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HL F 8010 DEL DIAIVOLO Vol. 1.o NAPOL1- ~f an cesoa Casella fu Gennror~ Libraio-Editore Strada MVolo N. 21.

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HL F 8010 DEL DIAIVOLOVol. 1.o

NAPOL1- ~f an cesoa Casella fu Gennror~

Libraio-Editore Strada MVolo N. 21.

E'RANCESCO IIUSTRIANEI

IL

FIE'LIO DEL DIAVOL

Vgaol., I.

YP AR ·'_tJIJ~~)qSTE 1j:~- '~

'IERESA BONANJNO

11 30 lugFio dell'anno; 1789 era stata impic-cata a Palermo nel mezzo della; Piazwza i-gliena una veochlia di oltre ottant' anni a no·mre Giovanna Bonannto, assai nota in quell' i·sola ~solto I ilnome di Vecchis dall' acefo.

Questa vecchia era stata conidannata a mor-to come avvoleaatrice .......

Un venti anni appre3sso, poco prima o pocodopo nea sapremmo dire coni precisione, unalicechis di simad 65 ando abitana ia N`apoli

nel prime ide due vicoletti addlilnanrdati di Poni-tescureo.

Questa vacchia nomavasi Teresa Bonanno, edecra nipote di Giovanna, I'arvelenatrice, impic-cata a Palermo.

feresa esercitava in Napoli un mestiero qua-si simile a qIuello chie la zia esercitava in Pa-lermo.

Questa vecchia infame aveva una flgiuolaancora bellissima che si nomava Giuditta ,t;he in quel temipo , ciod veroo I' anno 11809 ,contar poteva us 35 anni a un dipresso.

Nessua unmo si era mai arrischiato di avvi-cinarsi alla Giaditta. No~ diremo in appres~solet ragioni.

Si racconta che il re Ferdinando IV, a cutplacedno molto le belle donne, ebbe un giornoper caso vedula la Giuditta, quiando coste~i eratrilustre glovanetta. La / gliuota della strBSEg ,come la Teresa fla d'allora era chiiamatai ve-niiva dalla strada di Gasanova , e ii real coc-chio , in cui era if re a flanco della regina ,andava inverso Poggioreale. It re aveva unavista che distingyueva le helle donne a us quar-to di chilometro.

Nella carrozza reale era il duca d'A..... pri-mo cavallerizzo ordinriAo di sua maest'a il re.

Quiandro la carro·zza pass0 coi suoi volantidinanzi alla Gidiittha, costai sj cra femralta per

rigilardaire le: auguste s;embianze diel a:e a decllair:egmia.

Ferdiniando premelte il piede del suao primnocavallerizzo .

G;ioditta era bella , non sappiamo se pmu omeno della Giuditta che mozzi il capo di 0-loferne; ma noi crediamo che fosse diedi volltepMi bella di questa.

Erat bruna, ma il Ipiik dilicato color dli rosadava allo sue gluance la freschiezza, la legsia8-dria e la vivacild di quelle passative nugolette:tutto civetteria , e quali si affacciano in sultramonto per rivestirst di tutt'i graziost colori,the il sole sembra dissemninare per la voltadel clelo innanzi di lasciarne it domintio allestelle. Unai reginia avrchbe invidiato la denta-tura di Gioditta; p , se i pitt casti angioli dlelclelo0 avesse~o affisato gli occhi della figliuo-la della strega , avrebbero di bel niuovo desi-derata la c~ame delle figlie d' Eva. Le suechiome~ del colore degli occhi, nere come la mez-zainotte, erano si lunghe che, disciolt.e ini sui lememnbra ignude, ti avrebbero fatto credere quael-la doona avvolta in on funebre lenzuolo.

Pel consueto, una veste color del fuoco cin-gevale i 11anichi , mncritre: 10 braiccia e I' altezzaPdeL seno 0 it collo deoudati cila mostrava aiTiochi avventurati chie si aveano la sorte d' iai-

contrarlia

p- 8 -

Abbiamo dotto thie la Treresa Bo0nanno, madredli Gliuditta , abitava nel primo dei due vicolettidi Pontesouro.

I'abitazione di questa vecchia, tenuta in con-cetto di stroga,era andi una catapecchia che unacasa : era ad un primo piano , at quale si sa-liva per una sola ~brancai di scala_ a collo , conu~na decina di scalini alti, dirupati e fangos .

II palazzolto aven diversi :piani, si che le va-rie branchie delle scale si rigiravano intorno in:guisa da lasciare ael .mezzo una specie di pozzoprofondo, in cui, secoado la popolare credenzadi quci tempi, avea sua stanza niente meno chiemessere it diavolo.

Quel palazzotto era rimasto per anni ed annidiserteo di pigionali. Chianque passava per quel-la via ed a costa del nero portone si faceva itsegno della croce.

I monelli della ottina, dopo maturo consigylio,gJuidat;i dal pitt grandetto e animoso si cacciava-no in quella portella , si arrampicavano adagios i labrici scalini; e l' uno stretto alle spalledell'altro, tenendosi il flato per paura e perples-sità mossi da potente curiosit'a, si arrischiavanoa giitare un' occhiiata, entro le soute visceri delpozzo, nella sper·anza d'intravedere la punta d'u-na delle corna del demonio. Ma la paura era plupossente della curiosifa;e tosto Jl'i avreste vedu··11 scapparsene a rompicollo.... Qualobleduno di

Joro giurava di aver uldito tOmor dI catene o d'a-ver visto nel buio fonado della cisterna due gran·di· occhi di fuoco.

Talvolta egli inacontrava chiela recchia Teresasi trovasse a venir foora dell'uscio della suia ca-tapeechia nel momento che quei piscialletti ora-no aggruppati intorno al largo pertugio scavatonella muraglia o d'onde 1' occhio scopriva le pa-reti del pozzo. Allora la strega rientrava mogiamogia in casa , dava di piglio ad una mazza diglranata, riusciva su la punta dei piedi, ch' ellaavea sempre scalzi , e lasciava cadere la mazzasu le spalle dell' ultimo gruppo, ch' era sempreit pidi timido. In tal caso , era a chi piid prestopotesse camparsela, e quel furfanti, a cui per lafretta di fuggire, smulcciava it piede, ruzzolava-nio la scala, a pie' della quale si trovavano collochiappe sfracassate e contuse. E la strega a~ per-sequitarli fla so la via a colpi di mazza, insino atanto che quelli non si fossero del tutto dilegua-ti al furore di qIuella furia.

UTno di quei monelli spari dal rione, e nonse n'ebbe pit nuoya. Corse la voce che quelpiccolo disgraziato si fosse incaponito a volervedere le corna del diavolo e c;he l'onorevoleemigrato dello inferno, nojato dolla indiscretacuriosilk di quelf'innocente, 10 avesse afferratoper le eartilaglini degli oreochi e so 10 fossestrasc;inato giit nei pr·ofondi. del povZo.

f mag.istrati d ri qul tempo non s;i detterosmoilla premura di verificare- 11 fatto. Chii sa sonon si fossero una antino sgoinentati di fre-garsi col diavolo, 11 quale (I diciamnolo in pa·rentesi) era una potenza negli scorst tempr.Che, peccato thie oggi ei non si degoi pity dibiazzicare nelle cose nostr·e !

La casaccia della strega: aveal ana sola ca-mera e la cucina; · na finestra, ò, meglio, unaimipannata di tela interata, apefra ~su in: so-litario viottolo di cam.ipagna, serviva non is darluce in quella stamnberga, heast a gillardi unafosca e vaporosa t.rasparenza.

Sul davanzale di questa finestmuola eranotre o quattr·o testi di terra cotta can entro ta-June plante.

Diamno un' occhiata ai mobili ed agli arredidi questa casa.

Do sol letto era· nell' iniica stanza , benebb:quivi abitasscro - due persne , la: aladre e laliglia.

It lettuctio tion era propriamente di quIellichoC attestano 16 indiglenza od anche la: povertà.Una lettiera di ferro a ruote , per entrto laiqushic dus~ asserefle di pu ito legno sostenevanoione miaterasse , di cui I' una at lana e l'altra

Sdi capechlio; due gtancialetti can f~edero di";linol .-spesso rinnovate,; e un copertino dii 'ana

f ocso, comlpivano gli arr·edi deil elticciuolo, suicui unal civil persona nion avrebb sdiegnato dicolearsi.

In qutesto letto si giltava a Jormire la bi~llaGiuditta.

La veicchia Teresa clarmiva su una slpecie dimezzanine messo in alto parallelamente al let-taiccio della figthuola.

Ua tavolinetto , su cui era uno speechio a-bilico,. ajquante segliole con sudicia palita e~mancauti quale di carlella;, quaie di re·galettie quale di qualche gamrba, uno stipo di leqnocastagno , ed altre masserizie di minor contoformapaiio f·ammobigliamncrtoo di quecsta unicaastanza della casa di Teresa Bonannro. Tult»cid non accusava ch la miiseria nei ]'agiatezza,e neppure la beata mrzzanith. Ciò notidimeicno,tutto questo facea strano contr`asto coni 10 ve-sti luride, sdrucite, a randelli, chie cascavaniodi sui la lorcia persona della vecchia.

