Handicap. Definizioni e metodi educativi

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1 Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria Facoltà di Scienze della Formazione Corso aggiuntivo riguardante l’integrazione scolastica per allievi disabili Laboratorio sui disturbi dell’apprendimento, dell’affettività e socialità prof.ssa Manuela SETTIMO a.a. 2010-2011 HANDICAP Studio dell’handicap Connotazione biologica e sociale Funzioni psichiche Interazione tra componenti deficitarie e componenti integre Interdipendenza tra individuo e ambiente Cambiamenti nel lessico Non si parla di handicap, ma di disabilità Al cambiamento terminologico corrisponde una lenta evoluzione negli atteggiamenti La persona ed il suo deficit non sono la stessa cosa DEFINIZIONE (proposta dall’OMS 1981) Menomazione: o perdita o anomalia di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche. Può essere permanente o transitoria Disabilità: o riduzione parziale o totale della capacità di svolgere una attività nei tempi e nei modi considerati “normali” . Può essere permanente o transitoria, reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva. Può essere una conseguenza diretta di una menomazione o una reazione psicologica ad essa. Handicap: o condizione di svantaggio risultante da un danno o da una disabilità che limita o impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto all’età, al sesso, ai fattori sociali e culturali. E’ una condizione soggetta a cambiamenti migliorativi o peggiorativi. Indice

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Handicap e disturbi dell'apprendimento

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Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria

Facoltà di Scienze della Formazione Corso aggiuntivo riguardante l’integrazione scolastica per allievi disabili

Laboratorio sui disturbi dell’apprendimento, dell’affettività e socialità prof.ssa Manuela SETTIMO

a.a. 2010-2011 HANDICAP Studio dell’handicap

• Connotazione biologica e sociale • Funzioni psichiche • Interazione tra componenti deficitarie e componenti integre • Interdipendenza tra individuo e ambiente

Cambiamenti nel lessico

• Non si parla di handicap, ma di disabilità • Al cambiamento terminologico corrisponde una lenta evoluzione negli atteggiamenti • La persona ed il suo deficit non sono la stessa cosa

DEFINIZIONE (proposta dall’OMS 1981)

• Menomazione: o perdita o anomalia di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche. Può

essere permanente o transitoria • Disabilità:

o riduzione parziale o totale della capacità di svolgere una attività nei tempi e nei modi considerati “normali” . Può essere permanente o transitoria, reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva. Può essere una conseguenza diretta di una menomazione o una reazione psicologica ad essa.

• Handicap: o condizione di svantaggio risultante da un danno o da una disabilità che limita o

impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto all’età, al sesso, ai fattori sociali e culturali. E’ una condizione soggetta a cambiamenti migliorativi o peggiorativi.

Indice

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• handicap mentale • handicap uditivo • handicap motorio • handicap visivo • deficit del controllo del comportamento • autismo • sindrome di down • disturbi dell’apprendimento

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HANDICAP MENTALE DEFINIZIONI Il Ritardo mentale può essere considerato come l’esito di una o più condizioni di alterazione dello sviluppo cognitivo e adattivo che coinvolgono la persona nella sua globalità. Il DSM-IV ha sostituito con il termine ritardo mentale i precedenti lemmi, in uso per indicare questa malattia, ossia quelli di oligofrenia, frenastenia, ipofrenia, insufficienza mentale ed imbecillità e limita l’esordio del ritardo mentale entro i 18 anni.

DSM-IV Sempre secondo tale manuale, le principali aree nelle quali si possono notare gli effetti della compromissione del livello intellettivo sono le seguenti:

• Comunicazione • Cura della persona • Vita in famiglia • Attività sociali • Capacità di usare le risorse della comunità • Autodeterminazione • Scuola • Lavoro • Tempo libero • Salute • Sicurezza

LIVELLI DI COMPROMISSIONE:

• RM Lieve QI: 50/70. Comprende l’80% delle persone. E’ difficile la individuazione di queste persone durante la scolarizzazione. Da adulti manifestano abilità sociali e lavorative sufficienti per l’autonomia personale.

• RM Moderato QI: 35/49. Comprende il 12% delle persone. Nella scolarizzazione raggiungono sufficienti elementi comunicativi (liv. scol.di II elementare). Se istruiti, da adulti raggiungono soddisfacenti risultati nel lavoro e nelle relazioni sociali.

• RM Grave QI: 20/34. Comprende l’7% delle persone. Difficoltà già evidenti nell’età prescolare:scarsissime capacità verbali; eloquio ridotto al minimo; alterazioni gravi dello sviluppo motorio. Nell’età scolare: scarsa autonomia nelle pratiche igieniche: Da adulti: non miglioramenti nella formazione professionale.

• RM Gravissimo QI: <20 Comprende il 1% delle persone. Capacità minime a livello senso-motorio. Richiedono assistenza continua e servizi strutturati in modo particolare.

• RM Non Specificato. Soggetti non valutabili.

AAMD (American Association of Mental Deficiency) L’A.A.M.D. definisce handicap mentale od oligofrenia, “un funzionamento intellettivo

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significativamente al di sotto della media, che è causa o che è associato ad una compromissione del comportamento adattivo e che si manifesta durante il periodo dello sviluppo”. Con il termine comportamento adattivo o maturità sociale si indica la capacità del soggetto di adeguarsi ai ruoli socialmente condivisi propri della sua fascia di età e dell’ambiente socio-culturale cui egli appartiene.

Cause Solitamente sono distinguibili in:

• Cause prenatali: anomalie genetiche, malformazioni cerebrali, disordini metabolici. • Cause perinatali: insufficienza placentare, prematurità, complicanze in itinere nella gravidanza

o nel parto. • Cause postnatali: traumi, infezioni o disordini neurodegenerativi

ASPETTI PSICOLOGICI DEL RM PERCEZIONE:

• LENTEZZA • IMPRECISIONE • SINCRETISMO: incapacità a collegare ed integrare diversi dati percettivi in unità strutturate.

ATTENZIONE: limitata CONCENTRAZIONE: limitata MEMORIZZAZIONE: limitata (per incapacità ad usare la reiterazione). ABILITA’ COMUNICATIVO-LINGUISTICHE:

• POVERTA’ LESSICALE • SEMPLICITA’ e/o SCORRETTEZZA nella struttura sintattica • DIFFICOLTA’ A LIVELLO PRAGMATICO • DIFFICOLTA’ FONOLOGICHE.

Lo sviluppo: cognitivo e linguistico la concretezza che si esprime a diversi livelli; in un senso generale tale caratteristica significa

incapacità a raggiungere il pensiero astratto e quindi in termini piagetiani, impossibilità a superare lo stadio delle operazioni concreti e, in molti casi, permanenza, per la maggior parte delle attività mentali ad uno stadio preoperatorio.

La rigidità che sembra essere l’elemento che ostacola l’estensione di una conoscenza a situazioni diverse da quella di acquisizione. A causa di tale rigidità il bambino insufficiente mentale non sarebbe in grado di, per esempio, mediare fra due obiettivi diversi e tenderebbe a perseguirne uno solo con atteggiamento di pedanteria e di ostinazione.

La capacità di pianificare e di prevedere. Le capacità attentive e di concentrazione La memoria. Le difficoltà maggiori sembrano riguardare la minore capacità di organizzare il

materiale da ricordare sia al momento dell’immagazzinamento sia in quello del recupero. Le abilità comunicativo-linguistiche rivestono particolare importanza poiché vengono acquisite di

norma nel periodo prescolare, mentre nei casi di ritardo mentale grave l’apprendimento risulta incerto e tardivo.

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Lo sviluppo: sociale e della personalità È indiscutibile che i problemi psicologici e di personalità riguardino i soggetti con handicap mentale in misura maggiore rispetto alla popolazione senza handicap intellettivi. Elementi tipici sono:

• ansia • paura dell’insuccesso • tendenza al ritiro • comportamenti compulsivi (in ragazzi più grandi) • impulsività • iperattività • bassa tolleranza alle frustrazioni (nei più piccoli) • passività • eccessiva dipendenza dall’ambiente

CARATTERISTICHE DI PERSONALITA’ E SOCIALITA’ Il vissuto di frequenti insuccessi può determinare uno stato di ANSIA che può manifestarsi :

• nel bambino come: o IMPULSIVITA’- IPERATTIVITA’ – BASSA TOLLERANZA ALLE

FRUSTRAZIONI; • nel ragazzo e nell’adulto come:

o PAURA DELL’INSUCCESSO – TENDENZA AL RITIRO – COMPORTAMENTI COMPULSIVI

Esiste una stretta correlazione tra COMPETENZA SOCIALE (COOPERATIVITA’, EMPATIA, ASSERTIVITA’, CONTROLLO) E COMPETENZA COGNITIVA (FUNZIONAMENTO SCOLASTICO): quanto più il ragazzo con RM è socialmente competente, tanto più è valido il suo funzionamento scolastico.

Interventi L’intervento va rivolto tanto alle dimensioni strettamente cognitive quanto allo sviluppo globale della personalità ed in particolare alla socializzazione. Occorre partire da una valutazione centrata non solo sui deficit, ma anche sulle potenzialità di superamento nonché considerare ciascun individuo non come parte di una categoria, ma come portatore di una individualità propria. Approccio comportamentale La behavior modification è un approccio terapeutico ampiamente applicato nell’educazione, nel training e nella gestione comportamentale dei bambini con ritardo. Tale approccio si fonda su alcuni assunti di base:

• gli interventi si fondano sistematicamente su dati empirici che riguardano sia l’analisi del compito sia la valutazione di potenzialità e deficit del soggetto;

• gli interventi sono rivolti al comportamento osservabile del soggetto ed alle condizioni ambientali che contribuiscono a mantenerlo e a modificarlo.

Esistono una serie di tecniche e metodologie direttamente finalizzate a favorire l’acquisizione di competenze e di comportamenti adattivi:

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• shaping è un metodo attraverso cui, per approssimazioni successive, vengono rinforzati comportamenti sempre più simili a quello desiderato;

• chaining consiste nel partire da una dettagliata analisi dei passi necessari all’esecuzione del compito e nel proporre gradualmente ogni singola operazione per giungere infine all’attuazione del comportamento complesso;

• prompting consiste nel fornire l’aiuto necessario al completamento di una determinata attività.

