HIS451_PATTO COL NEMICO

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Barbara Cartland

Patto col nemico

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: No Escape from Love

© 1977 Barbara Cartland Traduzione di Elena Vezzalini

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony History marzo 2013

Questo volume è stato stampato nel febbraio 2013

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

HARMONY HISTORY ISSN 1124 - 7320

Periodico quindicinale n. 451 dello 06/03/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 624 dell'11/10/1996 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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1805 «È finito, mamma.» Lady Waltham, sdraiata nel letto con la schiena appoggiata ai cuscini, aprì gli occhi e disse soavemente: «Mi fa piacere, tesoro». Aveva parlato con un filo di voce. Era ma-grissima, quasi emaciata, e talmente pallida che la pelle sembrava trasparente, ma si capiva che da giovane doveva essere stata bellissima. Anche la figlia Vernita era magra, ma posse-deva la grazia e l'avvenenza della gioventù. Do-po essersi alzata in piedi, le porse il négligé per avere il suo parere. L'indumento di mussola indiana, profilato con lo stesso tessuto color rosa pallido, si allac-ciava con due nastri ed era impreziosito da un delicato merletto ad ago. E creava un curioso contrasto in quella stanza spoglia, con i pavi-menti di legno e le finestre prive di tende. «Un magnifico lavoro, bambina. Speriamo che vi paghino quando lo consegnerete.»

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«Avrei pensato di portarlo direttamente alla Principessa Borghese invece che alla Maison Claré.» «Non potete farlo» protestò Lady Waltham alzando leggermente la voce. «Sarebbe rischio-so, e poi vi è stato ordinato dalla Maison.» «Ci sfruttano» replicò Vernita. «A noi danno un compenso irrisorio, mentre dalle clienti pre-tendono cifre esorbitanti.» «Moriremmo di fame senza quei soldi» le ri-cordò la madre, che era sempre più debole. Non avevano osato chiamare un dottore, an-che perché Vernita sapeva che c'era bisogno di cibo più che di cure mediche. «Succederà co-munque, se non chiederemo un aumento.» Parlò al plurale, anche se negli ultimi mesi e-ra stata solo lei a lavorare. Dopo avere venduto tutto ciò che di prezioso possedevano, erano in-fatti state costrette a trovare un modo per man-tenersi. Era incredibile come fossero riuscite a so-pravvivere per tanto tempo nella clandestinità. Erano giunte a Parigi due anni prima con Lord Waltham, insieme a migliaia di altri turisti inglesi, quando il Trattato di Amiens aveva po-sto fine ad anni di ostilità tra Francia e Inghil-terra. L'estate del 1802 assistette alla rinascita del-l'Inghilterra. Dopo anni di conflitto, tasse e prezzi altissimi, il ritorno della pace e della pro-sperità fu salutato con gioia da tutti. Quando i combattimenti cessarono gli inglesi,

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bonari per natura, smisero di preoccuparsi di Napoleone, il giovane ufficiale che aveva con-quistato l'Italia, e finirono per accettare persino che controllasse la costa olandese. Dopo essere stati costretti per anni a restare in patria, gli amanti dei viaggi invasero il cana-le della Manica, e i porti di entrambe le coste furono presi d'assalto dall'alta società. Sir Edward Waltham attese prudentemente che l'entusiasmo iniziale scemasse e solo l'anno seguente, nel marzo 1803, partì per Parigi in-sieme alla moglie e alla figlia. La città si rivelò affascinante come Vernita l'aveva immaginata, e la sua famiglia fu accolta da un gran numero di amici e conoscenti. A un ricevimento videro persino il Primo Console Napoleone Bonaparte, che sembrò loro un uomo quasi avvenente, a dispetto dei dise-gni satirici che lo rappresentavano come un mostro. Furono perciò molto turbati quando nel mese di maggio, proprio nel bel mezzo dei preparati-vi per un'estate di serate danzanti e feste, l'ar-mistizio fu rotto. Bonaparte era furibondo, perché la guerra che aveva intenzione di combattere era arrivata, ma troppo presto! Così ordinò l'arresto degli inglesi che si trovavano in Francia. L'arresto di civili era un'azione senza prece-denti, che spaventò gli inglesi in patria e li con-vinse di avere a che fare con un selvaggio. Una consapevolezza che non fu di alcuna consola-zione per coloro che furono trascinati fuori dal-

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le eleganti dimore affittate per la Stagione. Grazie a un amico che faceva parte del gover-no francese, Sir Edward apprese ciò che stava per accadere dodici ore prima, così, in gran fretta, si trasferì con la moglie e la figlia in una casa in un vicolo lontano dalle strade eleganti, dove si affittavano stanze a chiunque lo chie-desse, senza fare troppe domande. Disgraziatamente, mentre stava organizzando il loro rientro in patria, impresa che sembrava alquanto improbabile, si ammalò, secondo Ver-nita a causa dell'acqua di Parigi. L'attacco di febbre fu violento e, malgrado le amorevoli cu-re prestategli dalla moglie e dalla figlia, l'uomo morì dopo una settimana di atroci dolori, la-sciandole sbalordite, smarrite e, soprattutto, so-le. Troppo tardi le due donne si resero conto che avrebbero dovuto rischiare di essere scoperti e chiamare un dottore, nonostante la classe medi-ca francese non godesse di buona fama. Era probabile però che nemmeno il più esperto dei medici sarebbe riuscito a guarire il gentiluomo. Lady Waltham, che amava il marito tenera-mente, rimase prostrata dal dolore, dunque toc-cò a Vernita organizzare il loro trasferimento dagli appartamenti dignitosi che occupavano al-la soffitta. Si dovette inoltre occupare della considerevole somma di denaro che il padre, appena aveva saputo che si sarebbero dovuti nascondere, aveva prelevato dalla banca. Dimo-strando una grande saggezza capì che non sa-rebbe durata per sempre. Con l'angoscia nel

