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Cosa hanno a che fare con i Beatles Bob Dylan, Harry Nilsson, David Bowie, Elton John, Rod Stewart, Eric Clapton? La celebre rivalità tra Beatles e Rolling Stones era vera o solo presunta? Come ebbe inizio la carriera di James Taylor e in quali dischi usciti per la Apple ha suonato uno o più Beatles?

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VINCENZO OLIVA

HELP!TUTTE LE CANZONI E GLI ALBUM

CHE I BEATLES HANNO REALIZZATOCON ALTRI MUSICISTI

GREMESE

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Copertina:Patrizia Marrocco

Foto di copertina:Robert Whitaker, 1964

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Copyright GREMESE2011 © E.G.E. s.r.l. – Romawww©gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa,in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-695-8

Questo libro è dedicato a: Antonio, Adriana e Roberto,i miei figli che in realtà sono i miei migliori amici.

Ed è dedicato a Maria, un’amicache tanto tempo fa è diventata mia moglie.

Loro mi hanno aiutato, supportato e sopportatonella mia passione per la musica, tanto da restarne coinvolti.

RINGRAZIAMENTIUn grazie speciale va ad Antonio Oliva, Adriana Oliva e Roberto Oliva, i quali mihanno dato un valido ed importante contributo nella stesura di questo libro.Ognuno di essi ha collaborato a modo suo.Desidero ringraziare inoltre alcuni amici con i quali ho condiviso la passione per la musicain generale e per i Beatles in particolare: Stefano Oliva, Tonino Verde, Mauro Teti,Andrea Pisapia, Riccardo Russino, Luciano La Bollita, Rossella Oliva, SergioSpagnuolo;“Mr. Apple” Cristiano Cortellazzi, che ha in comune con me la passione per le“collaborazioni dei Beatles” ed ha fornito preziosi particolari sui dischi incisiagli “Apple Studios”;Antonio e Filomena, i miei “revisori” personali. Un “beatle-saluto” a tutti gli amici dellaBeatles Community www.Fab4.com e all’Associazione Beatles e Dintorni.

Collana “I Flap”

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SOMMARIO

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Introduzione: I Beatles e la Apple 13Ma chi erano mai questi Beatles? 13L’avventura della Apple 23

Le collaborazioni con altri artisti 32Prologo: The Songs Lennon & McCartney Gave Away 32John Lennon/Winston O’Boogie 33Paul McCartney/Paul Ramon 71George Harrison/Hari Georgeson 160Ringo Starr/Richie Snare 233Figli d’arte 288Epilogo: Come and Get It – The Best of Apple 290

Dear Friend, What’s the Time? 293A Beatle for a Beatle 293John e Paul: A Toot and a Snore in Seventy-Four 298

You Know My Name (It’s not Beatles) 303Lord Sitar 303Masked Marauders 304Peter Cook & Roger Moore: L.S. Bumble Bee 306The Fut: Have You Heard the Word 307Klaatu 308

Appendici 311Pseudonimi 311Discografia delle partecipazioni 313Registrazioni agli Apple Studios 330Indice delle partecipazioni (cronologico) 332Indice delle partecipazioni (alfabetico) 338Indice dei nomi 342Bibliografia 350

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DECALOGO DI UN FAN DEI BEATLES

Un fan inizia con la ricerca e l’ascolto di tutte le canzoni incise dai Beatles.Dopo aver scandagliato le incisioni ufficiali, di solito il fan dei Beatles passa alla

produzione solista di John Lennon.Poi a quella di Paul McCartney……di George Harrison……e infine di Ringo Starr.Le apprezza e subito dopo torna ai Beatles per concentrarsi sull’analisi delle versioni

stereo e mono dei loro album.Resta sorpreso e si mette in cerca di nuove esperienze. Trova vinili particolari, le edi-

zioni natalizie esclusive per i fan e le edizioni differenti degli album.Poi passa ai bootlegs e cerca di districarsi in un infinito mare magnum, consuman-

do sul piatto del giradischi tonnellate di vinile alla ricerca di inediti, out takes, rarità,demo, covers, dialoghi, interviste e chissà cos’altro.Lentamente si sposta dai Beatles ai loro dintorni.E cos’altro gli resta da fare, se non provare a reperire i dischi citati in queste pagine?

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PREFAZIONE

Mi trovavo in un megastore alcuni giorni fa, nel reparto libri, quando unvociare di ragazzini attirò la mia attenzione. Era una scolaresca in “perlustra-zione”, con l’insegnante che esortava gli alunni, probabilmente di una scuolaelementare, a consultare e a scegliere i libri. «Ehi», disse un bambino dal-l’espressione sveglia, «guarda, i Beatles!», indicando un grosso volume illustra-to a colori. E poi: «Chissà se ci sono pure i manga?».

Tutti sanno chi erano i Beatles. Ma, che cosa sono oggi? Che rappresentanoper un ragazzino in cerca di fumetti giapponesi? Un’icona? Una leggenda delXX secolo? Un videogame del nuovo millennio? Una cosa è certa: l’inchiostroche si è consumato per parlare di loro è molto, decisamente troppo, se solo sipensa al numero di libri che settimanalmente escono nel mondo, dalle disco-grafie alle biografie, analisi dei testi, analisi della musica, spartiti, saggi filosofi-ci e divagazioni sociali. In pratica, di tutto.

Questo, invece, non è un ennesimo libro sui Beatles. È un libro “intorno aiBeatles”.

Insieme o da soli, John, Paul, George e Ringo sono stati spesso ospiti inrealizzazioni di altri artisti, a volte come autori o musicisti, altre semplicemen-te come produttori; e la bibliografia che tratta tale aspetto è decisamente scar-sa, in Italia addirittura inesistente.

E questa è una lacuna che va colmata.I Beatles, specialmente nella parte centrale della loro carriera, erano sem-

pre stati molto aperti a ogni genere di esperienza musicale e, con il gusto cheha contraddistinto quasi tutte le loro produzioni, hanno collaborato con unnumero sorprendente di artisti dei più svariati generi musicali, a volte anchemolto lontani da loro, spaziando così dal rock’n’roll al country, dal jazz-rockal pop, dal blues al folk alla classica.

Almeno negli anni Sessanta e Settanta, il primato in questo particolare set-tore è senza dubbio da spartire tra George e Ringo, con Paul che segue a ruo-ta, per chiudere con John, più restio e diffidente. Ma se volessimo rimanerenel decennio in cui i Beatles erano insieme, McCartney fu il più attento ricer-catore di diverse esperienze musicali, forse anche perché era l’unico residentenella London Central (a Cavendish Avenue, pochi isolati da Abbey Road).

Ecco allora lo scopo del presente libro, che va considerato come un viaggio

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cronologico in questo particolare ambito della musica dei Beatles, alla scoper-ta di un mondo poco conosciuto e spesso meno considerato, ma ugualmenteimportante per gli appassionati (o, per dirla in altro modo, per i “completi-sti”). Inoltre, per i neofiti, può essere un mondo che riserva curiosità inaspet-tate e gradite sorprese. C’è di tutto: si potranno scoprire o riscoprire artisti giànoti al grande pubblico o bizzarri personaggi sconosciuti – almeno qui in Ita-lia – assieme a stelle, stelline e meteore che il tempo ha messo da parte.

Una panoramica di album “con i Beatles”, ma non “dei Beatles”, pubblicatiin oltre cinquant’anni.

Per trattare diffusamente e con precisione da specialista appassionato unamateria così vasta, ho fatto ricorso alla seguente suddivisione: in una primaparte ho trattato del contributo dei Beatles come autori, poi come musicisti ecome produttori, sottolineando sempre sotto quali pseudonimi si nascondeval’uno o l’altro del celebre quartetto. Ho ripartito il tutto in quattro capitoli,uno per ogni componente dei Beatles, e mi sono peritato di seguire un ordi-ne cronologico per facilitare la consultazione.

Nei “Beatles come autori” ho focalizzato l’attenzione sulle canzoni composteper o con altri. Siamo agli albori degli anni Sessanta: già Lennon e McCartneyavevano iniziato a farsi conoscere come buoni compositori e molti loro colle-ghi, in primis gli altri artisti della scuderia di Brian Epstein, cercavano di averequalcuno dei Beatles nelle loro incisioni, così da associare la propria immaginecon quella della “next big thing”. Alcune canzoni – che i due davano via – era-no state scartate da loro stessi o dal management, perché non ritenute all’altez-za, altre invece erano state scritte appositamente per destinarle diversamente.

Le miriadi di cover, intese nel senso stretto del termine, non sono presequi in considerazione, a meno che la versione in esame non sia stata pubblica-ta prima di quella degli autori, cosa che la trasformerebbe automaticamentein una canzone data ad altri.

La tipologia dei “Beatles come musicisti” è il nocciolo del libro. Uno o piùcomponenti dei Beatles è ospite come sessionman (strumentista o vocalist) inalbum altrui. È spesso il caso, soprattutto negli anni Settanta, di scambi di fa-vori con amici e turnisti di professione i quali, avendo suonato negli album diun Beatle, chiedevano di essere ricambiati quando arrivava il momento dipubblicare il proprio.

Nei “Beatles come produttori” ho esaminato i casi in cui essi curavano laproduzione e gli arrangiamenti di dischi altrui, tra i quali molti degli artisti in-gaggiati per la Apple.