Mfa qIUello, sii cui vorremmo~ scriivere oin lun -go capitolo dove non temcss;imo di aibus·ire lsoppor'tatione dei nostri letori, 6 i quadro chupr'eseintava f'interno dli qurl cavo; che. avrebbiedexut~io essere unia cuoinira, mIa cho( inve:c: cr·aq oa who :cosa cui Jion supreiniiuo fare heue ini-tendtere.

Quivii entro era samnpre: bu~io pirofondo, chornessuna diurna luce. vi penetrava neaiuce ni1

pidi fitto merigio: il· puzzo vi era. intoller·abilec tale che ne sarebbe cas:cato morto chfiunquevi fo~sse entrato di botto.

Ei pare che i polmoni della stroga si fos-sero gi'a da lunga pezza dovuti assuefare aquello infame carbonio che si esalava daquella stiva di immondizie, per entro cui do-veaino formicolare tutte 10 svitriate, famiglie de-gl'ijnsetti schifosi, creati dalla putrefazione edal sudiciume.

Segoataments in temnpi dei forti calori del-I esth si sentiva in quel coo un mormorionauiseabondo : erano 10 doglie: del, marciumecut partoriva la morte esotto 18 forme di fetidigassi e di orribili esalazioni.

P'er rispetto chie abibiamo ai dilicati nervidoi nostri lettori non ci attenderemo di de-strivere ciò che era in qIuella cosi detta cutina,alle cui tenebre le pupille della vecchia si e·rano avvezze come quelle del glatto , in guisachie ella vi dimorava parecchis ore del glornoed anche' della notte senza aver d'uopo di al-cuna luce artificiale.

lYon si pensi pertanto che la vecchia Te-resa stesse in cuctua per cucinare. Come, quan-do, dove e obe mangiassero le due donne nonsappiamo; è certy nondimeno che quei fiornellinon rosseggravano di tizzi ardenti nè per faristemperare it boilito n2 per cuocervi i legu-

mi ad per iscaldare altra vivtanda qualonque.Quella cucina non era altro chec il laborato-

rio delle stregherie della vecchia maliarda.....E so ne raccontavano delle belle della Tere·

sa B)onanno !So i nostri lettori ci promettono di ridero

con noi, diremo qualcuna 'delle prodezze dollastrega di P'ontesouro, una di quelle almeno the

la nostra bisnonna: racconth alla nonnaa e que-sta alla mamma od alle balie.

Una sera, on uomo, usn ricco campaglniuolosi presenta alla maliarda.

- ecchiia-ei dice- in faii In life col miovicino sulla: possidenza· di beillie fertili poderiche il tribunale gli hIa aggliudicati. Oggi i suotcampi sono ricolu di spighie, le sue vigne ca-riche di grappoli, i suoi oliveti gremiti dell'o-]eoso frutlto. PercIocche tutto qIuesto ben diDio non ho potato godermelo io, fa tu chie lagraganola distrugga tutto cid in poca ora. Ec-coti in questo cartoccio diedi once d'oro : eun acconto sul compenso che ti darò qIuando ,Jai merch dell' opera del tuo comnpare, Ja piog-gia dirotta, i fulmini e la gregonola avrannomandato in rovina i campi, i vigneti e gli 0-

livi del mio vicioo Anastasio. Puoi tu, vecchiaTeresa, rendermi un tal servigio ?

- MIaisi c;he poEso , AndreFa - rispose la

Teresa - mn lu devi aggiunglere altrc wamliopce d'oro a:ll dioci, altrimienti il tempo ssarsereno insino alla raccolta.

- Orbe', sieno pure altre 20 le once d'oro,vecchiaccia avara.

- E chi me ne dà malleveria?-Miio cugino Peppe il pizzicagnolo di son

Giovanniello si pone mallevador·e di me! SfeiContenta, stoppaccio d'inferno?

- Be'! Fa ·che venga da me too cugino P;:p-pe e si metta mallevadore di to per gli aitrisessanta ducati; ec tra quindici giornii i cam-iipi, 10 vigne e gli olivi di Anastasio sarann!orovinati dalla gIrgnunola.

Audrea andò di li a pi'egare suo coigino thiegli facesse il placere di dare sicartil di 101ialla sltroga per la summa di sessainta duicati,e gli disse la raqione per cui egl·i sl4endea~qiuesto denaro. BenchE al pizzicaiinolo 1PI:pjro

ben poco prclemese che, Anastasio vede:sse: ;in-dare in roivina i suoi poderi per opierat deldiavolo, anzi, in coscienza, preivasse, in certo!ptungolo di rimiorse che ei dovesse, melctercila mano alla ruina di un niomro cho in s -staniza non =li avea faltto nessuri m;ie almondoit!,Pur non seppe, per debolezza di caretti;rl ,tilluta rsi alle premureo di Anidrea, e a!:dò dalastrr!ga a mieller'si manllevadore- di; costui..

11 contlratta fU fiatto

Ora vollo Dio (cho certo nissuno O tra quellichie Ir~leggeannio la presente storia , il qualevoghai attr:hiiire a Sdataa ed alia strega tinatanta potenzr) chie, rendo serenissimo 11 cieloa mlitissimno I'aere nri una dolce stagione del-I'ainno, di repenite s'inifoscasse di gr·ossi nuglo-Jonii la volta del cielo in guisa da essernotutta ricoporta o abbronzita; e, poco appres-so, a'gagliardi e fuiriosi venti che si erano su-sentati usi su i cigli dei montl e su le Plhe ci-mec dHi pini tennei dietro una pic ! lia si alla-ga;te the avresti daita chie, roitii i p3iti del-I'arica alle:anza, Domiineddio avesse no~vella-ruento scatenate 10 aicque per risom~mergeie ilgenerc umano. E lampi, tuoni, saette, gran-dini e gr·agntuch, il finimondo insomima , nelmiezzo del quile Andrea vile distintamente unafaloange dii demioni ballare tra le nuibi e diver-

teirs a g!ittre Aaisogift le forlgori proprio su i per

Coistui fece una perdita considerabile; e An-drea pago con placere alla strega i sessantaducati piromcssilc.

JI.

Uit NUOVO AFFARE

Un glorno, una omo in su ·i ·trout' anni, diaspetto chvile, di sembiante noni disaggraide·role, bench8 l'occhio destro tendesse un pocoallo strabismo, domandava di Teresa Bonannoai pochii abitanti di qIual vicolo di Podtesculo.Gli fu indicato it sinistro portoucino.

- fla e·lla sputato su la scarpa del pie'drit-to, prima di calzarla? - gli domandò una don-na, ch'era a sedore can un bimbo a petto suI'usciolo della sua casupola, ed alla quale quie-gli si era diretto per aver ccentezza della Bo-nanno.

A queste strane parole de'lla donna quel ga-lantuomno rimase comeC stordito a guardaria, cre-dendo ch'ella si fosse voluto Iprcendere giuocodi lui.

- Cho co.sa initendaete dire, la donna?- Niento, niente - si af~freltt a rispondere

la interrogata come se si fosse pentita di es-sersi lasciato soappar di boccai le imprudentiparole che area proferite - La vecchia Bo-nanno è col'a, in quella casupola , a capo diquesto vicolo, at primo piano... So vossigno-ria ha qualche faccenda da tralttare colla IBo·nanno, si accomodi pure.... A. chi tocca sonsue... La madonna la scansi... IMo ci vuole ,non siamo cristiani per nienite... Vossignoriasa il prover·bio Uomzo awvisato è mtezzo salvatol.

- MIa. insomma, spiegatevri... Vrolete forsefarmii intenadere the la BUonanno B una fattue-chiera ?

-· Gesix e Maria!... Si guardi, si guardi ,rossignoria... Per me, naon metterei i piedecolassu neanco se dovessero farmi regmna.....Non tocchi il martello della porta, per carith.

-- Perch6 ?- Ah! Ella non sa che la fathenchiere uin-

gono 11 mnartello gpr Tar morire le psersoe cheli tacceano?

N'on sappiamo se quel galantuomo credesse!a an a cosiffrateo ridevlli cialtronerie; beni vero,

us sorr·isetio di scherno gli halenb sul labbro.- Non temete, buona donnia, noa to;cheror·

il martello - rispose imiperlanto con una certa·bonomiia, non sappiamo se vera o flata.

- Si è almeno provveduta vossignoria d'unpo'di sale o di un nòcciolo di dattilo? - so-gUith la donna, che sembrava assai bene istrut-ta deglli antidoti atti a cacciare i· malefidl ele stregontirio.

- Va bene, va bene; vi ringrazio dei vostriconsigli, buona donna; saprbò ben io guardarmii.

E, ciu dotto, it gyalastoomo pigliava la via

del portondouo della Bonatnno, senza piu darsipensiero di cib che la donna in su l'uscio glianidava gridando addietro, the clob si segnas-so tre volte innanzi di po;re it pie:de in su lasoglia del palazzo maledetto, dove abitava nian-tement ehe la sposa del diavolo,

Quel signore s'incammiah dlritto dritto in-verso il portone della Bonanno. Fosse effettodi positiva paura o di semplice precautione,nel porre it piede su. la soglia de~l portoucinomaledetto egli gitti un'occhiata sul temnuto mar·-tello, e parve achivarne il contatto.

L'usciolino della casa della Bonianno era a-porto...

Quel signoore si fermu pochi istanti. Dovevaarrishiarsi ad ouitrare, ovvero as;petta:e che

quakhdcduno entraste od usc;isse, per farsi an-unnziare alla strega ?

