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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 4 - aprile 2016 | אדר ב5776 SHABBAT HAGADOL 16 APRILE 2016 MILANO 19.39 20.55 | FIRENZE 19.40 20.45| ROMA 19.33 20.38 | VENEZIA 19.38 20.45 VENEZIA - I 500 ANNI DEL GHETTO Assieme all’indimenticabile protagonista delle avventure di Hugo Pratt alla scoperta della Venezia ebraica e del ghetto più antico a pagg. 32-33 ----------------------------------- A PAGG. 25-26 ----------------------------------- Giorgio Albertini Leggere il difficile mosaico di Israele Identità, politica, religione I paradossi e le tendenze di una società dinamica ed estremamente complessa, sempre più radicalizzata nelle tendenze e nelle identità, nell’analisi del demografo e politologo Sergio Della Pergola e del sociologo Enzo Campelli che interpretano per Pagine Ebraiche i dati dell’ultima ricerca del Pew Research Center. pagg. 6-9 IL PRIMO VOLUME AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Il Talmud parla italiano --------------------------------------- A PAGG. 6-9 -------------------------------------- Un primo trattato della grande opera (Rosh haShanah) è ora disponibile e il progetto cui stanno lavorando decine di traduttori prende corpo. In una solenne cerimonia ai Lincei la presentazione del lavoro appassionante per mettere alla portata di tutti l’opera chiave dell’ebraismo. pagg. 4-5 e 27-31 OPINIONI A CONFRONTO 14% Musulmani 2% Drusi 1% Cristiani 1% Altre religioni 8% Haredim 10% Datim 40% Hilonim 23% Masortim Riccardo Di Segni, Clelia Piperno, Renzo Gattegna e Giuliano Amato riflettono sul significato del laboratorio per la traduzione che impegna decine di esperti. / pag. 4-5 Enea Riboldi Alla prestigiosa Bologna Children’s Book Fair si parla del difficile processo di integrazione e del laboratorio Germania. Ritorna il mito del Golem e continua a crescere il castello fatato voluto da Jella Lepman per salvare l’Europa. / pag. 15-21 DOSSIER LEGGERE PER CRESCERE rav Adin Even-Israel Steinsaltz/ a pag. 27 A colloquio con il poeta iraniano perseguitato Payam Feili “Cercavo la libertà, l’ho trovata a Tel Aviv” a pag. 10-11 L’Unione rinnova lo Statuto Il 19 giugno le elezioni per il nuovo Consiglio dell’assise dell’ebraismo italiano a pag. 3 SEGUENDO I PASSI DI CORTO MALTESE BASSANI David Bidussa LIBERTÀ D’ESPRESSIONE Antonio Donno DIALOGO Anna Segre RETORICA Francesco Moises Bassano ISRAELE / 1 Sergio Della Pergola ISRAELE / 2 Enzo Campelli Due lingue e il vuoto che le separa Adin Steinsaltz, Gianfranco Di Segni e Alberto Moshe Somekh spiegano a cosa serve la Ghemarà, Andrea Bozzi e Alessandro Finazzi raccontano l’impegno italiano di ricerca/ pag. 27-31

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Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 8 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461

euro 3,00

n. 4 - aprile אדר ב | 2016 5776

SHABBAT HAGADOL 16 APRILE 2016MILANO 19.39 20.55 | FIRENZE 19.40 20.45| ROMA 19.33 20.38 | VENEZIA 19.38 20.45

VENEZIA - I 500 ANNI DEL GHETTO

Assieme all’indimenticabile protagonista delle avventure di HugoPratt alla scoperta della Venezia ebraica e del ghetto più antico

a pagg. 32-33

----------------------------------- A PAGG. 25-26 -----------------------------------

Gior

gio

Albe

rtini

Leggere il difficile mosaico di IsraeleIdentità, politica, religione

I paradossi e le tendenze di una societàdinamica ed estremamente complessa,

sempre più radicalizzata nelle tendenze e nelleidentità, nell’analisi del demografo epolitologo Sergio Della Pergola e del sociologoEnzo Campelli che interpretano per PagineEbraiche i dati dell’ultima ricerca del PewResearch Center.pagg. 6-9

IL PRIMO VOLUME AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il Talmud parla italiano

--------------------------------------- A PAGG. 6-9 --------------------------------------

Un primo trattato della grande opera (Rosh haShanah) è ora disponibile e il progetto cui stanno lavorando decine

di traduttori prende corpo. In una solenne cerimonia ai Lincei la presentazione del lavoro appassionante per

mettere alla portata di tutti l’opera chiave dell’ebraismo. pagg. 4-5 e 27-31

OPINIONI

A CONFRONTO

14% Musulmani

2% Drusi

1% Cristiani

1% Altre religioni

8% Haredim

10% Datim

40% Hilonim

23% Masortim

Riccardo Di Segni, Clelia Piperno, RenzoGattegna e Giuliano Amato riflettono sul

significato del laboratorio per la traduzioneche impegna decine di esperti. / pag. 4-5

Enea

Rib

oldi

Alla prestigiosaBologna Children’sBook Fair si parla deldifficile processo diintegrazione e dellaboratorio Germania.Ritorna il mito delGolem e continua acrescere il castellofatato voluto da JellaLepman per salvarel’Europa. / pag. 15-21

DOSSIER

LEGGERE

PER CRESCERE

rav Adin Even-Israel Steinsaltz/a pag. 27

A colloquio con il poeta iraniano perseguitato Payam Feili

“Cercavo la libertà, l’ho trovata a Tel Aviv” a pag.

10-11

L’Unione rinnova lo StatutoIl 19 giugno le elezioni per il nuovo Consiglio dell’assise dell’ebraismo italiano a pag. 3

SEGUENDO I PASSI

DI CORTO MALTESE

BASSANIDavid Bidussa

LIBERTÀ D’ESPRESSIONEAntonio Donno

DIALOGOAnna Segre

RETORICAFrancesco Moises Bassano

ISRAELE / 1Sergio Della Pergola

ISRAELE / 2Enzo Campelli

Due lingue e il vuoto che le separa

Adin Steinsaltz, Gianfranco Di Segni e AlbertoMoshe Somekh spiegano a cosa serve la

Ghemarà, Andrea Bozzi e Alessandro Finazziraccontano l’impegno italiano di ricerca/ pag. 27-31

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/ P2 POLITICA / SOCIETÀ

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

Scadranno il 20 aprile i termini per depositare la candidatura a far parte del prossimo Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Due mesi

dopo, il 19 giugno, avrà infatti luogo la consultazione elettorale indetta per il rinnovo degli organici della massima assise dell'ebraismo italiano, che resterà

in carica per quattro anni. Nelle due principali Comunità, Roma e Milano si procederà al voto con suffragio universale. Venti i candidati che saranno eletti

da Roma (voto con liste bloccate), dieci invece quelli da Milano (panachage, cioè voto disgiunto sui nomi). Per quanto riguarda le restanti 19 Comunità ter-

ritoriali, cui spetta un delegato ciascuna, i singoli Consigli avranno due possibilità: lasciare che siano gli iscritti ad esprimersi nell'urna, oppure indicare di-

rettamente un proprio rappresentante. I Consigli che propenderanno per la seconda ipotesi dovranno riunirsi e prendere una decisione all'interno della

settimana che precede il 19 giugno. Una volta definiti, i nominativi andranno notificati (a urne chiuse) alla commissione elettorale.

Unione, via libera alle riforme Costruttivo e cordiale confronto al Consiglio di marzo sul futuro dei rapporti tra Comunità e rabbini

Al voto il 19 giugno per il Consiglio UCEI

Con il deposito al ministero degliInterni le modifiche statutarie com-pletate e approvate dal Consigliodell'Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane nel corso dell'ultimariunione tenutasi a Roma a metàmarzo sono realtà. Diversi gli am-biti delle modifiche votate a largamaggioranza dall'assise, tra cuiquelli in materia di elezioni, con larevisione del regolamento eletto-rale. Tra le norme introdotte, un mec-canismo finalizzato a gestire even-tuali dimissioni da parte di Consi-glieri dal Consiglio stesso: alla lorosostituzione si procederà con lanomina dei primi tra i non elettie, quando ciò non fosse possibile,sarà il Consiglio a cooptare i nuovimembri, previo parere delle Co-munità di appartenenza. Altro ele-mento introdotto e legato alle ele-zioni UCEI, l’obbligo per chi sicandida al Consiglio di essereiscritto alla Comunità che vuolerappresentare. Novità anche per i rabbini delegatia rappresentare l’Assemblea rabbi-nica all’interno dell’Unione: spet-terà infatti all’Assemblea proporreuna rosa di cinque candidati e saràpoi il Consiglio a scegliere, tra que-sti, tre rappresentanti. “Sulla basedell’esperienza sono stati adottatialcuni cambiamenti e delle corre-zioni" spiega il Consigliere UCEI

Giorgio Sacerdoti, che ha condottola Commissione Statuto cui era af-fidata l’analisi delle norme. "Dopoil deposito - aggiunge - la nuovaversione del testo verrà consegnataalle Comunità”. Rimane invece fuori dall’attuale ag-giornamento la parte dello Statutodedicata al rapporto tra i rabbinicapo e le Comunità. Su questa ma-teria, che riguarda gli articoli 29 e30 del testo, sta lavorando unaCommissione composta da rap-presentanti del Consiglio dell’Unio-ne e dell’Ari con lo scopo di arri-vare a una stesura concordata dieventuali nuove norme. La que-stione è stata dibattuta, in un con-fronto vivace e sereno, nel corsodella riunione romana. Dopo un’ampia relazione del pre-sidente dell’Unione Renzo Gatte-

gna che ha ribadito come ogni so-luzione, come la ricerca di stru-menti di tutela e di regolazione deirapporti, debba scaturire da deci-sioni concordate, hanno preso laparola anche il rabbino capo di Ro-ma Riccardo Di Segni, che ha sot-tolineato la posizione del rabbina-to, e il responsabile della Commis-sione che si occupa della revisionedei due articoli, il Consiglieredell’Unione Dario Bedarida. Tuttigli intervenuti hanno sottolineatola necessità di tutelare da una partel’autonomia del mandato rabbinicoe dall’altra le esigenze espresse dal-le Comunità. Una volta definito unaccordo, nelle speranze dei parte-cipanti dovrebbe avvenire in tempibrevi, saranno gli stessi Consiglidell’Unione e dell’Ari a recepire oa respingere la soluzione identifi-

cata. Altro tema dibattuto, quellolegato alla possibilità del pubblicodi assistere ai lavori del Consiglio.Per garantire la massima traspa-renza, agli iscritti è confermata lapossibilità di annunciare la propriapresenza come osservatori alle riu-nioni. Il Consiglio potrebbe in ognicaso decidere di procedere a portechiuse là dove se ne verificasse l’esi-genza.A proposito della diffusione attra-verso mezzi elettronici di comu-nicazione di massa e dei social net-work dei lavori del Consiglio men-tre questi sono ancora in corso,durante la riunione si è discusso sefosse necessario inibirne la possi-bilità ai presenti. Su questo puntoè stata presentata una mozionevolta a impedirne l’utilizzo. Mal’ipotesi non ha raccolto la mag-

gioranza dei consensi e non è stataapprovata per un voto di differen-za. Il Consiglio è infine passato a trat-tare del tema del futuro e della pro-gettualità delle organizzazioniebraiche per i giovani. Il rav Ro-berto Della Rocca ha svolto unarelazione invitando tutti a parteci-pare a due prossimi appuntamentidi primavera dedicati a questo ar-gomento ed è nata anche una vi-vace discussione. Il rav ha riferito,tra l’altro, dell’iniziativa che do-vrebbe svolgersi in aprile e cui par-teciperanno tutti i rappresentantidelle associazioni giovanili per fareil punto anche sulla ricerca con-dotta dal sociologo Enzo Campellisull’ebraismo italiano e analizzarnegli effetti.

Daniel Reichel

“Uno shabbat straordinario che

resterà nella storia della comu-

nità di Biella. Ma anche nella sto-

ria dell’ebraismo italiano”. Non

ha dubbi Dario Disegni, presiden-

te della Fondazione Beni Cultu-

rali Ebraici in Italia, nel commen-

tare l'ingresso in sinagoga del-

l'antico Sefer Torah ashkenazita

restaurato (proprio su impulso

della fondazione) dal sofer Ame-

deo Spagnoletto. Stando ai tst

effettuati con il carbonio 14 dal-

l'Università dell'Illinois, è il più

antico al mondo che sia adatto

all'uso per cui è nato (1250 ca).

La commozione è stata davvero

tanta, a Biella, dove era da una

trentina d’anni che la piccola si-

nagoga di vicolo del Bellone non

ospitava un minian, composto ol-

tre che dalle famiglie del rav Elia

Richetti, referente della comuni-

tà, e del rav Alberto Somekh, i

rappresentanti di quasi tutti i

nuclei biellesi. L’antica sinagoga

da poco restaurata ha visto una

grande folla premere alla sua

piccola porta, e non ha potuto

accogliere tutti quelli che avreb-

bero voluto condividere con la

comunità la gioia del ritorno. A

portare il Sefer Torah è stato il

biellese Alberto Calò, giunto ap-

positamente da Israele, nipote di

quel Gustavo Calò che è stato

l’ultimo rabbino della comunità

(sentito l'omaggio del rav So-

mekh, che ha anche ricordato il

rav Emanuele Weiss Levi).

A stringersi intorno ai parteci-

panti e alla presidente della Co-

munità vercellese Rossella Botti-

Biella, il Sefer Torah è tornato a casa

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ni Treves, senza cui non sarebbe-

ro stati possibili né il restauro

della sinagoga né il recupero del

Sefer, sono accorsi in molti. Dai

vicepresidenti UCEI Giulio Disegni

e Roberto Jarach al consigliere

dell'Unione Claudia De Benedetti,

mentre un intero pullman pro-

veniente da Torino ha portato il

rabbino capo rav Ariel Di Porto

insieme a una numerosa rappre-

sentanza comunitaria.

Ospite della Comunità anche

Maurizio Molinari, direttore de

La Stampa, presente insieme alla

Rai, a Tv2000, a giornali e televi-

sioni locali, ma anche insieme a

una troupe della radiotelevisione

pubblica tedesca.

Dopo l’emozione dell’Haknasat

Sefer Torah la giornata è conti-

nuata a Palazzo Gromo Losa,

messo a disposizione dalla Fon-

dazione Cassa di Risparmio di

Biella che da sempre sostiene la

comunità, dove dopo il saluto di

Bottini Treves e Disegni è stata

la volta di un altro gesto simbo-

lico. Il sindaco della città, Marco

Cavicchioli, ha infatti consegnato

nelle mani del rav Richetti un al-

tro documento dal valore ecce-

zionale: un’antica Meghillat

Esther ritrovata nella Biblioteca

Civica, che torna nelle mani della

Comunità. La dottoressa Grazia-

na Bolengo, direttrice del locale

Archivio di Stato, dopo aver por-

tato il saluto del ministro Fran-

ceschini ha inoltre auspicato l’av-

vio di un programma di studio e

recupero di tutto il materiale

conservato in città. E non è l’uni-

co progetto nato da queste gior-

nate uniche: oltre alla volontà di

ritrovarsi presto per un’altra oc-

casione gioiosa il desiderio di or-

ganizzare a Biella un convegno

dedicato allo studio degli antichi

Sifrè Torah è ora nelle mani dei

presidenti Disegni e Bottini Tre-

ves, che si sono impegnati a la-

vorare in questa direzione.

Ada Treves

POLITICA / SOCIETÀ

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

Ferma condanna di ogni forma diviolenza e terrore. Verità sui terri-bili attentati che colpirono la co-munità ebraica argentina e la rap-presentanza diplomatica israeliananegli anni Novanta. Richiesta diimpegno alle Nazioni Unite e alsegretario di Stato americano af-finché rendano possibile la resti-tuzione dei corpi dei soldati israe-liani uccisi dai terroristi di Hamas.Temi che hanno segnato i lavoridell’assemblea plenaria del WorldJewish Congress a Buenos Aires eche gli oltre 400 delegati giunti datutto il mondo hanno voluto espri-mere con parole chiare in alcunemozioni approvate durante la riu-nione, cui hanno partecipato tragli altri il vicepresidente dell’Unio-ne delle Comunità Ebraiche Ita-liane Giulio Disegni e l’assessoreUCEI Victor Magiar. Tra gli ospitidell’assemblea il presidente argen-tino Mauricio Macri, intervenutonel corso della cena inaugurale. Si-gnificativa la sua presa di posizionesugli interrogativi, le nubi, i moltisilenzi che ancora avvolgono l’at-tentato del 1994 al centro ebraicoAmia di Buenos Aires. “L’Argen-tina è tornata nel consesso dellenazioni impegnate nella difesa deidiritti umani e contro il terrorismo.Agiremo costantemente in questadirezione” ha assicurato l’inquilinodella Casa Rosada, nel cui esecu-tivo insediatosi in dicembre siedeanche il rabbino riformato SergioBergman (nominato all’Ambiente).Vivo apprezzamento è statoespresso in questo senso dal pre-sidente del Wjc Ronald Lauder,che ha affermato: “Gli attacchicontro l’ambasciata israeliana del1992 e quello del 1994 all’Amianon sono stati attacchi esclusiva-mente antiebraici, ma contro tuttal’Argentina. L’uccisione di AlbertoNisman è stato un attacco all’in-tero sistema giudiziario e non solocontro un avvocato ebreo. Presi-dente Macri, lei ci ha promessogiustizia. Le crediamo e abbiamo

piena fiducia nel suo operato. Sa-remo al suo fianco in tutti i modie con tutti i nostri mezzi”. Grandeapprezzamento per l’intervento te-nuto dalla delegazione italiana, cheè stata protagonista della secondagiornata di lavori. “Ciascuna delle21 Comunità territoriali ha le suetradizioni e i suoi usi. Teniamo vival’identità ebraica con molti progettiin diversi campi. Educazione, scuo-la, casherut, lotta all’antisemitismoe all’antisionismo. Siamo inoltrefortemente impegnati per la cul-tura” ha spiegato Disegni ai dele-gati (immagine in alto a destra).Luce in particolare su due inizia-tive: gli eventi per il Cinquecente-nario del Ghetto di Venezia e il re-cente ingresso dell’antichissimo Se-fer Torah restaurato nella sinagogadi Biella. Tra gli argomenti mag-giormente dibattuti in plenariainoltre i legami dell’Iran con le piùpericolose organizzazioni terrori-stiche e la necessità che la comu-nità internazionale si esprima al ri-guardo, oltre all’opportunità chele diverse leadership arabe inter-vengano affinché moschee e altri

luoghi di culto cessino di essereterreno di insegnamento all’odio.“Il mondo ebraico è molto esiguonei numeri e forse anche per que-

sto ha a cuore così profondamentei problemi l’uno dell’altro. Per que-sto tengo ad affermare la nostravicinanza a ciascuna comunità na-

zionale e allo Stato di Israele” hadetto Lauder aprendo la sessioneconclusiva dei lavori. “A qualcunoad esempio può apparire stranoche vi siano persone che non sonomai state in Argentina che si sen-tano toccate in modo così perso-nale da tragedie come quelle av-venute in questo paese alcuni annifa. Ma forse non conosce il prin-cipio di giustizia che regola l’ebrai-smo. E noi – ha spiegato Lauder– non riposeremo fino a quandonon raggiungeremo l'obiettivo checi siamo posti”.

Adam Smulevich

“Argentina, basta silenzi”

Punti di vista

© K

ICHK

A

A sinistra il tipico coltellino svizzero. A destra in-

vece un coltello palestinese. I colori sono gli

stessi, ma vi compaiono invertiti. Perché, come ri-

corda il vignettista Michel Kichka in questo suo

disegno, i protagonisti della terribile “Intifada dei

coltelli” rivolta contro militari e civili israeliani

continuano a mietere le vite di tanti innocenti. E

quindi, nel loro caso, è la lama ad essere rosso

sangue, non il manico. Una scia di violenze che

non conosce pause e che ha segnato anche l’inizio

di questo 2016 con l’attacco mortale ai clienti di

un locale nel centro di Tel Aviv il giorno di capo-

danno. Da allora molteplici gli episodi con morti e

feriti verificatisi sia in Israele che in Cisgiordania.

"L'uccisione di innocenti non ha alcuna giustifica-

zione in alcun posto al mondo. Chi non condanna

il terrorismo lo sostiene" ha detto il primo mini-

stro israeliano Benjamin Netanyahu in un suo re-

cente intervento.

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ú–– Francesca Matalon

Inizia con la scelta di un trattato“che sia di buon auspicio” l'avven-tura della pubblicazione della tra-duzione italiana integrale del Tal-mud Babilonese, di cui esce ora ilprimo volume, dedicato al trattatodi Rosh haShanah. E al concretiz-zarsi di questa prima tappa di unlungo percorso, di buoni auspici ilrabbino capo di Roma Riccardo DiSegni (nell’immagine con rav AdinSteinsaltz) – che presiede il Progettonato nel 2011 dalla firma di un'intesatra la Presidenza del Consiglio deiministri, il ministero dell'Istruzione,dell'università e della ricerca, l'Unio-ne delle Comunità Ebraiche Italianee il Consiglio Nazionale delle Ricer-che – ne esprime molti. Tutto è ini-ziato con “una conversazione chesembrava occasionale, ma dietroc'era già un progetto più grande”avuta nel 2010 con Clelia Piperno,direttrice del Progetto, tanto che inbreve tempo si è trasformata in unfinanziamento dallo Stato e in un li-bro pronto alla distribuzione. Unprocesso che porta il rav Di Segni afare alcune considerazioni, in primoluogo sulle novità che esso compor-ta. Innanzitutto si tratta della primatraduzione italiana completa del Tal-mud, “fruibile a diversi livelli, da quel-lo più elementare di chi vi si approc-cia la prima volta a con l'aiuto di un

maestro, a chi è già esperto e ha orauno strumento in più”. Inoltre, il pro-getto “è frutto del suo tempo, e in-fatti si lavora completamente in di-gitale”. Ma anche in generale "questolavoro di squadra tra le sue varie ani-me” costituisce qualcosa di inedito.Le riflessioni del rav si articolanoquindi su vari piani. Da un lato, ri-leva, lo Stato italiano si è convintoche il Talmud sia un patrimonio del-l'umanità, del tutto sconosciuto inItalia. “La società italiana - affermail rav - ha abbattuto dei tabù nei con-fronti degli ebrei e gli altri lo hannocapito forse meglio di noi: l'ebraismonon è solo i morti di Auschwitz, maun pilastro della cultura e tutto que-sto passa anche attraverso il Talmud”.All'interno del mondo ebraico invecela situazione è più diversificata.“L'ebraismo italiano va in due op-poste direzioni – spiega – da un latoesistono una fuga e un decremento

numerico, ma accanto a questo esisteuna riscoperta dell'ebraismo originaleed essenziale”. Nel fare un paragonecon il passato recente di mezzo se-colo fa, il rav Di Segni osserva quindicome un'impresa simile sarebbe stataimpensabile per l'epoca non soltantoper la mancanza dei mezzi tecnolo-gici, ma anche perché non c'eranoabbastanza studiosi di Talmud. “Oggiè diverso – sostiene – in tanti vivonosparsi per il mondo. Ma ci sono tantistudiosi o aspiranti tali, e sono gio-vani. Una caratteristica essenziale,poiché è anche necessario saper usa-re il mezzo digitale. E in ogni casoquesto progetto è una scuola, vistoche fra i traduttori abbiamo anchepersone in formazione”. Secondo ilrav, alla base di questa rinascita vi èil fatto che “l'Italia si è sprovincia-lizzata completamente, e mentremolti ebrei si pasciono di cose senzacontenuto altri vanno in giro per il

“Senza, non siamo niente”

/ P4 POLITICA / SOCIETÀ

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

Sarà consegnato nelle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella,

il primo volume della traduzione integrale del Talmud Babilonese in italiano

simbolo della restituzione alla società di un'opera che costituisce una parte

fondamentale del suo patrimonio culturale. A segnare questo ritorno, dopo la

sopravvivenza del testo a secoli di roghi e censure, una cerimonia all'Accademia

dei Lincei a Roma, in programma il 5 aprile alla presenza del ministro dell'Istru-

zione Stefania Giannini e del rav Adin Steinsaltz, che ha curato la traduzione

e il commento del Talmud in ebraico, francese, russo e spagnolo. Rav Steinsaltz

stesso fa parte del Comitato d'Onore del Progetto di traduzione del Talmud

Babilonese, nato da una collaborazione tra lo Stato e l'ebraismo italiano che

ha messo in moto diversi soggetti attivi tra Consiglio di Amministrazione, Co-

mitato scientifico e circa 50 studiosi, traduttori, redattori e curatori (nelle im-

magini a fianco lo schema organizzativo e un esempio del software utilizzato

per le traduzioni). Il progetto si è avviato grazie a un protocollo di intesa fra

la Presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell'Istruzione, il Consiglio

Nazionale delle Ricerche e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Il momento del Talmud

ú–– Renzo Gattegna

presidente Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane

L'impegno per la traduzione del Talmud, au-

tentico pilastro etico-valoriale dell'ebraismo,

nasce dallo sforzo e da una sensibilità co-

mune a diversi soggetti: le istituzioni ebrai-

che, certamente, a partire dall'Unione delle

Comunità e dal Collegio Rabbinico, e al fianco

le massime istituzioni nazionali coinvolte in

questa sfida attraverso Presidenza del Con-

siglio, Ministero dell'Istruzione, dell'Univer-

sità e della Ricerca, Consiglio Nazionale della

Ricerche. È questo il segno più evidente di

un lavoro che è finalizzato alla diffusione di

norme e principi che non sono appannaggio

di una singola comunità, ma hanno invece

un valore e una dimensione universale. Il

progetto parla all'intera collettività italiana,

che si vuole raggiungere con un'operazione

Una sfida dal valore universale

Saggezza per tutti

L’approdo del Progetto Talmud, vale

a dire della prima traduzione in ita-

liano del testo fondamentale del-

l’ebraismo, è un evento di primaria

importanza per la nostra cultura, che

non deve restare confinato, però, fra

gli addetti ai lavori. Certo, saranno

per primi gli specialisti di cultura re-

ligiosa che potranno usufruire, per i

loro studi, di una traduzione curata

da personale altamente specializzato

sotto l’egida del Cnr e confrontabile

per ciò stesso con il testo originale

e con le già esistenti traduzioni in te-

desco e in inglese. Ma l’impegno de-

dicato in questi anni al lavoro e lo

stesso finanziamento pubblico che lo

ha sostenuto non sarebbero giustifi-

cati, se questa pur meritoria finalità

fosse l’unica ad essere perseguita. Il

testo di cui finalmente disporremo

dovrà essere utilizzato per contra-

stare quell’analfabetismo in materia

religiosa, che per secoli è servito ad

alimentare l’ostilità fra i fedeli di re-

ligioni diverse e che, ancora oggi, vie-

ne utilizzato al medesimo fine. Ce lo

ha meritoriamente ricordato e, quel

che più conta, documentato Alberto

Melloni, che nel 2014 ha curato il (pri-

mo) Rapporto sull’analfabetismo re-

ligioso in Italia (edito da Il Mulino),

nel quale una trentina di studiosi

hanno messo a fuoco quanto poco si

sappia della propria religione e ancor

meno di quella degli altri. Di qui i pre-

giudizi, le diffidenze immotivate, la

persistenza di vecchie e sbagliate cre-

denze, mai rimosse e riaffioranti ad

ogni occasione. Ne sono vittima oggi

in particolare gli islamici, ai cui testi

religiosi si è pronti ad attribuire il si-

gnificato loro conferito dai forsen-

nati che se ne avvalgono per perse-

guire i loro fini criminali di controllo

sociale. Ma continuano ad esserne

vittima gli stessi ebrei lungo una sto-

ria che - come ben sappiamo - ha avu-

to fra i suoi bersagli maggiori pro-

prio il Talmud. Fu così con il rogo del

9 settembre 1553 di Campo de’ Fiori

a Roma, ricordato con una targa ap-

posta cinque anni fa dal rav Riccardo

Di Segni. Fu ancora così nel tardo Ot-

tocento, quando fu la “Civiltà catto-

lica” (ben diversa, allora, da quella di

oggi) a leggere nel Talmud null’altro

che una fonte di odio anticristiano.

Ed è stato così anche in questi anni,

a giudicare da alcune reazioni, certo

molto minoritarie, dalle quali è stato

accolto questo stesso progetto di

traduzione. Conosciamolo meglio, al-

lora il Talmud, collochiamolo nei se-

coli in cui le sue massime vennero

scritte e raccolte. Attribuire a ciascu-

no la sua storia ci può e ci deve ser-

vire per imparare a vivere meglio in-

sieme, scoprendo, o riscoprendo, le

tante e buone ragioni per farlo.

ú–– GiulianoAmatogiudice costituzionale

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che è al tempo stesso imponente come mole

e ambiziosa negli obiettivi. Il tutto nella con-

vinzione che il Talmud, i contenuti che esso

svela, la metodologia del suo studio e della

sua comprensione, costituiscano una fonte

di arricchimento e un patrimonio irrinuncia-

bile per tutti. Il Talmud è infatti emblema di

cultura, e proprio attraverso la cultura si

vuole costruire un nuovo ponte per l'incon-

tro. Ed è inoltre simbolo, per il suo metodo

di studio, improntato alla massima libertà

di pensiero, di un tipo di approccio che è

importante riconoscere e assicurare nella

trasmissione della conoscenza. Il Talmud è

quindi cultura, conoscenza, libertà. Tre va-

lori fondamentali da custodire nella nostra

Europa di oggi, minacciata da nuovi terribili

nemici che fanno della negazione degli stessi

la ragione della loro esistenza e delle loro

orribili azioni.

"Sono solo una persona che haavuto l'intuizione giusta al momen-to giusto”. Clelia Piperno spiegacon queste parole come è natal’idea che ha portato alla realizza-zione del progetto di traduzionedel Talmud. “Del resto – dice – lascienza dimostra che le idee sonoun’intuizione momentanea, mentreil loro sviluppo è ricerca costantee strutturata”. Gli esordi del Pro-getto Talmud si intrecciano stret-tamente con la vicenda personaledi Piperno – giurista con una lungacarriera nell'insegnamento del di-ritto costituzionale alle spalle – e,mentre li ripercorre in una con-versazione intima e sincera, mostratutta la tenacia e determinazioneche la animano. Un “amore incon-dizionato” la lega al progetto, ini-ziato durante una convalescenza:in quell’occasione ha avuto tempoe modo di navigare in internet alungo e di riflettere sul fatto che“se il Signore ti dà una secondaopportunità, non la puoi sprecare”.Così è venuta a conoscenza dellacolossale opera che rav AdinSteinsaltz stava portando avanti:la traduzione del Talmud Babilo-nese in ebraico. Clelia ha così ini-ziato a muoversi: a fine 2009 hamesso in contatto il rabbino capodi Roma Riccardo Di Segni conl’allora direttore generale del Cnr,Antonio Agostini, entrambi rimasti

affascinati dal progetto. Ora, è tut-to vero. “Anche se - ricorda la pro-fessoressa - nessuno pensava cheuna persona 'normale' come mepotesse realizzare tutto questo”.Grazie al carattere non arrende-vole e anche alle sue precedentiesperienze di vita e lavorative - nel2002 ha fatto parte dell’Unità dellaPresidenza del Consiglio dei Mi-nistri che ha gestito i fondi per laricostruzione dei Balcani -non ha perso entusiasmo.Così, anche rav Di Segni,che all’inizio di era mostra-to “responsabilmente piùcauto", ha appoggiato ilprogetto con tutte le sueforze. Fino ad arrivare nel2011 alla firma dell'intesae al finanziamento di 5 mi-lioni di euro. La sua intui-zione ha conquistato, fragli altri, Alessio Gorla, Cin-zia Caporale, Anna Nardi-ni, Anselmo Calò, chehanno percepito immedia-tamente il valore della sfidaculturale che si voleva lanciare, co-sì come il presidente del Consigliodi allora, Silvio Berlusconi con ilsottosegretario alla PresidenzaGianni Letta, il ministro dell’Istru-zione Maria Stella Gelmini, il pre-sidente del Cnr Luciano Maiani,il presidente UCEI Renzo Gatte-gna; grande entusiasmo è stato di-

mostrato anche da coloro che sisono succeduti alla guida del Cnr,a partire dall’attuale presidenteMassimo Inguscio, o ancora dalministro Giannini. “La mia strate-gia è stata semplicemente quelladi non partire dal presupposto chefinanziare il progetto fosse qual-cosa di dovuto, come una sorta diriparazione del vulnus consumatocon le leggi del ‘38 ai danni della

comunità ebraica italiana. Bisogna-va partire dal presupposto che fos-se, al contrario, l'affermazione chela nostra cultura è la nostra identitàe che l'ebraismo esiste in sé e, inquanto tale, prescinde da ogni for-ma di riconoscimento; ha in sé ilsuo valore”. Per quanto riguardainvece il mondo ebraico, Piperno

afferma di conoscerne la comples-sità e allo stesso tempo la difficoltàcon cui affronta la necessità cheha di “disfarsi dei residui di unamentalità esclusiva e non inclusiva,le difficoltà di abbattere le portedel ghetto che spesso noi stessi co-struiamo, attraverso un confrontocomplesso con un mondo esternospesso ancora ostile". "Dobbiamocapire che non esiste solo il culto

della memoria della Shoah- incalza Piperno - ma cheabbiamo il dovere di tra-smettere le nostre capacitàculturali con l'insegnamen-to: tutto questo è il Tal-mud”. Un messaggio fon-damentale per Piperno èanche il fatto di aver dimo-strato, attraverso il team didecine di persone che ognigiorno lavora al progetto,“che di cultura si può man-giare”. La sua vera forza,spiega infatti, sono i figli, equella generazione di gio-vani che crede nell’impor-

tanza dello studio e non teme lafatica della riflessione. E conclude: “Ciò a cui tengo dipiù è comunicare che come sonoriuscita io in questa impresa,chiunque abbia un’idea può por-tarla al successo”.

f.m.

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

Enea

Rib

oldi

“La cultura, il nostro orizzonte”

/ P5

mondo e si dicono: e noi?”. Esisteper il rabbino capo una “sete di co-noscenza” che avvicina le personealle sinagoghe, ed è questa la spintada incoraggiare poiché “molti pen-sano che si possa essere ebrei senzaTalmud, ma in realtà è proprio ciòche porta a una perdita dei valorifondamentali”. Infine, il rav ha unarisposta per ogni possibile obiezionedei detrattori del Progetto all'internodella comunità ebraica italiana. Adesempio, non lo preoccupa il fattodi rendere accessibile la più grandeopera ebraica a un pubblico esternodal momento che non crede possaesistere “il rischio di un'appropria-zione”. “Qualcuno ci ha detto: 'Nonriuscirete mai, è troppo complicato'– afferma il rav – ma il Talmud èun'opera accessibile a più livelli.'Non è utile, ci sono cose più utili',hanno detto altri. Ma sono quelliche non hanno idee”. Per questi mo-tivi, il rabbino capo rimane soddi-sfatto e positivo nei confronti diun'opera che “non è certo un ro-manzo di Abraham Yehoshua”, maanche rivolgendosi in primo luogoa una cerchia di studiosi “ha moltepotenzialità”. “Innanzitutto – speci-fica – per il modo in cui le istituzioniitaliane vedono l'ebraismo comeportatore di cultura, poi per la rile-vanza di aver messo a punto un si-stema informatico che non ha esau-rito la sua funzione in questo pro-getto, e infine anche per l'effetto po-sitivo che esso ha generato nell'im-prenditoria italiana”. Tutto questo è,in definitiva, “un segnale sano”.