Per completezza, occorre precisare che ho scelto di menzionare – sottoli-neandone però l’improbabilità – anche alcuni dischi incisi in studio alla pre-senza di uno dei Beatles, sebbene non avessero preso parte attiva alleregistrazioni: una manciata di album in cui all’epoca fu ventilata la presenzadi uno dei Beatles, senza che la cosa fosse stata in seguito realmente accertata;gli album con le opere classiche di Paul McCartney, in quanto eseguite da cori

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e orchestre; alcune collaborazioni progettate ma poi non realizzate, le cui te-stimonianze sonore esistono ma non sono mai state pubblicate, né sul merca-to ufficiale né su quello clandestino.

Dunque questi aspetti della carriera di John, Paul, George e Ringo sonopiù ampi di quanto si possa credere, e sono stati spesso sottovalutati o ingiu-stamente ignorati.

A volte, per motivi discografici, il nome non poteva comparire su dischi dicase diverse da quella di appartenenza: ed ecco allora che la fantasia si sbizzar-riva alla ricerca dei più svariati (e spesso divertenti) nomi falsi. In verità, la pri-ma volta che i Beatles si servirono di pseudonimi fu all’inizio della loroavventura musicale. Nel 1960, dopo essere stati Johnny and The Moondogs,intrapresero un breve tour in Scozia come Silver Beatles. John diventò perl’occasione Johnny Silver, in omaggio a Long John Silver dell’Isola del tesoro,Paul si chiamò Paul Ramon, che a lui suonava esotico e romantico, Georgescelse Carl Harrison, in onore del suo idolo Carl Perkins. Con loro c’era an-che Stuart Sutcliffe, che in realtà preferiva fare il pittore e adottò il nome StuDe Stijl. Paul sarebbe tornato a utilizzare lo stesso nome alla fine degli anniSessanta in una delle sue collaborazioni nascoste.

Curiosità: questo stesso pseudonimo, a metà anni Settanta, avrebbe ispiratoil nome dei Ramones. Infatti la band americana lo scelse dopo aver lettol’aneddoto di Paul McCartney/Paul Ramon.

Ci ha svelato Geoff Emerick, l’ingegnere del suono di Abbey Road, che neiprimi anni Sessanta i Beatles prenotavano gli studi a nome “The Dakotas”, alloscopo di sviare i fan perennemente in agguato. E così, per vezzo o per necessi-tà, l’usanza dei nomignoli tornò in auge in occasione di alcune partecipazioniin dischi altrui.

Chi si nasconde dietro Apollo C. Vermouth, Dr. Winston O’Boogie, HariGeorgeson, English Richie, l’Angelo Misterioso, John O’Cean, Son of Harry,Richie Snare?

A completamento del testo vi sono dei capitoli extra. Il primo riguarda “IBeatles per i Beatles”: tutte le occasioni in cui, dopo lo scioglimento, uno deiBeatles ha partecipato a incisioni di un altro Beatle, con uno sguardo partico-lare all’unica session che ha visto assieme John Lennon e Paul McCartney do-po il 1970. Il secondo tratta delle curiose circostanze in cui alcuni dischi sonostati erroneamente scambiati per incisioni segrete dei Beatles.

Desidero infine sottolineare che ho altresì analizzato fonti ufficiali e uffi-ciose: innanzitutto, la gran quantità di interviste e notizie apparse negli annisu riviste specializzate quali Rolling Stone, Melody Maker, Ciao 2001. Poi alcunitesti: fino agli anni Novanta, il riferimento universale in questo particolare set-tore era il libro Recordings of John, Paul, George & Ringo, paragrafo “Beatles forOthers”, di A. Guzek e C. Mattoon. Datato 1977, si basava soprattutto su arti-coli apparsi all’epoca delle registrazioni su Rolling Stone, Melody Maker o sulle“fanzine” come il Beatles Monthly, il Beatles Book e altre.

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Nel 1998 Kristofer Engelhardt lo ha reso obsoleto con la pubblicazione inAmerica di Beatles Undercover, dopo avere setacciato a destra e a manca, e in al-cuni casi intervistato i protagonisti in persona. Il suo libro ha contribuito an-che a smentire alcune partecipazioni date per certe fino ad allora, nonché aportarne alla luce di nuove. Eppure, alcuni casi sono rimasti irrisolti.

Con l’avvento di internet sono sbucati dal nulla diversi siti specializzati, macome sempre accade in questi casi, l’attendibilità non è garantita. Ad esem-pio, vanno citati “letmetakeyoudown” e il “B.T.C.P. (Beatles Total Collabora-tions Project)” che includono qualunque cosa avesse a che fare con uno deiBeatles, compresa l’eventualità che si tratti solo di voci, leggende o partecipa-zioni in senso molto lato. Altri, invece, riportano esclusivamente le collabora-zioni ufficiali, quindi solo se accreditate sui dischi o sulle ristampe in cd. Main questo caso sono state automaticamente escluse le apparizioni sotto falsonome o non accreditate seppur universalmente riconosciute perfino dai pro-tagonisti.

Nel 2009 Kristofer Engelhardt ha pubblicato una nuova edizione, BeatlesDeeper Undercover, ancora più aggiornata e precisa. Tutto ciò è però sempre ri-gorosamente in lingua inglese e puntualmente ignorato dall’editoria italiana,se si eccettua Paul McCartney 1970-2003. Dischi e misteri dopo i Beatles di Russino,Guffanti e Oliva (il sottoscritto) che tratta l’argomento limitatamente aMcCartney.

Lungi dall’essere un’opera definitiva, nel presente volume ho cercato diraccogliere tutto il materiale disponibile, attraverso molti anni di avide ricer-che, in modo da far luce su fatti veri o presunti.

Al termine di questa lettura viene la parte più affascinante, seppur difficol-tosa e dispendiosa: quella di cercare di procurarsi i dischi e le canzoni citate.Con un po’ di fatica (in alcuni casi tanta) ci si può riuscire.

Un’ultima precisazione: molti dei personaggi che si incontreranno in que-ste pagine oggi non ci sono più. Ho deliberatamente scelto di non riportareanni di nascita o di morte per non trasformare il volume in uno sterile elencodi date. Per quello c’è Wikipedia.

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INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE

Ma chi erano mai questi Beatles?

A metà del secolo scorso «Liverpool era un po’ sbocconcellata», per citareRingo Starr nel cartone animato Yellow Submarine. Niente a che vedere con lagraziosa cittadina come si presenta oggi agli occhi di quei turisti che ogni esta-te la invadono per celebrarne i figli più famosi. Ovviamente l’aggettivo “gra-zioso” è riservato al centro della città, un’isola pedonale ordinata e pulita,pullulante di negozi di souvenir, alberghi e centri commerciali, che da Paradi-se Street si estende fino all’Albert Dock – dove è stato istituito il museo Bea-tles Story –, passando per Matthew Street. Qui è tutto un susseguirsi di pub elocali che accolgono soltanto due tipologie di fan: quelli sportivi, che seguonole sorti del Liverpool F.C., la squadra di football più titolata del Regno Unito –oggi lievemente in ribasso –, e quelli dei Beatles. Lo storico Cavern (1957), inparte demolito, ha riaperto i battenti nel 1984, clone della sede originale e og-gi etichettato come il “pub più famoso del mondo”, dove sera dopo sera, pertutto l’anno, si beve birra, si canta e si balla al ritmo delle canzoni che hannocontribuito alla elezione di Liverpool come Capitale europea del 2008. Oltrealla squadra di calcio e ai Beatles, l’altro orgoglio della città è il fiume Mersey,che dai monti Pennini attraversa la periferia di Manchester, passa per il centrodi Liverpool e sbocca nel grigio mare d’Irlanda. La sua presenza per gli Scou-sers è così importante che da qui è derivato il nome dell’intero movimentomusicale, nato da quelle parti all’inizio degli anni Sessanta, il Mersey Sound.

A quei tempi Liverpool, fredda città portuale del nord dell’Inghilterra, atrecento chilometri da Londra, non offriva molto. Le tracce della guerra era-no ancora sotto gli occhi di tutti; in una delle canzoni popolari più famose, InMy Liverpool Home, c’è tutto, dal disastro provocato dai bombardamenti tede-schi alla disoccupazione, alla miseria, fino all’orgoglio del liverpudlian: Sononato laggiù nei Docks, dove la religione è cattolica e il lavoro una rarità; sono espertonel rubare e la notte dormo sotto un vecchio cappotto. Negli anni Quaranta il mondoimpazzì, il signor Hitler ci gettò addosso tutto quello che aveva e quando la polvere e ilfumo si alzarono, un vecchio ringraziò Dio perché il Pier Head stava ancora là. A casamia a Liverpool parliamo con un accento estremamente raro, ci incontriamo sotto una

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statua estremamente spoglia, però se vi serve una cattedrale ne abbiamo una in più…Gli adolescenti non avevano molti altri interessi oltre alla musica. In parti-

colare impazzivano per lo “skiffle”, un miscuglio di contaminazioni della mu-sica popolare con radici country, folk e jazz, e qualche venatura di blues. Loskiffle nacque sulle rive del Mersey proprio come una sorta di blues bianco,laddove il Mersey era il Mississippi locale: una musica che poteva essere suona-ta da chiunque con strumenti fatti in casa, come il “washboard”, lo “jugs”, il“tea chest bass”, il “cigar-box fiddle”, il “musical saw”, che non erano altro chel’asse da lavare per le percussioni, il manico della scopa con rudimentali cor-de per fare il basso, il contenitore del tè come grancassa e così via. Nei casipiù sofisticati, appariva qualche chitarra sgangherata o addirittura il banjo.