Prleferi di entrar·e...P'oco manch non riienanesse soillhcato dall'or-

rib le felore che si esalava da quella oscenacaivernuala chie doveva essere una cticina

- Chii -e? chi: - ? - si udi igridae in sulcapo il visitatore, senza discernere la perso-na che aveva ·falta qIuesta interrogazione.

- Ei qui una donna noinata Teresa Ilonanno?·---E tu chi sci?, soggns aocoh

sembrava partire dal patco dea" Oella stanza.L'nioifo Cch si era introdotto in casa della

Bonauno aveva udito nella sua fanciallezza araccontare delle strane trastormnazioni che pi-gliano 18 streghe; ande subitamente gli corseal pensiero che la iofame maliarda sio fossetrastormata in ragno, in topo od in altro ani-male, per lo che levb gli octbhi ai correntidiscoperti dI qluella stanzaccia come le costoledi u00 scheletro, per vedere se in fatti qual-cuno di questi animnali si fosse affacciato aduna trave o ad un correnfe; ma era souro las-shi, e non si sarebbe potuto scorgere unas be-stiolina ·doniciliata nei cropacci di quel luri-do palco.

D' altra handan, il nostro gal~antuomio cra ri-masto un tantinello mortificato che glli si des-se del tu~ da nia respo, da un topo o da un

ragno, comunque solti, le loro for·me si ascon-desse una umana creatura.

- Si pub sapere chi` Sei tu? - disse novel-lamente quella voce.

E questa volta l'uomo vide una testa uscitafuora di un affummicato mezzado, che pigliavadi spazio appena un quarto della stanza.

Mla quella testa era orribile a vedersi. Le-vando gli occhii e scorgendo quell'apparizione,I'uomo aves messo una esolamazione di spa-vento,: chè gl1i "ra pareto un tesobio di anticemorto allacciarsi di su quel, palchietto.

Era propriamente ridotto alle ossee nudithdel teschio qluel capo di maliarda, se tagli chegli occhi rassembravano a due carboni·che stan·no per ispegnersi nella umidith di una fogna.

- lo cerco di Teresa Bonanto - disse I'uo-mo, a cui quel to aveva dato un'aggir·atina aibischeri dei nervi.

- Son :io la Bonanno, che ti afferrii it ma-lanno! - gridb la veechia dli lassh, credendoc;on questa rima di aver fatto us leglgiadromadrigale - Or tu vuoi dirmi, pezzo di tan-ghero, chi tu sei, donde vieni e ci the ti oc-corre ?

- Dird ben io tutte coteste cose, sol che tuti dii fl fastidio di scendere di costassit. A menon torna conto di parlare col ni~Fo in aria.Come pure ti faccio osservare, la veochia, the:

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is non sono gik uno scalzagatti o uan il;lnooa Cui tu ti possi permettere di dare del to; ni:mni sovviene chie assiem cona to io sla andlatounquemai a c;ioncare alla beltola; perchi: far'almeglio ad usar meco quei modi che vogylionsit;enere con persone civdii e rig nardevoli.

Al queste parole la stroga scoppid a ridere'in un modo che avresti giurato di sentire it

gracidare di una rana od it gracohiare di unacornacchiia. Que)lla bocca, a cui a mala appr,·na crano rimasti due o tre canini e quial-che incisivo0, si contorcoa, si sticava, si alluni-gavra ,e quellla faccia di buratto sequiviaa lemovenze di quellai boccai, appunto come quaellef'acsci di~ gommaa elastica cho si falttacurao inaGermania e che si vendono per trrastullare (g!i(ozi di qualche ricco ffanciallonie.

- Ohi! olh ! sta ai vedere -- disse la stregadopo di essersi. smascellata a ridere - sta avedere che oggi mi e vrenuto tra i piedi unmaresciallo di Flranicia o uan diamberlano delr·e G;iacobino (cosi soleva la vtecchia nomareil re Gioacchiino Mauratchie in quel temporegynava in Napoli, e not vedremo forse inprosiegguo di quaesta str·ana storia quali ragio-ria si avera ]la Bosnanno di porro ia canzonaeEif nuovo re di Napoli).

- lo forse piotrei ossere unP marescialloadR an ciamlbelrilao; m~a it certo 6 cho sono

un gentilusom6, 4 pr'etendo the ini s% uJi 11rispetto dovuto.

-Or vuoi tu dirmi chii tor slij e ch-e venghis afir qui, si o no? sequith la strega. la qlualenion si potes svezzare del to thie dava inBdistinta.

enlrne a tutli.Quel signore parv~e chae riffecttesse dover lui

preadere con le buone la maliarda gik chec diessa avea bisogno in quel momento, riserbando-si di farla impiecare tosto 6che la vocchia avessefatto cik he egli aveva in anino .di proporle.

Ecco perchb non ischizzi a quella secondaimpertinenza, e si cootenne, anzi atteggiò ]esembianze ad una smiodfia e sorriso.

-Via via,non andate in colleta,buona donna,parlatemi come vi aggrada, sol che mi facclateil piacere di venite un po' quaggiu chie hio a dir-vi qualche cosa di sottile; ed hio la borsa benfornita .

Questo credette it valentuomo di aggiungjerecome possente motore di quella fronia dell'aniimaumana che avera uome Teresa B;onanno.

- Oh! per cento gatti sCortLicati! - solamb9la vecchia - e perchè non cominciavi di 1a ?perchè non dirmi subito subito che hai: in sac-coccia i ritr·allini ? Vengo suibito...

E qui arreste veduto Ja strega mnelterlsi colcorpo penzoloni dal mezzanino , all' orlo delquale s;i tenne sospera6 alcuni islandi, e poi si

~-· 3 i-E

lasc-io caderc: di .bttat sullo slossato suolo delclla staniza. Comne la. vegliarda ifosse salita laSssinon sappiamio.

Non vogliairao perdere tempo a dire quiallvesti si av·6eva addlosso la T'eresa, poichb fortenie premne dii selyuire it dfialogo chi'ebbe luogote·a qluci duie persoaggs!r.

-- Eccoi;iU a le, ciamiberlano dlel re Giaco-Linio.

Qulesto scherzo rifallo per la seconda vollacra almnanco di pecssimo gusto; mna il nostro ga-Jantuomro non vi die'peso e, andato coll'occhiogin cerca d'una sedia, vi si aCComo1d0 per ra-glonate con manggior agio.

La:J tcchlia trasse di sotto a1 lettuccio, dovedicernmoo cho si poneva a griacere la Giuditta,una tr aniera di h.acss c;assapanca; e vi si sedè.

-- Eccom~i a to, - 6disse con queclla siua voc;eroca - Chc vbuoi?3

·- Occormc che voii mni pr·estia-te ]opera vo-stra, comare Tierea; ed io saprb rjicoioscerei vostri servig~i.

-- Di chot si tr·atta ?- 10 so che vi rampolla nella mente per

diabolica infusione una virtha stragrande.La vacchia sorrise. Qualll'accorto f'avea tooca

sul1 debole.E- I d'Uopo aindare con vodi spe.dito di agui

fnionone

-- Filnisci - grugni la donna can una certasmpazienza .

-- Comiare Teresa, io noll posso ancora dirviit mio nome per talusi riguardi; ma questobensi posso dirvi ohe is sono di molti bent ab-biente e vengo di assai nob I 3 lignaggio; sicch6dove il piacer mio voi facciate, voi potele fare·assegnamento sulla mia generosith.

- Vaoi tu dunque parlare una volta ?- Sappi, comare Teresa - seguiti4 quel ga-

lantuomo thie or dava del: voi ora del in llstrega , secondo thie sembravagli doversi porrepliii a meno in dimestichezza con lei -sappi cheio amo perdulamente una giovane.

- Ah! ah! - sclamò La vecchiia con uIn cotlarisolino, il quale voleva dire ch" ella bene indo·uinava ormai I'oggetto della venufa di lui.

·- Voi non potrete thai figurarvi di che piasgsione io ame questa doizella.

- Si che me tfiguro. Avanti.I Ella nomasi Diana.- Diana! che razza di name è questo? A fe'

mia questa B la prima volta che sento un talname.

- Fatto sta che la donzella, incapricciatape8r Un inuo rivsal povero e plebeo, non risponde

almio amore, anzi mostra per me odio e di-sprezzo. Or bene, io ti confesso che· senza 1' a-.moTe di qulesta donna io non so vivere: darei lai

ninth deì miei glorni per possederne if notlresiTutto cib che da un amante appassionalissimoiipub tentarsi per farsi amare, io lho tentalo: mnibattetti col mio rivale, ed ebbi il placere di ti-rargli un colpor di spada al destro flanco, siccabfai costretto a rendermi fuggiasco per qualchortempo. Ciò the maggiormente dce far maravi-glia si è che la giovane 6 povera,e 10 sposar mesarebbe per lei cosi gran ventura da noa poteurrsperare uno stato migliore. E- su.o padre, impm-·gato di casa mia, C tutto per me. Nulia ci ha~ po-tulo. Or tu devi oprare questo miracolo. comareTe'resa. Emmi stato deLto che, la mercè di certsLue segreto e misteriose praticho, tu sei noapoche volle riuscita a far si cho in sonto dolla~plu svogliata e restia femmina dol mrondo eni-trasse it tarlo dell'amore. Ecdi, comar·e Te'resa;so in cib to riosca, i-t ti fo dono di ben millo du-cati in oro, oltre della sommrretta chie ti heo arr·e-cata oggi stessco comne una caparra dlella mnia ge-·nerosith. So chie in quesia niiniora di str·ego-needi tu sei abilissimna. Ora di', comare; puiol tu1rendermi un colal servizio?

