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Inagaki Genshiro HEKI TO RYU SHAHO La tecnica del tiro con l’arco giapponese della SCUOLA HEKI, insegnata alla famiglia dello Shogun. HOSHA SHAJUTSU La tecnica del tiro in piedi o in ginocchio per la guerra di Inagaki Genshiro Yoshimichi maestro di kyudo dell’Università di Waseda

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Inagaki Genshiro

HEKI TO RYU SHAHOLa tecnica del tiro con l’arco giapponese della SCUOLA HEKI,

insegnata alla famiglia dello Shogun.

HOSHA SHAJUTSULa tecnica del tiro in piedi o in ginocchio per la guerra

diInagaki Genshiro Yoshimichi

maestro di kyudo dell’Università di Waseda

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BREVE STORIA DEL KYUDO IN ITALIA

Nel 1976 a Milano nella casa di Yoshihiro Ichikura, un allievo, da solo, iniziò l’apprendimento del kyudo.

In pochi mesi gli allievi raddoppiarono: da uno si passò a due! Queste due persone, insieme ad Ichikura, dopo qualche tempo decisero di esten-dere le loro esperienze avviando la pratica in una palestra. Era l’inizio del KYUDO CLUB INSAI. Dal febbraio 1977 iniziarono corsi regolari per principianti. Parallelamente a Roma, intorno al 1980, sorse un Gruppo di scuola Ogasawara.

Trascorsa una decina d’anni, alcuni allievi di Ichikura hanno dato vita a nuovi gruppi in altre città. Attualmente la scuola Heki è rappresentata a Milano con il KYUDO CLUB INSAI, a Gallarate Pombia con il KEN-ZAN DOJO, a Roma con l’HEKI DANJO MASATSUGOU KYUDO CLUB; a Torino sta nascendo un nuovo gruppo.

Tutti i Clubs sono membri dell’Associazione Italiana Kyudo (A. I. KYUDO).

BIOGRAFIA ESSENZIALEDEL MAESTRO INAGAKI GENSHIRO

Inagaki Genshiro nasce a Tokyo nel 1911. Si iscrive nel 1930 alla facoltà di Ingegneria fisica alla Waseda Koto Gakuin. Presso la stessa Università segue l’insegnamento di Kyudo di Urakami Sakae Hanshi. Nel 1936 consegue la laurea in ingegneria. Dopo la prolungata sospen-sione della pratica delle arti marziali, conseguenza della seconda guerra mondiale, nel 1957 è ripristinata la tradizionale gara di kyudo davanti all’imperatore; Inagaki la vince al cospetto di Hirohito tenno.

Diventa Maestro di kyudo all’Università di Tsukuba. Ha contribuito grandemente alla diffusione del kyudo in Europa, trasmettendo annual-mente il proprio insegnamento da prima in Germania, poi anche in Italia ed in Finlandia.

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INTRODUZIONEQuando in Giappone ricevetti in regalo un testo del Maestro Inagaki

sulla tecnica del kyudo, mi resi conto che era giunto il tempo di pensare seriamente ad una traduzione. Poco dopo alcune felici circostanze hanno favorito l’inizio di questa non facile iniziativa. Per mesi settimanalmente ho lavorato con Ichikura.

A lui l’impegno ad entrare nel significato del testo giapponese e a re-galare alla lingua italiana il senso e la complessità dell’argomento; a me lo sforzo, e l’obbligo, di mantenere nella stesura l’aderenza ai contenuti. Si è svelato man mano il lavoro del Maestro Inagaki, un testo profondo, denso di significati, un valido aiuto alla pratica.

Ivano ha contribuito alla realizzazione grafica del lavoro, occupandosi della trascrizione sul computer, dell’impaginazione, della sistemazione delle fotografie, della stampa. Un grazie particolare poi a Luciano per la prima trascrizione e a Ruggero che mi ha sempre incoraggiata e sostenuta nel lavoro. Cristina

INCONTRO CON IL MIO MAESTRO

Nel 1967 ho iniziato gli studi di Lettere e Filosofia all’Università di Waseda, a Tokyo. Mi sono iscritto subito al Club di kendo, disciplina che avevo praticato in precedenza. Contemporaneamente provavo interesse per il kyudo, ma sapevo che era praticamente impossibile iscrivermi a due Clubs e seguirne le intense attività.

Il desiderio di approfondire il kyudo mi spinse una sera dell’autunno del ‘67 ad entrare nel kyudo dojo dell’Università di Waseda. Gli studenti presenti mi invitarono ad unirmi al loro Club. Decisi di riflettere su quella proposta e mi soffermai ad assistere alla pratica.

Poco dopo il Maestro Inagaki mi si avvicinò, e scherzando mi puntò addosso una freccia di makiwara come fosse una spada tsuki. Invece di spaventarmi istintivamente risposi al colpo di quella freccia puntata su di me con un’altra freccia che avevo tra le mani. Il Maestro Inagaki ne fu molto impressionato. Questo fu il mio primo incontro con il kyudo e con il mio Maestro, incontro che cambiò la mia vita.

Yoshihiro Ichikura

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ASHIBUMIcostruisci la posizione dei piedi e disponi il corpo verso il bersaglio

Nella lingua giapponese attualmente bumi si scrive con un kanji di-verso da quello usato in passato; nei testi antichi significava “pestare calpestando, premendo”, mentre oggi l’accezione si è estesa a “cam-minare”. Per intendere correttamente ashibumi è necessario riferirsi all’espressione originaria del kanji.

Ashibumi è un momento di notevole importanza; durante questa fase il tiratore costruisce il luogo fra sé ed il bersaglio; ciò rappresenta il fondamento della tecnica del tiro.

Intendo qui illustrarvi i principi che regolano questa posizione. Il movimento continuo del corpo durante il tiro, la tensione progressiva dell’arco, lo sgancio della freccia dipendono dalla corretta costruzione di ashibumi. Una lunga esperienza e lo studio di questi principi permettono di acquisire una solida bravura.

Purtroppo nel mondo del kyudo contemporaneo si dà molta importanza a una serie di gesti formali che precedono il tiro: la stazione rigidamente eretta, il modo in cui ci si siede, la successione delle posizioni “seduto-in piedi-camminata”; si dedica molta cura all’esecuzione di hadanugi. Attualmente alcuni maestri sostengono che tutto ciò costituisca il fon-damento del tiro e obbligano i principianti a perfezionare questi aspetti formali, ma chi inizia la pratica secondo tali principi moderni si trova spesso in difficoltà.

In realtà man mano che l’esperienza delle basi tecniche procede, tutta la qualità del tiro migliora, e anche la dimensione formale del kyudoka si perfeziona.

ASHIBUMI stabilisce la relazione tra il tiratore e il bersaglio, e defini-sce in tal modo lo spazio che li comprende. Quando il mondo di chi tira entra in rapporto con il bersaglio un mondo nuovo si costituisce, grande come cielo e terra.

ASHIBUMI è la prima fase della costruzione di questo mondo.Per impostare il tiro è necessario predisporre l’assetto del corpo in

vista del momento dello sgancio: in ciò risiede la ragione di ashibumi. Rilevante importanza hanno qui gli arti inferiori; infatti la posizione delle gambe e la tensione delle cosce al di sopra delle gambe costituiscono la base del secondo momento del tiro: Dozukuri.

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Vi spiego l’esatta esecuzione di ashibumi per chiarire ulteriormente la sua ragione d’essere.

1) Guardate il bersaglio, e in particolare il centro; con lo sguardo scendete perpendicolarmente fino ad incontrare in un punto la linea oriz-zontale della base di azuchi. Immaginate ora una linea perpendicolare alla base di azuchi che parta da quel punto; prolungatela verso di voi e portate lateralmente su tale linea l’alluce del piede sinistro; successiva-mente ponete sulla medesima linea, ma dalla parte opposta, l’alluce del piede destro. Nel disegno n° 8 di pag. 7 c è il centro del bersaglio, d è la posizione iniziale dell’alluce del piede sinistro.

2) Sulla linea cd portate verso sinistra, e per metà apertura, l’alluce del piede sinistro (punto a del disegno).

3) Proseguite nella direzione opposta, ponendo l’alluce del piede destro nel punto b.

4) Se ashibumi è ben costruito i punti c, a, b si trovano sulla stessa linea, che rappresenta l’unione del bersaglio con se stessi.

Nel testo antico della scuola ashibumi era detto ikken nakazumi no ka-ne, letteralmente “sei shaku (ikken) dentro (naka) abitare (sumi) regola (kane)” cioè “regola dell’abitare dentro la misura di sei shaku”. Shaku è una misura giapponese antica. Sei shaku corrispondono a circa cm 180, la porzione di spazio approssimativamente occupata dal tiratore.

Dentro questa dimensione chi pratica il kyudo costruisce il proprio mondo e vi abita senza preoccupazione di ciò che si trova al di fuori, per poi colpire senz’altro il bersaglio.

Come si è visto, il significato di sumi è “abitare”. Un’altra accezione del termine sumi è “inchiostro”, scritto con un kanji differente; ci si rife-risce qui all’impronta di una linea retta lasciata da una corda tesa dopo essere stata immersa nell’inchiostro. Il richiamo alla linea che unisce il bersaglio al tiratore è evidente.

L’apertura di ashibumi, cioè la distanza tra i due alluci, equivale circa alla metà dell’altezza del tiratore. La misura non deve essere forzata per consentire al corpo equilibrio e stabilità durante la tensione dell’arco, fino alla pienezza dell’estensione. Per eseguire correttamente ashibumi divaricate quindi le gambe di una distanza pari alla metà della vostra altezza.

Generalmente questa apertura corrisponde all’apertura dell’arco, yat-suka, perciò questa regola si chiama yatsuka no kane, “regola dell’aper-tura”.

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L’ampiezza dell’apertura è stabilita invece da ogi no kane, la “regola del ventaglio”; è di circa 60 gradi ed è misurabile con un ventaglio, ogi.

Quando le tre regole:

ikken nakazumi no kaneyatsuka no kaneogi no kane

sono perfettamente osservate,il senso di ashibumi è compiuto.Ashibumi, prima di dozukuri, presenta alcune varianti:

1) kiza2) yagura3) tsukubai4) warihiza

E’ possibile scoccare le frecce in piedi, come si è visto, oppure da cia-scuna di queste altre posizioni. Ognuna di esse ha la sua ragion d’essere (vedi figure n° 9, 10, 11, 12)

Un insegnante di un’altra scuola afferma che se si guarda a terra, quan-do si costruisce ashibumi, si piega la nuca e in tal modo si perde dignità. Se si vuol fare ashibumi come ho spiegato, si deve determinare la posi-zione dei due alluci con i propri occhi guardando in basso e confermando questa disposizione. Affermo che tutto ciò è essenziale.

Senza capire questo fondamento si spendono soltanto parole a proposi-to della dignità, ma disquisisce in questo modo solo chi non ha dignità.

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) 2) Guardare dal centro del bersaglio perpendicolarmente verso terra e immaginare una linea retta che giunga fino agli alluci.

3) e 4) Porre sulla linea immaginaria l’alluce sinistro.

5) e 6) Dall’alluce sinistro al destro aprire quanto metà dell’altezza del proprio corpo, la lunghezza di yatsuka, confermare la giusta misura dell’apertura e accertarsi che l’alluce destro sia veramente sulla linea immaginaria. Confermare l’ampiezza; sentire la stabil-ità.

7) Completare ashibumi.Ikken nakazumi no kane: il centro del bersaglio e gli alluci sinistro e destro sono sulla stessa linea.Yatsuka no kane: l’apertura di metà altezza del corpo.ogi no kane: l’ampiezza di circa 60 gradi.Dopo aver osservato queste tre regole si prosegue con dozukuri.

8) La misura dell’ampiezza dell’apertura è di circa 60/70 gradi e dipende dalla costituzione del corpo del tiratore.

9) Tiro in kiza: è la posizione adottata durante le battaglie per tirare tante frecce da fermi.

10) Tiro in yagura: è la posizione assunta dal tiratore quando si trova in un luogo con soffitto basso.

11) Tiro in tsukubai: è la posizione in ginocchio delle donne o di chi abbia una ferita ai piedi.

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1) kiza

2) yagura

3) tsukubai

4) warihiza

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DOZUKURICostruisci il tuo mondo

L’azione successiva alla conclusione di ashibumi consiste nel rende-re stabile l’assetto raggiunto in rapporto al bersaglio, con particolare riguardo alla naturale postura delle gambe e delle cosce. Il busto è fermo, ben eretto, le spalle rilassate; è utile non accumulare eccessiva tensione anche nelle altre parti del corpo. Facendo ashibumi forzate lievemente le gambe al di sotto delle ginocchia; anzi, ancor meglio: pensate soltanto ad una leggera tensione nelle gambe, senza porla in atto.

Alcuni maestri raccomandano di contrarre la muscolatura delle co-sce, oppure di spingere verso l’interno le ginocchia; vi sconsiglio que-sti movimenti poiché provocano una sensazione generale di tensione nel busto.

Per quanto concerne la postura del bacino, è bene che raddrizziate leggermente la spina dorsale e rendiate attivo il tono muscolare del-la parte inferiore dell’addome; avrà luogo un piccolo spostamento delle anche all’indietro mentre l’ombelico si volgerà verso il basso. Eseguendo questo movimento potete delineare la corretta posizione dell’anca, proprio come l’ho illustrata.

Durante dozukuri, nel rispetto dell’antico insegnamento detto haka-ma goshi no kane, letteralmente “regola dell’hakama”, hakama-ita aderisce saldamente alla zona lombare della schiena.

Intendo ora precisare ulteriormente l’esatta forma del corpo durante dozukuri . Mentre la mano sinistra -yunde- impugna l’arco, ponete la punta inferiore dell’arco-moto hazu nell’incavo del ginocchio si-nistro. Spostate poi yunde verso sinistra secondo una direzione tale da formare un angolo di circa 45 gradi con la linea di ashibumi; nella fotografia n° 1 di pag 19 potete vedere come si configuri in tal modo, maemisumi, letteralmente “un triangolo davanti al corpo”. Allungando leggermente il braccio realizzate kamae, ovvero la forma compiuta della parte sinistra.