Spesso i marinai americani che sbarcavano da quelle parti si portavano die-tro i primi 45 giri di rock’n’roll, Chuck Berry, Buddy Holly, Little Richard oElvis Presley che, comunque, finivano nelle mani dei ragazzini locali. In que-sto panorama apparvero i Quarrymen. John Lennon, spirito ribelle e spiccatosenso artistico, aveva messo su un piccolo “complesso”, costringendo i suoicompagni a seguirlo in improbabili esibizioni. Il 6 luglio 1957, data ormai en-trata nella storia della musica, John conobbe il quindicenne Paul McCartneyalla festa della chiesa di St. Peter a Woolton. La sua perizia e “professionalità”nel cantare le parole esatte delle canzoni colpirono a tal punto il leader deiQuarrymen che, seduta stante, Paul fu accolto nel gruppo. Con l’avvento diGeorge Harrison nacque il nucleo originale dei Beatles. Stuart Sutcliffe, unamico e collega della scuola d’arte, fu convinto (o costretto) da John a com-prare e suonare il basso. Riuscirono a ottenere un ingaggio per una brevetournée in Scozia come gruppo di spalla di Johnny Gentle, e al ritorno accol-sero nel gruppo Pete Best, uno dei pochi ragazzi che possedevano una “vera”batteria. Dal vecchio skiffle al Mersey Beat, in pratica dai Quarrymen ai SilverBeatles (poi Beatles), il passaggio fu piuttosto rapido.

La gavetta era durissima, ma il consenso che i cinque si guadagnavano conle esibizioni al Cavern li portò ad Amburgo, dove i locali come l’Indra, il Bam-bi Kino e lo Star Club accoglievano a braccia aperte decine di gruppi e can-tanti inglesi. Tra questi c’era Tony Sheridan, un rocker alla Elvis, il quale nel1961 incise una manciata di cover di vecchi brani per la Polydor, servendosidei Beatles come gruppo di accompagnamento. Cuoio, stivaletti, birra e coca,da veri punk ante litteram, notte dopo notte i Beatles si fecero le ossa maturan-do un’esperienza importantissima dal lato umano e professionale. Il reperto-rio era basato su cover di standard e classici del rock’n’roll, oltre a qualchetimido brano originale composto da John e Paul. Sutcliffe restò in Germania,dove sarebbe morto di lì a poco per emorragia cerebrale. Al ritorno dal terzotour ad Amburgo, la popolarità della band giunse all’attenzione di Brian Ep-stein, titolare di un negozio di dischi ed elettrodomestici, quando gli fu chie-sto un 45 giri con My Bonnie, incisa da uno sconosciuto gruppo provenientedalla Germania. Incuriosito, Epstein li scovò giù al Cavern e si propose come

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manager. I Beatles continuarono a suonare al Cavern in centinaia di serate,finché Epstein riuscì a ottenere per loro la prima audizione seria, da partedella Decca. Dopo un viaggio estenuante, ammassati assieme agli strumenti abordo di un furgone, John, Paul, George e Pete arrivarono finalmente a Lon-dra, giusto in tempo per trascorrere la sera di Capodanno in una TrafalgarSquare coperta di neve.

Il mattino del primo gennaio 1962 eseguirono un repertorio discutibil-mente scelto da Epstein, con strumenti forniti dalla casa discografica, davantia un personale in camice bianco che li ascoltava con scetticismo. Furono im-pietosamente scartati perché «i gruppi chitarristici erano ormai sorpassati».Più verosimilmente furono snobbati perché venivano dal nord e, scritturando-li, si sarebbero presentate difficoltà logistiche altrimenti inesistenti con i grup-pi locali: gli furono preferiti i londinesi Tremeloes, audizionati lo stessogiorno. Epstein, deluso, riuscì a ottenere il nastro del provino e a farsenestampare a proprie spese una lacca presso il negozio della HMV, la famosa HisMaster Voice di Oxford Street, dove gli fu suggerito di rivolgersi alla EMI.

Il contratto arrivò dopo un anno e mezzo, quando George Martin, respon-sabile dell’etichetta Parlophone, fu incaricato dai dirigenti della EMI di occu-parsi dei Beatles. Alla vigilia dell’incisione del primo singolo, Love Me Do, PeteBest venne sostituito da Ringo Starr, ex batterista degli Hurricanes di RoryStorm della scena del Merseybeat. Love Me Do si affacciò timidamente nelleclassifiche anche grazie al valido aiuto di Brian Eptsein (non dimentichiamoche lui era proprietario di un negozio di dischi).

Il secondo 45 giri fu Please Please Me, che Lennon si ostinò a voler inciderein luogo della How Do You Do It che aveva scelto Martin. Il primo album, costi-tuito da cover e da pezzi originali, venne registrato ad Abbey Road l’11 febbra-io del 1963 in una massacrante maratona di quindici ore. A notte inoltrata erarimasto lo spazio e il tempo per un altro brano, ma la voce di Lennon era ora-mai andata. Latte e menta lo aiutarono a sparare le ultime cartucce per loscempio definitivo delle sue corde vocali in una sola, violenta take: una Twistand Shout così non la si sarebbe più ascoltata. La canzone fu inserita a chiusu-ra del disco, mentre in apertura c’era la roboante I Saw Her Standing There diPaul McCartney. Il suono fresco e aggressivo portò un vento di novità che pre-sto sarebbe diventato un tornado.

Il secondo album, With the Beatles, seguì a ruota ripercorrendo lo stessoschema del primo. I singoli del calibro di She Loves You, From Me to You e I Wantto Hold Your Hand fecero il resto: l’Inghilterra, l’Europa, poi l’America, infineil mondo intero furono conquistati. In soli otto anni e una produzione im-pressionante, i Beatles avrebbero preso per mano il rock’n’roll degli esordi elo avrebbero condotto nel loro percorso più logico attraverso il beat, il pop einfine il rock. Con loro, la musica dei giovani non sarebbe stata più riservata aun pubblico di soli adolescenti, e nel corso del decennio la sbalorditiva in-fluenza dei Beatles avrebbe toccato anche diversi campi extra musicali.

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Nel biennio 1963-1964 Lennon e McCartney raggiunsero un livello di pro-lificità altissimo, aiutando in maniera cospicua anche gli altri artisti che si era-no affidati a Epstein: è qui che cronologicamente si colloca l’origine di questolibro.A Hard Day’s Night, disco e film del 1964, li vide impegnati per la prima vol-

ta con tutte canzoni originali, una serie incredibile di hit che vanno dalla title-track a Can’t Buy Me Love e And I Love Her, antesignana della ballata allaMcCartney. Alla fine dell’anno i Beatles, seppur esausti e scarichi sia fisica-mente che creativamente dopo mesi di attività frenetica, riuscirono a restarenella media di due album all’anno, pubblicando il sottovalutato Beatles for Sale.L’album, sebbene completato grazie al ricorso ad alcune cover, contiene gem-me del calibro di I’m A Loser, I’ll Follow the Sun, No Reply, Baby’s in Black e EightDays a Week, canzoni che, da sole, con gli standard di oggi, varrebbero un’inte-ra carriera. Lo stesso discorso vale per Help!, uscito l’anno successivo abbinatoal film omonimo: è inimmaginabile pensare che oggi esca un album con braniquali Help!, Ticket to Ride, You’ve Got to Hide Your Love Away e, per finire, Yester-day.

Il 1965 chiuse il primo periodo dei Beatles, quello più legato al beat. Inquell’anno la Regina conferì ai quattro l’Ordine dell’Impero britannico. Inestate si esibirono davanti ad oltre cinquantamila persone allo Shea Stadiumdi New York, in quello che fu il primo concerto rock in uno stadio. Da allorain avanti i Beatles, ormai osannati e imitati dovunque, si sarebbero dedicaticon più attenzione al lavoro di studio. Il risultato fu sorprendente: Rubber Soule Revolver sono capolavori di maturità, infarciti di sonorità inedite e prime in-fluenze indiane, in più accompagnati da singoli quali Day Tripper, We Can WorkIt Out, Rain e Paperback Writer.

Iniziarono le sperimentazioni di studio e le esplorazioni musicali che por-tarono il gruppo a sfruttare tutte le risorse tecniche che avevano a disposizio-ne all’epoca. E giunse così la decisione di abbandonare l’attività live: non sipoteva cantare una Eleanor Rigby nell’assordante delirio delle fan, e nondime-no con le attrezzature del 1966 non sarebbe stato possibile riprodurre una To-morrow never Knows. L’ultimo concerto fu quello del Candlestick Park di SanFrancisco nell’agosto del 1966. Era finito un incubo ed era cambiata un’epo-ca. Addio beat e canzoncine zuccherose, addio frangette e yè yè, addio vecchiBeatles.

Nell’aria del 1967 c’era profumo di nuovo, un profumo di fiori. “FlowerPower”, “Swinging London”, “Summer of Love” sono tutti termini che sboc-ciarono in quei mesi e oggi entrati nell’immaginario collettivo. E contempora-neamente alle sperimentazioni musicali, i Beatles si dedicarono conaltrettanta passione alla sperimentazione di nuove sostanze quali l’LSD e ledroghe sintetiche che “aprivano la mente”.

