque come un fatto positivoche gli ebrei vengano rappresen-tanti come persone dotate di vizie virtù alla stregua di ogni altroessere umano, indipendentemen-te dall’appartenenza comunitariae dalle differenze di religione.Pertanto, il fatto che il personag-gio di Gian Pietro Liegi sia ca-ratterizzato da tratti a dir poconegativi – rapace, manipolatore,autoritario – non va necessaria-mente considerato comel’espressione di un pregiudizionei confronti degli ebrei in quan-to collettività, ma sembra a pri-ma vista essere soltanto un ele-mento della sua difficile perso-nalità, tanto più che la sua figuraappare controbilanciata dallapresenza di altri personaggiebraici, Emma e Micol, con lacui umanità è più facile identifi-carsi. Da questo punto di vista il lavorodell’Archibugi non si distinguedal modo in cui il cinema inter-nazionale degli ultimi anni ha af-frontato la caratterizzazione diebrei “canaglie”, come il falsarioSalomon Sorowitsch nel filmThe Counterfeiters di Stefan Ru-zowitzky, del 2007, i fratelli Biel-ski in Defiance di Edward Zwickdel 2008 o ancora la squadra di

ebrei in un’immaginaria missionemilitare per uccidere il Fuhrer aParigi in Inglorous Basterds diQuentin Tarentino del 2009, filmperaltro che concorreva per l’au-dience su Italia 1 con la mandatain onda del primo episodio diRomanzo famigliare. Alla lorouscita la critica aveva general-mente salutato questi film peravere rotto con una tradizionecinematografica in cui l’ebreo eraprevalentemente presentato nellasua condizione di vittima sacri-ficale e quindi come personaggiopassivo e privo di una propriaautonomia morale, condannatoa essere oggetto quintessenzialedi pietà o di obbrobrio, a secon-da dell’atteggiamento anti o fi-lo-semita dell’autore.Tuttavia se la volontà da partedell’Archibugi di “normalizzare”la rappresentazione degli ebreisullo schermo è indubbiamentelodevole, inserendo le loro vicis-situdini come parte integrante diuna Livorno al tempo stessoprovinciale e multietnica, prole-taria e borghese, resta la doman-da se sia possibile condurre unatale operazione senza fare i conticon l’incidenza degli stereotipiancora correnti nella cultura po-polare riguardanti l’ebraismo. La

questione emerge in tutta la suaproblematicità nella scelta di at-tribuire ai suoi personaggi ebraiciquelle caratteristiche a cui ancorasi associa pregiudizialmente ilnome di ebreo, cioè la ricchezza,l’avidità di potere e il sentimentodi una distante superiorità.La dinastia dei Liegi, ancorchéconfrontata con una difficile con-giuntura economica, è infattiestremamente facoltosa, proprie-taria di una holding che control-la decine di società internazionaliimpegnate in settori che vannodall’industria all’alta finanza. Maè al petrolio e in particolare allaparaffina che si deve il successodell’impresa familiare costruitadurante il fascismo e in strettacollaborazione col regime alme-no sino alle leggi razziali, comesottolinea Gian Carlo in una ri-velazione alla figlia Emma nelsettimo episodio, e il cui marchio“Lucifero”, rappresentato da undiavoletto rampante su dellefiammelle, troneggia incorniciatonei saloni di villa Liegi. Il carat-tere satanico del vecchio Liegiappare ulteriormente rafforzatodall’immenso pitone che egli tie-ne in ufficio e a cui è immensa-mente affezionato. Il serpente, dinome Mosè, stritola e ingoiaquotidianamente piccoli topinicon una freddezza e un’indiffe-renza che sono l’immagine spe-culare di quelle del cavaliere. In-fine sul piano dell’enunciazionevisiva non possono non turbarela messa in scena, nella sala diricevimento di villa Liegi, di unaMenorah posta proprio sotto ilquadro di Lucifero e accanto auna statuetta di un grande vitello,quasi a simboleggiare il culto del-l’oro del suo proprietario.Per Gian Carlo tutto si compracon il denaro, prevaricando sen-za scrupoli la deontologia pro-fessionale di medici, avvocati eautorità statali. La prepotenza el’aridità sentimentale del magna-te sono il risultato di questa suagretta filosofia, che non indie-treggia davanti ad alcuna truffa,menzogna e tradimento. La sce-neggiatura di Romanzo famiglia-re sottolinea ripetutamente l’in-colmabile diversità tra il mondodei Liegi e quello degli altri per-sonaggi non ebrei. Agostino nelsesto episodio si sfoga con la suaamante in un’occasionale avven-tura extraconiugale sentenziandosui Liegi che “si sentono di unarazza superiore”, sentimento ri-

CINEMA

Asher SalahAccademia Bezalel,Gerusalemme

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“Francesca Archibugi in!

Romanzo famigliare ha cercato

di non attribuire all’identità

ebraica dei suoi personaggi un

qualsiasi statuto di

eccezionalità, non sempre in

modo convincente, rendendo

del tutto anodino e

circostanziale il fatto che essi

appartengano o meno a una

determinata comunità”.