- Veggiamo in. sua le prime il denaro theami hai recato.

-- E giusto -- rispose l'iromoc, a cavC disaccocola un graa barsone di pelle , dondotrasse fuori un gruzzoletto di plastre nuove con]' mmagine del re Giuseppe B3onaparlo-- Eccoti

venli plastre, non gih in conto dei milleduedhìpriromosisi, bendiì comie oin lieve testimonio deliai11113 i·lCODOSCerDZR.

La Vecchia abbranch il denaro nella sua cal-:osa manero comb ,i pezzi affisandloli con oc-chbi di fouoco, e, incartoclatili novellamente 1inquel viluppelto di carta in cuii crano stati avvolticia quci signore,, li profoodò in una luaga ta-scaFcca dn te.la bruna che ella portava ~susposaal sinistro fiauco.

- Bene - disse poscia -- la fard cascaretricta d' amiore ai tual piedi la glovane chioto am;i; mna pensaci bene, il gu~ercio , heso toi, dappoi delf'opera compiuta, non m dja-rai It mile d rucati che m'hai promers:i, ti fa 6scolare! comne candela di sevo a comne uai morto0ini sepoltura.

- A questo non peasare, comar Teresa, co-nosco 11 debito- mrio e it pagherb proprio co-me to promesso.

- Innanizi tutto, sentimi bone I disse 1'am-maliatricee in ar·ia solerine-Iipeti appresso a mequeste~ parole. Vncu, VBc1I, SuEsT,. STY, STu (1).

11-) EFrano quieste le testuall parole chle, man-liairde c gli strogon"i prioferivano alloreh6E si ae-c:iingevandi a far~e alcun mnalelicio. Ci serinbra soi-p'er'liuo di dlichiUtncet choe di qjutsro e dli ;iltre

Quell' niomo , che avoya ricevuto uina civileeducazione ed aveva una tal qualo coltura di spi-rito ,senti dappr·ima una certa repuguanza aipirof~r·ire quelle: strano parole , di cui naon inten-deva it signuifcato, a che forse niot ne avevanoPslauno ; o!de stette alcun po' sospeso , nion sisapendo risolvere a fare anch' egli la parte dellostregone. M~a, imperciocche ]a vecchia insistevaperchè quei monosillabi fossero procuanziati, son-za il chA f'opera infemnale non si potea comnia-ciare ,fu durai fbrza it rassegniarsi a ripeterli ,quiantanquae sembrasse che ciascheduina di quel-le miisteriose sillabe scolttsse illaubbro dài coldachie le proferiva e

Cib fatto,- Dimmi ora , il guercio -- ripigllid la vec-

c;hia - pooi lu procacciarti uan ritratto del garaozo che è amato dalla tua bella ?

-- Per che farne ?-- Occorce! chie tu tel proceedi e subito, so vo-

glliamo giunglere al nostro scopo assai plua spe·ditamoonte.

-B·en~e, dove ciò assolutamente sia indispen-satbile, fardl di avermni un ritratto dàel gJanzo. Epoi ?

solo Per monstrareC a quali oceessi d'incredibili

fitrambezze possa indlurre la mnalvaglilj conglantaala supeorstizionc 6d ailla igiorainka,

- a-8

- E poi , fa mestietyi obe tu ro unga i1 dorse~col grascio d' un morto per consunzione.

Quell' uomo fece un movimen-to di ribrezzo ;di che addattasi la strega,

- Che razza di animo è il tuo che simili inet-toe case ti abbiano a far senlso?-disse la scellera-ta femmina facendo colla bocca unai smorfia, chedir voleva un sogglhigno.

- Gli è che cio obe tu di' , comare Teresanon mi pare mollo fattevole.

- Un po' di fastidio egli 6 pur forza che to~tel tolga ,il guercio. Vorresthi mo en-trate nelcuore della tua ganzal , della tua Driascine, cometu dici che la si chiama, senza che tu dii nessu-nissimo incomodo ?

- Non dico questo,· ma....- Bene : se tu non hai stomaco da premerea

un morto, traggimi qui il ritraltt del too rivale,e ci penserb io ad ungerne it dorso.

- Oh ! ben vi sono obbligatissimo di ciò, co-mare.~.

- Mi darai , s' intende, per questa operazil-ne un cinqIue o sei ducatoni, ch ?

- Sia pure.-Be'! veniamo a noi di presente, e porgimi

attento 1' oreochio.- Sono a voi , comare Teresa.- Quando sarit bene unto il dorso del rilrat-

toa sia ad olio, sia a maniatura, sia a lap·is, occor-

re, per audare pol filo della siniopia, chie to meit-tta la figura in unio spechiietto, di cui slasi rottoper· avventura il cristallo.

- Questo 11 posso ben fare. E poi ?- Ei poi, tre volte al glorno , vale a dire, a1

canto decl gallo, dcl gatto selvatico .e della civet-ta , tu devi con uno aguzzo spillone punzec-chiate quela ritratto della parte del cuoore. Quec-ato i ua mezzo infallibile per fare che la perso-na, di cui l' immagine 6 at tal modo puinzecchia-ta, si dilegui su le ossa can tale rapidith chec inmneno di un mese doventa uno schieletro da con-targlisi addosso 10 costole.

L'aomo si senti scendere 11 fr·eddo pel fllo delrei ,Vpe.nsando choc il povero glavnce, suo ri-

vaedoesse patire una tal morte; che, co-munque sno felice rivale, non lasciava di es-sere pressimo cristiano ~e creatura del buon Dio.

- Mia, e egli: poi assoluiamente indispensa;'bile che abbia a morire in tal modo il ganzodella mia Diana paerchit costei mi ami ?

- Bisogqa cominciate da ciò - rispose lastrega -- attrimenti mi costerà grati faitica f'am-mialiars la giovane.

- FrdÒ dunque siccome tu dici, comiare Te-resa, e tornerò tra una quindicina di glordiper farli savere quaiche cosa.

E, senz'altro, quell'uomo abbandorih la sogli ado!ll stregal

Ci corre dipresente I'oblhigo di porr i ro-stri lettori a conoscenlza de]·ie persone r, dellecase, a Cui abbiamo accenuato nel precedentecapitolo.

VivePa in Napolr', in su j principli di questorecolo, una famiglia di pove.ra e onesta gente.11 padre era scritturale appo it marchase diLicola don Giullio Spinetti, gentiluiomo di ca-meira di esercizio appo it re Ferdinando IV.~

La sccriitur:ite nomravesr donr P;etrantonln T:iC-ter', ef clra o;-riendo dfi G;erm;: nia. Dat pareccchia!ini r·icovi·va uino stipenidio dalla casa del mnar-chlese d:i Licola, stipenadio? ažs3i medien, cho a;stenti glti consentiva di alimentare la moglie atrc figljinoli, di cui duie mas-chi cld uina fesmmina.

Abiitava questa onesta famiiglinola nel vicolotKfoco· nel quiarticre di Mdontecalvario , nelle vi-cinanze della parrocchis dti S. Mlarin Ognibene ,che; fii poscia inc;-rporrta in que~lla di S. A~lccI·ria dei Seftt Holorsi.

Cor·rcno ogglimai OltrE a settanitP anni dal toim-po in cuii avviennero le cose che abbiamt rolto anarirare, clob dlai principii del· regno di Gloao-·chino Muirat, cognalo di Napoleaon primno, itqualo1 (Malra!) avea fAtto 18 SUa solence entraf;ain Napoli it. 5 settembre deli'auno 1808, posciachec dal po~sseme coronato di Fltrancia fur manc-dato a govercare la Spagna it precedeh;te reIdi Nl\apoli , Giuseppe~ Boniaparto.

Don Pietrantonio Ritter era in qluel temlpo urnunmo a cinquant'anini, asoluto d!ella persona ,di breve statuira, di fa;ccia aperta e sorridfenite,vispo ancora nol camminarte, conciossinchA~curvatlo glti si fo~sse n tantirno I'arco doclfesspelic per 18 f~atiche de! tavuolino; ch6t i diitciotto dfucati cho grli dava per islipendio~iI marcheise, il pover' uomno so li faticava daverio , tcopiandco contr·atti dfi flito , polizz!i

per locationi di case, e un buon da(e dilettere agni giornlo coll' ee rust e brus, de-sinenzf latiae che in allora ilguravano alla codadell'alfabelo italiano. pon Piettantonio era calvocome la palma della mano; ma questo erauln segreto tra lui e i guanciahi, imnperelocche>allo irthlora del tempo in cui dIormiva ac·cantro alla sua s;orprrlenta theki, il sno capoara coperto da un partucchino d\i· bondi pell,Uno- dei glorni pill disgraziati n@lla vita delnoslro scr`ilttrale era stato quello in sui il

.´overno doi NTapolelonidi :I'avea obbligat ca to-glliere quiella bistorta appendice di ogni par-

oicea, ch'era allora it codino. Cib vool direchie il niostro don Pietrantonio eca uin fedeslissimo di re Fierdlinando it nasofte; della qualcosa i nostri accorti lettori ayrieno potuloi:render nota solo in sapendo il sue riveri-lo niome ,dacc;h6 i sembra qIuasi impossibi-Re chie oin quidamil quale si noni Pielran-tonio not sia uno svisceratissimo. innamoratodolc codino e di tutti i principii e opinionichle quiesto rappresepta. Nel resto, noi pro-fessiamo u. gran3 rispetto per tutte le fedipolitichie, e siam;o di credere che eziandio uncodinuto passa essete un unomo onesto e dabone, un buon cittadipo e un ottimno pater:familia. D'altra partri, don Pietradtouio rlon fi-gliuaolo di una Austriaco paro sanguec, ial galy

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avealo generato in Napoli;· e con qluesto 'sonlgue gialloglnolo selle arterie, pub un verteLbrato mammifero essere amico delle costitu-stoni e delle repubbliche ?