Contemporaneamente avvicinate al corpo la mano destra -mete-, at-teggiata lievemente a forma di pugno con il palmo rivolto verso il

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basso. L’insegnamento relativo a mete risale al tempo dei samurai, i quali portavano la spada corta wakizashi appoggiata all’inguine; quan-do la posizione della spada nella guaina si allentava, la lama si sfilava leggermente scoprendo l’apertura del fodero - koiguchi; mostrare koi-guchi durante le cerimonie era considerato un gesto oltraggioso; per evitare tale affronto i guerrieri giapponesi tenevano la mano destra ben salda sull’impugnatura della spada. Questo particolare atteggiamento permane ancor oggi durante dozukuri .

Ricordate di osservare sempre hakama goshi no kane, e la corretta posizione dell’addome e del bacino.

La fase di dozukuri prevede cinque varianti in relazione all’assetto del busto:

1) han2) kutsu3) ken4) tai5) chu

La posizione base di dozukuri è chu: il corpo di chi tira è eretto, non piega in alcuna direzione, né a destra né a sinistra, né davanti, né dietro. Ma se variano le condizioni in cui si pratica, il luogo da cui si scocca la freccia o la distanza dal bersaglio, allora cambiano alcuni aspetti tecnici del tiro, e in particolare l’assetto del busto in dozukuri.

I maestri del passato hanno espresso questo insegnamento nei versi di una poesia:

dono fusu shashuniwaamata nanzoarumune shiri detekao ha terunari.

Nel tiro quotidiano la pratica di dozukuri di chu è molto importante.

Tiratore troppo inclinatoporta molti errori sedere in fuori busto in avantitesta indietro

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Spiegando dozukuri, finora ho trattato principalmente la posizione delle anche, rivolte lievemente all’indietro; intendo ora richiamare l’attenzione alle norme che regolano il rapporto fra le due gambe, che ho peraltro precedentemente nominato.

L’insegnamento di hosha, relativo alla forma che il corpo assume quando si tira, prescrive cinque varianti alla disposizione delle gam-be:

1) kiza2) yagura3) tsukubai4) warihiza5) tachi

Si praticano principalmente tachi e warihiza. Purtroppo qualcuno chiama tsukubai la forma di warihiza confondendo queste due posi-zioni; sono convinto che ciò possa accadere oggi in Giappone perché si possiedono scarse conoscenze del kyudo e se ne fa poca esperien-za.

Kiza, yagura, tsukubai e warihiza sono posizioni in ginocchio.Kiza è l’assetto adatto a tirare moltissime frecce, chiamato anche ka-

zuya.La forma idonea al tiro da una stanza o comunque da un luogo con

soffitto molto basso è yagura.FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Chu no dozukuri. Mantenere la posizione delle gambe e delle co-sce sopra le gambe secondo la regola; porre attenzione ad hakama go-shi ben fissato alla schiena, in modo che prema sulle vertebre lombari; il corpo è ben eretto.

2) Esatto profilo di chu; in questo momento abbassare il mento e raddrizzare la nuca è un insegnamento scorretto.

3) Dall’alto: maemisumi ideale; il bersaglio, il corpo del tiratore e la mano sinistra costituiscono i vertici di un triangolo. E’ questa una posizione razionale, usata in tutto il mondo in ogni tipo di tiro con l’arco.

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4) Han, anche detto soru dozukuri; soru significa “piegato indietro”. Questa variazione è praticata per mandare le frecce a ushiro, cioè a sinistra; non è corretta per mato mae a 28 metri, mentre è indicata per il tiro a lunga distanza.

5) Kutsu, o kagamu dozukuri, oppure ancora fusu dozukuri; kagamu e fusu significano “piegato avanti”. Si utilizzava kutsu quando i tiratori erano sottoposti a violenti movimenti sulle navi o a cavallo, oppure se indossavano l’armatura.

6) Ken, o kakaru dozukuri; kakaru significa “piegato verso sinistra”. In questo caso la punta delle frecce è rivolta verso il basso, per colpire un bersaglio vicino o poco elevato.

7) Tai, o hiku dozukuri, o noku dozukuri; hiku e noku significano “all’indietro”. Il tiratore piega il busto nella direzione contraria al ber-saglio per tirare lontano o in alto.

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Esatto profilo di chu

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Chu no dozukuri.

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Dall’alto: maemisumi ideale

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YUGAMAEpredisponi con tanta attenzione

Dopo aver posto la corda nella cocca proseguite con torikake, tenou-chi, monomi.

Prima di procedere alla fase di movimento del tiro è indispensabile stabilire con precisione l’assetto del corpo nella sua relazione con l’ar-co; il nome di tale condizione è yugamae.

La preparazione di questa struttura, denominata kamae, richiede una serie successiva di azioni che ha inizio con yatsugae, l’atto di incoc-care la freccia.

Effettuato dozukuri, portate davanti a voi l’arco mentre la mano de-stra si stacca naturalmente dal corpo e si tende verso la corda fino a compiere torikake. L’arco è ricondotto poi a sinistra, come nella fase di dozukuri.

Per una corretta tensione ed un buono sgancio, con la mano sinistra costruite l’impugnatura dell’arco che chiamiamo tenouchi.

Continuate successivamente con monomi (zumochi): il viso si rivol-ge a sinistra per guardare l’oggetto da colpire, il mato, in modo tale da avere una conferma della sua posizione.

Mentre la mano sinistra spinge nel punto di tsunomi e apre l’arco nella direzione del bersaglio per una lunghezza pari a 2 o 3 sun (7-10 cm. circa), una minima quantità di forza nel braccio destro, distribuita dal polso al gomito, vi consente di tenere ferma e tesa la corda.

In questo momento confermate accuratamente la sensazione suscita-ta dal contatto di tsunomi con l’arco; vi sia ben presente la percezione della presa del tenouchi sull’impugnatura, della posizione di ogni dito e della relazione delle dita fra loro.

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YATSUGAEIn Giappone si sottovaluta molto la fase dell’incoccatura della frec-

cia; ciò è dovuto in parte ad una scorretta idea del valore del centro, o meglio ad una erronea valutazione che si suole dare all’atto del colpire il bersaglio. Intendo dire che molti istruttori, ancor prima di affron-tare la lunga pratica che porta a superare le difficoltà di cogliere il centro, per dissimulare la propria mancanza di bravura si esprimono con parole dure sulla volontà di colpire il mato, ritenendola ignobile e meschina.

Così accade che si incocchi con trascuratezza.Ricordate che è sbagliato avere dubbi, scrupoli, timori ed esitazioni.

Siate invece sempre molto rigorosi nell’incoccare, perché la precisio-ne di questo gesto vi aiuta ad eliminare gli elementi di incertezza nel vostro tiro.

Può darsi che qualcuno vi dica: “Nel tiro con l’arco giapponese, il kyudo, è espressamente vietato segnare sull’arco il punto di riferimen-to per la mira durante le gare”. Questa è in effetti una norma da segui-re, che tuttavia non è pertinente all’argomento relativo alla posizione di hazu, la cocca. Di ben altro si tratta.

Desidero fare qualche precisazione a proposito del riferimento per la mira. Può accadere che un tiratore poco allenato, dopo aver segnato l’arco, affronti un tiratore ben preparato il cui arco è privo di qualsiasi traccia; ebbene, fra i due, il secondo non ha alcun timore dell’incontro e, la sua sicurezza è fuori discussione. Chi dipende da un riferimento impresso sull’arco non è in grado di rendere precisa e stabile la propria tecnica e da lui non ci si può attendere regolarità nel cogliere il centro. Al tiratore allenato, la cui freccia penetra nel bersaglio secondo la cor-retta tecnica senza segnare l’arco, non si presenta alcun problema nel colpire. L’uso di un arco con il riferimento per la mira causa inoltre un doppio movimento dello sguardo che passa dal bersaglio al segno; l’alternarsi della concentrazione da un punto a un altro è un difetto, fu-tame tsukai, da cui ci si deve guardare perché influenza negativamente lo stato della mente di chi tira.

Sono queste le reali ragioni per cui è proibito porre un riferimento sull’arco; tale azione è da considerarsi contraria allo spirito del kyu-do, segno di vigliaccheria e viltà dell’animo. Le considerazioni che

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ho esposto risalgono al tempo antico e costituiscono il vero motivo dell’attuale proibizione.

Ritorniamo ora a yatsugae e alla sua corretta costruzione. Nel dise-gno n°1 a pag. 19 G è il punto sulla legatura dell’arco, situato esat-tamente dove termina la pelle dell’impugnatura; R è il punto sulla corda posto in modo tale che il segmento GR sia perpendicolare alla corda. Dovete effettuare yatsugae tenendo ferma la freccia nel punto G sull’arco e ponendo hazu al di sopra del punto R di una distanza h pari, circa, alla larghezza di una cocca. Questo è il punto di incocco.

E’ possibile effettuare yatsugae di poco al di sopra o al di sotto di questo punto, ma vi consiglio di non scostarvi troppo dalle indica-zioni date poiché alterereste l’efficienza dell’azione della freccia, che volando verso il bersaglio acquisirebbe un movimento scorretto nella direzione sopra-sotto; in questo caso ridurreste naturalmente le possi-bilità di cogliere il centro.

YOSHIDA GENPACHIRO SHIGEUJI INSAI, famoso maestro del-la HEKI RYU, affermava: “La prima freccia della giornata ci insegna. Il punto in cui essa si conficca rivela qual è la condizione del tiratore e gli indica come si deve regolare nel tiro durante tutta la giornata. Ogni giorno quindi il punto di incocco può essere differente”. Naturalmente questa decisione può essere presa solo quando il proprio tiro è giunto ad una elevata maturità. Personalmente preferisco non approfondire queste osservazioni per non creare malintesi.

In questo paragrafo ho cercato di far capire che attualmente in Giap-pone esistono differenti punti di vista nell’ambito del kyudo. Oggi c’è la tendenza a porre in rilievo la cerimonia o la pratica della medita-zione, e si teme di recar danno allo spirito se si rivolge l’attenzione al bersaglio. Si evita così di interessarsi alla posizione di hazu che vi ho illustrato.

Se prendete in considerazione ciò che vi ho detto, potete capire che l’abilità nello stabilire da sé dove andrà la freccia è strettamente con-nessa allo spirito con cui si giudica l’importanza di cogliere il centro. Vi sollecito a valutare il centro con questo spirito. Ognuno potrà poi comprendere quanto è significativo conoscere il punto in cui si incoc-ca la freccia.

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Indicazioni per incoccare correttamente la freccia.

2) Incoccare la freccia al di sopra della linea perpendicolare di una distanza pari alla larghezza di una cocca. Dopo che si è raggiunta la padronanza di questa norma, è possibile regolare da sé l’altezza della propria freccia.

2Yugamae

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TORIKAKE

Una volta incoccata, la freccia deve mantenere una posizione stabile e sicura fino al momento dello sgancio. Raggiunta l’apertura ideale dell’arco, è indispensabile che durante lo scocco la mano destra, asse-stata sulla corda nella posizione di torikake, non rechi disturbo al volo della freccia e al ritorno della corda verso la sua posizione d’origine. E’ necessario perciò che queste due condizioni tra loro contrastanti trovino una buona sintonia: torikake soddisfa tale esigenza.

Partiamo dunque da yugake, cioè da come si aggancia la corda, e dalle modalità del suo uso. Nei testi antichi che si possono ancor oggi consultare si parla di un guanto, kake, con tre sole dita, pollice indice e medio. Il suo nome specifico è mitsugake, o anche soltanto mitsu. At-tualmente noi pratichiamo il kyudo con mitsugake considerato tecni-camente il guanto ideale per il tiro. Servirsi di tale guanto rappresenta perciò una scelta razionale e conforme alle regole antiche. L’impiego di mitsugake è in effetti ampiamente diffuso tra i giovani studenti dei clubs di kyudo che partecipano alle gare, nelle quali la vittoria dipende esclusivamente dalla quantità di centri realizzati. Nonostante ciò nu-merosi istruttori si ostinano tuttora ad obbligare chi pratica all’uso di un guanto con quattro dita, con l’anulare, chiamato yotsugake.

Queste scelte discordi hanno contribuito a diffondere presso molte persone l’idea secondo cui i principianti iniziano a pratica con mit-sugake, mentre solo chi ha già conseguito una solida esperienza può servirsi di yotsugake.

Sono propenso a credere che il Giappone abbia già attraversato un’età sciocca quanto la nostra; il primo periodo dell’era Showa, quando im-parai il kyudo, fu caratterizzato da una simile stupidità. Molti anziani ancor oggi sono dell’opinione che un kyudoka abile debba smettere di usare mitsugake per servirsi di yotsugake. Mi chiedo perché tutto ciò possa essere accaduto. Pur essendo una cosa incredibile, ritengo che una delle cause principali sia l’ ignoranza, cioè la mancanza di un reale approfondimento dello studio del kyudo; tuttavia la pratica di partico-lari forme di politica nel mondo del tiro con l’arco giapponese e certe tattiche messe in atto dalle varie scuole hanno una parte di responsabi-lità nell’aver generato una simile confusione.

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Penso che siano queste, e non altre, le ragioni che attualmente stan-no alla base del consenso all’uso di yotsugake.

Invero ogni tiratore è libero di servirsi di mitsu o yotsu. Voglio co-munque ricordare a chi insegna che è responsabilità dell’istruttore la scelta del guanto con tre o quattro dita.

Lo spirito e la tecnica sono un’unica realtà, il guanto è come la ruota del carro. Ma chi non ha compreso tutto ciò interpreta in modo ridut-tivo le teoria dell’uso di mitsugake, ponendo l’accento soprattutto sul fatto che esso viene impiegato solo per colpire il bersaglio. In verità il risultato conseguito è proprio questo e più oltre ve ne darò un’ampia spiegazione. Qui voglio invece far presente che si continua a conside-rare yotsugake il guanto migliore per una pratica elegante e raffinata, adatto ad un alto livello di preparazione; con queste illusioni chi sce-glie il guanto con quattro dita si sente incoraggiato a servirsene. Io affermo che tutto ciò è sbagliato.