POLITICA / SOCIETÀ

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Pochi giorni fa il Pew ResearchCenter ha reso pubblici i risultati diuna ampia indagine condotta inIsraele sul tema dei valori politici edel ruolo della religione nella vitapubblica e civile. La ricerca mostral’esistenza di divergenze profonde,a volte vere fratture, non solo fraebrei e arabi, ma fra i gruppi corri-spondenti alle diverse modalità diidentificazione ebraica. Si tratta diuna rilevazione che ha utilizzato5.601 interviste face-to-face con cit-tadini israeliani di età superiore ai18 anni, condotte fra l’ottobre del2014 ed il maggio del 2015. Il cam-

pione, multi-stadio stratificato, in-clude 3.789 Ebrei, 871 Musulmani,468 Cristiani, 439 Drusi e 34 per-sone di altra religione o senza ap-partenenza religiosa. Rispetto allaquota strettamente proporzionale,cinque gruppi (Ebrei della WestBank, Haredim, Arabi Cristiani,Arabi di Gerusalemme Est e Drusi)sono stati alquanto sovrarappresen-tati per consentire inferenze stati-stiche valide. Il margine di errore,variabile in relazione ai sottogruppi,è pari al 2.9% per gli ebrei intervi-stati. Gli ebrei intervistati si identificano,praticamente senza eccezione, inuna delle quattro aree rappresentatenei grafici. I haredim (convenzio-nalmente tradotto come “ultra-or-todossi”) costituiscono il 9% degliebrei e l’8% degli israeliani adulti;i Datim (“religiosi”) il 13% degli

ebrei ed il 10% degli israeliani adul-ti; i Masortim (da masoret, tradi-zione), rispettivamente il 29% edil 23%, mentre gli Hilonim (“laici”)il 49% degli ebrei ed il 40% degliIsraeliani adulti. Il rapporto quan-titativo fra questi gruppi è peraltroandato mutando nel tempo. Il con-fronto con i dati del 2002 mostrainfatti un incremento percentualedi Haredim e Datim, una sensibileflessione dei Masortim ed una so-stanziale stabilità del fronte “laico”.L’autoriconoscimento in una diqueste aree è associata a differenzedi atteggiamento e di opinionespesso molto marcate, tanto rispet-to a questioni generali del rapportofra halakha e principi democratici,quanto ai temi connessi al conflittopalestinese che, infine, a problemimolto concreti della vita civile, co-me le norme relative al matrimo-

Israele è un posto dai mille e con-tinui cambiamenti. Chi viene in vi-sita dopo pochi anni di assenza in-variabilmente commenta così: "Ilpaese è irriconoscibile con tantosviluppo e tante cose nuove da ve-dere". D'altra parte, specie nel di-scorso pubblico e politico, si ha avolte la sensazione che Israele ri-manga assolutamente invariato. Siparla sempre della società israelia-na nei termini delle stesse catego-rie, per esempio ebrei e arabi, se-colari e religiosi, ashkenaziti e se-farditi, senza dimenticare ricchi epoveri. Meno ci si rende conto cheanche in queste suddivisioni ap-parentemente primordiali e immu-tabili vi possono essere delle tra-

sformazioni e mutazioni abbastan-za profonde nel corso del tempo.La ricerca del Pew Research Cen-ter offre una buona occasione perverificare le dinamiche in corso,specialmente per quanto riguardail rapporto con la religione nellapopolazione ebraica.I mutamenti nella frequenza del-l'osservanza religiosa sono effetti-vamente alquanto lenti. Nei 24 an-ni trascorsi dal 1991, subito dopol'arrivo della grande massa di im-migrati dall'Unione Sovietica, finoal 2015 la percentuale di coloroche affermano di osservare tutti ogrande parte dei precetti religiosiè passata dal 38% al 39%, coloroche dicono di non osservarne nes-suno sono aumentati dal 20% al26%, e quelli che dicono di osser-varne una parte sono diminuiti dal41% al 34%. Dunque si sono raf-forzati gli estremi e si è indebolitoil gruppo di mezzo, anche se la to-tale assenza di osservanza tradi-

zionale è in realtà molto inferiore.Basti pensare che secondo l'ultimarilevazione, fra coloro che si auto-definiscono come secolari, 87%partecipano al Seder di Pesach,53% accendono i lumi alla vigiliadel Sabato per lo meno occasio-nalmente, 40% frequentano una si-nagoga di tanto in tanto, 33%mantengono la casa casher, 30%digiunano l'intero giorno di Kip-pur, il 18% credono in Dio asso-lutamente e un altro 38% credono,ma con minore certezza. Tuttoquesto non è poco per un secolare,anzi è molto di più di quanto nonfaccia la media degli ebrei, inclusiquelli religiosi, in molte comunitàebraiche della Diaspora. La per-centuale di coloro che veramentenon fanno nulla di quanto soprapuò allora essere più realisticamen-te valutata attorno al 5% della po-polazione ebraica in Israele. Va an-che notato che nel gruppo degliimmigranti dall'URSS – inizial-

mente il più lontano da ogni pra-tica tradizionale, più per imposi-zione del regime sovietico che perpropria libera scelta individuale –i figli sorpassano decisamente i ge-nitori a tutti i livelli in quanto aosservanza religiosa. In questo sen-so, la socializzazione in Israele diquesta collettività originalmentelontana dalla pratica religiosa haportato a un forte riavvicinamentoall'ebraismo tradizionale.E tuttavia è anche vero il contrario.In Israele si realizza costantementeun certo processo di secolarizza-zione che può essere verificatoconfrontando l'aderenza alla reli-gione delle persone al momentoattuale e al tempo della loro infan-zia. Nel corso degli anni si verificauna vera e propria migrazione in-terna da più a meno religioso, eviceversa. Il bilancio netto di talipassaggi da una all'altra forma diintensità non è clamoroso ma èpur sempre notevole: i Haredim

(molto religiosi) guadagnano 1%nel confronto fra l'infanzia e oggi,i Datim (religiosi) perdono 6%, iMasortim (tradizionali) guadagna-no 1%, e i Hilonim (secolari) gua-dagnano 3%. Ma i dati sui passaggidiventano assai più drammatici in

/ P6 SOCIETÀ E RICERCA

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

Una società in cui ogni componente corre il rischio di arroccarsi sulle proprie posizioni, un diffuso senso di sfiducia e una crescente tendenza alla polarizzazione

dei suoi componenti, che si allontanano sempre di più dalle posizioni intermedie. Non sono una sorpresa per gli studiosi, ma i dati della grande ricerca

presentata dal Pew Research Center sulla società israeliana di sicuro colpiscono. Organizzazione indipendente basata a Washington, nota per la serietà

delle sue ricerche, ha raccolto un team di studiosi e ricercatori di valore (fra i primi Sergio Della Pergola e Steve Cohen) e condotto tra la fine del 2014

e l'inizio del 2015 un lavoro imponente per mole e per profondità, strutturato appositamente per poter essere confrontato con il grande sondaggio

sugli ebrei americani condotto nel 2013. I due studiosi che hanno lavorato nella maniera più approfondita sulla realtà sociologica dell’ebraismo

italiano, lo stesso demografo Sergio Della Pergola dell’Università Ebraica di Gerusalemme e il sociologo Enzo Campelli dell’Università di Roma La

Sapienza, percorrono ora per Pagine Ebraiche i temi principali della ricerca, che contiene diversi dati capaci di mettere in luce l’estrema complessità

della società e della situazione israeliana. (a.t.)

Il mosaico israeliano: identità, politica, religione

Molte diverse IsraeleIn caso di divergenza, nello Stato di Israele dovrebbero avere la

prevalenza i principi democratici o la legge religiosa?2 (%)

Halakha Principi democratici non risponde/altro

ú–– Sergio Della PergolaUniversitàEbraica di Gerusalemme

ú–– Enzo CampelliUniversità di Roma La Sapienza

40% Hilonim

23% Masortim

Indissolubilmente divisi

Non sono riportate le mancate risposte, i “non so” ed altre soluzioni, come “entrambe”, “nessuna”.

89% 62% 14%

89% 10%

23% 56% 21%

65% 11% 24%

89% 8%

1%

3%

Totale

Hilonim

Masortim

Datim

Haredim

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ca del Nord. Questo gruppo, chepossiamo definire semplificandogli ebrei sefarditi, costituiva al mo-mento dell'immigrazione in Israelel'asse portante delle categorie deiDatim e dei Masortim, mentre gliebrei ashkenaziti erano passati at-traverso il processo di secolariz-

zazione molto prima, e in granparte ancora in Europa prima dellaloro aliyah. Nonostante questi frequenti pas-saggi, esistono tuttavia ancora fortiaspetti di segregazione fra i diversitipi di ebrei secondo l'orientamen-to religioso. Per esempio la grande

maggioranza ha amici stretti so-prattutto nell'ambito del propriotipo di orientamento religioso. Frai Haredim, questa rete socialeomogenea più prossima raggiungel'89%, fra i Datim il 72%, fra i Ma-sortim il 48%, e fra i Hilonim il90%. Il risultato è si-

SOCIETÀ E RICERCA / P7

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

termini relativi.Fra tutti coloro che so-

no cresciuti come Haredim, 94%lo sono ancora e 6% sono diventatimeno religiosi (3% Datim, 2% Ma-sortim, 1% Hilonim). Fra quantisono cresciuti come Datim, 54%lo sono tuttora, 5% sono oggi Ha-redim, ma 40% sono oggi menoreligiosi (35% Masortim, 5% Hilo-nim). Fra coloro che un tempo

erano Masortim, 67%non sono cambiati, 8%sono diventati più reli-giosi (2% Haredim, 6%Datim), ma 25% sono di-ventati Hilonim. E infine

fra coloro che sono cre-stiuti come Hilonim, 90%

non hanno cambiato e il10% che sono diventato più

religiosi si riapartiscono fra 2%Haredim, 1% Datim, e 7% Ma-

sortim. L'ammontare totale di co-loro che nel corso della loro vitahanno cambiato orientamento re-ligioso raggiunge il 21%, ossia oltreuno su cinque ebrei in Israele. Diquesti, 13% sono diventati menoreligiosi e 8% sono oggi più reli-giosi di come erano da bambini.Una grossa componente di questatrasformazione in senso più mo-dernista e secolare, sia pure in unasocietà israeliana ancora piuttostotradizionale nel suo complesso, èlegato al processo di integrazionedegli ebrei provenienti dai paesiislamici in Medio Oriente e in Afri-

Percentuali di Israeliani adulti che si

identificano come

14% Musulmani

2% Drusi

1% Cristiani

1% Altre religioni

8% Haredim

Accordo/disaccordo sull’espulsione/trasferimento degli Arabi da Israele (%)

nio e al divorzio, al servizio mili-tare e alla conversione, o alla cir-colazione dei mezzi pubblici diShabbat. Se altre variabili di carat-tere sociodemografico e culturalegiocano un certo ruolo nel diffe-renziare atteggiamenti e opinioni,la loro influenza sembra assai spes-so soverchiata da questa pregiudi-ziale scelta di campo, che restitui-sce l’immagine – non nuova main questa circostanza particolar-mente evidente – di un Paese permolti e profondi aspetti diviso inblocchi separati e dalla scarsa co-municazione reciproca, per il qualela ricerca ed il consolidamento diuna posizione il più possibile al-largata e comprensiva si pone congrave urgenza. Non è evidente-mente possibile analizzare in mo-do dettagliato la grande quantitàdi informazioni che la ricerca com-prende, ma qualche esempio puòrisultare significativo. Così, perquanto riguarda la relazione fra vi-ta democratica e Halakha, davantiall’ipotesi di una divergenza fra le

due fonti normative, l’89% di chisi riconosce nell’area Hiloni sostie-ne la prevalenza della prima rispet-to alla norma religiosa, laddovel’esatto contrario si registra per iHaredim. La quota proporzional-mente consistente di mancate ri-sposte, che varia anch’essa sensi-bilmente nei diversi gruppi, mostrainoltre il differenziale di difficoltàche il tema pone all’interno di cia-scun gruppo.Con riferimento invece al conflittopalestinese, l’indagine mostra unasensibile divaricazione in ordine amolti temi collegati al problema eal giudizio su possibilità e modalitàdel raggiungimento di una pacestabile. L’indagine chiedeva agli in-tervistati di indicare il proprio gra-do di accordo/disaccordo rispettoall’affermazione “Gli arabi dovreb-bero essere espulsi o trasferiti daIsraele” (l’opinione poteva essereespressa mediante una gradazionein 4 punti: del tutto d’accordo,d’accordo, in disaccordo, de tuttoin disaccordo).

Percentuali di accordo rispetto due richieste: sospendere il servizio pubblico di Shabbat in tutto il Paese

- applicare la separazione per genere sui mezzi pubblici usati dagli Haredim

10% Datim

10% 87%

37% 54% 9%

72% 26%

48% 46% 6%

36% 58% 6%

54% 39% 7%

71% 26%

59%

5%

18%

32%

62%

6%

44%

85%

96%

32% 9%

Sinistra

Centro

Destra

Totale

Hilonim

Masortim

Datim

Haredim

Hilonim

Masortim

Datim

Haredim

Hilonim

Masorti

Datim

Haredim

/ segue a P9

/ segue a P8

3%

3%

2%

SOSPENSIONE

SEPARAZIONE

Accordo Disaccordo non risponde

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/ P8 SOCIETÀ E RICERCA

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

ú–– Simona NacamulliConsigliere dell'Unione delle ComunitàEbraiche Italiane

“Comunità va cercando ch’è si cara…”: èquesto il titolo della ricerca sociodemograficasull’ebraismo italiano diretta dal professorEnzo Campelli, docente di Metodologia del-le scienze sociali all’Università di Roma LaSapienza. L’indagine, pubblicata con questotitolo nel 2013 dall’editore Franco Angeli,è stata promossa dal Consiglio dell’Unionedelle Comunità Ebraiche Italiane.L’Unione stessa, preso atto del rilievo di unostudio che colmava un vuoto di cinquan-t’anni dalla precedente analisi svolta da Ser-gio della Pergola, ha deciso, nel 2014, di co-stituire un Gruppo di lavoro, una task force,composta da Consiglieri ed esperti esterni,per analizzarne a fondo i risultati, discuternee pianificare eventuali misure per andare in-contro alle tante esigenze emerse.Il risultato più preoccupante, evidenziatodallo studio, è stato quello del progressivodecremento della popolazione ebraica, ac-compagnato da processi di disaffezione econflittualità tali da far presagire un totale

sfaldamento delle comunità ebraiche italia-ne.Come coordinatrice del gruppo di lavoroho cercato di favorire un’analisi che partisseda tale pericolo, per proporre azioni con-crete dopo una riflessione proficua e conti-nuativa. L’obiettivo suggerito è stato quellodi svolgere un’analisi approfondita sulle cri-ticità che possono ripercuotersi negativa-mente sul futuro e la sopravvivenza dellecomunità italiane, per individuare strategieatte a garantire un processo attivo e propul-sivo, in grado di contrastare il declino. Inquesta ottica, è stato naturale, per il Gruppodi lavoro, concentrarsi sui giovani, con unarilettura finalizzata dei risultati della ricerca,per capire come rendere questa fascia ge-nerazionale più partecipe e consapevole, av-vicinarla alla Comunità, sviluppare a tal fineservizi di aggregazione, formazione e sup-porto. Il denominatore comune in tutte leComunità, sia grandi sia piccole, è risultatoessere quello della conflittualità e della di-visione, con modalità di selezione ed esclu-

sione reciproci tra gruppi e componenti di-verse. Questo fattore è apparso decisivo dacapire e superare: storicamente le Comunitàche hanno continuato a vivere sembranoessere quelle che hanno condiviso valori emodi di operare, suscitando una attrattivada parte dei giovani. La Commissione harilevato come tra tali valori abbia rilievo par-ticolare, per i giovani, la zedakà, quale attodi giustizia sociale autentica e diffusa, qualedono spontaneo, disinteressato, possibilmen-te anonimo, quale atteggiamento e compor-tamento non solo economico o materiale,ma capacità di ascolto e voglia di condivi-sione. I giovani non lo rilevano nei compor-tamenti della società e sembrano cercarlosenza successo nelle loro Comunità.La Commissione si è soffermata, per questo,sulle grandi “retoriche” dell’ebraismo italianodi oggi: Israele, Shoah, ebraismo “politico edi professione” (quando l’ebraismo diventa,in forma esclusiva “ posizione” o “lavoro”nelle istituzioni). Si è ritenuto che queste trequestioni, intorno ai quali gira l’ebraismo

mondiale, assumano un carattere negativoquando sono il principale, se non unico, in-dicatore della presenza ebraica nel contestosociale più ampio. Si è discusso di quantoil modo di comunicare l’ebraismo all’esternosia sempre incentrato in forma quasi esclu-siva sulla Shoah e su Israele e quanto questetematiche, rese quasi esclusive, non stianonuocendo al nostro futuro. Questi stessi ar-gomenti, spesso usati anche per comunicareverso il nostro interno, sembrano distogliereda un rigoroso confronti sul significato e suivalore odierni di una tradizione culturale estorica. Il Gruppo di lavoro ha posto l’at-tenzione sugli eventi periodici che vedonoimpegnata l’Ucei, come la Giornata dellacultura al Giorno della Memoria, rilevandoun pericolo di folklorizzazione crescente ca-ratterizzata da presenze pubbliche e sui me-dia della dirigenza delle Comunità e del la-voro prevalente di molti operatori profes-sionali delle stesse. Tutto ciò non è inutilema rappresenta uno sforzo preponderanterispetto alla dimensione sociale e culturale

Nel complesso gli intervistati si di-vidono in due gruppi di consisten-za quasi uguale, in cui l’accordoraggiunge il 48% e il disaccordo il46% (il restante 6% non sa, o nonrisponde). Se in questo caso l’au-tocollocazione politica mostra unacapacita discriminante maggioreche non quella religiosa, gli schie-ramenti risultano in entrambi i casimolto divaricati. Va osservato che il massimo gradodi accordo si riscontra questa voltanel gruppo dei Datim (71%), chesupera nettamente i Haredim(59%), indice forse di un atteggia-mento complessivo nei confrontidello Stato. Con riferimento invecealle divergenze sui temi della sferacivile, il grafico qui a destra mostragli andamenti rilevati rispetto adue temi specifici, oggetto di di-battito acceso, ma gli esempi po-trebbero essere facilmente molti-plicati. Quanto alla scarsa comu-nicazione reciproca è forse suffi-ciente ricordare che ben pochi, inparticolare fra Haredim e Hilonim,dichiarano di avere amicizie signi-ficative al di fuori delle rispettivecerchie di riferimento, mentre lapossibilità di matrimoni incrociatiè certamente assai scarsa: il 95%degli Hilonim ed il 93% degli Ha-redim, rispettivamente, affermanoche non vedrebbero favorevol-mente il matrimonio di un propriofiglio/a con un partner della parte“avversa”. In questo frammentatocontesto è certamente prevedibileil fatto che, per quanto molti ele-

menti concorrano naturalmentealla definizione della propria iden-tità ebraica, i profili che emergonoa questo riguardo siano altrettantonettamente differenziati. Poiché sitratta di un tema che Pagine Ebrai-che ha trattato più volte, è inte-ressante soffermarvisi in modospecifico. Agli intervistati è stato chiesto dispecificare se il loro essere ebreifosse prevalentemente una que-stione di religione (matter of reli-gion) di ascendenza familiare e dicultura (ancestry/culture), o com-plessivamente di questi tre elemen-ti (religion, and ancestry/culture).Risulta che una identificazione intermini prettamente religiosi ri-guarda complessivamente il 22%degli intervistati (con oscillazioniche vanno dal 70% per i Haredimal 4% degli Hilonim), mentrel’identificazione soprattutto fami-liare-culturale è citata dalla mag-gioranza (55%) degli intervistati (edall’83% degli Hilonim). La con-giunzione dei tre codici è infine ci-tata da circa un quarto degli inter-vistati (23%). Si tratta di un risultato sostanzial-mente convergente con quantoemerso in altre indagini (Italia,2012; Stati Uniti nel 2013, RegnoUnito, 2014). Negli Stati Uniti, inparticolare, l’indagine condotta dalPew Research Center nel 2013 conil medesimo modello di rilevazio-ne, aveva indicato per l’identifica-zione religiosa un’incidenza parial 15% intervistati, una più ampiaquota di identificazione familiare-

L’unica strada è condividere

Il proprio “essere ebreo” è soprattutto una questione di:CAMPELLI da P7 /

culturale (62%) e una identica ri-levanza (23%) della terza soluzio-ne. In Israele l’identificazione stret-tamente religiosa è dunque nonsorprendentemente più ricorrentedi quanto non si riscontri negli altriPaesi, ma anche in questo casosembra comunque prevalere unaauto-rappresentazione identitaria

di tipo tendenzialmente antropo-logico, e a ciò si aggiunge una cer-ta flessione rispetto all’osservanzareligiosa. Differenze significativeemergono anche per quanto ri-guarda altre forme di identifica-zione. Nel complesso il 46% degli inter-vistati rappresentano se stessi “in-

nanzitutto come ebrei” ed il 35%“innanzitutto come Israeliani”,mentre un quinto del campione ri-vendica altre immagini di sé o co-munque non risponde alla doman-da: l’80% degli Hilonim, in ognicaso, preferisce l’identificazione“nazionale”, mentre il 91% degliHaredim quella religiosa.

22% 55% 23%

4% 83% 13%

24% 41% 34%

52% 16% 33%

70% 3% 27%

Totale

Hilonim

Masorti

Datim

Haredim

Religione Storia familiare/cultura Religione + Storia familiare/cultura

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mile e accentuato in termini discelta del coniuge fra persone deidiversi gruppi: il 95% dei Haredimsono coniugati con persone diuguale orientamento, e questo valeper l'85% dei Datim, il 64% deiMasortim, e il 93% dei Hilonim.Gli scambi più frequenti sono fraMasortim e Datim: 10% dei Datimhanno un coniuge Masorti, e 20%dei Masortim hanno un coniugeDati, oltre a un 15% con coniugeHiloni. Le combinazioni estremefra Haredi e Hiloni superano ap-pena l'1% del totale.L'orientamento religioso delle per-sone ha un peso notevole nel de-terminare le preferenze nei con-fronti di questioni di cruciale im-portanza, come quella se la naturadello stato d'Israele debba essereprimariamente ebraica o democra-tica. Fra i Haredim, l'89% preferi-scono uno stato basato sulla leggeebraica (Halakha), e questo è con-diviso da 65% dei Datim. D'altraparte 56% dei Masortim e 89% deiHilonim preferiscono uno statodemocratico. Il totale complessivoè di 62% a favore della democrazia,24% a favore della Halakha comelegge dello stato, e 14% incerti.Vorrei infine menzionare un pro-blema di coscienza che riguarda ilrapporto fra ricerca, comunicazio-ne e società e che emerge dalla ri-cerca del Pew Research Center.Nel comitato scientifico del pro-getto, guidato da Alan Coopermanda Washington, da Steven Cohenda New York, e da me da Geru-

salemme, sapevamo già da diversimesi che alcuni dei risultati avreb-bero causato un certo imbarazzo– in particolare quel 48% di ebreiisraeliani che non si opporrebberoall'idea di un trasferimento altrovedi arabi (anche se non è del tuttochiaro se la loro intenzione fosserispetto ai palestinesi dei territorio anche a quelli che sono cittadinid'Israele); oppure la preferenzaespressa dai Hilonim nei confrontidi possibili generi o nuore (menopeggio Cristiani che Haredim). Ildilemma era se dare seguito allapubblicazione dei dati e dare liberocorso all'inevitabile polemica me-diatica, o lavare i panni in casa espazzare le scorie sotto il tappeto.Alla fine, direi ovviamente, è pre-valso il principio che piena libertàe completezza dell'informazionesono il vero scopo e il migliorecontributo che la ricerca scientificapossa offrire. Se c'è qualcosa cheva corretto sul piano sia etico siaestetico nelle percezioni del pub-blico, questo richiede un lavoropedagogico in profondità, a partiredall'età più tenera. E proprio lapiena consapevolezza dei rischireali o potenziali che si annidanonelle viscere della società – in unmondo sempre più prigioniero dirazzismo, xenofobia, odio, terrori-smo – deve costituire il punto dipartenza di questa azione di de-purazione dei veleni. Anche in questo senso i dati del-l'indagine Pew costituiscono unfondamentale servizio per il pub-blico israeliano.

SOCIETÀ E RICERCA / P9

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Il rapporto fra religione e sfera ci-vile, i problemi politici, il conflittopalestinese con le connesse que-stioni internazionali - e in partico-lare la politica degli Stati Uniti -sono argomenti trattati con moltaattenzione dall’indagine, che regi-stra una preoccupazione palpabileda parte degli intervistati, sia pure

con una ricorrente diversità di ac-centi. Evidente è anche la denunciadi un incremento generalizzatodell’antisemitismo, segnalato dal76% degli intervistati, questa voltasenza apprezzabili differenze fra idiversi orientamenti identitari. Unasostanziale unanimità si riscontrainfine su un tema cruciale e di im-

portanza non solo simbolica. Nonostante ogni difficoltà, Israelecontinua ad essere la casa comune:il 98-99% di tutti gli ebrei intervi-stati – religiosi e no, immigrati onati nel Paese, giovani e vecchi -ribadisce il diritto di ogni ebreoall’accoglienza e alla cittadinanzain Israele.

Percentuale di Ebrei israeliani che si descrivono innanzitutto come: DELLA PERGOLA da P7 /

20% 59% 21%

59% 17% 24%

80% 6% 14%

91% 9%

Hilonim

Masorti

Datim

Haredim

innanzitutto Ebreo innanzitutto Israeliano altre risposte

dell’ebraismo nella società. Se, a torto o aragione, il mondo esterno sembra stanco disentir parlare di Shoah e di Israele, per i gio-vani questa enfasi costituisce un elementoriduttivo dal quale spesso rifuggono, o, difronte alle ostilità esterne, si rifugiano. Il riaf-facciarsi di forme di antisemitismo utilizza,non a caso, l’enfasi sulla Shoah in modo osti-le e l’attenzione verso Israele come un ele-mento che renderebbe estranei gli ebrei ri-spetto ai problemi che la società italiana at-traversa. Il Gruppo di lavoro non solo hasostenuto la necessità di muoversi in modostrategico per indebolire tali posizioni ostilie non alimentare l’antisemitismo, ma ha ri-marcato quanto si sia a volte impreparatiad affrontarne i nuovi volti e quanto si sot-tovaluti gli effetti che la troppa visibilità puòportare come controvalore della popolarità. Tornando per questa via ai giovani ha inoltremesso in evidenza come essi siano influen-zati nelle loro scelte da fatti contingenti po-litici sia italiani che europei e mondiali, trai quali le grandi migrazioni, causa del cam-biamento dell’assetto demografico, culturale,sociale. A questo si aggiungono problemilegati al lavoro e alla maggiore possibilitàche spesso si ha di trovarlo all’estero. I giovani, secondo il Gruppo di lavoro, po-

tranno essere attratti solo se ci si muoveràsu un doppio binario: educativo sui valoridi una Tradizione in grado di offrire risposteai problemi della società in cui si vive, socialesui problemi concreti che i giovani devonoaffrontare in relazione a un futuro che sipresenta complesso sul piano dei rapporticon il mondo circostante e con il mondodel lavoro nel quale desiderano entrare. Se i giovani avessero la certezza che le loroesigenze e proposte venissero ascoltate, lapartecipazione ci potrebbe essere e la po-liedrica realtà giovanile sia a livello nazionaleche locale produrrebbe una situazione nuovanella quale, tra l’altro, le diversità sarebberoun valore. Oggi si è lontani da questo obiettivo. Lastessa ricerca, dalla quale si è partiti, ha evi-denziato come all’interno delle Comunitàlocali ci siano spesso delle “sotto Comunità”(questo ovviamente in quelle che numeri-camente “se lo possono permettere”) chevivono in totale autonomia automotivandosi,senza avere bisogno dell’altro perché nonriconoscono nel confronto un valore ag-giunto. Queste “sotto comunità”, nel Gruppodi lavoro, sono state chiamate, prendendoin prestito un’espressione legata al mondodelle professioni, “Comunità di pratiche”

proprio perche ciò che tiene insieme le per-sone è il fare un’attività simile e tale da crearedei legami di condivisione molto forti. Non si tratta di rompere questi legami, marendere possibile, con chi non ne è impli-cato, un dialogo mirato ad aumentare laconsapevolezza ed il coinvolgimento. Perquesto, è essenziale che le attività si con-centrino su temi e obiettivi il cui valore ebisogno è comune a tutti.È questo quanto il Gruppo di lavoro indicacome tema centrale di un passo iniziale,molto tradizionale ma apparentemente ri-duttivo, data la premessa, un Convegno, chesia sui giovani, per i giovani e insieme ai gio-vani, aperto a coloro che con i giovani la-vorano abitualmente e/o ricoprono un ruolostrategico nell’ambito comunitario. L’obiet-tivo non è quello della illustrazione di ciòche si fa, ma un’occasione di riflessione col-lettiva, un confronto che non esprimerà névoti né cariche, ma solo strategie condivise:un convegno che affronti le problematicheevidenziate sopra e le affronti collaborando.Contemporaneamente, per arrivare all’or-ganizzazione di un evento che può consi-derarsi centrato solo se di reale e disinte-ressato confronto, in primavera a seguitodel viaggio in Israele Yeud organizzato dal-

l’Unione per i giovani leader comunitari,avrà luogo un incontro con i rappresentantidi tutte le associazioni giovanili ebraiche,formali ed informali. Si tratta di un primopasso, un modesto contributo pratico rispet-to all’ampiezza dei problemi indicati, un con-fronto di diverse realtà intorno a uno stessotavolo, un luogo in cui ci sia la possibilitàdi affrontare problematiche comuni a realtàdiverse che spesso si rifiutano di incontrarsie collaborare. Questo incontro è importante.Il testo che riassume quanto discusso nelGruppo di lavoro vuole essere un modestocontributo già a questo incontro, dal qualevorremmo partisse la vera organizzazionedel convegno allargato, in cui tutte le vocie le forze operative avranno importanza.Lo sviluppo concreto del tutto sarà compitodel prossimo Consiglio dell’Unione, che ciauguriamo possa trovare utile quanto fattosino ad oggi. Questo l’auspicio e l’augurioche facciamo a tutta la comunità ebraica ita-liana.

Hanno fatto parte del Gruppo di lavoro SimonaNacamulli (coordinatore), rav Alfonso Arbib,Daniele Bedarida, Anselmo Calò, Enzo Cam-pelli, Sergio Della Pergola, rav Roberto DellaRocca, Gavriel Levi, Saul Meghnagi.

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voluto vivere. È riuscito ad otte-nere un visto di residenza tempo-raneo facendo appello al ministrodella Cultura e al ministro degliInterni. In interviste precedenti hatratteggiato, senza troppo entrarenei dettagli, il clima di oppressione

nel quale ha vissuto finoa pochi mesi fa: lasua doppia infedeltàdi intellettuale omo-sessuale che aperta-

mente ammira Israe-le ha causato ri-

correnti licen-ziamenti suoie di suoi fa-migliari, e al-meno tresuoi arrestinegli anni

dopo la pubblicazione del suo pri-mo libro nel 2005. I suoi libri dipoesia successivi sono stati pub-blicati in lingua originale, in inglesee in altre lingue, ma fuori dall’Iran.

Che vita fai da quando sei in Israele?

Mi sveglio in tarda mattinata escrivo per diverse ore. Poi incontroamici e la sera talvolta incontrogiornalisti. Ogni giorno parlo alungo con la mia famiglia in Iranattraverso skype.

Solo con la famiglia? Gli amici di tut-

ta la prima parte della tua vita non

li senti?

No, parlo solo con familiari. Nonsono una persona popolare in Iran,e gli amici e colleghi si sono al-lontanati, negli ultimi dieci anni,

dopo la pubblicazione del primolibro. La gente non vuole entrarein contatto con me ed esporsi cosìa problemi con il regime. Non c’èla sicurezza necessaria. Ma il saltoè stato dopo il 2010, con la pub-blicazione del romanzo a Berlino:a quel punto si è fatto il vuoto in-torno. Ero ancora in Iran, ma ma-no a mano che diventavo cono-sciuto all’estero, nel mio paese erolasciato solo. Solo la mia famigliami è sempre rimasta vicina.

Tu sei nato dopo che Iran e Israele

erano già diventati nemici. Ma hai

detto in diverse occasioni che hai

sempre voluto vivere in Israele. Co-

me conoscevi abbastanza bene

Israele per prendere una tale deci-

sione da lontano?

È stata una decisione personale,che ha a che fare con me comepersona e non ha alcun rapportocon il livello nazionale o interna-zionale, con i rapporti fra Stati. Hoscelto di guardare Israele con imiei occhi e non attraverso la pro-paganda in Iran. Ascoltavo le no-tizie da lì, è vero, e non potevocerto vedere il paese come è dav-vero, ma non ho lasciato che lanegatività delle informazioni chemi arrivavano mi offuscasse losguardo. Ho studiato la storiaebraica prima, poi quella di Israele,ma soprattutto sono andato allafonte, leggendo la Torah in per-siano. Questo già quando ero ado-lescente, dopo aver visto un filmsulla Shoah. È stato quello a farscattare la molla e a farmi deside-rare di imparare di più.

Dunque hai imparato molto su Israe-

le in teoria, ma ora se qui. Quanto è

diversa da come l’hai immaginata?

L’unica cosa che non sapevo è ilmodo in cui le persone entrano incontatto diretto le une con le altre.Il modo in cui a ognuno importadegli altri. Poi naturalmente nonconoscevo nulla della cultura lo-cale. E Israele a vederla da dentroè in effetti esteticamente molto piùbella di quando potessi aspettarmi.Non ho avuto delusioni, salvo for-se qualche attacco da parte di per-sone molto politicizzate che criti-cano il fatto che io sia venuto qui(intellettuali da un lato della sferapolitica hanno accusato i rappresen-tanti del governo di fare un uso stru-mentale di Payam, che in quanto ira-

Payam Feili è nato nel 1985 a Kermanshah nell’Iran, in un territorio profondamenteinfluenzato dalla cultura curda. Ha cominciato a dedicarsi alla letteratura e allascrittura a dieci anni e ha pubblicato il suo primo libro La piattaforma del solequando aveva 19 anni. La pubblicazione è stata immediatamente censurata dalleautorità iraniane e il ministero della “Cultura e della autorità islamica” ha emessoun provvedimento che comporta la proibizione di qualunque produzione delloscrittore in Iran motivandola con la sua aperta ammissione di omosessualità. Il suoprimo romanzo, Torre e stagno, così come una antologia di saggi brevi, Il vuotorosso e le acque parlanti, sono apparsi negli Stati Uniti in lingua persiana. Il suosecondo libro, Crescerò e darò frutti, è apparso in Germania. Ogni altra suaedizione è apparsa esclusivamente al di fuori dell’Iran, anche durante il suo esiliovolontario in Turchia. Verso la fine del 2015 il giovane letterato ha visitato Israelesu invito del ministero della Cultura di Gerusalemme. I ministri dello Sport MiriRegev e degli Interni Sivan Shalom hanno collaborato e ottenuto un vistostraordinario per consentire l’ingresso di un cittadino iraniano. All’inizio del 2016Feili ha chiesto asilo in Israele e ha deciso di vivere a Tel Aviv.

ú–– Daniela Fubini

Ci sono luoghi nei quali tutti sem-brano più belli e più sereni, e ilbianchissimo spazio di fronte alteatro HaBima a Tel Aviv è unodi questi. La luce è radente, il ret-tangolo di acqua quieta guardaverso il giardino di fiori, anche luiquadrato, in cui suona sempre mu-sica classica o jazz, e placido è ilmovimento delle persone che en-trano o escono da teatro o da unconcerto, e si fermano a parlare oa bere qualcosa nei caffè lungo ilperimetro della piazza. Payam Feilidovrebbe viverci, in questa piazza.La sua personalità, la sua calmainteriore e il suo aspetto curato ri-flettono la perfezione della fontanaorizzontale e dello spazio intorno.Un rifugiato, nelle immagini chetutti abbiamo davanti in questo ini-zio di millennio fatto di migrazioni,è qualcuno che anche dopo averripreso una apparenza ordinataavendo ricevuto cibo, permesso disoggiorno temporaneo e vestiti pu-liti, spesso mantiene tutta l’urgenzadella sua fuga in un luogo definito:negli occhi. Raramente guarda di-ritto in faccia: preferisce teneregli occhi bassi, attenti al lavoroche sta facendo, e risponde a mo-nosillabi. Payam Feili di mestierefa lo scrittore e non è quel ge-nere di rifugiato. Alto esottile, l’incarnato legger-mente olivastro, i capellilisci in perfetto equilibriofra sale e pepe, eleganteper natura nell’abbiglia-mento semplice, ma diqualità. Ha una stelladi Davide netta tatuatasul collo, sotto l’orec-chio destro. Guardadiritto negli occhi, ge-sticola con moderazio-ne, e quando meno celo si aspetta sorride, unsorriso bianco e pieno mamodesto, senza la chutzpadi quello che ce l’ha fatta.Eppure, si può proprio direche ce l’abbia fatta. È riusci-to a far pubblicare un suolibro in Iran, in pieno regi-me islamico, nonostante itemi apertamente omoses-suali che tratta. È riuscito asuperare un certo numerodi arresti. È riuscito ad ar-rivare prima in Turchia eda lì in Israele, il luogonel quale ha da sempre

“Volevo la libertà, l’ho trovata a Tel Aviv”Fuggito dall’Iran, il poeta Payam Feili racconta come Israele l’abbia definitivamente conquistato

Fra duro realismo e fantasia “È difficile non percepire nella

scrittura di Payam Feili, al di làdelle questioni politiche, anche lafragilità, una certa dose di narcisi-

smo, un dubbio masochista, elementiche vanno oltre il tempo e il luogo.Feili ha una prospettiva diversa

dell’Altro, che non è solo sessuale, maè anche un Altro intellettuale e poe-tico”. Oltre a quanto già detto da quasitutti i media internazionali, per lascrittrice e critica letteraria israelianaTamar Marin quello che c’è di affasci-nante in Payam Feili lo si trova nella suascrittura. A tratti acerba, scrive Marin,ma capace di interpretare l’altro muoven-dosi in un flusso di coscienza quasi inin-

terrotto che porta il lettore a viaggiare tra reali-smo e fantasia, ad appassionarsi a una “storia chesi svolge sempre e ovunque, come accade solo nelmondo letterario”. Sempre e ovunque, anche inquell’Iran di repressione che Feili è stato costrettoad abbandonare per la sua omosessualità e per lesue battaglie civili, trovando rifugio nel posto piùimpensabile, almeno per un iraniano: lo Stato chein patria viene bollato come il “piccolo Satana”,Israele. Un posto “interessante, bello e sorpren-dente”. “Non è solo un altro paese. Per me è comese fosse un luogo delle fiabe” spiegava il giovanepoeta, da sempre innamorato della cultura ebraicae israeliana. Sbarcato nel mondo “bolla” di TelAviv l’inverno scorso, Feili è diventato una cele-brità a livello mondiale. Di lui hanno parlato ilNew York Times, il Washington Post e diversi

giornali europei: il fatto di essere un iranianoomosessuale che trova rifugio proprio nel paeseche i leader di Teheran hanno minacciato più voltedi distruggere ne fa in effetti una storia vivente. Eper questo a Tel Aviv tutti lo conoscono e tutti lovogliono incontrare. Raccontando della sua inter-vista con Feili, iniziata un’ora dopo il previsto, EliEliahu, giornalista del quotidiano Haaretz, spiegadi non essere rimasto stupito del ritardo. “Dopotutto, un gay, scrittore amante d’Israele comeFeili è una grande attrazione qui. Magro, fragile econ un’espressione delicata, è come un orso dacirco che danza da un evento all’altro. E probabil-mente da le stesse risposte alle stesse domande inmodo che ogni israeliano possa avere la sua dosedi amor proprio”, le considerazioni non senza ci-nismo di Eliahu. Ma le sue posizioni non sono

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ú– DONNE DA VICINO

MariaMaria De Benedetti è psicologadell’educazione. Anticonformista,mai astratta o banale, rigorosa, de-terminata, quando erano in pochi adaffrontare il mondo del lavoro, haaccettato la sfida delle grandiaziende, introducendo tra i primi inItalia la formazione professionale.Elenca con chiarezza e semplicità,quasi raccontasse una storia che nonla riguarda, i progetti che ha realiz-zato. Parla di anni “felici” in cui siè dedicata a ragazzi difficili e perife-rie disagiate, di obiettivi e risultatiraggiunti, dal Trentino ai Cantonidi Zurigo, San Gallo, Basilea, Lu-cerna, Losanna. In Svizzera ha per-

messo ai figli degli immigratiitaliani di conseguire la licenzamedia studiando la lingua dei lorononni, in una quotidiana scoperta diidentità e radici culturali. Per ORT,Scuola di Polizia e Comune di Mi-lano ha adattato la psicologia ai gio-vani, è stata contestata dagliinsegnanti tradizionali ma non s’èfatta intimorire, certa della bontà delsuo metodo. Da molti anni vive colfratello Paolo, noto biblista e teo-logo. Quando la conversazione cadesugli antenati Maria spiega e lui in-tegra: “Dolcina Artom, sorella diIsacco, il segretario di Cavour, era lanostra bisnonna. Prima del matri-monio con Salvatore De Benedetti imedici le dissero che era sterile. Ilparere non fu per nulla corretto:mise al mondo 15 figli tra cui ilnonno che a sua volta ebbe 6 figli.Papà era medico, primario e diret-tore dell’Ospedale di Asti, i fascistigli tolsero lo stipendio e i titoli, magli chiesero di continuare a lavo-rare”. In Asti, nella città che havisto succedersi le generazioni chel’hanno preceduta, ha ricoperto perquattro anni il ruolo strategico divicesindaco con un numero di dele-ghe difficile da ricordare: “Ho datoanima e cuore a servizi sociali,istruzione e giovani”. Ricorda concommozione l’arrivo dei primi aiutiall’indomani dell’alluvione del 1994che mise in ginocchio la città: “Inquelle ore ho capito quanto il volon-tariato italiano sia un bene prezioso,una ricchezza”.