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cuore, pensò che le ostilità che erano riprese sa-rebbero potute continuare per un periodo molto lungo. «Dobbiamo risparmiare fino all'ultimo soldo» disse a Lady Waltham. Ma dalla risposta di sua madre comprese che toccava a lei prendere in mano la situazione, e sostituire il padre nelle decisioni di casa. Naturalmente, la collera che Napoleone pro-vava nei confronti degli inglesi era condivisa da tutto il popolo francese. Vernita apprese che, spinto dal desiderio di vendetta, l'ufficiale corso aveva deciso di sconfiggere la razza di insolenti bottegai che gli impediva di conquistare il mondo. I giornali riportarono la notizia che a-veva intenzione di attraversare la Manica per invadere l'Inghilterra. «Vogliono farci saltare il fosso, e noi lo fare-mo!» Dopo una tale dichiarazione, aveva ordi-nato di costruire centinaia di lance da parata e cannoniere per portare l'esercito in Inghilterra, e di mobilitare tutti i porti francesi. Il popolo aderiva con entusiasmo alle sue i-dee e scherniva gli inglesi convinti di potersi difendere da una simile armata. Tuttavia il tempo passava e all'inizio del 1805 Napoleone cominciò a rendersi conto che il suo sogno stava svanendo e il suo cammino vittorioso era bloccato dalla Marina britannica. Parigi, però, non si dimostrò più tollerante nei confronti degli inglesi. Ogni volta che Ver-nita usciva di casa per fare acquisti e cammi-nava per le strade, percepiva l'odio che serpeg-

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giava nei confronti dei suoi compatrioti. Inoltre i prezzi erano sempre più alti ed era difficile procurarsi il cibo. Lady Waltham non si era ancora ripresa dopo la morte del marito, e agli occhi della figlia de-periva ogni giorno di più. L'unica cosa che re-stava loro da fare era consegnarsi alle autorità. Ma con ogni fibra del corpo lei si ribellava all'i-dea della prigione, e con determinazione e or-goglio decise di continuare a combattere, anche a costo della vita. Mentre guardava la madre alla luce primave-rile, capì che doveva fare qualcosa, e in fretta. Intenta a finire l'elegante négligé che l'era stato ordinato dalla Maison Claré, decise che lo a-vrebbe consegnato direttamente alla cliente. Sapeva infatti che la Principessa Paolina Bor-ghese aveva comprato un numero considerevole di bellissimi capi di biancheria che lei e sua madre avevano cucito con tanta cura. Anche quando la principessa si era recata in Italia l'anno precedente, aveva ordinato a Parigi camicette, camicie da notte e vesti da camera che erano state realizzate in tutta fretta per esse-re poi mandate a Roma. La Maison Claré sfruttava in modo indegno le sue lavoranti. Quando Vernita era passata al negozio per ritirare i tessuti e i pizzi che avreb-be usato per realizzare le eleganti confezioni per le clienti, non aveva potuto fare a meno di notare i prezzi altissimi e di paragonarli al compenso ricevuto. E si era risentita all'idea che lei e sua madre,

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costrette a lavorare quasi sempre a ritmi impos-sibili per i capi della Principessa Borghese, non venissero pagate di più. L'incoronazione di Napoleone, avvenuta nel mese di dicembre, aveva aumentato la domanda di lingerie, che doveva essere bella e riccamen-te ornata, come gli abiti da indossare sopra. Le ordinazioni continuavano ad arrivare nu-merose, e quando Vernita protestò che lei e la madre non erano in grado di eseguire il lavoro in tempi così rapidi, alla Maison le dissero con modi rudi che in quel caso si sarebbero rivolti a qualcun altro. Lei non ci credette, ma non osò sfidare la sor-te. Soltanto dopo avere terminato il négligé di mussola, più elaborato e più bello di tutti quelli già realizzati per la principessa, decise che a-vrebbe agito di testa sua. «Chiederò in prestito a Louise il suo abito più elegante e il cappello, mamma» dichiarò ad alta voce, «sembrerò una petite bourgeoise e nessu-no sospetterà la mia vera identità.» «È troppo rischioso» disse Lady Waltham con voce flebile. «E se dovessero scoprire chi siete?» «In quel caso andremo in prigione, e forse sa-rà meglio così. Se non altro, i prigionieri rice-vono un pasto due volte al giorno.» Quando Lady Waltham emise un debole gri-do, la figlia si precipitò al suo fianco. «Stavo scherzando, mamma. Nessuno capirà che non sono francese. Dopotutto, quando vado

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a fare la spesa, i negozianti sono sgarbati con me come con quelle povere donne esitanti che scelgono i cavoli che costano meno e tirano sul prezzo.» «Se solo questa orribile guerra finisse... se non fossimo mai venuti a Parigi.» Il singhiozzo soffocato rivelò a Vernita che sua madre stava pensando al marito e che non avrebbe mai voluto lasciare la loro casa in In-ghilterra. È tutta colpa mia, pensò. E non era la prima volta. Quando aveva compiuto diciassette anni, infatti, suo padre aveva deciso che meritava di fare un viaggio all'estero, perciò avevano la-sciato la loro dimora nel Buckinghamshire, che apparteneva alla famiglia da cinque generazio-ni. Avvertì una fitta d'infelicità e di rammarico al pensiero di come la sorte fosse stata crudele con loro. Poi, con un sorriso rassegnato, ricordò il pro-verbio che le ripeteva sempre la sua vecchia go-vernante: è inutile piangere sul latte versato. Poi-ché si trovavano a Parigi, l'unica cosa che restava da fare era cercare di sopravvivere. In qualche modo. Si chinò per posare un bacio sulla guancia fredda della madre. «Scendo a cercare Louise. È gentile, so che non mi negherà il suo aiuto.» Lady Waltham non protestò, sapendo che se sua figlia aveva preso una decisione niente l'a-vrebbe convinta a desistere. Nel contempo non poté fare a meno di pensare al destino crudele che costringeva Vernita, graziosa e attraente, a