Mitsugake è il guanto adeguato per hosha; è il guanto della HEKl RYU. Credo che chi non fa parte di questa scuola abbia abbandona-to di proposito l’uso di mitsu, e ritengo ridicole le ragioni di questa scelta poiché l’uso di mitsugake o di yotsugake non dipende dal tipo di scuola ma dalla tecnica e dallo scopo del tiro. Per chi pratica do-sha, scoccando frecce in continuazione giorno e notte sotto le ampie grondaie del tempio, è consigliabile il guanto con quattro dita in modo che la mano destra non si affatichi eccessivamente; yotsu non è d’altra parte conveniente nel tiro a ventotto metri, komatomae, diffusamente praticato fra i kyudoka.

Purtroppo non avendo ben presenti le considerazioni di ordine tec-nico, si rischia di abbandonare l’uso di mitsugake; si è giunti persino a giudicare la scelta del guanto di tre dita come un atto di ribellione nei confronti della propria scuola.

Penso che al più presto i kyudoka debbano aprire gli occhi su tutta questa materia e mi auguro che usino mitsugake. Le spiegazioni che darò renderanno chiari i motivi di questa scelta.

Tecnicamente mete va posta sulla corda in modo che la freccia non venga allontanata dall’arco; questo spostamento, chiamato yaguchi,

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è evitabile se si mantiene, fin dall’inizio, un tono muscolare morbido nell’avambraccio destro, che al termine dell’estensione ruota verso l’interno per riequilibrare l’azione di yunde . In questo momento mitsu offre anche un altro vantaggio: impedisce infatti hizumi, detto altri-menti nojinai, ovvero quella forzatura che imprime alla freccia una certa flessione.

La scelta di yotsu, invece, impone l’impegno di quattro dita della mano destra e induce il kyudoka a trascurare l’indispensabile movi-mento di riequilibrio idoneo a compensare l’azione della sinistra. Al momento di hanare si possono osservare gli esiti dell’uso di yotsu: mete ha il sopravvento e il risultato è uno sgancio privo di equilibrio - katabanare o kattebanare - dove la forza della mano destra ha pre-valso su quella sinistra.

L’inconveniente di kattebanare, dovuto soprattutto all’impiego di yotsu, è attualmente piuttosto diffuso fra i kyudoka; per diminuirne le conseguenze e cogliere così il centro essi sono indotti a mirare volon-tariamente alla sinistra del bersaglio, oppure a ridurre l’efficacia della forza di mete in modo da ristabilire equilibrio con l’azione di yunde.

Questo rallentamento è yurumi. Chi pratica con mitsu non rischia di incorrere frequentemente nei dannosi effetti di yurumi. Vi spiegherò le ragioni di questo vantaggio nel capitolo dedicato alla torsione di mete e a tsunomi no hataraki; la possibilità di evitare yurumi risiede infatti in tsunomi no hataraki la cui pratica reca enormi benefici nel cogliere il bersaglio.

Passo ora ad illustrare l’esecuzione di torikake: dapprima appoggia-te la tacca che sta alla base del pollice del guanto - tsurumakura - sulla corda a una distanza di circa dieci centimetri al di sotto della cocca; con particolare attenzione fate risalire la mano finché rimanga uno spazio di circa cinque o sei millimetri fra la freccia e boshi, il pollice rinforzato del guanto.

Con calma e precisione girate la mano verso l’interno in modo che l’asse longitudinale della freccia ruoti verso di voi; se prendete come punto di riferimento il kyudoka rivolto verso il bersaglio vi rendete conto che la direzione della torsione è antioraria. Ricordate che tale torsione deve essere delicata, quasi più pensata che effettuata.

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L’appoggio della corda a tsurumakura è la prima fase della tecnica di torikake. A questo punto assicuratevi che la posizione del pollice della mano destra sia ben confermata, perciò evitate accuratamente di piegarlo all’interno del guanto.

Proseguite appoggiando la prima falange del dito medio su boshi; l’indice esegue poi il medesimo movimento. Da questo momento la pressione esercitata dalle due dita è identica.

L’asse longitudinale che attraversa boshi deve essere perpendicolare alla corda. Intendo far presente che la precisione nel costruire torikake secondo questa regola purtroppo non dipende in molti casi soltanto dalla cura del kyudoka, ma spesso anche dalla inadeguata fattura del guanto che non sempre permette una perfetta esecuzione in base alla norma della perpendicolarità.

Appoggiando il guanto secondo le due modalità illustrate nel dise-gno n° 3 di pag. 26 potete facilmente individuare l’esatta linea lungo cui si dispone l’asse X di boshi: essa attraversa il dito medio nella prima posizione e sfiora l’indice nella seconda. Le linee Y e Z lungo le quali potrebbe collocarsi boshi non sono corrette. Esse rappresentano ancor oggi le conseguenze del lavoro di artigiani privi di senso critico i quali, all’inizio dell’epoca Taisho, precedente a Showa, si dedicaro-no alla fattura del guanto a quattro dita soltanto per seguire la moda dell’uso di yotsugake .

Le regole di lunga tradizione della HEKI RYU prevedono tsumeru, ossia il movimento di torsione di mete; se boshi non è perpendicolare alla corda durante l’azione di tsumeru la punta del pollice si sposta all’esterno del piano su cui si trova inizialmente e va a porsi sulla linea di ritorno della corda, provocando notevoli disturbi allo sgancio.

Chi usa yotsugake o un guanto di fattura imprecisa, al contrario, è portato a girare mete esternamente; l’unico effetto che si ottiene è sol-tanto una più agevole separazione della corda da tsurumakura

Io consiglio in ogni caso, per qualsiasi tecnica di tiro, di girare dap-prima mete verso l’interno affinché non si produca yaguchi; in secon-do luogo è necessario applicare la tensione nella direzione del gomito per conseguire un tiro corretto.

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Nel confronto tra kyudoka che applicano le due diverse tecniche co-loro che praticano la torsione di mete hanno la possibilità di sfruttare archi di maggiore potenza. I risultati di tale comparazione sono stati studiati alla Ex Tokyo Kyoiku Daigaku e attualmente sono oggetto di approfondimento alla Tsukuba Daigaku presso la facoltà di Educa-zione fisica, dipartimento di kyudo. Naturalmente di questa tecnica si possiede già un’ampia conoscenza; essa è propria della scuola hosha. Dagli esperimenti è comunque apparso chiaro che la torsione di mete al momento dello sgancio imprime alla corda un movimento diretto all’esterno; la corda si allontana dal corpo del kyudoka per ritorna-re alla sua posizione originale. E’ proprio dal particolare andamento assunto dalla corda che ha origine la corretta traiettoria della freccia, indirizzata al bersaglio. Gli esiti di questi studi sono pubblicati nel 49° anno dell’epoca Showa sulla rivista “Shintaiiku”, alla sezione kyudo del 6° fascicolo. Ricordate che la tecnica del movimento di mete è in verità particolarmente adatta per matomae; dal punto di vista fisiolo-gico essa permette a ciascuno di servirsi di un arco la cui potenza è adeguata alle proprie capacità fisiche. Nel tiro a lunga distanza - enteki - invece non è necessario imprimere una particolare torsione perché le sottili frecce usate in questo caso rischiano una eccessiva flessione; inoltre la posizione han no dozukuri richiesta per tirare lontano con-sente di inclinare meno l’arco e come conseguenza un lavoro meno intenso da parte di mete.

FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Dopo lo sgancio, al momento di zanshin, si può osservare la po-sizione del polso destro; effettuando nobiai imprimere una torsione anti-oraria. il risultato è la forma naturale di zanshin

2) Torikake: dopo l’incoccatura della freccia, è il movimento del polli-ce del guanto posto sulla corda si può notare come dal gomito al polso fino al pollice l’asse di torsione che attraversa boshi ruoti leggermente verso il kyudoka, per effetto di questa torsione la parte interna di bo-shi tocca la corda e aggancia tsurumakura. Questa relazione di forza rimane costante fino ad hanare.

3) Indicazioni relative alla correttezza dell’asse longitudinale di bo-shi.

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Boshi, assi

Torikake

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TENOUCHI

dentro la mano

Si chiama tenouchi il modo di tenere l’arco nella mano. La massima efficienza dell’impugnatura genera il distacco della freccia da tsuru-makura del guanto e la sua liberazione dalla mano destra mentre la corda ritorna con potente energia alla posizione d’origine, harigao. Tenouchi è la causa preponderante di questo insieme di movimenti, unitamente ad altri fattori secondari.

Durante l’intenso e forte scatto della corda verso harigao, la freccia si separa e volando assume un moto proprio che è determinato soprat-tutto da tenouchi, ma come ho detto anche da altre cause quali la forza dell’arco, l’abilità del kyudoka, le condizioni fisiche del corpo. In rap-porto all’azione concomitante di questi fattori il tempo che intercorre fra il distacco della corda da tsurumakura e il distacco della cocca dalla corda oscilla tra 1/25 e 1/40 di secondo.

In questo breve attimo yunde tiene saldamente nigiri ossia l’impu-gnatura. E’ proprio qui che si costruiscono i presupposti perché la frec-cia si trovi nelle migliori condizioni di volo verso il bersaglio. Come ho già precisato altrove è indispensabile porre sotto sforzo la mano sinistra.

Qual’è il modo corretto di impugnare che soddisfi questa necessità? La risposta risiede nella tecnica della costruzione di tenouchi, cioè la forma assunta dalla mano sinistra quando si dispone su nigiri secondo il significato letterale del termine tenouchi: “l’interno della mano”.

Il lavoro di tenouchi, tenouchi no hataraki, è costituito dall’intensità dello sforzo elaborato nel lasso di tempo che comprende l’attimo pri-ma dello sgancio, lo sgancio e l’istante in cui la freccia si separa dalla corda per partire correttamente verso il bersaglio.

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TENOUCHI NO HATARAKISe tenete presente la struttura dell’arco giapponese e guardate

dall’alto un kyudoka che sta tirando, vi renderete immediatamente conto che l’arco assume un andamento di torsione impressa in senso anti-orario; questo movimento è assolutamente necessario affinché la cocca si sganci correttamente dalla corda.

Come è possibile allora far girare l’arco? E in quale direzione? Sono queste le esatte questioni da porre.

Rispondo a tali domande invitandovi ancora ad osservare un kyudo-ka mentre tira; considerandolo dalla posizione del bersaglio vedrete come l’arco si inclina rispetto alla per-pendicolare di circa 8 gradi verso la parte esterna del piano verticale su cui si trova il kyudoka.

Se siete invece davanti a chi tira ve-drete l’arco inclinarsi verso il bersaglio di circa 10÷15 gradi. Esaminate molto bene le foto n° 1 di pag. 28 e n° 2 di pag. 29. L’arco gira secondo le indica-zioni che vi ho insegnato e poi torna al suo assetto originario all’interno di questo spazio tridimensionale.

Al momento dello sgancio, durante il ritorno dell’arco alla sua posizione di quiete, potete indietreggiare legger-mente la mano sinistra in modo che non disturbi la direzione di volo della freccia.

In questi brevissimi istanti l’arco pa-lesa le sue qualità; in un certo senso po-trei dire il suo carattere. Dal momento di massima tensione al momento in cui assume l’assetto iniziale, la velocità di ritorno di ogni punto è differente in ciascuna delle sue parti.

5-10 °

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Tale divario dipende proprio dalle caratteristiche intrinseche: ogni arco presenta tempi di ritor-no distinti e quindi velocità più o meno intense. Durante la tor-sione anche l’azione della parte centrale, kyu kan cambia a se-conda della qualità.

Accertata la diversità delle caratteristiche degli archi, è im-

portante avere ben presente che tenouchi no hataraki è valido per ciascuno di essi. Proprio perché deve essere idonea ad ogni condizio-ne questa tecnica è considerata la più difficile di tutte fin dai tempi antichi.

Sono stati effettuati parecchi esperimenti sulla velocità di ritorno, intesa come tempo impiegato dalla corda per ritornare al suo assetto iniziale e come tempo impiegato dall’arco sottoposto a torsione per ritornare al suo stato normale. I risultati di tali prove hanno reso pa-lese che nell’arco tradizionale di bamboo, mentre la corda torna ad harigao in brevissimi istanti, il ritorno di torsione avviene in un pe-riodo di tempo più lungo. L’arco in fibra si comporta invece in modo opposto poiché rientra dalla torsione ad alta velocità, ma da parte sua la corda che esce da tsurumakura spinge più lentamente la freccia per-ché è meno veloce nel riprendere la sua posizione iniziale. Posso ben immaginare che chi si serve dell’arco in fibra è favorito nel cogliere il centro; infatti deve sviluppare uno sforzo minore con la mano sinistra data la maggior velocità di ritorno dalla torsione che questo tipo di attrezzatura presenta. In ogni caso ad ogni caratteristica dell’arco ed ad ogni condizione di ritorno ad harigao la mano sinistra deve rispon-dere girando velocemente l’arco intorno all’asse di torsione secondo le inclinazioni che ho indicato.

Per chiarire ulteriormente come deve attuarsi tenouchi no hataraki voglio riprendere il discorso sull’inclinazione: osservando nigiri di fronte, la spinta in avanti determina un angolo di 10÷15 gradi con l’asse verticale e questa disposizione corrisponde allo spostamento naturale dell’arco che piega in avanti durante la tensione.

10-15 °

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Visto dal bersaglio nigiri assume un’inclinazione di 5÷8 gradi verso l’esterno, inclinazione generata come movimento di riequilibrio con mete che insieme all’avambraccio applica una torsione verso l’inter-no.

Proprio a proposito dell’azione della destra si possono mettere a con-fronto la HEKI RYU CHIKURIN HA e la HEKI RYU INSAI HA. CHI-KURIN HA insegna secondo la regola di han wan han jaku, mentre nella nostra scuola si applica la regola del “girare la punta dell’arco”, hokobuse no kane, secondo cui, durante la tensione, la punta superiore dell’arco viene girata verso l’esterno di 5÷8 gradi.