ú–– Claudia De BenedettiConsiglieredell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

niano sarebbe usato come un trofeo,nda). Ma il quoziente di affetto edi apprezzamento che ricevo su-pera di gran lunga queste manife-stazioni di persone estremiste, chesono minoritarie sia come numeroche come impatto su di me. Li la-scio dire, passo oltre.

Lasciando l’Iran hai avuto anche la

possibilità di entrare negli Stati Uniti.

È vero, ma io ho bisogno di MedioOriente. Non solo per ragioni geo-grafiche o culturali. La scelta diIsraele è anche politica. Voglio vi-vere in Medio Oriente e in una de-mocrazia, e non ce ne sono altre.Israele è l’unico paese in cui la de-mocrazia è stabile. Basta guardarecosa è successo in Afghanistan ein Iraq, dove anche con le guerree l’entrata degli americani non siè riusciti a costruire una democra-zia. Il pensiero mediorientale è lon-tano dalla democrazia, per natura.

Ma in Israele, anche per il fattoche è una società composita, la de-mocrazia tiene. Le persone qui so-no abituate a confrontarsi con chipensa in modo diverso.

Nel calendario ebraico siamo adesso

fra Purim e Pesach. Fra mancanza

di libertà e la conquista della libertà.

Arrivando in Israele hai raggiunto un

grado di libertà che prima non avevi.

Cosa intendi farne?

Il passaggio è in effetti simile aquello che è accaduto nella miavita negli ultimi due anni, ma laverità è che io mi sono sempresentito una persona libera, dentro.L’oppressione esterna della mia li-bertà non ha mai inciso sulla miaconsapevolezza di essere libero.Oggi in Israele, continuo la mia vi-ta e la mia produzione. Scrivo, cer-co di veicolare in quanto scrivo ledifficoltà e sventure dei cittadiniiraniani, cerco di essere io la loro

voce che viene strozzata dal regi-me. Dall’altra parte, non voglio pe-rò essere qualcuno che parla tuttoil tempo di queste difficoltà, vogliopoter mantenere la mia positivitàdi scrittore, la mia creatività. È unequilibrio difficile. Ma voglio chechi sente il mio nome lo associ almio essere poeta. Non solo allatragedia di un popolo. Per quantoio mi senta responsabile per il miopopolo, sono anche responsabileper la mia scrittura, e devo elevar-mi per quanto possibile dalla cro-naca e dalla politica. In qualchemodo, vivo una vita doppia, a duelivelli: quello del rifugiato e quellodel poeta. So anche che è ancheuna questione di tempo. Quandoil rumore causato dalla mia sceltadi vivere in Israele si sarà calmato,le persone si abitueranno ad ap-prezzarmi per quello che scrivo, enon a guardarmi continuamentecome il poeta omosessuale che

ammira Israele e che per questoha lasciato il suo paese. Devo solodare tempo al tempo.

Tutto ciò può succedere qui, se rice-

verai il visto...

Si, ma quando, non se. Ho un av-vocato che si sta occupando delmio appello. Fino ad ottobre 2016posso risiedere in Israele grazie alvisto temporaneo ottenuto grazieall’interessamento di Ido Dagan.Quando ero già in Turchia, dopoche il mio ultimo libro I will grow,I will bear fruit ...figs è stato pub-blicato in ebraico, Ido Dagan, ungiornalista israeliano, ha chiesto diintervistarmi. Dopo quella intervi-sta, Ido è diventato una figura si-mile a un agente che lavora probono: mi ha aiutato a fare richiestaper il visto temporaneo e con luidecidiamo le interviste da conce-dere, le persone da incontrare.L’avvocato ha avviato la richiestadi residenza, e sono sicuro cheavremo successo.

Intanto, il tuo ultimo romanzo uscirà

in inglese. Ma stai anche scrivendo:

poesie, o un altro romanzo?

Non ho ancora scelto l’editore, mala traduzione è completa, e il librouscirà in inglese fra pochi mesi. Esì, sto scrivendo il prossimo ro-manzo, che sarà pubblicato prestoin Israele. Parla di artisti che lavo-rano in un circo, che attraversanola Seconda guerra mondiale e laShoah. Come il precedente, èun’opera di fantasia, con personag-gi che richiamano personaggi dellaBibbia e della storia del popoloebraico.

Payam Feili e la sua stella di Davidesono già una piccola celebrità a TelAviv. La serenità che infonde è lasua arma più potente, e sbaglia digrosso chi la confonde con fragilità.

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così scontante, e probabilmente da uno che è statocostretto a rimanere chiuso in un container, ben-dato in una località sconosciuta per 44 giorni peril solo fatto di aver accettato di presentare inIsraele il suo libro tradotto in ebraico, è normalenon aspettarsi una totale condiscendenza. Infondo questo ragazzo ha scritto un libro (il suo se-condo romanzo) che inizia con queste parole: “Ho21 anni. Sono gay. Amo il sole pomeridiano”. Elo ha scritto in un paese apertamente omofobo.L’omosessualità è un argomento tabù in Iran,dove gay e lesbiche possono affrontare la fustiga-zione quando non la condanna a morte a causadel loro orientamento sessuale. Alcune organizza-zioni per i diritti umani stimano che oltre 4.000omosessuali sono stati giustiziati dopo la Rivolu-zione islamica. L’ex presidente iraniano Mah-moud Ahmadinejad aveva detto al pubblicopresente a un suo intervento alla Columbia Uni-versity di New York che “in Iran, a differenza del

vostro paese, non abbiamo omosessuali”. Censu-rato e osteggiato dal ministro della Cultura ira-niano, Feili ha chiesto a Israele asilo politico,punto su cui notoriamente lo Stato ebraico usauna politica molto restrittiva. Il primo visto – ditre mesi – gli era stato concesso grazie anche al-l’intervento del ministro della Cultura MiriRegev, che aveva deciso di intercedere per lui e acui Feili aveva espresso gratitudine. Regev, dopoaver visto un’intervista al giovane poeta sulla ca-nale di informazione israeliano nrg, aveva chiestoal collega degli interni Silvan Shalom di conce-dergli il permesso anche se proveniva da un paesenemico. “Non conoscevo la carriera del ministroRegev prima di questo episodio ma dopo la suaraccomandazione ho pensato che capisse il signifi-cato dell’arte – spiegava Feili – mentre ora sonoconfuso”. La proposta di negare gli aiuti statalialle istituzioni culturali che non esprimono “le-altà” a Israele non è infatti piaciuta a Feili che

l’ha apertamente criticata. “Israele e l’Iran hannomoltissimo in comune, come storia e cultura, madi certo non l’atteggiamento da regime”. “Unodei motivi per cui ho lasciato l’Iran era perché siordinava agli artisti come dovesero esprimersi”spiegava il poeta, vedendo una eco di questo at-teggiamento nell’iniziativa di Regev. “Come èpossibile? Gli artisti hanno bisogno di liberà diespressione per creare, un artista non può crearequando vive in un’atmosfera in cui vigono ordinio ci sono limitazioni alla sua creatività”. Non cheIsraele e Iran siano lontanamente paragonabilima “nel luogo delle fiabe” di Feili ogni nota sto-nata evidentemente risalta. “Ci sono differenze,grandi differenze in termini di visione del mondo,di valori, di lingua così come per il nostro back-ground, - ha spiegato l’amico Ido Dagan, tra co-loro che hanno contribuito a portare Feili inIsraele - ma siamo comunque legati grazie al suodesiderio di assaporare la libertà”.

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organo che confedera le circa 40organizzazioni politiche, culturali,educative, sociali, religiose e spor-tive ebraiche del Belgio (nel paese

vivono circa 40mila ebrei). “Dopoquanto accaduto a Zaventem e aMaalbeek noi non abbiamo vistogrande differenza sul fronte della

sicurezza perché da noi l’allerta eragià alta. Abbiamo però chiesto adiverse organizzazioni di cancel-lare gli eventi organizzati per Pu-rim: non solo per motivi di sicu-rezza ma anche come segno di ri-spetto verso le vittime”. La colla-borazione delle istituzioni ebraichecon le autorità è piena, spiega Ro-zen, che però non nasconde le suepreoccupazioni sulla risposta di

queste ultime al terrori-smo. “Il problema del radicalismoin Belgio è stato a lungo evitato,dopo l’attacco al museo (che ri-marrà chiuso ancora per due annia causa di una ristrutturazione deilocali) ci sono stati miglioramentima bisogna farne ancora molti: civuole una protezione massiccia,soprattutto nei luoghi più affollati,teatri, centri commerciali e ovvia-mente gli aeroporti”. L’auspicio diRozen trova riscontro nelle paroledel suo predecessore, Joel Rubin-feld, che al Jerusalem Post non na-sconde la sua preoccupazionespiegando che, a differenza dei vi-cini francesi, non “posso dirmi pie-namente sicuro” rispetto alle ri-sposte delle istituzioni belghe alterrorismo. Troppa burocrazia epoca capacità di leadership, spiegaRubinfeld, sono il più grande osta-colo per Bruxelles. “Bisogna pren-dere a modello Israele in questo –afferma Rozen – sia come sistemadi protezione sia come capacità dirisposta da parte della società.Dobbiamo abituarci al terrorismonon come rassegnazione ma comeparte di qualcosa che purtroppofarà parte del futuro di questa Eu-ropa. E bisogna ripensare il mo-dello di integrazione, perché èchiaramente fallito”.

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

ú–– Daniel Reichel

Nessuno è rimasto sorpreso perquanto accaduto a Bruxelles. Nonsi poteva prevedere il quando main Belgio, per stessa ammissionedel suo Primo ministro, ci si aspet-tava un attacco terroristico. Forsenon della portata dei due che il 21marzo hanno sconvolto la città,colpendo prima l’aeroporto di Za-ventem e poi la stazione della me-tropolitana di Maalbeek ma co-munque “ci aspettavamo un’ag-gressione, soprattutto dopo l’arre-sto qui a Bruxelles di Salah Abde-slam (uno dei terroristi dell’Isis re-sponsabili delle stragi di Parigi delnovembre scorso)” afferma SergeRozen, presidente del Comité decoordination des organisations jui-ves de Belgique (Comitato di co-ordinamento delle Comunitàebraiche del Belgio). “Purtroppo èsuccesso e come europei dobbia-mo aspettarci che accadrà ancora,siamo solo all’inizio” spiega Rozena Pagine Ebraiche. Una guerra, se-condo molti analisti, avviata daiterroristi dell’Isis colpendo un luo-go che unisce cultura ed ebraismo:il Museo ebraico di Bruxelles. Quinel maggio 2014 il terrorista isla-mico Mehdi Nemmouche, radica-lizzatosi nelle carceri francesi, aprìil fuoco uccidendo quattro perso-ne. “L’attentato al museo era soloil primo segnale e penso che orala società intera lo abbia capito”afferma il presidente del CCOJB,

“Al terrore rispondiamo così”

La Mimouna è una tradizione tipica degli ebrei marocchini,

che al termine di Pesach allestiscono un grande e son-

tuoso banchetto con tutto il chametz, il cibo lievitato,

che non hanno potuto mangiare per gli otto lunghi giorni

precedenti. Ma la caratteristica ancora più particolare è

il fatto che a banchettare insieme a loro li raggiungono

i vicini musulmani, portando in dono farina, latte, miele

e burro necessari per cucinare insieme i dolci protagonisti

della festa, qualche volta simbolicamente ri-

vendendo alle famiglie ebraiche i cibi proibiti

durante la Pasqua. Il simbolo di questo mo-

mento di condivisione e di confronto è stato

scelto dall’Associazione Mimouna, nata nel

2007 per “informare la popolazione marocchi-

na sulla cultura ebraica che un tempio fioriva

nel paese e incoraggiare l’armonia tra gli ebrei

e i musulmani”. A spiegarlo a Pagine Ebraiche

è Sarah Benomar, presidente della branca

dell’Associazione dell’Università Al Akhawayn

di Ifrane, dove è studentessa. Mimouna è nata lì, per ini-

ziativa di un gruppo di una decina di studenti musulmani,

per poi espandersi anche nelle università di Fez, Rabat e

Marrakesh. Nel 2012 tutti questi gruppi locali hanno for-

mato l’Associazione a livello nazionale, di cui Sarah è se-

gretario generale. “Quello che ci tengo particolarmente

a sottolineare – afferma – è il fatto che si tratta di un’ini-

ziativa nata da giovani, tutti musulmani, per rivolgersi

ai giovani, che rimangono ancora oggi il pubblico e il tar-

get dei nostri eventi, nella convinzione che l’educazione

alla convivenza debba partire da noi”. Benomar si soffer-

ma quindi sulle varie attività proposte dall’Associazione

per promuovere la cultura ebraica a livello locale e na-

zionale – tra cui seminari, dibattiti, viaggi, fe-

stival nei campus, degustazioni, proiezioni di

film e presentazioni di libri – ma anche inter-

nazionale, come ad esempio lo è stata la sua

partecipazione al convegno “Antisemitismo,

paura del diverso, incitamento all’odio: ieri e

oggi” organizzato a Roma, nella sala polifun-

zionale di Palazzo Chigi, nell’ambito delle ini-

ziative promosse da Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane e presidenza del Consiglio

dei ministri per il Giorno della Memoria. Alla

base di tutto, c’è in particolare la riscoperta di radici co-

muni. “Che lo si guardi dal punto di vista della letteratura,

della cucina, della musica o della politica – spiega Sarah

– l’ebraismo fa parte del nostro patrimonio culturale di

popolo marocchino, di cui è dunque necessario preservare

l’identità plurale”. Benomar ha quindi dichiarato la con-

vinzione che i giovani abbiano “un problema nel rapporto

con la loro storia e con i loro antenati”. “I nostri nonni

ancora ricordano di quanto fosse fiorente la Comunità

ebraica prima della Seconda guerra mondiale e di come

ebrei e musulmani convivessero all’insegna dello scambio

e della commistione – osserva – ma i giovani oggi non lo

sanno più, hanno completamente perso questa percezio-

ne”. Una carenza che secondo lei è anche la causa di fe-

nomeni negativi come l’antisemitismo: “Sono convinta

che alla base del problema vi sia una confusione di fondo

tra la religione e la nazionalità, che crea una sovrappo-

sizione con le questioni che riguardano Israele e impedisce

un’analisi critica”, ha osservato. Una constatazione che

la porta a voler fare di più: “Riscoprire il valore perduto

della convivenza e degli scambi culturali è un veicolo per

arrivare alla pace”.

u A sinistra, Serge Rozen, della

Comunità ebraica belga, parla

dopo l’attacco al Museo ebraico di

Bruxelles del 2014. Sopra, il

ricordo dell’attacco del 21 marzo

Marocco, la convivenza possibile

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Nel 2007 lo scrittore e giornalista di originiarmene Hrant Dink fu ucciso da un giovanenazionalista a Istanbul davanti alla redazionedi Argos, il giornale di cui era direttore. Unavita per i diritti umani quella del 53enne in-tellettuale, condannato nel 2005 dalla giustiziaturca a sei mesi di reclusione per la pubbli-cazione di alcuni articoli sul genocidio di cuifu vittima il suo popolo. Nel nome di Dink,che dovette convivere a lungo con intimida-zioni e minacce di morte e a cui è dedicatoil film “Saturno contro” del regista Ferzan Oz-petek (uscito nelle sale pochi giorni dopo labarbara uccisione), viene assegnato da annia Roma un premio per chi, nel mondo deimedia, non esita a parlare di questioni spi-nose. Come appunto quella del Metz Ye-

ghern, il “Grande Male”. “Un premio alla libertàdi informazione, ma contestualmente unpremio al coraggio e all’onestà intellettuale.Lo stesso coraggio - viene spiegato dal Con-

siglio della Comunità armena di Roma, chelo assegna dal 2008 - che ha indotto valorosiuomini, come Hrant Dink, a non tacere”. Trale premiate del 2016 una firma nota ai lettoridi Pagine Ebraiche, Anna Mazzone (immagine

a destra), giornalista tra gli altri per Rai e Pa-norama e autrice per SkyTg24 del documen-tario “Nagorno-Karabakh, la guerra dimenti-cata” che le è valso nei mesi scorsi l’inseri-mento nella blacklist del governo dell’Azer-baijan. “Essere nella lista di nera mi ha fattocapire che sto facendo bene il mio lavoro,così come altri colleghi” ha dichiarato Annanel corso della cerimonia di consegna del ri-conoscimento. Ad essere premiata ancheFranca Giansoldati (immagine a sinistra), va-ticanista del Messaggero e autrice del libroLa marcia senza ritorno. Il genocidio armeno(Salerno editrice). “Se il genocidio armenonon fosse stato rimosso dalla coscienza col-lettiva e quindi dalla memoria individuale -ha detto l’autrice in una intervista ad Aleteia- probabilmente anche ciò che ha portato inseguito alla Shoah non sarebbe avvenuto osarebbe avvenuto in modo diverso”.

Dopo gli attentati di Parigi moltiesperti israeliani avevano suggeritoai paesi europei di prendere a mo-dello lo Stato ebraico per contra-stare il terrorismo. La cosa si è ri-petuta a marzo, dopo gli attentatidi Bruxelles. Per Pini Schiff, ex di-rettore della sicurezza dell’aero-porto Ben Gurion - Tel Aviv,quanto accaduto a Zaventem rap-presenta “un colossale fallimento”della sicurezza belga. Un attaccosimile, spiegava Pini all’AssociatedPress, sarebbe stato molto difficilein Israele. “La questione della pre-venzione è complessa. Sento moltecritiche all’intelligence europea madobbiamo partire da un presup-posto. Il lavoro di intelligence nonè mai perfetto: non lo è negli StatiUniti, non lo è in Israele. Le fallesono purtroppo normali. E questospinge i servizi di sicurezza a mi-gliorarsi costantemente ma perchéquesto accada bisogna investire”spiega a Pagine Ebraiche YoramSchweitzer, esperto di terrorismointernazionale e già consulente del-l’ufficio del Primo ministro israe-liano in materia di sicurezza. Il pro-blema del Belgio è che questi in-vestimenti non ci sono stati o sonostati parziali tanto che gli esperti,come Marco Lombardo, sociologoe docente della Cattolica di Mila-no, hanno definito il paese “il ven-tre molle d’Europa: una realtà di-visa al suo interno, con una buro-crazia farraginosa, che per due an-ni non ha avuto nemmeno un go-

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Per un’Europa più sicura si guarda a Israele verno”. “In Belgio – continua Lom-bardo, membro del centro di ri-cerca su terrorismo e sicurezza del-la Cattolica - ci sono sei corpi dipolizia che quasi non si parlano,immaginatevi come riescono a co-ordinarsi sul terrorismo”. La man-canza di scambio di informazionitra servizi di intelligence – non so-lo in Belgio ma in tutta Europa -è stato individuato come uno deigrandi problemi sul fronte dellacapacità di rispondere alla capillareminaccia del radicalismo islamico.Per Eran Lerman, del centro distudi strategici della Bar Ilan, i go-verni europei hanno a lungo evi-

tato di applicare misure più restrit-tive sulla privacy dei cittadini, in

particolari quando musulmani, per-ché comprensibilmente diffidenti

Il più inquadrato dei discorsi di

Donald Trump. Di sicuro il primo

letto dal candidato presidente da

un testo preparato in preceden-

za. Davanti ai 20mila dell’Ameri-

can Israel Public Affairs Commit-

tee (Aipac), l’organizzazione

americana pro-Israele, Trump

non è andato a braccio come in

tutti i comizi precedenti, sinto-

mo di quanto fosse delicato il

suo intervento. Era l’uomo più

atteso dell’ultima conferenza

dell’Aipac a Washington, evento

che ogni anno ospita personalità

di spicco del mondo politico

americano e non per parlare di

Israele e di Medio Oriente. Oltre

alla sorpresa delle primarie Re-

pubblicane Trump (“il candidato

più odiato dall’establishment del

partito ma più amato dagli elet-

tori”, la descrizione del magnate

della giornalista Rachel Mad-

dow), alla convention sono inter-

venuti il vicepresidente Usa Joe

Biden, la candidata democratica

Hillary Clinton, il Premier israe-

liano Benjamin Netanyahu, gli al-

tri due candidati repubblicani al-

la presidenza Ted Cruz e John Ka-

sich. Ma i riflettori erano tutti su

Trump, riuscito ad offuscare an-

che l’intervento di Netanyahu. I

media americani hanno parlato

di un vero tributo, con applausi

scroscianti, per alcune afferma-

zioni del candidato più discusso

d’America. Dopo aver espresso

opinioni controverse su Israele,

alcune sgradite al mondo ebraico

conservatore americano (mag-

gioritario all’interno dell’Aipac),

Trump si è preparato e ha con-

vinto il pubblico di Washington.

Non tutto, perché ci sono state

proteste nei suoi confronti, an-

che da parte di esponenti del

rabbinato legati alle diverse cor-

renti dell’ebraismo americano.

Ma la maggioranza era dalla sua

parte quando ha dichiarato che

il presidente “Obama è probabil-

mente la cosa peggiore mai ca-

pitata a Israele”, gioendo per la

fine del suo mandato. Attacchi

alla Trump, scrive il sito Politico,

neanche troppo provocatori ri-

spetto al suo solito ma che han-

no portato la neopresidente

dell’Aipac Lillian Pinkus a fare un

intervento senza precedenti: la

Pinkus ha condannato le parole

del candidato repubblicano ma

soprattutto gli applausi dedicati

dal pubblico alle sue invettive.

Parole che fanno riflettere sul

grado di divisione che porta con

sé Trump, anche nel mondo

ebraico. Tornando al suo discor-

so, Washington Post e Politico

sottolineano come il magnate

abbia gestito bene il suo inter-

vento, esprimendo posizioni in-

quadrate in quelle repubblicane:

ha criticato l’accordo sul nuclea-

re iraniano, dicendo che lo can-

cellerà una volta diventato pre-

sidente (in passato, non era stato

così categorico), ha condannato

il terrorismo palestinese e l’isti-

gazione all’odio da parte della

sua leadership; ha preso posizio-

ne al fianco di Israele sui nego-

ziati (in un’altra occasione aveva

detto di essere neutrale). Tutte

cose che gli sono valse applausi

e sostegno. È mancata però una

risposta alla lettera aperta di al-

cuni rabbini ortodossi che gli

chiedevano di ripudiare aperta-

mente il razzismo “perché con-

trario ai principi a cui si ispira

Israele”.

Trump, l’intervento che divide

rispetto a pratiche che potrebberosembrare discriminatorie. “L’azionedell’intelligence in realtà è l’alter-nativa a chi dipinge tutti i musul-mani allo stesso modo e fa gene-ralizzazioni razziste” dice Lerneral sito Israel21c. “Si tende a con-fondere gli atteggiamenti anti-mu-sulmani – la sua analisi - con un’in-telligence efficace. Se vi è la capa-cità di infiltrarsi in modo efficacesi possono individuare i ‘cattivi’ esventare i loro piani, e al contempoavere un rapporto normale con igruppi di minoranza, che altrimen-ti saranno sempre più il bersagliodi sospetti indiscriminati”.

Anna, Franca e la libertà di informare Il premio nel nome di Hrant Dink, il giornalista ucciso per le sue battaglie civili

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraicheCULTURA EBRAICA

u ואימנינהו (ונחזי) ספר ניתיPORTIAMO UN SEFER E VERIFICHIAMO Il Sefer Torà di Biella ritenuto fra i più antichi al mondo, introdotto con onoresolo poche settimane fa, costituirà una fonte inesauribile di informazioni per iricercatori di tantissime discipline, dalla paleografia alla codicologia, così comeper gli studiosi del testo biblico. E come mi aspettavo non ha tardato a riservarcisorprese. Grazie alla segnalazione dell’amico Giacomo M. Zippel ho potuto veri-ficare che il termine ואשימם in Deut. 1:13 è vergato sulla pergamena con unascrittura “defectiva” ovvero senza la yod. Sulla mancanza della più piccola dellelettere si basa proprio la tradizione interpretativa segnalata nel midrash, abbrac-ciata da Rashì ed altri commentatori che traducono quel termine come “li in-colperò” piuttosto che “li porrò”. Pochissimi manoscritti al mondo sono fedelia questa antica “lectio” che è ritenuta una variante estremamente minoritaria. Nel trattato di kiddushin si cerca una risposta al perché gli scribi venissero chiamatisoferim e si suppone che il motivo sia da ricercare nel loro delicato compito dicontare le lettere (לספור lispor in ebraico significa appunto contare) e controllarecon attenzione che non ne manchi nessuna. Si continua rilevando che la vavdella parola גחון in Lev. 11:42, scritta per tradizione più grande delle altre, è con-siderata la metà esatta delle lettere contenute nel Sefer Torà. La discussione siconcentra su un dubbio che solleva Rav Yosef: da che parte deve attestarsi lavav, é l’ultima della prima sezione o è la lettera iniziale della seconda? Viene con-sigliato che un modo per togliersi ogni dubbio è portare una copia del Pentateucoe contare una per una le lettere. Per altre diatribe ai tempi di Rabbà - si dicecon un inciso - non ci si sarebbe mossi di lì fino a che la questione non fossestata chiarita, anche se la verifica avrebbe richiesto tanto tempo e impegno. Cisi rende conto però, che già a quei tempi le tradizioni potevano aver subito cor-ruzioni e “non si era più esperti sulla scrittura plena o defectiva” della Bibbia.Ogni computo, seppure scrupoloso non poteva ritenersi privo di errore. L’espressione è diventata un modo di dire, simbolo di ogni situazione in cui lacontroversia potrebbe sopirsi senza ulteriore animosità, semplicemente con unriscontro convenzionale tra le parti coinvolte. Una verifica che taciterebbe ognidissidio e metterebbe un punto sulla questione.

Amedeo Spagnolettosofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Educare a crescere

ú– STORIE DAL TALMUDu SUPREMAZIE RABBINICHEQuando Chaninà figlio del fratello di rabbì Yehoshua arrivò nella Diaspora, in Ba-bilonia, iniziò a stabilire quali anni dovessero essere embolismici, ossia di 13 mesi,e quali giorni dovessero essere capomesi. I Maestri della Terra d’Israele, che finoallora avevano avuto la prerogativa di fissare il calendario, gli mandarono duedotti emissari, rabbì Yosè ben Kefàr e il nipote di Zekhariah ben Kevutal. QuandoChaninà li vide, chiese loro: Come mai siete venuti? E loro risposero: Siamovenuti a studiare Torah. Allora Chaninà disse pubblicamente: Costoro sono deigrandi di questa generazione e i loro antenati hanno servito nel Santuario diGerusalemme, come è detto nella Mishnà: “Zekhariah ben Kevutal diceva: Diversevolte ho letto dal libro di Daniele davanti al Sommo Sacerdote”. Successivamente,tuttavia, quando Chaninà dichiarava impuro qualcosa, i due emissari lo consi-deravano puro, e ciò che egli vietava, loro lo permettevano. Allora Chaninà dissepubblicamente: Costoro sono uomini senza valore e senza qualità! Loro repli-carono: Ci hai fatto già acquisire un buon nome, ora non puoi più distruggerlo;ci hai circondato di una buona reputazione, non puoi più demolirla. Lui disseloro: Ma perché ciò che io rendo impuro voi lo considerate puro, ciò che vietovoi lo permettete? Gli risposero: Perché tu ti sei arrogato il diritto di fissare ilcalendario fuori della Terra d’Israele, stabilendo gli anni e i mesi. Disse a loro: Maanche Akivà ben Yosef faceva lo stesso! E loro risposero: Lascia stare rabbì Akivà,che non lasciò dietro di sé in Israele dei saggi al suo livello. Allora rabbì Chaninàdisse: Neanche io ho lasciato dietro di me dei saggi al mio livello. Gli dissero gliemissari: Quelli che lasciasti in giovane età ora sono cresciuti e sono diventatigrandi e potenti e ci hanno mandato da te per dirti a nome loro: “Se ascolta lenostre parole, bene; altrimenti, che sia scomunicato” […]. E tutto ciò perché?Perché è scritto: “La Torah uscirà da Sion e la parola del Signore da Gerusalemme”(Isaia 2:3). (Adattato dal Talmud Bavlì, Berakhot 63).

rav Gianfranco Di SegniCollegio rabbinico italiano

ú–– Rav Alberto Moshe Somekh

Nella rubrica di un noto periodico a fumettiper bambini una giovane lettrice scrive: “Alcampo estivo mi annoio: le altre ragazze pen-sano solo ai bei vestiti e a truccarsi”. Di riman-do la direttrice risponde: “Il problema è semprel’eccesso di entusiasmo: spesso chi ha una pas-sione speciale vorrebbe imporla al resto delmondo, senza lasciare spazio agli interessi deglialtri. Cominciate con un quarto d’ora di con-versazione al giorno: scambiatevi pareri e com-menti sui programmi visti in TV la sera prima,sulle educatrici più simpatiche/antipatiche...”Condivido la diagnosi, ma non la terapia. Per-ché tarpare le ali di una rara avis che attendesoltanto di potere spiccare il volo? Perché ad-dossare su di lei il problema, che in realtà èdelle compagne? E soprattutto, perché riget-tarla nella mischia, incoraggiandola anche afare maldicenza, nel nome di una pace socialedove “vissero tutti felici e contenti” mentre lacollettività in realtà affonda nella propria me-diocrità? Se nella sua lunga storia il popoloebraico avesse seguito questiconsigli avrebbe sofferto me-no, certo, ma non sarebbestato ciò che è diventato:non avremmo il legittimo or-goglio di poterci guardare al-lo specchio ogni sera e dire:“anche oggi abbiamo costrui-to qualcosa”! Nel novembre scorso si èsvolta presso i locali del Betha-knesset di Cuneo l’inau-gurazione della bibliotecaebraica intitolata al nome delcompianto Davide Cava-glion z.l. nel primo anniver-sario della sua prematurascomparsa. Lo schizzo di un bambino vestitoda pagliaccio è stato scelto come logo dellanuova istituzione. Ma non è stato disegnatooggi. In una vetrina è esposto un esemplaredel Machazor di Mantova del 1713 aperto sullaprima pagina dei Pirqè Avòt commentati daMaimonide. Sul margine, all’altezza della mas-sima di Antigono di Sokho: “Non siate comequei servi che assistono il Padrone allo scopodi ricevere una ricompensa; siate bensì comequei servi che assistono il Padrone senza loscopo di ricevere una ricompensa” (1,3), unallievo forse annoiato dalla lezione avrà dise-gnato il bambino. Perché? È dato supporlo inbase a quella che sarà stata la spiegazione delmaestro in quel momento. Maimonide commenta la Mishnah in Avotdicendo che apprezzare il proprio dovere finea se stesso non è da tutti: rivela un atteggia-mento molto maturo. La massa ha invece bi-sogno di contentini. Essa si comporta – scrive- come i bambini che vengono attratti a ese-guire i compiti solo dall’aspettativa di un donoche può essere anche modesto, purché sia tan-gibile: ciò spiega fra l’altro perché la Torahstessa contenga promesse per coloro che os-serveranno le Mitzwòt e perché queste pro-messe siano essenzialmente materiali. Manmano che l’individuo cresce, matura progres-

sivamente in lui anche l’idea di ricompensa,fino a spiritualizzarsi (l’argomento è ulterior-mente sviluppato nella sua introduzione al Pe-req Cheleq). Benché l’ideale resta un altro, co-me si ribadisce nella Mishnah, siamo chiamatia crescere, o almeno cercare di crescere.L’infanzia è un’epoca determinante della nostravita e anche del nostro immaginario. Ci sonoperaltro due metodologie per accostarci adessa: la prima consiste nel rimpiangere l’inno-cenza perduta a fronte delle brutture dell’etàadulta, come se il passato remoto potesse co-stituire per noi un valido rifugio rispetto aimali del mondo. In una siffatta concezione ilmito del bambino diviene essenzialmente me-tafora della fuga davanti alle nostre responsa-bilità. Non è peraltro con questa ingenuità chesi possono affrontare i problemi del nostrotempo. Fra Pessach e Shavu’ot contiamo il‘Omer. Si domandano i nostri Maestri se le49 sere del conteggio sono altrettante Mitzwòtseparate o se sono parti di un’unica Mitzwah.La distinzione è rilevante per chi avesse di-menticato di contare il ‘Omer per 24 ore. Co-

stui deve sì continuare acontare le notti che se-guono, ma senza recitarela benedizione: avendosaltato un giorno intero,almeno in base alla secon-da opinione, il precettonon può dirsi eseguito inmodo “completo” secon-do i dettami della Torah(cfr. Wayqrà 23,15) e dun-que recitare la berakhahsu di esso comporterebbepronunciare il Nome diD. invano. Ma la discus-sione tocca anche il ra-gazzo che diviene Bar

Mitzwah o il proselita che si converte all’Ebrai-smo durante il periodo del ‘Omer. Secondoillustri opinioni anche questi devono contarequell’anno i giorni rimanenti senza benedizio-ne: dal momento che nei giorni precedentiessi non erano obbligati al conteggio, non pos-sono eseguire il precetto nella sua completezzacome vuole la Torah (Resp. Yechawweh Da’at3,29; Meqor Chayim 4, p. 142). Ma ciò generaun paradosso: fintanto che non sono obbligatiessi possono contare con la benedizione perabituarsi ad eseguire il precetto per intero;quando poi giunge il momento dell’obbligo,forse che è logico impedire loro di recitare labenedizione? Per questo altri ritengono chealmeno nel caso del Bar Mitzwah non si possaimpedire loro di recitare la benedizione neigiorni rimanenti. Se un atto compiuto da unminore non ha valore halakhico, non possiamoperò rimanere indifferenti quando il bambinoesegue la Mitzwah comunque (Yalqut Yossefa O.Ch. 489, n.13; cfr. 637, n.2). Il bambino èdestinato per sua natura a divenire adulto enon dobbiamo impedirgli di crescere. Verrà ilgiorno in cui anch’egli sarà obbligato. Nontrascuriamo l’istruzione dei nostri bambini allaTorah e alle Mitzwòt. Abituiamo i nostri figli,che sono adulti in potenza, ad assumersi leloro responsabilità!

ú– LUNARIOu PESACHÈ la prima delle tre grandi ricorrenze liete della tradizione ebraica. La festa commemorala liberazione dalla schiavitù d’Egitto, evento che diede origine alla vita indipendente delpopolo d’Israele e che fu il primo passo verso la promulgazione della Legge divina.

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Un ponte di libri. L'idea della giornalista e

scrittrice ebrea tedesca Jella Lepman era di

ripartire dall’educazione delle giovanissime

generazioni, e ricominciare dalla cultura.