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trascorrere la sua esistenza rinchiusa in una mi-serevole soffitta e a cucire lottando contro il tempo. Se fossero rimasti in Inghilterra si sarebbe di-vertita cavalcando nella tenuta di suo padre e partecipando a Londra alle feste e alle serate danzanti alle quali l'alta società l'avrebbe sicu-ramente invitata. Cosa l'attende in futuro?, si domandò ango-sciata. Malgrado le sue ripetute preghiere affinché a Vernita fosse risparmiata la terribile esistenza che conducevano, non c'era ancora stata rispo-sta. Persino Dio pareva averla abbandonata. «Oh, Edward!» esclamò rivolgendosi al de-funto marito, come faceva spesso quando era sola. «Ovunque voi siate, non potete aiutarci?» Era così debole che il solo pensiero dell'amato le fece venire le lacrime agli occhi. Tuttavia, appena udì il rumore dei passi sulle scale, si af-frettò ad asciugarle con la mano, poiché non voleva rattristare la figlia. Vernita entrò nella stanza con un abito nero sul braccio e un cappellino di paglia dello stes-so colore in mano. «Louise è stata gentile come pensavo, ma devo stare attenta a non sciuparlo perché questo è il suo abito della festa. Ora guardatemi, mamma, mi trasformerò nella cuci-trice che Sua Altezza Imperiale si aspetterebbe china a lavorare sulla sua lingerie.» Di solito, quando usciva di casa, si copriva la testa con uno scialle e indossava un soprabito informe che nascondeva il fisico snello per due

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motivi: per non essere identificata come stra-niera e perché i galanti giovanotti francesi non notassero i suoi occhi viola, quasi troppo grandi per quel visetto grazioso. Ma una volta indossato l'abito nero di Louise, che saliva a coprire il collo e nascondeva le braccia fino ai polsi, sembrò una tipica petite bourgeoise. E molto attraente. Lady Waltham la osservò sgomenta. «Non potete uscire vestita così, bambina mia! Un uo-mo potrebbe rivolgervi la parola, importunar-vi.» «Devo solo recarmi in Rue du Faubourg Saint Honoré, mamma, e sceglierò le stradine laterali evitando i viali. Nessuno mi fermerà, ve l'assi-curo.» «Lo spero. Devo ammettere che quel ridicolo cappellino vi dona davvero.» «Vi prometto che non correrò pericoli.» Dopo avere incartato il négligé, si guardò in-torno, pensando di cosa potesse avere bisogno sua madre. «Non preoccupatevi se tarderò un po'» la avvisò. «Quando mi avranno pagato, comprerò del latte e, se riceverò il denaro che spero, addirittura un pollo!» «Non esagerate» la esortò Lady Waltham, quasi inconsciamente. «Lo faccio spesso?» domandò Vernita con u-na vena di amarezza nella voce. La madre la baciò teneramente. «Se non altro il sole è caldo oggi, però tenete le mani sotto il lenzuolo. Sapete che si raffred-dano facilmente.»

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Mentre parlava, pensò al rigido inverno appe-na trascorso e al freddo che avevano patito nel-le lunghe notti buie perché non potevano per-mettersi di riscaldare la stanza. A volte imma-ginava che una mattina la portinaia le avrebbe trovate morte stecchite per il freddo, oppure si svegliava durante la notte per accertarsi che la madre respirasse. Erano sopravvissute per miracolo. Mentre scendeva le scale di corsa diretta al portone, pensò che sarebbe stato un sollievo re-spirare un po' di aria fresca, che forse le avreb-be fatto passare il mal di testa causato dalle tan-te ore trascorse a cucire e dalla mancanza di ci-bo. Al primo e al secondo piano della casa abita-vano degli inquilini benestanti, ma il portiere e la moglie, Monsieur e Madame Danjou, mostra-vano un atteggiamento tollerante nei confronti di madre e figlia che erano state costrette a riti-rarsi nella soffitta. Se nutrivano dei sospetti sul-la vera identità dei Waltham, non lo davano a vedere. Le conoscevano, naturalmente, come Madame e Mademoiselle Bernier, il cognome che Sir Edward aveva scelto quando avevano deciso di nascondersi, affermando che era co-mune come Smith, Jones o Brown in Inghilter-ra. I Danjou avevano una figlia, Louise, coetanea di Vernita, che la invitava spesso a uscire con lei la sera, nella speranza di trovare qualcuno che le accompagnasse in qualche locale, dove si ritrovava la gioventù parigina.