In base a hokobuse no kane e ad alcuni calcoli effettuati sul processo fisico in atto, l’angolazione si stabilizza intorno ai 5 gradi. Esperimenti condotti sul tiro hanno mostrato come in molti kyudoka la torsione di mete produce come reazione un’inclinazione verso l’esterno di 5÷8 gradi.

Considerato tutto ciò che ho fin qui esposto, per mettere in atto te-nouchi no hataraki man mano che tendete l’arco imprimetegli len-tamente la torsione spingendo e girando l’angolo anteriore destro; quando pervenite al punto in cui non è possibile aprire maggiormente l’arco concentrate tutta la vostra forza alla base del pollice sinistro e con la massima potenza spingete e girate lo spigolo dell’arco.

Nel tiro shomen si effettua yugamae di fronte al viso. Contrariamen-te a quanto avviene nel tiro eseguito secondo le norme della HEKI RYU, la tecnica shomen insegna a torcere l’arco con molta energia all’inizio della tensione; poi, pur mantenendo l’impugnatura ben stret-ta nella mano, si sgancia senza applicare ulteriore torsione.

Purtroppo può accadere che l’arco di bamboo ben presto si deformi e prenda il difetto chiamato deki yumi. Fin dall’origine della nostra scuola noi seguiamo con tenacia l’insegnamento secondo cui man mano aumenta l’apertura dell’arco aumenta anche la torsione. Ciò permette di evitare la deformazione deki. L’arco di bamboo presenta questo difetto quando la corda risulta spostata sulla metà sinistra dell’arco stesso. Usando un deki yumi le frecce vanno a conficcarsi alla destra del bersaglio e difficilmente si coglie il centro.

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La pratica del tiro shomen, in cui la torsione è applicata all’inizio dell’apertura e mantenuta invariata fino allo sgancio, implica che l’ar-co giri inevitabilmente sul proprio asse interno. In questo caso lo spi-golo anteriore destro disturba fatalmente il passaggio della freccia; per di più chi usa un arco di bamboo, applicando questa tecnica, imprime alla freccia una spinta nella direzione mae, a destra del bersaglio, per-ché come ho già spiegato a proposito della velocità di ritorno in questo tipo di arco il ritorno di torsione è lento.

Nella HEKI RYU il movimento di yunde stretta a pugno determina l’inclinazione dell’arco in una porzione di spazio tridimensionale. Al momento dello sgancio, mentre la freccia sta partendo, non spostate l’asse intorno a cui avete iniziato ad applicare la torsione; senza cam-biare la direzione di questa torsione continuate a girare l’arco.

Il movimento è difficilissimo. E’ chiamato sin dal tempo antico tsu-nomi no hataraki. Proprio l’intensità del lavoro di tsunomi dà origine alla torsione dell’arco e alla direzione uwaoshi.

Secondo questo insegnamento, la parte superiore dell’arco in parti-colare, si volge nella direzione del bersaglio; praticamente la spinta di uwaoshi la fa avanzare verso il mato, quasi gettandovela contro.

Un tempo si riteneva che con questo tipo di pressione, quando la freccia si staccava, la parte dell’arco al di sotto dell’impugnatura ritor-nasse nella posizione iniziale prima della parte superiore. Dal punto di vista teorico è stata avanzata anche l’ipotesi opposta.

Queste due teorie sono apparse incerte e poco soddisfacenti. In se-guito a una serie di osservazioni si è potuto verificare che chi tira fa-cendo lavorare il tenouchi alla luce della prima ipotesi obiettivamente ottiene risultati superiori nei confronti di chi si basa sulla seconda, sia per ciò che concerne la velocità delle frecce che per il numero di cen-tri. La validità della prima teoria ha trovato conferma sperimentale.

Gli studi tecnici condotti sul tiro hanno confermato l’efficacia del-la torsione da imprimere sull’impugnatura al momento della parten-za della freccia affinché l’arco accumuli in sé forza per girare; in tal modo la corda nel ritornare alla sua posizione d’origine spinge e fa avanzare la cocca.

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Il movimento di ritorno della corda inizia dallo sgancio e termina a harigao; il suo percorso perfetto si dispiega in una spazio geometri-co che si crea quando si applica una torsione via via più intensa se-condo una direzione netta, lungo la quale l’arco gira attorno all’asse indicato. Gli esperimenti in atto forniscono le prove dell’esattezza di questa dimensione ottimale.

La teoria secondo cui tenouchi no hataraki agisce soltanto sul-la spinta in avanti lungo una linea retta, e perciò senza torsione, si fonda sulla dinamica di un solo punto, e la pressione ha inoltre un valore più ideale che fisico, quasi soltanto un movimento di sostegno all’apertura dell’arco. In tale situazione la torsione è impossibile; capirete più oltre perché senza girare l’arco non potete compiere un buon lavoro.

Un tempo nella pratica del tiro dosha gli arcieri indossavano nella mano sinistra un guanto di pelle finissima che si adattava al palmo come un sottile strato di pelle, affinché yunde risultasse strettamente unita all’impugnatura. Perché la mano aderisse maggiormente si ren-deva appiccicosa nigiri con la pece. Con tali accorgimenti natural-mente l’arco non girava nella mano al momento dello sgancio, addi-rittura talvolta alla base del dito mignolo si poneva una piccola pelle che non permettesse appunto yugaeri. Queste sottigliezze rendevano perciò inutile tenouchi no hataraki. Dosha ha avuto comunque la sua ragione d’essere; oggi per il tiro a 28 m con il bersaglio di 36 cm di diametro il tenouchi di dosha non è adatto.

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COME SI CONFIGURA TENOUCHICHIARIMENTI SU TENOUCHI MOMIJIGASANE

Il modo di impugnare l’arco costituisce uno degli aspetti tecnici più rilevanti del tiro, forse il più importante, come ho già sottolineato pre-cedentemente.

Fin dai secoli passati ogni scuola ha praticato una propria tecnica, un tempo considerata patrimonio da conservare segretamente.

Nel tiro hosha che esercitiamo quotidianamente rivestono particola-re importanza alcune caratteristiche peculiari: tekichu, ossia cogliere il bersaglio; sviluppare una considerevole potenza che permette alla freccia di oltrepassarlo; mantenere la distanza di 28 metri tra kyudoka e mato. Momijigasane è l’unica tecnica di costruzione del tenouchi adeguata a questo tipo di tiro.

Alcune lievissime variazioni sono talora consentite in relazione alla costituzione fisica e a particolari caratteristiche di ogni singola per-sona. Ma non si possono certamente porre sullo stesso piano queste correzioni e l’esatta forma del tenouchi; metto in rilievo questo parti-colare poiché a tale proposito sono sorti dei malintesi.

Chiarito questo punto intendo esprimere la mia opinione a proposito di lanchu. L’espressione giapponese nell’ambito del kyudo significa “tenere in mano l’arco come se fosse un uovo”. Questa immagine è riferita alla forma della mano, alla figura proporzionata che si delinea impugnando l’arco.

Nell’insegnare si ricorre a questo suggerimento quando il kyudoka impugna con eccessiva rigidità: allo stesso modo un uovo in quella mano si romperebbe. Dunque, non tenete yunde rigida; ma attenzione, neppure eccessivamente sciolta e morbida. Questo è il corretto inse-gnamento.

Ritengo tuttavia che le indicazioni relative a lanchu non siano del tutto convincenti poiché se si tende l’arco senza la necessaria tensio-ne nell’impugnatura dopo lo sgancio la corda finisce per battere sulla guancia destra di chi tira determinando di conseguenza una scorretta traiettoria della freccia.

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Alcuni maestri di kyudo si esprimono a proposito di lanchu come se si trattasse di una regola misteriosa, oppure di un’istruzione supe-riore; penso che l’insegnamento così impostato metta i principianti su una cattiva strada.

Le considerazioni che ho svolto su lanchu e sul modo in cui viene interpretata questa norma forniscono un esempio efficace su come so-vente si travisino gli insegnamenti relativi alla forma e ai contenuti del tiro, confondendo l’una con gli altri.

Nel densho è scritta una significativa poesia:

yumini kane atsuru kokoro ha

shirinagara hitoni yorikeri

wakano uranami

Questo testo, patrimonio spirituale della scuola INSAI, esprime al-cuni pensieri a proposito della tecnica del tiro con l’arco: essa prevede molte regole, è necessario imparare a praticare secondo questi inse-gnamenti tenendo anche conto delle differenze esistenti fra le perso-ne.

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SIGNIFICATO E COSTRUZIONE DIMOMIJIGASANE NO TENOUCHI

Chiediamoci per quale motivo si attribuisce a tenouchi la particolare qualità di momijigasane. Il significato di questa denominazione, rife-rita alle foglie di acero che arrossandosi cadono le une sulle altre, è in stretto rapporto alla progressiva azione sviluppata dopo la costruzione di tenouchi.

Man mano che la tensione dell’arco aumenta, la forza del tenouchi cresce, la stretta delle dita si intensifica, e cambia il colore delle un-ghie.

La progressione crescente dell’energica presa di yunde è paragonata dunque alle foglie dell’acero giapponese che mutano il loro colore nell’evolversi delle stagioni: dalla primavera all’estate e poi all’au-tunno l’intensità delle tinte si accentua fino a raggiungere una vivida e brillante tonalità di rosso. Infine le foglie cadono, e sovrapponendosi le une alle altre ricoprono la terra.

Un senso di penetrante bellezza va manifestandosi.

La dimensione ideale del tenouchi è questa bellezza, che si realizza fino a zanshin. Tenouchi è bello da quando è costruito al termine del tiro.

Dalla similitudine con le foglie dell’acero proviene l’insegnamento del tenouchi, perciò chiamato momijigasane.

Faccio presente che quando in Giappone negli ambienti del kyudo, si parla di tenouchi ci si esprime con due verbi in particolare: tsukuru cioè “costruire” e totonoeru “sistemare”.

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Allora qual è il modo migliore per costruire e sistemare tenouchi secondo l’insegnamento di momijigasane ?

Lo spiego in modo chiaro e corretto facendo riferimento all’illustra-zione di pag. 37.

1) Osservate che sul margine del palmo della mano al centro della morbida pelle tesa tra il pollice e l’indice, simile alla membrana delle zampe degli uccelli acquatici, si trova il punto A.

Per impugnare bene fate aderire questo punto al punto E dell’arco, così come è mostrato nel disegno n° 2; E si trova sulla parte anteriore dell’impugnatura a circa 4/10 del margine sinistro, cioè a 6/10 dal margine destro; potete anche prendere in considerazione la proporzio-ne 3 a 7. La vostra mano deve essere ben aderente alla parte interna dell’arco, quella su cui è tesa la corda.

Nel disegno n° 3 la freccia a indica la linea lungo la cui mano spinge l’arco per far aderire il punto A all’impugnatura; la freccia b indica la direzione che la mano deve seguire risalendo sull’impugnatura per far avvolgere verso l’interno la membrana su cui si trova il punto A; questa pelle risulta perciò arrotolata e ben aderente all’arco.

2) Nel disegno n° 1, sulla mano è segnato il punto B; indica l’inizio di una delle linee della mano che si chiama tenmonkin. Il punto B deve congiungersi a F, l’angolo esterno sinistro dell’arco, durante questo passaggio il palmo della mano si curva leggermente.

Questo movimento è kotsu, ovvero uno degli espedienti della tecni-ca mantenuti un tempo segreti.

3) Prestate ora attenzione al punto A, senza allentare la presa sulla pelle arrotolata, e al punto B di tenmonkin, ben aderente all’angolo posteriore sinistro dell’arco. Avvicinate il mignolo al pollice appog-giandolo al dorso laterale destro dell’impugnatura indicato con S nel disegno.

4) Avvicinate l’anulare al mignolo, applicando l’ultima falange al punto S. Durante tutta la tensione dall’inizio alla fine del tiro è impor-tante che l’anulare si chiuda con forza sull’arco.

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5) Resta da sistemare l’ultimo dito, il medio; infilatelo spingendolo con forza fra il pollice e l’anulare.

Questo è il modo di completare momijigasane no tenouchi.

Dopo tenouchi seguono uchiokoshi, sanbunnoni, tsumeai, nobiai, yagoro di cui avrete spiegazioni qui di seguito. Per ora è impor-tante chiarire che ognuna di queste fasi deve essere eseguita senza modificare minimamente tenouchi; la tensione dell’arco, diversa per intensità in ogni posizione, non deve venire meno in nessun istante del tiro.

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Lentamente e progressivamente aumentate la forza della torsione al momento di yagoro con la massima potenza spingete e girate l’angolo anteriore destro dell’arco; in questo attimo il punto focale in cui va a confluire tutta l’energia è tsunomi, cioè la base del pollice di yunde, là dove aderisce all’impugnatura. La mano sinistra lavora nello stesso tempo e con lo stesso ritmo della destra. Mentre la potenza del gomito aumenta, e contemporaneamente il lavorio della sinistra raggiunge il massimo, mete si libera dalla corda: si è giunti all’istante di hanare.

Questo è il lavoro di momijigasane, momijigasane no hataraki.

10-15 °

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) L’inclinazione dell’arco dentro tenouchi; per il tiro a 28 metri è di 5÷10 gradi rispetto alla perpendicolare; questo insegnamento è hokobuse no kane. Quando si indossava l’armatura, durante la guerra, l’inclinazione era di 10÷15 gradi

2) L’angolazione del tenouchi e l’arco dentro la mano; durante l’apertura l’arco viene inclinato verso il bersaglio di circa 10 gradi rispetto alla perpendicolare.

4) Momijigasane no tenouchi. All’inizio, il punto in cui il pollice divarica dall’indice, là dove si trova una sottile membrana di pelle, viene fatto aderire all’impugnatura lasciando a sinistra i 4/10 della larghezza, e a destra i 6/10. Risalendo sull’impugnatura fate in modo che la pelle si arrotoli all’interno della mano (pag. 37).

5) Risalendo sull’impugnatura arrotolando la membrana e spingen-do, la membrana si stabilisce là dove si effettua tenouchi.