Romanzo famigliare, feuilleton e veleni

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"Odissee non è e non vuol essere una mostra incentrata 'solo'

sulle migrazioni; si tratta, infatti, di una mostra temporanea de-

dicata 'anche' alle migrazioni, che ha però la presunzione di rac-

contare il cammino dell’Umanità sul pianeta Terra nel corso di

una storia plurimillenaria. Percorso illustrato da grandi carte

geografiche e documentato da opere d’arte emblematiche. Ca-

polavori scelti in quanto metonimici delle principali “strade” per-

corse dall’Uomo nel suo lunghissimo viaggio nel tempo e nello

spazio, dal Paleolitico fino ad oggi". È così che il curatore Guido

Curto presenta, nel grande ca-

talogo, la mostra "Odissee. Dia-

spore, invasioni, migrazioni,

viaggi e pellegrinaggi", che da

diverse settimane presenta a

Torino, a Palazzo Madama, un

percorso espositivo che "ha

l’ambizione di documentare un

vasto e complesso scenario in-

ternazionale partendo da un

ben preciso contesto territo-

riale". Una mostra che il cura-

tore definisce con un po' di

autoironia per l'abuso dell'in-

glese sia "glocal" che "in pro-

gress”, un progetto adatto a

viaggiare anche all'estero, modificato e adattato ad altri diffe-

renti contesti territoriali e nazionali. Fra le dodici sezioni che la

compongono, articolate sia ordine cronologico che in base a

nessi di consequenzialità geopolitici, si trova la Diaspora ebraica.

Per questa specifica parte del percorso espositivo il museo ha

associato al team di curatori Baruch Lampronti e Claudia Claudia

De Benedetti, che firma anche il saggio in catalogo e apre il suo

testo spiegando: "Fin dalle sue origini più remote il popolo ebrai-

co ha una vocazione al viaggio, nella doppia accezione negativa

di esilio e positiva di disseminazione. Il primo personaggio biblico

definito ebreo (parola che probabilmente ha un legame con ‘avar,

che significa 'passare oltre') è Abramo, la cui vicenda inizia con

l’ordine divino: 'Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla

casa di tuo padre' (Genesi 12,1) Se le famiglie patriarcali sono

nomadi, la loro discendenza diventa un popolo nell’esilio egiziano

e riceve la rivelazione divina sul Monte Sinai, dove arriva durante

una tappa del lunghissimo viaggio di ritorno nella Terra promes-

sa. Tutti i popoli attuali sono frutto di fenomeni migratori, ma

il popolo d’Israele è fra i pochissimi a riconoscere questo fatto

nelle proprie narrazioni religiose". E a Torino è arrivato un flusso

costante di visitatori attirati non solo dal senso di avventura e

che hanno mostrato grande apprezzamento per i temi toccati

da una mostra che nonostante le apparenze porta l'attenzione

sulla contemporaneità. Come ha scritto Curto: "Non siamo sprov-

veduti: sappiamo bene, purtroppo, che le migrazioni e le 'espan-

sioni' generano scontri, guerre, scorrimenti di sangue, atti di fe-

rocia, neo-colonialismi, usurpazioni, violenze. Eppure sappiamo

anche che dall’incontro tra i popoli possono nascere nuove so-

cietà, nuove culture, nuove civiltà. Credo, infatti, che la Storia

umana sia segnata da una incessante lotta tra il Bene e il male.

La mostra vuol dimostrare che dalle migrazioni può nascere un

bene, culturale e artistico". a.t.

/ P31pagine ebraiche n. xx | xxxxxx 2018 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Un popolo in cammino

badito dallo stesso Gian Pietroquando in un altro episodio af-ferma seccamente “noi siamo di-versi”, rifiutando così la solida-rietà del genero, che per la primavolta afferma di potersi imme-desimare nella sofferenza del-l’odiato suocero, dovendo con-frontarsi a sua volta a distanzadi vent’anni con la gravidanzaprecoce di una figlia minorenne.Che queste qualità non siano so-lo l’appannaggio del particolaretemperamento spocchioso diGian Carlo ma costituiscano unavera e propria tara familiareemerge in modo paradigmaticonel rapporto conflittuale con lafiglia. La tragedia della nevroticaEmma deriva infatti dalla con-sapevolezza di subire il condi-zionamento del sangue – il ma-rito le rinfaccia spesso di “esseresempre e comunque una Liegi”- nonostante tutti gli sforzi da leiinvestiti per tagliare ogni pontecol mondo isolato e corrotto delpadre. Emma si trova al crocic-chio di due mondi diametral-mente opposti e incompatibilil’uno con l’altro: quello della vita,della riproduzione e di una ses-sualità disinibita, rappresentatoda Micol, cresciuta nell’ignoran-za della proprie origini ebraiche,e quello della morte proprio delchiuso e asfittico circolo familiaredei Liegi, segnato dalla precocescomparsa per una leucemia del-la madre di Emma, Micol Cha-yes, e manifesto nella progressivademenza del vecchio Gian Pie-tro e nella degenerazione psichi-ca di Jacopo, figlio parassita ecocainomane. Non a caso l’unicospazio dove Emma si trova con-frontata alle proprie origini è ilcimitero ebraico di Livorno, do-ve sono riprese alcune delle po-chissime immagini a forte con-notazione ebraica di tutta la se-rie. Ci si può peraltro domandare

sino a che punto la stessa Micol,ebrea per metà, riesca ad eluderecompletamente il legato atavicodel sangue. Non solo la sua ge-nerosa e tollerante ginecologa,impersonata da Anna Galiena,ricorda alla sua giovane pazienteche “il patrimonio genetico con-ta ben più di quello immobilia-re”, frase che ritorna come unleitmotiv in varie altre circostan-ze, ma l’ingenuo entusiasmo diMicol, scoprendo il proprio re-taggio ebraico in casa Liegi siaccompagna immediatamenteall’introiezione di atteggiamentidi comando e di sopruso neiconfronti dei collaboratori delnonno, primo fra tutti il factotume custode dei segreti di famiglia,Vanni (Marco Messeri).La rappresentazione della villaLiegi, circondata da altissimemura e protetta da invalicabilicancelli, come metafora di ununiverso stantio e ripiegato suse stesso, ha il suo più ricono-scibile antecedente nel Giardinodei Finzi Contini di Vittorio DeSica del 1970, ispirato all’omo-nimo romanzo di Giorgio Bas-sani, e innesca inevitabili remi-niscenze cinematografiche anchecon la sinistra proprietà dei Luz-zatti a Volterra nel film di Lu-chino Visconti, Le Vaghe stelledell’orsa, del 1965, dimora dovesi consuma l’incestuoso amoretra i due figli del professoreebreo deportato e ucciso ad Au-schwitz.I larvati pregiudizi di stampo an-tisemita della piccola borghesiaprovinciale di Livorno sono cer-to rintuzzati da una risentita Em-ma, che fino ad allora aveva cer-cato di cancellare i suoi nataliadoperando solo il cognome Pa-gnotta del marito meridionale,nel corso di una cena in cui icommensali fanno dei commentidenigratori sugli ebrei e in cui

