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89 La fauna italiana La fauna è l’insieme delle specie (e sottospecie) che si rinvengono in un determinato territorio; sostanzialmente studiare la fauna significa per prima cosa stilare l’elenco delle specie, elen- co che, quando è critico si indica soli- tamente col termine di checklist. Negli ultimi decenni, gli studi faunistici nel nostro Paese sono stati purtroppo trascurati, come se si trattasse non di una Scienza, quella con la S maiuscola, ma, per la sua natura compilativa, di una disciplina da relegare tra le scienze minori, di tipo “museologico” (nell’accezione deteriore del termine). Non va inoltre dimenticato che per studiare la faunistica bisogna conoscere la tasso- nomia (o sistematica che dir si voglia), cioè classificare gli organismi in cate- gorie (taxa) e collocarli in un sistema che ne rispecchi i rapporti di parentela (filogenetici). Purtroppo anche la tassonomia ha sofferto negli ultimi tempi, e non solo in Italia, una delle più drammatiche crisi di “visibilità”. Gli insegnamenti nelle università, la divulgazione ad opera dei musei ed i fondi diponibili per la ricerca sono diminuiti; è pertanto drasticamente diminuito il numero dei tassonomi, e di conseguenza dei faunisti, sia professionisti che dilettanti. Questa crisi ha mostrato segni di ripresa solo negli ultimi anni in seguito alla constatazione della drammatica perdita di biodiversità causata dal- l’azione dell’uomo, la cosiddetta “Sesta Estinzione”. Paradossalmente infatti i trascurati studi faunistici sono la base per poter fare biogeografia, ecologia e conservazione della Natura: non lo afferma solo il mondo accademico, ma lo proclama, nell’ambito delle iniziative avviate in seno alla Convenzione sulla Bio- diversità di Rio de Janeiro (1992), ormai firmata da quasi tutti i paesi del mondo, la cosiddetta Dichiarazione di Darwin (1998), che ha definito “l’impedimento tassonomico” come il male peggiore per la conservazione della biodiversità. La faunistica, attraverso la chiave interpretativa dell’ecologia, sta pertanto rivi- vendo una ripresa col nome, spesso citato, ma altrettanto spesso male inteso, di studio della biodiversità. Nuovi fondi sono stati pertanto stanziati negli ultimi Habitat terrestri e d’acqua dolce: fauna FABIO STOCH Cervo volante (Lucanus cervus) Lupo (Canis lupus)

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■ La fauna italiana

La fauna è l’insieme delle specie (esottospecie) che si rinvengono in undeterminato territorio; sostanzialmentestudiare la fauna significa per primacosa stilare l’elenco delle specie, elen-co che, quando è critico si indica soli-tamente col termine di checklist.Negli ultimi decenni, gli studi faunisticinel nostro Paese sono stati purtroppotrascurati, come se si trattasse non di una Scienza, quella con la S maiuscola,ma, per la sua natura compilativa, di una disciplina da relegare tra le scienzeminori, di tipo “museologico” (nell’accezione deteriore del termine). Non vainoltre dimenticato che per studiare la faunistica bisogna conoscere la tasso-nomia (o sistematica che dir si voglia), cioè classificare gli organismi in cate-gorie (taxa) e collocarli in un sistema che ne rispecchi i rapporti di parentela(filogenetici). Purtroppo anche la tassonomia ha sofferto negli ultimi tempi, enon solo in Italia, una delle più drammatiche crisi di “visibilità”.Gli insegnamenti nelle università, la divulgazione ad opera dei musei ed i fondidiponibili per la ricerca sono diminuiti; è pertanto drasticamente diminuito ilnumero dei tassonomi, e di conseguenza dei faunisti, sia professionisti chedilettanti. Questa crisi ha mostrato segni di ripresa solo negli ultimi anni inseguito alla constatazione della drammatica perdita di biodiversità causata dal-l’azione dell’uomo, la cosiddetta “Sesta Estinzione”. Paradossalmente infatti itrascurati studi faunistici sono la base per poter fare biogeografia, ecologia econservazione della Natura: non lo afferma solo il mondo accademico, ma loproclama, nell’ambito delle iniziative avviate in seno alla Convenzione sulla Bio-diversità di Rio de Janeiro (1992), ormai firmata da quasi tutti i paesi del mondo,la cosiddetta Dichiarazione di Darwin (1998), che ha definito “l’impedimentotassonomico” come il male peggiore per la conservazione della biodiversità. La faunistica, attraverso la chiave interpretativa dell’ecologia, sta pertanto rivi-vendo una ripresa col nome, spesso citato, ma altrettanto spesso male inteso,di studio della biodiversità. Nuovi fondi sono stati pertanto stanziati negli ultimi