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E non capiva perché Vernita, con la scusa che non poteva lasciare sola la madre, rifiutasse sempre le sue proposte. «State sprecando i vostri anni migliori» l'ave-va rimproverata più di una volta con una nota di disprezzo nella voce. «Se continuate così, ri-schiate di diventare una vecchia zitella.» Sul momento Vernita aveva riso all'idea, ma una volta si era domandata se avrebbe mai co-nosciuto una vita diversa da quella trascorsa nei confini ristretti di quella soffitta fredda e poco confortevole, con la sola compagnia della ma-dre. Sentiva la mancanza degli amici in Inghilter-ra, delle conversazioni con suo padre e dei libri che avevano letto insieme. Sir Edward era un uomo intelligente e aveva voluto che la figlia ricevesse una buona istru-zione. Il risultato era che, costretta in povertà, lei a volte aveva l'impressione che il suo cervel-lo si stesse riducendo in polvere, e di non avere altri pensieri all'infuori del denaro. Mia madre deve mangiare, e al più presto, si disse mentre camminava diretta in Rue du Fau-bourg Saint Honoré. Come aveva promesso, scelse le strade se-condarie deserte, evitando i viali trafficati e la folla che camminava sui marciapiedi o era se-duta ai tavolini all'aperto. Arrivò a destinazione senza troppe difficoltà, perché in passato era già stata in quella strada e aveva visto l'Hôtel de Charost, la sontuosa di-mora che apparteneva a Sua Altezza Imperiale

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la Principessa Paolina Borghese. Quando si era autoproclamato imperatore, Napoleone aveva nominato principi i suoi fra-telli Giuseppe e Luigi, scatenando la furia delle sorelle che non potevano accettare che le co-gnate, e non loro, diventassero principesse. Davanti alla loro scenata, Napoleone aveva dichiarato sardonico: «A sentire le mie sorelle, si direbbe che le ho private dei loro diritti legit-timi lasciati da un defunto padre monarca». Tuttavia, dopo fiumi di lacrime e rimproveri, si era arreso e aveva assegnato loro il titolo di Altezza Imperiale. L'ingresso dell'Hôtel de Charost era impo-nente; la targa di marmo nero, sormontata dallo stemma nobiliare, proclamava che i precedenti proprietari erano più aristocratici dell'attuale occupante. Dopo avere varcato la porta, Vernita si trovò in un cortile circondato da mura. Era nervosa, temeva di essere allontanata e costretta a recarsi alla Maison Claré, dove avrebbe dovuto accet-tare la misera paga che le era stata promessa. «Cosa cercate?» le domandò in tono severo un valletto, che non pareva impressionato dal suo aspetto. Indossava una livrea verde, il colo-re preferito della principessa. «Ho portato il négligé che Sua Altezza Impe-riale ha ordinato.» Per un momento temette di doverlo conse-gnare a lui, precludendosi la possibilità, come aveva sperato, di sollecitare altre ordinazioni; invece l'uomo le fece segno di entrare dal por-

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tone principale. Si ritrovò in un vestibolo con colonne di marmo e pannelli dipinti; la scala aveva una ringhiera di ferro battuto con decora-zioni in oro, le pareti erano dipinte con girasoli e gigli. In realtà non ebbe molto tempo per guardarsi intorno, perché fu subito condotta in una stanza dove la principessa stava parlando con diverse persone, sarte e modiste di professione. Paolina indossava una vestaglia verde, tra-sparente, che metteva in mostra le curve sinuo-se del corpo perfetto. Sdraiata su un divano, era intenta a scegliere i tessuti per un nuovo abito. Vernita aveva appreso dalla Maison Claré che la principessa preferiva la piccola casa di moda La petite Leblanc alla sartoria più famosa di Parigi, Leroy. Quella mattina, tuttavia, non sembrava gradire né il tessuto né il modello che le venivano proposti. «Non è raffinato» stava dicendo perentoria. «Credo che mi starebbe malissimo, perciò por-tatelo via e proponetemi qualcosa di meglio.» «Mais, madame...» cominciò la sarta, che fu subito interrotta. «Oh, non posso davvero credere che intendia-te discutere con me!» La principessa fu colta da un improvviso attacco di collera, in completo contrasto col suo aspetto: sembrava infatti leg-gera come una piuma, e più bella di una statua greca. I giornali l'avevano sempre descritta come l'i-deale di bellezza classica, ma solo quando la vi-de di persona Vernita si rese conto che non c'e-

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rano parole che potessero rendere giustizia alla sua avvenenza. Aveva lineamenti perfetti, e un viso così gra-zioso che sembrava impossibile che qualcuno o qualcosa potesse contrariarla. Quando la sarta si girò per andarsene, Paolina rivolse un sorriso divertito e seducente al genti-luomo seduto in una poltrona accanto a lei. Un sorriso che le trasfigurò il volto, incurvandole le labbra in un'espressione provocante e incre-dibilmente attraente. Vernita non riusciva a distogliere lo sguardo da una creatura così deliziosa, ma quando la principessa chiamò con un cenno la persona che attendeva di essere ricevuta, una donna con due cappelliere, lanciò un'occhiata al gentiluomo. Anche lui sembrava uscito da un libro di fia-be: era snello ed elegante, e sedeva con disin-voltura con le gambe incrociate. C'era un'espressione cinica nei suoi occhi, e la bocca era atteggiata a una smorfia, come se guardasse con sdegno ciò che accadeva davanti a lui. Deve essere un uomo alto, pensò Vernita. Le spalle ampie e l'aria autoritaria che emanava le ricordarono suo padre. E direi che può avere più di trent'anni, rifletté domandandosi chi fos-se. Quando la principessa gli sorrise di nuovo, non ebbe più dubbi sul ruolo che rivestiva in quella casa. La spudoratezza di Paolina per quanto riguar-dava gli affari di cuore era ben nota, descritta