Inviata in Germania nel primo dopoguerra,

con i suoi mille progetti e le tante battaglie

combattute diede la prima risposta al gran-

de vuoto lasciato dalla guerra, e il primo

segno di una ripresa culturale che avrebbe

portato la Germania fra i protagonisti nel

mondo dell’educazione e della cultura. Sulle

sue idee si basano i principali centri di ri-

cerca sulla letteratura per l’infanzia, i più

autorevoli premi letterari per la gioventù,

la Jugendbibliothek - la giustamente famosa

Biblioteca internazionale per la gioventù di

Monaco di Baviera - e l’Ibby, l'International

Board on Books for Young People attivo in

tutto il mondo. I suoi progetti, tanto audaci

quanto tristemente attuali in un'Europa in

cui il grande afflusso di rifugiati e la minac-

cia del terrorismo riportano a galla idee che

si credevano sepolte, avevano un cardine

chiaro: "Poco a poco facciamo in modo di

mettere questo mondo sottosopra nuova-

mente nel verso giusto, cominciando dai

bambini. Mostreranno agli adulti la via da

percorrere". Ed è proprio il suo paese, la

Germania quest'anno ospite d'onore alla Bo-

logna Children's Book Fair, che indica la stra-

da: sono una sessantina infatti i libri in lin-

gua tedesca pubblicati recentemente che

portano i piccoli lettori a confrontarsi con

l'integrazione. Senza troppi discorsi, senza

parole vuote, l'editoria del paese che più si

trova a fare i conti con una difficile e fati-

cosa integrazione ha preso in mano il pro-

prio futuro. I libri illustrati multilingue oc-

cupano da sempre una nicchia importante

del mercato editoriale tedesco e la massic-

cia ondata migratoria degli ultimi mesi ha portato a chiedersi se e in che misura questo

si possa ripercuotere sulla letteratura per bambini. Non si parla d'altro che di rifugiati,

con opinioni e stati d'animo che a volte si scontrano, le paure e i pregiudizi aumentano.

Così, di nuovo, spetta ai libri e alle storie dare un volto a vicende astratte, aiutando i

più piccoli a sviluppare capacità di comprensione e di solidarietà. I temi della fuga e

dell'integrazione sono una sfida ma anche una possibilità che gli autori e gli illustratori

tedeschi sono stati pronti a cogliere, così come molti loro colleghi in tutta Europa. Una

tendenza già evidente lo scorso autunno, alla Buchmesse di Francoforte che insieme al

Goethe Institut è responsabile della presenza

tedesca a Bologna, e che è il tema dell'in-

contro organizzato dalla redazione di DafDaf

durante la Fiera internazionale del libro per

bambini.

Il 6 aprile, infatti, al Caffè degli Autori alle

17 saranno alcuni amici e collaboratori del

giornale ebraico dei bambini ad affrontare

il tema "Integrazione? Tutti presenti!" da di-

versi punti di vista, confrontando la realtà

editoriale tedesca con le esperienze di chi

lavora con i libri per bambini in Italia. Ma a

Bologna, come raccontato in questo dossier,

non si può rinunciare ad esplorare le mostre

e le mille occasioni di scoperta e approfon-

dimento che animeranno la città dal 4 al 10

aprile: oltre al Weekend dei giovani lettori,

che apre al pubblico il padiglione 21 dopo i

giorni di fiera tradizionalmente riservati ai

professionisti del settore, tutta la città sarà

invasa da incontri, laboratori, presentazioni

e iniziative dedicate al libro per ragazzi.

Protagonista di due libri importanti è poi

una creatura oscura e terribile che affonda

le sue radici nella tradizione ebraica. Un es-

sere terrificante che ha festeggiato nel 2015

i cento anni dalla sua prima apparizione ci-

nematografica ed è tutt'ora circondato da

un’aura di mistero e soggezione. La vicenda

del Golem parrebbe forse poco adatta ai gio-

vani lettori, ma una autrice e illustratrice

tedesca, Anke Kuhl, ha deciso di cercare libri

antichi e studiare le origini della storia, per

concedersi poi il tempo di creare un graphic

novel dedicato ai bambini che non mancherà

di colpire anche i lettori adulti. Parallela-

mente continua la fortunata collaborazione

fra un'autrice franco-tunisina, Irène Cohen-

Janca e l'illustratore piemontese Maurizio

Quarello che con Orecchio acerbo hanno ap-

pena portato in libreria una storia che intreccia tradizione e fantasia sullo sfondo di

una Praga illuminata dalla luna. Non manca l'ultima uscita della collana Parpar di Giun-

tina, e l'attesissimo nuovo libro di Ulrich Hub, l'autore del pluripremiato L'arca parte

alle otto che guiderà la delegazione di autori tedeschi presenti a Bologna. Dopo le di-

scussioni fra tre pinguini che ragionano sull'esistenza di Dio, con il suo ultimo libro Hub

affronta nuovamente temi importanti: sono gli animali bloccati in un aeroporto a di-

scutere di amicizia e di onestà, per affrontare il senso profondo di uno dei nostri valori

più importanti, l'identità.

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

DOSSIER /Leggere per crescereA cura di Ada Treves

IL GOLEM

Fra tradizione e fumetto

Due libri molto diversi tra loro e ugualmente affa-scinanti riportano nelle mani dei giovani lettori lastoria del Golem, fra tradizione e nuovi significati.

BERLINO INVESTE SULL’INTEGRAZIONE

Europa, il futuro è di tutti

Almeno sessanta i titoli usciti negli ultimi mesi inGermania e dedicati al tema dell’integrazione. Per-ché servono azioni e pagine, non vuote parole.

NELLA JUGENDBIBLIOTHEK DI MONACO

La fortezza incantata

È in un castello incantato che si trova ora la Jugen-dbibliothek, fondata da Jella Lepman nel dopo-uerra. Per ripartire dall’educazione dei bambini.

Immagini e parole per stare insieme tra diversi

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Leggere per crescere

Chi è veramente il Golem? Se-condo la più accreditata delleleggende il gigantesco pupaz-zone d’argilla è stato creato conil fango delle rive della Moldavadal Maharal di Praga (ovvero Ye-huda Löw ben Betsalel, uno dei

maggiori e più influenti pensa-tori ebrei del suo tempo; mortoa Praga nel 1620, si dice fossenato a Poznań nel 1512). La sto-ria è certamente nota a tutti ilettori di Pagine Ebraiche: il rab-bino crea il Golem per difende-re gli ebrei da un’accusa di omi-cidio rituale. Il Golem sventa ilcomplotto, ma poi si rivolgecontro il suo creatore, versasangue ebraico. Il rabbino riescea disinnescarlo, a ucciderlo. Lesue spoglie giacciono tuttora in

una soffitta irraggiungibile dellasinagoga Vecchio-Nuova di Pra-ga. Va detto però che il veroMaharal con la creazione di Go-lem e Golemesse poco aveva ache fare, a differenza di moltialtri pensatori e mistici. A dir laverità, come ben documentaMoshe Idel, il primo Golem“moderno” era opera del rab-bino Elijhau di Chelm, nonnodel celebre fustigatore dell’ere-sia sabbataista Jakob Emdem,nonché contemporaneo del

Maharal. La sperduta cittadinadi Chelm, 70 chilometri a est diLublino, in seguito nota comepatria dei grulli della letteraturayiddish, era certamente troppopoco glamour, troppo margi-nale e periferica per diventarela location di una narrazione,ebraica ma anche e anzituttotransculturale, come quella delGolem. A questo ruolo si adat-tava invece alla perfezione l’an-tica città di Praga, con le suestatue e i suoi ponti, su cui tor-

Il ritorno del gigante e la forza della creazioneL’antica leggenda ebraica incanta ancora e continua a ispirare mille forme creative. Due libri da non perdere

La storia, le origini

Dai Salmi alle rive della Moldava, il Golem

Una creatura oscura e terribile af-fonda le sue radici nella tradizioneebraica. Un essere terrificante. Hafesteggiato nel 2015 i cento annidalla sua prima apparizione cine-matografica - nel raro film di PaulWegener - ed è tutt'ora circondatoda un’aura di mistero e soggezione.La vicenda del Golem parrebbepoco adatta ai giovani lettori, cosìcome il tema dell’automa in gradodi prendere vita, quella paura e in-sieme fantasia che accompagna gliesseri umani fin dai tempi più re-moti. È antico l'umano desideriodi antropomorfizzare le propriecreazioni, a imitazione del soffiodivino che infonde la vita in unaforma nata dal fango. Argilla, comequella del Golem. Presente in mol-te rappresentazioni successive dellavicenda è anche un freudiano ef-fetto perturbante, quel timore chesubentra quando una creazionetradisce la propria natura. A partire dal XIX secolo la societàeuropea cominciò ad adottarne lafigura in numerose opere di fan-tasia, facendolo diventare prota-gonista del romanzo di GustavMeyrink e di una serie di classicidel cinema espressionista tedesco.Una storia difficile,una vicenda in-quietante alla pa-ri di numeroseopere letterarie,come L’uomo del-la sabbia di ErnstTheodor Ama-deus Hoffmann oil Frankenstein diMary Shelley, ma così affascinanteda avere una grande influenza sullaproduzione culturale, e non solosulla cultura "alta". Negli anni Settanta è stato prota-gonista di un fumetto della Marvel,durato lo spazio di due stagionima pronto a tornare sempre a fu-metti negli anni Novanta per unaltro editore. Golem è anche il no-me di un Pokemon, che ha sem-bianze vagamente umane e corpodi roccia, ed è leggendario anchein questa veste. Parte di un trio diPokemon chiamati proprio "Go-lem leggendari", Regirock, Regicee Registeel, ossia Golem di roccia,di ghiaccio e d'acciaio, ha poi avu-to nelle serie successive numeroseevoluzioni. Ma anche i Gormiti

hanno il loro riferimento al mito:Gorgolem è un mostruoso am-masso di lava, magma e fuoco, cheracchiude in sé tutti i poteri oscuri.Non potevano mancare Dungeons& Dragons, né Bakugan, e neppureMinecraft e Clash of Clans, ovvia-mente, a riprova del potere imma-ginifico di una storia antica. Il suopotere inquietante parrebbe addo-mesticato dalle numerose riprese,ma continua ad affascinare e acomparire nella letteratura per ra-gazzi. Due libri in particolare, il

graphic novelL e h m r i e s elebt! firmatodalla tedescaAnke Kuhl eFrantz e ilGolem di Irè-

ne Cohen-Janca, tradotto da PaoloCesari e illustrato da MaurizioQuarello, riconsegnano due visionimolto differenti della vicenda nellemani dei giovani lettori.Il primo è stato pubblicato nel2015 da Reprodukt ed è opera diun'autrice che fa parte di quel col-lettivo di illustratori tedeschi, La-bor, che durante la fiera del libroper ragazzi invaderà Bologna conle sue incursioni artistiche sotto ilnome di "Achtung Kartoffel!".Racconta le avventure di due bam-bini, Olli e Ulla, che giocando lun-go il fiume trovano dell'ottima ar-gilla e costruiscono una grandecreatura, destinata come da copio-ne a prendere vita. Presente ad An-goulême a fine gennaio, alla qua-rantatreesima edizione del Festival

internazionale del fumetto, eraproposto direttamente nello spaziodel Goethe Institut, a riconosci-mento del valore di un'autrice ri-conoscibile e molto apprezzata siaper le storie spassose e profondeallo stesso tempo che per il trattoimmediatamente riconoscibile.Con Lehmriese Lebt! ha attualizzatouna storia eterna e archetipica inun graphic novel che, come tutti

i suoi lavori, è difficile chiamare"libro per bambini". Ha dichiaratoesplicitamente di non aver volutotoccare lo sfondo religioso dellaleggenda, ma di essersi presa, perquello che è il suo primo graphicnovel, uno spazio che ha definitoun lusso. Diversi mesi dedicati alGolem cercando vecchi libri e stu-diando una vicenda che non vo-leva trattare con leggerezza. Notaper la sua capacità di portare sem-pre alla stampe libri intelligenti, avolte provocatori, lavora ancora amano, prima a matita poi a chinasui contorni per proseguire con ipastelli, che le permettono un trat-to le cui imperfezioni donano ca-lore e spessore ai disegni. Illustra-zioni estremamente riconoscibili,

sempre carat-

ú–– Laura Quercioli MincerUniversitàdi Genova

Cohen-Janca & QuarelloFRANTZ E IL GOLEM orecchio acerbo

Anke KuhlLEHMRIESELEBT! Reprodukt

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Code, code ovunque, code di por-

cello, code di puzzola, di gatto e

di caimano. Ci sono i comignoli e

le calli di una città chiacchierona,

una befana ubriaca, e soprattut-

to una Venezia da sogno in cui

un incantesimo - colpa del trop-

po alcool - mette in pericolo gli

ebrei del Ghetto. Già, perché

quando Ai veneziani crebbe la co-

da - titolo di Andrea Molesini ri-

proposto da Bur in un'edizione

speciale illustrata da Alberto Re-

bori - la colpa venne attribuita

agli ebrei. Molesini, che insegna

Letterature comparate all'Uni-

versità di Padova e ha ricevuto

il premio Andersen alla carriera,

descrive un'epoca difficile da de-

finire, in cui le conseguenze dello

scriteriato incantesimo vengono

evitate grazie a due bambini, che

vogliono ristabilire la

verità. La Venezia

dei Dogi, fra ricchi

mercanti, armatori

e intrighi diventa

scenario per

una storia che

porta a riflette-

re sull'amicizia

incondizionata e

sulla solidarietà fra diver-

si. E servono valori forti per de-

streggiarsi nella città in subbu-

glio, dove fatti inizialmente di-

vertenti presto diventano gravi:

nessuno vuole più commerciare

con chi ha la

coda, bloc-

cando l'econo-

mia della città. Il consigliere del

Doge, invidioso della bravura dei

mercanti ebrei, pensa di incol-

parli dell’accaduto, dando il via

a una vicenda ristampata in tem-

po per il quinto centenario del

luogo diventato simbolo di tutte

le discriminazioni.

reggia un castello cupo e dovegli ebrei abitavano in quartieremisterioso e sghembo, con uncelebre orologio le cui lancettesi muovono alla rovescia... Èforse anche grazie all’intuizionedi tutti quegli autori dell’Otto-cento tedesco che hanno tra-sportato il Golem dalla periferiapolacca alla capitale dell’Imperoche l’infelice automa ha acqui-stato la sua popolarità attuale,la sua molteplicità di simboli esignificazioni. Il Golem ha una storia molto piùremota, che qui si faticherebbea riassumere. Basti dire che iltermine compare già nella Bib-

bia, nel Salmo 139: 16, dove vie-ne tradotto in italiano con «in-forme embrione». Secondo latradizione talmudica queste pa-role erano state pronunciate daAdamo a Dio, e stanno a indi-care un corpo umano (ancora)privo di anima. In seguito costruiscono Golemsvariati maestri talmudici, fracui Rava; di un Golem, forsefemmina, si serve il poeta IbnGabirol fiaccato dalla malattia.A partire dal XII secolo si molti-plicano ricette e combinazioniper la sua creazione, ed è pos-sibile che alcune di queste pre-cedano direttamente gli espe-

rimenti di Paracelso per dar vitaa Homunculus – secondo alcu-ni, esperimenti che segnano lanascita della scienza modernae delle bioscienze. Oggi il Golemè simbolo della capacità creativadell’essere umano, ma anchedel suo quasi empio tentativodi assomigliarsi a Dio, della suahybris autodistruttiva; è l’em-blema dei raggiungimenti tec-nologici dell’era moderna (nonè un caso che ai primi compu-ter israeliani era stato assegnatol’appellativo di Golem I e GolemII), ma simboleggia anche il dif-ficile quesito sulla liceità dell’usodella violenza in situazioni estre-

me. Il Golem è anche un dop-pio, un sosia, un tragico Dop-pelgänger del suo ideatore, unacreatura in cerca della propriaidentità, che lotta per un’auto-nomia che forse non vorrebbeneanche raggiungere. Dalla par-te del pupazzone infatti il rap-porto fra il Golem e il rabbinosuo artefice rispecchia quellofra l’uomo e il suo creatore: unadivinità lontana, incomprensi-bile e assente, profondamente“Altra”, nei confronti della qualela creatura può provare soloun’incurabile nostalgia – veroemblema in questo dell’uomomoderno.

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

terizzate da un lavoro molto par-ticolare sugli occhi, e sullo sguardodei personaggi. Golem compreso.Raccontato ai piccoli lettori usan-do uno stratagemma per avvici-narli alla storia: sono loro infatti,i bambini stessi, i creatori del Go-lem. Altrettanto riconoscibile, an-

che se com-pletamentedifferente, èFrantz e ilGolem l'ulti-mo lavoro diun'autrice e

di un illustratore che da diversi an-ni offrono ai giovani lettori libriimportanti. Il grande cavallo blu, nel2012, ha raccontato le cancellateinvalicabili del giardino di un ospe-dale molto speciale, dove vivevanoun bambino e il suo migliore ami-co, un vecchio cavallo che si chia-mava Marco. Fino a quando unnuovo dottore, "ostinato come la

bora e matto da legare", decise diliberare tutti i malati e abbatterele cancellate. Inaspettato successodi una storia difficile, raccontata aibambini con grande maestria, lavicenda di Franco Basagliaha preceduto di quasi unanno L'albero di Anne, l'in-tensa e necessaria storiadell'ippocastano di AnneFrank, che ha sancito la fe-lice intesa fra un'autrice, lafranco tunisina Irène Co-hen-Janca e il suo illustra-tore, Maurizio Quarello. Lacasa editrice Orecchioacerbo giustamente non siè fermata ai primi due suc-cessi, e nel gennaio delloscorso anno, poco primadella Giornata della Me-moria, ha pubblicato L'ul-timo viaggio. Il dottor Korczak e isuoi bambini, che racconta in ma-niera semplice ed efficace l'esito

dell'impresa pedagogica che a par-tire dal 1911 vide il Pan Doktorschierato con risolutezza dalla par-te dei più deboli, perché "non ci èconcesso lasciare il mondo così

com'è". E ora si aggiunge Frantz e il Golemstoria affascinante e misteriosa che

inizia così: "Praga dorme. L’azzurrodel cielo si è a poco a poco fattopiù scuro, la gente è rincasata, laluce è volata via. Il tempo si riposa,e un profondo silenzio regna sulla

città. L’occhio della lunasi apre e attraversa le fi-nestre. Le vecchie casedel vicolo del Gallo, murisenza colore e portoniben chiusi, si stringono leune alle altre come pernon cadere." Si mescola-no la tradizione e l'avven-tura di Frantz, il ragazzinodi Praga che si muove fur-tivamente nel buio versouna meta che sa essereproibita. La città, alla lucedella luna, il Maharal diPraga e quelle due paroleche segnano la vicenda

del Golem, verità e morte. Quantobasta per trasportare qualunquelettore in un mondo d'incanto.

La codadei veneziani

Andrea MolesiniQUANDO AI VENEZIANICREBBE LA CODABur Ragazzi

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mille i libri multilingue usciti nel2015, che si aggiungono a circa600 e-book, seguiti da circa 500libri e 250 e-book pubblicati nelprimo trimestre del 2016. Ma i nu-meri non bastano a raccontare unarealtà che si innesta su una tradi-zione ben consolidata: una dellefiabe tedesche pù note, I musicantidi Brema dei fratelli Grimm, parladi personaggi le cui vite, se restanoa casa loro, sono in pericolo. I fug-gitivi si ritrovano e si mettono inmarcia, come oggi i rifugiati cuiben si adatta il motto che nella

versione origi-nale della fiabadei Grimm è ri-petuto dall'asi-no: "Dappertut-to troveremo

qualcosa di meglio della morte".Sono soprattutto gli illustrati, chetrattano i temi della fuga e del-l'estraneità, dell'integrazione e del-l'accettazione reciproca, per age-volare la comprensione di quantosta accadendo, sia dal punto di vi-sta di chi è in fuga che di chi assi-ste al loro arrivo. È la stessa Bu-chmesse a proporre alla Bologna

Children's Book Fair un incontrosul tema della migrazione nei libriper bambini e ragazzi, così comepiù in piccolo la redazione di Daf-

daf prosegue sul filone iniziato loscorso anno con "Raccontare l'in-dicibile" e nel pomeriggio del 6aprile propone "Integrazione? Tutti

presenti!", tavola rotonda che con-fronterà la realtà tedesca con quan-to già pubblicato e in uscita in Ita-lia. Testo di partenza, in evidenzagià alla Buchmesse, Alle da! di AnjaTuckermann, illustrato da TineSchulz e pubblicato da Klett Kin-derbuch, casa editrice di Lipsiaparticolarmente attenta al tema. Ibambini nel libro arrivano da tuttoil mondo, ognuno con una sua sto-ria da raccontare; pochi sono natinello stesso paese dei propri geni-tori, ma tutti fanno le stesse cosetutti i giorni: bevono, mangiano,dormono, parlano e a volte discu-tono. Ognuno ha le sue feste dacelebrare, con risultati a volte dif-

Nulla è scontato, nulla è mai ba-

nale o prevedibile quando c'è di

mezzo Hamelin, l'associazione

culturale che a Bologna da anni

si occupa di promozione della

lettura, formazione, letteratura

per infanzia e adolescenza e di

fumetto. Se poi Hamelin lavora

con Bologna Children's Book Fair,

Buchmesse di Francoforte e Goe-

the Institut, allora è certo che

non essere in città durante la

settimana della maggiore fiera

mondiale dedicata al libro per ra-

gazzi sarebbe un errore clamo-

roso. Il quartiere fieristico è una

sorta di enorme fiera dei baloc-

chi per tutti coloro che amano il

libro illustrato e la letteratura

per ragazzi, il cui accesso è riser-

vato ai professionisti del settore

dal 4 al 7 aprile. Ma sono due gli

spazi in cui sfogare la propria cu-

pidigia: il padiglione 21 e la città

tutta. Innanzitutto l'ormai con-

solidato Weekend dei giovani let-

tori dall'8 al 10 aprile apre la fie-

ra al pubblico, per tre giorni di

incontri, laboratori e mostre. Al-

la libreria internazionale orga-

nizzata in collaborazione con la

Cooperativa Culturale Giannino

Stoppani si può

trovare il meglio

del panorama

mondiale, dal cen-

tenario di Roald

Dahl al focus sulla

disabilità, al pre-

mio Strega ragaz-

zi. Altrettanto im-

mancabile, per

tutto il periodo

della Bologna Chil-

dren's Book Fair è

l'insieme di mo-

stre, incontri e

presentazioni che animano gra-

zie alle tante realtà presenti sul

territorio che si occupano di pro-

mozione di lettura e letteratura

per i più giovani, illustrazione,

design e grafica, in quella che è

ormai da tempo la città del libro

per ragazzi. Immancabili le espo-

sizioni, a partire dalla grande

mostra degli illustratori tede-

schi, intitolata "Look", nome

complessivo della

presenza tedesca

alla BCBF, che pre-

senta le tendenze

artistiche più re-

centi. Poi "Tolle

Hefte. Libri folli e

bellissimi", iniziati-

va del Goethe-In-

stitut curata da

Hamelin racconta

a Palazzo D’Accur-

sio come nel 1991

Armin Abmeier ab-

bia iniziato un pro-

getto editoriale unico, "Die Tol-

len Hefte", libretti “folli e bellis-

simi”, composti da testi inediti o

a lungo dimenticati illustrati da-

gli autori più interessanti e in-

Sessanta titoli, per fare sul serio.Perché ci sono le parole e i pro-clami, le polemiche e i discorsi diprincipio. E poi ci sono i passi con-creti, reali. E i discorsi vuoti scom-paiono di fronte alle azioni di unpaese che si trova a integrare cen-tinaia di migliaia di rifugiati nellapropria popolazione in uno sforzoconcreto che coinvolge tutti gliambiti. Compresa la nuova gene-razione della popolazione autoc-tona. Conseguenza diretta e im-mediata: il trend più notevole dellaletteratura tedesca per l'infanzia èla notevole presenza di titoli cheriguardano i rifugiati, la tolleranza,l'integrazione. Dati, tabelle, numeri:la Germania allaBologna Chil-dren's BookFair è anchequesto, con leanalisi di unsettore che ar-riva circa a unsesto del fattu-rato comples-sivo, con una quota di mercatoin lieve crescita. La divisione pergeneri, inoltre, mostra un quadroarticolato, con albi illustrati e i titoliper giocare e imparare in crescita,ma si conferma quanto già vistoin ottobre alla Buchmesse di Fran-coforte, la crescente affermazionedei libri multiculturali. Sono oltre

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Leggere per crescere

Tuckermann & SchulzALLE DA! KlettKinderbuch

“Tutti presenti!” nella scuola d’EuropaIntegrazione e tolleranza: gli autori fanno l’appello. Nessuna assenza può essere giustificata

Quelle pagine folli e bellissime

u Anja Tuckermann e Tine Schulz, Alle da!, Klett Kinderbuch

u Kirsten Boie e Jan Birk,

Bestimmt wird alles gut, Klett

Kinderbuch

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ficili, a volte divertenti, che prestosaranno semplicemente normali.Un altro esempio del recente trendtedesco è Am Tag, als Saída zu unskam, Il giorno in cui arrivò Saída,di Susana Gómez Redondo e illu-strato da Sonja Wimmer (ed. PeterHammer), in cui una ragazzina vi-vace ed esuberante racconta del-l'arrivo dal Marocco di una suacoetanea, triste e silenziosa. "Forsenon voleva parlare nella sua linguaperché è diversa dalla nostra", dicela prima, e le due iniziano a esplo-rare le reciprochelingue, in un gio-co di immaginisognanti che tra-boccano parole esegni. Die Insel,L'isola, di ArminGreder è stato dapoco ripubblicatoda SauerländerVerlag e raccontadi un uomo ap-prodato su una spiaggia con la suazattera. È una storia cupa, illustrataa tinte fosche, che trasmette unmessaggio forte ai bambini in etàprescolare e spiega cosa sia la xe-nofobia. Prova a dare un segno disperanza, invece, Bestimmt wird al-les gut, Di sicuro si sistemerà tutto,di Kirsten Boie e Jan Birk, che rac-conta la storia di Hassan e Rahaf,nove e dieci anni. L'autrice non

cerca di abbellire la realtà: pur ri-sparmiando ai lettori scene di mor-te, devastazioni o pericolose tra-versate mostra chiaramente ciòche i rifugiati si lasciano alle spallee ciò che li attende al loro arrivoin Europa. Dopo tre mesi in uncampo di accoglienza, i bambinivengono separati dai loro nuoviamici; in classe alcune bambine siavvicinano con curiosità a Rahafma perdono rapidamente interesse,principalmente per la barriera lin-guistica, e la famiglia si deve strin-

gere in una stan-za ricavata da uncontainer. E lasperanza del pa-dre di poter rico-minciare comemedico in Ger-mania non parepotersi avverare.Particolarità dellibro è che ognipagina riporta la

traduzione della storia in arabo, eoffre alla fine i primi elementi diconversazione nelle due lingue, da"come ti chiami?" a "ti va di..." o"vuoi essere mio amico?". Ma an-che "lasciami in pace!" e "non miva!". Nella speranza che anche unlibro possa agevolare il processodi integrazione e "Bestimmt wirdalles gut", di sicuro si sistemeràtutto.

novativi del panorama tedesco,

e non solo. Non poteva ovvia-

mente essere una semplice mo-

stra, e a quattro giovani talenti

è stato proposto di illustrare per

la prima volta un testo di Johann

Heinrich Pesat. "Was? Das Beste

von Allem", offre "il meglio di

tutto", in un catalogo tematico

sui temi più disparati che descri-

vono in forma di disegno le

principali categorie del-

l’illustrazione per l’in-

fanzia e del mondo

infantile. "Nomads"

e "In questo mo-

mento" danno spa-

zio al lavoro degli

studenti di diverse

accademie d'arte

mentre "Illustra. Racconti

notturni 2016", pensata in oc-

casione del bicentenario della

pubblicazione dei Racconti not-

turni di E.T.A. Hoffmann, presen-

ta le illustrazioni proposte dagli

studenti delle Accademie di Belle

Arti di Bologna, Macerata, Urbi-

no, Amburgo, Lipsia e Münster

per i nuovi racconti di Giovanna

Zoboli e Ulrich Hub ispirati al-

l’opera del narratore tedesco.

Nadia Budde e Elisa Talentino

raccontano lo scambio fra illu-

stratrici originare di due luoghi

in "Racconti di città Berlino-To-

rino", ma il progetto che davvero

invaderà Bologna lo si deve al

collettivo di illustratori tedeschi

Labor Ateliergemein-

schaft, che oltre al la-

boratorio perma-

nente che pren-

derà vita all’in-

terno della piaz-

za coperta della

Biblioteca Sala-

borsa sarà attivo

in tutta la città. Al

segnale "Achtung, Kar-

toffel!" l'Atelier Labor si

lancerà un un progetto speri-

mentale che trasforma gli spazi

cittadini in una sorta di grande

supermercato dei desideri, con

opere-manifesto affisse ovunque

anche grazie alla collaborazione

con Cheap on Board.

"La leggenda racconta che la ri-

sata di Sara faceva sì che tutto il

mondo battesse le mani per la

gioia, tutti sanno che Sara è la più

gentile tra le donne, disponibile

e accogliente con tutti”. L'ultima

uscita per Parpar, la collana che

la storica editrice Giuntina di Fi-

renze dedica ai giovani lettori

guarda alla tradizione e l'autrice,

Jacqueline Jules, spiega che anche

se nella Torah non sono descritti in dettaglio Sara

o i suoi sentimenti molte sono le cose di lei che ha

tratto da midrashm, commenti moderni e testi an-

tichi. Grazie a riferimenti come Adin Steinsaltz, Lo-

uis Ginzberg e molti altri ha costruito un'immagine

di Sara ricca di suggestioni e dolcezza. Le illustra-

zioni di Natascia Ugliano contribuiscono nell'avvi-

cinare i lettori alla vicenda molto umana di una

donna che soffre per la mancata

maternità in un crescendo che ha

un suo lieve tocco drammatico:

dalla risata contagiosa con cui si

apre il libro al semplice "Ma non

rise" che arriva dopo qualche pa-

gina a "Ma la tristezza continuava

a soffocare la risata nel suo cuo-

re", "Sara era felice per Abramo,

ma non era come avere un figlio

tutto suo".

Passano gli an-

ni, i capelli di

Sara e Abramo

diventano grigi

e la vicenda se-

gue fedelmente le storie antiche, fino a tornare a

quel suono tintinnante che apre le pagine, quando

Sara ride.

La scimmia è una cavia per espe-

rimenti farmaceutici e le due pe-

core che parlano all'unisono - e

come tengono a sottolineare,

pensano pure all'unisono - sono

sicuramente clonate. La tigre è

una star della pubbli-

cità (per una nota

marca di cereali), e il

panda, abituato a

volare su un jet pri-

vato, ha un passa-

porto speciale, per le

specie in via d’estin-

zione. E "Gli animali

guardano il passaporto del

panda e tutti agitati cominciano a parlottare fitto

fitto fra loro. Che sia proprio quel panda lì a venir

protetto è un’ingiustizia che grida vendetta. Bello

non è. È grasso e bianco e nero,

colori per altro noiosissimi. E poi

il nero non è nemmeno un colo-

re, perché se così fosse allora la

televisione in bianco e nero si sa-

rebbe chiamata a colori". Come

già nel suo pluripremiato L'arca

parte alle otto nulla può essere

dato per scontato nel nuovo li-

bro di Ulrich Hub, Le volpi non mentono mai

(Rizzoli). Un improbabile gruppetto di animali

viaggiatori bloccati nella sala d’attesa di un

aeroporto è la scusa, quando la volpe si decide

a dire la verità, per parlare del valore dell'ami-

cizia e dell’importanza di essere sinceri. Non

più pinguini che riflettono sull’esistenza di Dio, ma

una coorte di animali che discutono di identità. E,

come dice il cane, "Adesso basta tivù. Avete gli occhi

pallati. È ora di dormire. E niente storie".

Herbie è solo. I suoi genitori si

sono trasferiti su una stazione

spaziale, nel mezzo del nulla, e

non c'è niente da fare. Il nuovo

libro scritto da Matthue Roth

e illustrato da Rohan Daniel Ea-

son, The Gobblings, è diversis-

simo dal precedente risultato

della loro collaborazione, My

first Kafka, e proietta i giovani

lettori in un futuro lontano pieno di alieni, navi

spaziali e infinita solitudine. Con Il mio primo

Kafka ha in comune però l'idea di ispirarsi a un

grande narratore della tradizione ebraica: The

Gobblings infatti è la rivisitazione di un racconto

del folclore chassidico attribuito al Baal Shem

Tov, noto come L'alef bet. Narra di un ragazzo che

sta vagando attraverso una strana città dove non

conosce nessuno e dove nonostante sia Yom Kippur

tutti stanno lavorando e non si

sente nessuno pregare. Il ra-

gazzo conosce solo le lettere

dell'alfabeto ebraico, l'alef bet,

così si mette a snocciolarle una

dopo l’altra ma la sua onestà e

la semplicità della sua preghie-

ra arrivano in cielo e salvano

tutti. Nei Gobblings non si trat-

ta del cielo ma

della piattaforma

di atterraggio

della stazione

spaziale, per la

verità, ma l'ispi-

razione di Roth,

giovane autore americano che si defini-

sce "Hasidic author, Jewish slam poet e Torah geek"

è evidente. Anche fra gli spazi infiniti.

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

Una risata racconta la tradizione

Le volpi non mentono (quasi) mai

Ulrich HubLE VOLPI NONMENTONO MAIRizzoli

Roth - EasonTHE GOBBLINGSOne PeaceBooks

Jules - UglianoE SARA RISE Giuntina

I racconti del Baal Shem Tov vanno in orbita

u Susana Gómez Redondo e Sonja

Wimmer, Am Tag, als Saída zu uns

kam, Peter Hammer

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la Germania nazista che aveva no-stalgia di questa musica. Dopo ilconcerto mi avvicinai a Menuhine gli domandai se lui avrebbe presoin considerazione la possibilità disuonare per i suoi ammiratori inGermania. Menuhin disse: «Sì!»,senza un attimo di esitazione e michiese di buttare giù per lui alcuneparole di introduzione da dire in

tedesco. Ho ancora il foglio di car-ta su cui è scritto: «Sto per suonareil Concerto per violino di Mendel-ssohn per tutti voi le cui orecchiesono ancora aperte per ascoltarlo.Possa questa musica raggiungervi,portarvi conforto e speranza». An-ni dopo, molte persone in Germa-nia vennero a dirmi come avesseroascoltato la trasmissione a rischio

della vita e quanto ciò avesse si-gnificato per loro...”.Dislocata dai comandi Alleati altermine del conflitto nel suo paesed’origine, ormai ridotto a un cu-mulo di macerie, la Lepman con-tinua a battersi con le sue idee in-novative e diviene protagonista diun grande progetto di rieducazio-ne alla democrazia e alla speranza

della popolazione tedesca.La sua idea era di ripartire dal-l’educazione delle giovanissime ge-nerazioni e ripartire dalla cultura.Solo così un’Europa stremata eumiliata, ora anche minacciata dal-la ferita della Guerra fredda e delladivisione fra i blocchi, avrebbe po-tuto riprendersi.Mille progetti e mille battaglie, so-

Ci si può arrivare, come un qua-

lunque cittadino con i piedi per

terra, a bordo di un comodo au-

tobus, ma bussare alle porte della

Internationale Jugendbibliothek,

alla periferia di Monaco, equivale

a compiere un viaggio in un mon-

do incantato. Il castello di Bluten-

burg, circondato dalle acque e dai

boschi di Baviera, ha tutto quello

che servirebbe per ambientare

uno dei tanti libri di fantasia e di

avventura che contiene. I sicuri

bastioni, le torrette, il chiostro,

un’osteria di campagna vecchio

stile, il fascino di un’abbazia tardo

medievale. Soffitte di sogno, sot-

terranei labirintici e misteriosi.

C’è anche una passerella per at-

traversare i corsi d’acqua, e anche

se oggi non è più un ponte leva-

toio nessuno ci fa caso, perché or-

mai si vola già nella leggenda.

“Sotto i nostri piedi – spiega at-

traversando il prato della corte in-

terna Carola Gaede, responsabile

delle pubbliche relazioni della più

importante biblioteca per l’infan-

zia – si trova un grande mondo

sotterraneo. Un vero e proprio

bunker destinato a conservare al

sicuro la cultura per l’infanzia e

l’adolescenza da tutto il mondo”.

I libri catalogati e a disposizione

degli studiosi che arrivano a Blu-

tenburg dai cinque continenti so-

no oltre 600 mila. Molte altre de-

cine di migliaia di volumi si trova-

no invece alla luce del sole sugli

scaffali delle ali della biblioteca

aperti ai bambini. “I libri in con-

sultazione per i bambini – spiega

Gaede - sono sempre almeno 25

mila in 20 lingue diverse. Si tratta

di uno sforzo organizzativo impor-

tante, perché Jella Lepman ha in-

segnato che i piccoli utenti devo-

no sentirsi liberi di trovare e pren-

dere in mano le loro letture secon-

do la propria libera scelta e la pro-

pria personale sensibilità. Senza

ricorrere al filtro di un adulto che

cerca di indirizzare e controllare

il loro comportamento”. Dunque

tutto a portata di mano, in un am-

biente amichevole e stimolante, in

cui idealmente il piccolo utente

può giungere e muoversi in totale

/ P20

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

DOSSIER /Leggere per crescereQuel ponte di pagine che salvò il futuroTorna di grande attualità il progetto di rieducazione di Jella Lepman: ripartire dai più piccoli

Il castello incantato dei libri del mondo

Salisburgo, 1947. Sul mitico Festi-val cui si danno appuntamento tut-ti i grandi della musica torna asplendere il sole della speranza inun’Europa migliore. Sul podio saleWilhelm Furtwaengler e nellagrande sala del Festspielhaus calail gelo. Sul massimo direttore d’or-chestra tedesco, arcirivale di Ar-turo Toscanini, grava l’ombra del-l’ambiguità nei confronti del regi-me nazista, che ha sempre rifiutatodi abbracciare, ma non ha mai di-sconosciuto. Il programma annun-cia Brahms. Il violino è affidato alpiù grande solista vivente, YehudiMenuhin. Proprio lui che avevaaccompagnato le truppe angloa-mericane liberatrici attraverso uncontinente martoriato e aveva vo-luto suonare per i sopravvissuti diBergen Belsen. Proprio lui che conFurtwaengler aveva sempre rifiu-tato di suonare finché il nazismoseminava terrore e distruzione, sifa ora vicinissimo al podio. La ten-sione è altissima, Furtwaengler la-scia la bacchetta, Menuhin prendele sue mani e le stringe. Nasce da

un gesto, e dall’ova-zione che ne seguì,

la nuova Europa. Madietro alla generosità di Menuhinc’è una vicenda meno conosciuta.A raccontarla, nel suo libro di me-morie Die Kinderbuchbruecke (let-teralmente Il ponte di libri dei bam-bini, in edizione italiana tradottocome La strada di Jella. Prima fer-mata Monaco, Sinnos editore) è lagiornalista e scrittrice ebrea tedescaJella Lepman (1891-1970). In fugadalla Stoccarda della Notte dei cri-stalli a Londra, redattore dellaBBC e dell’American BroadcastingStation in Europe per contrastarela propaganda dei regimi nazifa-scisti. “A Londra, durante gli ultimianni della guerra, ero in servizioalla radio americana in Europa.Un giorno comparve Menuhin perla registrazione del Concerto perviolino di Mendelssohn e mi na-scosi in un angolo dello studio perascoltarlo. La musica risvegliò inme così tanti pensieri! Mendel-ssohn, in quanto ebreo, era statobandito da Hitler. Non solo i vivi,ma anche i morti erano oggettodell’odio. Sapevo che esisteva unnumero sterminato di persone nel-

u Il successo delle idee di Jella

Lepman fu tale da portare

nella sua Jugendbibliothek

visitatori prestigiosi, dal

filosofo Martin Buber a Pandit

Jawaharlal Nehru agli alti

gradi dell’esercito americano.