lei rivendica per la prima voltacon malcelato orgoglio l’appar-tenenza a una casta di banchierisefarditi istallati a Livorno fin dalCinquecento (anche se contra-riamente a quanto appare neldialogo le livornine non furonopromulgate da Cosimo I de Me-dici nel 1548 bensì dal figlio Fer-dinando nel 1591). Inoltre nu-merosi sono i rimandi interte-stuali nella serie televisiva adopere di autori ebrei della lette-ratura italiana del Novecento, daNatalia Ginzburg, a cui si ripren-de la particolare grafia dell’ag-gettivo con la g del titolo Lessicofamigliare, sino alla scelta dei no-mi dei personaggi, come quellodi Micol di bassaniana memoriao il cognome Liegi, ispirato al-l’anagramma, Ulvi Liegi (1858-1939), usato dal pittore livorneseLuigi Levi per firmare i suoi qua-dri. Ma questo non basta perrendere del tutto credibile la ca-ratterizzazione dei suoi perso-naggi ebraici.Nelle interviste promozionali diRomanzo famigliare, FrancescaArchibugi ha insistito sul suo de-siderio di rifarsi alla grande tra-dizione del feuilleton ottocente-sco italiano. La serie RAI da leidiretta attinge effettivamente apiene mani al repertorio di im-magini e di situazioni di questogenere letterario, sfruttandonecon talento i pregi melodram-matici. Tuttavia è un peccato cheaccanto alla rivalutazione dell’im-portanza culturale del feuilleton,in Romanzo famigliare si recu-peri con scarsa sensibilità criticaanche una certa deleteria stereo-tipia dell’ebreo plutocrate, avidoe calcolatore, veicolata per l’ap-punto nei romanzi d’appendicedi una Carolina Invernizio o diun abate Bresciani e che sarebbeinvece giunta l’ora di lasciarsi de-finitivamente alle spalle.

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/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. xx | xxxxxx 2018 pagine ebraiche

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Le banchiere nel Basso MedioEvo esistevano. Erano ebree, anziquasi tutte askenazite. Le primea comparire in numero non esi-guo sono quelle della Renania nelXII e XIII secolo, grazie alla lun-gimiranza di rabbini tedeschi co-me Rabbenu Gershom nell’XI se-colo e uomini di fede quali i pie-tisti, Hassidei Ashkenaz, che, daun lato, all’epoca assegnarono alleloro donne diritti patrimonialisenza eguali nel mondo ebraicoe cristiano del tempo, e forse an-che in quello occidentale di oggi(attraverso lasciti testamentarinon unicamente in linea maschile,doti femminili cedute ai consortinon in proprietà, bensì esclusiva-mente in usufrutto, divorzi soloconsensuali e non gratuiti), e,dall’altro lato, impedirono loro didedicarsi “anima e corpo” agliamati studi talmudici, spesso ot-tenendo dalle loro mogli di sup-portare finanziariamente le fami-glie e, per eterogenesi dei fini, diemanciparsi, con sensibili miglio-ramenti nel loro empowerment. Le terribili persecuzioni iniziatein Germania nel 1096 con le Cro-ciate, i successivi massacri incitatidall’odio antigiudaico per presuntiomicidi rituali e dissacrazionidell’ostia, la fuga dovuta sia alletante accuse mosse agli ebrei te-deschi e austriaci di essere gli “un-tori” che avevano causato la pestenera del 1348-1350, sia alle con-tinue tribolazioni di natura eco-nomica da essi subite a partiredalla seconda metà del ’300,comportarono negli ultimi duesecoli del Basso Medioevo (dinuovo per eterogenesi dei fini) unbenefico flusso di askenaziti nelnord Italia, inizialmente giuntonel Friuli-Venezia Giulia, poiespanso, per ondate susseguenti,verso il Piave e il Po, fino ad ar-rivare più tardi, nell’area del cen-tro, alle rive dell’Arno. Le fenera-trici dell’Italia tardomedievale so-no tanto più numerose e potenti

MASTERNella sala del Centro Bibliografico “Tullia Zevi” affol-

lata di amici, colleghi, familiari e semplici curiosi si

viveva un doppio clima di festa: era l’ottavo giorno

di Chanukkah, e quattro interessanti lavori venivano

discussi a conclusione del percorso di studio del Ma-

ster in Cultura ebraica e Comunicazione, dell’Unione

delle Comunità ebraiche italiane. Fiorella, Andrea,

Claudia e Ivan, residenti a Roma, Palermo, Milano,

orientati verso il Master da ragioni diverse, hanno

manifestato la propria individualità nella scelta di

un argomento particolare, come si può vedere in que-

sta pagina. I loro percorsi si erano d’altronde già di-

versificati quando avevano scelto di effettuare lo

stage previsto dal percorso formativo del Master:

Fiorella presso il Museo Umberto Nahon di Gerusa-

lemme, Andrea presso l’Archivio storico della Comu-

nità di Roma, Claudia presso “Redazione aperta”, il

laboratorio di giornalismo della redazione UCEI e Ivan

presso il Memoriale della Shoah di Milano. Per due

di loro non si è trattato di un’esperienza limitata allo

stage istituzionale, Ivan viene spesso incaricato di

Cultura ebraica e comunicazione

LEGENDA DELLA TABELLA:A: gestione continuativa in proprio del banco, dove vengono investiti anche i propri capitali finanziari;B: utilizzo del proprio capitale umano, con grandi poteri discrezionali sul banco, senza mezzi finanziari propri, subendo, dunque, i rischi del manager;C: investimento del proprio patrimonio finanziario in un banco, come farebbe oggi un azionista di una società, senza impegno del proprio tempo e delle

proprie energie di lavoro;D: assenza o presenza breve di attività feneratizia, o operatività sotto banco, underground.