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HANDICAP UDITIVO DEFINIZIONI Il deficit uditivo è molto raramente totale e dalla quantità e qualità dei residui uditivi conseguono quadri deficitari estremamente differenziati. Molti ricercatori preferiscono parlare di audiolesi o di ipoacusici, cioè di persone che pur compromesse talvolta gravemente nell’accesso al mondo dei suoni, conservano tuttavia anche in quell’ambito potenzialità e risorse. Fattori che determinano la variabilità:

• causa della sordità (ereditaria o acquisita) • qualità e grado della perdita uditiva • eventuale presenza di altri danni associati • appartenenza a famiglia di sordi o di udenti • estensione dell’esperienza personale • linguistica • qualità e tipo di educazione • precoce individuazione del deficit • tempestività dell’intervento protesico e riabilitativo • impatto del deficit sulla famiglia • rete sociale allargata

Tipi di sordità Una prima fondamentale suddivisione dei tipi di sordità riguarda la localizzazione del danno che comporta la conseguente perdita uditiva; distinguiamo: Sordità trasmissiva (3-4% dei bambini), dovuta a una patologia dell'orecchio esterno e/o medio: chi ne è affetto perde la percezione dei suoni gravi, sente i suoni affievoliti e ha la sensazione di avere le orecchie otturate. Si tratta di sordità lievi. Sordità percettiva (0.05% dei bambini) neurosensoriale se è causata da una patologia dell'orecchio interno e delle connessioni nervose ad esso prossime o centrale se l’autonomia riguarda i centri uditivi del cervello e le connessioni distali del nervo acustico. In questi casi la persona ha difficoltà a riconoscere i suoni, sopratutto quelli acuti, essenziali nella comprensione del parlato. La perdita uditiva può essere da lieve a gravissima. Sordità mista quando sono presenti contemporaneamente le forme di sordità trasmissiva e percettiva. Percentuali di Schindler, 1987 Attraverso quali esami si può discriminare la sordità di trasmissione dalla sordità di percezione?

• Impedenziometria, fornisce una serie di misure oggettive sul funzionamento dell’orecchio medio • Metodi elettrofiosiologici, registrano i potenziali uditivi suscitati da stimoli sonori lungo le vie

uditive • Audiometria soggettiva, effettuata in diverse modalità in base all’età e al grado di collaborazione

del soggetto. Comprende l’audiometria tonale e vocale e si basa sulle risposte date dal paziente che quindi partecipa attivamente all’esame

Una importante classificazione dei tipi di sordità è incentrata sul fattore gravità della perdita uditiva. Tale gravità può essere definita in base alla quantità e alla qualità del deficit; parametri

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di riferimento sono rispettivamente l’intensità e l’altezza dei suoni percepiti. L’intensità si misura in decibel (dB) e corrisponde alla sensazione soggettiva di sentire un suono più o meno forte; l’altezza si misura in hertz (Hz) e consente di distinguere suoni acuti e gravi. L’orecchio umano non patologico percepisce frequenze comprese all’incirca fra 20 e 20.000 Hz. L’entità del deficit uditivo viene calcolata facendo la media delle intensità soglia ottenute per le frequenze 500, 1000 e 2000 Hz (frequenze fondamentali per il linguaggio) in tal modo si può distinguere ipoacusia:

• leggera (perdita fra 20 e 40 dB) • media (perdita fra 40 e 70 dB) • grave (perdita fra 70 e 90 dB) • profonda (perdita oltre i 90 dB)

Classificazione in base alle cause della sordità (ereditaria o acquisita) ed all’epoca di insorgenza del deficit (prenatale, perinatale, postnatale)

Ereditarie Acquisite

Dominanti Recessive Prenatali Perinatali Postnatali La sordità interessa molti individui in ogni generazione. Si può manifestare in periodi successivi alla nascita. Tale forma è responsabile di sordità meno gravi.

La sordità interessa uno scarso numero di individui distribuiti in varie generazioni. Si manifesta alla nascita. Tale forma è responsabile di sordità meno gravi.

Cause virali (es. rosolia) Cause microbiche (es. sifilide) Cause parassitarie (es. toxoplasmosi) Cause tossiche (es. streptomicina, alcool)

Traumatismo ostetrico Prematurità Anossia Grave emolisi e secondario ittero neonatale

Traumatismi Malattie infettive (es. meningite, encefalite) Intossicazioni

Lo sviluppo dei bambini sordi In questo, come e forse più che in altri tipi di handicap, il peso delle risorse o viceversa delle barriere psicologiche, fisiche, sociali ed educative è determinante nello stimolare o nell’offuscare le potenzialità dei singoli individui. È importante per un operatore conoscere quali possono essere aspetti critici nello sviluppo, che come tali meritano particolari attenzioni, ma è altrettanto importante non impostare il proprio lavoro con limitazioni pregiudiziali, che spesso ostacolano anziché favorire lo sviluppo delle potenzialità. Sviluppo affettivo e sociale Marschark (1990, 1993) evidenzia che le ricerche sulla capacità dei neonati di reagire selettivamente alla voce materna fin dai primi giorni di vita mostrano come tale competenza, assente nei bambini sordi, possa essere un fattore importante nello stabilirsi del legame di attaccamento. I bambini sordi possono sfruttare tuttavia altre fonti d’informazione (come l’odore) per identificare le figure familiari. Un ulteriore ostacolo allo stabilirsi di un legame sicuro sarebbe costituito dalla percezione del bambino di una scarsa responsività materna, dovuta in un primo tempo alla caduta di una serie di stimoli

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esclusivamente vocali, successivamente all’ansia dei genitori per la mancata reattività del figlio e per la conseguente assenza di reciprocità. Il bambino anche molto piccolo svolge un ruolo attivo negli scambi con il genitore: la scarsa reattività del bambino sordo sarebbe quindi frustrante per i genitori udenti che, non immaginando la causa di tale atteggiamento, possono sentirsi rifiutati dal figlio. La successiva scoperta della sordità talvolta sembra aggravare tale situazione aggiungendo ai sentimenti citati, lo stress del dove affrontare una situazione difficile. Sembra che la dimensione principale nel garantire un buon avvio allo sviluppo affettivo e sociale sia proprio la capacità degli adulti di non scoraggiarsi per la mancata produzione di suoni e di mantenere un contesto interattivo stimolante e una comunicazione ricca, sia essa prevalentemente orale o gestuale. Gli studi sulle tappe successive di sviluppo hanno messo in luce altre caratteristiche del comportamento degli adulti che possono danneggiare la conquista dell’indipendenza e del senso di sicurezza. Fra queste, la tendenza soprattutto materna a una maggiore intrusività e direttività. Alcune ricerche hanno tuttavia sottolineato il ruolo anche positivo dei comportamenti direttivi, nel facilitare ad esempio il coinvolgimento dei bambini audiolesi nello scambio conversazionale. I rischi maggiori in questa direzione sembrano quindi derivare da una eccessiva generalizzazione nell’uso di tali comportamenti: se un maggior controllo si rende necessario anche solo per garantire l’incolumità di un bambino con accesso molto ridotto al mondo dei suoni, esso può tuttavia sfociare in iperprotezione, rendendo più difficoltosa l’acquisizione di abilità perfettamente alla portata del bambino. Sviluppo cognitivo e della memoria Gli studi di Furth (1966) hanno evidenziato un ritardo di sviluppo dei soggetti con problemi di udito di due-quattro anni rispetto ai coetanei udenti. L’autore attribuisce tale ritardo alla povertà di esperienze e solo indirettamente al carente sviluppo linguistico. Nell’ambito dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento rivestono un notevole interesse gli studi sulla memoria: essi sono stati condotti utilizzando compiti di memoria e breve e a lungo termine. Marschark (1989) evidenzia come i risultati delle ricerche siano talvolta discordanti sia nel valutare l’efficacia delle competenze mnemoniche rispetto agli udenti sia nell’attribuire ai sordi una preferenza per codici visivo-spaziali versus codici verbali-sequenziali. Una conclusione che sembra possibile trarre è che i bambini sordi usino codici diversi in base al tipo di abilità linguistica posseduta: “questo significa che per bambini che fanno uso di linguistiche dei segni, un codice visivo o cinestesico di una parola può aiutare la memoria allo stesso modo che un codice verbale o fonologico può aiutare bambini con udito e bambini sordi che fanno uso del linguaggio orale”. Inoltre sembra importante condurre con bambini sordi un lavoro sistematico sull’uso appropriato di strategie mnemoniche (quali ad esempio la ripetizione) che essi sono in grado di utilizzare come gli udenti, ma che spesso non mettono in pratica spontaneamente. Sviluppo linguistico L’acquisizione del linguaggio costituisce l’ostacolo principale per un soggetto audioleso: un bambino con sordità perlinguale grave o profonda, infatti, smette intorno ai sei mesi di produrre suoni e, senza un intervento sistematico, non è in grado di apprendere il linguaggio verbale. Occorre naturalmente partire da una distinzione fra apprendimento della lingua dei segni e apprendimento della lingua parlata. Sicuramente un bambino sordo che nasca in una famiglia dove almeno uno dei genitori è segnante (cioè utilizza fluentemente la lingua dei segni per comunicare) apprende questa lingua con tempi simili a quelli che un bambino udente impiega ad imparare la lingua parlata. Per tutti i figli sordi di genitori udenti non potrà mai avvenire un apprendimento naturale di questo tipo:

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il loro ambiente di vita non è infatti una comunità segnante e un genitore che desideri apprendere la lingua dei segni avrà bisogno di parecchio tempo senza contare che difficilmente riuscirà a padroneggiare in pieno quella che per lui è una seconda lingua, espressa per di più attraverso un canale con cui ha poca dimestichezza. Alcuni autori ipotizzano che due fattori siano importanti per il successo dell’apprendimento del linguaggio verbale: una predisposizione individuale per la comunicazione e per il linguaggio, che renderebbe alcuni individui più disponibili all’interazione e una parallela disponibilità alla comunicazione nell’ambiente e in particolare da parte delle madri.