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sui giornali in toni che lasciavano poco all'im-maginazione. Era risaputo anche che il fratello Napoleone Bonaparte, appena era rimasta vedova, si era af-frettato a trovarle un altro marito che frenasse le sue intemperanze. Da due anni era sposata con il Principe Ca-millo Borghese. Quando era stato annunciato il fidanzamento, Sir Edward Waltham aveva di-chiarato che, per una fanciulla corsa di famiglia modesta, sposare uno dei più grandi aristocrati-ci italiani era un privilegio. Vernita, che quando era giunta a Parigi era una diciassettenne sentimentale, aveva cercato il maggior numero di notizie possibili sul Prin-cipe Camillo Borghese. E aveva scoperto che a-veva ventotto anni, era un avvenente romano con i capelli castani e ricci, e luminosi occhi scuri. Oltre a essere incredibilmente ricco, possede-va infatti grandi proprietà in Italia, e vantava un'impressionante serie di titoli nobiliari. Sua madre, che si era interessata al matrimo-nio, le aveva raccontato: «Si dice che i gioielli della famiglia Borghese siano i più belli al mondo, e che le loro collezioni d'arte siano uni-che». La vicenda del loro matrimonio, celebrato nell'agosto del 1803, era stata seguita con gran-de eccitazione da tutta la città di Parigi, com-presa Vernita per il tramite di Madame Danjou e Louise. Dopo che aveva trovato un lavoro per ricosti-

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tuire il piccolo patrimonio che stava gradual-mente svanendo, Vernita aveva appreso dalla Maison Claré che la lingerie che avrebbe cucito sarebbe stata indossata proprio dalla principessa la cui storia l'aveva tanto interessata. Di una cosa era certa: il gentiluomo a cui la principessa sorrideva con fare seducente non era suo marito. Quando la modista mostrò uno splendido cappello, decorato con piume di struzzo verdi, lui disse: «Penso che vi donerebbe». «Siete sicuro?» domandò Paolina. «Pensavo che la tesa fosse troppo alta.» «Incornicerà il vostro bel viso come un'au-reola.» «Credete che io la meriti?» chiese, scrutando-lo da sotto le ciglia abbassate con aria provo-cante. «Direi che ne avete bisogno.» Lei scoppiò a ridere, mostrando i denti per-fetti. A quel punto, come se fosse stato lui a de-cidere, dichiarò: «D'accordo, lo prendo. Do-mani portatene altri, modelli nuovi». «Merci bien, madame la princesse!» la rin-graziò la modista con un profondo inchino. Solo in quel momento Paolina si accorse del-la presenza di Vernita, e le fece un cenno con la mano. Col cuore che le martellava nel petto lei a-vanzò fino al divano, dove si fermò per rivol-gerle un inchino. «Chi siete? Non vi ho mai visto prima.» «Vi ho portato il négligé che avete ordinato,

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madame la princesse.» Davanti al suo sguardo perplesso, aprì in fretta il pacco e ne estrasse la vestaglia, che sollevò subito per mostrarla in tutta la sua bellezza, con le gale e il merletto. «Mais oui!» esclamò la principessa. «È in-cantevole. Mi starà benissimo, proprio come pensavo.» Mentre parlava si alzò in piedi e, sotto lo sguardo attonito di Vernita, cominciò a togliersi la vestaglia verde e la camicia da notte che in-dossava sotto. Dopo averle gettate sul pavimen-to, rimase nuda. Era più bella di una dea, per-fetta dalla testa ai delicati piedini. Arrossendo per la vergogna all'idea che una donna, soprattutto una principessa, si compor-tasse in quel modo davanti a un uomo, Vernita la aiutò a indossare il négligé. Paolina lo allacciò e si girò verso il gentiluo-mo che la stava fissando. Con le braccia tese, eseguì una piroetta affinché la potesse vedere da ogni angolazione. «Cosa ne pensate, Axel? Ditemi come mi sta.» «Siete bella come un angelo.» «Grazie. Era quello che volevo udire.» A quel punto si voltò verso Vernita. «Dunque l'a-vete fatto voi?» «Oui, madame la princesse, l'ho cucito io, come tutta la lingerie che avete ordinato di re-cente.» Tacque, ma quando si rese conto che Paolina la stava ascoltando continuò: «La Mai-son Claré, però, mi paga poco. Così poco che sono venuta da voi perché vorrei continuare a

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realizzare i capi per Vostra Altezza Imperiale, ma non potrò farlo se non riceverò un compen-so maggiore per il mio lavoro». Il cuore le martellava nel petto, le tremavano le gambe mentre si domandava se quella donna, graziosa quanto impudica, avrebbe capito cosa significava lavorare duramente come lei e sua madre avevano fatto nell'ultimo anno, e che qualche soldo in più sarebbe stato decisivo per non continuare a soffrire la fame. «Quanto vi paga la Maison Claré?» La do-manda non fu posta dalla principessa, ma dal gentiluomo che lei aveva chiamato Axel. Ricordando il ruolo che ricopriva, Vernita gli rivolse un inchino prima di rispondere. E poi-ché gli sembrava solidale con lei, gli disse d'un fiato quanto era stata pagata per un négligé, una camicia da notte e una camicia. «Non mi meraviglio che vi lamentiate! Se non erro, Paolina, voi pagate alla Maison Claré delle cifre esagerate. Ricordo che de Clermont-Tonnerre se ne lagnava proprio ieri.» «Il ciambellano si lamenta continuamente per ciò che spendo» confermò la principessa met-tendo il broncio. «Sono quasi sicura che è stato Napoleone a dirgli che devo risparmiare, anche se solo il cielo sa perché.» A quel punto si girò verso Vernita. «E cosa chiedete per questo né-gligé che, secondo questo gentiluomo, mi fa sembrare un angelo?» La giovane disse una cifra che corrispondeva alla metà di quella che la Maison avrebbe chie-sto alla principessa.