E ciò hasta per ora in quanto a don Pie-trantonrio; e facciamoci a dite qualche cosaintomno alla sua famiiglia.

11 nostro scritturale avea sposalo la figliuoTadi us mercadante napolitano, una di quellebuone paste di figlinole, di cui si èperdutada qualche tem·po Ja semenza; non sapea neleggere ub scriverie; il mondo era per lei naicampo di perpetue maraviglio: le si sarebbedetto essere if sole. un fornello pouo pid grandedella sua stanza da. letto, ed ella sì sarebbebeuta questa pappolata come cento altre be-stialith di simile conio.

Questa donna si c;hiamava Ftortunata: era dialta e complessa statura, si che a vedere quelbel corpo ricco di forme , di salute e di buonasangue non si sarebbe giammnai potato supporreches colk entro fosse assenza completa dello sp't-rito; it che tanto maggiormente inducea maravi-gllia ill quanto che gll occhi . di Fortunata sem-bravano doviziost d'intelligeaza. Fortunata, nel-la sua compFlela poverth di spirito, si lasciavamonare in totto e per tulto da una suora di mi-nor numiero di anni, a nome Clemecntina , checra in animo e corpo, appunto I'opposto della so-

aella maggiore. Clementina era unu specie didlotteressa in gonnella, mezzo poetessa, la qualeavea fatto appassionati studi; saila mitologia, esapera a menadito in quianti modli si trasformbGiove per far f'amore caon tultte le mandracchiedelf'olimpo. Quando fu qluistione di dare: on no-Ine alla figlinola primogenita di don P~ietranto-nio e di donna Fortunata, la signora Clementinavolle che la bambina pigliasse il nome deila pidcasta delle dee, e 18 fu qluindi imposto it nomedi Diana, avveglnachè il buono e prosaico donPietrantonio propendesse a farla chiamare ;sem-plicemente IMariantonia, che aveva it viant'aggiddi rianire il nome di stia madre iMaria at secohi-do suo name Antonio; ma la dotta cognata fuinesorabile; e la hambina fu battezza·ta coff'ap-pe!lativo di Diana , al qtiale per singolare coni-cessione furono aggiuoti gli altri due nomi pre-feriti dal babbo.

Ora ci è mostieri, occuparci un poco di questafancialla , intorno ai cast della quale si aggiragran parte della presente storia.

L'educazione della bambina flu affidata alla z'Clementina , che si offeri di gravarsi di qulestodurissimo chinpito. Per non alltargarci soverchi;i-miente in cose estranee al nostio racconto, nondiremo di quali e qItante assurde e strambissi-me idee ladottoressa ina'rci la testolina dellafadnciuill, cho avoya uno3 spirito prmtlo c vivace,

iiu4, idimiagnazione viVis;imta ed una pirreCote

souisitivith. N~on si tosto la fainciailla scppr leffer

re, lai sua maestra educatrico le poss noemiianii

libri poco attagliati alla sua eth, al snio sesso nd

~Il snio stato; e, tra lei altre cose, coleii volle chor

18 D)iana spearasse la linguia latina. Dbn P)io-

trantonio a la sua grossa meth non capivano nii:

panni per la gloia niel sentire la loro0 creatlra ;a

recitare versi di V'irgilio e raccomiarec le f'a ichoi

di Ercol e ei prodigi di Teseio. La signor·a Fior-fiunata s'immaginiava che Ercole! o Teseo e co·-tali altri semidei fossero una quialith di santinon iscritti nel calendario mia non m;eno degaildolla vencrlzione dei foeddi.

Intanto (cib chie pidi premela foirse alla mam-·man) , a glovanetta cro~soea bellissima, non g~iacone unia Diana, benst come una Veuere.

A 12 anni, ella avea gia corpo di donna, adosn visino cost loggiadro, cosi jentile , Ucos e-pressivo da f:lr prognosticare dover quella b:i-th suscitarc tempeste di passioni. Bioudi avevaiScapelli , mla noni di quel biondo che fa della

teAsta d· ulna dopnia una pannocchia, sibbene diquel color·e, che~ dhi aila chi·,ma le delicate sk-F!mnature d'uni lo7iano pa"saggio so cui sche-rzinogili u!timi riflessi d'un tramouto di sole.

Chor dirremno de·gli occhi di queirsta fnuiEra·.no ess~i il piil saido~ a rgomentiio a d iin i tr·a ie

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splendor·i delf'universo zarebbono rimiasti ecclis-sati dal raggio divino di qIuello squardo.

La D)iana veniva su altelta, della persona sen-xa prender·e quel:le proporzioni che sha turano laglrazie e la leggiadria della 'femminea ·statura.

Tiel tempo, doode piglia cominciamento qlue-sta storia, Diaila aveva diciassette in. diciottoanni, quella oils appunto che fa della donna uaflore di meravigl·ia ,di :cu s' invaghiscono gliangeli stessi. Ci e nella vita della donna usmnomen.to, un sol momento, in cui ella raggian-gel'apouceo della poesia;:in out anche la pmubrrutla e regina ,· Asuitana , 4 dea ;in cui ellapub tenore nelle sue mani le sorti di un imperoe i detstini del mondo. Questo momento non du-r'a che: ua mnomento, cioè pochi mePsi, Un autoal mnassimo ; e poi la donna c prosa piit o menoSeggiadra o gentile, ma sempre prosa. Ini questomnomiento appunto si travava la nostra Diana.

I mufamBnti avveautL del regno di Napo!inell'anno1806 furono _causa della morte della

signora Chrinentina , eduncatrice e maestra dellafanciunta, siccome abbiam detto. I'u sì profondoi1 cordoglio che litila prosd per la par.tenza ,del;laCorte di ·Napoc-li per· Pol rmno appresso la occu-pazionie framese, che ella no ebbe uina graverathilitlia, per efltito dellai quale so ne andi> agsodere gli eterni riposil NToion dubitiamio choetissai grJande devotc esseto it nuo disinglause

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a:l'altro mrondco quando si accorse della. bestialklth che aveva fatta di pigliarsi una ma'lattia e la~morte per coisi inetta ca usa ; tanto pill che untanto sacr·ificio ed un si bello esempio di fedellirimasero ignati ai panegiristi della disastia bor-bonica ed ai comnpilatori della Gazzxetta Offkiale.Tiriamo inianzi.

So la morte della signora Clementina fu gra-·ke perdita pei fedelissimi e seguatamiento per gliamatori degli studi mitologici, non fu tale per lagiovanetta Diana, la cuL.doloissima indole e ilmuore di anigelo si sarebbero guasti senz'altrosotto la pericolosa istrudgone di quella donna fa-niatica e superba. Domineddio se la chiamb intemnpo per non lasciare· che nel cuore della bellagliovanetta rampollassero germii di corruttela. Enoi non ci occuperemo oramai pill della zia Clo-meatina, apputto come se mai nou fosse stata atmondo; ei nostri lettori ce ne saranno grati.

I genitori di Diana amavano questa figlinolaalia follia, e bou rag]ione noc aveano, tanto pill

pel natural paragone che di leI facevano condiue rampolli maschii ch' erano nati dl poi del-1ì Diana, i quali erano nè pitt ad meno che duecmerluazz calzati e vestiti, due teste ottiise comiequello di due chiodi, due strozzapani insignifi-canti, dequi di doventare due ricchi , giacchie dassodato the ar·ricehiscono solo quelli, a cui DienegB 17 ineifdile: dono della initelligouiza,

T`ra ]- looghli Pii0 frequrntati da agnii colo ditpersone in quel temnpo, siccomne anche ogsidlde.per I' Imenita del sito a per le balsainiiche!brezze del mare e pr·t la vista incantevole delPiostro golfo era queRlla gloconda spiaggia chesi addimanda di 8. Lucia (9).

Il governo dei Napoleonidi aven fatto amplia-re e ripulire la detta strada; oiide numeroso erafl concorso doi Nuapoletani noila estiva stiglionee specialmente niei d ifestivi su quiello inca nt evolelido. Colà i signori facevano formare le, lore ed-Inash% ( cosi erano allora noma:re 10 carrozie adue cav·alli) , sia per godprc di quella soavissi-ma fresour·i, sia per mangiarec on buon dato diquci: crostacei che In NTapoh vengono ingegnosa-Inente addimalidati f wili di mar'e.