I metodi riabilitativi Il dibattito sui metodi educativi e riabilitativi rivolti a soggetti con deficit uditivo si è storicamente centrato sulla lotta fra oralismo e gestualismo, con il sopravvento, in epoche e/o paesi diversi, dell’una o dell’altra tendenza. Metodo bimodale L’educazione bimodale si pone come obiettivo il raggiungimento di una buona competenza linguistica orale da parte del bambino sordo, utilizzando un supporto segnico nell’insegnamento della lingua vocale. La lingua dei segni viene dunque utilizzata come supporto alla lingua parlata: per questo motivo non può essere utilizzata la lingua dei segni vera e propria, poiché essa ha una morfologia e una sintassi completamente diverse dalle lingue vocali. Viene generalmente utilizzato un adattamento di tale lingua (Ise= Italiano segnato esatto). Educazione bilingue I sostenitori di un’educazione bilingue propongono che i bambini sordi vengano esposti a due lingue: la lingua dei segni e la lingua vocale parlata dai genitori. Le due lingue non vengono utilizzate contemporaneamente, ma come in altri casi di bilinguismo, separatamente in modo che il bambino possa operare l’associazione una lingua/un interlocutore. Nel caso di un bambino sordo è difficile che la lingua parlata venga appresa con gli stessi tempi della lingua dei segni anche quando venga data la stessa importanza ad entrambi i codici. Metodo orale classico Tale metodo si pone come obiettivo di fornire al bambino anche sordo profondo una competenza linguistica il più possibile vicina a quella degli udenti. Presupposti principale perché ciò possa avvenire sono considerati una diagnosi molto precoce (primi mesi di vita), una tempestiva protesizzazione, un tempestivo intervento riabilitativo, un’assidua partecipazione della madre al programma riabilitativo. L’insegnamento del linguaggio programmato a partire dai primi mesi si basa principalmente su:

• allenamento acustico • labiolettura • tatto lettura • esercizi di respirazione e soffio • impostazione dell’articolazione • associazione della parola • uso precoce della lettura, a partire dal secondo anno di età

Metodo verbo-tonale Si basa su alcuni principi e in particolare sul fatto che il residuo uditivo possa essere utilizzato nella

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riabilitazione sia attraverso speciali apparecchi (Suvag) che con l’uso di apposite cuffie consentono ai soggetti di accedere ad un’amplificazione selettiva delle frequenze residue sia grazie alle protesi acustiche. Tutto il corpo viene considerato uno strumento appropriato per ricevere e trasmettere messaggi in quanto sensibile alla componente vibratoria del suono. Caratteristica essenziale di questa metodologia è il fatto di essere multidisciplinare. Alla sua realizzazione concorrono infatti:

• attività corporee ritmiche • stimolazioni musicali • attività di drammatizzazione • stimolazioni grafo-motorie • psicomotricità • sussidi visivi

Metodo creativo, stimolativo, riabilitativo di Zora Drežančić Presenta un programma organico a partire dai primi mesi fino all’adolescenza; è finalizzato ad insegnare anche ai bambini sordi profondi un linguaggio verbale orale e scritto intellegibile, corretto e adeguato alle richieste comunicative dei diversi ambienti; agisce nel rispetto delle normali tappe di sviluppo, tenendo conto delle potenzialità dei soggetti audiolesi.

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HANDICAP MOTORIO DEFINIZIONI I disturbi motori relativi all’assetto posturale e al controllo dei movimenti sono classificabili dal punto di vista eziologico come problemi di origine organica anche se è possibile un’eziologia di tipo psicologico (evitamento del contatto oculare, iperattività e agitazione motoria). È possibile classificare il disturbo della funzione motoria riconducibile ad un preciso substrato organico in base alla localizzazione del danno:

• danno periferico, ossia disturbi dell’apparato esecutore, che riguardano una degenerazione progressiva delle fibre muscolari e nervose fino ad una totale compromissione dell’attività motoria. Risultano avere origine genetica, non esistono trattamenti farmacologici efficaci, non si conosce l’esatta patogenesi e l’unico intervento utile è per ora la fisioterapia.

• danno centrale aspecifico, che non si caratterizza solo per difficoltà motorie, ma contempla anche deficit cognitivi, come un grave ritardo mentale.

• danno centrale specifico, ossia disturbi della funzione motoria in seguito a danno del sistema nervoso centrale (paralisi cerebrale infantile e spina bifida).

La paralisi cerebrale infantile È un danno centrale specifico che interessa le strutture deputate alla funzionalità motoria; si tratta di un disordine del movimento e della postura dovuto a difetto o lesione del cervello. La lesione avviene precocemente (prenatale, perinatale o postnatale entro il 2° o 3° anno di vita) e rimane stabile nel tempo, anche se i sintomi possono variare nel tempo. La spina bifida Un altro disturbo derivante da danno centrale è la spina bifida. Deriva da un’errata fusione della parte che formerà la colonna vertebrale; si crea una fenditura ossea dalla quale protrudono le meningi, quasi sempre nella zona lombo-sacrale. Spesso si accompagna ad idrocefalo e a disfunzioni di vescica e sfinteri.

Sviluppo psicologico La motricità rappresenta il mezzo attraverso il quale il bambino conosce il mondo circostante e costruisce la propria esperienza soggettiva. È quindi attraverso il comportamento motorio che il bambino raggiunge le tappe dello sviluppo psicologico (separazione) che gli consentono l’organizzazione di una propria identità. Sono frequenti le situazioni in cui il bambino con paralisi cerebrale manifesta un’eccessiva dipendenza, un’intolleranza verso qualsiasi tipo di separazione dalla madre, con la quale stabilisce un rapporto di fusione-confusione in cui egli perde la coscienza dei propri limiti, determinata dal vivere attraverso il corpo e la mente di un altro, un’illusione di realtà. Solo in corrispondenza del pieno sviluppo del linguaggio e della maturazione della percezione comincia a manifestarsi la coscienza dell’handicap. Il raggiungimento di tale consapevolezza è talvolta seguito dall’insorgere di stati depressivi, collegati in adolescenza alla percezione della propria immagine corporea in rapporto con quella dei propri pari, dal cui confronto emerge il vissuto dell’imperfezione fisica aggravato dalla condizione di irreversibilità e permanenza.

Gli aspetti relazionali I genitori

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Il rischio è che i genitori non colgano il bambino nella sua complessità e si sintonizzino solo sulla parte malata, sui bisogni speciali, a svantaggio dei reali bisogni del bambino. Inizialmente c’è un trauma dovuto alla discrepanza tra bambino ideale e reale ed è quindi utile un intervento sulle aspettative genitoriali per consentire il passaggio da una relazione puramente assistenziale ad una relazione parentale propriamente detta. I pari In questo tipo di handicap, più che in altri, nelle interazioni sociali riveste un ruolo importante l’apparenza fisica. I bambini con handicap motori sono percepiti come meno attraenti dei loro pari e questo potrebbe spiegare un’eventuale riduzione delle interazioni a essi rivolte. Nelle relazioni il possesso di abilità comunicative che consentono la produzione di risposte sociali adeguate è cruciale per il mantenimento delle stesse. Sembra che i bambini disabili abbiano conoscenze limitate sulle strategie necessarie all’instaurarsi e al mantenimento di un’interazione amicale.

Gli interventi E’ utile l’intervento congiunto genitori e bambini e più che la riabilitazione è importante l’integrazione a fronte del rischio di emarginazione del bambino, con particolare riferimento alla scuola, al lavoro, alle barriere architettoniche. L’uso del computer nel caso di disabilità motoria può assumere la funzione di protesi, può essere utilizzato con connotazioni ludiche per avere informazioni sulle proprie prestazioni; rimane comunque uno strumento rigido, che richiede conoscenze supplementari e che nel caso di difficoltà relazionali può condurre all’isolamento.

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HANDICAP VISIVO Cecità e ipovisione Il principale parametro per valutare la capacità visiva è l’acuità visiva, o visus, definibile come la capacità di distinguere ad una distanza determinata forme o di discriminare due punti vicini. In Italia si esprime in decimi (capacità di leggere gli ottotipi, o simboli, di dimensioni decrescenti su un tabellone ad una distanza di 5 metri): un visus di 10/10 corrisponde alla visione normale. Per i bambini fra i due ed i cinque anni invece vengono utilizzati ottotipi con disegni. Per definire lo sviluppo visivo nella prima infanzia , o comunque in bambini non ancora collaborativi si utilizzano tecniche comportamentali o elettrofisiologiche: una di questa è il preferential looking che si basa sulla preferenza innata del bambino nei confronti di stimoli strutturati rispetto a stimoli omogenei, un’altra consiste nella analisi dei potenziali visivi evocati. Un ulteriore parametro di valutazione della funzionalità visiva è il campo visivo che corrisponde alla scienza visibile quando lo sguardo è fisso su un punto dello spazio. L’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità prevede cinque categorie di disabilità visiva, tenendo conto sia del visus sia del campo visivo.

È interessante distinguere tra cecità reale e cecità funzionale: “È oggettivamente cieco colui che non dispone di nessuna percezione visiva derivante da stimoli luminosi provenienti dall’ambiente esterno; è funzionalmente cieco colui che pur disponendo di percezioni visive, non può, per altre cause, organizzare l’input sensoriale in percezioni operativamente utili rispetto alla necessità di sviluppare strategie adattive almeno in un settore della vita quotidiana”. L’ipovisione può essere congenita oppure acquisita. I principali fattori causali delle compromissioni visive in età infantile sono:

• patologia congenita (27-50%): trasmissione genica di alterazioni organiche e fattori prenatali extragenici (infezioni, agenti fisici, intossicazioni, rosolia…)

• cause perinatali: anossia, prematurità e relativi trattamenti, diabete materno • cause post-natali: infezioni virali, fattori immunitari, degenerativi e traumatici (meningiti ed

encefaliti), tumori, diabete.

Lo sviluppo nel bambino non vedente Nella descrizione e nella valutazione dello sviluppo dei bambini non vedenti sembra importante

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distinguere fra aree di sviluppo direttamente colpite dalla cecità (blind specific) che includono e presuppongono le capacità di coordinazione visuo-motoria (non completamente compensabile) e le aree di sviluppo indirettamente colpite dalla cecità (blind non specific) completamente compensabili (sviluppo del controllo posturale, sviluppo sociale ed emotivo, sviluppo linguistico). Sviluppo motorio La motricità consente al bambino l’esplorazione e la conoscenza della realtà, favorendo conseguentemente sullo sviluppo cognitivo, percettivo e sociale. Nei bambini non vedenti la deprivazione sensoriale incide sulla motricità e sulle conoscenze spaziali che conseguentemente si realizzano più lentamente e con maggiore difficoltà. Troster e Brambing (1993) ritengono che la cecità congenita agisca sullo sviluppo motorio sia direttamente sia indirettamente. Gli effetti diretti riguardano il ruolo che il feedback visivo gioca nel coordinare i movimenti verso uno scopo preciso e nel controllare la postura. Gli effetti indiretti riguardano:

• una minore elicitazione dell’attività motoria in mancanza di stimoli visivi • minori stimolazioni sociali iniziali • maggiore insicurezza nel comportamento esploratorio • ritardo nella costruzione del reale