Anticipato da quello che è considerato il più grande singolo di tutti i tempicon Penny Lane e Strawberry Fields forever, due splendidi acquerelli dedicati a Li-

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verpool, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band fece il suo devastante ingresso nelmondo la mattina del primo giugno 1967. La copertina caleidoscopica con glistralunati testi stampati sul retro, il concetto uniforme delle canzoni e dei suo-ni, l’epico finale di A Day in the Life, apocalittico epitaffio seguito da sberleffi eultrasuoni: tutto questo contribuì a fare dell’album non una pietra miliare,ma la pietra miliare del rock. Nella gran parte dei sondaggi effettuati allo sco-po di definire, ove mai fosse possibile, il migliore o il più importante album ditutti i tempi, il Pepper è sempre al primo posto. Ed è a questo punto che, se-condo molti, la musica rock diventa adulta. Il critico letterario Guy Aston af-fermò che «grazie a quell’album i Beatles riuscirono a conferire credibilitàalla musica pop e a farne qualcosa che andava trattata con serietà come qual-siasi altra espressione artistica».

Dopo Sgt. Pepper niente più sarebbe stato come prima nel mondo musicale.Molti gruppi coevi avrebbero seguito il suo esempio, e alcuni ne sarebberousciti con le ossa rotte. Con un colpo di genio i Beatles si erano trasformati insantoni rappresentati dalla Banda del Club dei Cuori Solitari: la guida spiri-tuale di un pubblico visionario costituito da personaggi famosi del passato edel presente, tra cui gli stessi Beatles con giacca, cravatta e caschetto. Sono sta-ti scritti interi trattati soltanto sulla genesi della copertina, con il suo collagedi nomi famosi che avrebbe creato una schiera di imitatori senza paragoni. Atal proposito, non tutti sanno che tra i personaggi ci sono anche Sophia Lo-ren e Marcello Mastroianni, i quali però vennero coperti nella fase di montag-gio finale dalle statue di cera dei Beatles (per l’esattezza, la Loren si trovadietro John e George, e Mastroianni dietro Ringo e Paul. Il cappello di Ma-stroianni spunta ancora sotto il mento di Marlon Brando).

Il clamore suscitato da quell’album non si era ancora affievolito quando iBeatles sferrarono un altro colpo: All You Need Is Love eseguita negli studi dellaEMI e trasmessa in mondovisione li confermò leader del loro tempo. Qualesarebbe stato il passo successivo?Magical Mystery Tour, il film con il quale i Beatles onoravano il contratto

che li legava ai progetti cinematografici, venne trasmesso nel 1967 il giornodel “Boxing Day”, da noi Santo Stefano. Mentre i tradizionali inglesi si appre-stavano a scartare i tradizionali regali di Natale davanti a una tavola tradizio-nalmente imbandita, nelle tv in bianco e nero apparvero i quattro Beatlesche, accompagnati da nani e spogliarelliste, giravano per le campagne inglesisu un variopinto bus, mentre i loro alter ego, travestiti da Mago Merlino, eranoindaffarati in improbabili sortilegi. Fu il primo fiasco di pubblico e la criticasentenziò: «I Beatles sono finiti». In realtà il film, concepito a colori ma tra-smesso in bianco e nero, non era brutto ma semplicemente era troppo avantiper l’epoca. Il tempo avrebbe infatti reso giustizia al suo surrealismo e soprat-tutto alla musica in esso contenuta, basti citare canzoni come I Am the Walrus,The Fool on the Hill e Hello Goodbye.

Il 1968 vide la nascita della Apple, l’etichetta creata dai Beatles per dare vi-

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ta a molteplici aspetti artistici. Il primo disco pubblicato con il nuovo marchiofu Hey Jude con Revolution sul lato B, al quale seguirono i progetti di MaryHopkin e di Jackie Lomax.

Questo fu un anno chiave: mentre il mondo cambiava, i Beatles, che eranostati tra i propulsori e gli artefici dei fermenti artistici, si rifugiarono in India,dove, trascinati da George, si dedicarono anima e corpo alla filosofia del po-sto. La meditazione trascendentale e l’infatuazione per la cultura orientale liportarono alle pendici dell’Himalaya per un corso di “rigenerazione spiritua-le” con il Maharishi Mahesh Yogi. Con loro c’erano anche altri artisti, tra cuiDonovan, Mike Love dei Beach Boys e l’attrice Mia Farrow. Nel fiume Gangeritrovarono l’ispirazione per nuova musica, e le numerose canzoni concepitedurante il soggiorno andarono a costituire il nuovo album, il doppio The Bea-tles universalmente noto come White Album, un compendio della storia delrock che includeva folk, pop, blues, country e avanguardia con echi di vaude-ville, underground e musica classica.

In particolare, vanno ricordate Dear Prudence, scritta da Lennon per Pru-dence Farrow, sorella di Mia, e Sexy Sadie, amara dedica al guru. Un’altra can-zone, Child of Nature, sarebbe diventata la Jealous Guy pubblicata qualche annodopo da John. L’unico documento filmato esistente dei Beatles in India fu ilreportage effettuato dalla televisione italiana per lo speciale Tv7, in cui i quat-tro cantano Hare Krishna in riva al Gange. Ringo restò in India due settimane,Paul resistette per un mese, George e John tre.

Al ritorno a Londra si resero conto che al posto dei ragazzini arrivati appe-na sei anni prima a bordo di un furgone scassato, c’erano quattro uomini fa-mosi, ricchi e, soprattutto, molto diversi tra loro.

Il biennio seguente li avrebbe visti impegnati in altri progetti, tra cui leproduzioni per gli artisti messi sotto contratto dalla Apple; ma all’inizio del1969 decisero di tornare al passato, sebbene fosse defluita tanta acqua sotto iponti di Liverpool. Interessi diversi, vite private agli antipodi e gusti musicaliormai inconciliabili portarono i primi dissapori.

Mentre usciva Yellow Submarine, colonna sonora del film a cartoni, nel gen-naio del 1969 iniziarono le riprese di Get back, quello che doveva essere untentativo di ricominciare da zero e che invece diventò un lento ma gradualesfacelo. Negli studi di Twickenham, ripresi dalle telecamere fin dalle otto delmattino, si svilupparono attriti irreversibili. John, accompagnato come un’om-bra da Yoko, si mostrava completamente disinteressato a qualsiasi cosa riguar-dasse il gruppo; Ringo sbuffava ma assecondava; George covava rancore efrustrazione per non potersi esprimere come avrebbe voluto; mentre il soloPaul cercava di tenere unita la baracca e di fare da guida, ottenendo il risulta-to di peggiorare le cose. Di quel mese di reclusione e del rapido trasloco neglistudi della Apple restarono centinaia di ore di nastri e un ultimo, indimentica-bile concerto sul tetto: il pomeriggio del 30 gennaio del 1969 i Beatles diede-ro vita a una estemporanea (oggi leggendaria) esibizione tra i comignoli di

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Savile Row, per i passanti col naso in su e alcuni bobbies poco accondiscen-denti.

Il progetto Get back fu accantonato e poi ripescato per essere rimaneggiatoda Phil Spector. Sia il film che l’album, diventato Let It Be, uscirono solo nel1970, diversi mesi dopo l’ultimo vero lavoro collettivo.

Forse consapevoli che sarebbe stato l’ultimo capolavoro, i Beatles richiama-rono George Martin promettendogli la disciplina dei vecchi tempi per realiz-zare Abbey Road. Ritenuto da molti il più bell’album dei Beatles, certamentequello che ha venduto di più, Abbey Road avrebbe dovuto chiamarsi Everest, dalnome della marca di sigarette fumata dal tecnico del suono. Ma l’idea di vola-re fino in Tibet per scattare la foto di copertina non entusiasmò nessuno. L’8agosto, alle dieci del mattino, John, Ringo, Paul e George si disposero in filaindiana e attraversarono, forse per l’ultima volta tutti issieme, le strisce pedo-nali di Abbey Road, e così battezzarono l’album.Come Together, Something, Oh Darling, Here Comes the Sun e il lungo Medley del-

la seconda facciata sono tra i momenti più alti dell’intera storia dei Beatles: Ealla fine l’amore che dai è uguale all’amore che ricevi.

L’avvento di Allen Klein alla Apple fu letale per i Beatles. Fortemente so-stenuto da Lennon, malgrado i vani tentativi di metterlo in guardia effettuatida Mick Jagger, Klein riuscì a ottenere un contratto manageriale incredibil-mente vantaggioso. George e Ringo appoggiarono John e isolarono Paul, ilquale propendeva per il suocero, l’avvocato John Eastman, che aveva ben altrecredenziali rispetto a Klein. La storia finì in tribunale.

Travolti da liti, interferenze, carte bollate, malintesi e ripicche, i Beatles sisciolsero ufficialmente nell’aprile del 1970. In questo panorama fu chiamatoSpector a ripulire il cospicuo ma incasinato materiale registrato per Get back,cosa che creò ulteriori dissidi e malumori. Ne venne fuori Let It Be, un albumzeppo di momenti indimenticabili (Two of Us, Across the Universe, Let It Be, TheLong and Winding Road), ma che fu anche causa della rottura definitiva, per laconcomitanza della sua data di uscita con quella dei primi lavori solisti di Rin-go e Paul; quest’ultimo non trovò di meglio che utilizzare come pretesto lamanomissione da parte di Spector della sua The Long and Winding Road, etroncò ogni rapporto con gli ex amici. In realtà era semplicemente stufo dicercare di mantenere a galla una barca che stava affondando tra il disinteressedella ciurma.