6) Tenmonkin aderisce all’angolo esterno sinistro dell’arco, poi il mignolo si avvicina il più possibile al pollice e si appoggia alla parte esterna destra; seguono l’anulare e il medio in questo ordine; il medio s’infila con un certo sforzo nello spazio fra il pollice e l’anulare se-guendo la direzione che va dalla punta della freccia alla penna.

7) Quando sono disposte sull’impugnatura le punte delle tre dita, medio, anulare e mignolo, sono ben allineate.

8) Dopo aver perfettamente costruito torikake e tenouchi l’arco vie-ne spinto verso il bersaglio e lievemente aperto.

9) Medesima posizione vista da un altro punto.

10) Dopo tsumeai, facendo nobiai, all’arrivo di yagoro, un attimo prima di hanare. In questo momento un tenouchi ideale fa lavorare tsunomi.

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MONOMI

Completati torikake e tenouchi in ogni loro particolare, è il mo-mento di esercitare una certa pressione nel punto di tsunomi in modo da spingere l’arco finché raggiunga un’apertura di circa 10 cm. Da questo istante muovendovi naturalmente girate la testa verso il ber-saglio mentre i vostri occhi con sguardo sicuro e risoluto si fermano sul centro per confermarne la posizione.

E’ probabile che durante monomi la testa si sposti o in avanti o all’indietro rispetto all’asse verticale. Se non si è ben attenti è facile che si verifichi questa inclinazione. Abbiate cura di eseguire monomi in modo corretto.

E’ diffusa da parte di molti insegnanti la raccomandazione di gir-are il viso quanto più possibile verso il bersaglio, oppure di portare il mento sulla spalla sinistra. Sono convinto che sia impossibile eseguire in modo naturale queste istruzioni. Un esperimento effettuato su venti kyudoka, studenti dell’università di Tsukuba, ha dimostrato che solo due persone hanno potuto volgere il capo verso sinistra secondo un an-golo di 90 gradi, mentre per le altre diciotto la media delle angolazioni si è stabilita sui 70 gradi.

Quando si insegna a girare il capo in modo accentuato perché gli occhi guardino direttamente nello stesso punto, non si tiene conto di quelle condizioni fisiologiche che abbiamo accertato nell’esperimento.

Una poesia tratta dall’Insai Ha Mugon Ka spiega monomi:

monomi toha yayotote

hitono yobutonokini iruto

kotaete mimuku sagatayo

Se ne traggono due insegnamenti: come si volge il capo e come è la posizione non forzata che si raggiunge. Vi si racconta di una per-sona chiamata dalla direzione del bersaglio; al richiamo naturalmente rivolge il viso verso il punto da cui è stata invitata.

Guardate ruotandonaturalmente il viso come se qualcuno vi stessechiamando dal MATO

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Perciò guardate il bersaglio senza darvi troppo pensiero e senza ri-gidità o tensione; questo è l’elemento tecnico da seguire per effettuare bene monomi .

Eseguendo monomi forzatamente a qualcuno accade che le braccia vibrino in modo così evidente da suscitare in chi guarda una certa apprensione; lo sforzo delle spalle e del mento provoca l’inevitabile difetto della rigidità: questo è un dato di fatto che non si può eludere.

Intendo ora soffermarmi sul lavoro degli occhi durante monomi. Nel passato si diceva: “Quando un kyudoka guarda il bersaglio im-pegna principalmente il proprio occhio destro”; è stato anche detto: “L’occhio sinistro ubbidisce al destro”.

A questo proposito voglio suggerirvi una prova: praticate al centro di un foglio di carta un foro del diametro di pochi centimetri; ponete il foglio a una distanza di circa 60÷70 centimetri davanti a voi e at-traverso il foro osservate qualcosa che si trovi a qualche metro utiliz-zando entrambe gli occhi.

Guardate poi alternativamente da prima con il sinistro e in seguito con il destro; vi renderete conto che chiudendo il vostro occhio domi-nante avrete preclusa la vista dell’oggetto mentre se otturate l’occhio ubbidiente potrete comunque scorgerlo.

Se l’occhio destro è quello dominante l’emisfero cerebrale sinistro sovrintende la visione; concentrate al bersaglio l’occhio destro.

In questo momento si controlla il movimento dello spirito.

Ma è possibile avere in pugno il movimento dello spirito? Situazio-ni, idee e ragioni possono essere buone; situazioni, idee e ragioni pos-sono essere sbagliate. C’è la destra c’è la sinistra. Su tutto ragioniamo con le parole e con il pensiero, ma quando una persona guarda il ber-saglio soprattutto con l’occhio dominante e lì si concentra in modo naturale, allora entra profondamente in un mondo dove non esistono tutte questa parole; senza parole senza pensieri penetra nel mondo del mu.

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CONCLUSIONE

Una volta effettuato torikake, stabilito tenouchi aperto l’arco di qualche centimetro verso il bersaglio, concluso monomi, la forma di yugamae è compiuta. Dal punto di vista dell’immagine che il kudoka offre di sé, con yugamae la fase più pacata del tiro è ultimata.

Fin dai tempi antichi si insegna che al termine di yugamae ogni pen-siero si dilegua e il kyudoka entra nel mu. Nel densho una poesia de-scrive lo spirito di yugamae:

omoisutete wagayado

izuru mononofuno

kokoro suzushiki

coguchiba no kane.

Questo è shichichin banpo gainen no koto.

A proposito dell’insegnamento di tutta questa fase HEKI DANJO, fondatore della HEKI RYU, riferisce che si consideravano tre tipi di yugamae: quello di sinistra, quello di destra, e il chudan cioè la posizione di mezzo fra le due precedenti. INSAI scelse yugamae di chudan che nel passare del tempo divenne l’attuale forma di yuga-mae. Secondo l’insegnamento antico gli arcieri durante la battaglia erano più protetti se l’arco non veniva allontanato dal corpo; si ef-fettuava perciò hitoe no minoyugamae lasciando sullo stesso piano l’arco e la persona affinché il tutto non occupasse più di cinque sun di larghezza, quattro per il corpo e uno per l’arco.

I tiratori avevano perciò maggiori garanzie di sicurezza quando costruivano questo tipo di yugamae.

Chudan fu scelto da INSAI; dopo un lungo periodo di guerre, lontano dalle battaglie la forma si trasformò lievemente durante l’allenamento quotidiano. In origine era abbastanza laterale e rav-

(dal tempo dei Samurai)lasciate i pensieri dietro di voi come quando lasciatela casa per il campo di battaglia.Sia il vostro spirito come il vento che soffia

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vicinato al corpo; venne poi spostato un poco in avanti, in modo che si avesse più agio nell’alzare l’arco per effettuare uchiokoshi. Così l’attuale yugamae proviene da chudan spostato appena appena verso destra.

Intendo dare anche alcune spiegazioni a proposito di questa fase nel tiro shomen. Secondo gli insegnamenti di questa scuola yugamae è costruito quando torikake e tenouchi non sono ancora preparati.

Dopo uchiokoshi nella posizione daisan, che corrisponde al nostro sanbunnoni, si entra nel vero tsurumichi o “via della corda”. Questo termine può essere inteso in due sensi, l’uno riferito al percorso del guanto che trascina la corda, l’altro a tutta la strada che compie la corda durante il tiro.

Nella scuola shomen, torikake e tenouchi trovano la loro vera com-pletezza soltanto in daisan quando le due mani sono alzate al di so-pra della fronte.

Daisan è la fase in cui il tiro inizia a percorrere il vero e proprio tsurumichi; ma in questo modo la tecnica di costruzione di torikake e di tenouchi viene affidata soltanto all’intuizione e ciò risulta fatale al tiro.

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Posizione del kyudoka, visto dall’alto non appena ha stabilito monomi; prima di uchiokoshi; si faccia attenzione alla condizione di torikake, alla relazione fra tenouchi e l’arco, alla situazione di monomi .

3) Monomi: i due occhi sono allo stesso livello sullo stesso piano oriz-zontale; l’insegnamento prevede che guardando il bersaglio in modo naturale l’angolo interno dell’occhio destro e l’angolo esterno del sin-istro si direzionino al centro secondo mejiri megashira no kane, ossia “la regola dell’angolo interno e dell’angolo esterno degli occhi”.

2) Il kyudoka è stato chiamato e in modo naturale si gira nella direzi-one da cui proviene il richiamo: questa è la forma ideale di monomi.

4) Completamento di yugamae.

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Yugamae- Monomi

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UCHIOKOSHIScorrevolmente progredisci

Calma e tranquillità accompagnano il momento di uchiokoshi ef-fettuato con molta attenzione guardando il bersaglio; la mano destra conduce il movimento mentre la sinistra segue obbediente.

Finché siete nella primavera della vita estendete completamente le braccia verso l’alto tanto quanto le vostre spalle ve lo consentono. Con l’avanzare degli anni si fa via via più intenso l’impulso ad effettuare uchiokoshi più basso, perciò nei primi tempi della pratica abbiate cura di elevare le braccia quanto più potete.

Anticamente la successione delle posizioni del tiro non prevedeva uchiokoshi; dopo monomi si passava direttamente a sanbunnoni, che spiegherò più oltre, per poi aprire sempre più l’arco fino a tsumeai. La descrizione del passaggio a sanbunnoni, era espressa dal verbo uchio-kosu che letteralmente significa “dare inizio a un movimento forte e deciso”. Al giorno d’oggi pratichiamo la posizione uchiokoshi per fa-vorire il gesto di apertura dell’arco e realizzare così una forma este-ticamente armoniosa e ammirevole. Verso la metà dell’epoca Meiji il maestro URAGAMI NAOKI la introdusse come variazione della forma praticata durante le antiche battaglie.

Al momento di uchiokoshi la freccia è lievemente inclinata in modo che la punta si trovi un poco più in basso della cocca, secondo l’inse-gnamento di mizunagare: una goccia d’acqua scorre quietamente sulla freccia dalla cocca alla punta; questa è l’esatta inclinazione.

In questi istanti state molto attenti a tenouchi che, nell’alzare l’ar-co, può modificarsi lasciando prevalere la spinta shitaoshi da sotto a sopra; per prevenire questa eventualità innalzate l’arco imprimendo una certa forza nel senso opposto - uwaoshi- da sopra a sotto. Abbiate molta cura di questo particolare fino a tsumeai.

Ricordate che fino al termine di uchiokoshi la mano destra presiede il movimento, seguita obbedientemente dalla sinistra; nell’insieme la freccia è in direzione del bersaglio. Fate attenzione alla spalla sinistra che non deve cambiare posizione, né spostandosi dietro rispetto al pia-no verticale e neppure spingendosi in avanti.

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FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Uchiokoshi visto dall’alto. La freccia è direzionata al bersaglio; da qui le mani sinistra e destra aprono con molta naturalezza l’arco e con questo movimento si giunge a tsumeai e a nobiai.

2) La forma ideale di uchiokoshi. Considerate il triangolo i cui ver-tici sono rappresentati dalle due mani e dalla punta inferiore dell’arco; conservando la relazione fra i tre punti le braccia si innalzano con calma fin sopra la testa e mantengono la punta superiore dell’arco leg-germente inclinata in avanti.

3) Con la pratica di hokobuse no kane al momento di uchiokoshi la punta superiore dell’arco è inclinata in avanti. Quando il kyudoka è anziano le mani, chiuse sull’arco e sulla corda, si alzano senza giun-gere alla massima estensione delle braccia e terminano il movimento un pugno più in basso della posizione prescritta, così come è indicato in questa fotografia.

4) Uchiokoshi nella posizione tsukubai delle donne. La corretta al-tezza delle mani è quella raffigurata in questa fotografia. L’esatta rela-zione fra le due mani prevede che la destra si trovi più in alto così che una goccia d’acqua possa scorrere quietamente dalla penna alla punta della freccia: questa è l’inclinazione ideale.

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Uchiokoshi

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SANBUNNONI

conferma la via della corda

Fino a uchiokoshi le mani chiuse sull’impugnatura e sulla corda con-servano la tensione e la relazione stabilite durante yugamae.

Dall’alto con calma tendete l’arco, e sia la mano sinistra a presiedere il movimento mentre la destra segue; quando quest’ultima è giunta all’altezza dell’orecchio e la freccia si trova esattamente allineata al sopracciglio allora, senza rilassare il tono della tensione, smettete di aprire.

In questo istante la freccia si trova nella direzione del bersaglio; la mano sinistra stretta intorno all’impugnatura inizia a concentrare la propria forza su tsunomi. A destra i punti di energia inizialmente loca-lizzati nella mano e nel polso, con il procedere graduale del movimen-to, si spostano pian piano verso il gomito mantenendo accuratamente invariata la forma della posizione. Viste all’esterno le mani appaiono ferme.

La relazione stabilitasi a sanbunnoni fra la mano sinistra e la mano destra permane fino al termine del tiro. Appare evidente a chi guarda che tenouchi intensifica la propria energia su tsunomi: tsunomi diventa il punto di resistenza della forza di tenouchi.

Contemporaneamente anche a destra si crea una zona di forza sul braccio, a sette-otto centimetri dal gomito, da considerare più come una lieve sensazione che una acuta tensione fisiologica della musco-latura.

A poco a poco, leggermente, avete aperto l’arco e senza perdere in-tensità mantenete la posizione raggiunta.

Sanbunnoni può essere spiegato anche in relazione a yajaku, l’aper-tura, che equivale circa alla lunghezza della propria freccia. Se si fra-ziona in tre parti yajaku il primo tratto è raggiunto a yugamae quando l’arco è leggermente teso; al secondo tratto si perviene durante san-bunnoni: proprio per questo motivo la posizione è chiamata letteral-mente “due parti di tre”.

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Dal punto di vista tecnico desidero porre in evidenza quattro vantag-gi offerti da sanbunnoni.

In primo luogo vi renderete conto che praticando la corretta tecnica troverete il percorso del tiro via via sempre più definito e preciso; in trasparenza attraverso il braccio sinistro scorgerete il bersaglio: man mano che l’esperienza del tiro si approfondisce la relazione tra il ber-saglio e il braccio si fa più stabile. Questa condizione è veramente si-gnificativa. Accade talvolta di praticare in situazioni diverse da quella quotidiana; la differenza si rileva proprio nel variare della relazione tra il braccio sinistro e il bersaglio.