Sviluppo cognitivo È di fondamentale rilevanza il fatto che la cecità sia congenita od acquisita. La mancanza della visione nei primi mesi di vita produce infatti danni irreversibili. Al contrario chi ha avuto esperienza di visione per almeno uno o due anni al di sotto dei tre anni di età può recuperare la visione anche molto tempo dopo. È noto che le prime attività cognitive sono strettamente collegate all’attività motoria. Piaget nello sviluppo dell’intelligenza distingue un primo livello, intelligenza senso motoria, non ancora propriamente intelligenza o intelligenza rappresentativa. È immediata conseguenza che la mancanza della principale afferenza (stimolo visivo) che stimola e favorisce l’esplorazione e quindi la conoscenza degli oggetti e dello spazio, comporti un ritardo non solo sulla motricità, ma anche sulle attività che nella primissima infanzia sono collegate ad essa. Nel bambino cieco l’afferramento dell’oggetto sonoro è più tardo di quello dell’oggetto visivo per il bambino vedente. Compaiono i blindismes, tic e condotte stereotipiche di auto stimolazione (pugni schiacciati sugli occhi, dondolamento della testa e del tronco, ecolalie) cioè una produzione di stimoli suppletivi a quelli che non gli provengono dall’esterno. Per quanto attiene lo sviluppo del ragionamento logico, i ciechi dalla nascita mostrano un ritardo principalmente nelle operazioni infralogiche (conservazione di sostanza e peso) e, più lieve, in quelle logico-matematiche implicanti percezione e manipolazione di oggetti concreti (seriazione di bastoncini, classificazione di forme geometriche secondo uno o più criteri). Gli effetti negativi della cecità sullo sviluppo cognitivo nell’infanzia sembrano essere specificamente collegati ad un certo contenuto di conoscenza o ad un certo compito piuttosto che ad un deficit globale relativo a determinate classi di competenze. I ciechi si servono di quadri di riferimento diversi per elaborare i dati spaziali e generalmente privilegiano, più dei vedenti, il linguaggio e l’elaborazione semantica astratta dei dati. Sviluppo affettivo e sociale Le madri dei lattanti ciechi o affetti da ambliopia sono descritte come paralizzate dal trauma della scoperta della cecità. Capiscono rapidamente che il loro bambino è diverso. Sovrainvestono allora la

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parola, come se il bambino sentisse tutto e parlano un linguaggio iperconcreto e fattuale. Perdono il piacere legato all’uso degli altri canali di comunicazione: dondolii, contatto cutaneo, vocalizzazioni… Anche il bambino cieco alla nascita è in grado di sorridere ed emettere vocalizzi, ma non può stabilire un contatto oculare, cosa che può scoraggiare i genitori. Un lieve ritardo può avvenire nel discriminare i familiari dagli estranei, come anche può risultare ritardato il processo di separazione-individuazione, dal momento che il bambino si allontana poco, i genitori possono divenire iperprotettivi, e il bambino può tardare a considerare la madre come un’entità separata. Hollins (1989) segnala fra i fattori negativi per lo sviluppo sociale ed affettivo la “distanza emotiva” tra genitore e bambino, determinata dalla discrepanza esistente tra le aspettative genitoriali e l’ideale di bambino posseduto dai genitori ed il bambino reale con handicap sensoriale. Le emozioni di base vengono riconosciute dal bambino, quelle più complesse lo saranno attraverso l’apprendimento sociale. Sviluppo linguistico Alcune abilità visive sono precursori di quelle linguistiche: il contatto oculare nel regolare gli scambi precoci fra madre e bambino, la condivisione visiva dell’attenzione su un oggetto e l’uso di gesti comunicativi. Le vocalizzazioni inizialmente simili ai vedenti col tempo sembrano diminuire, ed è importante incoraggiarle. È forse possibile ipotizzare che i bambini non vedenti siano a rischio di ritardo nell’acquisizione dei primi vocaboli sia per i limiti evidenziati nella comunicazione non verbale sia per la limitata esperienza del mondo esterno che rallenta il processo di conoscenza degli oggetti e delle persone. Alcuni input degli adulti possono non essere favorevoli allo sviluppo linguistico come:

• troppe proposte interattive, che sono peraltro solo verbali, senza azione, • troppe richieste di informazione, o di verifica delle conoscenze, • troppi riferimenti ad oggetti interessanti a discapito degli oggetti presenti.

In età successive si denota iperverbalismo per cui il bambino ripeterebbe molti termini o strutture frasali che sente dall’adulto (senza accedere ai significati o a riferimenti visivi). Vi è notevole somiglianza tra ciechi e vedenti nell’idea di “mostrare”, “dare”, “toccare dietro di sé”, “guardare dietro di sé”.

Interventi riabilitativi ed educativi Gli interventi educativi e riabilitativi rivolti ai non vedenti si pongono come obiettivo principale l’acquisizione di un soddisfacente livello di autonomia che possa consentire loro un allargamento del proprio spazio di movimento mediante la graduale conoscenza di nuovi percorsi legati alle necessità di vita. Strumenti di orientamento e mobilità Coppa (1991) sostiene che orientamento e mobilità sono acquisite dal soggetto cieco mediante attività grosso-motorie, quali il gioco. È necessario che il bambino non vedente sia in possesso di alcuni prerequisiti:

• conoscenza del proprio corpo • lateralizzazione • comprensione dei concetti topologici • padronanza delle abilità uditive, tattili e olfattive • controllo posturale

I più comuni ausili per la mobilità sono l’accompagnatore vedente, il cane guida e il bastone lungo. Al fine di favorire l’autonomia di movimento fin dalla prima infanzia sono anche disponibili una serie di

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dispositivi che contribuiscono alla mobilità del bambino come finti carrelli per la spesa, tagliaerba giocattolo… Training e strumenti per il potenziamento dell’efficienza visiva Con il termine potenziamento dell’efficienza visiva si intende l’utilizzo significativo del residuo visivo allo scopo di ottenere informazioni sull’ambiente circostante e migliorare, conseguentemente, l’autonomia. Le abilità che è possibile e necessario potenziare sono:

• consapevolezza della luce • attenzione alla luce • localizzazione della luce • capacità di seguire con lo sguardo una luce in movimento • capacità di seguire con lo sguardo oggetti o persone in movimento • localizzazione di oggetti • uso della visione periferica

A tal fine vengono utilizzati specifici ausili ottici: • sistemi telescopici per la visione da lontano • sistema televisivo a circuito chiuso per la visione da vicino

Strumenti per vicariare la funzione visiva Per i soggetti totalmente ciechi vengono utilizzati:

• l’optacon che traduce i caratteri stampati in informazioni tattili; • la kurweil reading machine che traduce i caratteri stampati in suoni; • l’utilizzo del computer è possibile grazie a programmi di sintesi vocale (braille labile)

Sebbene la tecnologia sia molto importante questa non può sostituirsi alla lingua scritta o al braille.

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Metodi educativi Conoscenza della situazione iniziale del bambino

1. Documentatevi sulle condizioni visive del bambino Modalità comunicative utilizzate dall’adulto

2. In presenza di un bambino cieco, identificatevi sempre in modo che vi possa riconoscere dalla voce

3. Utilizzate sempre il suo nome per rivolgervi a lui 4. Prima di parlargli siate chiari nel far capire che vi state rivolgendo a lui 5. Incoraggiatelo ad utilizzare il nome delle persone con cui desidera parlare 6. Se siete in gruppo, prima di parlare con una persona, chiamatela per nome 7. Siate consapevoli che il linguaggio possiede delle connotazioni visive 8. Utilizzate un linguaggio chiaro e conciso 9. Cercate di non tendere all’iperverbalismo 10. Prestate particolare attenzione al tono della voce 11. Tenete presente che periodi di ecolalia sono comuni in bambini ciechi 12. Offrite adeguate opportunità che gli possano permettere di porre domande 13. Date sempre un’adeguata risposta 14. Prestate attenzione alle espressioni facciali e al linguaggio corporeo, tenendo presente che nel

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non vedente sono meno evidenti 15. A volte, quando non è possibile la vicinanza fisica, è necessario fornire delle rassicurazioni

verbali 16. Quando si nomina un oggetto è necessario differenziare tra la rappresentazione e l’oggetto reale. 17. Le descrizioni verbali devono possedere un collegamento con delle esperienze significative 18. Per formare concetti le esperienze devono essere interconnesse 19. Dopo aver interagito con il non vedente, avvisatelo se vi allontanate o se parlate con un’altra

persone 20. Teoricamente i concetti visivi possono essere spiegati e conseguentemente acquisiti dal non

vedente Strategie per facilitare l’autonomia di movimento e di orientamento

21. È necessario il contatto fisico 22. Assicuratevi che il bambino non vedente sia consapevole della vostra presenza, prima di

toccarlo 23. È importante che il non vedente impari ad utilizzare il proprio residuo visivo 24. Tenete presente che il corpo è il punto di riferimento del non vedente 25. Rendetelo consapevole di tutti gli spazi che lo circondano 26. Se dopo aver camminato con il non vedente vi dovete allontanare, assicuratevi che conosca la

sua collocazione e che sia a contatto con qualcosa 27. Quando ha iniziato un percorso non intervenite con altre indicazioni, anche se ha sbagliato,

lasciatelo terminare 28. Destra e sinistra possono essere insegnate 29. Identificate dei punti di riferimento nell’ambiente che possano essere utilizzati per facilitare

l’orientamento 30. Identificate odori piacevoli e spiacevoli 31. Identificate suoni e rumori 32. Siate consapevoli che i suoni ed i rumori possono confonderlo 33. Usate in modo selettivo musica, radio e televisione 34. Incoraggiatelo e motivatelo al movimento 35. Ricorrete a metodi non convenzionali per motivarlo ed interessarlo 36. Non permettetegli di agire come estensione di voi stessi 37. Fornite sempre una situazione ricca di stimoli 38. Cercate di riconoscere le situazioni di estraneamento del non vedente 39. Nonostante il maggiore supporto che richiede il non vedente, deve essere oggetto delle

medesime aspettative che investono i coetanei vedenti 40. Siate preparati alle reazioni

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DEFICIT DEL CONTROLLO DEL COMPORTAMENTO Riguardano condotte inadeguate al contesto o inappropriate all’età del bambino. Sebbene non sia corretto indicare tali situazioni come casi di handicap, tuttavia esse determinano spesso importanti problemi nei processi di apprendimento e di socializzazione del bambino, favorendo l’instaurarsi di condizioni di disagio. Esistono due categorie di comportamento ipocontrollato:

• il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività • i disturbi della condotta caratterizzati dalla violazione persistente delle principali norme e regole

sociali.

Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività Il Disturbo da deficit d'attenzione ed iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che rende difficoltoso e in taluni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini. Si tratta di un disturbo eterogeneo e complesso, multifattoriale che nel 70-80% dei casi coesiste con un altro o altri disturbi. La coesistenza di più disturbi aggrava la sintomatologia rendendo complessa sia la diagnosi sia la terapia. Quelli più frequentemente associati sono il disturbo oppositivo-provocatorio e i disturbi della condotta, i disturbi specifici dell'apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc.), i disturbi d'ansia e, con minore frequenza, la depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da tic, il disturbo bipolare. La più recente descrizione del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è contenuta nel DSM-IV (APA, 1994), secondo il quale, per poter porre diagnosi di DDAI, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti; inoltre, è necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale. Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione, viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo disattento; se presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di iperattività-impulsività, allora viene posta diagnosi di DDAI - sottotipo iperattivo-impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si pone diagnosi di DDAI - sottotipo combinato. I 18 sintomi presentati nel DSM-IV sono gli stessi contenuti nell’ICD-10 (OMS, 1992), l’unica differenza si ritrova nell’item (f) della categoria iperattività-impulsività (Parla eccessivamente) che, secondo l’OMS, è una manifestazione di impulsività e non di iperattività. A. Entrambi (1) o (2): (1) sei (o più) dei seguenti sintomi di Disattenzione che persistano per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:

• Disattenzione o spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di inattenzione nei

compiti a scuola, nel lavoro o in altre attività; o spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione nei compiti o in attività di gioco; o spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente; o spesso non segue completamente le istruzioni e incontra difficoltà nel terminare i compiti

di scuola, lavori domestici o mansioni nel lavoro (non dovute a comportamento oppositivo o a difficoltà di comprensione);

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o spesso ha difficoltà ad organizzare compiti o attività varie; o spesso evita, prova avversione o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono

sforzo mentale sostenuto (es. compiti a casa o a scuola); o spesso perde materiale necessario per compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti

assegnati, matite, libri, ecc.); o spesso è facilmente distratto da stimoli esterni; o spesso è sbadato nelle attività quotidiane.

(2) sei (o più) dei seguenti sintomi di Iperattività-Impulsività che persistono per almeno 6 mesi ad un grado che sia disadattivo e inappropriato secondo il livello di sviluppo:

• Iperattività o spesso muove le mani o i piedi o si agita nella seggiola; o spesso si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto; o spesso corre in giro o si arrampica eccessivamente in situazioni in cui non è appropriato

(in adolescenti e adulti può essere limitato ad una sensazione soggettiva di irrequietezza); o spesso ha difficoltà a giocare o ad impegnarsi in attività tranquille in modo quieto; o è continuamente “in marcia” o agisce come se fosse “spinto da un motorino”; o spesso parla eccessivamente;

• Impulsività

o spesso “spara” delle risposte prima che venga completata la domanda; o spesso ha difficoltà ad aspettare il proprio turno; o spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o

nelle conversazioni degli altri). B. I sintomi iperattivi-impulsivi o di disattenzione che causano le difficoltà devono essere presenti prima dei 7 anni. C. I problemi causati dai sintomi devono manifestarsi in almeno due contesti (es. a scuola [o al lavoro] e a casa). D. Ci deve essere una chiara evidenza clinica di una significativa menomazione nel funzionamento sociale, scolastico o lavorativo. E. I sintomi non si manifestano esclusivamente nel corso di un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, Schizofrenia o altri Disturbi Psicotici oppure che non siano meglio giustificati da altri disturbi mentali (es. Disturbi dell’Umore, Disturbi Ansiosi, Disturbi Dissociativi o Disturbi di Personalità).

Le cause del disturbo Una specifica causa dell'ADHD non è ancora nota. Le cause ipotizzate sono molte e vanno da una disfunzione dei lobi prefrontali, all’ereditarietà, ritardi nella crescita intrauterina o nascita sottopeso o uso di alcol, tabacco e cocaina durante la gravidanza, uso di sostanze stupefacenti in famiglia, fenicheltonuria, traumi cranici. Ci sono quindi fattori genetici e condizioni sociali e fisiche del soggetto. Secondo la maggior parte dei ricercatori e sulla base degli studi degli ultimi quarant'anni il disturbo si ritiene abbia una causa genetica. Studi su gemelli hanno evidenziato che l'ADHD ha un alto fattore ereditario (circa il 75% dei casi)]. Altri fattori sono legati alla morfologia cerebrale, o anche possono essere legati a fattori prenatali e perinatali o a fattori traumatici. L'ADHD si presenta tipicamente nei bambini (si stima che, nel mondo, colpisca tra il 3% e il 5% dei bambini) con un percentuale variabile tra il 30 e il 50% di soggetti che continuano ad avere sintomi in età adulta.

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Studi sui gemelli hanno mostrato che tra il 9% e il 20% dei casi di malattia può essere attribuito a fattori ambientali. I fattori ambientali includono l'esposizione ad alcol e fumo durante la gravidanza e i primissimi anni di vita. La relazione tra tabacco e ADHD può essere trovata nel fatto che la nicotina causa ipossia nel feto. Complicanze durante la gravidanza e il parto possono inoltre giocare un ruolo nell'ADHD. Le infezioni (ad esempio la varicella) prese durante la gravidanza, alla nascita o nei primi anni di vita sono un fattore di rischio per l'ADHD. La World Health Organization afferma che la diagnosi di ADHD può fare emergere disfunzioni all'interno della famiglia o nel sistema educativo o anche patologie psicologiche in singoli individui. Altri ricercatori ritengono che i rapporti con chi si prende cura dei bambini ha un effetto profondo sulle capacità di autoregolamentazione e di attenzione. Uno studio su bambini in affido ha riscontrato che un numero elevato di loro mostrava sintomi molto simili all'ADHD. I ricercatori hanno inoltre riscontrato elementi tipici dell'ADHD nei bambini che hanno sofferto violenze e abusi.

Sintomatologia Disattenzione, iperattività e impulsività sono gli elementi chiave nel comportamento di soggetti colpiti da ADHD. I sintomi dell'ADHD sono difficili da definire poiché è difficoltoso tracciare un linea che demarchi i normali livelli di disattenzione, iperattività e impulsività da quelli che normali non sono e per i quali si richiede un intervento medico.

• La disattenzione causa disordine, interruzione delle attività, distraibilità, incapacità a cogliere particolari o a concentrarsi a lungo;

• il comportamento impulsivo causa risposte affrettate ed inappropriate, incapacità a ritardare la risposta, a rimandare le gratificazioni, il non tener conto delle conseguenze delle azioni;

• l’iperattività genera inappropriato livello di attività motoria e verbale. È evidente che è difficile distinguere e misurare impulsività ed iperattività, al punto che Barkley sostiene che siano entrambe la conseguenza di un problema di disinibizione del comportamento che potrebbe essere il tratto peculiare del disturbo. Questa situazione comporta difficoltà in compiti complessi ed ha la sua ricaduta in diversi ambiti:

• cognitivo (disturbi specifici dell’apprendimento, scarsa capacità di stima del tempo, difficoltà nella memoria di lavoro, ridotta sensibilità agli errori, deficit di pianificazione, lievi ritardi intellettivi)

• del linguaggio (ritardi nell’acquisizione del linguaggio, difficoltà nell’eloquio, scarsa organizzazione ed espressione inefficiente delle idee, ritardo nell’interiorizzazione del discorso)

• motorio (ritardo nella coordinazione motoria) • adattivo • scolastico (comportamenti disturbanti, ripetizione di una classe, sospensioni o espulsioni) • emotivo (inadeguata autoregolazione delle emozioni, scarsa tolleranza alle frustrazioni) • della salute (propensione agli infortuni, possibili ritardi nella crescita, difficoltà del sonno, rischi

nella guida da adulti). Problemi relazionali Per quanto riguarda i problemi relazionali, i genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei concordano che i bambini con ADHD hanno anche problemi nelle relazioni interpersonali (Pelham e Millich 1984). Vari studi di tipo sociometrico hanno confermato che bambini affetti da deficit di attenzione con o senza

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iperattività: • ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco (Carlson

et al, 1987); • pronunciano un numero di frasi negative nei confronti dei loro compagni dieci volte superiori

rispetto agli altri; • presentano un comportamento aggressivo tre volte superiore (Pelham e Bender, 1982); • non rispettano o non riescono a rispettare le regole di comportamento in gruppo e nel gioco; • laddove il bambino con ADHD assume un ruolo attivo riesce ad essere collaborante, cooperativo

e volto al mantenimento delle relazioni di amicizia; • laddove, invece, il loro ruolo diventa passivo e non ben definito, essi diventano più contestatori e

incapaci di comunicare proficuamente con i coetanei.

Approcci terapeutici È necessario considerare età, maturità, gravità del disturbo, aree coinvolte. Sono auspicabili un’integrazione di più approcci terapeutici ed il coinvolgimento di famiglia e scuola. Terapia cognitiva Riguarda il miglioramento di alcune abilità che richiedono attenzione come quella di problem-solving, l’autovalutazione. Si fa ricorso alle auto-verbalizzazioni che vengono ripetute fino a diventare spontanee (ad esempio nel problem-solving). Si distinguono due strategie: nella prima si chiede di mettere in relazione le proprie risposte con le conseguenze prevedibili, nella seconda ci si concentra sui processi di pensiero antecedenti la risposta. La prima sembra funzionare meglio. Critiche: le tecniche sembrano portare beneficio solo a breve termine ed in relazione ai contesti in cui sono state sperimentate. Intervento in classe Richiede già un minimo di controllo e, per questo, negli Stati Uniti viene unito al trattamento farmacologico. In particolare il soggetto viene inserito nel campo visivo dell’insegnante, accanto ad un compagno interessato alla didattica, l’insegnante deve interagire spesso e dare feedback, proporre compiti diversi e adatti alla capacità, incrementando le difficoltà gradualmente. Intervento farmacologico Diffuso negli Stati Uniti, a breve termine da buoni risultati sulle prestazioni cognitive e sui comportamenti, con effetti collaterali quali l’insonnia ed il blocco della crescita (che si può eliminare con strategie di somministrazione adatte). A lungo termine sembrano dare migliori risultati le terapie multimodali (psicofarmaci e interventi psicopedagogici), laddove il solo trattamento farmacologico si collega ad una percentuale significativa di comportamenti antisociali ed arresti.

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AUTISMO L’autismo è uno dei più gravi disturbi che colpiscono il bambino nella sua capacità di comunicare ed instaurare relazioni con l’esterno. Il grave disordine della comunicazione costituisce un impedimento o, in casi meno gravi, una limitazione alla socializzazione ed all’integrazione nei normali processi di vita. Il Disturbo autistico corrisponde a quello che in altre classificazioni viene chiamato autismo infantile precoce e autismo di Kanner.