I più cinici si consolarono al pensiero di avere non più uno, bensì quattroalbum dei Beatles ogni anno. In effetti, almeno all’inizio, fu quasi così. Conl’insuperabile All Things Must Pass George sfoderò in un colpo solo tutto ciòche aveva dentro e che non gli era stato possibile tirar fuori con i Beatles.John urlò al mondo la sua rabbia repressa in Plastic Ono Band e la ribadì, sep-pur addolcita, l’anno successivo con Imagine. Paul confezionò McCartney, inci-so completamente da solo nello studio di Cavendish Avenue, e poco dopoRam, acclamati dal pubblico ma criticati dalla stampa, solo per essere rivalutati

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negli anni (entrambi, ma soprattutto il secondo, figurano sempre tra i miglio-ri album solisti di McCartney). Ringo, dopo i primi, inevitabili stenti con di-schi dedicati ai vecchi standard amati dai genitori (Sentimental Journey) e alcountry di Nashville (Beaucops of Blues), trovò la formula giusta con i singoliBack off Boogaloo e It Don’t Come Easy.

Il 1973 fu l’annus mirabilis dell’en plein diMind Games, Living in the MaterialWorld, Ringo e Band on the Run. Tutti e quattro erano ancora in grado di rega-lare ottima musica e anche qualche capolavoro che si reggeva da solo, senza ilsostegno della leggenda Beatles.

Sarebbero poi arrivati Walls and Bridges, Venus and Mars, George Harrison,London Town, tutti buoni dischi, ma non apprezzati come avrebbero dovuto.Ai tempi, i Beatles non erano ancora assurti a icone intoccabili e non lo sareb-bero stati fino alla fine degli anni Ottanta.

I nuovi eroi del progressive e poi quelli del punk spazzarono via i “vecchi”,per i quali sembrava non ci fosse più spazio. A metà dei Settanta, il solo Paulconobbe un nuovo successo con i Wings, mentre gli altri tre, dopo essere staticostretti dagli eventi a ricredersi sull’affidabilità di Allen Klein, si ritrovaronoin un periodo di stallo della loro vita. George era in continua polemica con lacritica musicale e sembrava avere smarrito l’ispirazione; Ringo si impelagò tradischi mediocri e abusi etilici; John, dal canto suo, nel 1973 aveva lasciato Yo-ko ed era partito per il famigerato Lost Weekend di Los Angeles, assieme allasegretaria May Pang.

Dopo il successo del film American Graffiti e del telefilm Happy Days, ilrock’n’roll degli anni Cinquanta stava conoscendo una nuova popolarità e,sull’onda del revival, Lennon aveva deciso di soddisfare il suo atavico deside-rio di incidere un intero album di cover. A questo punto restò incastrato inquelle che sono tra le più bizzarre e burrascose sessions del rock. E come senon bastasse, contemporaneamente decise di produrre l’album dell’amicoHarry Nilsson e di aiutarlo nelle incisioni. Tutti i compagni delle assurde notticaliforniane e gli altri sessionmen che gravitavano nell’area di Los Angelesgiunsero in studio armati di tutto tranne che di professionalità. In più a pro-durre Rock’n’Roll fu chiamato Phil Spector, il quale arrivò armato per davvero.

Trascorsero mesi di follia prima che Spector sparisse con i nastri. L’aspettopositivo è che, durante la lavorazione dell’album di Nilsson, ci fu l’unica occa-sione in cui John e Paul si ritrovarono in uno studio dopo la fine dei Beatles.Accadde il 28 marzo 1974 ai Burbank Studios. Poco tempo dopo Lennon de-cise di tornare a New York, dove incise un album schietto e a tratti magnificocome Walls and Bridges.

Al biennio 1974-1975 risalgono le sue collaborazioni con David Bowie edElton John. Grazie a Elton si esibì, per l’ultima volta dal vivo, al Madison Squa-re Garden la sera in cui tornò con Yoko. Il progetto Rock’n’Roll fu ripreso al-lorché la Capitol riuscì a riavere i nastri di Spector, previo il versamento diben novantamila dollari dell’epoca. John richiamò i musicisti che avevano col-

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laborato a Walls and Bridges e completò l’album, che uscì nel 1975 e fu l’ulti-mo di Lennon prima del ritiro dalle scene che sarebbe durato cinque anni.

Come diversi altri personaggi che si incontrano in questo libro, due deiBeatles ci hanno lasciato: l’uno è stato portato via da un imbecille psicopaticonel 1980, l’altro da un male incurabile nel 2001. John aveva appena siglato ilsuo spettacolare ritorno con Double Fantasy e aveva addirittura programmatoun tour, ma evidentemente non doveva andare così.

Gli anni Ottanta si aprirono con McCartney II, uscito come prosieguo delMcCartney di dieci anni prima, ancora inciso senza il supporto di altri musici-sti. Di quel decennio vanno ricordati gli ottimi Tug of War di Paul e Cloud Ninedi Harrison, con un occhio di riguardo ai vituperati Stop and Smell the Roses diRingo, Gone Troppo di George e Pipes of Peace di Paul.Choba B CCCP, il Rock’n’Roll di McCartney, fu pubblicato inizialmente solo

per il mercato sovietico. Ma in questo decennio è stato Harrison a regalare aifan la sorpresa più bella con la creazione dei Traveling Wilburys: progetto chein un libro che tratta di collaborazioni merita il podio.

Gli anni Novanta furono importanti soprattutto perché videro il ritornodal vivo sia di Paul, che di George e di Ringo, i quali finalmente si decisero ariprendere e riproporre le proprie composizioni degli anni dei Beatles. Aveva-no fatto pace con il passato. «È assurdo che chiunque possa suonare dal vivoHey Jude, mentre io che l’ho scritta non l’ho mai fatto!», disse McCartney, ilquale nel 1989, con i Wings ormai alle spalle, iniziò a girare il mondo conconcerti sold out che continuano ancora oggi.

Nel dicembre del 1991 George intraprese un breve ma applauditissimotour in Giappone con Eric Clapton, con una chiusura spettacolare alla RoyalAlbert Hall nell’aprile 1992, accompagnato nel bis da Ringo, Gary Moore eJoe Walsh. Ringo scoprì la formula della All-Starr Band, una band intercam-biabile formata da personaggi illustri che si alternano nelle varie edizioni, concui da oltre venti anni riscuote applausi.

In quel decennio Paul confezionò anche un ottimo Off the Ground e un so-lo altro capolavoro, Flaming Pie; di Ringo vanno citati Time Takes Time e VerticalMan, uno dei suoi album migliori, in cui fu ancora una volta “aiutato dagliamici”. Ma la notizia più succosa per i fan fu il megaprogetto Anthology conFree as a Bird e Real Love, gli inediti di John forniti da Yoko e incisi da Paul, Ge-orge e Ringo con George Martin e Jeff Lynne, pubblicati assieme a nastri e fil-mati inediti.

Del nuovo secolo vanno ricordati alcuni album di Paul, come l’ottimo Dri-ving Rain, Chaos and Creation in the Backyard ed Electric Arguments (quest’ultimoaccreditato all’alter ego Fireman); Ringo si mostra in gran forma dividendositra le varie edizioni della All Starr Band e buoni dischi: Liverpool 8, con lasplendida title-track che trae il nome dalla zona in cui era ubicata la sua casanatale di Liverpool, e Y Not; una menzione particolare la merita Brainwashed,l’attesissimo lavoro di Harrison, uscito purtroppo postumo.

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Ma sono sempre i Beatles come gruppo a fare notizia: la loro fama subisceaddirittura un’impennata, ove mai ce ne fosse bisogno, quando viene rimaste-rizzato e ristampato l’intero catalogo, comprese le versioni mono dei loro al-bum, in una mastodontica operazione che vede la luce lo stesso giorno dellanascita di un videogioco a loro dedicato, The Beatles Rock Band, che li tra-sforma definitivamente in un prodotto multimediatico adatto a tutte le gene-razioni. È il 9 settembre del 2009 (9.09.09). Tutti nove, come il numeroricorrente nella vita di John Lennon.

Oggi Liverpool non è più “sbocconcellata”, forse anche grazie ai Beatles. Ilsuo aeroporto è stato intitolato a John Lennon nel 2002. In quell’occasioneRingo commentò: «Sono contento, è giusto così. Spero che un giorno a me ri-servino un deposito bagagli».

A questo punto, mi piace ripensare e divulgare un’oscura novella pub-blicata tanti anni fa da una rivista inglese, ai tempi delle offerte galattiche peruna reunion dei Beatles che non avvenne mai. Si intitolava Un viaggio dei Bea-tles né magico né misterioso.

«In un freddo mattino inglese, uno dei tanti, Paul McCartney viene rapitoda due sconosciuti mentre si trova nella sua fattoria scozzese. La stessa sortetocca a John Lennon, una sera a New York, mentre sta rincasando: un indivi-duo armato lo blocca nell’ascensore. A Los Angeles, George Harrison e RingoStarr stanno uscendo da un ristorante, quando tre uomini si avvicinano e por-gono loro un volantino con su scritto: “State calmi, ci sono due pistole punta-te. Seguiteci”. Le quattro vittime vengono fatte salire su un’auto e dopate condelle siringhe.

«John, Paul, George e Ringo si risvegliano in una stanza buia e si guardanocon stupore; sono perplessi. Uno sconosciuto armato entra e annuncia che ilgiorno seguente ci sarà un concerto… dei Beatles. Qualunque tentativo di ri-bellione viene presto represso. Dovranno fare almeno un’ora, una quindicinadi canzoni da provare velocemente in gran segreto e poi saranno liberi. La no-tizia è già sui giornali di mezzo mondo: “I Beatles ritornano per un unico con-certo al Superdome di New Orleans. Sono stati venduti già centomila bigliettie l’incasso sarà devoluto in beneficenza”.