Habitat terrestri e d’acqua dolce: faunaFABIO STOCH

Cervo volante (Lucanus cervus)

Lupo (Canis lupus)

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■ L’origine della nostra fauna

Per comprendere l’importanza e la forse inattesa consistenza numerica dellafauna italiana è importante spendere due parole per illustrare le sue origini. Lanostra fauna ha avuto origine da successive ondate di colonizzazione chehanno seguito la formazione del territorio italiano ed i grandi eventi paleogeo-grafici e paleoclimatici che ne hanno influenzato l’evoluzione, esaustivamen-te illustrati nel capitolo sulla geologia che apre questo volume. Hanno model-lato nel tempo la fauna del nostro Paese: l’emersione dal mare, il movimentodelle zolle crostali, la crisi di salinità del Mediterraneo, le ingressioni e leregressioni marine, il glacialismo quaternario e, infine, l’azione dell’uomo.Alcune specie derivano da una fauna pre-miocenica (più antica cioè di 23milioni di anni) originatasi in paleo-aree geografiche tradizionalmente chiama-te dai biogeografi Tirrenide ed Egeide; altre sono penetrate dall’Asia e dal-l’Europa orientale nell’ultimo milione di anni; altre ancora sono state introdot-te ad opera dell’uomo. Ogni vicissitudine paleogeografica e paleoclimatica halasciato evidenti tracce che si possono ancora leggere studiando la distribu-zione attuale delle specie in Italia.Il nucleo faunistico più antico della fauna italiana è costituito dai cosiddettipaleoendemiti, cioè da specie principalmente originarie della Tirrenide (la plac-ca sardo-corsa) e in minor misura dell’Egeide, la placca adriatica e apula. LaTirrenide, staccatasi dall’attuale costa provenzale e catalana e migrata verso

anni per compilare checklist. L’Italia èstata il primo paese in Europa a dotarsidi una checklist completa della suafauna, ultimata nel 1995 e compren-dente circa 57.000 specie animali, dellequali oltre 47.000 (l’85%) viventi negliambienti terrestri e delle acque interne.L’esempio italiano è stato seguito daaltri paesi europei per arrivare ad unesaustivo catalogo della fauna terrestree delle acque interne, disponibile on-line, noto come Fauna Europaea, cheabbraccia tutti i paesi del nostro conti-nente ad Ovest degli Urali. Dalla com-pilazione di questo catalogo, l’Italia

risulta il paese con il più alto numero di specie animali in Europa. Questo impor-tante primato pone però anche dei seri interrogativi sugli strumenti necessari aconservare questo inestimabile patrimonio. Un primo strumento è senz’altro laconoscenza della distribuzione delle specie nel nostro Paese.In quest’ottica, la realizzazione della Checklist delle Specie della Fauna Italianaè stata seguita dalla realizzazione della banca dati CKmap, che raccoglieva nel2005 circa 538.000 dati di distribuzione di oltre 10.000 specie terrestri e d’ac-qua dolce. Le potenzialità dei dati faunistici vanno ben al di là della sempliceproduzione di atlanti tematici; essi costituiscono il più completo strumentoconoscitivo per individuare i centri (hotspot, “punti caldi”) di biodiversità in Ita-lia, nonché le aree con maggior presenza di specie rare, endemiche e minac-ciate. Queste conoscenze hanno consentito di individuare le aree (IFA, Impor-tant Faunal Areas) importanti per conservare la fauna cosiddetta “minore”(invertebrati, pesci, anfibi, rettili e micromammiferi). “Minore” è un termine pocoappropriato, usato per consuetudine e per le dimensioni degli animali oggettodello studio. Ricordiamo che oltre il 99% della fauna terrestre e d’acqua dolceè “minore”, essendo costituita da invertebrati. Tra questi primeggiano gli insetti(37.300 specie circa), soprattutto coleotteri (12.000), imenotteri (7.500), ditteri(6.600) e lepidotteri (5.100). Le IFA, assieme alle IBA (Important Bird Areas), cioèalle aree di maggior rilievo per la conservazione degli uccelli, e a quelle impor-tanti per conservare le popolazioni dei grossi mammiferi, costituiscono unafotografia del valore di conservazione della fauna del territorio italiano. L’enor-me mole di informazione di cui è depositaria la banca dati faunistica presso ilMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare consente inoltredi valutare la coerenza della rete di aree sinora sottoposte a tutela con le aree diinteresse faunistico e la loro efficacia nel conservare la biodiversità in Italia.