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«Sono certa che è un affare. Cos'altro mi pro-ponete che sia pronto in fretta?» «Di che cosa ha bisogno Sua Altezza Impe-riale?» «Di tutto! Nuove camicie da notte, perché quelle che possiedo mi hanno stancato. Cami-cette, fazzoletti... Comprerò da voi qualsiasi co-sa che sia nuova e bella come questo négligé.» «Grazie... grazie!» esclamò Vernita quasi senza fiato. «Allora cominciate subito, e non fatemi a-spettare» ordinò Paolina in tono imperioso. «D'accordo. Ma posso chiedervi di essere pa-gata in anticipo? Ho bisogno del denaro, che mi servirà anche per acquistare i tessuti, i pizzi e i nastri.» La principessa agitò una mano con indiffe-renza. «Parlate col ciambellano o col suo segre-tario, e non importunatemi con faccende del ge-nere.» «Sì, madame, certo!» Dopo averle rivolto un altro inchino, Vernita si avviò verso la porta. Che fortuna! Era andata meglio di quanto si aspettasse. Avrebbe potuto comprare il latte per sua madre, un pollo e altri cibi nutrienti. Aprì la porta, ma quando uscì nel vestibolo fu travolta dall'eccitazione per quanto le era acca-duto. Un velo nero le calò sugli occhi, le ginoc-chia le cedettero. Si appoggiò al muro, cercan-do di combattere la debolezza che le faceva gi-rare la testa, i brividi freddi che le percorrevano il corpo.

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A quel punto una voce dietro di lei disse: «Vi sentite male, mademoiselle?». Vernita non riusciva a vedere nulla, ma rico-nobbe la voce del gentiluomo che era nella stanza con la principessa. «No... sto bene» si impose di rispondere. Poi sentì che lui le cinge-va la vita per accompagnarla a sedere, e si portò le mani al viso, vergognandosi della propria de-bolezza. Dopo avere impartito un ordine a un dome-stico, il gentiluomo le si rivolse di nuovo: «Ab-bassate la testa sulle ginocchia». Vernita obbedì, anche se la voce sembrava provenire da molto lontano. Dopo una manciata di secondi, ma potevano essere di più, le ordinò in tono autoritario: «Be-vete questo». A fatica lei sollevò la testa, con l'aiuto del gentiluomo. A quel punto sentì il profumo di cognac e una scia di fuoco in gola: il bruciore le fece salire le lacrime agli occhi. «Basta così, vi prego. Basta» lo supplicò. «Ancora un sorso.» Troppo debole per discutere, Vernita obbedì. Il cognac portò via l'oscurità e le accese nel corpo un piacevole calore. «Mi dispiace» riuscì a dire mentre alzava il capo per guardarlo in viso. Il gentiluomo abbassò gli occhi su di lei per un istante prima di porle una domanda: «Quan-do avete mangiato l'ultima volta?». «Sto... sto bene adesso. Grazie.» «Non mi avete risposto.»

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«Non avevo fame questa mattina.» «Quindi avete mangiato ieri sera, e immagino che non sia stata una cena abbondante.» Vernita abbassò gli occhi e sentì le guance coprirsi di rossore. Si vergognava di avere reca-to tanto disturbo. Attribuiva la causa del males-sere al sollievo provato quando la principessa aveva accettato di acquistare il négligé, dandole la certezza che lei e sua madre avrebbero avuto il denaro per mangiare e per procurarsi ciò di cui avevano bisogno. Il gentiluomo che le stava accanto si chinò per infilarle una mano sotto il braccio. «Venite con me» disse. Vernita sapeva di non poter fare altro che ob-bedirgli, perciò si lasciò condurre. Dopo avere attraversato il vestibolo, raggiunsero un salone sul lato opposto. Nel frattempo, il gentiluomo aveva fermato un valletto di passaggio. «Portateci del caffè e dei croissant il più in fretta possibile!» «Subito, monsieur.» Vernita fu accompagnata a un divano, dove si sedette. «Mi dispiace darvi tanto disturbo. Ora sto bene, e credo che dovrei andare a casa.» «Prima dovete mangiare qualcosa» rispose lui, che attraversò la stanza per raggiungere la finestra. «Troppo spesso ho visto gente soffrire la fame per non riconoscerla. Immagino che ci sia qualcuno che si occupa di voi.» «Veramente sono io che devo occuparmi di mia madre. È ammalata, e siamo molto pove-re.»

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Non ci fu alcun commento. Dopo qualche minuto la porta si aprì e un valletto entrò por-tando un vassoio su cui erano posati un bricco d'argento e un piatto di croissant caldi. «Desiderate altro, monsieur?» «Per il momento no, ma avvertite il segreta-rio di Monsieur de Clermont-Tonnerre che que-sta fanciulla ha bisogno...» Si interruppe e guardò Vernita. «Quanti franchi avete chiesto?» Lei rispose a bassa voce, con grande imbaraz-zo. Il gentiluomo riferì la risposta al valletto, che se ne andò. A quel punto non aveva più senso aspettare ancora. Dopo essersi versata una tazza di caffè, Vernita prese un croissant. Aveva una fame ter-ribile. Le era accaduto tante volte e da tanto tempo, così il senso di fame era diventato un male sor-do accompagnato da un continuo mal di testa. La sensazione che provava era di avere una bar-ra di ferro sulla fronte. Appena cominciò a mangiare, il dolore si pla-cò. Quando ebbe finito il croissant, bevve il caffè e sentì di essere tornata alla vita. Solo quando lui le rivolse la parola, si rese conto che la stava osservando. «Mangiatene un altro, ne avete bisogno.» Lei lo fissò con occhi sorridenti. «Non vorrei sembrare vorace.» «Sarebbe sciocco sprecarli. Se non li mange-rete, verranno gettati.» Vernita allungò la mano dalle dita affusolate. «Penso spesso agli sprechi di case grandi come