«John, il più restio, propone di chiudere la faccenda e di fare una versionedi un’ora di Cold Turkey. Paul suggerisce che, poiché gli hanno detto che i ra-pitori hanno anche Linda e i figli, oltre a Yoko, sarebbe meglio obbedire. Ge-orge è perplesso. Ringo, rassegnato, la mette sullo scherzo: “Benvenuti alloshow di un solo giorno!”. Un accenno di rissa tra John e Paul, poi il buonsen-so prevale. Nella stanza accanto gli strumenti per le prove sono già pronti.

«Un mare di folla urlante accoglie le sagome dei quattro Beatles che salgo-no sul palco e imbracciano gli strumenti. Two of Us è la prima canzone, poiAcross the Universe, I Me Mine e altre meno note. One After 909, una tra le primescritte da John e Paul, ma pubblicata solo nel 1970, riporta indietro il tempo.Improvvisamente, come d’incanto, nella mente e nei cuori dei Beatles torna-

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no il Cavern, Amburgo, lo Shea Stadium, ed ecco allora Help!, Day Tripper,Girl, Yellow Submarine, e poi i pezzi da novanta Let It Be, Yesterday, StrawberryFields Forever, Something, Penny Lane, Hey Jude. Prendi una canzone triste e rendilamigliore chiude un concerto fiume di quasi quattro ore, tra le lacrime di gioiadelle centomila persone.

«Quella stessa notte, nel camerino, un uomo consegna una busta conte-nente tre assegni con cifre stratosferiche e una lettera: “Spero che non miodierete. Era l’unico modo per farlo. Le pistole erano scariche e i rapitori era-no degli attori da me assoldati. Ho dovuto pagare tutto, dagli aerei allo stadio,così sapete che non l’ho fatto per soldi. L’ho fatto per amore. Ho sempreamato i Beatles. Vostro Ringo”».

E magari avremmo avuto anche un White Album Volume Two.

L’avventura della Apple

Il 14 maggio del 1968 John e Paul annunciarono, in una conferenza stam-pa organizzata a New York, la creazione della Apple Corps: «Una sorta di co-munismo occidentale gestita da gente libera per gente libera che nonsopporta gli uomini in grigio». Il logo con la leggendaria mela verde fu ispira-to dalle famose opere di René Magritte e realizzato dall’irlandese Gene Ma-hon, il quale aveva lavorato alla grafica di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.Il concetto di fondo era quello di creare una società con una casa discograficaprivata che finanziasse e promuovesse i nuovi talenti e le avanguardie artisti-che. L’idea era nata allorquando i contabili consigliarono ai Beatles di investi-re i propri guadagni per evitare che fossero assorbiti dal fisco. Dopo unaprima sede provvisoria messa su a Wigmore Street, i Beatles acquistarono unantico edificio al numero 3 di Savile Row, nel cuore di Londra, tra RegentStreet e Piccadilly Circus, e la elessero a proprio quartier generale. Chiunquepoteva inviare nastri o presentarsi per un provino; e fu organizzata una cam-pagna pubblicitaria che recitava: «Quest’uomo ha talento. Un giorno ha invia-to un demo alla Apple e oggi possiede una Bentley...».

Concepita come una sorta di battaglia contro l’industria conservativa bri-tannica, la Apple Corps venne suddivisa in diversi rami: la Apple Music (checomprendeva la Zapple, una specie di outlet a cui erano destinate opere diavanguardia), la Apple Films, la Apple Electronics, la Apple Publishing e laApple Boutique. Inoltre a Savile Row furono costruiti, in quasi tre anni di la-vori, gli Apple Studios, modellati sulla falsariga dello Studio 2 di Abbey Road.

Ognuno dei Beatles aveva la facoltà di scegliere gli artisti da scritturare, maanche gli uomini più fidati, tra cui Derek Taylor, Peter Asher, Mal Evans, PeterBrown e il presidente Ron Kass, potevano proporre contratti, seguendo la re-gola non scritta che sarebbe stato necessario il parere positivo di almeno duedei Beatles. La nascita della Apple definì una nuova epoca per loro quattro,

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che affrontarono l’esperienza carichi di entusiasmo.Ma in generale la gestione fu molto libera e piuttosto allegra, più che altro

improntata sul concetto di “naivete”: semplicità e spontaneità artistica. Questofece sì che nel giro di qualche anno la casa discografica si trovasse in pieno ca-os. Nel biennio 1968-1969 a Savile Row sembrò tenersi un party ininterrotto,con ogni genere di fabbisogno gratuito a disposizione di tutti i dipendenti.

Esistono due libri dagli emblematici titoli che descrivono alla perfezionel’atmosfera che regnava alla Apple. Il primo è The Longest Cocktail Party, pub-blicato nel 1973 da Richard DiLello, giovane studente americano assunto daDerek Taylor, registrato all’ufficio immigrazione come “house hippy” ma uffi-cialmente addetto alla rassegna stampa e ai rapporti con i clienti. Il secondo,uscito nel 2009 con il titolo Miss O’Dell: My Hard Days and Long Nights with theBeatles, the Stones, Dylan and the Women They Loved, è l’autobiografia di ChrisO’Dell, anche lei un’americana arrivata a Londra con uno zaino e cento dol-lari ricavati dalla vendita della sua collezione di dischi (tra cui molti dei Bea-tles), assunta come segretaria e diventata assistente di Asher. Entrambiraccontano diversi episodi circa la peculiarità di alcuni personaggi che bazzi-carono nella sede della Apple.

L’ingresso degli uffici di Savile Row era quasi sempre occupato da scono-sciuti che stazionavano sulle scale: c’erano aspiranti poeti, improbabili cineastie presunti musicisti, ognuno con un proprio progetto da sottoporre ai Bea-tles. Ci fu il periodo “Emily’s Family”, quando si stabilì alla Apple una famigliadi hippy “peace&love” arrivati dall’America con lo scopo di convincere John eYoko ad accompagnarli in un viaggio-vacanza alle isole Fiji. La signora Emilygironzolava seminuda per gli uffici, quasi sempre con un poppante attaccatoal seno e un’altra ragazzina che giocava indisturbata per i vari locali, senza chenessuno osasse metterli alla porta. L’ospitalità era sacra, anzi addirittura ven-ne concesso loro l’uso del quarto piano dell’immobile e l’utilizzo della cucina.

Un altro personaggio che per un po’ frequentò con assiduità Savile Rowera Stocky, un junkie americano che si piazzò nell’ufficio di Derek Taylor e virimase per due mesi, abbarbicato su un armadietto a dipingere graffiti di or-gani genitali.

A un certo punto arrivarono da Los Angeles perfino gli Hell’s Angels conle Harley Davidson e un mare di pretese: restarono a bivaccare nella hall peroltre una settimana, cosa che destò grande preoccupazione negli antichi com-mercianti di Savile Row. A carico della Apple furono fatturate addirittura lespese per il trasporto aereo delle motociclette.

Il disastro che avrebbero combinato ad Altamont durante il famigeratoconcerto dei Rolling Stones del dicembre del 1969 era ancora di là da venire,ma gli Angels si erano già guadagnati la loro più che meritata triste fama. Era-no arrivati a Londra in dodici, diretti in Cecoslovacchia e avevano deciso di fa-re una tappa alla Apple, approfittando delle comodità che la “casa deglihippy” avrebbe potuto offrire. Gli Angels «emanarono onde di terrore», per

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dirla con DiLello, fin da quando varcarono la soglia. Quando Taylor, nel ten-tativo di tenerli buoni, cercò di dar loro il benvenuto e di spiegare come stava-no le cose con le sue consuete maniere “british”, Frisco Pete, il capo, esclamòtorvo: «Birra!».

Durante il party della vigilia di Natale del 1968, con John e Yoko graziosa-mente vestiti da Babbo Natale, ci fu una rissa che convinse definitivamente ilpersonale della Apple a sbarazzarsi di loro. George Harrison, il quale era statoil primo ad aver conosciuto gli Angels a San Francisco ed era stato, in un certosenso, l’involontario tramite di quella indesiderata visita, si assunse l’incaricodi dar loro il benservito. DiLello ha ricordato così quel giorno: «“Entro stase-ra ve ne andrete via di qui, vero?”. Silenzio imbarazzante. L’aria si fece pesan-te. Uno dei motociclisti bofonchiò: “Ma allora tu sei con noi o no?”. Lacosmica risposta di George fu questa: “Yin e Yang, testa e coda, sì e no”».

Quella stessa sera, la sala di cui i dodici Angels si erano impadroniti eravuota.

Tra i personaggi demenziali che frequentarono la Apple in quegli anninon c’erano soltanto avventori o ospiti indesiderati, ma anche dipendenti.Alexis Mardas era arrivato a Londra da Atene e, una volta conosciuto JohnLennon tramite Brian Jones, riuscì a guadagnarsi la sua ammirazione grazie aun marchingegno battezzato “Nothing Box”, una scatola con delle luci a inter-mittenza colorate e luccicanti che John amava fissare per ore sotto l’effettodell’acido. Da allora fu Magic Alex, assunto come responsabile della AppleElectronics e installatosi in un laboratorio nel seminterrato della Apple con loscopo di inventare e costruire mirabilie elettroniche, tra cui un disco volante.Il tanto atteso studio futuristico a 72 piste, impensabile per quei tempi ma dicui lui aveva assicurato la riuscita, vide la luce, dopo un tempo che parve in-terminabile, sotto forma di una stanza con 16 altoparlanti attaccati alle pareti.È stato stimato che le invenzioni e le idee di Magic Alex costarono ai Beatlescirca trecentomila sterline, che rapportate a oggi equivarrebbero a oltre tremilioni di sterline.