UJna domenica at giorno, come suolsi nel no-stro paese dinotare it tempo the trascor·ce dalmnetedi alla sera , don Pietrantonio, che areaInesso in serbo alquianti carlinl:lli, frutti d' incrc-dibili risparmi nells scopo di far preadersc allafamiglia uin onesto svagamecnto, annunziò allamoglie~, alla Eigliuola ed ai sooi duec puttli chie gliavrebbe mienati a here un biochiere di acqua soli

faviosa a S. Lu2cia; anniuozio ehe fui accoheo coidestremo giubilo dai duie puitti, con sorpresa dal-la moglie e coo indifferenza dalla figliniola.

La buona famiglia si avvib a piedi giii per quel-li diruipati vicoletti di MB~onftecalv~anio. Per tuitte levie per le quali passava la bella DPiana si ferma-vano estatici gli uomimi a niguardarla. a le don-noe corrugavano la fron e per gelosia ed invidia.

Siccome avea anntiziato,don Pietrantonio me-nb la fam-iglia a -S. Luccia, dove gliinati, fece so-dere la moglie e i lilituali in sul lido attorno adon favolo; ed egli, comperati cinquie o sei grantdi tortellini, i quali ragedò in un suo fazzolettoe pose In sul tavolo, ordini ad un ve~nditore difru~ti di matre che arrecasso un cestino di astri-che cosi dette del Gastello-e uin paio di dozzinedi ricci o una troentineila dicoltellacci, crostacespitt noi;o nel nostro paese sotto il nomže di canno-licchi. E pioi, ad uina veriditrice di acqlua solfuro-sa comandò che due bombole intere arrecasse di

qluest' acqua diuretica, di cui il nostro scritturatefaceva uin grand sJimo uso per certi suoi partico-lairi malinuacci clie aveva avati nel tempo dellasua glovinezza.

Fnte~ quieste diverse spos·e, il nostro lmon pa-dre di ~faimglia si andò a sedere dappresso allaania consorto, a si dispose a glodere di quella sa-po;itr]t cenettar.

Non er~a anocra cadu:a la scra. E~ra qiielf: ora

dilettosa in cui, cessati i raggi del sole dal saetLtare le strado , subentra at calore del glorno lagrata fresoura che ann'unzia la sera. El sembra,per cost dire, che la natura si lavi la faccia dopodi essersi ridesta dal sonno. L' ora Cthe in NLapolidicesi delle ventitre & bellissimna in estate , e se-gniatamnente in riva al mare.

Non e a dire come a S.Lucia traesscro in granecopia, ne;' di: festivi,· i napolitani di ogni ceto , acome quei siti risonassero di fe~stosi canti, dirisa gioconde a di quel confuse tripudio tuttoproprio della nostra spensierata popolations,. Einnegabile che i nostri genitori si divertivanoassai meglio di noi ,, comanueiu non fossero cosiavanzati in civilt'a come noi.

Pareochi banchettucci si erano stabiliti soquell'amena spiaggia , edi costa alla tavola ,interno alla quale sedeva la famiglia di donPietrantonio, era una mensuccia appo la qualaerano tre giovinot-ti, che allegramente mangiava-no e shavazzavano, dandosi bel tempo e raccon-tando briosi fattarelli che eccitavano la: lorofranche -risale. Uno di loro imperlanto da circamezz' ora era divenuito serio e pensoso ; di che,ac;cortesi unIo degli attri duie,

- Chie cos hai, Federico ? -diss' egli scuo-tendolo pel biraccio - El pare chec il vino tiabbia messo di mnalumore.

- Oh! nio, v' intaunaate, amici miei -- rispon-

dea Feder!ico-Ejlli 6 chie mi sent!o un po' stanCop-- Ahl ! ahi ! dsocela a here - osservava it

terzo - Scommello che amore ci 6 di sotto.- Bestialilk ! - esclarrava it primo - Mlet·

tersi di malumore jier una donina !Ahffrettiam3oi di dire che gli occhi di Federico8

-i erano inc;ontrati coa quelli di Diana , c;he glnsedeva proprio dirimpietto I due compagnL diFederico volgerano it tergo alla figlinola delloscrittuirale.

Anda~te a spiegate cerle case in quiesto mondo !Due creature si veggono per la prima volta ,eQ funa dell'altca si acceade cost prestameate chetI'una ric;ouosca tIosto nzell'a;ltra. it com~pimeto"t dejsuoi timant destini.

Quando i tre, giovanotti trassero via, la fartuiglia di don Pietrantonio era ancorfd a gloderstla bella serata.

Eral venata giti la se a co' suoi sforini di on-bre d afane e maisteriose. M~ille luami luccicavanoso quiella spinggia e nelle variopinte barchetteche, grcrmite di festose brigate, solcavano 10placide: onde di quello inea;ntevole sono di minat.

Al dipartirsi di Federico,: Diana sentI mianicarsi ii cuore. Tutta quella ridente natura sicoprì di tristezza agli~ occhtdli 101; 11 habbo, lamnammra ainterrogavano, ed essa non risponideaphe vaghe parole...

gyanido giunISe it miomiento di tlabaolfonaie

quel sita per trarre do cso, Diaha gilt una ulklimr tc!iatii~ia alia sedlia su;chii era stato seduitoil car! cliovine; , triitto oin praofndoi sospiro ,s· diuposil a soniir- la fimiglin...

Ai'riva to a ,[o it palazrzo del duica di. Madda'o-ni, Ja giovanemta si volth per rimirare il sito do-ve erale apparsa qulellavisjions cRleste...

11 suo ciore balxò di gioia... Fecderico era adlue passi da leI !

Diremo in appresso qulali consequienz t si eb-be0 io nconrtro di quecsti due giovani, a come mnpiccolo sp"zio di tmepo soras~se gigante nei lo-r:, coiori aina di queclle passioni . di onii gli esem-pli si vanno rendeaido sampr·e pn1i rari nei no-stri tempi di prosa e di ciftre.

Frattanto, oin altro niomo si e~ra invaghito per-daitamnente della brlla Diana Ritter.

Quest'uomo era giovine ancor·a , ricco di pa-trisia famniglia , ma di pessimi costumi.

Era quiesti it cavaliere don Giovanini, figliuolodel marchiese di Licola.

N~on sappiamo it come e 11 quando it nobileglovinastro ebbe veduta l'onestai e cara dopzella.La costei singolare bellezza non potea non farnascere nel CUore del discolo don Giovanni uno dique~gli ardenti d·isidedi che non si appaglano sonon Che, rel possesso dellj'amato offletto. ?iTate lek1'i dol!a piia scaltra ·sedutzione pose in opesra it

femminacciolo per far sera la Eigliniola delio scrie·turale dli soio pcrdre;ma fui opera del tutto spreca·ta.Veggendo ohe la vi)ovane opponeva uina costan-to nipulsa at suoi desidedii, it cavalier·otto pens;Pdi vincere opig ostacolo col chietdPre formalmen-to a don Pieirantotiola a mano di lei.Non sembrbvera tanta ventura alpovero copista; e gyongolan-to di gloia no, andò a recar·e la lieta novella allatuo·lie ed alia figlinola, immaglinand, che costeidovesse estimarsi la pill atvventur·ata delle fain-ciulle per divenire la sposa di si ricco e possentesiglnore, unicUo ercde dei titoli e delle moltissimesostanze del marchese di Licola. F!iguratevi co·me restasse di granito il poverniomo nel sentireche la figliniola rilluteava un tanto, onore, anx ,in ginocchi suipplicava i genitori paerh6 non vo-lessero sacriticarla ad ain uomo, ch'rssa nonamava , e pel quiate provava uina invincibileripuignanza. Qsantanque di natura!e placidissi-mo, a sopra mnodo amnantissimno della figllinolai,don Pietrantonio non si saperai acconciare fitni-mo alla ripuilsa della figliuiola , sembrandogliimpossibile chie una glovanetta oscura , poveris-sima, ricusasse di diiventare uina marchesa epossedere terre, psalgi,. cocchii et servitori. Itdabbenuomo non sapea darsene pa-re, e comandoalia moglie cli si botasse alla mnadonna deilCarmine per ottenere la glrazia della conversio-ne della figlliuoa. 11 piid br·utto si era c;l!'egli

dorva dai re ua risposta al cavaliere don Glovans·vi, suo nobile: nadrone. E corde aver I'aniino didirgli che sua flyilia... Oh1 Dio 1 E chA ragioniaiddarre~? E non potea darsi clie questo rifluto gllifa:crsse perdere T'imoieglo ch'egjli ai aveva ini ca-sa del marchese di Licolaru sit nia

Don Pietrantonio semrav sio niamiente di sh; parlava solo com~e un innamoratotkradito; pigliando il c;affb si soott;ava la linglua;pigliando tabacco si chindeva it dito nella tabac·c;hiera; e ogni volla cho si abbatteva nel cava-kiere, er·a una caldaia d'acqua bollente ohe gli siscaricava addosso.

Alle richiieste dell'amamre ei dava rispostethe: non dic;eano niento, nd· si ni~ ni, faicea gio·car la sc;hiena ia riverenze senza fine, e sog-giungeva , non potersi dare per sh , per· lasua famiiglia, per la figliuola un onore piik ma-guniic~o; essere la Diania timasta dli stucco allaincredibile novella; sè e la mouliera non capirepiU nei panioi; e tasite e tante altre di queste am-spoliosità: intirzava , she las6iavano pensare alcavaliere che i su!oi voti fossero esanlditi.