Sanbunnoni ha poi lo scopo di confermare l’equilibrata distribuzio-ne di forza fra le due mani, di rendere più sicura e stabile la tensione del gomito destro e di poter avvertire accuratamente la condizione rag-giunta. Noi chiamiamo tsurumichi il cammino effettuato dalla corda durante la tensione dell’arco; sanbunnoni permette di verificare se la strada già percorsa è corretta, ossia se tsurumichi è stato eseguito in modo regolare. Avete l’opportunità di poter riconsiderare la posizione delle mani e del gomito destro valutando il bilanciamento delle forze impegnate.

A partire dalla forma quotidiana del tiro, durante sanbunnoni si sta-bilisce il riferimento della mira: se il bersaglio è vicino oppure posto in alto rispetto alla norma dovete scorgerlo sopra il braccio sinistro; al contrario il bersaglio è inquadrato in trasparenza nel braccio quando è posto in basso o lontano.

Nella posizione di sanbunnoni si può infine controllare il rapporto fra la forza intrinseca dell’arco e l’energia del corpo. L’equilibrio fra questi due elementi può venir meno se nell’allenamento quotidiano si avverte per stanchezza un eccessivo sforzo nel tendere l’arco, op-pure quando ci si serve di un arco particolarmente forte; regolando la durata di sanbunnoni si risparmia energia. Nella situazione opposta, nella pienezza di energia del corpo e in buone condizioni generali un sanbunnoni più prolungato può aiutare a trovare un buon rapporto fra la forza dell’arco e quella del corpo. Quando l’arco inizia ad opporre una certa resistenza, allora è il momento di passare alla fase successiva e così entrare nel nobiai consueto. Come vi ho spiegato nel corso di sanbunnoni si sviluppa una grande capacità di controllo. Proprio per

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questa caratteristica, fin dai tempi antichi sanbunnoni era considerato un elemento di superiorità sulle altre scuole per i vantaggi che offriva nel cogliere il centro.

FOTOGRAFIE E DISEGNI1) Sanbunnoni visto dall’alto2) Si osservi la posizione della mano destra lievemente superiore

all’orecchio.

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Sanbunnoni

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TSUMEAIconferma i quattro riferimenti:

yatsuka, nerai, hoozuke, munazuru

Quando a sanbunnoni avvertite che tutto va bene, con calma, equi-librando il movimento delle mani tendete ulteriormente l’arco fino a giungere a tsumeai.

Nel capitolo relativo a sanbunnoni ho ampiamente spiegato che quando si pratica ogni giorno secondo la corretta tecnica ci si rende conto delle differenze fra i vari tiri e a partire da questa conoscenza si può pian piano pervenire a risultati costanti.

Tsumeai è la posizione in cui il kyudoka porta a termine l’apertura dell’arco fino ad una corretta proporzione; per una persona di corpora-tura normale la misura dell’apertura - yajaku oppure yatsuka - equiva-le a circa metà altezza del corpo.

Stabilita l’apertura si fissa la mira - nerai. La freccia tocca lo zigomo - hoozuke - e la parte inferiore della corda nel punto medio fra l’estre-mità inferiore dell’arco e l’incoccatura sfiora il petto - munazuru.

Queste quattro condizioni si fissano contemporaneamente: in tal modo tsumeai è compiuto.

Relativamente agli aspetti tecnici della forma in questo istante tutte le circostanze necessarie ad effettuare lo sgancio sono raggiunte.

Ma la tecnica del kyudo è una condizione viva e se nell’attimo dello sgancio non si aggiunge un apporto attivo all’energia già espressa a tsumeai la forza di nobiai si attenua e rallenta, secondo l’espressione yurumibanare.

Sono seriamente difettosi gli sganci che avvengono senza il con-tributo di nobiai - tsukebanare - o addirittura smorzando la tensione - yurumibanare.

Quest’ultimo difetto consiste nel retrocedere progressivo del braccio destro nella direzione del bersaglio e nello sganciare durante questo ritorno. Quando si verifica tsukebanare invece la mano destra accom-pagna la corda che trascina con sé il braccio.

Chiamiamo entrambe i difetti yurumi o yurumu. Più oltre troverete

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spiegazioni ampie a proposito dei due tipi di yurumi che insieme ad hayake sono per chi pratica delle vere e proprie malattie.

Quando un kyudoka non li corregge con urgenza e non ha la costan-za di lavorare per superarli molto probabilmente abbandona l’allena-mento.

COME SI CONFERMA LA MIRA

Persino i migliori tiratori una volta al giorno devono controllare la correttezza della loro mira: questa è una verifica necessaria.

Ho già spiegato che se la mano destra e tsunomi no hataraki sono lenti e privi della necessaria sensibilità e pienezza, la freccia va a de-stra del bersaglio.

Nell’ ottanta-novanta per cento dei casi yurumi della mano destra è la causa degli errori sulla sinistra del bersaglio. La precisione della mira consente di valutare la correttezza del proprio tiro in base al luo-go in cui si conficcano le frecce rispetto al bersaglio.

Vi spiego come potete ottenere la conferma della mira, riferendomi al disegno n° 3 pag. 59 in basso (parte sinistra). Il punto A è hoozuke, là dove la freccia tocca lo zigomo; la freccia rivolta al bersaglio T è puntata al centro C; in questa situazione la linea dello sguardo che parte dall’occhio destro R è parallela alla freccia.

La distanza fra queste due linee parallele è posizionata a sinistra del centro del bersaglio. A causa di questa distanza fra lo zigomo e l’occhio destro la mira deve essere fissata lievemente alla sinistra del centro.

Tenete comunque presente che una volta riportata sul mato la di-stanza fra la pupilla dell’occhio destro e la freccia determina una dif-ferenza di distanza dal centro veramente esigua, tale da non destare preoccupazione mentre si tira; perciò senza darvi troppo pensiero per questo particolare mirate con l’occhio destro al centro del bersaglio.

Come ho già detto nel capitolo dedicato a monomi, l’occhio destro è quello dominante e precede l’azione del sinistro che gli obbedisce.

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Quando lo guardate con entrambi gli occhi, il bersaglio vi appare in trasparenza attraverso l’arco.

E’ evidente che la condizione di hoozuke e l’inclinazione di monomi sono differenti da persona a persona; per questa ragione nella visione in trasparenza il bersaglio può essere interamente compreso nell’arco stesso, o apparire per metà internamente e per metà esternamente, o del tutto all’esterno, oppure in posizioni intermedie fra quelle qui in-dicate.

E’ importante per determinare l’esattezza della mira l’intervento di un’altra persona che aiuti il tiratore a stabilire il riferimento control-lando da dietro che la cocca e la punta della freccia siano direzionate al centro del bersaglio. Potete perciò capire come in pratica non esista per i kyudoka una mira precisa in assoluto.

FOTOGRAFIE E DISEGNIl ) Tsumeai. L’apertura di metà altezza del corpo, yatsuka, è stata

raggiunta. Anche tenouchi è maturo. Qui ci si trova al momento di tsunomi no hataraki durante nobiai, prima di yagoro.

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2) La forma di tsumeai. Dal momento in cui sono stato stabiliti i quattro riferimenti hoozuke, nerai, munazuru e yazuka, allora si entra in nobiai. Nel densho un intero capitolo è dedicato a tenouchi jumonji. Jumonji significa incrocio perpendicolare. Secondo questo scritto il lavoro di torsione dell’arco deve essere applicato perpendicolarmente all’arco stesso; anche la forma rispecchia questa perpendicolarità.

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3) Come si vede il bersaglio. Nel disegno la freccia è nella posizione che assume a tsumeai.

I vari bersagli accostati a yunde, braccio e mano destra, rappresenta-no grossomodo i riferimenti rispettivamente e dal basso:

a) a uchiokoshib) a sanbunnonic) dopo tsumeai

4) Come si conferma la mira.

Se monomi e ogni altra posizione sono eseguiti in modo corretto, come nel 1°disegno in alto si può vedere chiaramente che il bersaglio viene a trovarsi nella trasparenza dell’arco a sinistra, per metà interno e per metà esterno. Nel disegno centrale il bersaglio si trova del tutto all’interno dell’arco; ciò è dovuto soprattutto al fatto che monomi è eseguito con una angolazione poco accentuata. Nel disegno in basso è rappresentata la situazione in cui il bersaglio è completamente esterno all’arco, a sinistra, ciò accade quando monomi è molto angolato.

T è il bersaglio, C è il centro del bersaglio, S è la sezione dell’arco, A è hoozuke, R è l’occhio destro, L è l’occhio sinistro.

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NOBIAI

completa profondamente l’apertura dell’arco

Siete giunti a tsumeai; è il momento di concentrare tutte le vostre forze nel punto di tsunomi, mentre a destra dovete rendere sempre più attiva quella zona dell’avambraccio posta a circa sette otto centimetri dal gomito, già descritta nel capitolo di sanbunnoni. Contemporanea-mente, sempre a destra rinforzate leggermente e progressivamente la torsione. La spina dorsale si distende e assume un portamento sempre più eretto.

Conducendo progressivamente alla pienezza gli elementi che ho ap-pena nominato, mentre la mano sinistra spinge e la mano destra tira, avvertirete con chiarezza che yajaku andrà aumentando e si farà via via sempre più ampia.

La stretta man mano più intensa del tenouchi, la forte spinta applica-ta all’angolo anteriore destro dell’impugnatura e la torsione dell’arco connessa a queste azioni provocheranno a destra un movimento di re-azione nella mano e nel braccio proporzionato alla quantità di energia sviluppata a sinistra.

Così entrambe le mani e le braccia stringendo e serrando lavora-no reciprocamente. L’equilibrio fra la forza dell’arco e la forza del kyudoka crea una stabilità tale che il corpo non può più muoversi; lo si potrebbe paragonare a un cuneo disposto in modo da non permet-tere alcun spostamento. Chiamiamo nobiai il processo che consente di accedere a questa condizione. Nobiai non può essere spiegato con indicazioni relative alla forma.

Appena prima di pervenire a questi istanti di profonda intensità, con-centrate tutte le vostre forze alla base del pollice della mano sinistra, nel punto di tsunomi, e riversatele sull’impugnatura con quanta più energia potete sviluppare, come se aveste l’intenzione di frantumare l’arco stesso.

Stringete forte l’impugnatura, girate e spingete l’arco; ricordate di non spostare l’asse di torsione secondo cui l’arco viene girato.

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E’ importante che tutti i movimenti siano applicati con forza e velo-cità. Il mignolo, l’anulare e il medio della mano sinistra fino al termine del tiro sono impegnati a chiudersi sempre più sull’impugnatura; fate bene attenzione a questa stretta: le dita non devono accompagnare la parte laterale dell’arco nella direzione della torsione, affinché l’arco durante lo sgancio non giri nella mano.

Acconsentire questo movimento dell’arco significa creare i presup-posti per l’indebolimento di tsunomi e per la caduta dell’arco stesso dalla mano mentre si sgancia la freccia.

1) Nobiai: tekichu, cioè cogliere il bersaglio, si colloca all’interno della propria convinzione. Nello spirito non si trova alcun centro, non c’è neppure l’errore. Nemmeno la perfezione tecnica del tiro può di-sturbare lo spirito. La tecnica, il ritmo, la respirazione, il bersaglio, tutto si allontana dal pensiero.

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YAGORO E HANARE

kakushin no hirameki:

il lampo della sicurezza

Nobiai continua, ininterrottamente continua; e proseguendo accade a tutti di giungere a un limite. Questa condizione limite si chiama yagoro.

Il maestro URAKAMI SAKAE HANSHI, in un suo libro molto cono-sciuto, “L’occasione di hanare e momijikasane no tenouchi”, scrive a proposito del momento di tsunomi quando si giunge a yagoro:

- Praticando tutti i giorni si perviene ad un lampo di certezza di se stessi e del centro che si tramuta in tsunomi no hataraki; a questo lavoro corrisponde l’azione di katte, la destra, senza ostacoli, senza vento, come naturalmente le gocce di rugiada cadono da una foglia di riso...-.

In breve, lo spirito e il corpo si trovano entrambi nella pienezza. Nell’allenamento quotidiano fate lavorare così tsunomi, e insieme e contemporaneamente all’azione della destra sganciate. In questo istante chi osserva vede la freccia separarsi naturalmente dall’arco. Sottolineo un particolare rilevante: portate a compimento hanare con la vostra volontà; ve lo dico in modo chiaro e vi prego di ricordarlo.

Le parole del maestro Urakami rievocano la concreta e chiara de-scrizione della tecnica che si può leggere nel Gorinnosho scritto da Miyamoto Musashi; la compiutezza della tecnica è comprensibile solo per chi si allena perfezionando la tecnica stessa fino al grado sommo delle possibilità, gokui.

Quando avvertite che il momento ottimale è raggiunto effettuate hanare sganciando con la volontà. Da questa azione voluta inizia l’allenamento che soltanto in tale dimensione può condurre a gokui. Se si attende che la freccia parta da sé senza l’intervento di un atto di volontà non si potrà mai avere l’opportunità di conoscere il vero hanare, perché il vero hanare non verrà.

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Desidero esprimere i miei pensieri su kakushin no hirameki.

Quando nobiai è maturo yagoro accade. Dopo tanti anni di pratica l’istante in cui yagoro accade è percepito in modo preciso, acuto e penetrante; in seguito il corpo fa propria questa esperienza. Se il mo-mento dello sgancio non è stato sprecato, sempre la freccia scoccata colpisce e va oltre il bersaglio. Questo è l’istante in cui si capisce se la forza di tsunomi è stata vigorosa o debole, e se la mano destra ha sganciato in modo corretto o imperfetto; si ha modo di comprendere la qualità del proprio nobiai e di riconoscere la pienezza del corpo e dello spirito. Il tutto è insieme e sullo spirito non scorre alcuna nuvola. Esiste il colore bianco e nessuno può porre ostacolo al suo essere sugli occhi. Il cielo. La terra nascosta sotto la neve.