TIPOLOGIA 1:FRIULI-VENEZIA GIULIA

TriesteCividaleGemona

TIPOLOGIA 2:VENETO NORD-ORIENTALE

TrevisoConeglianoMestre/VeneziaBelluno

TIPOLOGIA 3:VENETO RESTANTE

PadovaVeronaVicenzaRovigoBassanoAsolo

LOMBARDIAMantovaPaviaComo

NORD EMILIA ROMAGNABolognaCentoCesenaModenaFerraraParma

NORD TOSCANAPistoiaLuccaPisa

TIPOLOGIA 4:EMILIA ROMAGNA RESTANTE TOSCANA RESTANTERESTO DELLO STATO DELLA CHIESA

UmbriaMarcheLazio

PIEMONTETRENTINO ALTO ADIGEGRANDI CITTA’ DEL CENTRO-NORD

MilanoVeneziaGenovaFirenze

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TIPO DI COMUNITA’ A B C

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100%100%100%100%100%100%

100%

100%0

D

VARIE BANCHIERE CON MASSIMO EMPOWERMENTVarie banchiere con massimo empowermentMolti casiQualche casoQualche caso

VARIE BANCHIERE CON MEDIO EMPOWERMENTVarie banchiere con medio empowermentMolti casiSolo 1 casoMolti casi anche con underground voluto dalla SerenissimaSolo 1 caso

VARIE BANCHIERE CON POCO-MEDIO EMPOWERMENTVarie banchiere con poco-medio empowerment Molti casi Molti casiQualche casoBanchiere assentiBanchiere assentiSolo 1 casoAlcune banchiere con medio-alto empowermentMolti casiSolo 1 casoSolo 1 casoVarie banchiere con poco-medio empowermentMolti casiSolo 1 casoMolti casi, tra cui numerosi occasionali Qualche caso; finanziamenti solo da lontanoQualche casoSolo 1 casoAlcune banchiere con poco empowermentSolo 1 casoSolo 1 casoMolti casi

BANCHIERE ASSENTI O ANOMALE SALVO RARI OUTLIERSBanchiere assentiBanchiere assenti salvo outliers Banchiere assenti o anomaleBanchiere assenti o anomaleBanchiere assenti Banchiere assenti Banchiere assenti Banchiere assentiBanchiere assenti salvo 1 outlierBanchiere assentiBanchiere assentiBanchiere assentiSolo 1 outlier

COMMENTIFORMA DI IMPEGNO CREDITIZIO

Vedi Mestre

quanto più elevata e duratura èla percentuale di askenaziti di ori-gine transalpina, nelle Comunitàdi appartenenza. Non a caso, inun luogo come Trieste, risultanogià risiedere dalla fine del ’200 eoperare dalla metà del ’300 variecorreligionarie di lingua tedesca,proprietarie e gestrici continuativedi banchi usurai. Le donne ebree del Basso Medio

Evo, esercitanti nell’Italia centro-settentrionale un’attività fenerati-zia ufficiale, attraverso il sistemadelle condotte, non solo diminui-scono in quantità e qualità dicoinvolgimento via via che siscende verso il sud della Toscanae dello Stato della Chiesa, a Romaazzerandosi del tutto, ma vedonopure deteriorarsi l’empowermentderivante dal loro eventuale im-

pegno creditizio, perché diventa-no sempre più frequenti quelleche sono solo compartecipi in uninvestimento finanziario altrui,senza gestire in autonomia alcunbanco di loro proprietà, o addi-ruttura sono costrette a operareunderground, concedendo prestitiesclusivamente “sotto banco” (emai un siffatto uso lessicale figu-rato fu più appropriato): la Tabella

3, allegata, riassume i principalirisultati cui sono finora pervenuta,basandomi su fonti secondarie,salvo nel caso di Siena, dove hopotuto consultare anche l’Archiviodi Stato. Il fenomeno di relativamente altoempowerment femminile, godutodalle banchiere nell’Italia centro-settentrionale del Basso MedioEvo, si chiude alla fine del ’400

FiorellaKostoriseconomista

La donna ebrea nel Basso Medio Evo

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Ivan Grosso

Viviamo in un'epoca in cui si da particolare

importanza alla Memoria, ma il 27 gennaio

ci troviamo di fronte a un eccesso che, co-

me afferma lo storico Georges Bensoussan,

rischia di produrre l'effetto contrario.

E durante l'anno?