Intanto, come don Giovanni' voltav·ila schiienaper audar via, don Pietrantonio borbottava pa-role, che, se non erano bestemnmie, non eranioavemrnarie; so la pigliava colla sua mala sorte.contro la quale levava if pugno; e rimpinzava ditabacco il naso con tants futia che avresti dottosluer disfogare la seda rabbia col propio naso,

Put finalmnente fu forza palesare il vero a:lfigliniolo del suo nobile padrone; e vi lasciamopensare qlual confussione, quiale imbarazzeo d·ovet-to provare il p~overuomo, in questa confessionee con quanta unzione Ja dovè fare.

Lasciamo pensare dall'altro canto 10 stupore,it dispetto, la rabb·ia del signorino che si vegdea r-iflutato da vil donnicciuo1a , a cui egliavea fatto I'onore di offerire la sua mano. Pen-sh dapprima preadere, vendetta della~ offesa colfair licenziare to scritturale don Pietrantoniodalla casa di suo padre it marchese di Licola.Ma questi non volle acconsentire al desiderioidi suo figlio , arendogli atto inumano anzibarbaro il porre in mezzo alla strada un po-vlero padre~ di famiglia, chie per tanti anni loaveva servito con zelo e fedelt',a; anto pid cheil marchese ignorava gli amnori del suao erede,non avendo costui voluto pal;esare al padre leintenzioni che aveva di sposare una fanciallaplebeai so pur mai siffaitte buone i~ntenzioni siavesse il signorotto.

Visto andare a vuoto i suoi disegni di ven·detta, don Giovanni, a cui it rifluto di Diananon avea faltt altro the vie piU accenidere nol-I'animo la passisne che egli si avea per questafanciailla, venno a sapero che costci cra presadi omore per uni glovine pittore a niome Fede-aico Mtarcelli. Allora volso per la men~to i pit

aruci pensier·i contro questo giovice artista, ediva glorno a notte almnanaccoado at modo cosmet sharazzarsi del felice rivale; ma gli· ripua-gonava if pensiero di un assassiuio; imnpercioc-chic viiole debito di giustizia` chie si dica nonavere it nostro doni Giovanni Spinetti ua cuore:cosi malvagio da volete la mrortc: di un gio-vine, che non gli avea fallo aidan male.

Pur nondimeno0, la gelosia gli dava rovelloinicidibile; oade, crederido d' initimidire il sunrivale ed alloatanarlo dall' oggoctto della suapassione, penjò di andarlo a slidare. 11 reguiomIilitare di Gioacchino area rirrnesso in onorei duelli chie sotto la dinastill h orbonica avea-no ceduto it campo delle qulistioni a' cavillide' payllieffi. Venuto in questa deliberatione,il costro ·don Giovanni non pose ·tempo inj mez-zo per mandarla id: effetto; e, un bel di, sor-preso it rivale nelle cir·costanze dell' abitazio-no di Diana, so gli avviciu , ed il richiesecon alteri modi che srinettesse di hazzical:e perqIuel vicolo. Alla quale insolenza Federico ri-spose coni dignit 0, nea riccvere: leggi da nies-suno e non lasmiarsi intuinidio do~ provocazio-a:i di sorta. veruna.

11 patrizio si travava a frJnIe non gia uncollegiale inecspor·to e pouiroso. bensi ui giio-vine di cuore. Una slicia fu offerla ed accella-·ta; e,· percoclchi~ la sorto suaol favoritec i thr-

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lianti, allY onesto Federico toh;b rrel destroi'o theco un colBo di spadia il quale pec boiona ven·tura non fu miortale. Puir niondimreno, il poverogiovine fu cosiretto a rimanersene in letto perquialche temrpo; ed il provoc;ato·re dovè rendersifuggliasc;o per solirars·i alle mnolestie: dell' au-torita.

Quali si fossero 10 angoscF mortali della glo-vane D)iana e le suie pe·rplessit'a durante il temn-po in cui i1 gioviae stie' a letto e· ben facileimmiraginiare; augosce e per·plessiij Cch non ces-sarono che col risanamento deli'amato garzone.

Intanto, it nobile dlon Giovanni era· tomnatonel suo paose, gliacchi la faccenda del duellosi era addoLrmontata ; e la sua passione perDiana io accecava samnpre , e chi sa a qualrea de;liberazione utiimaunente 10 avrebbe spiatoso: non gli fosso venuto alla mente: on pensie-ro, chte gli parve poler solvere it problemna ia-torno al quale ei pe~rdeva i suoi sonni. Fac-ciamo notare cho noni era tutlto amnore per Dianaquiel che toglieva i sonni dtel cavaliere; er·adispetto, coilera, gelosia, invidia e quaute al-tre basse passioni possono alberUrgat ne per-verso cuiore di na UOmno.

Eranio qjuelli temp-i di sup~erstizione a, d' i-gnoranza: si credeva allai potenza del diavolocomrie oggi si crede alla potenza del mraglnetis-aw;!, nont pa sJva glornio ii cuti non si nar·ras`e

la storia di qualche mirabile stregonoccio, sj-glnatamente in lmateria di amori; non ci oravecchia chie non possedesse qualche suo par-ticolare segretuccio per fare bruciare di amorele fancialle;: e sopra tutto godea fama di am-maliatrice possente la streg·a di Pontescto ,Teresa Bonanno.

Don Giovanni SpDinetti non era cosi sprov-veduto di buon senso e d' istruzione da pre-stare intera fede a cotali implosture; ma nonavea per'tanito una tale elevatezza di mente darigettare assolutamento taili credenze. D' altraparte, egli trovavasi sotto it dominio d'unapassione che gli annebbiava 1' intelletto e glifacea travedero le cose.

Pensb e ripensò; abbraccid e respinse mil-le volte il pensiero dianodare a richiedereli op~era della strego di Po0ntesouro; e uIltima·mentoe vi pose fanimo deliberato; e noi fummete!stimnoni della conversazione chec it figlinolode~l marchese di Licola si ebbe colla miagliardaTeresa Bonanno.

IV.

LA~ VECOHIAP D$LL~ ACETO

I1 glovine! pillore Federico Maarcelli ab:ilavaEnel Vico stort&o ConGcordia, in una caserella abl-I'ultim;o piano sul terrazzo, caserella abitataun dioci anni dopo da un altro p~ittore dimnoltissima abilita per la sJcenograIia.

Federico Maarcelli, napolitano, era orfanodi ambo i gjenitori. Sua madre era mor!aquando egCli era fandiulletto auuora, e suo pa-dre, dipiutore di stanZe, era mnorto coinsuintoPOC3 rtempo innandi dlcl'epoca, donde abbiameucomiticiala la presento narrazione. Feacirio

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area tm· venti anni a un dipresso alla morledel genitore , che 10 avera lascialo nella pilldeiiplorabile miiseria.

11 glovinetto avera app)arata ]arte paterna,iri. cui avea fatto rapidi progressi: egierariuscito abilissimo nella fiure e segnatamentenel rittafo. Giorin.e costunato, religioso, a-mante dell'erdine, della economia, di tempera-mento malinconico, d'indole dol6issima, di cuo-re angelico:1lucrava la vita dipingendo santi emadonne e facendo qualchie ritratto. La celebroMIiller, cantante di S. Garlo in quel tempo, siera fatta ritrarre in quadro ad olio dal giio-vine pittore MIarcelli, the ne avea colta lasomiglianza a capello; cost che in breve orail glovine artista ricevè an buon numero d in-viti per altri ritratti; e tra gli altri, da} Jaduchessa· di Sanseverino, riguardoveilissimadama e una delle piil poteali nella Codte deiReali di Napoli.

Federico viveva assegnatamente col fruttodei suoi lavori , in guisa che presto si trovòcircondato da glovani di buone famiglie , chieil presero ad amare pe' suoi costumi ornati egentili, per la suaa graziosa modestia e per lasua somma arrendevolezza agli altrui desiderii.Fedeirico, la merch doi suoi risparmi, delie, suemodiEbe spese in tutto, vesctiva con uxna certa.lindura da nion istiguratre cs !oi sual aici, di cuil

-- Si i

pareechli appartenevano a patrizie faimiglie, ederano i S. N....... i Calabritto, i ConiglianoJMta Federico preferiva la compagaia di glovaniiartisti come liniodi semplici studenti dl libereprofessionii; ed erano infatti dule artisti quaellinella cui compagnia il vedemmo sedato a 8:dLucia, sendo 1' uno un giovine paesista a nomoeAlfredo, nato a Roma, e 1' altro un allievo delmaestro Cimmarosa, a name Emilio.

So le nostre amabili leggitr'ici vogliano ve·dere il ritratto del giovine Mlarcelli, ben pos-iairmo di cib accontentarle , avvegnachè sionoPoramai tanti anni trascorsi da qual tempo in·sino a noi. Federico era un glovine di piUt·tosto alta statura leggiermelPnte incurviatabper 1' abito di stare in so le tavo'lozze; eramagro della persona, brunio di faccia, con untabattaglia di capelli nerissimi sul capo, e condue occhi così belli che T'onest'a di non poche@patrizie dame vi si sarebbe naufragata, se me-no onesto e riservato fosse stato il giovine di-pintore.