DSM-IV I criteri diagnostici per il Disturbo autistico, secondo il DSM IV sono: A. Un totale di 6 (o più) voci da 1), 2), e 3), con almeno 2 da 1), e uno ciascuno da 2) e da 3): 1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:

• marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione sociale

• incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo • mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone

(per. es. non mostrare, portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse) • mancanza di reciprocità sociale ed emotiva

2) compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei seguenti: • ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un

tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica) • in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o

sostenere una conversazione con altri • uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico • mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al

livello di sviluppo; 3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:

• dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione

• sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici • manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complessi

movimenti di tutto il corpo) • persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: 1) interazione sociale, 2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o 3) gioco simbolico o di immaginazione. C. L'anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo della fanciullezza. L’Oms, attraverso l’Icd 10 (1993) individua una serie di criteri. Tale disturbo è definito come sviluppo anormale o blocco dello stesso che avviene in un’età inferiore ai 3 anni in una delle seguenti arre:

• linguaggio recettivo o espressivo nelle comunicazioni sociali (sviluppo del linguaggio,

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conversazione, stereotipie, no finzione), • sviluppo di relazioni sociali (sguardo, no interazioni, reciprocità, condivisione di attività), • assenza di gioco funzionale o simbolico.

Debbono essere presenti almeno 6 sintomi compresi nella Triade dei Disturbi: • Disturbi sociali • Disturbi linguistici • Disturbi comportamentali.

Anomalie di carattere qualitativo nelle interazioni reciproche (DISTURBI SOCIALI):

• uso dello sguardo, dell’espressione facciale, della postura e della gestualità. Assenza di reciprocità socio-affettiva (emozioni, adattamento al comportamento altrui; integrazione). Assenza di condivisione di giochi, interessi, ecc.

Anomalie di carattere qualitativo nella comunicazione (DISTURBI DI LINGUAGGIO): • ritardo o assenza del linguaggio e della gestualità. Mancanza di reciprocità nelle comunicazioni

verbali: Stereotipie ed ecolalie,ecc. Insieme limitato, ripetitivo e stereotipato di comportamenti, interessi e attività (DISTURBI DI COMPORTAMENTO):

• uno o più interessi stereotipati ed esclusivi. Rituali specifici e non funzionali. Manierismi e stereotipie. Attenzione per parti di oggetti o per elementi non funzionali di materiali di gioco.

SVILUPPO PSICOLOGICO DEL BAMBINO AUTISTICO

• SVILUPPO SOCIALE: Difficoltà iniziale nell’interazione madre-bambino (disfunzione degli scambi emotivi e cognitivi). Disturbo nella relazione di attaccamento. Successive difficoltà nelle relazioni affettive e amicali.

• SVILUPPO COMUNICATIVO E LINGUISTICO: Difficoltà nell’uso della gestualità convenzionale e nell’imitazione verbale (a livello preverbale). Carenza di attenzione condivisa. Successivamente: linguaggio verbale assente o ecolalico o stereotipato e pedante; uso scorretto di pronomi, grammatica e sintassi. Difficoltà a livello pragmatico. Spesso: linguaggio non comunicativo.

• SVILUPPO COGNITIVO: Variabilità. Spesso QI < norma. Spesso QIV < QIP. Spesso deficit cognitivi con QI normale. Carenze nella teoria della mente.

Trattamento Non esistono terapie e l’incapacità relazionale e di gioco complica le cose. E’ importante una profonda comprensione dell’autismo, grande attenzione e disponibilità e un setting rigoroso. Utile il coinvolgimento dei genitori ed un sostegno a loro rivolto. Qualche utilità hanno mostrato le tecniche comportamentali (premiare comportamenti, modellarli con il rinforzo, premiare comportamenti incompatibili con quelli da estinguere). Abbiamo detto che il livello intellettuale è importante; altro fattore è l’intervento precoce ed intensivo, per incrementare capacità linguistiche, di gioco, di self-help, individualizzando il trattamento e coinvolgendo i genitori nel programma. Zappella propone l’intervento di attivazione emotiva e reciprocità corporea (Aerc), che parte da un’attenta osservazione delle interazioni con i familiari. I terapisti offrono poi esempi di interazione possibile con il bambino e sostengono i genitori nell’assumere idonei comportamenti parentali. Viene riproposta un’immagine positiva del bambino; l’intervento prosegue a casa tra le sedute. Negli ultimi decenni si è diffusa partendo dagli stati uniti la comunicazione facilitata, dove l’operatore

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fornisce al soggetto sostegno emozionale e fisico per digitare su una tastiera o per indicare le lettere su una tavola. L’ipotesi è che ci sia una qualche aprassia ad impedire i movimenti volontari. La questione è se si possa davvero attribuire al soggetto le comunicazioni così ottenute, piuttosto che al facilitatore. I risultati sembrano infatti sorprendenti rispetto ai contenuti. Non esistono terapie e l’incapacità relazionale e di gioco complica le cose. E’ importante una profonda comprensione dell’autismo, grande attenzione e disponibilità e un setting rigoroso. Utile il coinvolgimento dei genitori ed un sostegno a loro rivolto. Qualche utilità hanno mostrato le tecniche comportamentali (premiare comportamenti, modellarli con il rinforzo, premiare comportamenti incompatibili con quelli da estinguere). Abbiamo detto che il livello intellettuale è importante; altro fattore è l’intervento precoce ed intensivo, per incrementare capacità linguistiche, di gioco, di self-help, individualizzando il trattamento e coinvolgendo i genitori nel programma. Zappella propone l’intervento di attivazione emotiva e reciprocità corporea (Aerc), che parte da un’attenta osservazione delle interazioni con i familiari. I terapisti offrono poi esempi di interazione possibile con il bambino e sostengono i genitori nell’assumere idonei comportamenti parentali. Viene riproposta un’immagine positiva del bambino; l’intervento prosegue a casa tra le sedute. Negli ultimi decenni si è diffusa partendo dagli stati uniti la comunicazione facilitata, dove l’operatore fornisce al soggetto sostegno emozionale e fisico per digitare su una tastiera o per indicare le lettere su una tavola. L’ipotesi è che ci sia una qualche aprassia ad impedire i movimenti volontari. La questione è se si possa davvero attribuire al soggetto le comunicazioni così ottenute, piuttosto che al facilitatore. I risultati sembrano infatti sorprendenti rispetto ai contenuti.

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SINDROME DI DOWN La sindrome di Down è una delle più note patologie prodotte da un’anomalia negli autosomi. Il nome deriva da John Langdon Down che ha descritto la patologia nel 1862, usando il termine mongoloidismo a causa dei tratti somatici del viso dei pazienti che richiama quelli delle popolazioni asiatiche orientali, quali i mongoli. Altro termine utilizzato per alcune tipologie della sindrome è trisomia 21.

Diagnosi pre-natale È possibile una diagnosi pre-natale tramite amniocentesi: si può vedere al cariotipo l’evidente anomalia del cromosoma. All’ecografia fetale ci possono essere alcuni segni di probabilità:

• il femore, in rapporto alla lunghezza delle altre ossa, è molto corto • anomalia della cerniera occipitale: è più infossata ed è più stretto lo spazio tra occipite e prima

vertebra cervicale (di difficile individuazione) • diminuzione della quantità di movimento globale del feto

Nella maggior parte dei casi l'individuo presenta: • Mongoloidismo, corpo basso e tozzo e collo grosso • Macroglossia - può portare a problemi di deglutizione • Atresia esofagea e intestino piccolo • Ipotonia più o meno marcata, presente nel 95% dei casi • Plica palmare • Lassità legamentosa, di varia entità, che porta ad apertura in abduzione esagerata delle anche

(180°) e diminuzione dell’angolo del polso con aumentato rischio di lussazione. • Cardiopatia congenita • Alterazione funzionamento della tiroide • Microcefalia, non evidenziabile alla nascita, ma durante la crescita • Ritardo di organizzazione delle tappe motorie (anche imponente), non per un danno del sistema

neuromotorio, ma per deficit della prassia Anomalia degli occhi: infatti l'occhio della persona affetta da questa malattia presenta un taglio che invece di essere normalmente a forma di dosso cioè che va dal basso verso l’alto formando una curva è allungato dalle ghiandole lacrimarie alla parte posteriore dell’occhio stesso, simile a quello delle popolazioni mongole, quindi dell’Asia Orientale. Si ha maggiore sensibilità alle infezioni e spesso, disfunzioni del cuore (difetto del setto interatriale, interventricolare) e di altri organi: principalmente per tal motivo la vita media, senza interventi, non supera i 30-40 anni. Attualmente però la media si è innalzata sino a 60 anni, perché col progredire delle tecniche chirurgiche, molte anomalie cardiache anatomiche possono essere trattate con successo.

Sviluppo cognitivo Le funzioni cognitive sono varie e complesse. Molteplici sono le prospettive di analisi e i dati a disposizione. Essi sono stati organizzati considerando soprattutto livelli e profili. Tabella Età media di apparizione di atti di attività o intelligenza sensomotoria o simbolica in 48 bambini con sindrome di Down confrontati con l’età media di bambini normodotati

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Comportamenti che evidenziano atti di attività o intelligenza sensomotoria

o simbolica

Età media di riferimento

in mesi

Età media S. di Down

in mesi

PV Afferra l'oggetto aprendo la mano 5 10

PO Trova un oggetto parzialmente nascosto 6 11

PS Tira un supporto per prendere un oggetto 8 15

G Compie azioni con intenzionalità sociale 11 20

PO Trova un oggetto dopo uno spostamento invisibile 13 23

RS Costruisce una torre di due cubi 14 28

RS Mette degli oggetti in una tazza e li rovescia per farli uscire 14 29

G Gioco simbolico vero e proprio 24 30

PV = Problem Solving; PO = Permanenza dell'Oggetto; RS = Relazioni Spaziali; G = Gioco. (rielaborazione da Pizzoli, Lama e Stella, 2001; estratto da cinque diverse tabelle contenenti complessivamente 24 diverse situazioni stimolo). La sindrome di Down comporta ritardo di diversa intensità nella quasi totalità degli individui. In termini di Quoziente Intellettuale (QI) non sono facili indicazioni generali, anche perché esso cambia con il progredire dell'età, nel senso che tende a diminuire. Se prendiamo come punto di riferimento i 10-12 anni la grande maggioranza dei bambini con sindrome di Down si colloca fra 30 e 55 punti di QI, cioè nel ritardo moderato (54-40) o grave (39-25).

Sviluppo linguistico Il profilo linguistico dei bambini e dei ragazzi con sindrome di Down è sintetizzabile come segue:

• sviluppo linguistico inferiore a quello dell'intelligenza (da cui la regola: “evita di ricavare la sua intelligenza dal suo linguaggio”) tenere quindi distinta la sua intelligenza dal suo linguaggio;

• sviluppo fonologico, (come pronuncia i suoni) inferiore agli altri aspetti del linguaggio; • sviluppo semantico (significato delle parole) e pragmatico (“si fa o non si fa capire”) migliori

dello sviluppo morfologico (es. coniugazione dei verbi), sintattico (costruzione delle frasi) e fonologico.