Nella mia tesi, dedicata alla Scrittrice Anna

Frank, e dal titolo “Introduzione alla Sho-

ah: Guida per lo studente milanese di scuo-

la media (immagini e testi)”; sostengo che

la Memoria non debba esaurirsi soltanto

nella celebrazione di ciò che è stato, ma

anche nel ricordo delle responsabilità di

chi lo ha causato. Il primo capitolo è inte-

ramente dedicato all'evoluzione del con-

cetto di “razza”, e del varo delle Leggi raz-

ziali, che giustamente noi oggi possiamo

chiamare razziste. Mi soffermo poi sulla

scuola ebraica di Via Eupili, a Milano, che

accolse studenti e professori ebrei cacciati

dalle scuole e dalle università: oltre alla

scuola media e a una scuola di avviamento

professionale, contava di un liceo scienti-

fico, di un istituto magistrale e di un isti-

tuto tecnico; fu anche creato un coro, di-

retto da Vittore Veneziani, direttore della

Scala espulso in quanto ebreo, mentre le

lezioni di disegno erano tenute dal pittore

Carlo Vitali. Fu costituito anche un corso

di Chimica, che permetteva di accedere ad

alcune facoltà svizzere, e un Corso di Eco-

nomia e Commercio. La scuola di Via Eupili

fu animata da personalità quali Federico

Jarach, Joseph Colombo, Eugenio Levi.

Quando fu riaperta nell’ottobre del 1945

molti allievi e molti professori non c’erano

più, deportati e scomparsi nei campi in-

sieme a tanti altri ebrei milanesi. La scuola

rimase attiva fino al 1964, anno in cui fu

trasferita in Via Sally Mayer, divenuta la

scuola ebraica più grande d’Europa.

Ho scelto poi di dare spazio alla testimo-

nianza di Goti Bauer e di Liliana Segre con

cui si ripercorrono i momenti precedenti

la deportazione, da Corso Magenta a San

Vittore, dalla stazione centrale alla con-

fusione dell' arrivo ad Auschwitz.

Avendo frequentato il Master in Cultura

ebraica e Comunicazione ho anche voluto,

nella mia tesi, progettare un'unità didat-

tica ad uso degli insegnanti, con l'utilizzo

di Facebook.

Tra le immagini che corredano il mio la-

voro vi è la fotografia di Liliana Segre di-

nanzi al Muro dell’Indifferenza del Memo-

riale della Shoah di Milano, Binario 21, isti-

tuzione in cui io ho fatto lo stage del Ma-

ster e dove ancora oggi sono spesso chia-

mato a collaborare. Contro la scritta che

campeggia al Memoriale, “indifferenza”, la

Memoria dei Giusti tra le nazioni fa la “dif-

ferenza” dice sempre Liliana Segre: e, an-

cora, sono i Giusti tra le nazioni e non le

nazioni giuste, a indicare che sono quei

pochi che hanno fatto la “differenza”.

Personalmente, quando mi trovo a inter-

venire come guida al Memoriale, non ho

la pretesa di fornire soluzioni o risposte

ma spunti di riflessione per coltivare quel-

le pianticelle che se ben innaffiate diven-

teranno alberi con delle radici solide.

Ai ragazzi va detto, come ha scritto Gior-

gio Bassani nel Giardino dei Finzi-Contini:

"Capire da vecchi è brutto, molto più brut-

to. Come si fa? Non c'è più tempo per ri-

cominciare da zero, e la nostra generazio-

ne ne ha prese talmente tante di canto-

nate!" E continua: "Ricomincia a studiare

e occupati di qualcosa [...] è più da uomo,

fra l'altro".

/ P33pagine ebraiche n. xx | xxxxxx 2018 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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per molte ragioni, non ultimel’apertura dei Monti Pii (a partiredal primo, quello di Perugia, del1462) e la ghettizzazione cinque-centesca (iniziata nel 1516 a Ve-nezia), che rappresenta per ledonne ebree del nostro Paeseuna forma di doppia emargina-zione. Il Monte dei Paschi di Sie-na, nato appunto nel 1472, e per-ciò, oggi, orgogliosamente van-tante la posizione della più anticabanca del mondo, ha dovuto at-tendere 543 anni e una legge (uti-le ma sperabilmente solo tempo-ranea) sulle cosiddette “quote ro-sa” nelle società quotate e parte-cipate, per poter esprimere (unicain Italia) una percentuale femmi-nile nel Consiglio di Amministra-zione addirittura eccedente, finoa poco tempo, il 50%. Da dicem-bre, nel cda, di cui sono lieta difare ancora parte, la frazione delledonne è scesa a 1/3, cioè al mi-nimo sindacale, secondo la leggevigente, ma in compenso include,per la prima volta nella storia del-le grandi banche del nostro Paese,il vertice presidenziale. Nella pro-spettiva quali-quantitativa quiadottata, voglio sperare che que-sto sia un segno di progresso peril futuro dell’Italia.

Una guida per gli studenti milanesi

Palermo, la figura femminile protagonista Claudia Lo Iacono

Il mio lavoro ha l’obiettivo di far emergereframmenti di una storia ebraica siciliana,perduta, dimenticata o mai conosciuta ericostruire la rifioritura dell’ebraismo pa-lermitano dalla metà del ‘900 fino ad oggi.È stato fondamentale rintracciare la retedei rapporti e importantissime sono statele testimonianze anche per le poche no-tizie sulle famiglie ebraiche siciliane del‘900. Mi sono soffermata su tre grandiperiodi. Il primo parte dai primissimi annidel Novecento, con il nucleo ebraicocomposto da imprenditori ebrei stranieritrasferiti a Palermo grazie alla potenzialitàeconomica dell’isola ma anche da docentiuniversitari quali Maurizio Ascoli, MarioFubini, Alberto Dina, Emilio Segre, Ca-millo Artom, espulsi dall’università nel1938. Vi erano poi ebrei di passaggio cheinsieme ai primi formarono un gruppo