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questa, specialmente la notte, quando lo stoma-co è vuoto.» Non si capacitava del perché fosse così facile confessare a uno sconosciuto i suoi segreti. Ma, mentre parlava, si rese conto che una cucitrice non si sarebbe comportata in quel modo, e che lui l'avrebbe giudicata un'impertinente. È da così tanto tempo che non frequento per-sone della mia classe sociale che ho dimentica-to che dovrei essere servile e rispettosa, pensò. Una cucitrice non si rivolgerebbe mai a un a-mico di Sua Altezza Imperiale come ho appena fatto. Stranamente, la cosa non sembrava importare al gentiluomo. «La fame produce effetti diversi sulle perso-ne. C'è chi è talmente debole da non riuscire a pensare, o addirittura a capire. Altri hanno delle allucinazioni, o strani sogni.» «Sembra volgare sognare il cibo» rispose Vernita. «Dovremmo prendere a esempio i san-ti, che digiunano per dedicarsi a pensieri più al-ti.» Il gentiluomo scoppiò a ridere. «Avete di-menticato che le tentazioni di Sant'Antonio era-no causate proprio dal digiuno, e sono quasi certo che diavoli, demoni e spiriti maligni appa-rivano ai santi quando avevano lo stomaco vuo-to.» «Non toglietemi l'incanto» rispose Vernita, «a me piace pensare che i santi siano investiti di poteri speciali che a noi non sono concessi, e che le loro visioni siano reali.»

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Pensando di nuovo che fosse una strana con-versazione per una sartina, e temendo che il gentiluomo potesse cominciare a sospettare di lei, bevve il caffè e posò la tazza. «Non so come ringraziarvi, monsieur.» Mentre parlava, la porta si aprì e apparve il valletto, il quale portava su un vassoio d'argen-to il denaro che era stato chiesto. «Il segretario del ciambellano vorrebbe una ricevuta» dichiarò. «Sì, certo. Devo darvi anche il conto.» L'aveva dimenticato a causa della debolezza. Aprì la borsa ed estrasse il foglio di carta, dove aveva segnato il denaro che le spettava prima di partire da casa. A quel punto si guardò intorno e notò uno scrittoio contro una parete. Si avvicinò, prese la piuma d'oca che stava vicino al calamaio e fir-mò la ricevuta che posò sul vassoio. Solo allora prese il denaro, con un senso di piacere, e lo mise nella borsa. Quando il valletto se ne fu andato, si rivolse al gentiluomo che la stava guardando. «Vi sono riconoscente, monsieur, davvero.» «Mi sembrate ancora scossa, vi accompagne-rò a casa.» «No, assolutamente. Non è necessario» prote-stò lei. «Insisto. Ho la sensazione che, malgrado ab-biate mangiato, potreste perdere i sensi lungo la strada.» «Vi assicuro che sto bene, non succederà nul-la.»

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«È inutile discutere con me» replicò lui con un sorriso. Rendendosi conto che quell'uomo la domina-va e che non era possibile opporgli un rifiuto, Vernita lo seguì nel vestibolo, dove lui impartì un ordine a un valletto. Nel cortile c'era un calesse trainato da due ca-valli, che a un cenno fu portato davanti al por-tone da uno stalliere. «Volete salire?» domandò il gentiluomo. Vernita lo fissò con gli occhi sgranati. A-vrebbe voluto protestare, ma sapeva che qua-lunque obiezione sarebbe stata liquidata con un gesto della mano. Quella richiesta era in realtà un comando al quale non avrebbe potuto disobbedire, perciò salì sul calesse, con il gentiluomo sul sedile del guidatore accanto a lei e il valletto appollaiato alle loro spalle. Dopo avere compiuto lentamente il giro del cortile, oltrepassarono l'ingresso che si affac-ciava su Rue du Faubourg Saint Honoré. «Dove abitate?» le domandò. «In Rue des Arbres, una stradina non lontana da qui, all'altezza di Boulevard des Capucines. Se mi lasciate all'angolo, percorrerò il resto a piedi.» «Non penserete davvero che io sia così scor-tese.» «Siete molto gentile, vi sono riconoscente.» «Come vi chiamate?» «Ve... Vernita. Bernier.» Prima di pronunciare il cognome aveva fatto

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una piccola pausa, e temette che lui l'avesse no-tato. Ma il gentiluomo si presentò a sua volta. «Io sono Storvik. Se vogliamo essere formali, sono il Conte Axel de Storvik.» «Non siete francese?» «Svedese.» «In effetti, quando vi ho visto ho pensato che non sembravate un francese.» «Avevate ragione. Tuttavia, anche se voi non avete un'aria francese, io non metto in dubbio la vostra nazionalità.» «Mio padre era originario della Normandia.» Era la risposta che Vernita aveva deciso di dare se le avessero posto domande sulle sue origini. I Normanni avevano la pelle chiara, e sebbe-ne lei non fosse bionda i suoi capelli non erano scuri come quelli della maggior parte delle fan-ciulle francesi. Il conte non rispose, limitandosi a fissarla per un momento. Poi il suo sguardo tornò a posarsi sui cavalli. Lei, che desiderava cambiare argomento, gli domandò: «Vi piace Parigi?». «È molto divertente» rispose lui, anche se non sembrava particolarmente divertito. «Avete sempre abitato qui?» le domandò do-po un po'. «No, solo da qualche anno.» Era la verità. «Prima vivevamo in campagna.» «Non so perché, ma sarei pronto a scommet-tere che preferite la campagna.» Lei lo guardò, stupita. Non era il tipo di os-