Sviluppo sociale

Analogalmente a quanto avviene per lo sviluppo dell'intelligenza, anche per lo sviluppo sociale (o adattivo o dell'autonomia) se si utilizza qualcosa di analogo al QI e cioè un quoziente di sviluppo

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(QS) che indica se le abilità sono inferiori alla norma (fissata a 100) o sopra o sotto la norma, si nota che questo QS tende a diminuire con l'età. Questo è dovuto al fatto che le abilità e le competenze sociali non diminuiscono, ma aumentano con un ritmo via via minore. Si deve comunque sottolineare che tale declino è minore rispetto a quello che si verifica per l'intelligenza (Dykens et al, 2000). Ad esempio in un bambino con sindrome di Down più o meno nella media il QI a 3 anni può essere 55 e il QS 65, mentre a 15 anni i rispettivi punteggi possono essere: QI 40 (-15) e QS 55 (-10). Analogalmente a quanto avviene per lo sviluppo dell'intelligenza, anche per lo sviluppo sociale (o adattivo o dell'autonomia) se si utilizza qualcosa di analogo al QI e cioè un quoziente di sviluppo (QS) che indica se le abilità sono inferiori alla norma (fissata a 100) o sopra o sotto la norma, si nota che questo QS tende a diminuire con l'età. Questo è dovuto al fatto che le abilità e le competenze sociali non diminuiscono, ma aumentano con un ritmo via via minore. Si deve comunque sottolineare che tale declino è minore rispetto a quello che si verifica per l'intelligenza (Dykens et al, 2000). Ad esempio in un bambino con sindrome di Down più o meno nella media il QI a 3 anni può essere 55 e il QS 65, mentre a 15 anni i rispettivi punteggi possono essere: QI 40 (-15) e QS 55 (-10).

Trattamento Il trattamento può essere perseguito solo per le complicazioni della sindrome, quali possono essere, tra le più frequenti, sordità, malattie cardio-vascolari, leucemia, invecchiamento precoce e diabete. Gli interventi sono specifici per

• il potenziamento delle capacità motorie • il potenziamento delle capacità comunicative e linguistiche • il potenziamento delle capacità cognitive

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DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO Il termine disturbi dell’apprendimento (Da) raccoglie in sé diversi significati:

• nel senso più generale comprende ogni tipo di condizione che esprime bisogni speciali • più in particolare può riferirsi a casi di ritardo mentale lieve o a casi in cui sono manifesti disturbi

specifici dell’apprendimento (lettura, scrittura, calcolo, …).

National Joint Committee On Learning Disabilities La definizione del 1988 è la più completa: “Learning disabilities è un termine che si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di capacità quali l’ascolto, l’espressione, la lettura, la scrittura, il ragionamento ed il calcolo. Tali disordini, che sono intrinseci all’individuo, si presume siano dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale e che possano manifestarsi durante tutto l’arco della vita. Problemi nell’autoregolazione dei comportamenti, nella percezione sociale e nelle interazioni sociali possono coesistere con i disturbi di apprendimento, ma non possono costituire essi stessi una difficoltà di apprendimento. Sebbene le difficoltà di apprendimento possano manifestarsi in concomitanza con altre condizioni di handicap (ad esempio impedimenti sensoriali, ritardo mentale, disturbi sociali ed emotivi) o con altre condizioni estrinseche (come differenze culturali, istruzione insufficiente o inappropriata) esse non sono il risultato di tali condizioni o delle influenze di queste”.

DSM-IV Il DSM IV indica che “... i problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività di vita quotidiana che richiedono capacità di calcolo, lettura o scrittura ... scarsa autostima e deficit delle capacità sociali possono essere associati ... possono esserci anomalie sottostanti dell'elaborazione cognitiva (per esempio deficit della percezione visiva, dello sviluppo del linguaggio, dell'attenzione, della memoria) che spesso precedono i D.A.”.

Tipi Attualmente vengono identificati come disturbi specifici dell’apprendimento i disturbi di calcolo, lettura e scrittura, così definiti dal DSM IV: Disturbo di Lettura, Dislessia: il livello raggiunto dalla lettura, come misurato da test standardizzati somministrati individualmente sulla precisione o sulla comprensione della lettura, è sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a una istruzione adeguata all’età. L’anomalia descritta interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono la lettura. Se è presente un deficit sensoriale, le difficoltà di lettura vanno al di là di quelle di solito associate con esso. Disturbo del Calcolo: la capacità di calcolo misurata da test standardizzati somministrati individualmente è sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a una istruzione adeguata all’età. L’anomalia descritta interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono la capacità di calcolo. Se è presente un deficit sensoriale, le difficoltà di calcolo vanno al di là di quelle di solito associate con esso. Disturbo dell’espressione scritta: le capacità di scrittura misurate con test standardizzati somministrati individualmente (o con valutazione funzionale delle capacità di scrittura) sono sostanzialmente inferiori rispetto a quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica

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dell’intelligenza e all’istruzione adeguata all’età. L’anomalia descritta interferisce notevolmente con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono la composizione di testi scritti (per es. scrivere frasi grammaticalmente corrette e paragrafi organizzati). Se è presente un deficit sensoriale, le difficoltà di scrittura vanno al di là di quelle di solito associate con esso. D.A. non altrimenti specificato: può includere problemi di tutte e tre le aree (lettura, calcolo ed espressione scritta) che insieme interferiscono in modo significativo nell’apprendimento scolastico, anche se le prestazioni ai test che valutano ciascuna singola capacità non è sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a una istruzione adeguata all’età. I Disturbi di Apprendimento presentano una incidenza media del 20% - 30% sulla popolazione scolastica, di questi la maggior parte sono secondari a svantaggio socio-culturale, almeno il 15%, e quindi suscettibili di prevenzione primaria di carattere socio-politico. Un ulteriore 10% dei D.A. è di carattere benigno e comprende i ritardi semplici di letto-scrittura in cui il disturbo è prevalentemente fonologico e non sintattico, si ha l’acquisizione della lettura nella II classe elementare, non è inficiato l’apprendimento e normalmente si risolve alla fine del ciclo elementare. Vi è poi almeno un 3% secondario a Ritardo Mentale e/o disturbi neuromotori e/o relazionali a prognosi più grave, ed infine un’area di disturbi specifici primari di circa l’1% identificato prevalentemente con la Dislessia, in cui è presente anche un disturbo del linguaggio come difficoltà fonologica e/o lessicale-sintattica oppure una disfasia evolutiva. Nella pratica clinica si può distinguere il bambino che presenta un Disturbo di Apprendimento specifico, dal bambino che presenta un disturbo neuropsicomotorio interessante più aree di sviluppo, e il bambino con Ritardo Mentale. I DSA sono disturbi funzionali che derivano da una peculiare architettura neuropsicologica del soggetto che provoca difficoltà nell’acquisizione e nella stabilizzazione di alcuni processi di identificazione e di scrittura delle parole e dei numeri. Questi disturbi sono quasi sempre di natura congenita ed oggi sono note anche le basi genetiche che determinano spesso la trasmissione familiare del disturbo. La scoperta della base biologica di questi problemi ha un duplice effetto che è importante richiamare:

• da un lato de-colpevolizza tutti gli attori di questa vicenda: i bambini in primis, ma anche i genitori e gli insegnanti. Non è “colpa” del bambino aver ricevuto una certa struttura neurobiologica, non è colpa dei genitori avergliela trasmessa, in quanto tutti i messaggi genetici sono al di fuori del controllo volontario, non è colpa degli insegnanti se il bambino non apprende, o apprende stentatamente, in quanto, al di là di quello che gli stessi insegnanti credono, non è affatto dimostrato che un metodo di insegnamento possa determinare delle difficoltà irreversibili.

• i DSA, proprio per la loro origine costituzionale, tendono a persistere nel tempo. La rieducazione o l’intervento didattico non possono far scomparire il problema. Anche se il grado di compromissione funzionale della singola abilità può variare, tuttavia è sbagliato attendersi un repentino miglioramento o una rapida scomparsa delle difficoltà. Ne consegue che chi lavora con un bambino dislessico deve aspettarsi progressi lenti e porsi obbiettivi didattici o educativi di lungo termine.

I punti salienti e sui quali esiste un sostanziale accordo da parte della comunità scientifica sono:

• L’utilizzo del termine “disturbo specifico dell’apprendimento” si riferisce a difficoltà di lettura (dislessia) di scrittura (disgrafia e disortografia) e di calcolo (discalculia);

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• Spesso le difficoltà di lettura, scrittura e calcolo si presentano insieme; • I fattori biologici hanno il loro peso nei disturbi dell’apprendimento; • È necessario escludere dalla categoria tutti quei bambini le cui difficoltà scolastiche sono da

ricondurre ad altri motivi come minorazioni cognitive o sensoriali, problematiche psicologiche e relazionali;

• L’importanza di distinguere tra disturbi dell’apprendimento e difficoltà scolastiche è evidente se si pensa che se è probabile che un bimbo con disturbi dell’apprendimento abbia problemi a scuola non è necessariamente vero il contrario.

• È importante distinguere inoltre fra disturbi dell’apprendimento e difficoltà ad essi correlate, che non rientrano in tale categoria.

Le cause Le cause di tipo organico sono diverse ed includono:

• malattie ereditarie metaboliche • infezioni e intossicazioni contratte per via transplacentare • denutrizione postnatale • traumi perinatali • traumi postnatali

Le neuroscienze ipotizzano lesioni del SN (minimal brain dysfunction) per cui esiste un continuum delle disfunzioni cerebrali minime nei bambini: esse non sarebbero altro che forme circoscritte delle disfunzioni cerebrali maggiori (paralisi cerebrale, disturbi convulsivi, ritardo mentale e disturbi sensoriali) Dal punto di vista biologico alcuni studi hanno evidenziato differenze nella morfologia cerebrale dei soggetti con dislessia evolutiva. L’approccio psicoanalitico guarda all’affettività e con Bion si fonda sulla qualità della relazione tra madre e bambino, sulla capacità del bambino di tollerare l’assenza della madre, che gli permetterebbe di creare un sostituto simbolico, fenomeno che è alla base della conoscenza. Le ricorrenti esperienze fallimentari in cui si imbattono i bambini con Dsa nello svolgimento delle attività scolastiche hanno importanti ripercussioni non soltanto sul piano delle abilità cognitive, ma anche dal punto di vista psicologico. Peterson (1992) ha descritto il fenomeno della learned helplessness (impotenza appresa) applicandolo all’ambito scolastico. La percezione di incontrollabilità degli eventi, della stabilità e dell’immodificabilità delle situazioni ed infine l’attribuzione di tali percezioni alla globalità delle attività gliene danno motivo. L’ambiente non costituisce causa del disturbo, ma è senz’altro un fattore che può essere facilitante oppure ostacolante (povertà di stimoli, carenze materiali, povertà linguistica, problemi familiari).