E Erich Kaestner, ovviamente.

Jella LepmanLA STRADA DI JELLA Sinnos

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prattutto contro la diffidenza e lebarriere burocratiche che avreb-bero rivoluzionato l’infanzia tede-sca sopravvissuta al conflitto, il si-stema scolastico del baricentrod’Europa, la sua industria culturaleed editoriale. La stessa possibilitàdi rinascita della realtà ebraica te-desca.Pochi gli amici e gli alleati a di-sposizione. Fra questi il grandescrittore Erich Kaestner, che avevavisto le sue pagine bruciare in piaz-za assieme ai grandi classici dellaletteratura tedesca che portavanola firma di un ebreo. Dalla loroamicizia nasce La conferenza deglianimali, un indimenticabile classicodella letteratura per l’infanzia cheriesce nel suo universalismo a par-lare a tutte le generazioni. “Le nostre menti – si legge nellesue memorie - apparivano ardentie scoppiettanti. Decidemmo di co-mune accordo che solo Walter

Trier (il grande illustratore ebreoesiliato dei libri di Kaestner) sa-rebbe stato in grado d’illustrare illibro, perché il tema lo riguardavada vicino tanto quanto noi. Alloraviveva in Canada, così gli scrivem-mo e ottenemmo il suo assensocon una lettera di risposta. L’edi-tore? Opi, naturalmente, il cui vero

nome era dottor Emil Oprecht, ilfondatore dell’Europa Verlag a Zu-rigo. Scrittori in esilio che improv-visamente si erano trovati nei guai,in lui avevano sempre trovato ri-fugio, comprensione e incoraggia-mento. Opi e sua moglie Emmieerano figure leggendarie, non soloin quanto editori coraggiosi, ma

anche come filantropi. Quanti ri-fugiati, grazie a loro, avevano tro-vato la strada verso la libertà,quanti bambini avevano mangiatoalla loro tavola e avevano trovatouna casa presso di loro, durante edopo la guerra, era un segreto cu-stodito gelosamente. La conferenzadegli animali sarebbe stata in buonemani. Fortunatamente in manoavevamo un abbozzo del libro.Erich Kaestner stava iniziando ascriverlo proprio in quel momento.Con una miscela di serietà e ironia,introducendo le caratteristiche ani-mali negli esseri umani e quelleumane negli animali, diede a Laconferenza degli animali il tono iro-nico e commovente che le illustra-zioni realizzate da Walter Trierseppero comunicare con una spe-ciale magia. Il libro fu pubblicatoin molte lingue, dall’ebraico algiapponese. Forse molti uominiconservano tuttora nel cuore il suo

lieto fine”.È la prima risposta al grande vuotolasciato dalla guerra e il primo se-gno di una ripresa culturale cheavrebbe portato la Germania fra iprotagonisti nel mondo dell’edu-cazione e della cultura.Oggi le idee della Lepman hannocontribuito a realizzare i principalicentri di ricerca sulla letteraturaper l’infanzia, i più autorevoli pre-mi letterari per la gioventù, la Bi-blioteca internazionale per la gio-ventù di Monaco di Baviera, fre-quentata da decine di migliaia dibambini da tutto il mondo e neicui immensi sotterranei blindati siconservano centinaia di migliaiadi libri editi in tutto il mondo.Secondo i suoi insegnamenti ibambini devono intrattenere unrapporto autonomo con le loro bi-blioteche, raggiungerle se possibilein autonomia, compiere le loro li-bere scelte di lettura e di cono-scenza.Ma soprattutto hanno affermatosaldamente il principio che nonc’è futuro, né speranza di progres-so, senza la cultura. Hanno datovita alle parole del testamento spi-rituale del teologo luterano martireantinazista Dietrich Bonhoefferche ora accolgono i visitatori dellaBiblioteca internazionale da lei co-struita: “Non c’è via che conducaalla pace, lungo il cammino dellasicurezza. La pace è una meta cheimpone il rischio di una conqui-sta”.

g.v.

autonomia. Ma non basta, e le at-

tività collaterali legate al mondo

della lettura e della diffusione cul-

turale non si contano in un pro-

gramma che fa della Biblioteca

non solo il più importante centro

di raccolta al mondo di letteratu-

ra infantile, ma anche un impor-

tante centro culturale al servizio

della città, della regione e delle

organizzazioni internazionali. Do-

po il quarto compleanno i piccoli

utenti sono invitati a raggiungere

i gruppi di lettura collettiva “Bu-

chertreff”, dai dieci anni in poi

trovano a disposizione laboratori

di ogni genere, ma anche tutte le

attrezzature e l’assistenza tecnica

per realizzare un film a partire

dalla propria esperienza di lettu-

ra. Sempre nelle grandi ali del ca-

stello che sono aperte al pubblico

anche le diverse mostre tempora-

nee. Una decina di allestimenti,

dedicati a temi generali o a speci-

fici autori, è costantemente in gi-

ro per il mondo, molte altre mo-

stre si trovano a Blutenburg e rap-

presentano una testimonianza

senza pari. Fino alla fine di luglio,

per esempio, è possibile entrare

nel mondo dei personaggi imma-

ginari del britannico Chris Riddell

e gli stessi autori sono chiamati a

partecipare con un contributo di

idee, di documenti e di lavoro a

un’esperienza che non si deve mai

tradurre nella semplice esposizio-

ne di materiali inerti. Accanto al-

l’esperienza folgorante delle mo-

stre temporanee, alcune sale sono

permanentemente dedicate ai

grandi autori della letteratura per

l’infanzia che hanno contribuito la

biblioteca a divenire questo pia-

neta straordinario. Un’ala ospita

quello che fu lo studio di

Erich Kaestner, che fu a

fianco di Jella Lepman ne-

gli anni difficili degli inizi.

Uno spazio ricco di riferi-

menti, oggetti e docu-

menti preziosi che con-

sentono di capire meglio

il suo lavoro, ma anche di

riscoprire un grande protagonista

della letteratura tedesca che scris-

se pagine decisive nella lotta cul-

turale alla dittatura e che i roghi

nazisti non riuscirono a far tacere.

Seguono gli spazi dedicati all’au-

tore de La storia infinita, Michael

Ende, la torretta che si erge come

un faro solitario dove abita lo spi-

rito dello scrittore dei mari del

Nord James Kruss, la soffitta in-

cantevole e commovente donata

dalla grande artista berlinese Bi-

nette Schroeder perché la sua

opera trovasse un sicuro rifugio.

A ogni passo si sprofonda in nuovi

sogni, ma si misura anche

l’immenso lavoro che gli

autori del dopoguerra

hanno dedicato alla co-

struzione di un’Europa

migliore e di un’infanzia

più serena. Uscire dal ca-

stello dei libri provoca

poi qualche dolore. Lo

stesso male che fa diventare gran-

di in un mondo talvolta ostile e

incomprensibile, in cui non sem-

pre i sogni hanno diritto di citta-

dinanza, ma che solo i sognatori

potranno trarre in salvo.

/ P21

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

SCHLOSS BLUTENBURGu È dal 1983 che la Internaionale

Jugendbibliothek - la

lnternational Youth Library

fondata da Jella Lepman - occupa

gli affascinanti spazi del castello

di Blutenburg. Il complesso

storico, che risale al XV secolo,

aggiunge alla enorme collezione

della biblioteca il fascino di spazi

collegati da passaggi e scale

degni di un racconto incantato.

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WEEKEND DEIGIOVANI LETTORI

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/ P23pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

OPINIONI A CONFRONTO

Si potrebbe discutere a lungodell’apparente successo di GiorgioBassani, un successo letterario chenon ha suscitato mai entusiasmi,osteggiato dalla critica, premiatodal cinema, ma guardato con diffi-denza da molti. Alla fine un uomosolo. Uno dei motivi di questa so-litudine credo discenda dal fattoche Bassani ha avuto il raro pre-gio di porre il problema del“prima” rispetto al “dopo”. Con“prima” intendo il fatto che granparte della sua scrittura sembraattenta alle premesse di ciò che siaggira intorno al 1938-1943. LeCinque storie ferraresi con cuivince il Premio Strega nel 1956(ma con un’eccezione che è moltosignificativa rappresentata da Lalapide in Via Mazzini); Il Giar-dino, ovviamente. Tutta la suascrittura sembra fermarsi sulla so-glia. Eppure a ben vedere più chela parabola della dissoluzione, aGiorgio Bassani, secondo me, nonappassionava di meno, l’inquietu-dine del dopo. Un dopo che sem-bra solo accennato (come in Unanotte del ’43, o nel prologo delGiardino, dove la voce del narra-tore spiega il senso di quel mondoeclissato), ma che rappresenta unvero problema, emozionale, men-tale, culturale non solo per i so-pravvissuti, ma anche per lasocietà che si muove con e intornoad essi. È il nodo al centro delleventi pagine de La lapide in ViaMazzini, che affronta il problemadi come ci si misuri con la discon-tinuità del “dopo” e perciò a met-tere in discussione il modo in cuisi fa i conti col “prima”. La lapidein Via Mazzini è forse il raccontopiù imbarazzante scritto sul ri-torno dai campi. Il tema è quellodel “ritorno a casa”, non già dellemolte peripezie per ritornare,come narra Primo Levi ne La tre-gua, ma connettendolo, anzi me-glio leggendolo con quellodell’accoglienza, o della sorpresada parte degli altri di trovarsi difonte a un sopravvissuto, fino aguardarlo come uno spettro, unvero e proprio “revenent”, co-munque una figura non prevista e

se reale da rimuovere. E dunquedell’incapacità o anche della nonvolontà a “prendere le misure”con l’imprevisto. Perché i perse-guitati, se vivi, sono solo imbaraz-zanti. Solo se morti sono degni dirispetto. La storia è presto detta: Ilprotagonista, Geo Josz, torna aFerrara dopo essere stato prigio-niero, Tutta la sua famiglia è statasterminata e torna verso la sina-goga, l’unico luogo che sente suo.La sua casa è occupata da altri.Ma davanti alla sinagoga trovauna lapide, con tutti i nomi deideportati, tra questi anche il suo.Rimuovere quel nome, o fare inmodo che la città lo accolga, riam-mettendolo tra i vivi, sarà impresapressoché impossibile e dunquealla fine, all’ex deportato, non ri-marrà altro che fare il deportatoforever, rindossando i vestiti delcampo e dunque entrando definiti-vamente nella parte in commedia

che la retorica della celebrazionegli affida, l’unica in cui è dispostaa riconoscergli una personalità:quella del perseguitato. Sottrarsi,anche semplicemente ricompa-

rendo in scena, non è possibile.L’unica alternativa diventa allorascomparire per davvero lasciandodietro di sé un giudizio condivisosulla sua follia. Folle perché pre-

tendeva di sottrarsi al ruolo asse-gnato (gesto che peraltro non gliconsentirà di essere riammessonella lapide in ricordo). Raccontocaustico, forse come pochi altri,sarcastico, caricato di una forzaamara, tagliente, più che di sem-plice ironia. Di quel racconto, ap-parentemente distonico con ilresto, o forse “apparentemente ar-monico” proprio perché risolto conla dinamica non della cronaca, macon la logica dell’assurdo, forsenon sarebbe male parlare separata-mente in quest’anno. Per parlaredi noi, attraverso lui. E inoltre:per non parlare solo di memoria,ma anche di come ci si misura conla storia, come già richiamavaanni fa Frediano Sessi. Ovverocome quella storia si sia fondatasull’indifferenza morale, e l’abbiaa sua volta prodotta. In altre pa-role di come, apparentemente informa paradossale, ma reale, quellastessa indifferenza si accrediti, aevento fattuale chiuso, come il mo-tore della ricostruzione.

La strage di Charlie Hebdo è solola provvisoria conclusione di unprocesso di annullamento violentodella libertà di espressione che èstata un caposaldo della democra-zia occidentale. Questo è, in breve,il succo del libro di Giulio MeottiHanno ucciso Charlie Hebdo. Ilterrorismo e la resa dell’Occi-dente. La libertà di espressione èfinita (Lindau). Infatti, Meottinon si limita a stigmatizzare laviolenza islamista contro le libertàoccidentali, ma risale alla mede-sima violenza attuata dalle Bri-gate Rosse e dai regimi comunisti.C’è una continuità di violenzache, pur riferendosi alla religioneo all’ideologia politica o ad ambe-due, porta alle stesse conclu-sioni: il terrorismo comestrumento di lotta politicaper annichilire l’avversa-rio sul piano della sua li-bertà di esprimere leproprie opinioni e, quindi,di vivere in una società li-bera. Lenin docet. Giusta-mente, Meotti inizia il

suo libro ricordando come nelcovo delle Brigate Rosse che ucci-sero Carlo Casalegno furono rin-venuti numerosi ritagli digiornale con i suoi articoli. Ecco:Casalegno non doveva scriverequegli articoli, perciò doveva mo-rire. Allo stesso modo la libertà diespressione fu ferocemente perse-guitata nei regimi comunisti. Lalista è sterminata. Boris Paster-nak, Varlam Šalamov, MichailBulgakov, Vasilij Grossman,Anna Achmatova, Osip Mandel’-stam furono perseguitati, tortu-rati, deportati. Ma si tratta solo dialcuni nomi tra i tanti. E la con-danna a morte di Salman Ru-shdie, per opera dell’Irankhomeinista, in che cosa si distin-gue dalle condanne a morte permano comunista? Gli stessi stru-menti e lo stesso fine: abbattere lalibertà di espressione. È questo ilgiusto punto di partenza dell’ana-lisi di Meotti. A rinforzare l’odio

islamista verso la liberà di espres-sione contribuì, scrive Meotti, ilfatto che “i giornalisti di CharlieHebdo furono abbandonati a unaminaccia crescente, progressiva,prevedibile, che il coraggio da solonon era sufficiente ad abbattere”(p. 21). Così, l’ipocrisia, il confor-mismo, la vigliaccheria dell’Occi-dente sta favorendo l’assaltoislamista alle nostre libertà, comelo spaventoso caso di CharlieHebdo ha dimostrato con terribileevidenza. Ma, la cosa più vergo-gnosa è stata la successiva presadi distanza di molti intellettuali eorgani di stampa occidentali neiconfronti della condanna senzaappello della strage di Parigi. Insostanza, se il terrorismo islami-sta fa parte a tutti gli effetti diuna ideologia sterminatrice neiconfronti dell’Occidente, ingiusti-ficabile moralmente è la giustifica-zione esplicita o a mezza boccaoperata da parte di alcuni intellet-tuali e maître à penser del nostro

mondo,molti dei

quali, orfani inconsolabili del co-munismo salvatore, sposano ogiustificano tutto ciò che possa so-stituirlo nell’abbattimento del li-beralismo e del capitalismo. Ilmassimo dell’ipocrisia è nella di-chiarazione di Mary-Kay Wil-mers, direttrice della LondonReview of Books: “Credo nel di-ritto a non essere uccisa per qual-cosa che ho detto, ma io non credodi avere il diritto di insultare chimi pare e piace”. È un ragiona-mento sciocco che si morde lacoda: la signora Mary-Kay Wil-mers ha mai visto gruppi di cri-stiani o di ebrei fanatizzati fareirruzione nella redazione di Char-lie Hebdo e tentare di massacrarnei redattori, considerato che il cri-stianesimo e l’ebraismo eranoegualmente oggetto della satiradissacrante della testata? Qui è ladifferenza, signora Mary-KayWilmers. Per non dire delle vi-gnette antisemite comparse inIran riguardo al Giorno della Me-moria. Avremmo dovuto, per rap-presaglia, fare strage dei redattori

di quei giornali iraniani?Meotti si sofferma a conside-rare la “doppia morte” diSalman Rushdie e poi l’ese-cuzione di Theo van Gogh,due casi esemplari della vio-

Il terrorismo islamista e la resa dell’Occidente

ú–– David BidussaStorico sociale delle idee

ú–– Antonio DonnoUniversità del Salento

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/ segue a P24

Facciamo del 2016 l'anno di Giorgio Bassani

GIULIO MEOTTIHANNO UCCISOCHARLIE HEBDO Lindau

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/ P24 OPINIONI A CONFRONTO

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

In questi ultimi decenni il dialogoebraico-cristiano si è infittito.Non si tratta solo di incontri adalto livello come le tre visite pa-pali alla sinagoga di Roma; cisono innumerevoli dibattiti, in-contri, confronti, letture a duevoci di testi biblici. Ma cosa ciaspettiamo noi ebrei da tutto que-sto? Per quanto riguarda il dia-logo ufficiale con la ChiesaCattolica la rispo-sta è semplice: ciaspettiamo un ri-conoscimento dellecolpe del passato,un’ammissione diresponsabilità, econtemporanea-mente auspichiamoparole forti e nonambigue control’antisemitismo ein favore del dirittodello Stato diIsraele a vivere in pace e sicu-rezza; e auspichiamo anche chealle significative parole e ai grandigesti delle massime autorità corri-sponda (come invece non sempresuccede) un cambiamento di men-talità, uno sforzo concreto per eli-minare pregiudizi ancoralargamente presenti nel mondocristiano (sia cattolico sia prote-stante) che pervadono ancora pre-potentemente i media e lamentalità comune. E talvolta (maspesso con scarsi risultati) ciaspettiamo una rinuncia all’impo-sizione forzata di simboli cristianinei luoghi pubblici e il contestualericonoscimento del nostro ruolobimillenario all’interno della so-cietà italiana. Spesso (giusta-mente) rivendichiamoorgogliosamente il nostro diritto arimanere noi stessi: il confrontotra fedi e idee diverse non può tra-dursi in un appiattimento che an-nulli le specificità. Ma noi anostra volta vogliamo semplice-mente un confronto da cui cia-scuno esce rafforzato nelle proprieconvinzioni o non abbiamo invecealmeno in parte l’intenzione diconvincere o far cambiare idea?Chiedo scusa se uso la prima per-sona plurale: naturalmente parloper me stessa, e sappiamo benis-simo che due ebrei hanno tre opi-nioni su qualunque argomento,figuriamoci poi su un tema così

delicato. Eppure ho la sensazioneche quello che sto per dire non ri-guardi soltanto me, ma rifletta unmodo di sentire ampiamente dif-fuso tra gli ebrei italiani. Par-tiamo da una sempliceconstatazione: quasi sempre i con-fronti, letture bibliche a due voci ecose simili, non mirano davvero auna maggiore conoscenza reci-proca, ma solo a una maggior co-noscenza dell’ebraismo da partedei cristiani. Non mi pare che noiebrei italiani, che viviamo immersifin dalla nascita in una societàcattolica, sentiamo un particolarebisogno di conoscere meglio il cri-stianesimo. Questa asimmetria

non dipende solo dalle proporzionidi oggi, ma anche dalla storia: daparte cristiana la curiosità versol’ebraismo non mira tanto al con-fronto con una realtà religiosa di-versa quanto alla riscoperta delleproprie stesse radici. E noi ebreiaccogliamo con piacere questa ri-scoperta che ci sembra giusta enaturale, e ci adoperiamo per fa-vorirla. Non ci ha forse fatto pia-cere, per fare un esempio tra imolti possibili, che Benigni citassefonti ebraiche nella sua analisi deidieci comandamenti? E non colti-viamo forse la segreta ambizionedi convincere gradualmente i cat-tolici ad allontanarsi da pratichecome il culto di immagini e reli-quie? Non parlo solo degli ebreiattivi nel dialogo interreligioso incontesti ufficiali, perché tutti noi -medici, avvocati, insegnanti, ecc. -siamo impegnati quotidianamentein questo genere di dialogo, vistoche ci troviamo continuamente a

dover portare un punto di vistaebraico in un contesto cristiano.Credo che nel mondo ebraico (al-meno italiano) ci sia un modo disentire diffuso, la percezione diavere qualcosa da insegnare all’in-tera società, e in particolare a unasocietà che ha le proprie radicinella Bibbia ebraica ma talvoltasembra dimenticarsene. Per esem-pio il rifiuto dell’idolatria (qua-lunque cosa si intenda con questotermine): è un tema che si ritrovain molti testi di intellettuali escrittori del secolo scorso, anchenon religiosi. Oppure l’impor-tanza del riposo settimanale: èvero che lo Shabbat è una peculia-

rità ebraica, maanche la dome-nica cristiana haavuto origine dalì, e quindi inqualche modosentiamo che èuna nostra re-sponsabilità farcapire quanto ilgiorno di ripososettimanale siaimportante equanto sarebbe

dannoso per la società abbando-narlo. Su altri temi le cose sifanno più complicate, perché nonè immediatamente evidente chi hainfluenzato chi, quali valori sianoda considerarsi specificamenteebraici e quali siano giunti al-l’ebraismo nel corso dei secoli at-traverso la convivenza con altreculture. In conclusione, se talvoltasiamo un po’ diffidenti nell’affron-tare il dialogo con il mondo cri-stiano questo dipende da secoli dipersecuzioni, da un antisemitismoche è ben lungi dall’essere un ri-cordo del passato e da posizioni avolte ambigue nei confronti delloStato di Israele. La nostra diffi-denza non dipende quasi mai – amio parere – dal timore che i cri-stiani affrontino il dialogo con loscopo di influenzarci e farci cam-biare idea: anche noi, da parte no-stra, siamo desiderosi non solo difarci conoscere ma spesso anche diinsegnare e convincere.

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Una retorica senza sbocco

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche ItalianeRegistrazione al Tribunale di Roma numero 218/2009 – Codice ISSN 2037-1543

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I disegni nelle pagine delle interviste sono di Giorgio Albertini.

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“PAGINE EBRAICHE” É STAMPATO SU CARTA PRODOTTA CON IL 100 % DI CARTA DA MACERO SENZA USO DI CLORO E DI IMBIANCANTI OTTICI. QUESTO TIPO DI CARTA È STATA FREGIATA CON IL MARCHIO “ECOLABEL”, CHE L’ UNIONE EUROPEA RILASCIA AI PRODOTTI “AMICI DELL’AMBIENTE”, PERCHÈ REALIZZATA CON BASSO CONSUMO ENERGETICO E CON MINIMO INQUINAMENTO DI ARIA E ACQUA. IL MINISTERO DELL’AMBIENTE TEDESCO HA CONFERITO IL MARCHIO “DER BLAUE ENGEL” PER L’ALTO LIVELLO DI ECOSOSTENIBILITÀ, PROTEZIONE DELL’AMBIENTE E STANDARD DI SICUREZZA.

ú–– Francesco Moises Bassano

Maurizio Crozza, in una sua copertina a DiMartedì, in riferimento ai recentiattentati di Bruxelles, ha esordito sostenendo che “siamo in guerra, un po'attacca uno un po' attacca l'altro, noi attacchiamo con i droni, loro con itrolley”. La reazione del politologo Edward Luttwak, presente in studio, nonsi è fatta attendere: “Crozza fa l'equivalenza tra i terroristi e i piloti americani”.Crozza del resto – il quale quando si limita a descrivere lo scenario politicoitaliano risulta anche piacevole – non ha fatto altro che esprimere la voxpopuli: il terrorismo islamico non è altro che la risposta, o la resistenza, al-l'imperialismo perpetrato dall'Occidente verso il resto del mondo. Certo èinnegabile che ogni intervento militare ha ragioni strategiche ed economicheche oltrepassano quelle umanitarie, che la guerra in Iraq voluta da GeorgeBush è stata disastrosa e ha complicato ulteriormente i precari equilibri dellaregione e che “l'esportazione della democrazia” è un nonsense rivelatosi findall'inizio fallimentare. Ma ridurre l'integralismo islamico alla retorica “ter-zomondista” è una banalizzazione e a tratti una legittimazione che non tieneconto della storicità e della complessità di un fenomeno che in fondo siavvale di giovani martiri nati in Europa e miete vittime anche nei paesi isla-mici, dove in origine è nato più realisticamente come riscontro o riflesso aun'idea di modernità. Luttwak nella stessa trasmissione ha detto ironicamenteche “nei paesi arabi qualunque problema viene addossato agli americani”.Questa attribuzione e rimbalzo delle responsabilità conduce effettivamentea un gioco senza sbocco, comune in numerosi dibattiti, che non porterà maia una reale presa di coscienza: il problema dell'Europa è l'Islam, la nostracrisi è dovuta all'Europa, la criminalità è dovuta alla presenza e al mancatorispetto delle leggi da parte degli stranieri, i problemi del Nord sono dovutiall'inefficienza del Sud, i problemi del Sud sono dovuti allo sfruttamento delNord, e via dicendo all'infinito. Forse tornando a quel “siamo in guerra”, sa-rebbe più doveroso e intelligente chiedersi perché ci destiamo dal torporee siamo in guerra soltanto quando attaccano i nostri centri nevralgici, e nonquando, esplodono bombe a Tel Aviv, a Baghdad, ad Ankara, a Tunisi, nelCentro Africa, o quando il Daesh compie nuove stragi e uccisioni, o laTurchia bombarda e assedia i villaggi curdi nel proprio sud-est.

Loro, noi e il futuro del Dialogoú–– Anna Segre

docente

lenza islamista, ma soprattuttodella “doppia morale” dell’Occi-dente. Scrittori, registi sono do-vuti scendere nel silenzio, nellamorte civile, per non incappare inconseguenze spiacevoli: “Eppurec’è chi chiede di essere più pru-denti, di non provocare, di abban-

donare l’arte blasfema” (p. 101),scrive Meotti. E gli ebrei non do-vrebbero andare in giro con isegni di riconoscimento ebraici,come ultimamente alcuni rabbinifrancesi hanno raccomandato. È laresa. “Benvenuto all’inferno, gen-tile lettore” scrive Renaud Camusnella prefazione del libro. È pro-prio così.

DONNO da P23 /

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ú–– Anna Momigliano

Non è un mistero che, sebbene

appartengano allo stesso partito,

il primo ministro Benjamin Neta-

nyahu e il presidente Reuven Ri-

vlin non vadano molto d’accordo.

Su una cosa però i due leader di

Israele sono più che d’accordo:

Gerusalemme ha bisogno di Pu-

tin, ora più che mai. Rivlin ha vi-

sitato Mosca a marzo, Netanyahu

ha spesso parlato con Putin, re-

centemente, riportava il giorna-

lista Ben Caspit, solitamente be-

ne informato sulle questioni di-

plomatiche e di sicurezza: l’obiet-

tivo è trovare in Putin, se non

proprio un alleato, un partner

strategico su alcune questioni di

sicurezza. Tra queste, natural-

mente, Hezbollah. La milizia scii-

ta libanese, coinvolta nella guer-

ra civile siriana, è sostenuta so-

prattutto all’Iran. Teheran e Mo-

sca, a loro volta, sono alleati in

Siria, dove entrambi sostengono

Assad. Israele vorrebbe convin-

cere i russi a prendere le distan-

ze dagli ayatollah, o, se non al-

tro, a fare tutto il possibile per-

ché il sostegno del Cremlino a Te-

heran non si traduca in un raf-

forzamento di Hezbollah. Vuole

anche che Putin garantisca che

Israele non si troverà con Hez-

bollah sul confine con la Siria (sul

confine libanese, purtroppo, Hez-

bollah c’è già). Per mantenere

buone le relazioni con Mosca, Ge-

rusalemme è anche stata dispo-

nibile a sacrificare quelle con An-

kara, facendo saltare una visita

di conciliazione. Dal canto suo,

Putin garantisce che le armi rus-

se passate all’Iran non finiscono

nelle mani di Hezbollah. La stam-

pa pro-Cremlino ha anche diffuso

la notizia secondo cui Mosca

avrebbe bloccato il trasferimen-

to dei suoi missili agli iraniani

proprio per evitare che finissero

ad Hezbollah. Quanto Israele pos-

sa fidarsi veramente di Putin re-

sta tutto da dimostrare: Rivlin e

Netanyahu questo probabilmen-

te lo tengono in conto. Ma, al

contempo, sono convinti di non

avere alternative.

“Il terrorismo è il terrorismo, la vitaè vita, il sangue è sangue, che siaa Istanbul, a Bruxelles, a Parigi o aGerusalemme. Dobbiamo affron-tare insieme la lotta contro questoterribile male”. Potrà la minacciaterroristica riavvicinare i rapportitra Israele e Turchia? Le parole diReuven Rivlin, presidente dello Sta-to ebraico, al presidente Recep Er-dogan in una telefonata avvenutatra i due a pochi giorni dall’atten-tato del 19 marzo scorso a Istanbullasciano intravedere uno spiraglio.Erdogan, in passato autore di ferocicritiche contro Israele, ha telefonatoa Rivlin per esprimere le propriecondoglianze per le vittime israe-liane. Da tre anni il presidente turconon aveva un contatto con un lea-der israeliano: l’ultimo a parlarciera stato Benjamin Netanyahu. Inquell’occasione il Premier si scusòper l’incidente sulla Mavi Marmarain cui, in uno scontro con le forzedi sicurezza di Tsahal, morirononove militanti turchi. Si tratta delfamoso caso della Freedom Flotilla

– la piccola flotta di navi che nel2010 cercò di forzare il blocco na-vale imposto su Gaza – e da qui siaprì la crisi tra i due Paesi, un tem-po stretti alleati. La strada diplo-

matica, almeno pubblicamente, cheportava da Ankara a Gerusalemmefu interrotta e ora, con il MedioOriente in frantumi sotto il pesodell’Isis e della guerra siriana, sem-

bra essersi riaperta. In realtà a fareda ponte tra i due paesi, più che laminaccia terroristica, sembra esserel’economia. Il commercio bilateraleturco-israeliano è quasi raddoppiato

negli ultimi anni – nonostante il ge-lo diplomatico - passando dai 3 mi-liardi di dollari del 2010 ai 5,6 mi-liardi del 2014. E in questo quadrosi inserisce un’operazione che in-teressa sia Gerusalemme sia Anka-ra: la fornitura di gas. La Turchiacompra il 55 per cento del gas peril suo fabbisogno dalla Russia mai due paesi sono in rotta e Moscaha più volte usato l’energia comearma di ritorsione. Per questo il gia-cimento israeliano Leviathan, an-che vista la sua vicinanza alle costeturche, sembra un’ottima alternativaagli occhi di Erdogan. Per Israele,i turchi rappresentano degli ottimiacquirenti, non solo per la fornituradiretta ma anche per la possibilitàdi creare attraverso l’Anatolia ungasdotto che sbocchi poi in Europae apra quindi a Gerusalemme ilmercato energetico del VecchioContinente. Progetti a medio-lungotermine che potenzialmente po-trebbero garantire un minimo distabilità a un’area, quella medio-rientale, in dissesto.

ECONOMIA / ERETZ / P25

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

IL COMMENTO IL SISTEMA ECONOMICO DEL TORMENTO

CLAUDIO VERCELLI

Nel tormentato, deprimente senon ossessionante quadro che si èdelineato oramai da diversotempo in Medio Oriente, come inparte del Mediterraneo, i conflittiarmati in corso, così come le sol-levazioni popolari della “prima-vera araba”, sono il prodotto dimolteplici fattori. Di certo unodegli elementi di maggiore inci-denza, al di là degli aspetti poli-tici, sono le carenze strutturaliche hanno prodotto prestazionieconomiche negative, un sistemadi crescita e sviluppo non solo in-sufficiente ma intrinsecamente

iniquo, una governance priva ditrasparenza, politicamente defici-taria, perennemente racchiusadentro i medesimi centri di po-tere. Nel momento in cui il nota-bilato al governo ha manifestatocrepe, l’intera struttura è primadeclinata e poi crollata, quantomeno nelle società più deboli. Unfattore a forte incidenza è, adesempio, la pressione demogra-fica. La popolazione dell’area me-ridionale e orientale delMediterraneo è cresciuta a untasso medio del 2,3% negli ultimitrent’anni. Il trend si è un pocosmorzato dopo il 2010 ma l’inci-denza negativa sulla mancata

crescita della ricchezza pro capitesi somma ad una media demogra-fica giovane se non giovanissima(il 65% dei cittadini ha meno di30 anni) che preme su mercati dellavoro già di per sé asfittici, daiquali derivano alti tassi di disoc-cupazione così come rilevantiflussi migratori. Non di meno iregimi mediorientali rivelanogravissime carenze in materia fi-scale (assenza di un accettabile li-vello di Welfare, elefantiacicircuiti di sovvenzione ai prezzidei beni primari, sovradimensio-namento della spesa per un’ineffi-ciente pubblica amministrazione,mancata uniformità dei regimi di

tassazione, discrezionalità del-l’azione amministrativa), unosquilibrio incolmabile tra i si-stemi d’istruzione e le capacitàrecettive dei mercati, un basso li-vello di integrazione interregio-nale tra le economie d’area,rilevanti discrepanze e difformitànei sistemi legislativi, sistemi fi-nanziari orientati al sostegnodelle autorità governative e nonal circuito privato, in particolarequello delle piccole e medie im-prese che sarebbe invece strate-gico. La lista è lunghissima e nonfinisce qui, contemplando ancheun grado assolutamente insuffi-ciente di differenziazione econo-

mica in paesi propensi perlopiùalle monoproduzioni, l’eccessivosviluppo dell’economia informale,sommersa, grigia e in nero. In re-altà, un quadretto così poco edifi-cante era noto da molto tempo. Laquestione, posticipata a tempo in-determinato, invero con scarsosenso della realtà, era quella diporre qualche rimedio prima chele cose potessero precipitare. Nonlo si è fatto, vuoi per le resistenzedei gruppi di potere, vuoi per cal-colo d’interesse da parte di chi haosservato senza reagire. Ciò cheda adesso in poi potrà essere lodirà solo il tempo, che volge tut-tavia all’oscurità.

Energia, la nuova intesa con Ankara

In due al tavolo con Putin

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraicheECONOMIA / ERETZ

GlassesOff, l’app per dimenticare gli occhialiú–– Michael Sierra

Aiutare quanti soffrono di presbio-pia a mettere meglio a fuoco i ca-ratteri e a usare meno gli occhiali?Oggi è possibile grazie all’applica-zione israeliana GlassesOff che lan-cia una sua nuova versione sulmercato. Sviluppata in Israele, ilpaese con il maggior numero distartup pro capite al mondo, Glas-sesOff è fra le più promettentidell’ultimo quinquennio. Si trattadi una rivoluzionaria applicazioneche permette di eliminare la dipen-denza dagli occhiali da lettura oltreche migliorare altri parametri legatialla vista come il tempo di reazioneagli stimoli, messa a fuoco, nitidez-za delle immagini, riduzioni di maldi testa e riduzione di sensazionedi affaticamento dell’occhio. Sonoin molti ad essersi interessati a que-sta tecnologia, tra cui squadre spor-tive ma anche l’areonautica israe-liana. L’applicazione è disponibileal download gratuitamente sull’AppStore e sul Play Store, e offre untest della vista per predire i beneficiche l’app stessa è in grado di ap-portare. Dodici minuti, il tempodegli esercizi che GlassesOff sug-gerisce, da realizzare per tre voltea settimana e nell’arco di due mesil’occhio riacquisterà la capacità dileggere e focalizzare immagini abreve distanza. GlassesOff sfruttatecnologie sviluppate dal neuroscienziato della Tel Aviv University,Uri Polat. Il principio alla basedell’applicazione è semplice: pro-prio come la qualità delle immaginiscattate da una macchina fotogra-fica dipende da due fattori – la len-te e il processore dell’immagine–

similmente la nostra visione dipen-de da due fattori, l’occhio e il cer-vello. GlasseOff migliora l’elabora-zione cerebrale dell’immagine e ga-rantisce in media un ringiovani-mento dell’occhio di 8,6 anni. L’ap-plicazione ha ricevuto diversi rico-noscimenti in riviste specialistichedi oculistica a livello internazionaleed è stata testata con successo neilaboratori dell’Università di Berke-ley della California. GlassesOff hai propri uffici a Tel Aviv dove at-tualmente lavora Samuel Raccah,un giovane ebreo romano 23enne.Laureato a Roma in ingegneria ge-stionale, Samuel ha deciso di in-

traprendere la propria carriera la-vorativa in Israele. Ispirato dagliideali del sionismo e dal desideriodi inseguire l’Israeli Dream, Samueloggi fa eco a molti giovani ebreiche abbandonano l’Italia per sta-bilirsi in Israele. Abbiamo visitatola startup, dove abbiamo incontratoSamuel e il suo CEO, Nimrod Ma-dar.

Presidente Madar, qual è il contri-

buto di un giovane italiano come

Samuel nella vostra azienda?