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servazione che un conte avrebbe dovuto ri-volgere a una povera cucitrice. Non voleva credere che stesse cercando di a-moreggiare con lei, ma non si poteva mai sape-re. Quante volte sua madre l'aveva esortata a fa-re attenzione, a non dare confidenza agli estra-nei! Ma quell'uomo era stato così gentile, e non c'era motivo di credere che fosse interessato a lei. Sentendo il cuore martellarle nel petto, ne attribuì la causa al cognac e al caffè che aveva bevuto. «Rue des Arbres è l'ultima a sinistra prima di arrivare all'Avenue de l'Opera» lo informò men-tre percorrevano Boulevard des Capucines. Il conte fece girare i cavalli con una perizia straordinaria, che Vernita non poté fare a meno di ammirare. Quando furono nel vicolo stretto e piuttosto squallido, sapendo che lui aspettava altre indi-cazioni continuò: «È il prossimo edificio sulla sinistra». I cavalli si fermarono e lei mormorò: «Desidero ringraziarvi ancora una volta, mon-sieur. Siete stato così cortese e comprensivo che non lo dimenticherò mai!». Senza pensarci gli tese la mano e lui, dopo essersi sfilato un guanto, la prese nella sua. «Abbiate cura di voi, Mademoiselle Bernier. Ho l'impressione che ultimamente non l'abbiate...» Stava per finire la frase quando Louise Dan-jou, in lacrime, uscì dal portone e si precipitò sul marciapiede. «Mademoiselle, vi stavamo aspettando!» e-

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sclamò. «Correte di sopra, vostra madre sta molto male.» Vernita emise un piccolo grido, saltò giù dal calesse e iniziò a correre il più velocemente possibile verso casa.

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451 - PATTO COL NEMICO di Barbara Cartland Francia, 1805. Vernita Waltham si trova in Francia quando Napoleone viene meno agli accordi del Trattato di Amiens e fa imprigionare tutti gli inglesi. Sfuggita al carcere fingendosi una semplice sarta, grazie alla sua astuzia riesce a entrare nelle grazie di Paolina, sorella dell'Imperatore, e a corte conosce l'affascinante Conte Axel de Storvik. Tra loro è un vero e pro-prio colpo di fulmine, ma quella storia d'amore non ha futuro dal momento che appartengono a due nazioni nemiche e che lui la crede una semplice popolana. Poi il destino spariglia le carte, rivelando nuove, sorprendenti possibilità.

452 - INCONTRI DI MEZZANOTTE di Annie Burrows Inghilterra, 1815. Lady Jayne Chilcott deve trovare marito entro la fine della stagione mondana. Purtroppo, a causa del suo desiderio di indipendenza e della sua insofferenza verso le regole dell'etichetta, si caccia nei guai facendosi sorprendere ad amoreggiare con un soldato. Lord Richard Ledbury le pro-pone allora una soluzione per uscire da quella situazione com-promettente: lui non rivelerà a nessuno l'accaduto a patto che lei dia lezioni di stile a una sua amica. Accettando, Jane è con-vinta di salvarsi da un pericolo, ma in realtà è appena finita in una trappola ben più minacciosa: quella dell'amore!

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453 - PRIMAVERA LONDINESE di Diane Gaston Inghilterra, 1816. Quando Anna Hill arriva a Brentmore Hall per assumere il ruolo di istitutrice, rimane colpita dall'aura di infelicità che regna nella casa. Decisa ad alleggerire l'atmosfera per il bene dei bambini, si ritrova a passare molto tempo in compagnia del loro padre, il tenebroso Lord Brentmore, sul quale pesano scandali passati e la tragica fine del primo ma-trimonio. Con la sua giovinezza e allegria, Anna conquista la fiducia di tutti, ma deve stare attenta a non lasciarsi travolgere dall'attrazione che la lega al padrone di casa. Un nuovo scan-dalo avrebbe conseguenze disastrose sulla vita di tutti loro...

454 - SCHERMAGLIE D'AMORE di Michelle Styles Inghilterra, 1811. Eleanor Blackwell si occupa con passione dell’azienda di famiglia, ed è riuscita a farla diventare una delle più rinomate del paese per quanto riguarda la produzione di spade. Il suo mondo, tuttavia, rischia di crollare alla morte del patrigno, quando la informano che per non perdere l’azienda deve sposarsi entro un mese. Da sempre convinta della dop-piezza degli uomini, Eleanor è disperata. Poi però incontra Lord Whittonstall, con cui ingaggia un duello che la lascia di-sarmata. Perché, nonostante la vittoria, ha appena incontrato il primo uomo capace di farle battere forte il cuore.

DAL 17 APRILE

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SUSANNA IVES I segreti di un lord

CAROL TOWNEND Schiavo d'amore

INGHILTERRA, 1819 - Henrietta ha deciso di trasformare il goffo Conte di Kesseley in un eroe dal fascino maledetto. Ma lui rivela una natura più trasgressiva del previsto e...

COSTANTINOPOLI, 1081 - Per evitare un matrimonio indesi-derato, Anna di Heraclea ha deciso di sposare un giovane schiavo. Che però non è un prigioniero qualunque...

I capricci del duca HELEN DICKSON

HONG KONG - INGHILTERRA, 1882 - Ogni volta che si in-contrano, tra l'impulsiva Marietta e il collerico Lord Trevel-lyan scoccano scintille. Sarà odio, il loro, oppure amore?

Fuga nella brughiera ANN LETHBRIDGE

SCOZIA, 1818 - Dopo una rocambolesca fuga attraverso la brughiera, Lady Selina e l'indomito Ian Gilvry sono costret-ti a sposarsi. Ma l'onore non è l'unico motivo che li lega...

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