Un approccio teorico: il modello dello Human Information Processing La neuropsicologia cognitiva ha grandemente influenzato lo studio dei disturbi dell’apprendimento rifacendosi all’approccio dello Human Information Processing per esaminare le componenti della abilità cognitive. Le funzioni cognitive analizzate sono:

• linguaggio • lettura • scrittura

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• calcolo

Linguaggio Il modello funzionale del linguaggio prevede due componenti:

• la capacità di comprensione (uditivo-verbale e/visiva) • la capacità di produzione linguistica (difficoltà nell’articolazione di suoni e parole, grammatica,

sintassi e semantica) Tra i disturbi:

• Disfasia: deficit persistente • ritardo specifico del linguaggio, che consiste in una acquisizione più lenta dello sviluppo

linguistico. Il disturbo specifico del linguaggio comprende tre grandi raggruppamenti:

• disturbi recettivi-espressivi che comportano incapacità nel comprendere il linguaggio attraverso il canale uditivo, espressione assente o poco fluente, espressione caratterizzata da disorganizzazione fonologica e sintattica;

• disturbi espressivi che si manifestano con deficit dell’eloquio talvolta dovuti a difficoltà a programmare la corretta sequenza dei suoni all’interno delle parole a fronte di una competenza linguistica adeguata

• disordini nei processi linguistici di alto livello che si manifestano con difficoltà di denominazione e con deficit riguardanti il contenuto del linguaggio a fronte di una competenza fonologica e sintattica poco compromessa.

Lettura Il modello che spiega la lettura negli adulti prevede tre tipi di processi o vie che vengono attivati a seconda delle richieste del compito:

• sistema semantico e di corrispondenza lessicale; • immagine fonologica della parola; • sistema di conversione grafema\fonema.

Uta Frith (1985) individua tre stadi evolutivi che illustrano l’apprendimento della lettura e della scrittura: • stadio logografico (capacità di leggere parole conosciute) 4-5 anni • alfabetico (grafema\fonema) 6-7 anni • ortografico (riconoscimento di più unità grafemiche, astrazione) IV-V elementare • lessicale (riconoscimento delle parole in assenza di conversione grafema\fonema).

Nelle ultime fasi (7-8 anni) tale conversione si fa automatica e si creano il lessico visivo d’entrata e il lessico fonemico d’uscita, connessi al sistema semantico.

Scrittura Per quanto riguarda la scrittura essa non è influenzata solo dagli aspetti di elaborazione lessicale e fonologica, ma è legata alla rappresentazione grafemica. Si acquisisce presto distinzione tra consonante e vocale, ma molto più lentamente il numero di lettere e la struttura delle stringhe. Disturbi di lettura (dislessie) e di scrittura (disgrafie) si possono distinguere in:

• acquisiti: dislessia e disgrafia superficiale (accesso all’informazione lessicale, mancato significato delle parole), dislessia o disgrafia fonologia (deficit fonologico, difficoltà a leggere stringhe senza senso)

• evolutivi: anche questi distinti in superficiali e fonologici, corrispondono alle medesime definizioni. E’ incerta la causa (deficit o ritardo della funzione) e molti i fattori all’origine

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(organici, motivazionali, culturali, psicologici, altri disturbi cognitivi).

Calcolo Si distingue: il sistema responsabile dell’elaborazione dei numeri che si articola in due processi indipendenti. Il processo di comprensione e di produzione deputati rispettivamente all’elaborazione dei numeri in ingresso ed in uscita. Ciascuno di essi possiede un meccanismo lessicale relativo all’elaborazione delle singole cifre ed un meccanismo sintattico, relativo alla struttura complessiva del numero. Il sistema preposto all’elaborazione del calcolo che comprende le procedure di calcolo ed il magazzino dei fatti aritmetici. Anche qui i disturbi possono riguardare comprensione o produzione dei numeri oppure compromettere i processi relativi al calcolo.

Gli interventi È possibile classificare le tecniche riabilitative in base all’oggetto del trattamento ed alle modalità con cui esso viene applicato. Possiamo distinguere:

• il trattamento sulla prestazione deficitaria o sulle sue componenti • il trattamento sulle abilità di base o sul controllo degli automatismi

La neuropsicologia cognitiva prevede l’intervento sulla prestazione deficitaria. Tale intervento ha come obiettivo migliorare l’abilità deficitaria mediante l’esercizio continuo, la ripetizione di un dato comportamento e la ricerca di soluzioni didattiche complementari. L’intervento che si focalizza sulle abilità generali (linguistiche, visuo-percettive e psicomotorie) piuttosto che sulla prestazione ad un particolare compito. Tale tipo di intervento presuppone un rapporto di causalità, peraltro non provata, tra deficit nelle abilità generali e problemi di apprendimento. Strategie cognitive, che individuano il problema nelle strategie metacognitive; chi presenta disturbi di apprendimento probabilmente apprende passivamente. Si mira ad automatizzare i processi anche se danneggiati, laddove probabilmente bisognerebbe lavorare sul potenziamento di abilità residue.

Elenco dei principali strumenti compensativi La video-scrittura con i suoi supporti: controllo ortografico (consente di identificare le parole che non sono scritte in forma ortografica corretta) predittore ortografico (prevede, sulla base delle prime lettere digitate, la parola che il soggetto sta per scrivere sulla base del lessico di ciascun soggetto e della frequenza di utilizzo di quella singola parola. Consente ai soggetti con disabilità motorie, o con gravi disabilità di scrittura, di economizzare lo sforzo per scrivere testi). Richiede: conoscenza della tastiera, capacità di digitazione, capacità anche limitata di analizzare le componenti fonologiche delle parole e la conoscenza dei loro corrispondenti grafemici.

La sintesi vocale consente di trasformare il parlato continuo in videoscrittura attraverso l’uso di un microfono che riconosce la voce di ciascun individuo In pratica consente di evitare l’uso della tastiera nella scrittura diretta. richiede una buona capacità di costruire enunciati ben formati e di controllare adeguatamente la loro realizzazione scritta.

La tavola pitagorica consente di recuperare il risultato delle moltiplicazioni fra numeri a cifra singola

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richiede la capacità di leggere correttamente i numeri a due cifre e di utilizzare una tavola a doppia entrata

La calcolatrice consente di recuperare il risultato di qualsiasi calcolo richiede: capacità di digitare i numeri in modo corretto, conoscenza dei segni delle operazioni, conoscenza di alcune regole operative delle operazioni (rapporto tra sottraendo e minuendo o tra dividendo e divisore)

Audioregistratore (con cuffia) consente di ascoltare brevi testi per l’esecuzione di compiti in classe (per esempio i testi dei problemi). In questo modo il soggetto dislessico può riesaminare il testo di un problema tante volte quante ritiene necessario, esattamente alla stregua del buon lettore che rilegge il problema finché tutte le volte che vuole. richiede: capacità di usare i tasti di un audioregistratore per mandare indietro il nastro o ascoltare il brano richiesto

Enciclopedia informatica multimediale su CD-ROM consente di supportare lo studio delle materie scolastiche attraverso l’ascolto di brani registrati su disco, la visione di video e di documentari su argomenti specifici. richiede la padronanza del computer, in particolare del mouse e la conoscenza dei modelli di ricerca informatici. (menu, bottoni, ecc.).

Il libro parlato Consente di ridurre al minimo lo sforzo di lettura e di poter sfruttare prevalentemente l’ascolto per studiare e acquisire informazioni. Viene attuato attraverso la registrazione su disco dei libri di studio affidandosi ad una organizzazione che realizza il trasferimento dalla carta al supporto uditivo. Richiede la capacità di usare l’audioregistratore.

Scanner di varia natura Consente di trasferire su video righe o pagine di libro o di giornale e successivamente di ascoltarle in voce Richiede competenza specifica nell’uso degli strumenti informatici.

Da ricordare Le caratteristiche dei DSA che abbiamo cercato di descrivere brevemente potrebbero essere così riassunte:

• si manifestano in soggetti normodotati, con normali capacità intellettive e sociali. Ciò significa che non ci si deve stupire del fatto che un bambino presenti lacune “ solo in alcune abilità”, ma al contrario, bisogna considerare questa caratteristica come una peculiarità, un segno tipico che può orientare l’insegnante e il genitore verso una richiesta specifica di approfondimento diagnostico.

• sono di origine costituzionale, cioè fanno parte del corredo genetico del soggetto. Non è dunque colpa di nessuno se questi si presentano e ostacolano i processi di apprendimento del bambino.

• non sono facilmente pronosticabili prima dell’età scolare. Solo il disturbo specifico del linguaggio viene considerato un premonitore significativo di possibili disturbi dell’apprendimento, mentre altre caratteristiche, come ad esempio il mancato gattonamento o la

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grossolanità motoria, non sono correlate con certezza alla comparsa dei DSA. • accompagnano il soggetto nel corso del suo sviluppo. Ciò significa che bisogna attendersi una

crescita con difficoltà di apprendimento, senza puntare troppo sulla scomparsa rapida delle difficoltà.

• non sono “guaribili”, ma le conseguenze funzionali si modificano attraverso adeguate misure didattiche ed educative. Dunque è necessario che gli insegnanti imparino a tollerare la persistenza degli errori nel tempo e a misurare i miglioramenti non solo sull’aumento dell’accuratezza, che pure è importante, ma soprattutto sulla capacità di padroneggiare meglio i processi di lettura e di scrittura.

• spesso sono accompagnati da manifestazioni psicologiche e relazionali disturbate, in particolare ansia da prestazione ed evitamento delle attività, classificate comunemente come disturbi della condotta. E’ peraltro logico attendersi che le disabilità di apprendimento provochino, in bambini intellettualmente vivaci, dei contraccolpi psicologici, quali una perdita di autostima e la tendenza ad assumere ruoli aggressivi per compensare la difficoltà.

• spesso sono associati a disturbi dell’attenzione e dell’iperattività. Il bambino con DSA è spesso incapace di mantenere a lungo l’attenzione sul compito e questo può essere sia la conseguenza del disturbo di apprendimento che la causa primitiva, nel senso che il bambino può avere difficoltà a mantenere l’attenzione per l’eccesso di sforzo richiestogli dal compito e viceversa può avere difficoltà di esecuzione derivanti da instabilità attentiva primaria.