A questo colorato panorama si aggiunsero le Apple Scruffs, come Georgeaveva battezzato il gruppo delle fan che in pratica viveva alternativamente tragli studi di Abbey Road e Savile Row, nella speranza di incontrare uno deiBeatles. Addirittura Harrison decise di dedicare loro una canzone dell’albumAll Things Must Pass. Una delle ragazze più assidue, Carol Bedford, era inna-morata di George e avrebbe raccontato le sue avventure nel libro che pubbli-cò nel 1984, Waiting for the Beatles (An Apple Scruffs Story). A proposito dellacanzone di Harrison, ricorda: «Alle sei di mattina Mal Evans uscì dagli studi edisse che George voleva vederci. Incredule, entrammo timidamente nella re-ception, dove Evans ci indicò la sala di controllo. Una volta nello studio, scor-gemmo George seduto dietro la porta, con un atteggiamento imbarazzato e losguardo basso. Noi eravamo in cinque, tutte spaventate non sapendo il motivoper cui ci aveva chiamato. Pensavamo di aver fatto qualcosa di offensivo nei

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suoi confronti, quando George, a bassa voce, ordinò a Mal di far partire il na-stro. La canzone iniziò: Vi ho guardate sedute là con i passanti che vi fissavano comese non aveste un posto dove andare. Siete state qui per anni e avete visto i miei sorrisi ele mie lacrime, e mi siete rimaste nella mente. Nella nebbia e sotto la pioggia, nel piaceree nel dolore, ve ne state fuori alla porta con i vostri fiori in mano, e mentre gli anni pas-sano, il vostro amore mi dimostra che, malgrado tutto il tempo e lo spazio che c’è fra noi,saremo per sempre insieme. Io vi amo, mie Apple Scruffs. Restammo impietrite. Erala più bella cosa che un Beatle avesse mai fatto per noi: la nostra canzone. Edera così bella, con quell’armonica allegra e le parole sincere. Noi stavamo dav-vero lì con i fiori in mano, e i nostri fiori appassivano sempre, per il gran tem-po che aspettavamo. George aveva visto e capito tutto e la canzone era il suomodo di ringraziarci e di accettarci. Quando finì, rimanemmo silenziose e in-credule. Ci risvegliammo da quello che sembrava un sogno solo quando lui sialzò e si diresse verso la porta. Io gli urlai: “George, grazie!”, e lui: “Sono con-tento che vi piaccia”, e uscì dalla stanza. Quella mattina corremmo a casa perpreparare un regalo per George».

La Apple Boutique, che era stato uno dei primi progetti a vedere la luce,nel dicembre del 1967, fu anche il primo a chiudere i battenti nel luglio del1968.

Era stata aperta al 94 di Baker Street, in un elegante edificio georgiano chei Beatles avevano acquistato qualche tempo prima e dove aveva sede la ApplePublishing, il ramo aziendale che si occupava dei diritti di pubblicazioni musi-cali. Inizialmente, della gestione della boutique, intesa come vendita al detta-glio, furono incaricati Pete Shotton, amico d’infanzia di John Lennon, eJenny Boyd, cognata di George Harrison. La facciata del prestigioso immobilefu decorata con un gigantesco affresco psichedelico dagli artisti olandesi ap-partenenti al gruppo The Fool, gli ideatori della Rolls Royce psichedelica diJohn e della busta interna di Sgt. Pepper, ai quali fu dato un budget illimitato.Il disappunto dei tradizionalisti abitanti di Baker Street costrinse il Comune aordinare la «cancellazione immediata del dipinto con vernice bianca».

Gli affari non andarono mai a gonfie vele e le ragioni della repentina chiu-sura della boutique non furono mai spiegate con esattezza, ma probabilmentefurono gli stessi Beatles a esserne stufi. Una sera, dopo l’orario di chiusura,tutti e quattro, accompagnati da mogli e fidanzate e da Neil Aspinall, si chiu-sero all’interno del negozio e scelsero alcuni capi da portare via. Pare che ilsolo Ringo sia rimasto a bocca asciutta, non avendo trovato niente della sua ta-glia. Il mattino successivo vennero spalancate le porte e tutti i passanti furonoinvitati a entrare e prendere gratuitamente tutta la merce che desideravano,dai capi preziosi alle sete indiane che ancora adornavano l’interno del nego-zio. In poche ore furono regalati indumenti e oggetti per un valore di oltrediecimila sterline.

Era solo il 1968 e molti già interpretarono la chiusura della Apple Bouti-que come l’inizio della fine.

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Il “sogno hippy gestito da hippy” svanì definitivamente quando AllenKlein, un uomo in grigio venuto da New York e assunto nel 1970 per mettereordine, effettuò tagli e licenziamenti a raffica nel tentativo di limitare le spesee dare una parvenza di efficienza all’azienda. Con l’addio ai personaggi im-probabili e a molti dipendenti storici, la Apple assunse i connotati di una so-cietà seria, forse più efficiente e, soprattutto, senza sprechi. Però diventòtriste, e si sarebbe presto disintegrata, malgrado fossero stati aperti uffici an-che a New York e a Los Angeles.

Dal lato più strettamente musicale, tra le tonnellate di nastri che arrivaro-no e che restarono inascoltati nei depositi, la Apple produsse, a parte i Bea-tles, molti artisti validi e tanta buona musica. Tra coloro i quali andaronovicini a incidere per la Apple, c’erano molti nomi che sarebbero poi emersi al-trove. I Pogo erano un gruppo americano di country-rock che chiesero un’au-dizione per un contratto. Tutto ciò che ottennero fu il suggerimento da partedi Lennon a cambiare il nome in Poco, con cui avrebbero sfondato qualchemese dopo. Gli Yes furono scoperti in un pub e invitati a incidere un demo,prima ascoltato e poi subito dimenticato da Lennon. Crosby Stills & Nash fu-rono approvati da Harrison ma non firmarono per disaccordi economici. An-che Gilbert O’Sullivan, i Supertramp, i Fleetwood Mac e i Queen furonomolto vicini a un contratto con la Apple. Singolare e allo stesso tempo emble-matica è la storia del trio americano Mortimer. Il gruppo aveva inciso un al-bum per la Philips e, quando Lennon e McCartney si recarono a New Yorkper presentare la nascita della Apple, riuscì a far recapitare loro una copia deldisco. Poco tempo dopo i tre andarono a Londra e si presentarono alla Apple,dove furono invitati a improvvisare un provino. Evidentemente John aveva la-sciato istruzioni precise. Mentre eseguivano con le chitarre acustiche la canzo-ne Life’s Sweet Music, entrò George Harrison, ne canticchiò il motivo e disse:«Scritturateli». Vennero incise delle nuove canzoni, tra cui una cover di Two ofUs, ma quando tutto era pronto per la pubblicazione dell’album, ci fu l’avven-to di Allen Klein e il progettò saltò. L’acetato è ancora negli archivi Apple.

John Beland è un altro artista cui la Apple fece un contratto, ma che nonriuscì a pubblicare alcunché. Nel 1973 aveva proposto a Tony King, uno deinuovi responsabili dell’azienda, un nastro con Banjo Man. Era questa una suacanzone che, parole sue, «stava a metà tra i Beatles e i primissimi Bee Gees» efu Ringo a contattarlo telefonicamente per invitarlo a firmare con la Apple.Ma oramai era troppo tardi: la società era già in declino e Beland era arrivatofuori tempo massimo. Aveva appena terminato le sovraincisioni per la sua can-zone, quando fu informato con un telegramma che tutto era stato congelato acausa dei problemi legali che assillavano la Apple.

Anche gli studi di registrazione ebbero i loro momenti di gloria. Furonoprogettati nel 1968 e utilizzati fin dal 1969, all’epoca delle riprese per il filmLet It Be. Vennero completati solo nel 1971 con una spesa di circa un milione emezzo di dollari, con i Beatles ormai sciolti, e furono messi a disposizione an-

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che di artisti esterni. Essendo considerati tra gli studi più all’avanguardiad’Europa, se ne servirono molti grandi nomi, tra cui Harry Nilsson, RogerDaltrey, Alex Harvey, Leo Sayer, Wishbone Ash, le Fanny, Lord e Ashton, Nic-ky Hopkins, i Nazareth, Don Nix, Linda Lewis, Vivian Stanshall, gli StealersWheel, Jack Jones, Gary Wright, Bobby Hatfield, Linda Lewis e Tony Hazzard.Spiccano anche alcuni nomi “esotici”: i tedeschi Eulenspygel e i siciliani LaBionda.

Il primo album inciso nei nuovi studi di Savile Row, che furono inauguratinel 1971, fu Brother dei fratelli Lon & Derrek Van Eaton. Tony Hazzard feceun omaggio particolare: vi incise il suo album nel 1973, in cui inserì una can-zone appena composta dal titolo Paul McCartney. Nello stesso anno Roger Dal-trey andò oltre quando effettuò negli studi della Apple il mixaggio del suoalbum Daltrey. In quella occasione chiese, e ottenne, il permesso di registrarela voce per il brano di apertura del disco, One Man Band, sul tetto dell’edifi-cio, procurandosi il medesimo effetto sonoro del concerto dei Beatles del 30gennaio del 1969. Gli ultimi album a essere incisi negli studi furono quelli deiKilburn & The Highroads, un gruppo da pub guidato da Ian Dury, che di lì apoco sarebbe esploso nell’ambito della rivoluzione punk, e Head First, il discodei Badfinger concepito per la Apple ma che poi sarebbe uscito per la War-ner. Entrambi vennero registrati alla fine del 1974.