borghese e colto, lontano dall’aspetto re-ligioso–rituale. Dopo gli anni di fiorituraeconomica anche gli ebrei palermitanisubiscono la violenza e l’esclusione dalleattività lavorative. In questo clima di fortetensione la clinica Pasqualino Noto si di-stinse per l’accoglienza offerta ai due me-dici Ascoli e a Ruth Anna Maria AdlerLupo, che poterono continuare a lavorare,seppur clandestinamente. La rinascitacontinua grazie a un gruppo di donneebree provenienti dall’Europa centrale. Ela Sicilia diventa luogo di passaggio permolti ebrei stranieri, artisti, marinai, e im-prenditori che vengono accolti e resi par-tecipi della vita ebraica. Nel 1962, duranteil concerto dell’Orchestra di Ramat Ganal Teatro Massimo nasce un’amicizia conArik Israeli, prima viola del Teatro e gra-zie a questi ospiti a Palermo comincianoa riunirsi per le feste, le donne diventanomotore di rinascita dell’amore per Israele

e la religiosità ebraica comincia ad esserevissuta nelle case, tra i pochi residenti aPalermo e chi era di passaggio. Una delleprotagoniste è Fiorenza Della Pergola,interessata a trasmettere ai figli l’ebraismoe a tessere i rapporti con gli ebrei intornoa lei. Fiorenza incontra Mario Ovazza,Daniele Enriquez, Ugo Foa, Guido Mar-tinotti, il signor Ancona, ma soprattuttoincontra Marianna Eller Chiriaco, che lainserisce nel gruppo. Inizia una intensavita ebraica, che con il tempo però si al-lenta. Il rifiorire dell’ebraismo siciliano siriebbe nel 1989 grazie alle donne. FaustaFinzi propone al cugino David Cassutodi organizzare una riunione per proiettaredelle diapositive della antica giudecca si-ciliana, l’occasione per lei di riferire al-l’UCEI la presenza di un nucleo interes-sato a vivere l’ebraismo a Palermo. Nel1989 si costruisce la prima sukka in pre-senza di rav Caro, Gadi Piperno, Amedeo

Spagnoletto e Angelo Piattelli. Da allorala vita ebraica è diventata più numerosa,intensa e attiva. Determinanti sono state Evelyne Aouatee Maria Antonietta Ancona, che hannodato vita all’Istituto Siciliano di StudiEbraici e importanti i rapporti con laChiesa, con occasioni di dialogo interre-ligioso che hanno segnato tutto il per-corso fino alla cessione alla comunitàebraica da parte del vescovo metropolita,Corrado Lorefice, della chiesa Santa Ma-ria del Sabato, per la realizzazione dellafutura sinagoga, situata all’ingresso del-l’antica giudecca. La storia ebraica palermitana si sviluppaquindi grazie alle amicizie nate lungo glianni del Novecento e grazie all’impegnofamiliare e sociale delle donne siciliane.Oggi, da questa lunga trama di rapporti,troviamo una collettività più grande epresente. È una storia che continua.

accompagnare le visite al Memoriale; Claudia ha at-

tivamente collaborato con lo staff UCEI all’organiz-

zazione della Giornata della Cultura del settembre

scorso, a Palermo.Se prevalevano le differenze, tra i

nostri quattro candidati vi era tuttavia un elemento

comune, il desiderio di continuare a studiare, la con-

sapevolezza di aver appena iniziato ad avvicinarsi

alla cultura ebraica; un “so di non sapere” condiviso.

Ogni studente ha aderito alla massima dei Pirkè Avot

“Trovati un Maestro” e Maestri, in quest’occasione,

sono stati Anna Foa, (Storia delle Comunità ebraiche

italiane), Roberta Ascarelli (Letteratura ebraica) Ema-

nuele Ascarelli (Deontologia e Comunicazione ebraica),

e, in qualità di correlatori, Fausta Finzi, testimone

del risveglio ebraico in Sicilia, e Giacomo Todeschini

dell’Università di Trieste, studioso e esperto di storia

economica ebraica nel Medio Evo. Accanto a loro,

nella Commissione giudicatrice, vi era il direttore del

Master, rav Riccardo Shmuel Di Segni, il consigliere

UCEI a Educazione e Giovani Livia Ottolenghi e la sot-

toscritta, coordinatrice del master. Le tesi sono state

generalmente apprezzate; accordi e disaccordi con

alcune conclusioni dei candidati sono stati esposti

con lo spirito che anima ogni ricerca. Su queste pagine

il lettore potrà apprezzare alcuni estratti dei lavori

presentati. Altri seguiranno sui prossimi numeri.

Myriam Silvera

Page 34: mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ...moked.it/paginebraiche/files/2009/08/PE-02-2018_LR.pdf · Daniel Reichel Una gamba davanti all'altra. È una frase

prendere forma è la vicenda ditre protagonisti del pallone a li-vello dirigenziale raccontati nelrecente saggio Presidenti, di

A d a mS m u l e -vich, fre-sco vinci-tore delP r e m i o

Fiuggi-Sto-ria 2017: l'insegnante e presideastigiano Raffaele Jaffe, che por-

tò il Casale ad aggiudicarsi unincredibile scudetto alla vigiliadella Grande Guerra; l'impren-ditore e filantropo partenopeoGiorgio Ascarelli, fondatore delNapoli; il banchiere Renato Sa-cerdoti, tra gli artefici della na-