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300-10.000

10.000-20.000

20.000-30.000

30.000-40.000

40.000-50.000

Numero di specie terrestri e d’acqua dolcepresenti nei paesi europei

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Il coleottero carabide Sardaphaenops supramontanus, endemita paleotirrenico di grotte della Sardegna

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■ Biodiversità e ricchezza di specie

La biodiversità può essere definitacome la complessità della vita in unadeterminata area geografica. La ric-chezza di specie è la più semplicemisura di biodiversità; un’efficacegestione degli habitat e del loro patri-monio faunistico richiede pertanto l’in-dividuazione di quelle aree che pre-sentano i valori più elevati in numero dispecie (hotspot di biodiversità). Indivi-duazione tutt’altro che facile, essendoil numero di specie di un’area, comeprevedibile, positivamente correlato con il numero e l’accuratezza delle ricer-che effettuate.Applicando tecniche geostatistiche sofisticate, è stato possibile, almeno inparte, “depurare” i dati ed individuare i principali hotspot di biodiversità in Ita-lia, localizzati lungo l’arco alpino e prealpino, l’Appennino Ligure, Tosco-Emi-liano, Abruzzese e Laziale. Gli hotspot nelle regioni meridionali e insulari, piùpiccoli, comprendono il Gargano, i massicci calabri, i rilievi della Sicilia nord-orientale e quelli della Sardegna centrale.La distribuzione dei diversi taxa può ovviamente differire da questo quadrogenerale. Ad esempio possiamo riconoscere le specie poco mobili, che hannorisentito dell’effetto delle glaciazioni (come i molluschi gasteropodi acquaticidella famiglia degli idrobiidi, o i crostacei e coleotteri cavenicoli), e sono oggiaccantonati in habitat molto peculiari e localizzati, accanto ad altre che hannoricolonizzato le aree depauperate dalle glaciazioni, anche a partire da rifugi(molto noti i casi di numerosi coleotteri, soprattutto carabidi e stafilinidi). Altripattern, mostrati dai taxa più mobili, presentano i loro hotspot sui principali rilie-vi della penisola (come i lepidotteri ropaloceri, cioè le farfalle diurne), oppurerifuggono le fasce climatiche poste alle quote più elevate, marcando con la lorodistribuzione le aree prealpine e preappenniniche, ma risalendo a quote mag-giori sui massicci montuosi calabri e siculi, ricchi di oasi xerotermiche. Questedistribuzioni presentano tutte alcuni aspetti comuni: una scarsa presenza nellaPianura Padana e nell’entroterra pugliese, lucano e siculo, in relazione verosi-milmente al grado di antropizzazione e all’omogeneità del paesaggio.

Le specie endemiche. Abbiamo visto come gli endemiti, specie il cui areale didistribuzione si trova integralmente o per la massima parte (subendemiti) inItalia, siano i relitti delle antiche vicissitudini della storia della nostra fauna.