Purtroppo la soddisfazione di avere finalmente realizzato i propri studi pri-vati fu mitigata dalla consapevolezza dell’amara realtà: quando essi furonoinaugurati, i Beatles già non esistevano più, e Paul, che aveva citato in giudiziogli altri tre per la vicenda Allen Klein, li avrebbe utilizzati in pochissime occa-sioni.

Almeno agli inizi, l’impegno con cui i quattro Beatles aiutarono gli artistiin cui credevano fu indiscutibile, anche se non sempre i prodotti vennero poisupportati da un’adeguata campagna pubblicitaria. Nei primi tempi, fino al-l’arrivo di Klein, il più attivo e partecipe fu McCartney. A lui si devono MaryHopkin, James Taylor, la Black Dyke Mills Band, almeno in parte i Badfinger eil duo Drew & Dy, che però sciolse il contratto senza aver pubblicato niente.

Da un punto di vista commerciale, i Badfinger e la Hopkin sono stati gli ar-tisti più vantaggiosi per la Apple e gli unici a guadagnare un disco d’oro (oltreai Beatles). McCartney fu tanto attivo all’inizio, quanto assente dopo il dicem-bre del 1969, anno della clamorosa lite che lo portò ad allontanarsi drastica-mente. Non a caso, nel 1972 sia i Badfinger che la Hopkin avrebbero lasciatoal Apple.

Fino a quando mille altri impegni, primo fra tutti il concerto per il Bangla-desh, lo costrinsero a rallentare, Harrison fu forse quello che portò il maggiornumero di artisti di valore: Jackie Lomax, Billy Preston, Ravi Shankar, BruteForce, Doris Troy, i Radha Krishna Temple, Lon & Derrek Van Eaton, i Sun-down Playboys; prendendosi inoltre cura delle incisioni del vendutissimo ter-zo album dei Badfinger e del singolo di Ronnie Spector.

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Lennon meriterebbe un discorso a parte: emblematica è la sua famosa af-fermazione, secondo cui la Apple era come giocare a Monopoli con i soldi ve-ri! Yoko Ono con i suoi costosi album avanguardistici, David Peel con il suoprovocatorio street rock e l’anonimo Bill Elliot con un singolo pubblicato persostenere le spese legali di una rivista underground portarono più spese cheintroiti. Gli Elephant’s Memory Band andarono un poco meglio, ma furonoun’altra dimostrazione che Lennon scritturava gli artisti a cui era interessatolui, senza badare alla reazione del pubblico. A John si devono anche gli ingag-gi degli Hot Chocolate Band e di John Tavener. Quest’ultimo fu forse il musi-cista più prestigioso prodotto dalla Apple, assieme ai jazzisti del Modern JazzQuartet. Tavener fu preso da Lennon, il quale poi incaricò Ringo di curarnele uscite. Ringo, dal canto suo, oltre a suonare nella gran parte dei dischi deinomi citati, fu responsabile dei contratti di Chris Hodge ed, in parte, deiTrash.

Nel 1972 Ringo produsse per la Apple Films Born to Boogie, un documenta-rio su Marc Bolan, e nel 1974 curò Son of Dracula con Harry Nilsson. Da alloraquesto ramo dell’azienda finì per essere noto come “l’hobby di Ringo”, dalmomento che gli altri se ne disinteressavano completamente.

Altre produzioni di cui la Apple Films è responsabile sono Magical MysteryTour e Yellow Submarine dei Beatles, The Concert for Bangladesh e un altro lungo-metraggio, Raga, documentario su Ravi Shankar del 1971 con un cameo diHarrison, il quale fece anche da produttore. George fu produttore esecutivoanche di Little Malcolm and His Struggle Against the Eunuchs. Per restare in cam-po cinematografico, durante l’egemonia di Allen Klein furono pubblicati duedischi di colonne sonore con le musiche di Come Together (nulla a che vederecon la canzone dei Beatles) e El Topo, due film prodotti dalla Abkco Films, lacasa produttrice cinematografica che Klein aveva fondato a New York. Di lì apoco avrebbe messo su anche la Abkco Records ma, nel frattempo, già chec’era, sfruttava la Apple per i suoi scopi.

Della Apple Music faceva parte anche la Zapple, alla quale erano destinatele opere d’avanguardia non facilmente commerciabili. In particolare colpiscel’idea, partorita oltre quaranta anni fa dalle menti di John e Paul, di fare dellaZapple una “spoken word label”, un’etichetta che pubblicasse dischi parlati,praticamente gli audio-books che oggi spopolano sul mercato. Della direzionedella Zapple fu incaricato Barry Miles, amico di Paul e gestore della Indica Gal-lery. Tra i nomi che avrebbero dovuto incidere le loro opere e i loro versi conil marchio Zapple c’erano Lenny Bruce, Allen Ginsberg e Richard Brautigan.Ginsberg incise Holy Soul & Jelly Roll e Brautigan registrò Listening to RichardBrautigan, ma nessuno dei due progetti fu portato a termine e i loro dischiavrebbero visto la luce anni dopo con altre case discografiche. Gli unici due di-schi che uscirono per la Zapple furono Electronic Sounds di Harrison e Life Withthe Lions di Lennon, peraltro piuttosto lontani dal concetto originario.

La Apple, che potenzialmente sarebbe potuta diventare la più importante

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etichetta degli anni Settanta, restò attiva solo fino al 1974, almeno per quantoriguarda le produzioni del settore musicale. I dischi solisti dei Beatles conti-nuarono a uscire per la Apple fino al 1976, quando il gruppo fu dichiarato le-galmente disciolto. L’etichetta non esisteva più, ma fu deciso che la societànon fosse del tutto cancellata. Quell’anno gli studi furono chiusi, l’edificio fuvenduto e lo storico portone del numero 3 di Savile Row, che stava in cimaagli scalini dove un tempo si assiepavano le Apple Scruffs, apparve, completodi graffiti, sulla retrocopertina di un album di Ringo (Ringo’s Rotogravure), pri-ma di essere smontato e fatto trasportare nella casa di Lennon.

Per quanto riguarda i Beatles, George fondò la Dark Horse e firmò con laA&M per la distribuzione dei dischi, Ringo creò la Ring O’ Records e passò al-la Polydor per l’Europa e all’Atlantic per gli USA, Paul rinnovò con la EMI eJohn decise di non firmare per nessuno e di non fare più dischi (nel 1980avrebbe siglato un accordo con la Geffen).

Nel corso degli anni la Apple ha attraversato diverse aggrovigliate vicissitu-dini legali, tra cui una causa contro Allen Klein, il cui contratto era scadutonel 1973, una contro la EMI, e un altro paio contro la Apple Computer. Que-st’ultima, relativa all’utilizzo non autorizzato del marchio, fu vinta con l’accor-do della condivione del nome e un sostanzioso conguaglio (circa trentamilioni di dollari) a favore della Apple Corps, che conservò il diritto di servir-si del nome. La Apple Computer avrebbe potuto invece utilizzarlo per tutte leiniziative all’infuori di quelle legate alla musica.

Per quanto riguarda Klein, finì in galera nel 1980 a seguito di condanneper truffa ed evasione fiscale.

Dopo oltre un decennio di anonimato, la Apple tornò in auge alla fine de-gli anni Ottanta. Grazie all’accordo con la Capitol, ottenne il controllo totalesulla ristampa in cd degli album dei Beatles e di qualunque iniziativa legata aloro: tutti i prodotti Beatles sarebbero per sempre usciti con quella piccola,epica mela verde.

Nel biennio 1991-1993 la Apple decise di ristampare, sia in cd che in vinile,anche molti dei vecchi dischi degli altri artisti e pubblicò, per la prima voltadal 1974, un nuovo prodotto, The Best of Badfinger, assieme a una versione ag-giornata di Those Were the Days, una raccolta di Mary Hopkin del 1972. L’attivi-tà era ripresa: seguì la pubblicazione di materiale inedito dei Beatles con TheBeatles at the BBC del 1994, che fece da apripista alla definitiva consacrazionedel 1995-1996 con il trionfo del faraonico progetto Anthology con dischi, libri,video e gadget, che contribuì a riportare in vita anche la Apple Films.

Nel 1999 ci fu la colonna sonora riveduta e corretta del film Yellow Submari-ne, al quale seguirono la raccolta One del 2000, con oltre trenta milioni di co-pie vendute e il pluripremiato Love del 2005. L’ altro picco è del 2009: lerimasterizzazioni in cofanetto dell’intero catalogo dei Beatles in versione mo-no e stereo e il colossale accordo con la Harmony-MTV Games per il videogio-co Beatles Rock Band.

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Liam Gallagher è stato il primo ad avere l’idea di un film sulla Apple,quando ha intrapreso la produzione di The Longest Cocktail Party, basato sulbest-seller di Richard DiLello.

Oggi la Apple Corps, più attiva che mai, ha sede al numero 27 della presti-giosa Ovington Square ed è una leggenda.

INTRODUZIONE: I BEATLES E LA APPLE

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