Una delle cose fondamentali nellanostra azienda è il team working.Non si tratta di semplice collabo-

razione ma di un vero impegno elavoro di squadra di tutti i dipen-denti. Abbiamo persone di paesidiversi, come Samuel, e questo aiu-ta molto perché rispecchia la na-tura globale del nostro mercato.

Quali sono i competitors e quali gli

investitori di GlassesOff?

GlassesOff ha ricevuto finanzia-menti in diversi round, attualmenteil contributo totale si aggira attornoai 15 milioni di dollari. I soldi sonostati spesi quasi interamente per laprima fase di ricerca e sviluppo,per affinare l’algoritmo e perfezio-nare la tecnologia. Gli investitoriprovengono da diversi nazioni:israeliani, europei, americani. Sonoarrivati investimenti anche da isti-tuzioni e dei centri ricerca. OggiGlassesOff è una “publicly tradedcompany” al New York Stock Ex-change. Sul fronte dei rivali... nonne abbiamo. La nostra tecnologiaè protetta da diversi brevetti e pro-prietà intellettuali e siamo unici sulmercato.

Samuel, qual è il tuo ruolo nella

startup? di cosa ti occupi? Io sono un business analyst, mi oc-cupo di tutte le decisioni strategi-che di GlassesOff: dalla pricingstrategy, alla segmentation, alleprevisioni finanziarie, fino alla go-tomarket strategy. Il mio ruolo mipermette di intervenire su diversifronti e contribuire a tutte le divi-sioni funzionali dell’azienda. Èun’aspetto che amo moltissimo del-le startup: il dinanismo e la possi-bilità di lavorare su diverse aree dicompetenza.

(la versione integrale dell’intervista su www.moked.it)

Quando nel 2013 l’applicazioneWaze era stata venduta dai fon-datori israeliani al colosso Googleper oltre un miliardo di dollari,la reazione dei commentatori erastata ambivalente: da un latol’orgoglio per avere creato dalnulla un “gioiello” di inestima-bile valore commerciale, dall’al-tro il dispiacere per l’ennesima“uscita precoce” (exit) di im-prenditori israeliani dalle loroaziende nel settore high tech: inaltre parole, fino a pochi anni fa

il “nanismo” del settore hightech israeliano e l’assenza di“campioni nazionali” (comeNokia in Finlandia) era motivodi preoccupazione, soprattuttoperché il nanismo impedisce aIsraele di beneficiare di ricaduteeconomiche e occupazionali chetali campioni portano con sé,grazie soprattutto all’indotto.Ma alcuni segnali fanno pensareche forse il settore high techisraeliano non è più condannatoal nanismo. Come evidenziato direcente da una approfondita in-chiesta del Financial Times, cisono attualmente almeno 6 so-cietà high tech israeliane, dimedia dimensione, i cui proprie-tari puntano a crescere e non

sono alla ricerca di acquirenti.Una di queste è Vonetize, cheoffre (come il gigante Netflix)video e film “on demand” inAmerica latina, Africa e altripaesi emergenti e si sta per quo-tare in borsa; un’altra è Perion,un gruppo che si occupa di pub-blicità digitale, quotato al Na-sdaq e che nel 2015 haconseguito ricavi per 300 mi-lioni di dollari, con 660 dipen-denti; Check Point è forse la piùimportante azienda di questoelenco, fondata da veterani del-l’intelligence militare israeliana:è stata pioniera nel settore dei fi-rewall (sistemi di protezione deicomputer aziendali e domestici)e della sicurezza informatica, è

quotata al Nasdaq e la sua capi-talizzazione di mercato è di ben14 miliardi di dollari; Mobileye èspecializzata nei sistemi di loco-mozione basati su telecamere (leautomobili che si “guidano dasole”) e al Nasdaq è quotata perun valore di 8 miliardi di dol-lari; infine Cyberark e Wix.com(la prima specializzata in sicu-rezza informatica, la seconda insviluppo di siti web) sono quo-tate al Nasdaq con valori di mer-cato superiori al miliardo didollari. Ovviamente non tutte leciambelle vengono col buco:negli ultimi anni due importantisocietà del settore high tech sonofallite, una è Modu (specializ-zata in cellulari ultraleggeri),

l’altra è Betterplace, specializ-zata in infrastruttura per auto-vetture elettriche. Ma questiinsuccessi non scoraggiano gliimprenditori israeliani, che ca-valcano l’onda della crescitaesponenziale della domandamondiale per applicazioni di tele-fonia mobile e per sicurezza in-formatica. Quali ostacoli possonofrapporsi alla trasformazione diqueste “magnifiche 6” in “cam-pioni nazionali”? Principal-mente due, collegate tra loro: ladifficoltà di reperire manodoperaspecializzata in Israele e le regolesevere sull’immigrazione che im-pediscono di “importare” inge-gneri informatici dall’India ealtri paesi emergenti.

ú–– Aviram Levyeconomista

Piccole start-up crescono: la fine del nanismo high tech

METROPOLI

Tel Aviv è la città “migliore ricicla-trice dell’anno”. A conferirle que-sto titolo l’organizzazione ELA Re-cycling Corporation, che dal 2001si occupa del riciclaggio di rifiutiper conto del ministero dell’Am-biente israeliano e promuove nuo-vi metodi, in particolare per il nu-mero di bottiglie riciclate pro ca-pite, che in totale nel 2015 sonoammontate a 53,5 litri. In generale,lo scorso anno si è registrato unincremento nel riciclaggio dei ri-fiuti pari al 15 percento in più ri-spetto al 2000. In totale a Tel Avivsono state riciclate 125 tonnellatedi imballaggi per famiglia, il 20 per-cento in più rispetto al resto delpaese. Nell’esprimere la sua sod-disfazione il sindaco Ron Huldai haannunciato un piano per la città“da centinaia di migliaia di shekel,per costruire il più grande e avan-zato servizio di riciclaggio del Me-dio Oriente”. Uno sforzo che coin-cide con quello del governo: il mi-nistero dell’Ambiente ha infatti an-nunciato lo stanziamento di un mi-liardo di shekel per creare un pro-gramma di riciclaggio “rivoluzio-nario”, con l’obiettivo finale di ar-rivare a riciclare il 35 percento deirifiuti complessivi del paese entroil 2020. Ma da ormai 15 anni, Israeleinveste fortemente sulle politicheambientali e in particolare sull’in-cremento del riciclaggio. È già dal2001 che esiste una legge sul vuo-to a rendere, per la quale i conte-nitori di bevande vengono vendu-te con una cauzione che viene resaal consumatore quando lo riporta.A occuparsi della raccolta dei con-tenitori e della distribuzione dellecauzioni per conto del ministeroè appunto la ELA, il cui nome de-riva da un acronimo ebraico indi-cante “Raccolta per l’ambiente”.

Riciclarepremia

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CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P27

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

pagine ebraicheu /P34SPORT

u /P35SAPORI

u /P28-29TALMUD

u /P30-31TALMUD

u /P32-33VENEZIA

“I libri sono educatori silenziosi” Jella Lepman

che, di ciò che è permesso e ciòche è proibito. Chiunque tenti diportare "Mashiach now", il Messiaadesso, e voglia farlo con sangue,fuoco e colonne di fumo, non faràche allontanarne la venuta. Un al-tro esempio è il collasso della fa-miglia, largamente dovuto a un ec-cesso di poeticità, che esalta il ro-manticismo a spese dei cogentiaspetti contrattuali del matrimonioe della paternità. In effetti il matri-monio ebraico contiene entrambigli ingredienti. Accanto alle "settebenedizioni" belle e poetiche, c'èanche una Ketubah, un contrattolegale piuttosto prosaico che defi-nisce gli obblighi di entrambe leparti. Nell'ebraismo queste due"lingue" vengono chiamate Hala-khah e Aggadà. La Halakhah de-finisce e determina giusto e sba-gliato, permesso e proibito in ogniambito della nostra vita, delle no-stre ideologie, delle nostre inten-zioni e delle nostre azioni. Accantoalla Halakhah c'è il mondo dellaAggadà. Quando si passa a parlaredi contenuti, non vi è contraddi-zione fra questi due mondi. Al con-trario: il contenuto è lo stesso. Èsolo il linguaggio usato ad esserediverso. Nessuno chiederà al Si-gnore abbondanza secondo la mi-sura stabilita, per dire, dal HazonIsh, esattamente come nessuno im-boccando il figlio gli dirà "apri labocca di ulteriori 1,5 cm". Non perché Dio non ascolterebbeo perché il figlio non capirebbe,bensì perché questo non è il modoin cui una persona si rivolge a Dioné quello in cui parla a un bambi-no. Sarebbe bene che i leader re-ligiosi in tutto il mondo tenesseroa freno la vena poetica dei loro ser-moni, dato che questa apre flussiincontrollabili e rischia di diventaredavvero distruttiva.E invece che un flebile belato oc-casionale, che i leader religiosi isla-mici affermino con veemenza chevi sono leggi nell'Islam e che gliestremisti in mezzo a loro le stannoinfrangendo.

(versione italiana di Michael Ascoli)

ziose a proposito di argomenti diestrema importanza non sono sol-tanto vaghi sui fatti. Spesso nontengono per niente ai fatti, piutto-sto li dimenticano o perfino li cal-pestano. Allorché questi fenomeniraggiungono proporzioni univer-sali, la situazione può diventare an-cor più pericolosa. Le grandi guer-re dei nostri tempi non sono piùcombattute per il territorio o peril bottino; piuttosto sono guerre disogni e poeticità ed è proprio que-sto a renderle così terribili: esse sisvolgono in un mondo che operasecondo regole che non possonoadattarsi a quelle del linguaggio deisogni, in un mondo incapace di cu-rarsi di tutte le grandi e magnificheintenzioni che gli esseri umani han-no. Un esempio saliente è lo statoislamico, l'Isis. Nell'Islam tradizio-nale, le regole religiose hanno unruolo centrale. Ad esempio, la leg-ge religiosa islamica definisce mol-to chiaramente non solo ciò che èpermesso nella Jihad ma anche ciòche vi è proibito, come colpiredonne e bambini. L'estremismoislamico, tuttavia, prende idee chesi trovano nei libri religiosi islamici,le sradica da ogni tipo di definizio-ne e limitazione, poiché a nessunointeressa più cosa disse Maometto,cosa è scritto nel Corano o qualidavvero siano le norme religiose.Gli estremisti non necessariamentesono intrinsecamente malvagi. Essivivono un mondo senza limiti, mo-tivati dal desiderio irrealizzabile diconquistare immediatamente l'in-tero mondo. Quando le leggi dellapoesia vengono forzate nella realtà,in amore come in guerra o in ognialtro ambito, tutto viene calpestato,ogni ordine viene infranto, si veri-

ficano violenza e distruzione espargimento di sangue, di moltosangue. Questo fenomeno è evi-dente in molti luoghi, tempi e am-biti. La storia ci racconta di nazioniche hanno avuto grandi sogni iquali hanno poi finito per causaregrandi sofferenze e tormenti. Larivoluzione comunista, tanto percitare un esempio, si basava su al-cune idee grandi e meravigliose:costruire una società nella qualeogni cittadino ricevesse esattamen-te ciò di cui ha bisogno e potessesviluppare il proprio potenziale almassimo. Tuttavia, nessuno pensòsufficientemente alla reale fattibilitàdi queste idee o quanto queste sa-rebbero costate, non solo econo-micamente, ma anche in terminidi dolore e sofferenza. Un altro esempio è l'aspirazioneeuropea e americana a democra-tizzare paesi come l'Iraq o l'Afga-nistan, un lodevole intento poeticoche ha causato gran spargimentodi sangue e che è miseramente fal-lito. Se queste cose succedono an-che in Israele, è per la stessa iden-tica ragione. La santità del Tempioe del Monte del Tempio, il dirittodel popolo ebraico di regnare nellaterra di Israele, il nostro diritto auna vita in pace e sicurezza, sonotutte nozioni buone e giuste, maappartengono tutte alla sfera poe-tica. I libri dei Profeti contengonomolti versi che possono essere ci-tati e così gli Agiografi. Ma vi è an-che la Halakhah. Nella 'Amidà pre-ghiamo che il male sia sradicato,schiacciato, distrutto, e che il Tem-pio venga ricostruito. Tuttavia unavolta finito di pregare e tornandoal nostro mondo reale, vi sono del-le definizioni normative, halakhi-

ú–– rav Adin Even-Israel Steinsaltz

Al mondo si parlano molte lingue,tuttavia si possono distinguere duemodi fondamentali di discorso, dia-metralmente opposti: quello scien-tifico e quello poetico. Un modoper definire le differenze fra i dueè dire che la scienza prende in con-siderazione una miriade di feno-meni e assegna loro un nome,mentre la poesia considera un fe-nomeno e gli dà molti nomi. Il lin-guaggio scientifico è preciso e bendefinito, mentre quello poetico èaperto e sconfinato. Si può discu-tere dello stesso argomento nelledue lingue, ma le discussioni chesi svilupperanno saranno molto di-verse. Ad esempio, un uomo chevoglia elogiare la bellezza degli oc-chi della sua amata non dirà chemisurano un pollice e che il lorocolore è 1523 della scala An-gstrom. Piuttosto userà espressionicome "i tuoi occhi sono come co-lombi". Certamente una descrizio-ne meno precisa, ma che suscitaun grande piacere in chi la ascolta.Dall'altra parte, guai a chi usiespressioni poetiche per ripararescarpe o costruire un ponte: lescarpe non verranno riparate e ilponte non sarà tale. Nella vita ditutti i giorni, i due linguaggi si in-trecciano. Un poeta che vogliacomprare pane non chiederà "ciòche sostiene l'uomo" (Salmi104:15), così come uno scienziatoche voglia esprimere le proprieidee farà probabilmente ricorso adelle immagini. Ai nostri giorni, illinguaggio gioca un ruolo ancorapiù centrale. Al mondo si usa ora,direttamente o indirettamente, illinguaggio dei fatti precisi, mentrela poesia (che, incidentalmente,non sempre è alta poesia, né nellaforma né nei contenuti) viene la-sciata ai margini e utilizzata solonell'ambito ristretto della poesia insenso stretto. Tuttavia, mentre illinguaggio scientifico è divenutopiù comunemente usato, se ne sen-tono spesso le limitazioni. Infatti,quanto meraviglioso è il fatto cheil mondo sia così pieno di sogni e

di bellezza e altre cose magnifiche,e quanto è triste quando idee poe-tiche vengano forzate a rientrarenei limiti del mondo e lì seppellite.L'overdose di linguaggio scientificoha causato un senso generale di fa-tica che ha creato un desiderio,manifesto o recondito, di tornareall'altro linguaggio, al reame deidetti grandiosi, che allettano ed av-vincono. Il nostro mondo sta vi-rando verso affermazioni più emo-zionali, verso espressioni più fortied audaci. Questo linguaggio poetico non èpiù confinato a luoghi come anto-logie di poesia o sfoghi dal profon-do dell'animo. Esso invece permeail linguaggio preciso, vi coesiste enon viene differenziato da questoo definito come tale. Il linguaggiopoetico si aggrappa ad altre idee eforme di espressione e le influenza.La lingua poetica ha, tuttavia, ungrande problema: essa non ha li-miti. Può puntare a direzioni ge-nerali, esprimere aspirazioni e so-gni, ma non definisce ciò che èpermesso e ciò che è proibito, ciòche è possibile e ciò che è impos-sibile. È un linguaggio di grandiparole, in cui ciò che più importaè l'intenzione. Quando usato in di-scussioni religiose, filosofiche, per-sonali o nazionali, il linguaggiopoetico risulta spesso vago. L'aiutoai malati e ai bisognosi è un'ideagrandiosa e importante, tuttaviaqualcuno deve chiedersi: cosa esat-tamente intendiamo con ciò? Diquanti soldi si tratta? Da dove pro-verranno? Quante ulteriori tassesei disposto a pagare per sradicarela povertà? Peggio di così: molti dicoloro che esprimono nobili inten-zioni e pronunciano parole preten-

Due lingue e il vuoto che le separa Il linguaggio scientifico e quello poetico. Le differenze maanche il loro intreccio nella vita quotidiana. I veleni del fon-damentalismo e le responsabilità dei leader religiosi. È unalezione altissima quella offerta dal rav Adin Even-IsraelSteinsaltz nell'intervento tenuto dallo stesso in occasionedella serata annuale dell'Istituto israeliano per le pubbli-cazioni talmudiche svoltasi a Gerusalemme nelle scorse set-timane. Concetti e parole su cui riflettere in vista dell'arrivoa Roma del grande studioso, chiamato a presentare la primatraduzione in italiano del Talmud babilonese.

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“Il Talmud è, in un certo senso, il libro

del grande mistero del popolo ebraico.

È un libro misterioso non perché è

scritto in una lingua diversa e con uno

stile tutto suo, ma perché è un libro

unico nella letteratura mondiale. Inizia

come un’opera circoscritta nei suoi

scopi, un commentario alla Torah Ora-

le, ma presto arriva ad affrontare ogni

possibile argomento che sia rilevante

per l’umanità, ovunque si trovi”. Sono

le parole usate dal rav

Adin Steinsaltz, traduttore

e commentatore del testo

in ebraico, francese, russo

e spagnolo, per provare a

dare una definizione del

Talmud. Un’opera che nei

normali schemi però non ci

può stare. Fa domande, ma

non dà risposte; commenta, ma è cor-

redata di commenti; non inizia nem-

meno da pagina uno, che in fondo è

quello che di sicuro si sa su ogni libro

che si prende in mano. I suoi trattati,

che cominciano sempre da pagina due,

rappresentano infatti la dialettica con-

tinua tra l’uomo e il prossimo, Dio, gli

elementi della natura, ma soprattutto

del dialogo continuo e sempre aperto

delle scuole dei Maestri che compon-

gono il testo. Certo, il Talmud non si

può studiare da soli. Già a partire dalla

sua introduzione, mette subito in

guardia su questo il rabbino capo di

Roma Riccardo Di Segni, che presiede

il Progetto di traduzione italiana del

Talmud Babilonese, di cui esce per i tipi

di Giuntina il primo volume, dedicato

al trattato di Rosh haShanah. Però

questa traduzione, corredata di note

esplicative, “malgrado la sua apparen-

te complessità, offre finalmente al let-

tore di lingua italiana il livello base,

comunque imprescindibile, di com-

prensione”. La scelta del trattato

di Rosh haShanah come primo

vuole essere

“un buon au-

spicio”, ha

spiegato Di

Segni a Pagi-

ne Ebraiche.

Al suo interno viene affrontato il

tema del calendario, a partire dal-

l’apertura con la descrizione e la di-

scussione rabbinica sui diversi capo-

danni e una parte significativa dedica-

ta al capodanno più importante, ap-

punto Rosh haShanah. “Secondo i Mae-

stri – si legge in una nota esplicativa

curata da Jonatan Della Rocca – l’uomo

fu creato il primo di Tishrì, quella che

è divenuta poi la data ebraica del Ca-

podanno. Rosh haShanah ricorda quin-

di la creazione dell’uomo, un uomo la

cui dignità e la cui immagine divina de-

vono essere rispettate e difese, senza

alcuna distinzione di popolo, di reli-

gione, di cultura, contro ogni violenza,

anche quando un insegnamento erro-

neo le vorrebbe far credere espressioni

della volontà divina. Questa idea, che

è alla base dell’insegnamento anti-ido-

latria dell’ebraismo, è stata sempre la

bandiera del popolo ebraico”. Per tale

contenuto che fornisce all’uomo una

vera e propria guida per la condotta

morale, il rav Di Segni mette in guardia

quanti pensano “che si possa essere

ebrei senza tutto questo”. Al contrario,

spiega, “l’assimilazione è l’eredità di

un abbandono degli studi talmudici”.

Come esempio di una simile perdita di

valori, il rav fa quindi riferimento a

una discussione su questioni molto

tecniche, come può esserlo la forma o

la dimensione di una Sukkah, la capan-

na. “Potrebbe sembrare fuori dal mon-

do – la sua osservazione – ma in verità

costringe a mettere in moto i mecca-

nismi del pensiero e del ragionamen-

to”. Per questo, la trasmissione di

un’opera complessa e composita come

il Talmud anche attraverso una tradu-

zione italiana che può fornire da ulte-

riore strumento per districarsi tra i

suoi intrecci, costituisce un importan-

te pilastro per la cultura ebraica – ma

non solo. Il Talmud risale, nei suoi stra-

ti più antichi, a oltre duemila anni fa

e consiste nella raccolta degli insegna-

/ P28 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

Il Palagio dell’Arte della Lana si trova in un vicolo fiorentinopasseggiando nel quale sembra di ritrovarsi catapultati nelMedioevo. Ma tra le imponenti scalinate di pietra e le suestanze piene di libri antichi, oggi occupate dalla SocietàDantesca Italiana, si parla di letteratura attraverso quantodi più legato al futuro esista, e cioè la tecnologia. Il professorAndrea Bozzi, membro della Società ed ex direttore del-l’Istituto di Linguistica Computazionale “A. Zampolli”,oggi coordinatore del Comitato scientifico del Progettodi traduzione italiana del Talmud Babilonese, vi esponeinfatti a Pagine Ebraiche il funzionamento del softwarecollaborativo Traduco, ideato per facilitare, velocizzarema soprattutto migliorare l’opera di traduzione italianadel Talmud, di cui esce il primo volume dedicato al trattatodi Rosh haShanah. L’ILC è un istituto indipendente fon-dato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, che insiemeall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, alla Presidenzadel Consiglio dei Ministri e al Ministero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricerca è partner di un’intesa firmatanel 2011. Il software è un sistema complesso, perché com-plessa è l’opera che serve a tradurre, e si basa sugli studidi linguistica computazionale, che si occupa di analizzarei testi attraverso l’uso del computer, su cui si è incentrata

la carriera di Bozzi. Il qualeinizia ad addentrarsi nelsuo funzionamento spie-gandone lo scopo primario,e cioè quello di “produrrela traduzione di una collanadi volumi a stampa”. L’im-pianto tecnologico, spiega,permette di risolvere unproblema che inevitabil-mente sovviene nel mo-

mento in cui sono cinquanta persone diverse fra traduttoriesperti, traduttori in formazione, istruttori, redattori e cu-ratori, si trovano a lavorare su un testo di una vastità ecomposizione come quella del Talmud, e cioè “la diso-mogeneità interpretativa di passi molto simili, se non iden-tici”, ma anche di rendere più snello tutto il processo. Nellapratica, il sistema memorizza le traduzioni che vengonovia via registrate dai vari traduttori, in modo tale che lavolta successiva che l’espressione ricompare in un altropasso, automaticamente il traduttore che l’avrà tra le maniin quel momento visualizzerà la traduzione già inserita,naturalmente con la possibilità di migliorarla e adattarla.Ma c’è di più, perché come spiega Bozzi il software “èuna Ferrari, non un’utilitaria”. Quando è stato coinvolto

ú– IL TALMUD PARLA ITALIANOIl Progetto di traduzione del Talmud Babilonesein italiano è l’oggetto di un protocollo di intesafra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il mi-nistero dell’Istruzione, dell’università e della ri-cerca, il Consiglio nazionale delle ricerche el’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, firmatonel gennaio 2011. In quella sede è stato creato uncomitato che ha elaborato lo statuto e l’atto co-stitutivo del consorzio cui è affidato il compito direalizzare e gestire il Progetto, diretto da CleliaPiperno. A presiederlo è invece il rabbino capo diRoma Riccardo Di Segni, a capo del Consiglio diamministrazione e del Comitato di coordina-

mento. Esistono anche un Comitato d’onore, il cuipresidente è Gianni Letta e di cui fa parte anche ilrav Adin Steinsaltz, che ha curato la traduzione eil commento del Talmud in ebraico, francese,russo e spagnolo, e un Comitato scientifico, pre-sieduto dal professor Andrea Bozzi, che insiemeall’Istituto di Linguistica Computazionale del CNR,con sede a Pisa, ha elaborato il software che nonsolo permette di rendere la traduzione più rapidae di miglior qualità, ma si può adattare anche adaltri contesti linguistici. La traduzione del Tal-

mud è affidata a circa 50 studiosi, fra traduttoriesperti, traduttori in formazione, istruttori, re-dattori e curatori. Attualmente lavorano su 13trattati in contemporanea: ogni traduttore ha ri-cevuto in assegnazione uno o più capitoli. Per ilprimo volume, edito da Giuntina, ha accettato uninvito alla presentazione il 5 aprile all’Accademiadei Lincei a Roma il presidente della RepubblicaSergio Mattarella, alla presenza del ministro del-l’Istruzione Stefania Giannini e del rav Steinsaltz.Il Talmud Babilonese è stato concluso nel V se-

Il libro che apre tutti i segretiUna traduzione all’avanguardia

Al lavoro in un oceano di 5422 pagine

TALMUDBABILONESE -TRATTATO ROSHHASHANAGiuntina

da Clelia Piperno e dal rav Riccardo Di segni, Bozzi si è subitoreso conto che “era necessario fare uno sforzo in più, affinché ilprogetto andasse oltre se stesso diventando un vero e proprioprogetto di ricerca, facendo sì che l’investimento economico chevi era alla base producesse un risultato ulteriore”. Come fare? Larisposta per Bozzi, che aveva già lavorato a sistemi simili di tra-duzione dal greco antico, è stata immediata: “Trasformare il pro-getto di traduzione in una vera e propria infrastruttura per la tra-duzione di testi non per forza antichi ma di particolare difficoltàinterpretativa”. Una prospettiva che rende il Progetto Talmudunico e all’avanguardia: “Si tratta del primo modello di questogenere in Italia – osserva Bozzi – dove in molti altri casi si sonoutilizzati sistemi che non sono tuttavia così generici, poiché ognu-no di essi ambisce a risolvere un problema specifico”. Per ottenere

dunque un software che non esaurisca la sua funzione nella tra-duzione del Talmud Babilonese, è stato ideato di un modello ar-chitetturale per descrivere il quale Bozzi pone enfasi su tre ag-gettivi: modulare, flessibile, incrementabile. “Per modularità si in-tende la possibilità di prevedere una molteplicità di moduli, com-ponenti, indipendenti ciascuno dei quali è in grado di svolgereuna funzione determinata, e di aggiungerne o toglierne all’occor-renza garantendo la cooperazione tra di essi”. Questo a sua voltagarantisce la flessibilità, che “si riferisce alla riusabilità dell’appli-cazione per progetti di traduzione del Talmud in altri idiomi”. Epoi c’è l’incrementabilità, o in altre parole un vero e propriosguardo a un futuro in cui Traduco potrebbe diventare un veroe proprio strumento a disposizione degli studiosi. In altre parole,grazie a queste caratteristiche da lui ideate, Bozzi si dice soddisfatto

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Arrivato al compimento di una carriera ai vertici del mondo culturale italiano, il professorAlessandro Finazzi Agrò parla dell’avventura del Progetto Talmud, l’impresa di traduzione integraledel Talmud Babilonese in Italiano, come di un “segno del destino”. Chiamato dal ministero del-l’Istruzione dell’Università e della Ricerca come suo rappresentante all’interno del Consiglio d’am-ministrazione – composto anche dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che lo presiede,e da Mario Patrono, nominato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, terzo partner dell’iniziativa,e con la direzione di Clelia Piperno – Finazzi Agrò, ricercatore nel campo della biochimica, èstato rettore dell’Università di Tor Vergata dal 1996 al 2008. “Nella scelta di coinvolgermi hacontato sicuramente l’esperienza maturata nell’ambito dell’amministrazione di istituzioni culturali– racconta a Pagine Ebraiche – ma anche il mio grande interesse per la cultura ebraica, culminato

a chi è estraneo alla cultura ebraica scenari incredibili di capacità interpretativa assente da moltissime culture, uno spiritoaperto al dibattito in cui anche il più giovane è incoraggiato a dire la sua”. Uno stimolo a suo modo di vedere fondamentaleper l’Italia, dove “il piacere della lettura è negli ultimi anni molto diminuito insieme alla capacità di interpretare un testo”.Poiché avere in mano un’opera in cui si vede che per secoli un testo è stato commentato e ampliato “porta il lettore aporsi delle domande”. Per questo, per Finazzi Agrò la parte più importante da comunicare al grande pubblico, non soloattraverso la diffusione dei volumi in ambito accademico ma anche presentandone i contenuti attraverso mezzi di diffusionea raggio più ampio come la televisione, è “la pedagogia che vi sta dietro, sottolineando come essa non risalga all’Illuminismodi cui l’Europa va fiera ma a un processo avvenuto molti secoli fa”. Nel corso della sua carriera, Finazzi Agrò ha quindiosservato di essersi trovato a confronto con moltissimi progetti di ricerca di varia natura, e che tuttavia in questo caso sitratta di “un progetto culturale di altissimo profilo, uno dei più importanti che mi sia trovato a realizzare”. “Sono orgoglioso– afferma – perché grazie al software utilizzato questo unicum a livello mondiale potrà suscitare l’interesse di molti altripaesi e costituire un investimento del ministero che pone l’Italia all’avanguardia”. Inoltre, aggiunge, “la pubblicazione apreanche altri scenari interessanti, consentendo una migliore comprensione del mondo ebraico attraverso la quale passaanche la lotta all’antisemitismo”.

tra le altre cose anche nel Centro Romano di Studi sul-l’Ebraismo nato a Tor Vergata nel 2002, nella convinzioneche i romani non potessero ignorare il contributo a tuttii livelli di questa minoranza”. Un interesse che tuttaviarisale a molto tempo addietro: “Uno dei miei professorianziani di biochimica quando ero studente universitarioalla Sapienza di Roma, Bruno Mondovì, era ebreo e par-lava sempre del Talmud, quindi in definitiva sono cin-quant’anni che ne sento parlare”. Una volta entrato nelcontesto e venuto a contatto diretto con le complesse pa-gine del Talmud Babilonese, di cui è uscito il primo volumededicato al trattato di Rosh haShanah, Finazzi Agrò si èdunque reso conto di quanti spunti l’opera contenga, “inprimo luogo di carattere religioso ma in ultima analisicon una valenza universale, grazie alla capacità dei Maestridella tradizione ebraica di toccare ogni ambito del sapere”.Per questo, ai suoi occhi con la traduzione italiana si crea“uno scrigno che si apre al mondo”, riconsegnando a tuttala società una ricchezza che fa parte del suo patrimonio.“L’uscita del primo volume è un fatto irreversibile, poichési tratta di un’im-presa – le sueparole – che nonriguarda la Co-munità ebraicaitaliana ma tuttala cultura italiananel suo insieme,e lo testimonia ilfatto che il pre-sidente della Re-pubblica SergioMattarella abbiavoluto esserepresente all’inau-gurazione del li-bro”. Una parte-cipazione che non si verifica spesso e che per il professorecostituisce un chiaro segno di riconoscimento per tutti.“Per chi ci ha lavorato, per la tradizione millenaria cherappresenta e per l’Italia intera”. Finazzi Agrò ha quindifatto notare come il Talmud, opera poco conosciuta, “apra

menti dei Maestri del popo-

lo ebraico su un arco di circa

sei secoli, fino al V secolo. È

suddiviso in due componen-

ti principali, la Mishnah e la

Ghemarah. La seconda è

l’analisi dettagliata della

prima. La Mishnah è divisa a

sua volta in sei Ordini e cia-

scun ordine è suddiviso in

diversi trattati per un totale

di 63. La lingua della Mi-

shnah è l’ebraico, quella del-

la Ghemarah l’aramaico.

L’opera ha una complessa

stratificazione: non è

un’opera unitaria ma è una

raccolta di detti di molti

Maestri diversi, esposti nel

corso di varie generazioni,

quasi sempre in contrasto

l’uno con l’altro. Il Talmud,

in effetti, è la registrazione

delle discussioni fra gli stu-

diosi: il modo con cui la di-

scussione procede è quello

delle domande e delle rispo-

ste, delle obiezioni e dei

tentativi di risolvere le dif-

ficoltà e le contraddizioni.

La sua edizione italiana dà conto di

tutto questo, corredando il testo, oltre

che con spiegazioni e commenti, anche

con schede illustrative dei diversi ar-

gomenti di ordine scientifico, storico

e linguistico che vengono toccati du-

rante la discussione talmudica, a volte

solo marginalmente ma spesso in mo-

do più sostanziale. In ultima analisi,

secondo il rav Steistaltz il Talmud è

dunque “un libro del mistero che è to-

talmente aperto perché il segreto che

contiene non ha bisogno di essere na-

scosto, essendo così profondo e crip-

tico che ci si può solo connettere ad

esso, ma non si può mai arrivare a

comprenderlo appieno”. “Per gli ebrei

– continua il rabbino – il Talmud è un

libro vitale perché in una certa misura

da lui dipende la loro stessa esistenza.

Ma, contemporaneamente, il Talmud

trasmette al mondo intero un messag-

gio, che forse il mondo, solo adesso,

può cominciare a comprendere”.

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P29

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

colo, ha un totale di 2711 fogli fronte-retro (5422 pagine) e dunque è più ampiodi quello di Gerusalemme, ed è anchequello maggiormente studiato nellescuole e accademie di tutto il mondo.Quella messa a punto è la prima tradu-zione italiana dell’opera completa corre-data, oltre che da spiegazioni e commentisulla materia specifica in oggetto, ancheda schede illustrative dei diversi argo-menti di ordine scientifico, storico e lin-guistico che vengono toccati durante ladiscussione talmudica.

“Scrigno aperto al mondo”

di vedere un progetto italiano guidare gli altri paesi nel campo dellalinguistica computazionale e in generale della ricerca. Arrivare a questorisultato non è stata una passeggiata: “Mettere i traduttori in gradodi lavorare da subito è stata la parte più complicata, e ha comportatomolti momenti di crisi nel mettere a punto in corso d’opera alcunifunzionamenti del sistema”, ha raccontato. “Ho però avuto un creditodi fiducia da Clelia Piperno, che ha intuito che stavamo mettendo nelprogetto un contenuto di ricerca, con tutti i rischi che questo potevacomportare”. E il merito di aver reso la seconda versione del softwaretanto potenziata va ai traduttori stessi, con i quali il rapporto per se-gnalare problemi e migliorie è stato letteralmente “quotidiano”. “Moltodi quello che si vede sulle pagine - conclude - proviene da uno sforzocomune che rimane nascosto dietro le quinte e che è motivo di or-goglio per tutti”.