Ampi spazi aperti adagiati sotto la luna. La natura nella sua in-terezza. Il colore bianco fuso nel paesaggio. Altrui presenza non esiste, neppure il proprio sè. Soltanto la tensione di attuare nobiai. Improvvisamente irrompe un lampo: bene, ora. Questo è kakushin no hirameki.

Hirameki, mi chiedo, per desiderio di chiarezza, se questo lampo sia o no un riflesso condizionato. Gli esperti non hanno dato ancora una risposta chiara al quesito.

Uno studioso canadese, Wailder Penfield, afferma che nel cervello è presente una sostanza proteica, l’albumina, che influenza positiva-mente la realizzazione ad alto livello di qualsiasi azione; si pensa che essa presieda alle funzioni compiute dal cervello quando “ordina” l’esecuzione di una attività. Ciò che Penfield non è stato in grado di spiegare è il come, ed il perché, questa proteina entri in funzione; l’effetto che essa provoca è una prestazione di livello superiore; si ipotizza persino che essa sovrintenda tutte le attività superiori del cervello.

Personalmente so come si può volontariamente prolungare o ac-corciare il tempo di nobiai per provocare yagoro, naturalmente en-tro certi limiti. Questa esperienza mi induce a credere che yagoro non sia un riflesso condizionato; comunque, indipendentemente dal tempo impiegato, si può pervenire a yagoro ed effettuare hanare in condizioni favorevoli.

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Ciò che si avverte quotidianamente al momento dello sgancio è la realizzazione di un attimo vissuto come al di fuori della propria co-scienza in assenza totale di pensieri. E’ proprio in merito a questi particolari che desidererei avere una delucidazione scientifica il più presto possibile.

Per concludere intendo spendere qualche parola su ikiai, la respirazi-one. Essa è strettamente legata al tiro e costituisce un elemento di rile-vante importanza. Differisce da persona a persona.

Penso che la tecnica migliore per la respirazione sia l’allenamento.

Se ogni giorno un kyudoka si allena riflettendo sulla relazione fra la respirazione e il movimento prende coscienza della natura del pro-prio respiro, senza introdurre forzature di sorta. Inizialmente è bene non insistere eccessivamente sull’alternarsi corretto di inspirazione-espirazione.

Ogni persona, dopo essersi applicata per un poco di tempo all’allenamento mettendo in pratica la corretta tecnica, può scoprire il proprio modo di respirare. Penso che questa sia la via migliore.

Una precisazione: da nobiai a yagoro e hanare si avanza e si pro-gredisce espirando lievemente. Nell’istante di hanare la respirazione non costituisce più un disturbo e torna alla normalità dopo lo sgancio: questa è la condizione ideale.

FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Yagoro. La differenza fra hanare e yagoro esiste solo come idea nel pensiero; come accadimento i due stati sono avvenimenti contem-poranei perché yagoro si sovrappone all’inizio di hanare. Vedete qui illustrato il corso e il progresso di yagoro - hanare - zanshin.

Nella Heki Ryu Insai Ha si afferma che la forma di Hanare, com-preso Zanshin, è chiamata yonsun hassun no hanare. Ciò sta a sig-nificare che la mano sinistra percorre una misura di quattro sun fino a trovarsi in una posizione anteriore rispetto al piano verticale e in basso relativamente al punto in cui si trovava durante nobiai; dal can-to suo la destra si muove lungo la linea della freccia per una misura

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leggermente superiore a otto sun. Yonsun-hassun costituisce l’ideale bilanciamento tra la forza di tsunomi e la forza del gomito destro; è la realizzazione unica del dispiegarsi delle due forze nella forma.

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ZANSHIN

come ti schiudi

Una volta che la freccia si è separata dall’arco, chi ha speso da yago-ro ad hanare il massimo delle proprie energie ha esperienza di un atti-mo di tempo in cui spirito e forma del corpo si fondono nello sgancio e in tale penetrazione permangono. Questa forma si chiama zanshin. Esaurita a pieno l’attività, lo spirito ritorna a uno stato di normalità. Questo lasso di tempo è zanshin dello spirito.

Quando la freccia è partita zanshin della forma del corpo e zanshin dello spirito coincidono: non cambiate e non rovinate questa sincro-nia; nel momento in cui ha fine zanshin del corpo zanshin dello spirito trova il suo ultimo compimento.

Tra gli scritti di YOSHIDA GENPACHIRO INSAI, in un capitolo dell’insegnamento intitolato isozuke no fune, si legge la descrizione dell’arrivo di una barca condotta da un rematore verso la riva. Al ter-mine di un lungo vogare l’uomo arresta la sua mano e osserva il punto a cui approdano le barche. Lo spirito di chi attracca la barca è l’inse-gnamento che se ne trae; nel kyudo, guardando il punto in cui è an-data la freccia e conservando zanshin del corpo si riesce a mantenere zanshin dello spirito. Si può così gustare molto profondamente questa condizione.

Secondo il corretto insegnamento della tecnica hosha generalmente le braccia assumono una posizione di allineamento orizzontale e lì si fermano; le mani e le spalle sono sulla stessa linea che risulta per-pendicolare al corpo. Da tsumeai a nobiai le parti sinistra e destra del corpo si equilibrano; se poi tsunomi ha lavorato nel modo ideale dal momento di hanare si compie il corretto zanshin. Se al contrario que-sto lavoro non avviene, zanshin risulta difettoso (ichikawa).

Ichikawa Torashiro Hanshi, capo dei samurai della provincia di hi-zen shimabara e valente kyudoka della yamato ryu, era molto famoso per la sua bravura. Il suo zanshin e quello di URAGAMI SAKAE HAN-SHI realizzano la perfezione della forma ideale.

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L’insegnamento della HEKI RYU prevede che le parti destra e sini-stra del corpo lavorino in equilibrio, in modo che nell’istante di zan-shin un profondo kiai divida nettamente il corpo stesso in due porzioni simmetriche, quasi che un taglio deciso le separi lungo l’asse vertica-le. Chiamiamo questa azione risoluta morootoshi.

Nelle altre scuole si insegna zanshin fudo: da kai all’istante finale il movimento delle mani deve essere mantenuto sempre alla stessa altezza. Se si osserva attentamente, in realtà le mani dopo un preciso abbassamento raggiungono di nuovo l’altezza prevista per la posizio-ne di kai. Lo spostamento è causato dal movimento di veloce rotazione dell’arco che avviene perché il punto di appoggio di tenouchi non è fisso, non è tenuto saldamente, e la posizione di kai appare innaturale. I tiratori che praticano zanshin fudo non si troveranno mai nelle con-dizioni di raggiungere il vero yugaeri. L’insistenza con cui è affermata l’esattezza di zanshin fudo rivela in realtà la mancanza di una precisa tecnica, una certa negligenza verso la naturalezza delle posizioni e una trascuratezza verso la teoria della tecnica del tiro.

Ogni kyudoka dovrebbe allenarsi secondo lo spirito kyoshin tankai, ovvero senza idee preconcette, con animo aperto e calmo.

FOTOGRAFIE E DISEGNI

1) Hanare. Al di là della coscienza dei sensi, davanti al tiratore la freccia vola come se scivolasse su rotaie e giunge al bersaglio. Come è scritto nel densho, dopo hanare la linea su cui si trovano le mani è perpendicolare, jyumonji, alla linea verticale che passa per il petto. Questo è il vero zanshin.

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Zanshin

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HAYAKE E YURUMI

i nemici del miglioramento

Fin dal tempo antico tre sono i difetti del tiro considerati come pro-prie e vere malattie: hayake, yurumi e busuki.

Il difetto di busuki non è più presente nella pratica del kyudo attuale perché era strettamente connesso al mondo dei samurai, quando i ti-ratori erano stipendiati per allenarsi nel kyujutsu ed attuavano la loro preparazione anche se l’attività non era loro gradita; busuki significa infatti “non piace” ed attualmente non ha ragione di esistere.

Passo perciò a spiegare hayake; accade che chi tira avverta in sé moltissima decisione durante la tensione dell’arco ma non appena la freccia tocca lo zigomo effettui immediatamente lo sgancio.

Da lungo tempo si dice che chi “si ammala” di tale difetto se non ha costanza e spirito saldo “non guarisce” e può giungere persino ad ab-bandonare la pratica dell’arco. Anche io ho sofferto di questa malattia e ho avuto moltissima difficoltà a guarirla.

Si narra che per correggere hayake un tiratore pose nel luogo del bersaglio un kimono con il mon della famiglia del tonosama, il capo dei samurai che glielo aveva donato. Di fronte a questo kimono il tira-tore si allenò a non sganciare la freccia; purtroppo la freccia si sepa-rò dall’arco. Prese allora una grave decisione: scelse di correre il più grande rischio della propria vita e pose il figlio al posto del bersaglio. Egli si liberò di hayake.

Naturalmente questa è una leggenda; vi apprendiamo comunque che hayake non è inguaribile e che dipende molto dalla natura del nostro spirito.

Mi è accaduto, già in età avanzata, di raggiungere il satori dello spirito del kyudo, ma questa esperienza è avvenuta solo quando ave-vo completamente superato la malattia di hayake. Certamente ciò può dipendere dalle condizioni del mio corpo; al termine dell’apertura dell’arco mi succede di poter prolungare nobiai quanto desidero.

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Naturalmente esiste alla fin fine un rimedio che faccia fronte ad ha-yake; non credo che comunque consista nel pensare di non sganciare, oppure nel persistere a lungo nel nobiai. Meglio è riflettere sulla ra-gione di tale difetto e con sollecitudine sempre più intensa indagarne l’origine, senza timore di non cogliere il bersaglio e di subire i com-menti negativi degli altri tiratori.

Vi sollecito a seguire necessariamente e sempre l’insegnamento di base relativo alla tecnica, e in ogni occasione conservare uno spirito saldo; in tal modo praticate il kyudo. Scoprirete un giorno di essere guariti da questa malattia. Qualcuno può ritenere che non sia possibile differire troppo a lungo il raggiungimento di un risultato, ma è meglio che chi è animato da questo pensiero non provi neppure a tirare con l’arco.

La strada del kyudo è lunga quanto tutta una vita, e l’arco è un buon amico per tutta l’esistenza. Attraverso la pratica un giorno vi si rivele-rà il senso di quanto vi ho detto.

Passiamo ora al difetto successivo, yurumi. Da tempo, e ancor oggi, si crede che yurumi sia il rallentamento della forza del braccio destro e ciò è espresso dalle parole “gomito allentato”.

La HEKI RYU INSAI HA insegna tai no wari komi, ossia l’azione di dividere il corpo. Superato tsumeai, durante nobiai prestate attenzione alla parte superiore del corpo e fate in modo che entri, letteralmente, nello spazio tra l’arco e la corda. Affrontate nobiai con questo spirito: la parte sinistra e la parte destra in equilibrio, da un lato con il lavoro di tsunomi, dall’altro con il lavoro del gomito, e più esattamente di quella parte dell’avambraccio che dal gomito si prolunga per sette-otto centimetri verso il polso.

Se concentrate la forza precisamente in questo punto, e ruotate verso di voi l’avambraccio, allora il gomito si porta all’indietro mentre nel polso si crea la condizione ottimale per sorreggere la freccia.

Spingete e tirate nelle due direzioni come se aiutaste voi stessi ad aprire nel mezzo del vostro petto uno squarcio al momento di hanare; realmente nella forma di zanshin si potrà notare che la parte superiore del corpo si è leggermente inclinata in avanti mentre le braccia si sono aperte un poco all’indietro.

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Ho spiegato tai no wari komi a proposito di yurumi in relazione alle spiegazioni generalmente date per scoprire le ragioni di questo difetto, inteso soltanto come rallentamento del gomito destro.

Io sostengo che questa malattia dipende non tanto dal gomito quanto piuttosto dalla spalla destra.

Lo si è chiarito all’Università di Tsukuba in uno studio relativo alla misurazione esatta di yurumi; si è appurato che quando accade yuru-mi, nell’istante di hanare, la relazione fra la spalla e il gomito rimane invariata.

Non sta quindi nel rallentamento dell’azione del gomito la causa di yurumi, ma in quello della spalla.

Pertanto se si pratica l’insegnamento di tai no wari komi la parte su-periore del corpo e le spalle scattano in avanti permettendo al gomito di procedere all’indietro.

Questa azione coincide con il movimento di apertura dell’arco, con-dotto dal lavoro delle due parti del corpo, la sinistra e la destra.

Quando l’apertura della spalle, è in atto, potete percepire su voi stes-si la pienezza di tai no wari komi. L’apertura delle spalle, eseguita consapevolmente risulta alla fin fine il mezzo ideale per difendersi da yurumi... del gomito!

Vi assicuro che chi pratica tai no wari komi raggiunge un profondo nobiai, senza yurumi, e coglie molti centri.

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G L O S S A R I O

ASHIBUMIAshi “piede”, bumi “pestare calcando, premendo”.

AZUCHIMisto di terra, sabbia e segatura che costituisce il fondo su cui ap-poggia il bersaglio infilato in un’ancia. Generalmente azuchi è alto 2 metri, profondo 70 centimetri e ha una inclinazione di 60/70 gradi. Il centro del bersaglio di 36 centimetri dista da terra 29 centimetri.

BOSHI“cappello”; indica il pollice del guanto della mano destra.

CHU“il centro, il mezzo”

CHUDANChu “parte in mezzo, centro”; dan “grado, gradino” si riferisce al kamae di mezzo.

DAISANDai “grande”, san “tre”; letteralmente “il grande tre”. Nel tiro shomen è la posizione corrispondente a sanbunnoni

DENSHODen voce del verbo tsutaeru “comunicare, riferire”; sho “testo scritto, libro”; è il libro che comunica i segreti della scuola.

DOSHADo è “tempio” sha è “tiro”; “tiro nel tempio”

DOZUKURIDo “tronco, corpo”, zukuri “costruzione, conformazione”.

ENTEKIen “lontano”, teki “bersaglio”

FUDOFu è la particella negativa; do “muoversi”; “non muoversi”.