Il suo consueto vestimento consisteva in unsoprabito alla napoleoniica ,con larghi pettirovesciati e grossi bottoni , in un corpettobianco e in calzoni alla scudiera. Contro la

fo~ggIa di quei tempi, portava la cr'avatta bas·sa si che it collo rimanaeva rivestito della sem·

plice candidisasima camnicia, La sua faccia era

accuratamente rasita ogni glorno , tal chc: ilsno bel vise accusava apipena I' eth dell'adole-scenza.

Dicemmo che@ qulando Diana si volth indie-tro , la sjera del primo incontro di questi duegiovani ,per diare un' ultima occhiiata al sitodove erale apparso un angelo in umane spog!ie,

it suo muore dov8 balzare di giola nel rivederepressochi~ al suo flancos it caro oggetto cheper mezz' ora le avea fatto sognare 11 para-disn.

E: facile intendere che Federico si Jliberb ben]presto della compagnia dei suoi due amici perritrovare la cara glovanetta ,ne' cui sguardiavera bevuto le dolcezze divine d'una simpatiachie e per divenire ardemiissimo amore. Fede-rico accompagnd, o, per dir meglio, sequithla giovanetta insino al vico Nioce a- Montecal-vario, dov'era , siccome, dicemmo , I'abitationiedi don Pietrantonio ,padro della bella. Sonsappiamo dirvi se~ durante il non brevo cam-mino dalla contrada di S. Lucia infloo a quelvico, che giace cosi in alto sul quartiere diModtecalvnrio , alcuna parola si fosse di sop-pialto scambiata tra il giovine piteore e la fea-ciulla ,chie ad arte si teneva un pochetto alloindietro per aver I' agio di avvicinarsi a quelbel garzone che la seguiva, a che certo si eradi lei invaghito, siccomn'ella di lui. Gi'a le donne

Ia saiano Ibeni luinga in materia di amiori ; e lefanciulle pill semplici, pid mrodeste, pmi riser-vate dauno quattro punti agli uommoi so talemnat ria. I amaginate poi una giovanAeta edu-cata da uina dottoressa, a che aves letto nien°temeno chie le Mannlourost[ -di Ovidio!

Nton seguiteremno qui i particolari degli a·mori di qXuesti due glovani, dappoich6b il miondo6 audato sampreo di uni verso da Adamo ed E-va che facevano aill'amorec piresso a poco comeoggi i figliuoli del secolo dlecimonono. Almba-sciate e leettrine per le fanteschie, asospiri· git-tati dall' alto di unr finestrone , the Uion vTollan-omavaisi verone , e rac;olti non da usn mene-strollo oa da un trov~atore, mai dsa un bel zEerbi-notto vestito all' ult*ma moda.

Questi due amanti si vedevaao quasi ogniglorngo verso I' ora del tr;amonto. DPiana si po-nrea ad una finestruaols chie risponadea nel corti-lotto, e Federico era immancabile a ritrovarst nelmezzo delle scale del palazzotto de)ll suia bella.Quiivi i due giovani si comainicavano i loro pen-sieri, le loro speranze, e si diceano tutte qIuelle;teaerissime cose che lor signori sanno bonissimnoe shie io n~o mi d3ard il fastidio dli ripetere.

Sembravar chie il ~loro donz Bo ·igo , it loropjersecutore , don Giovanni di Licolla dess?-lore0 an po' dli tr·egua e di riposo, dacchi :,ds·po essere? ritornato in pae·se , non si era'. piik

fatto vedere , nè avea piiib 01re · mo'lestato la·faudiulla don importune insistenze a coni offotr-~to di regali e di doni, che I'onesta gloavanie ri-mandaya sempro indietro can isdegno.

Fu in questo tempo c~he i1 figlinolo del cor-tigiano Spinietti adoperavast a riusoire nel suointento, la merch d'uno stregonecolo tramatodalla pitt abile: collaboratricec di Lucifero.

01 sembra chie la faccenda di punzecchiare11 rilratto del giovine Federico per fa·rlo mo-rire scolato coue una candela di sevo fossestata messa da banda da don Giovanni , chenon prestatva intera fede a simnile niezzo , itquale, se: condiucento realmente alla morto delglovine, era troppo crudels , o so vano a il-Jusorio , non valeva ii faf~stidio di spendervisiattorno.

Sapremo come don G-iovanni ritornasse dallastrega di Pontesouto e cib che fra di loro sipanesse di concerto; sapr·emo eziandio che 10amante :disprezzato noni ismise Iitteramente ilpensiero di giovarsi dell' arte diabolica dellacomare Teresa , non sapendo pitt a che santobotarsi per farsi amare dalla figlinola di don.Pietraatonio, Ja quale, andi the ammaliata,ammaliava.

Frattanto , le cose neanco andavano a:ssai1prosperamnente pe' nostri due amnanti. FedericoMLareli avea scritto una lettera rispettona a

doni PictratinEiou iad oggetto dli ch-iedYergli Tarhano della· foiglnola. Doni Pietrantoniio, cheGodlriva sempre la speraniza dii vedere usr gior-no7 o Ialtro convertita lal figlinuola a favore delniguardevole ed illuistrisslimo siglnor cavalieredon Giovanni Spineltt, dei mnarchesi diLicola,aud0 per la primia volta in saa vita sU tUttele fuirie al!ia dinianda del giovine artish;~ eminaccib di ricoirrere a'mzagistrati dove questinon fosse rilsato di persequitare la figlinola ,la quale, in ultimo caso, egli avrobbe fattorinchiudere in nai convIento, se fosse durata.nella ostinazione, di dar retta ad% uno spiantatodipintore a guazzo.

'Quantanqlue Dianai avesse la mammai a co-sta sua, erano sempre novelli talle~rugli in fa-mIiglia ogni volta che la signora Fortunatla siarrischiava di perorare la causa di suaa fig:lia,

Fu stabilito ohie Federico noni dovesse athedcclarst oel vicolo NVoce che naelle ore del mat-tino e non della sera; e cid per due possentiragioni, la prima, perch6b sul tardi del glornoe la sera don Pietrantonio era in casa, e Diono liberi avesse veduto naovellamente il glovineM~arcelli battere quella via! la seconda pcirlhb ciera sempro paura di qualche soprujo di donG;iovanni, epperb bisognava astenersi di ba>·zicare per quelle vie nelle are dii sera, qIuandUrle teaebre favoriscono le male opere e le in-sidie di ogni sorta,

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Stiivano co~il e case alloircriC un mailino ,Pverso le sette·, fu piedbiato assii.timidamente:all'iiscio della csa di Feder·ico M\arcellH.

I ra antica I ~uetudinie di questo caro glo-vine it levarsi non appena spuntava I'alba permcettersi a lavorare, giacc:hè e questa 1 ora pitzbelh; per ogni sorta di hivor·i. 11 giovine ar-tjisa era in so I'opera piid cara ch' egli avesseInal pirsso a fare , cloc it· ritralto ad olio e alnaturale della sua amata donz ilia, ritratio cheegli facea intlo di rimembranza, non potendoove~re I'originale ·dinanzi.

Federico vivea solo, ed a quella prima oradel madttino raramenle era disturbatio nei suoihwaori da impor'tunie visite. Immiagaiu che forseani sno vicino , un buon vecchil, capitano inrltiro, potesse aver d' uopo di tui; e, senzaproferie· quello sciocco mnotto d' ordine delCh~i b inventato da' facinorosi e da' ricchi ,d!ischiuse addiritteura I'uiscio.

FU molto sorprese nel vedersi davanti· navachclia, chea semb·ava di appartenerre al cou-tado, a giudicarne dulle v~sti , le quali d' al-tro canto erano pulite e decen!ti. Una gIran ouf-fla alia francese con nastririi di vario colorei enricletti ed altre gale ricopriva, sozi occultdvadel tutto it capo della vegliarda , perol:ch4è ltrinec dellat cuiffia cascavano flai soli ] oc~chi II sulnasoj; in guisa chle dulla f'accia della vochclia soli-

tanto la bocca cra visibile , e questa avrchbefosrse me:ritato di andare nascosta piti che tutt'al-tro peeto di quiel viso.

Aves la vecchia nella mani un panierino.--· Abita quii il siglnor Feder~ico 3Dircelli?---

dimandb T' annosa at gioviae , cui forse ellanoni conescea dil pe!rsons.

-- Son io Federico Marcelli - risnose g[iie-sti - Che: si vuole da mne? Chii vi roanda?

- La bliadonrra - disse colei cuarvando ilcapo in atto di religiosa venerazione.

-- La Akdonna ! -- esolamb il giovine cer-cando di raffigurare meglio quella figuira chenon~ era~ certamente da annoverare tra. i mes-saggieri celesti -- Spinglatevi, buaona donna.

- Mi spiegnherb. Intlanto fa ch' io mi ripo-si alquantlo. aI camnmino B stato uIn po' lunigo.

- -Donde venite ? - domandb Federico, im-maginando che colei alludesse alla inestimahi-]le distanza che pub esser·e dal cielo alla terra...

-- Vengo da molto~ Jungi, da molto lungi...Fammi sedere, buorn gioviinotto, ch6e benediraiforse la mia! venuta in questa casai.

- Entrate, buona donna, entrate - disseleFedlerico introrducendlo quella donna nella suaamiodesta caisetta, ch' era compostai di due stan-ze, della cucinia e dl'uni terrazzo.

La vecchija, senza cerimionia, trlaendio un gPransospirone, si gillò a se;ders su una soffice pasto-