Enea

Rib

oldi

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/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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ú– IL TALMUD PARLA ITALIANO

ú–– rav Alberto Moshe Somekh

Il Talmud costituisce propriamen-te l’insieme di due testi: la Mi-shnah e la Ghemarà. La Mishnahè un libro di regole, messe insie-me da rav Yehudah ha-Nasì (il

Principe), capo degli ebrei nellaterra d’Israele, intorno all’anno200 dell’e.v. Consiste di sei partimaggiori, ordini, che in ebraicosi chiamano sedarim. Ognuna diqueste parti è divisa in granditrattati, detti in ebraico masse-

khtòt, e ogni trattato è diviso incapitoli, detti in ebraico peraqim.Dal tempo in cui rabbi Yehudahha-Nasì pubblicò la Mishnah finoad oggi, noi ebrei l’abbiamo con-siderata un libro sacro, e cioè unlibro che contiene le cose che D.

desidera che sappiamo. Infattiabbiamo chiamato la MishnahTorah (Avot 1,1) e riteniamo cheessa è parte della Torah di Mosè,data da D. sul monte Sinai. Quan-do studiamo la Mishnah, perciò,apprendiamo cose che D. vuole

Una luce che ci guida in senso morale e spirituale

Lo studio che guarda al futuro Un testo che incoraggiadomande e contestazioniú–– rav Gianfranco Di Segni

L’ebraismo si poggia su due grandi colonne: la Bibbia e ilTalmud. In realtà sono da considerare un tutt’uno, perchéil Talmud è, in un certo senso, l’interpretazione della Torah,è la Torah orale che accompagna la Torah scritta. Ma men-tre la Bibbia è diventata patrimonio dell’umanità intera,tradotta in centinaia di lingue e considerata sacra da cen-tinaia di milioni di persone, il Talmud, invece, è rimastoun testo esclusivo del popolo ebraico e le sue traduzioniintegrali non sono più di due o tre. Per molti aspetti il Tal-mud è l’opera più importante della cultura ebraica, perchéè quella che più la caratterizza. Si tratta di un testo religioso,giuridico, scientifico, filosofico, letterario, esegetico, omileticoecc. che risale, nei suoi strati più antichi, a circa duemilaanni fa. Il Talmud è un gigantesco inno all’uso della ragione.Così è descritto da David Del Vecchio: “Il messaggio legi-slativo biblico è sviluppato e interpretato dal Talmud conparametri razionali, in vertiginoso turbinio di analisi e sintesi,analogie, sillogismi e deduzioni che costituiscono una pi-ramide logica…” (in Il grande seduto, di G. Limentani,Adelphi 1979). Il Talmud consiste nella raccolta di inse-gnamenti dei Maestri dell’ebraismo che copre un arco disei secoli, fino al V secolo. Si suddivide in Mishnah e Ghe-marà. La Mishnah (lett. “ripetizione”), si compone di seiOrdini e ciascuno ordine è diviso in trattati per un totaledi 63. è anche chiamata Torah Orale perché fu trasmessadapprima oralmente da Maestro ad allievo e poi messa periscritto alla fine del secondo secolo da rabbi Yehudah Ha-nasì. Lo studio della Mishnah nelle Accademie (yeshivoth,pl. di yeshivah) della terra d’Israele e di Babilonia produssela Ghemarà. L’insieme della Mishnah e della Ghemarà co-stituisce il Talmud (sia Ghemarà che Talmud significano“studio”, il primo termine in aramaico, la lingua parlatadagli ebrei dell’epoca, il secondo in ebraico). Si hanno dueredazioni del Talmud: il Talmud Babilonese (prodotto nelleyeshivoth babilonesi), redatto nel V secolo, e il Talmud diGerusalemme, redatto nella Terra d’Israele nel IV secolo. Uniti ammontano a quasi 30 volumi di dimensioni enciclopediche. Il Talmud Babilonese è quello più ampio e, per questomotivo e per essere posteriore, è considerato più autorevole. è anche quello maggiormente studiato nelle yeshivoth contemporanee in tutto il mondo. Il Talmud è talmente vasto chenon a caso viene chiamato il “mare del Talmud”. È difficile trovare un argomento, attuale o meno, che non sia in esso affrontato estesamente o almeno per allusioni. Ad esempio, ci sonoriferimenti utili per le discussioni di bioetica dei giorni nostri. Trattando del problema della definizione dell’inizio della vita, nel Talmud si afferma che l’embrione fino a quaranta giornidal concepimento è come se fosse “semplice acqua” e quindi non è una “persona”. Da qui deriva la decisione che, per quanto l’aborto sia vietato, non è considerato un omicidio. IlTalmud non è un’opera unitaria ma è una raccolta di detti di molti Maestri diversi, esposti nel corso di varie generazioni, quasi sempre in contrasto l’uno con l’altro. Il Talmud, in effetti,è la registrazione delle discussioni fra gli studiosi, che cercano di arrivare alla comprensione del significato, l’origine e l’applicabilità degli insegnamenti della Bibbia, in particolare dellaTorah, e della Mishnah. Il modo con cui la discussione procede è quello delle domande e delle risposte, delle obiezioni e dei tentativi di risolvere le difficoltà, a volte riusciti a volte no.Spesso le domande non hanno una risposta conclusiva: ma le risposte sono meno importanti delle domande. Scrive rav Adin Steinsaltz, uno dei massimi studiosi e divulgatori del Talmuddei nostri giorni: “Dopo che ha assimilato il testo talmudico, lo studente è tenuto a formulare – a se stesso o ad altri – domande sul materiale studiato, a sollevare dubbi, ad avanzareriserve: e questo è il metodo di studio. Da questo punto di vista il Talmud è forse l’unico libro sacro in qualsiasi cultura al mondo che consente e perfino incoraggia domande e contestazionida parte di quegli stessi che gli attribuiscono il carattere di santità” (Cos’è il Talmùd, Giuntina 2004, p. 22). Il Talmud ha una complessa stratificazione. è intenzionalmente redatto inmaniera sintetica, criptica, di difficile comprensione. La lingua è in parte l’ebraico (per i detti che risalgono all’epoca della Mishnah) ma la maggior parte del Talmud è in aramaico. Iltesto, come tutti quelli post-biblici non-liturgici, non è vocalizzato, e ciò ne rende difficile la lettura e la comprensione. Non ci sono quasi segni d’interpunzione, per cui è difficile saperedove inizia e finisce una frase o capire se una certa espressione va intesa in senso affermativo, interrogativo o esclamativo. Per questo è indispensabile la presenza di un maestro o deicommentatori come Rashì, senza i quali sarebbe praticamente impossibile capire il Talmud. Il Talmud è un testo che va studiato, non semplicemente letto. Ma l’impostazione dello

“Quando prendiamo in mano un libro di Talmud in una nuova edizione reperibile, a basso prezzo e accompagnata da

commenti semplici, non ci rendiamo di quale storia ci sia dietro, di quali difficoltà, di quali passioni”. Con questa ri-

flessione nel 2010 il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni apriva un dossier di Pagine Ebraiche interamente dedicato

a questa opera fondamentale della cultura ebraica, di cui in queste pagine si ripropongono alcuni testi. Sei anni

dopo, il rav Di Segni è presidente del Progetto di Traduzione del Talmud Babilonese in italiano – nato nel 2011 con la

firma di un protocollo d'intesa tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Istruzione dell'Università

e della Ricerca, il Centro Nazionale delle Ricerche e l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – il cui primo volume

dedicato al trattato di Rosh haShanah esce ora edito da Giuntina. Di certo questa traduzione, la prima integrale in

italiano, è tutto il contrario di ciò contro cui il rav metteva in guardia. Il lavoro è affidato a circa 50 studiosi, fra

traduttori esperti, traduttori in formazione, istruttori, redattori e curatori e il testo è corredato, oltre che da spie-

gazioni e commenti sulla materia specifica in oggetto, anche da schede illustrative dei diversi argomenti di ordine

scientifico, storico e linguistico che vengono toccati durante la discussione talmudica. Accanto a questa grande ac-

curatezza nella redazione, il rav sottolinea come oggi siano ormai “caduti molti tabù nei confronti dell'ebraismo”,

permettendo allo Stato italiano di comprendere l'apporto dell'opera cardine dell'ebraismo alla cultura del paese.

Non era così ai tempi di Tranquillo Corcos “rabbino ebreo di Roma”, che nel 1697 scrisse una “Protesta” al tribunale

dell’Inquisizione contro il neofita Paolo Sebastiano Medici, che nei suoi scritti e nella sua predicazione aveva accusato

la religione ebraica - dalla quale si era distaccato con il battesimo - “di un serie di nefandezze e cose ridicole”. Per

ú–– rav Alberto Moshe Somekh

Il Talmud costituisce propriamente l’insieme di due testi: la Mishnah e la Ghemarà. La Mishnah è unlibro di regole, messe insieme da rav Yehudah ha-Nasì (il Principe), capo degli ebrei nella terra

d’Israele, intorno all’anno 200 dell’e.v. Con-siste di sei parti maggiori, ordini, che inebraico si chiamano sedarim. Ognuna diqueste parti è divisa in grandi trattati, dettiin ebraico massekhtòt, e ogni trattato èdiviso in capitoli, detti in ebraico peraqim.Dal tempo in cui rabbi Yehudah ha-Nasìpubblicò la Mishnah fino ad oggi, noi ebreil’abbiamo considerata un libro sacro, ecioè un libro che contiene le cose che D.desidera che sappiamo. Infatti abbiamochiamato la Mishnah Torah (Avot 1,1) e ri-teniamo che essa è parte della Torah diMosè, data da D. sul monte Sinai. Quandostudiamo la Mishnah, perciò, apprendiamocose che D. vuole che sappiamo, nellostesso modo in cui, quando studiamo laBibbia, impariamo ciò che D. vuole daIsraele. La Mishnah è metà della Torah ri-cevuta da Mosè sul Monte Sinai, e l’altrametà è la Torah scritta che chiamiamo Ta-nakh. Fino all’epoca di rabbi Yehudah ha-Nasì il contenuto della Mishnah era statotrasmesso oralmente (Torah orale). Quan-do furono date a Mosè la Torah e le Mitz-vot, gli furono consegnate tutte quantecon le rispettive spiegazioni.

Come illustrano i Maestri: “Ti darò le tavoledi pietra con la Torah e la Mitzvah” (Es.24,12): la Torah è la Torah Scritta, la Mitzvahè la Torah Orale (Berakhot 5a), ovvero laspiegazione della Mitzvah e le sue regole.Per esempio: la Netilat Lulav di Sukkot èuna Mitzvah scritta nella Torah, ma le que-stioni riguardanti le sue misure e i difettiinvalidanti non sono scritti nella Torah,bensì sono trasmessi oralmente. E così èper tutte le Mitzvot della Torah: non soloquelle che regolano i rapporti fra l’uomoe la Divinità, ma anche quelle che relativeai rapporti fra uomo e uomo. Vivere con gli altri, infatti, può essere causa

di conflitti. Poiché desideriamo qualcosa, e qualcun altro, per la stessa buona ragione, la desidera pure, abbiamo delle discussioni. Poche semplici regole di vita (“sii cortese congli altri”, “sta attento a non danneggiarli né con ciò che fai, né con ciò che non fai”) non sono sufficienti. La vita è troppo complicata perché ci si prenda cura di essa per mezzodi poche semplici regole… La Torah Orale ci vuole aiutare a scoprire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, sia verso gli altri che verso noi stessi. Non sappiamo automaticamente

né naturalmente come essere buoni e come vivere nel modo in cui D. desidera che viviamo. Dobbiamo impararlo.Rabbi Yehudah ha-Nasì visse in un’epoca storica travagliata. Da circa un secolo i romani avevano ormai distrutto il Santuario di Gerusalemme,che per secoli aveva costituito il centro spirituale e ideale della nazione ebraica, ed era cominciata una diaspora dalla durata che si annunciavaimprevedibile. La rivolta di Bar Kochbah del 133 era finita molto male e tramontava il sogno della ricostituzione di un focolare nazionale intempi brevi. Le stesse tradizioni trasmesse oralmente nelle Accademie per secoli rischiavano di andar perdute. Rabbi Yehudah prese allorala decisione coraggiosa di “agire per D., altrimenti si sarebbe infranta la Sua Torah” (Salmo 119, 126). Raccolse quegli insegnamenti, liriordinò in modo sistematico e promosse la redazione scritta della Mishnah. La pubblicazione della Mishnah segnò una svolta negli studi enella vita ebraica, nel senso che chiuse un’epoca, ma ne aprì immediatamente un’altra. Infatti, invece di riportare solo quelle opinioni otradizioni che riteneva più autorevoli, nonché le decisioni che i dotti avevano già assunto secondo il criterio della maggioranza in merito adosservanze e procedure, rav Yehudah ha-Nasì registrò anche i punti di vista minoritari, in genere accompagnandoli con i nomi

Il settimo giorno del mese di novembre l’ebraismo mondiale ha celebrato il suopatrimonio culturale nel Global Day Jewish Learning. Una giornata storica cheha visto la conclusione della monumentale traduzione commentata del Talmud,dall’antico testo in aramaico all’ebraico moderno, realizzata da rav Adin Stein-saltz. La strada da lui aperta è de-stinata a trovare un’eco anche inItalia. Alla fine di novembre, inoccasione dell’inaugurazionedell’anno accademico al Collegiorabbinico italiano, si danno infattiappuntamento nella Capitalenomi autorevoli nel campo deglistudi ebraici. Obiettivo, dare ilvia a un grande progetto di tradu-zione del Talmud in italiano cosìda ampliarne ulteriormente il ba-cino d’utenza tramite un’inizia-tiva che vedrà il sostegno delCollegio rab-binico edell’UCEI epunta a coin-volgere anchealtre istitu-zioni. Al Tal-mud e allasua tradi-zione seco-larededichiamoquesto dos-sier che nellasua costru-zione graficariproduce inparte la com-plessità dellepagine di untesto che con-tinua a stu-pire per lasua profondaattualità ecostituisce ilpunto di rife-rimento perla definizionedell’identitàebraica con-temporanea. Nelle foto, alcuni deiprotagonisti di queste pagine de-dicate al Talmud. Dall’alto ravAdin Steinsaltz; rav Riccardo DiSegni rabbino capo di Roma; ravGianfranco Di Segni; rav AlbertoMoshe Somekh e Stefano LeviDella Torre.

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DOSSIER/TalmudLEGGE SCRITTA, LEGGE ORALE

ú–– rav Riccardo Di Segni

Quando prendiamo in mano un libro di Talmud in una nuova edizione reperibile, a basso prezzo e ac-compagnata da commenti semplici, non ci rendiamo di quale storia ci sia dietro, di quali difficoltà, diquali passioni. Nel 1697 Tranquillo Corcos “rabbino ebreo di Roma” scrisse una “Protesta” al tribunaledell’Inquisizione contro il neofita Paolo Sebastiano Medici, che nei suoi scritti e nella sua predicazioneaveva accusato la religione ebraica - dalla quale si era distaccato con il battesimo - di un serie di nefandezzee cose ridicole. Per difendere la causa dell’ebraismo Corcos scrisse una lunga e articolata memoria con-futando dottamente punto per punto le accuse. Non è che uno dei purtroppo numerosi episodi del generenella storia. Ciò che fa impressione nel lavoro di Corcos è l’uso delle fonti. Il rabbino romano scriveva inun’epoca e in un luogo dove lo studio del Talmùd era fortemente ostacolato, libri introvabili o proibiti oampiamente censurati.Come scrivere in maniera documentata delle basi dell’ebraismo senza ricorrere al Talmud? Corcos ciriuscì benissimo, solo una volta lasciandosi sfuggire una citazione talmudica di prima mano. Per il restocitò ampiamente il classico Midrash Rabba, il dizionario dell’Arukh di Rabbi Natan, le opere halakhichedi Maimonide, dalla Yad haChazaqà al commento alla Mishnah; il Colbò; gli Arba’ Turim di Yaaqov benAsher e il Beth Yosef; i commenti alla Torah di Ramban e di Sforno, l’Aqedat Izchaq di haRama, il TzerorhaMor di Avraham Saba, il Toldot Izchar di Izchaq Caro, il commento di Yochannan Treves al machazorromano, fino al Ma’avarYabboq di Aharon Modena dedicato alla morte. Quanto al Talmud ricorse al-l’espediente “classico”: dal Talmud babilonese erano derivate due grandi opere selettive, una dedicataalla Halakhah, il codice di Alfasi, e l’altra dedicata al midrash, l’En Yaaqov (o ‘En Israel) che citavanoampi brani dell’originale seguendone l’ordine; quindi attraverso queste opere, più tollerate, si poteva con-tinuare a studiare il Talmud e persino citarlo insieme ai suoi commenti. Ed è quello che fece Corcos, di-mostrando tra l’altro che a Roma si poteva studiare ad onta dei divieti. Un ebraismo senza Talmud so-pravvive? L’esempio romano e più largamente quello italiano di quei secoli dimostrano in quali terminiquesta sopravvivenza sia possibile. I danni compiuti dalla repressione inquisitoriale furono incalcolabili.Ma questo dette una forza incredibile a un movimento di resistenza non armata, che cercò in tutti i modidi aggirare la norma, per non staccare il contatto dell’ebraismo con la sua fonte di vita. Il dramma veroè successo dopo, non quando il divieto è caduto o si è affievolito, ma quando è caduto l’interesse ebraicoper il Talmud. Gli ebrei come gruppo e tradizione sono sopravvissuti, perchè anche un debole rapportocon la propria cultura sembra sufficiente a non cancellarli; ma la qualità della vita ebraica è crollata, el’Italia, che era uno dei centri più vivaci di originale produzione culturale ebraica è diventata un posto diperiferia.

Così si rinnova la tradizione

Pagine di vita

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n. 12 | dicembre 2010 pagine ebraiche

DOSSIER/TalmudSCRITTA E ORALE

dei Maestri che liavevano formulati (‘Eduyyot 1, 5-6). In questo modo si teneva co-stantemente aperta la discussio-ne, al di là del fatto che una soladi queste opinioni fosse diventatalegge. La Mishnah stessa, del re-sto, necessita di chiarimenti. Tal-volta vi sono contraddizioni fraun passo e l’altro. In questi casio si riesce a dimostrare che il te-sto riflette l’opinione di due Mae-stri diversi, ancorché non men-zionati, o che l’affinità dei casicui si riferisce la differente di-sposizione è solo apparente. Inaltri casi ancora si può persinodimostrare l’esistenza di lacunenel testo della Mishnah (chassoremichassera). Come si lavora? Te-nendo presente che rabbi Yehu-dah, allorché procedette a redi-gere la Mishnah, lavorò su unmateriale assai più vasto e fluido,che sottopose ad una selezioneassai serrata. Ma proprio la parte“rimasta fuori” (in aramaico ba-raytà, “esterna”) diviene ora in-teressante per la ricostruzionedel pensiero originario del redat-tore e del senso esatto della Mi-shnah. Un po’, per intenderci,come non si può prescinderedallo studio del Fermo e Luciaper comprendere a fondo la ge-nesi dei Promessi sposi!Dal confronto fra la Mishnah ele Baraytòt con la relativa discus-sione nasce il Talmud, nella suaduplice redazione. Quella cosid-detta palestinese (o Talmud Ye-rushalmi), redatta in terra d’Israe-le prima dell’editto di Costantino(311), che pose virtualmente finead ogni produttività accademicanella terra dei Padri; e quella ba-bilonese (o Talmud Bavlì), portataa termine in Babilonia entro l’an-no 499. Per tutta una serie di ra-gioni, legati in parte a fattori in-terni, in parte alla contingenzastorica, fu proprio il Talmud ba-bilonese (o Talmud per antono-masia) ad assurgere alla massimaautorità. Esso accompagnò ilcammino spirituale, morale e isti-tuzionale di noi ebrei attraversola diaspora fino ad oggi.

Steinsaltz-Art Scroll: progetti a confronto

ú–– rav Gianfranco Di Segni

L’ebraismo si poggia su due grandi colonne: laBibbia e il Talmud. In realtà sono da considerareun tutt’uno, perché il Talmud è, in un certo senso,l’interpretazione della Torah, è la Torah oraleche accompagna la Torah scritta. Ma mentre laBibbia è diventata patrimonio dell’umanità intera,tradotta in centinaia di lingue e considerata sacrada centinaia di milioni di persone, il Talmud, in-vece, è rimasto un testo esclusivo del popoloebraico e le sue traduzioni integrali non sonopiù di due o tre. Per molti aspetti il Talmud èl’opera più importante della cultura ebraica, per-ché è quella che più la caratterizza. Si tratta diun testo religioso, giuridico, scientifico, filosofico,letterario, esegetico, omiletico ecc. che risale, neisuoi strati più antichi, a circa duemila anni fa. IlTalmud è un gigantesco inno all’uso della ragione.Così è descritto da David Del Vecchio: “Il mes-saggio legislativo biblico è sviluppato e interpre-tato dal Talmud con parametri razionali, in ver-tiginoso turbinio di analisi e sintesi, analogie, sil-logismi e deduzioni che costituiscono una pira-mide logica…” (in Il grande seduto, di G. Li-mentani, Adelphi 1979).

Il Talmud consiste nella raccolta di insegnamentidei Maestri dell’ebraismo che copre un arco disei secoli, fino al V secolo. Si suddivide in Mi-shnah e Ghemarà. La Mishnah (lett. “ripetizio-ne”), si compone di sei Ordini e ciascuno ordineè diviso in trattati per un totale di 63. È anchechiamata Torah Orale perché fu trasmessa dap-prima oralmente da Maestro ad allievo e poimessa per iscritto alla fine del secondo secoloda rabbi Yehudah Hanasì. Lo studio della Mi-shnah nelle Accademie (yeshivoth, pl. di yeshi-vah) della terra d’Israele e di Babilonia produssela Ghemarà. L’insieme della Mishnah e dellaGhemarà costituisce il Talmud (sia Ghemarà cheTalmud significano “studio”, il primo termine inaramaico, la lingua parlata dagli ebrei dell’epoca,il secondo in ebraico). Si hanno due redazioni del Talmud: il TalmudBabilonese (prodotto nelle yeshivoth babilonesi),redatto nel V secolo, e il Talmud di Gerusalem-me, redatto nella Terra d’Israele nel IV secolo.Uniti ammontano a quasi 30 volumi di dimen-sioni enciclopediche. Il Talmud Babilonese èquello più ampio e, per questo motivo e per es-sere posteriore, è considerato più autorevole. È anche quello maggiormente studiato nelle ye-

shivoth contemporanee in tutto il mondo. Il Tal-mud è talmente vasto che non a caso viene chia-mato il “mare del Talmud”. È difficile trovare unargomento, attuale o meno, che non sia in essoaffrontato estesamente o almeno per allusioni.Ad esempio, ci sono riferimenti utili per le di-scussioni di bioetica dei giorni nostri. Trattandodel problema della definizione dell’inizio dellavita, nel Talmud si afferma che l’embrione finoa quaranta giorni dal concepimento è come sefosse “semplice acqua” e quindi non è una “per-sona”. Da qui deriva la decisione che, per quantol’aborto sia vietato, non è considerato un omi-cidio.Il Talmud non è un’opera unitaria ma è una rac-colta di detti di molti Maestri diversi, esposti nelcorso di varie generazioni, quasi sempre in con-trasto l’uno con l’altro. Il Talmud, in effetti, è laregistrazione delle discussioni fra gli studiosi, checercano di arrivare alla comprensione del signi-ficato, l’origine e l’applicabilità degli insegnamentidella Bibbia, in particolare della Torah, e dellaMishnah. Il modo con cui la discussione procedeè quello delle domande e delle risposte, delleobiezioni e dei tentativi di risolvere le difficoltà,a volte riusciti a volte no. Spesso le domande

Un testo sacro che incoraggia

Studiare il Talmud è appassionante, ma impegnativo. Il neofita che si volesse av-vicinare a questa opera colossale deve innanzitutto scegliere fra le diverse edi-zioni attualmente a disposizione. Il progetto del rav Adin Steinsaltz diriformulare la versione tradizionale del Vilna ancora utilizzata dalla maggiorparte degli studiosi per semplificarla e attualizzarla ha conquistato molte simpa-tie. I volumi (a sinistra una pagina), con il testo aramaico tradotto in ebraicomoderno, in inglese, francese e tedesco hanno avvicinato al Talmud un pubblicopiù vasto, ma anche suscitato perplessità da parte dei più tradizionalisti. L’editore Art Scroll ha reagito con l’edizione Schotten-stein (nell’immagine a destra, attualmente in inglese, francese ed ebraico) che resta fedele al modello del Vilna, ma correda l’anticaaffascinante impaginazione a incastro con un impressionante apparato di testi esplicativi. Molti ritengono che entrambe le versionioffrano elementi preziosi. Una buona notizia per chi crede che la radice del Talmud sia il confronto e la coesistenza. E per i librai.

u LA LOGICA CONTRO IL DOGMAú–– Donatella Di Cesare

Pensare è risalire dall’affermazione all’interrogazione.

Chi ama la verità che si presume oggettiva, la verità

indiscussa e indiscutibile, che si impone come dogma,

non può supportare le domande che si affastellano

nel Talmud, ne costituiscono la trama e impediscono

di trarre conclusioni e formulare giudizi definitivi. Il

dogma non tollera la logica aperta del Talmud. Non

stupisce che la cattolicità lo abbia messo al rogo. So-

prattutto in Italia. Con decreto pontificio applicato a

tutti gli stati italiani Giulio III ordinò nel 1553 di

bruciarne decine di migliaia di copie. A Roma, a

Campo dei fiori – ma non solo. La distruzione

dell’opera fu vissuta dagli ebrei come una cata-

strofe nazionale; in Italia i roghi prima, e il di-

vieto poi, ebbero profonde ripercussioni sulla

vita culturale dell’ebraismo.

Il Talmud insegna la pazienza dell’interpretazio-

ne, tiene lontani dal furore della conclusione,

dal miraggio del possesso. La dimensione del

viaggio, che caratterizza il pensiero ebraico, è

palese nell’architettura dei commenti talmudici

– che alcuni hanno avvicinato alla architetturau Un prezioso frammento della Gheniza del Cairo mostra un

manoscritto con il testo del Talmud di Gerusalemme.

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topografica di Venezia, la città dove è stato

stampato per la prima volta tra il 1520 e il

1523. Piazze, campielli, calli e canali, da un

commento all’altro, per non dimenticare che

si pensa viaggiando, e si pensa non da soli,

ma in un dialogo estenuante e ineguagliabile

con gli altri. Una interpretazione infinita e

infinitamente sovversiva che mostra il para-

dosso per cui ci si trova in prossimità della

meta molto più quando si è in cammino che

quando si pensa di essere arrivati e di doversi

solo insediare. Forse per questo il Talmud do-

vrebbe essere accessibile a tutti.

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UNA RETE DI LINK

“Gira e rigira che tutto vi è contenu-

to” (Trattato Avot). Navigando nel

mare talmudico, si possono trovare

risposte a un’infinità di domande.

Migliaia di pagine in cui è trattato

praticamente ogni argomento, at-

tuale o meno, per intero o solo ac-

cennato. E In ciascun passo si posso-

no trovare rimandi ad altri brani, in

una rete sconfinata di intrecci e col-

legamenti testuali. È un ipertesto.

L’analogia, forse un po’ blasfema, con

Internet è chiara. Come il Talmud, la

rete delle reti mette in connessioni

centinaia di migliaia di pagine, di siti,

di parole. Un universo linkato in cui

ciascuno, come in un mare immenso,

può navigare per ore. “Quando guar-

do le pagine del Talmud e vedo tutti

questi testi uno vicino all’altro, in-

timi e invadenti come bambini di im-

migrati che devono dormire nello

stesso letto – scrive il giornalista e

scrittore Jona-

than Rosen nel

suo libro Il Tal-

mud e Internet.

Un viaggio tra

mondi (Einaudi)

– mi viene co-

munque in

mente la cultu-

ra frammenta-

ria e caleido-

scopica di In-

ternet”.

Il pilastro della

tradizione ebraica, assieme alla To-

rah ovviamente, e il figliol prodigo

dell’era moderna. Un binomio che,

come si è visto, ha Imprevedibili so-

miglianze quanto profonde differen-

ze. Internet è il campione della glo-

balizzazione, attraverso il world wi-

de web le persone, gli utenti, hanno

l’opportunità di raggiungere, nel mo-

do più semplice possibile, qualsiasi

argomento. Tutto è a portata di tut-

ti, in una semplificazione a larghe

spanne. Non ci vuole un esperto di

informatica per poter accedere a un

determinato sito. Persino il linguag-

gio, in alcuni casi, è semplificato. Un mare, quello virtuale, decisamente più facile da navigare

rispetto all’immenso e complicato Talmud. Scritto in aramaico, intenzionalmente in maniera

sintetica e criptica, il testo talmudico è tutto fuorché di semplice comprensione o accesso. Si

pensi che, quantomeno nella versione originale, non ci sono i

segni di punteggiatura né delle vocali né i segni d’interpunzione,

per cui spesso non si riesce a comprendere se la frase letta sia

una domanda o un’affermazione.

Inoltre, come ricorda rav Gianfranco Di Segni, “è indispensabile

la presenza di un maestro e, ovviamente, l’ausilio dei commen-

tatori come Rashì, senza il quale sarebbe praticamente impos-

sibile lavorare”. Tornando alle affinità e al racconto di Rosen,

lo scrittore americano osserva che “il Talmud ha offerto una

casa virtuale a una cultura sradicata ed è nato dalla necessità

del popolo ebraico di confezionare la civiltà in parole e vagare

per il mondo”. E internet, suggerisce Rosen, conferisce un simile

senso di diaspora, “la sensazione di essere ovunque e da nessuna

parte. Dove se non nel mezzo della diaspora hai bisogno di una

Home Page?”. L’intreccio tra il web e l’opera talmudica non è però solo culturale. Internet,

infatti, può essere un utile strumento per condividere, discutere, confrontarsi. Un luogo virtuale,

attuale in cui anche un trattato di millenni può trovare la propria pagina.

Il mosaico della conoscenza

u Al centro, l’impagina-

zione del geniale tipo-

grafo veneziano Daniel

Bomberg (1523) e qui a

fianco l’editto del Consi-

glio dei dieci della Sere-

nissima che imponeva il

rogo del Talmud (1553).

non hanno una risposta conclusiva: ma le rispostesono meno importanti delle domande. ScriveRav Adin Steinsaltz, uno dei massimi studiosi edivulgatori del Talmud dei nostri giorni: “Dopoche ha assimilato il testo talmudico, lo studenteè tenuto a formulare – a se stesso o ad altri –domande sul materiale studiato, a sollevare dubbi,ad avanzare riserve: e questo è il metodo di stu-dio. Da questo punto di vista il Talmud è forsel’unico libro sacro in qualsiasi cultura al mondoche consente e perfino incoraggia domande econtestazioni da parte di quegli stessi che gli at-tribuiscono il carattere di santità” (Cos’è il Tal-mùd, Giuntina 2004, p. 22). Il Talmud ha una complessa stratificazione. Èintenzionalmente redatto in maniera sintetica,criptica, di difficile comprensione. La lingua è inparte l’ebraico (per i detti che risalgono all’epocadella Mishnah) ma la maggior parte del Talmudè in aramaico. Il testo, come tutti quelli post-bi-blici non-liturgici, non è vocalizzato, e ciò nerende difficile la lettura e la comprensione. Nonci sono quasi segni d’interpunzione, per cui èdifficile sapere dove inizia e finisce una frase ocapire se una certa espressione va intesa in sensoaffermativo, interrogativo o esclamativo. Per que-

sto è indispensabile la presenza di un maestro odei commentatori come Rashì, senza i quali sa-rebbe praticamente impossibile capire il Talmud. Il Talmud è un testo che va studiato, non sem-plicemente letto. Ma l’impostazione dello studioè diversa da quella di una lezione universitaria:da secoli nelle yeshivoth gli allievi si dividonoin coppie, che cercano autonomamente di capiree indagare i significati del testo talmudico delgiorno. Ogni membro della coppia è chiamato“chevruta” (compagno). Dopo questa fase percosì dire preparatoria, tutti gli studenti si riuni-scono per ascoltare la lezione generale del RoshYeshivah, il capo dell’accademia. Lo studio delTalmud dunque si compone sia di un lavoro au-tonomo dell’allievo sia della classica lezione fron-tale. Il pregio di questo metodo è che in questamaniera si arriva meglio alla comprensione deltesto, lo si ricorda meglio; lo sforzo, la fatica aiu-tano a capire e memorizzare i brani.Il Talmud fu spesso osteggiato dal mondo nonebraico in passato, con motivazioni pretestuose,al punto che fu messo al rogo più volte, comeavvenne a Roma a Campo de’ Fiori nell’anno1553 per decreto di Papa Giulio III. Migliaia fu-rono i volumi di Talmud bruciati in tutta Italia.

Gli ebrei italiani dell’epoca, però, si ingegnarono.Districarono dal Talmud gli argomenti legali daquelli di altro genere e stamparono due nuoveopere con diversi nomi. Studiando l’una e l’altra,poterono ricostituire il Talmud quasi nella suainterezza. Tuttavia, un notevole danno culturalefu inferto agli ebrei italiani. Lo studio del Talmuddivenne estremamente difficoltoso (oltre che pe-ricoloso) e di conseguenza anche lo studio dellaHalakhàh, la normativa legale ebraica che si basaprincipalmente sul Talmud, come anche lo studiodella filosofia ebraica ebbe a risentirne. SecondoRav Steinsaltz, i roghi del Talmud diedero l’avvioalla “decadenza della cultura ebraica italiana, dacui in effetti non si è più ripresa. È questo unemblematico caso storico che dimostra come unnucleo ebraico che non studia e non si occupadi Talmùd è destinato al declino spirituale” (ivi,pp. 115-116).

domande e contestazioni

Mishnah e Ghemarah uguale Talmud. Due redazioni diverse per contenuto, metodo e lingua. Il Talmud di Ge-rusalemme (Talmud Yerushalmi), terminato verso la fine del IV secolo, e il Talmud Babilonese (Talmud Bavli),di un secolo più tardi. Ambedue commentano la metà circa dei trattati della Mishnah, quello di Babilonia inmodo assai più esteso. Le circostanze storiche spiegano come il Talmud babilonese abbia presto eclissato ilsuo corrispondente e sia stato considerato come il solo canonico e normativo. Il Talmud babilonese contieneil doppio di haggadot (insieme delle tradizioni non giuridiche). Il Talmud si presenta come il verbale concisoe appena ritoccato delle dispute accademiche (coi nomi dei protagonisti): e ciò spiega la ricchezza esuberantedel suo contenuto, come pure la difficoltà della sua interpretazione. L’impaginazione tradizionale definitaVilna offre al lettore un affascinante mosaico di testi. ��� La Mishnah seguita dalla ��� Ghemarah sono alcentro, ��� il testo di Rashi, il principe dei commentatori fiancheggia il nucelo centrale circondandolosempre dal lato interno della pagina. ��� il primo cerchio si chiude con i commenti aggiunti delle Tosafot.Si aggiungono i commenti di ��� rav Nissim Gaon ���Ein Mishpat Ner Mitzva e sui lati sinistro ���e destro��� un fitto apparato di ulteriori note.

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della Mitzvah e le sue regole. Peresempio: la Netilat Lulav di Suk-kot è una Mitzvah scritta nellaTorah, ma le questioni riguardan-ti le sue misure e i difetti invali-danti non sono scritti nella Torah,bensì sono trasmessi oralmente.E così è per tutte le Mitzvot dellaTorah: non solo quelle che rego-lano i rapporti fra l’uomo e la Di-vinità, ma anche quelle che re-lative ai rapporti fra uomo e uo-mo. Vivere con gli altri, infatti,può essere causa di conflitti. Poi-ché desideriamo qualcosa, equalcun altro, per la stessa buo-na ragione, la desidera pure, ab-biamo delle discussioni. Pochesemplici regole di vita (“sii corte-se con gli altri”, “sta attento anon danneggiarli né con ciò chefai, né con ciò che non fai”) nonsono sufficienti. La vita è troppocomplicata perché ci si prendacura di essa per mezzo di pochesemplici regole… La Torah Oraleci vuole aiutare a scoprire ciò cheè giusto e ciò che è ingiusto, siaverso gli altri che verso noi stessi.Non sappiamo automaticamentené naturalmente come esserebuoni e come vivere nel modoin cui D. desidera che viviamo.Dobbiamo impararlo. Rabbi Ye-hudah ha-Nasì visse in un’epocastorica travagliata. Da circa un se-colo i romani avevano ormai di-strutto il Santuario di Gerusalem-me, che per secoli aveva costi-tuito il centro spirituale e idealedella nazione ebraica, ed era co-minciata una diaspora dalla du-rata che si annunciava impreve-dibile. La rivolta di Bar Kochbahdel 133 era finita molto male etramontava il sogno della rico-stituzione di un focolare nazio-nale in tempi brevi. Le stesse tra-dizioni trasmesse oralmente nel-le Accademie per secoli rischia-vano di andar perdute. Rabbi Ye-

hudah prese allora ladecisione coraggio-sa di “agire per D.,altrimenti si sarebbeinfranta la Sua To-rah” (Salmo 119,126). Raccolse quegliinsegnamenti, li rior-dinò in modo siste-matico e promossela redazione scrittadella Mishnah. Lapubblicazione dellaMishnah segnò unasvolta negli studi enella vita ebraica, nelsenso che chiuseun’epoca, ma ne

aprì immediatamente un’altra.Infatti, invece di riportare soloquelle opinioni o tradizioni cheriteneva più autorevoli, nonchéle decisioni che i dotti avevanogià assunto secondo il criteriodella maggioranza in merito adosservanze e procedure, rav Ye-hudah ha-Nasì registrò anche ipunti di vista minoritari, in ge-nere accompagnandoli con i no-mi dei Maestri che li avevano for-mulati (‘Eduyyot 1, 5-6). In que-sto modo si teneva costante-mente aperta la discussione, aldi là del fatto che una sola diqueste opinioni fosse diventatalegge. La Mishnah stessa, del re-sto, necessita di chiarimenti. Tal-volta vi sono contraddizioni fraun passo e l’altro. In questi casio si riesce a dimostrare che il te-sto riflette l’opinione di due Mae-stri diversi, ancorché non men-zionati, o che l’affinità dei casicui si riferisce la differente dispo-sizione è solo apparente. In altricasi ancora si può persino dimo-strare l’esistenza di lacune nel te-sto della Mishnah (chassore mi-chassera). Come si lavora? Te-nendo presente che rabbi Yehu-dah, allorché procedette a redi-gere la Mishnah, lavorò su unmateriale assai più vasto e fluido,che sottopose ad una selezioneassai serrata. Ma proprio la parte“rimasta fuori” (in aramaico ba-raytà, “esterna”) diviene ora in-teressante per la ricostruzionedel pensiero originario del redat-tore e del senso esatto della Mi-shnah. Un po’, per intenderci,come non si può prescinderedallo studio del Fermo e Luciaper comprendere a fondo la ge-nesi dei Promessi sposi! Dal con-fronto fra la Mishnah e le Baray-tòt con la relativa discussione na-sce il Talmud, nella sua dupliceredazione. Quella cosiddetta pa-lestinese (o Talmud Yerushalmi),redatta in terra d’Israele primadell’editto di Costantino (311),che pose virtualmente fine adogni produttività accademicanella terra dei Padri; e quella ba-bilonese (o Talmud Bavlì), portataa termine in Babilonia entro l’an-no 499. Per tutta una serie di ra-gioni, legati in parte a fattori in-terni, in parte alla contingenzastorica, fu proprio il Talmud ba-bilonese (o Talmud per antono-masia) ad assurgere alla massimaautorità. Esso accompagnò ilcammino spirituale, morale e isti-tuzionale di noi ebrei attraversola diaspora fino ad oggi.

difendere la causa dell’ebraismo Corcos scrisse una lunga e articolata memoria confutando dottamente

punto per punto le accuse. “Ciò che fa impressione nel lavoro di Corcos è l’uso delle fonti”, scriveva Di

Segni. “ Il rabbino romano scriveva in un’epoca e in un luogo dove lo studio del Talmud era fortemente

ostacolato, libri introvabili o proibiti o ampiamente censurati”. Al di là del fatto che Corcos era riuscito

a studiare – e quindi citare – il Talmud anche nonostante i divieti, il rav Di Segni si chiedeva: “Un ebraismo

senza Talmud sopravvive?”. Del resto, scriveva sempre nel dossier il rav Gianfranco Di Segni, l'ebraismo

si poggia su due grandi colonne: la Bibbia e il Talmud. “In realtà sono da considerare un tutt’uno, perché

il Talmud è, in un certo senso, l’interpretazione della Torah, è la Torah orale che accompagna la Torah

scritta”. Ma mentre la Bibbia è diventata patrimonio dell’umanità intera – sottolineava il rav – tradotta

in centinaia di lingue e considerata sacra da centinaia di milioni di persone, il Talmud, invece, è rimasto

un testo esclusivo del popolo ebraico e le sue traduzioni integrali non sono più di due o tre”. Nell'af-

frontare il tema dello studio del Talmud ai nostri giorni, il filosofo Stefano Levi Della Torre osservava

che “sono proprio i paradossi spesso ironici del testo a insegnarci la distanza con cui leggerlo: è appunto

l’ironia con cui una generazione guarda alle generazioni che la precedono: un modo che prende sul

serio il passato, ma non accetta di considerarlo l’ultima parola e di identificarsi in esso, ma che dà il

segno di una continua rimodellazione. Perché la tradizione non è il passato, ma la memoria e lo spessore

storico di ciò che di volta in volta è attuale”. Il rav Riccardo Di Segni, tuttavia, nel 2010 si mostrava

poco ottimista riguardo la diffusione e lo studio del Talmud. L’esempio romano e più largamente quello

italiano erano per lui significativi dei termini in cui una sopravvivenza dell'ebraismo senza di esso sia

possibile. “Il dramma vero è successo dopo l'Inquisizione, non quando il divieto è caduto o si è affievolito,

ma quando è caduto l’interesse ebraico per il Talmud. Gli ebrei come gruppo e tradizione sono soprav-

vissuti, perché anche un debole rapporto con la propria cultura sem-

bra sufficiente a non cancellarli – la sua conclusione – ma la qualità

della vita ebraica è crollata, e l’Italia, che era uno dei centri più vivaci

di originale produzione culturale ebraica è diventata un posto di pe-

riferia”. A sei anni di distanza, la sua prospettiva si arricchisce.