/ P34 SPORT n. 2 | febbraio 2018 pagine ebraiche

Matteo Marani torna a lasciareil segno. C'è una firma d'autorenel documen-tario che SkySport ha volu-to realizzareper questoGiorno dellaMemoria, de-dicato alleconseguenzeche le Leggi antiebraichepromulgate dal fascismo nel1938 ebbero nella vita deglisportivi ebrei italiani. "1938 - Lo sport italiano controgli ebrei" si candida ad essereun formidabile strumento di co-noscenza e divulgazione, anchee soprattutto per i giovani. E ilnome di Marani, che alcuni annifa ha sottratto da un pluridecen-nale oblio la figura di ArpadWeisz, è più di una garanzia inquesto senso. Lungo cinquantadue minuti, ildocumentario apre un ciclo diappuntamenti sul piccolo scher-mo. "Storie di Matteo Marani",una serie di incontri televisiviche parleranno di sport ma an-che di molto altro. Lo dimostraquesta prima prova, curata daAlessia Tarquinio, suddivisa intre tracce. La storia di Weisz,naturalmente, che con Inter eBologna vinse complessivamen-te tre scudetti e che dall'entratain vigore delle Leggi in poi ini-ziò il proprio cammino versol'emarginazione (prima) e l'abis-so di Auschwitz (poi). Semprerestando in ambito calcistico, a

Da questo mese di gennaio una curva dello

stadio Dall'Ara porta ufficialmente il suo no-

me. In quel fazzoletto verde, negli Anni Tren-

ta, scrisse pagine memorabili. Due scudetti,

l'ammirazione di milioni di tifosi in tutta Eu-

ropa. E poi, d'un tratto, l'oblio. Le Leggi raz-

ziste promulgate dal regime che lo costrin-

gono a lasciare la panchina e alcuni anni do-

po, in regime di persecuzioni, l'arresto in

Olanda, la deportazione ad Au-

schwitz, l'annientamento.

La figura dell'allenatore magiaro

Arpad Weisz, riscoperto soltanto

pochi anni fa grazie al giornalista

Matteo Marani, è tornata di

grande attualità. Una vicenda

emblematica per raccontare l'or-

rore della rimozione, cui è dedicata la mostra

"Arpad Weisz. Dal successo alla tragedia" in

esposizione al Museo ebraico di Bologna, cu-

rata da Vincenza Maugeri e Carlo F. Chiesa.

Sullo sfondo la Bologna degli anni Trenta e

del Littoriale, “monumento della nuova epo-

ca”, che segna anche il diffondersi uno dei

miti dell’ideologia fascista, quello per cui

l’educazione fisica, l’attività e i successi spor-

tivi devono corrispondere alla forza della na-

zione; e l’eco delle Olimpiadi del 1936 a Ber-

lino nella Germania nazista, dove l’atleta bo-

lognese Ondina Valla conquistò la medaglia

d’oro negli 80 metri a ostacoli, prima donna

italiana a vincere un titolo olimpionico. Nel

1937-38 il Bologna chiude col quinto posto

in classifica, nel 1938-39 riparte alla caccia

dello scudetto, ma le Leggi del '38

impongono agli ebrei stranieri di la-

sciare l’Italia. La straordinaria car-

riera nel team rossoblù di

Arpad Weisz si interrompe brusca-

mente. Weisz guida la squadra per

l’ultima volta il 23 ottobre 1938, con-

tro l’Ambrosiana-Inter. Il suo sosti-

tuto, l’austriaco Felsner, vincerà lo scudet-

to.

Il 10 gennaio del 1939, i Weisz sono obbligati

a lasciare Bologna e cercano riparo a Parigi.

Tuttavia la Francia non può offrire loro un

riparo sicuro e stabilità. Nel febbraio del

1939 Weisze famiglia arrivano in Olanda, nel-

la cittadina di Dordrecht, dove Arpad alle-

nerà la squadra locale, portandola alla sal-

vezza e alla conquista di due quinti posti nel-

la massima serie. Ma nell’Olanda occupata

dall’esercito tedesco, iniziano le discrimina-

zioni degli ebrei e le deportazioni. Le SS ar-

restano la famiglia Weisz nell’agosto 1942:

Elena, Roberto e Clara, deportati ad Au-

schwitz, vi trovano subito la morte. Arpad

passa prima da un campo di lavoro in Alta

Slesia, poi ad Auschwitz, dove muore il 31

gennaio 1944.

Ha osservato Guido Ottolenghi, presidente

del Museo ebraico, intervenendo all’inaugu-

razione della mostra: "La natura bolognese

di questa storia, il legame con uno sport

amato come il calcio, la forza espressiva del

fumetto speriamo siano occasioni per la cit-

tadinanza di trovare una connessione con

quei giorni. Di cogliere come quel che oggi

pare ingiustificabile, in quei tempi trovasse

una giustificazione ideologica. Di interioriz-

zare che anche oggi qualunque ideologia che

neghi l’uguaglianza dei cittadini davanti alla

legge, e delle persone in generale, può con-

fonderci e perderci, ma che con la prospet-

tiva degli anni apparirà sempre grottesca

così come ora ci appare assurdo quanto av-

venne 80 anni fa".

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Nel segno di Arpad Weisz

1938, lo sport fu usato per odiare Nel documentario di Matteo Marani per Sky Sport una ricostruzione corale, con alcuni inediti

A sinistra Giorgio Vaccaro,!

presidente della Federcalcio dal

1933 al 1942. A destra Leone

Efrati. In alto una scena dal

documentario, con Marani.

SmulevichPRESIDENTIGiuntina

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/ P35pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2018 SPORT

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Quasi una formalità, visto che la notizia era data per certa da

diversi mesi. Comunque il 20 gennaio scorso è arrivata finalmente

la conferma ufficiale. La Israel Cycling Academy, la prima squadra

professionistica israeliano di ciclismo, sarà al via del prossimo

Giro d’Italia. Il team, coinvolto nell’organizzazione della Grande

partenza, le prime tre tappe israeliane del Giro, ha ottenuto una

wild card da Rcs Sport. Sia per partecipare alla corsa rosa, che

inizierà il 4 maggio con una cronometro a Gerusalemme, sia per

altre due classiche con cui si aprirà nelle prossime settimane la

stagione: la Milano-Sanremo e la Tirreno-Adriatico.