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FUTAME TSUKAIFuta “due volte”, me “sguardo, occhio”,tsukai “usare”.

GOKUIDal termine goku “assai, estremamente”; gokui è inteso come “tecnica segreta”.

GORINNOSHOTitolo originale del “Libro dei cinque anelli” di Miyamoto Musashi.

GOSHAGo è “cinque” sha è “tiro”; indica i cinque modi perallenarsi al perfezionamento del tiro.

GOSHIIn origine koshi che significa “anca”

HADANUGIL’atto di togliersi la manica del kimono durante la cerimonia; la lunga manica va sfilata dal braccio sinistro e sistemata con cura lungo il fianco perché non impedisca il movimento della corda durante la ten-sione dell’arco e lo sgancio.

HAKAMAGonna-pantalone, abito tradizionale giapponese indossato sopra il ki-mono, usata per camminare o andare a cavallo.

HAKAMA ITAIta “tavola, asse”; è la parte posteriore rigida dell’hakama da uomo.

HANAREVoce del verbo hanasu “dividere, separare con un atto di volontà”; nel-la forma hanare permane il significato di dividere, ma senza volontà.

HANSHIMaestro che possiede la bravura conseguita con l’allenamento, e ha ottenuto meriti nel campo di varie discipline marziali. Nella Federazi-one Giapponese è il titolo più alto di tutti.

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HARIGAOHari da haru “tendere, tirare”; gao da kao “aspetto, faccia” perciò è l’aspetto dell’arco prima di aprirlo, quando la corda non è tesa.

HATARAKIDa hataraku “lavorare, far funzionare”; è il lavoro.

HAZU“cocca”.

HAYAKEHaya “veloce” dal verbo hayau; ke “indizio, tatto, gusto”. Il termine indica la sensazione dello sgancio veloce.

HEKI RYUScuola di hosha per tiro di guerra, fondata da HEKI DANJO MASA-TSUGOU.

HITOE NO MINOYUGAMAEHitoe “sovrapposto”, mino “corpo”; yugamae in cui l’arco è sovrap-posto al corpo.

HIZUMI “deformazione, curvatura”.

HOKOBUSE NO KANEHoko “la punta dell’arco”, buse dal verbo fuseru “capovolgere”, quin-di “regola dell’inclinare la punta dell’arco”.

HOOZUKE Hoo “guancia, parte del viso situata fra l’orecchio e l’occhio, zigomo” zuke dal verbo tsukeru “attaccare, applicare, mettere”.

HOSHAHo “in piedi” oppure “camminare”, sha “il tiro”; letteralmente “il tiro in piedi o spostandosi” cioè il tiro di guerra. Altri tipi di tiro sono kisha, “tiro sul cavallo” detto anche yabusame, e dosha “tiro nel tem-pio”; famoso è il tempio Sanju San Gen Do a Kyoto dove si pratica dosha .

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KAKEIn origine “attrezzatura” guanto. Si usa per indicare il guanto.

KAINella scuola shomen tsumeai, nobiai, yagoro nel loroinsieme formale e tecnico sono chiamati kai .

KAMAE “costruzione, struttura, atteggiamento” ma anche “assumere una po-sizione”.

KANE“regola”.

KANJICarattere simbolico della scrittura giapponese.

KATTETermine usato nell’ambito del kyudo per indicare la mano destra. Nel tempo antico si diceva hikite cioè “mano che tira”.

KATTEBANAREKatte “mano destra”, hanare “sgancio”

KAZUYAKazu “numeri”, ya “freccia”; gran numero di frecce.

KAZUYAMAEKazuya “gran numero di frecce”, mae “tecnica”; tecnica per tirare un gran numero di frecce.

KIMONOTermine che indica in generale l’abito giapponese e ; letteralmente significa “ciò che si indossa”.

KIZAPosizione per tirare molte frecce in battaglia. Il termine si riferisce anche a una posizione in ginocchio della cerimonia.

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KOIGUCHIKoi “capra”, guchi “bocca”; “la bocca della capra” cioè l’apertura del fodero della spada.

KOMATOMAEAllenamento con un bersaglio di diametro di 36 centimetri equiva-lente a 1 shaku e 2 sun.

KOTSU“segreto, espediente”

KYUDOKyu “arco” nella pronuncia cinese del kanji, do “via”,“la via dell’arco”.

KYUDOKAChi pratica nell’ambito del kyudo.

KYU KANKyu è “arco”; kan “tronco”; il termine si riferisce alla parte centrale dell’arco.

INSAISoprannome di YOSHIDA GENPACHIRO SHIGEUCHI altrimenti detto ISSUIKEN INSAI, caposcuola della HEKI RYU INSAI HA, vissuto dal 1561 al 1638.

IKKENLa misura di sei shaku.

IKIAIIki “respirazione”; ai dal verbo au “concentrare fino a rendere unico”.

ISOZUKI NO FUNEInsegnamento di YOSHIDA GENPACHIRO lNSAI relativo a zan-shin: iso “spiaggia”; zuke da tsukeru “avvicinare”; no genitivo; fune “barca”.

JUMONJI“incrocio perpendicolare”

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LANCHULan “uovo”; chu “dentro”

MAEMISUMIMae “davanti”, misumi “triangolo”, triangolo davanti al corpo”.

MAKIWARAMAEAllenamento con makiwara.

MATO“bersaglio”.

MEIJIPeriodo della storia giapponese (1867-1912).

METEMe “cavallo, te “mano”; quindi “la mano che tiene la briglia del cav-allo”, cioè la destra. Termine usato solo nel kyudo.

MITSUGAKEMitsu “tre”, gake sta per kake; “il guanto di tre dita”.

MIZUGANAREMizu “acqua”; nagare “corrente”.

MIYAMOTO MUSASHICelebre maestro dell’arte della spada, uomo d’armi, pittore e poeta vissuto nel Giappone feudale (1584÷1645).

MOOROTOSHIOtoshi da otosu “fare cadere”; moro “ambedue.

MOMIJIGASANEMomiji “foglia di acero” o “foglia arrossata”; gasane è voce del verbo kasaneru “sovrapporre cose le une alle altre”. Le tre dita che costitu-iscono il tenouchi (mignolo, anulare e medio) viste dalla punta diseg-nano la forma di una foglia d’acero.

MONStemma gentilizio.

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MONOMIMono “oggetto”, mi, da miru, “guardare”; guardare l’oggetto.

MOTO HAZULa punta inferiore dell’arco.

MUNAZURUMune “petto, torace”; tsuru “corda”.

NERAIDal verbo nerau “mirare”; la mira.

NIGIRIDa nigiru “impugnare; è l’impugnatura dell’arco.

NOBIAINobi dal verbo nobiru “allungarsi, prolungarsi, estendersi” non solo in senso materiale; ai dal verbo au “concentrarsi fino a divenire unico”.

NOJINAINo “asta della freccia”, jinai dal verbo shinau “curvarsi, piegarsi, es-sere flessibile”.

RYUScuola.

SAMURAIRappresentante della aristocrazia militare, guerriero; suddivisa in daimyo, grandi signori feudali, e samurai in senso stretto che erano vassalli o sottoposti dei primi..

SANBUNNONISan “tre”; bun indica l’operazione di divisione; no particella genitiva; ni “due”; letteralmente “due di tre parti suddivise, due parti di tre”.

SHAHOSha “il tiro”, ho è “modo, regola” quindi “codice del tiro”.

SHAKUAntica misura di lunghezza giapponese corrispondente a cm 30,3.

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SHAJIJTSUSha “il tiro”, jutsu “arte” o “tecnica”; quindi “arte, tecnica del tiro”.

SHICHICHIN BANPO NENGAI NO KOTOShichi “sette”; chin “oggetto raro”; ban “tanti”; po “tesoro”; nen “de-siderio, voglia”; gai “fuori”; koto “faccenda, fatto, circostanza, even-to”.

SHITAOSHIShita “sotto”; oshi dal verbo osu “spingere “; contrario di uwaoshi .

SHOMENLetteralmente significa “parte frontale, la faccia”. E’ il termine riferito alla forma stabilita dalla scuola che fa uchiokoshi davanti al corpo.

SHOWAPeriodo del tenno (imperatore) Hiroito (1926÷1989).

SUMI“abitare” oppure “inchiostro”

SUNUn decimo di uno shaku, 3,3 centimetri.

TACHIPosizione in piedi.

TAI NO WARI KOMITai “corpo”; wari dal verbo waru “dividere, tagliare”; komi indica l’azione di un movimento abbondante smisurato; letteralmente allora significa “dividere il corpo entrando nell’arco con movimento deci-so”.

TAISHOPeriodo storico precedente a showa (1912÷1926).

TEKICHUTeki “bersaglio” oppure secondo un diverso kanji è il “nemico”; chu significa in questo caso “cogliere”.

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TEKIMAETeki la medesima pronuncia indica due kanji, “nemici” oppure “ber-saglio; mae “ciò che sta di fronte”, ma anche “tecnica”; letteralmente “avere i nemici di fronte”.E’ considerato un tipo di allenamento di fronte al bersaglio. Originari-amente era il tiro in gruppo per la guerra.

TENOUCHITe “mano”, no particella per il genitivo, uchi “dentro”; l’interno della mano. Tenouchi significa anche “rivelare l’abilità” oppure “svelare un segreto”.

TOKYO KYOIKU DAIGAKUUniversità di Pedagogia di Tokyo ora Tsukuba Daigaku.

TORIKAKETori “prendere, impugnare”, kake “guanto”;prendere con il guanto.

TORYUScuola della famiglia dello shogun.

TOYAMAEToyo “lontano”, mae “tecnica”; tecnica per tirare lontano.

TSUKEBANARETsuke da tsukeru “attaccare” è lo sgancio che avviene appena si è toc-cato hoozukuke e si è stabilita la mira, senza nobiai .

TSUKUBA DAIGAKUUniversità di Tsukuba.

TSUKUBAIDal verbo tsukubau “sedersi, chinarsi”

TSUMEAITsume dal verbo tsumeru “riempire,colmare”;ai è voce del verbo au “concentrare fino a rendere unico”.

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TSUMERU“riempire, imbottire”

TSUNOMITsuno “angolo” oppure “corna”; mi è “guardare”; “guardare l’angolo della mano, guardare le corna”. E’ qui la tecnica segreta della mano sinistra indicata da parole senza apparente significato.

TSUNOMI NO HATARAKIHataraki “lavoro”; lavoro di tsunomi

TSURUMAKURATsuru “corda”, makura “cuscino, guanciale”; cuscino su cui appoggia la corda.

TSURUMICHITsuru “corda”; michi “via, strada, percorso”, “la via della corda”.

UCHIOKOSHIUchi è la particella rafforzativa; okoshi “cominciare un movimento”.

URAGAMI SAKAESuccessore in linea diretta di INSAI HA, maestro della HEKI RYU INSAI HA; fu insegnante di INAGAKI GENSHIRO.

USHIROLetteralmente “dietro”. Nel kyudo si usa per indicare la parte sinistra del bersaglio.

UWAOSHIUwa “sopra”; oshi dal verbo osu “spingere”; spingere inclinando l’arco da sopra a sotto.

WAKIZASHIWaki “lato, fianco”, la spada che sta a fianco a quella lunga.

WARIHIZAWari “dividere, dimezzare” hiza “ginocchia”; letteralmente “dividere in parti uguali le ginocchia”.

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ZANSHINZan “ciò che rimane”, shin corrisponde a due kanji diversi, l’uno “cor-po”, l’altro “spirito”; letteralmente “ciò che permane dello spirito e della forma del corpo”.

ZUMOCHIZu “testa”, mochi “tenere, portare, aver cura”.

YAGOROYa “freccia”; goro da koro “l’occasione”; l’occasione della freccia, l’occasione dello sgancio.

YAGUCHIYa è “freccia”, guchi “ bocca”; lo scostarsi della freccia dall’arco.

YAGURAYa “freccia”, gura “edificio”, posizione per il tiro effettuato all’interno di una costruzione.

YATSUGAEYa “freccia”, tsugae “appaiare, incoccare”.

YATSUKAYa “freccia”, tsuka “lunghezza misurata anticamente con 4 dita” quin-di lunghezza dell’apertura dell’arco variabile da persona a persona corrispondente a metà altezza del corpo. Si misura dal centro della gola alla punta del dito medio. Si può anche misurare yatsuka che è come yajaku, nella posizione di tsumeai dalla base del pollice destro alla base del pollice sinistro.

YONSUN HASSUN NO HANAREYon “quattro”; sun “misura corrispondente a centimetri 3,03; has da hachi “otto”; letteralmente “l’hanare di 4 e 8 sun”. (relativa all’antico tiro in guerra)

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YOTSUGAKEYotsu “quattro”; “il guanto di quattro dita”.

YUGAERIYu “arco”, gaeri da kaeru “tornare” perciò “l’arco che torna, che gira”.

YUGAKEYu “arco”, gake “apprendere, agganciare, mettere” agganciare la cor-da.

YUGAMAEYu “areo” gamae deriva da kamae “costruzione, atteggiamento, for-ma”.

YUNDEYu “arco”, de “mano”, cioè la mano che tiene l’arco,cioè la sinistra; il termine è usato solo nel kyudo.

YURUMIDal verbo yurumu “rilasciare, rallentare”

YURUMIBANARELo sgancio effettuato in un momento di rallentamento della tensione di nobiai.

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INDICE

Breve storia del Kyudo in Italia pag. 2

Introduzione pag. 3

Ashibumi pag. 4

Dozukuri pag. 11

Yugamae pag. 16

Yatsugae pag. 17

Torikake pag. 20

Tenouchi pag. 27

Tenouchi no hataraki pag. 28

Come si configura tenouchi pag. 33

Significato e costruzione pag. 35

Monomi pag. 42

Conclusione pag. 44

Uchiokoshi pag. 48

Sanbunnoni pag. 51

Tsumeai pag. 54

Come si conferma la mira pag. 55

Nobiai pag. 60

Yagoro e Hanare pag. 62

Zanshin pag. 66

Hayake e Yurumi pag. 69

Glossario pag. 72