“L'ebraismo italiano va in due opposte direzioni – spiega il rav – da

un lato esistono una fuga e un decremento numerico, ma accanto a

questo esiste una riscoperta dell'ebraismo originale ed essenziale.

La strada da percorrere è soddisfare questa sete di conoscenza che

avvicina le persone alle sinagoghe”. Nel fare un paragone con il pas-

sato recente, mezzo secolo fa, il rabbino capo osserva quindi come

un'impresa simile di traduzione del Talmud sarebbe stata impensabile

per l'epoca non soltanto per la mancanza dei mezzi tecnologici che

esistono oggi, ma anche perché non c'erano abbastanza studiosi della

materia. “Oggi è diverso – la sua conclusione – perché tanti vivono

sparsi per il mondo. Per fortuna ci sono tanti studiosi italiani o aspi-

ranti tali, e sono giovani. Una caratteristica fondamentale, poiché è

anche necessario saper usare il mezzo digitale”.

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P31

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

che sappiamo, nello stesso mo-do in cui, quando studiamo laBibbia, impariamo ciò che D.vuole da Israele. La Mishnah èmetà della Torah ricevuta da Mo-sè sul Monte Sinai, e l’altra metàè la Torah scritta che chiamiamoTanakh. Fino all’epoca di rabbiYehudah ha-Nasì il contenutodella Mishnah era stato trasmes-

so oralmente (Torah orale). Quan-do furono date a Mosè la Torahe le Mitzvot, gli furono conse-gnate tutte quante con le rispet-tive spiegazioni. Come illustranoi Maestri: “Ti darò le tavole di pie-tra con la Torah e la Mitzvah” (Es.24,12): la Torah è la Torah Scritta,la Mitzvah è la Torah Orale (Bera-khot 5a), ovvero la spiegazione

studio è diversa da quella di una lezione universitaria: da secoli nelle yeshivoth gli allievi si dividono in coppie, checercano autonomamente di capire e indagare i significati del testo talmudico del giorno. Ogni membro della coppia èchiamato “chevruta” (compagno). Dopo questa fase per così dire preparatoria, tutti gli studenti si riuniscono per ascoltarela lezione generale del Rosh Yeshivah, il capo dell’accademia. Lo studio del Talmud dunque si compone sia di un lavoroautonomo dell’allievo sia della classica lezione frontale. Il pregio di questo metodo è che in questa maniera si arrivameglio alla comprensione del testo, lo si ricorda meglio; lo sforzo, la fatica aiutano a capire e memorizzare i brani. IlTalmud fu spesso osteggiato dal mondo non ebraico in passato, con motivazioni pretestuose, al punto che fu messo alrogo più volte, come avvenne a Roma a Campo de’ Fiori nell’anno 1553 per decreto di papa Giulio III. Migliaia furonoi volumi di Talmud bruciati in tutta Italia. Gli ebrei italiani dell’epoca, però, si ingegnarono. Districarono dal Talmud gliargomenti legali da quelli di altro genere e stamparono due nuove opere con diversi nomi. Studiando l’una e l’altra,poterono ricostituire il Talmud quasi nella sua interezza. Tuttavia, un notevole danno culturale fu inferto agli ebrei italiani.Lo studio del Talmud divenne estremamente difficoltoso (oltre che pericoloso) e di conseguenza anche lo studio dellaHalakhàh, la normativa legale ebraica che si basa principalmente sul Talmud, come anche lo studio della filosofia ebraicaebbe a risentirne. Secondo Rav Steinsaltz, i roghi del Talmud diedero l’avvio alla “decadenza della cultura ebraica italiana,da cui in effetti non si è più ripresa. È questo un emblematico caso storico che dimostra come un nucleo ebraico chenon studia e non si occupa di Talmùd è destinato al declino spirituale” (ivi, pp. 115-116).

Al ritmo di una pagina al giorno ci vogliono sette anni e mezzo per concludere la lettura dell’interoTalmud. E proprio con questo passo, lento ma costante, procede il programma Daf Yomi che attraversail mare dell’antico testo leggendo una pagina (daf ) al giorno (yomi). Il sistema fu ideato da rav MeirShapiro, rabbino di Pietrkov e Lublino, che lanciò l’idea al primo congresso mondiale di Agudat Israel aVienna nel 1923. L’obiettivo era quello di riunire con cadenza quotidiana gli ebrei di tutto il mondo nello

studio della me-desima paginatalmudica diffon-dendo così i fon-damenti del pen-siero ebraico econsentendo an-che ai menoistruiti la possibi-lità di completarele 2711 pagine.Da allora i cicli dilettura si sonosusseguiti fino agiungere a quelloattualmente incorso, il dodicesi-mo, avviato il 2marzo del 2005.La conclusione,d e n o m i n a t aSiyum HaShas, ilcompletamentodello Shas, acro-nimo per ShishaSidrei, i sei Ordini

(sottinteso dellaMishnah), avràluogo il 2 agosto2012 e promettedi essere un even-to mondiale. DafYomi raccoglieinfatti l’adesionedi migliaia di per-sone che ognigiorno, per setteanni e mezzo rie-scono con ferreadisciplina a dedi-care un’ora allalettura o allo stu-dio di gruppo del

Talmud. È un’impresa non facile,che in buona parte si svolge fuoridelle classiche yeshivot, nelle casee negli uffici e che è capace di su-scitare grandi entusiasmi, tanto chedi solito chi completa un ciclo in-traprende quello successivo.

Un’antica disputa rabbinica e le più vive,profonde, spesso dolorose questioni dellasocietà moderna. Diversi interrogativi acui nei secoli in molti hanno cercato didare risposta: come affrontare il cambia-mento o la radicale tra-sformazione? Quale con-tinuità con il passato èpossibile e quali mutazionisono necessarie? A chispetta l’autorità per de-cidere? Quale peso nelledecisioni hanno la ragione,la religione, i rapportiumani? Su queste fon-damentali domande si in-terrogano Joseph Bali,

Vicky Franzi-netti e Stefa-no Levi DellaTorre, autoridel libro Il for-no di Akhnai- Una discus-sione talmu-dica sulla ca-tastrofe, edi-

to da Giuntina. I tre pren-dono spunto da una fa-mosa controversia talmu-dica “per parlare della dif-ficoltà degli uomini diorientarsi nei momentidei grandi cambiamentiepocali, di reperire nuovicriteri del giusto”, comesottolinea Levi Della Torre. La storia in breve racconta

la disputa tra rabbi Eliezere i Saggi. Il primo sostieneche un forno da panespezzato in formelle èpuro e dunque utilizzabile,mentre i secondi sosten-gono il contrario. Nono-stante incredibili miracoli,rabbi Eliezer non riesce aconvincere gli avversari.Nemmeno la voce di Dio,venuto in suo soccorso,smuove i Saggi dalle pro-prie convinzioni. Anzi rab-bi Yehoshua controbatteche il Cielo non c’entra:la legge non è in cieloma sulla terra e per la terra, spetta alla maggioranza dei Saggi stabilirla interpretando i testi. Dio,messo in minoranza, sorride e commenta “I miei figli mi hanno battuto”. “Abbiamo interpretato iltesto – spiega Vicky Franzinetti - come riflesso del passaggio da una cultura della certezza religiosa aquella dubitativa dell’interpretazione”. Sullo sfondo di una catastrofe, la caduta di Gerusalemme e ladistruzione del secondo Tempio ad opera dei romani, gli autori presentano al lettore diversi spunti diriflessione, soffermandosi sulle domande che emergono in ogni epoca, in ogni crisi storica e a cuinessuno ha ancora dato una definitiva risposta.

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n. 12 | dicembre 2010 pagine ebraiche

Di fronte al Libro

DOSSIER/Talmud

ú–– Stefano Levi Della Torre

Ho cominciato a studiare qualche pagina del Talmud verso iquarant’anni, dopo la morte di mio padre, per una specie di te-shuvàh, di conversione non religiosa, ma ispirata a un senso diappartenenza ad una storia millenaria. Mi sono scelto un maestro,Haim Baharier, e ho seguito le sue lezioni per quindici anni.Non sono diventato né un credente né uno shomer miztvot, maal Talmud mi sono avvicinato con ammirazione e affetto. Affettoper qualcosa che riguarda i miei antenati e me stesso; ammira-zione, per un’elaborazione che non vuole essere un pensierounico al pari di un catechismo, ma è al contrario, per programma,un pensiero multiplo, a più voci e più tesi; che affida al lettorelo stesso compito che si sono assunti i suoi protagonisti: quellodi interpretare. Cioè di cimentarsi col carattere ipotetico dellanostra comprensione dei fatti, delle parole e delle Scritture. Ca-rattere ipotetico perché consapevole della nostra umana parzialità,ma lontanissimo dallo scetticismo, perché teso instancabilmentea trovare un senso, a definire comportamenti e norme. E’un pen-siero in continua formazione, e lo cogliamo nel suo formarsi. Non vi cerco cose in cui credere, né soluzioni; cerco invece diintravedere, in quelle pagine, i problemi che non si possono elu-dere, su cui si sono cimentati i nostri antichi maestri: i rapportitra verità e decisione, tra etica e legge, tra norma e affetti, trapersona e collettività, tra donna e uomo, tra realtà conoscibilee trascendenza. Problemi inesauribili e sempre attuali, che nonpossono essere risolti una volta per tutte ma devono esserlo divolta in volta, d’epoca in epoca. Il mio interesse ha un vettore inverso a quello di un religioso: ilreligioso credo sia più interessato a derivare dai testi la propriaidentità e dalle conclusioni normative i propri comportamenti,mentre io assumo la norma come un indizio da cui risalire allostato di necessità che l’ha motivata. I testi mi insegnano a “pensarea come si pensa”, a quali siano i criteri “a monte”, spesso impliciti,con cui si classificano le cose e i fatti, con cui si formano le ideee si prendono le decisioni. Più che le conclusioni, che mi sem-brano del passato, mi interessano i criteri di pensiero, che misembrano attuali. Risalire ai criteri di pensiero e ridefinirli è piùche mai all’ordine del giorno, oggi: i profondi cambiamenti incorso, in cui si rimescolano mentalità e popolazioni, in cui cam-

biano le identità sociali, e i modi di produzione, consumo e co-municazione, in cui va spostandosi il baricentro economico epolitico del mondo, rimettono in discussione le categorie mentalie i linguaggi: le cose richiedono nuove definizioni e nuove co-ordinate, e una verifica dei nostri criteri. Non era analogo il compito dei maestri del Talmud? Nel tempodella loro elaborazione, il mondo ebraico attraversava una pro-lungata catastrofe: dalla caduta di Gerusalemme e la distruzionedel Santuario nel I secolo, alla conversione dell’impero al cri-stianesimo (e del cristianesimo all’impero) nel IV secolo. Sullosfondo di questa tragedia nello spazio globalizzato dell’imperoe dell’ellenismo, il Talmud è la registrazione del grande dibattitorabbinico su come cambiare per dare una prospettiva alla civiltàebraica dispersa e deprivata del suo centro religioso e politico.Nel Talmud si affronta il grande compito di una trasformazione“topologica” dell’ebraismo: una mutazione radicale ma senzarotture, all’insegna della continuità. Da Mosè al Talmud, dal Tal-mud ai nostri giorni.Incontreremo in quelle pagine molti paradossi, sorrisi e antemi.Talvolta duelli epici tra eroi della controversia, come in Omerotra eroi dello scudo e della spada. Il buon senso “laico” torceràil naso di fronte certe sproporzioni tra l’accanimento del dibattitoe la frequente esiguità del suo oggetto: quale ad esempio dovràessere l’ora esatta di una preghiera, o quando sarà puro o impuroun sacchetto che contiene un peso… Eppure proprio in questairragionevole sproporzione, in questa cura dell’inezia, troveremouno dei criteri più importanti della logica talmudica: la validitàgenerale di un sistema normativo o di una concezione del mondosi verifica infatti non solo e non tanto sulle cose più importantie centrali, dove è più determinata, bensì su come si ripercuotasulle cose più insignificanti e marginali, dove è più sfuggente edove si moltiplicano le eccezioni alla regola e le dispersioni. Masono proprio i paradossi spesso ironici del testo a insegnarci ladistanza con cui leggerlo: è appunto l’ironia con cui una gene-razione guarda alle generazioni che la precedono: un modo cheprende sul serio il passato, ma non accetta di considerarlo l’ultimaparola e di identificarsi in esso (come fanno i tradizionalisti), mache da’ il segno di una continua rimodellazione. Perché la tra-dizione non è il passato, ma la memoria e lo spessore storico diciò che di volta in volta è attuale.

Daf Yomi: le pagine, i giorniVALORI SENZA TEMPO

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

ú– VENEZIA - I 500 ANNI DEL GHETTO

ú–– Hugo Pratt

Avevo quattro o cinque anni, forse sei, quan-do mia nonna si faceva accompagnare da meal Ghetto Vecchio di Venezia. Andavamo avisitare una sua amica, la signora Bora Levi,che abitava in una casa vecchia. A questacasa si accedeva salendo un’antica scala dilegno esterna chiamata “scala matta” oppure“scala delle pantegane”, o ancora “scala turca”.La signora Bora Levi mi dava un confetto,una tazza di cioccolata bollente e densa, edue biscotti senza sale, che non mi piacevano.Poi lei e la nonna, immancabilmente, si se-devano e giocavano a carte, sorridendo e sus-surrando frasi per me incomprensibili. E così,a me non restava che passare minuziosamen-te in rassegna tutti i cento medaglioni appesialla parete di velluto rosso scuro, che mi os-servavano dai loro ovali di vetro. Dico chemi osservavano, perché questi medaglioniracchiudevano vecchi ritratti di severi signoriin uniformi asburgiche o di rabbini con trec-cine nere e feltri a larghe tese. E tutti sem-bravano fissarmi con un’insistenza che certosconfinava nell’indiscrezione. Un po’ imba-razzato andavo alla finestra della cucina eguardavo giù in un campiello erboso con unavera da pozzo coperta di edera. Quel cam-piello ha un nome: Corte Sconta detta Ar-cana. Per entrarvi si dovevano aprire setteporte, ognuna delle quale aveva inciso il no-me di un shed, ossia di un demonio della ca-sta dei Shedim, generata da Adamo durantela sua separazione da Eva, dopo l’atto di di-subbidienza. Ogni porta si apriva con unaparola magica, che era poi il nome del de-mone stesso. Ricordo che un giorno la si-

gnora Bora Levi mi prese per mano e micondusse nella Corte Sconta illuminando ilcammino con un “menorah”, il candelabroa sette braccia, e ogni volta che apriva unaporta soffiava su una candela. La corte erapiena di sculture e graffiti: un re armato di

arco e frecce, a cavallo di un dio; un neonato;una cacciatrice anch’essa con arco e frecce;una vacca con un occhio solo; una stella asei punte; un cerchio tracciato nel suolo conlo scopo di far ballare una ragazza nuda; inomi degli angeli caduti o veleni di Dio, Sa-

mael, Satael, Amabiel. La signora ebrea miparlava di tutte quelle cose, rispondendo allemie domande. Poi apriva una porta sul fondodella corte e mi faceva passare in una callecon le erbe alte, che conduceva in un altrocampiello bellissimo e che molto più tardiritrovai uguale e pieno di fiori in una casadella Juderia di Cordoba. Quei due campielliintercomunicanti tramite la piccola calle na-scosta chiamata “Calle Stretta della Nostal-gia”, rappresentavano il centro favoloso dovesi univano due mondi segreti: uno apparte-nente alle discipline talmudistiche e l’altroappartenente a quelle esoteriche giudeo-gre-co-orientali. Tutto questo dedalo di scale,calli, corti e campielli si chiamava il “Serragliodelle Belle Idee” o anche “Serraglio dei Giu-dei”. In questo luogo bellissimo i miei com-pagni di giochi erano bambini ebrei, bravi araccontare le cose antiche e a scavalcare mu-retti di cinta proibiti. Le bambine, in più, ave-vano dei sorrisi inquietanti che io leggevonei loro occhi all’ombra dorata delle soffitte.(…) A una certa ora mia nonna decideva diritornare a casa e in quel momento sentivofisicamente il dolore del distacco da quei mi-steriosi amici. Essendo troppo giovane, i mieinon mi lasciavano ancora circolare da solo,perciò dovevo aspettare una o più settimaneper ritornare nel ghetto. Rincasando con mianonna passavamo per il Rio della Sensa allaMadonna dell’Orto, dove sono incastrate neimuri dell’antico Fontego dei Mori o Saracenile statue dei tre fratelli arabi: El Rioba, Sandie Afani. Quando domandavo chi mai fosseroquei signori vestiti alla “grega”, mia nonnarispondeva che erano mori, mammalucchiturchi. Insomma, cose da non chiedere mi

Corte sconta, corte magicaLe memorie di Hugo Pratt, fra calli e misteri

La favola di Venezia non è so-

lo una pietra miliare della let-

teratura disegnata. L’incanto

indelebile negli occhi di tanti

adolescenti che sul bianco del

foglio e sul nero della china

di Pratt sono diventati gli

adulti di oggi. Non è solo l’ir-

ruzione di Corto Maltese nella

fantasia collettiva di milioni

di lettori. È anche una guida

turistica tutta speciale alla

città e in particolare all’animo ebraico e cosmopolita di

Venezia. Fra le innumerevoli guide di Venezia che si sono

pubblicate e che continuano ad apparire senza sosta in

libreria, ne serviva davvero una in forma d’avventura a

fumetti? A quanto pare sì, visto che nell’immaginario di

moltissimi frequentatori della Venezia reale e della Ve-

nezia immaginaria, le angolature, le inquadrature, gli

scenari che fanno da sfondo alle avventure di Corto Mal-

tese costituiscono un’impronta fortemente evocativa.

Tanto è vero che Guido Fuga e Lele Vianello si sono la-

sciati guidare proprio da Hugo Pratt per mettere assieme

Corto Sconto. La guida di Corto Maltese alla Venezia na-

scosta (Rizzoli Lizard editore). Proprio grazie a questa

pubblicazione, da cui provengono alcune citazioni visuali

che corredano questo articolo, è possibile rimettersi sul-

le tracce del misterioso personaggio inventato da Pratt

e scoprire da dove vengono tanti suoi riferimenti. Il la-

Il concerto. La prolusione. Gli interventi ufficiali. I convegni.

Le conferenze. La presentazione di tante prestigiose pubbli-

cazioni. Il Mercante di Shakespeare che va in scena all’aperto.

Il mondo ebraico e tanta parte del mondo della cultura, del-

l’informazione e della creazione in questi giorni guardano a

Venezia e molti hanno iscritto un appuntamento con la me-

ravigliosa città lagunare e con il suo inimitabile quartiere

ebraico, il primo fra tutti i ghetti, nella propria agenda. Ap-

puntamento a Venezia, almeno per i fortunati che riusciranno

ad essere presenti ad alcune delle manifestazioni cui Pagine

Ebraiche ha già dedicato il dossier dello scorso numero e

tanti altri servizi. Ma anche impegno di riscoprire Venezia

nei suoi aspetti più intimi e misteriosi, distaccandosi per un

attimo dalle scadenze e dagli impegni della vita sociale e del

calendario culturale per andarsene in giro accompagnati dai

propri pensieri. Se l’occasione sarà propizia, potrà essere

un’avventura meravigliosa andare a passeggio fra le calli più

o meno a caso, all’interno del ghetto che fu istituito cinque

secoli fa o lì intorno, nel sestriere di Cannaregio, il più silen-

A passeggio con Corto Maltese

Una guida nel caleidoscopio

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zioso e fortunatamente il meno battuto dagli ossessi del tu-

rismo di massa. In buona e rara compagnia. O anche da soli,

al fianco di Corto Maltese e degli altri personaggi immaginati

nei suoi indimenticabili romanzi disegnati, da un artista d’ec-

cezione, Hugo Pratt, che più d’ogni altro ha contribuito a sol-

leticare la conoscenza della matrice ebraica di Venezia. E riaf-

fiorano come mille citazioni di luoghi e di storie le immagini

della Favola di Venezia e di Corte sconta detta arcana, con

cui Pratt ha emozionato milioni di lettori. Nel testo che ap-

pare in queste pagine, lo stralcio da uno scritto che Pratt ci

ha lasciato per aiutare i tanti appassionati a capire meglio

da dove traggono origine e ver-

so dove veleggiano le sue me-

morie e le sue fantasie, l’autore

chiarisce molti misteri e si di-

mostra un osservatore della Ve-

nezia ebraica attento e sensibi-

le. Un’identità che attraversa

tutta la città, non resta confi-

nata ai campi del ghetto e si interseca incessantemente con

le mille altre storie che fanno brillare in eterno questo pre-

zioso caleidoscopio. Mettiamoci sui suoi passi.

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P33

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

faceva capire. Dopo di che la nonna se neandava a giocare qualche numero al lotto,secondo la cabala veneziana delle lotterie. Ein me restavano irrisolti questi interrogativiturchi, saraceni, arabi che mi incuriosivanoa tal punto che cominciai a chiedere spiega-zioni ai moltissimi membri della mia famiglia.Così venni a sapere che i Genero, ai qualiapparteneva mia madre, venivano dalla spa-gnola Toledo ed erano di origine sefardita-marrana, convertitisi al cristianesimo in con-seguenza delle crudeli persecuzioni avvenutein Spagna nel 1390. (…) Passò qualche annoe cominciai ad andare da solo nel ghetto, fre-quentando con sempre maggiore assiduitàgli amici dei due campielli e le loro case. Poigli avvenimenti mi portarono in Africa. (…)Ritornai in Italia che la guerra non era ancorafinita: le case del ghetto di Venezia eranochiuse e gli ebrei fuggiti si nascondevanonelle abitazioni dei veneziani. Di notte, pianopiano, si raccontavano di nuovo antiche storiearabo-spagnole e si parlava del la città caba-listica di Safed in Palestina dove c’era la tom-ba di Simon Ben Yohai, ritenuto l’autore dello

Zohar, “Il libro degli Splendori”. E ancorauna volta, quando ricorrevano le feste, man-giavo i biscotti senza sale che non mi piace-vano. Finì la guerra. Da allora io vado e ven-go per il mondo, quasi senza meta. Ma a Ve-nezia ci torno sempre. Cammino per le suecalli, attraverso i canali, mi fermo sui pontie osservo che sulle rive non ci sono più igranchi che al pomeriggio se ne stavano pi-gramente a prendere il sole. Non ci sono piùda tanti anni. Cerco i posti di quando erobambino, ma molte volte non li riconosco.

La scala matta non c’è più e non più, neppurela signora Bora Levi. Le finestre della suacasa sono murate, la fisionomia del luogo ècambiata. Quando chiedo non mi sanno ri-spondere. Gente giovane che non sa, oppurequalche vecchio che non vuole ricordare. Ungiorno, il nome della vecchia signora ebreache mi dava il confetto e la cioccolata bol-lente l’ho ritrovato inciso sopra una lastra dimarmo vicino al portone dell’antica ScholaEspanola assieme a quelli degli altri ebrei de-portati e non più tornati dall’ultima guerra.

Non sono molti questi nomi, perché Venezianascose i suoi ebrei. Li nascose nelle sue“Corti Sconte” dette “Arcane”. Corti celateancora oggi dietro muri gelosi, con numericivici che si reinventano quando qualche pro-fano guarda troppo a lungo. Rimangono inomi vetusti e sbiaditi, scritti su grandi ret-tangoli bianchi bordati di nero come carton-cini funerari, e i gatti soriani che sembranosuggerire, quasi come un indovinello, chetutto là è come una volta. Bisogna voler tro-vare. E forse si può trovare appena oltre ilPonte Ebreo, quando si entra nelle osterie,dove si gioca ancora con le vecchie carte ara-be, la Saracena, la Maomettana, oppure laBella Giudea. Giochi di Oriente e spagnoli.Gli ebrei marrani avevano le loro carte e levecchie chiavi delle case spagnole sugli stipitidelle porte veneziane. Quasi una promessadi ritorno alla diaspora voluta dall’inquisizionespagnola. Anche a casa mia c’era una chiavespagnola toledana: mia nonna me l’aveva la-sciata in eredità insieme al suo ironico fata-lismo e a un mazzo di carte arabe che sicu-ramente sono magiche. (…)

voro meticoloso e immenso di

Pratt, infatti, non è solo un mosai-

co di citazioni letterarie, ma anche

una incessante rievocazione per

nulla casuale di angoli, di dettagli,

di frammenti di città che aprono

le porte del mistero, dell’avven-

tura e dell’esplorazione. Venezia

non è altro che un’enciclopedia di frammenti di vita e

di identità, il catalogo vivente di tutte le storie del mon-

do che Pratt sognava di percorrere. E prime fra tutte,

nel cuore del mito della città sull’acqua, si trovano gli

itinerari ebraici che a Venezia si danno appuntamento.

Nei suoi appunti Pratt cita abbondantemente angoli mi-

steriosi del ghetto, giardini nascosti, ponti che collegano

un mondo a un altro, campi segreti, altane e vere di poz-

zo. E tutto intorno al quartiere ebraico, nella corona

concentrica di canali che attraversa il sestriere di Can-

naregio ed espande il suo respiro oltre

le fondamenta nuove, più il cammino

si fa solitario e silenzioso più si mol-

tiplicano a ben cercare con lo sguardo

i segni delle mille identità che hanno

fatto Venezia. I tre mori all’angolo del-

la casa del Tiziano, l’abbeveratoio de-

gli animali, il mercante che conduce il

cammello, gli enigmatici simboli mas-

sonici e alchemici. E per prendere il

largo verso quell’orizzonte che è stato

definito il più grande acquerello del-

l’universo, il suggestivo squero del rio

della Sensa, da cui è ancora possibile fendere l’acqua

con il proprio legno, lasciarsi le consuetudini alle spalle

e andare ancora più lontani.

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Il campionato e lo Shabbat: Israele divisoIl problema non è nuovo. Ma

ogni mediazione tra tifosi,

giocatori e federazione finora

è andata a rotoli. E così le an-

tenne dei grandi media con-

tinuano a essere sintonizzate

sul calcio israeliano, anche se

non certo per i suoi meriti

sportivi. È l’interrogativo che

turba da sempre i tifosi ri-

spettosi delle regole ebraiche:

fino a che minuto posso re-

starmene allo stadio e quando

invece devo andare a casa per

prepararmi alla festa? Una

parte degli incontri del cam-

pionato inizia infatti di vener-

dì pomeriggio, alle 15. E que-

sto è un problema per molti,

soprattutto nella stagione in-

vernale quando la luce cala

molto presto e contestual-

mente fa il suo ingresso lo

Shabbat, il momento più sa-

cro della settimana. “As the

Sabbath Nears in Israel, Soc-

cer Becomes a Test of Faith”

scrive il New York Times, rac-

cogliendo le voci di alcuni

supporter alle prese con mille

dilemmi e perplessità. Un pro-

blema che si ripropone anche

per gli incontri che si dispu-

tano al sabato. Perché molti

calciatori sono ortodossi e

lottano ogni giorno per con-

ciliare i ritmi del professioni-

smo con l’osservanza delle re-

gole. Per restare a un certo li-

vello, però, sono costretti a

cedere. La federazione sem-

bra infatti irremovibile, con-

sapevole del fatto che se si in-

dividuasse un altro giorno an-

drebbe a cadere nella setti-

mana lavorativa. E questo

comporterebbe il rischio, con-

creto, di avere stadi vuoti e

meno introiti pubblicitari. Ma

il tema è molto più comples-

so. Su questo punto si consu-

ma infatti una lacerante spac-

catura tra le due anime di

Israele, quella religiosa e quel-

la laica. In agosto l’avvocato

dello Stato ha stabilito “che

nessuno potrà essere perse-

guito perché gioca a calcio di

sabato”. Di segno opposto una

precedente sentenza del Tri-

bunale del lavoro.

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n. 4 | aprile 2016 pagine ebraiche

ú–– Adam Smulevich

L’indifferenza e la neutralità nonsono accettabili. È giusto inveceche ciascuno dica qual è la sua opi-nione, senza fraintendimenti. Per-ché se non si ha il coraggio di direche si è contro la violenza è giustoche si sappia e che ciascuno possafare le più opportune valutazionial riguardo”. A 75 anni Renzo Uli-vieri non ha perso la voglia di bat-tersi per le cause in cui crede. Lofaceva in panchina, in Serie A, Be nelle leghe minori. Continua afarlo oggi che degli allenatori dicalcio italiani è il presidente. Le deliranti affermazioni di Tavec-chio su ebrei e omosessuali. Gliepisodi di razzismo che continua-no a infestare le curve. I beceri ulu-lati a calciatori di colore, ma anchel’aggressione al radiocronista dellaFiorentina e l’orrendo riferimentoal “treno per Mauthausen”. “Tirauna brutta aria, che è specchio diuna pericolosa deriva attraversatadal paese. Sarà che siamo un po-polo giovane, che è stato migrantema che di immigrati ne ha ricevutiancora molto pochi rispetto ad al-tre nazioni. Di sicuro c’è da inter-rogarsi e da agire al più presto,perché la situazione sta diventandointollerabile” dice Ulivieri a PagineEbraiche. Sicuramente il mondo del calcio,a partire dai giocatori, può faremolto. Perché, garantisce il mister,“almeno negli spogliatoi il razzi-smo non esiste”. Possono esisteredissidi e problemi di altro tipo, in-compatibilità caratteriali, ostilitàcausate dalla forte competitivitàdell’ambiente. Ma il razzismo, no,“tanti sono i popoli e le cultureche condividono, quotidianamentee sotto lo stesso tetto, un’avventurasportiva”. Per Ulivieri, di cui sono noti la pas-

sione e l’impegno politico, è il mo-mento di essere “partigiani”. Ancheperché, ricorda, quando il calciovuole lanciare dei messaggi “spessolo fa in modo incisivo”. Comequando i calciatori del Treviso, al-cuni anni fa, si dipinsero la facciadi nero in solidarietà a un lorocompagno, il giovane nigerianoOmolade, bersaglio di un gruppodi sedicenti tifosi. Un gesto sem-plice, che fece il giro del mondo eche non pochi mal di stomacocausò all’effervescente sindaco diallora, lo “sceriffo” Gentilini. “Sonopiccoli gesti - afferma Ulivieri - ma

che possono lanciare un segnale atutto il paese”. Anche perché, mentre parliamo,fanno il giro del mondo ben altreimmagini. Come quelle dell’ultràdello Sparta Praga che, in trasfertaa Roma, ha pensato bene di uri-nare addosso a una zingara. “Sonoimmagini che evocano un passatoche fa paura e di cui forse non c’èsufficiente consapevolezza. Eppure– sottolinea Ulivieri – un po’ dipaura in più ci farebbe tanto beneper rimetterci in carreggiata”. Anche se la messa a punto rischiadi essere un po’ frenata in partenza.

Ulivieri lamenta infatti l’assenza dicredibilità di alcuni dirigenti delcalcio italiano, spesso portata al-l’attenzione della pubblica opinio-ne in passato. A partire dall’attualepresidente federale, Carlo Tavec-chio, che non ha esitato a definire“inadeguato” per l’incarico asse-gnatogli nell’estate di due anni fa.Sia per le idee che ha su certe que-stioni fondamentali, non ultimo ilrispetto di identità e minoranze“altre”, sia per il modo in cui leesprime.“Mi pare che il gap sia doppio.Espressivo appunto, e in alcuni ca-si anche di sostanza. Il problemapiù in generale, di Tavecchio e dialtri come lui, è di non saper af-frontare le cose in modo adeguato.La lingua parlata – sostiene Ulivieri– diventa così il riflesso di unamancanza che è prima di tutto cul-turale”. Una mancanza che si ripercuoteanche sulla crisi del calcio italiano:crisi nei risultati, ma anche stadisempre più vuoti e curve che sonospesso ostaggio di fazioni estremi-ste. Uno scenario desolante. “La situazione non è omogenea ebisogna analizzare caso per caso.Di sicuro tempo fa c’è stata unastretta e qualche risultato è statoraggiungo. Per far sì che resti unatraccia servono però pene e san-zioni sicure”. Certezza della pena, dunque. An-che se, dice Ulivieri, “con gradua-lità”. Perché la strada è ardua e per-ché le società, talvolta, sembranoscontrarsi con logiche molto dif-ficili da sradicare. L’importante, so-stiene il nostro interlocutore, è chealle belle parole, alle belle inten-zioni proclamate a mezzo stampa,seguano necessariamente “delleiniziative concrete”. È l’ora di met-terci la faccia. È l’ora di essere par-tigiani.

“Contro il razzismo, mettiamoci la faccia”Il presidente degli allenatori italiani lancia la sfida al mondo del calcio

“Non ho niente contro gli ebrei, ma

meglio tenerli a bada” dice il pre-

sidente della Federcalcio Carlo Ta-

vecchio nel corso di un colloquio

con il direttore della rivista Soc-

cerlife, reso pubblico dal Corriere

della sera in novembre. Tavecchio

inoltre afferma: “Gli omosessuali?

Teneteli lontani, io sono normale”.

Ancora razzismo nella Curva Nord la-

ziale. Durante la partita contro il Na-

poli in febbraio, gli ultrà biancoce-

lesti intonano più volte il coro “O Ve-

suvio lavali con il fuoco” indirizzato

ai tifosi ospiti. Anche se il trattamen-

to peggiore lo riservano a Koulibaly,

difensore partenopeo, bersaglio di

ululati per tutto l’incontro.

“David Guetta, c’è un treno per

Mauthausen che ti aspetta”. Così

un gruppo di tifosi della Fiorentina

si rivolge in febbraio al popolare

radiocronista viola al termine del-

l’incontro di Europa League tra la

squadra di Paulo Sousa e il Totten-

ham. Guetta era nella metro di Lon-

dra assieme ad alcuni colleghi.

In occasione del recente incontro

con lo Sparta Praga, alcuni tifosi

della Lazio manifestano chiara-

mente la loro contrarietà al raz-

zismo e, al Colosseo, si rendono

protagonisti di un flash mob. “We

Love S.S. Lazio 1900 - We Fight

Racism”, il loro slogan.

u Renzo Ulivieri è nato a San

Miniato nel 1941. Nell’immagine

piccola è con l’allenatore della

Juventus, Massimiliano Allegri.

LE SPARATE DI TAVECCHIO, GLI ULULATI A KOULIBALY: LA SERIE A AL BIVIO

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pagine ebraiche n. 4 | aprile 2016

Nel grande palcoscenico di Cibus– presentato negli scorsi giorni aMilano, la fiera internazionale de-dicata al cibo che si svolge ognidue anni a Parma, sarà nuovamen-te protagonista K.it, il marchio ca-sher promosso dall’Unione delleComunità Ebraiche Italiane. Inparticolare, come spiega in una no-ta Fiere Parma, quest’anno (9-12maggio) sarà aperta per la primavolta una sezione dedicata al mon-do alimentare casher, ovvero conprodotti che rispettano le regolealimentari ebraiche. Secondo lastessa filosofia, sarà anche presenteuno spazio dedicato al halal, ov-vero ai prodotti che seguono le re-gole islamiche. “L’iniziativa – spie-ga Fiere Parma – fa parte del Pro-getto di promozione delle certifi-cazioni agroalimentari Made inItaly promosse dal Ministero perlo Sviluppo economico in colla-borazione con Federalimentari,l’Unione delle Comunità EbraicheItaliane e il Centro italiano di cul-

tura islamica”. “I comparti storici di Cibus sonoaffollati da tanti espositori, in parte

nuovi in parte che tornano dopoqualche assenza – ha spiegato nelcorso della presentazione della ma-

nifestazione a Milano Elda Ghi-retti, Cibus Brand Manager – maospitiamo anche new entry come

il fresco, il freschissimo con nuoviplayers della quarta gamma, l’ittico,lo showcase dei prodotti italianiHalal/Kosher. Cibusè ormai unakermesse con centinaia di showcooking, degustazioni, eventi diogni tipo, oltre a 25 convegni eworkshop”.“Ai produttori è necessario far ca-pire che la certificazione casherapre orizzonti diventando una levaper entrare in tutti quei mercati incui i controlli sono un valore ag-giunto” dice Jacqueline Fellus, as-sessore UCEI con delega al cultoe responsabile per K.it. Al fine didiffondere la conoscenza della ca-sherut come sinonimo di qualitàanche tra gli utenti, Fellus presen-terà un’applicazione promossa in-sieme al Ministero grazie alla quale– sottolinea – “sarà possibile infor-mare e mettere in ordine il mer-cato italiano, segnalando tutti iprodotti già certificati, che si pos-sono già trovare nei supermercatie magari non tutti lo sanno”.

Cibus, il casher protagonista

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