“È un momento storico, un grande onore per tutti noi” commenta

la dirigenza del team. La Academy è una vecchia conoscenza dei

lettori di Pagine Ebraiche: in collaborazione con il giornale del-

l’ebraismo italiano atleti e dirigenti hanno infatti affrontato per

due volte a pedali, nel 2016 e nel 2017, il tratto da Firenze ad

Assisi che vide protagonista Gino Bartali nei mesi delle persecu-

zioni antiebraiche.

Sempre dall'Academy, nelle scorse settimane, è arrivato un an-

nuncio significativo. Dopo aver ingaggiato il ciclista turco Ahmet

Orken – poi costretto a lasciare per via di alcune minacce ricevute

dai suoi cari in patria, una vicenda che ha lasciato l’amaro in

bocca – la squadra ha annunciato l'ingaggio di Awet Gebremedhin.

Non un nome di grido ma la storia, sì,

è di quelle che lasciano il segno. Awet,

25 anni, è nato in Eritrea e ha alle spal-

le un passato non semplice. Nato in

una famiglia poverissima, ha affronta-

to le difficoltà tipiche che caratteriz-

zano la vita di chi ogni giorno è co-

stretto a lottare per una esistenza

normale in condizioni di grave disagio.

La scuola lontana quindici chilometri

da casa, ad esempio. Una distanza che

Awet ha saputo trasformare in oppor-

tunità, affrontando questo lungo tragitto in sella a una bicicletta

usata. Il primo investimento della sua vita, realizzato con i pochi

risparmi pazientemente accumulati. Si fa notare, sui pedali. Tanto

che nel 2009 è ad Asmara, la capitale, dove una squadra gli offre

un contratto. Prime corse ufficiali, prime convocazioni con la

nazionale eritrea. E una convinzione che però si fa presto largo:

qua, per me, non c’è futuro. Così, nel 2013, lascia l’Italia dove si

trova per una corsa e prende un aereo diretto in Svezia. Un amico

lo ospita clandestinamente, diciotto mesi di paura ma anche di

studio intense della lingua svedese, e quando arriva il momento

opportuno Awet chiede asilo. È il novembre del 2015. E la sua

vita cambia, improvvisamente: in Svezia, in Europa, per lui c’è

un futuro. E quel futuro se lo conquista in bici, il suo più grande

sogno. L’anno scorso, con la maglia della Kuwait-Cartucho.es, Ge-

bremedhin ha ben figurato in diverse circostanze e si è piazzato

in sedicesima posizione nella classifica generale della Vuelta Co-

munidad de Madrid. Con la Academy l’ambizione è di poter fare

molto meglio, anche se per il 2018 almeno dovrà accontentarsi

di stare un po’ nelle retrovie. La squadra che farà il Giro e le

corse principali è stata infatti già completata. Ma il 2019, scom-

mettono in tanti, sarà il suo anno.

Giro, per Israele annuncio storico

scita della Roma e per due voltesue presidente. Infine, restandonella Capitale, nuova luce si ac-

cende sulla figura di Leone Efra-ti. Pugile tra i più forti della suaepoca, ad Auschwitz fu costretto

a battersi contro avversari assaipiù prestanti di lui. Fino all'ulti-mo terribile match contro gliaguzzini, cui seguì l'eliminazionenella camera a gas. Di appenapoche settimane fa la notizia delritrovamento di alcuni guantoniappartenuti all’atleta. Ad aiutare Marani, in questoviaggio tra Sport e Memoria, cisono anche gli storici MarcelloPezzetti e Michele Sarfatti. E iragazzini della scuola ebraicamilanese, dove sono state giratealcune scene. Il Manifesto dellaRazza, la legislazione antiebraica,i nefasti proclami del nazifasci-smo. Parole e concetti rappre-sentati da alcuni giornalisti Sky:Giorgio Porrà, Flavio Tranquilloe la stessa Tarquinio. Spazio an-che a come il regime manipolòlo sport, per alimentare il proprioapparato di propaganda. E adalcuni documenti della vergognache certificarono l’avvenuta cac-ciata degli ebrei dallo sport. ”È stata una grande prova cora-le, uno straordinario lavoro digruppo" sottolinea Marani. "E -aggiunge - un chiaro segno diattenzione da parte dei verticiaziendali a tematiche così im-portanti, soprattutto in un pre-sente così complesso. Cinquan-tadue minuti di filmato sono unamisura significativa. Sono perquesto riconoscente all'aziendae al direttore Federico Ferri, chefortemente ha voluto investirein questa sfida". Una sfida di Memoria che si rin-nova anche nel segno della Runfor Mem, la corsa per un ricor-do consapevole organizzata epromossa dall'Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane. Comelo scorso anno a Roma, dove siè svolta la prima edizione, SkySport ha accettato di essere me-dia partner anche per l'appun-tamento di questo gennaio aBologna. "A sessant’anni dalla morte, siera perduta ogni traccia. Eppureaveva vinto più di tutti nella suaepoca, un’epoca gloriosa del pal-lone, aveva conquistato scudettie coppe. Ben più di tecnici tantoacclamati oggi. Sarebbe imma-ginabile che qualcuno di loroscomparisse di colpo? A lui èsuccesso”. Così Marani descri-veva, nel suo saggio Dallo scu-detto ad Auschwitz, la rimozionedi Weisz dal calcio e dalla so-cietà italiana. Un grande vuotofinalmente colmato, anche at-traverso tanti incontri nellescuole. "1938 - Lo sport italianocontro gli ebrei" ha lo stessoobiettivo. Entrare nelle classi,portare i ragazzi a confrontocon temi difficili attraverso unlinguaggio universale e alla por-tata di tutti.

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