Est, ha dato origine alla Corsica, alla Sardegna e a numerose piccole aree(microzolle) sparse dalla Toscana alla Sicilia. Ogni microzolla ha portato con sègli antenati di alcune specie odierne: le tracce di questo antico evento sonoinfatti svelate dalla distribuzione attuale delle specie relitte “paleotirreniche”.Al nucleo originario dei paleoendemiti si sono sovrapposti vari contingenti fau-nistici, il più cospicuo dei quali è costituito da specie dell’Europa orientale edell’Asia occidentale, penetrate in Italia a partire dal Pliocene (5-3 milioni dianni fa), in condizioni climatiche principalmente di tipo steppico e favorite nelloro processo di colonizzazione dall’instaurarsi di una continuità territoriale trasistema alpino e appenninico. Questo contingente settentrionale, ulteriormen-te accresciuto da elementi asiatici e sibirici, ha avuto una ulteriore dispersioneverso Sud durante le acmi glaciali del Quaternario, per poi subire un progres-sivo ritiro a seguito dei mutamenti climatici post-glaciali. Durante il suo ritiro,questo contingente ha lasciato numerosi relitti sui principali sistemi montuosi,soprattutto appenninici. Il ritiro è stato inoltre accompagnato dalla penetrazio-ne soprattutto da Sud di un altro contingente faunistico, costituito da elemen-ti mediterranei, con numerose specie legate ai climi caldi che caratterizzano ilsettore appenninico meridionale e le isole. Un ultimo evento da considerare(ultimo in ordine di tempo, non di importanza) è la comparsa dell’uomo, con laconseguente antropizzazione del territorio, l’introduzione di specie aliene e lealterazioni climatiche (global change) che stanno rapidamente modificando gliassetti faunistici raggiunti in milioni di anni di evoluzione.

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Niphargus julius, crostaceo cavernicoloendemico delle Prealpi Giulie (Friuli)

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Distribuzione in Italia della ricchezza di specie a corotipo europeo (a sinistra) e mediterraneo (a destra)

densitàbassa media alta

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Perdere una specie endemica significacancellarla dalla faccia della terra e perquesto motivo conoscerne la distribu-zione riveste grande rilievo conserva-zionistico.Un habitat, ad esempio, potrebbeessere molto ricco di specie ad ampiadistribuzione, e quindi essere un hot-spot di biodiversità, ma possederepochi endemiti: ne conseguirebbeche, nell’ottica di redigere una “sca-letta” di priorità per la conservazione,andrebbe privilegiato l’habitat chealberga il numero più elevato di ende-miti rispetto a quello a più elevata bio-diversità. Concetto questo non sem-pre ben presente nelle politiche diconservazione, che mirano spesso aconservare il maggior numero possi-bile di specie, sovente specie “ban-diera”, cioè con maggiore appeal, soprattutto uccelli e mammiferi, gruppimolto poveri di endemiti.Le aree e gli habitat che presentano la maggior concentrazione di specieendemiche si localizzano sulle aree prealpine, sulle Alpi occidentali e vari mas-sicci isolati lungo la catena appenninica, nonché sulle isole maggiori, rivelandol’importanza dell’isolamento geografico nei processi di speciazione che lehanno originate. I valori più bassi si riscontrano alle quote più elevate delle Alpi(in relazione all’effetto depauperante delle glaciazioni quaternarie) e nelle areeplaniziarie (di origine recente, post-glaciale, e profondamente alterate dall’a-zione dell’uomo).

Le specie rare. La rarità di una specie può essere definita sia come la condi-zione di essere presente in un limitato numero di aree o di habitat (rarità didistribuzione), sia come la scarsità di individui all’interno di una certa area o diun certo habitat; i due criteri non necessariamente coincidono. La rarità dipen-de dalle esigenze ecologiche delle specie, dalla loro storia (ad esempio se sitratta di endemiti), dalla loro marginalità (cioè dal fatto di essere presenti in Ita-lia ai margini del loro areale di distribuzione), dalle alterazioni antropiche delterritorio. Gli habitat che albergano il maggior numero di specie rare sono loca-lizzati sulle isole, sull’arco alpino e prealpino ed in alcune aree isolate appenni-niche e pugliesi.

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Ricchezza molto alta

Ricchezza alta

Ricchezza media

Ricchezza bassa

Distribuzione della ricchezza di specie in Italia

Aree (hotspot) con maggior concentrazione (inmarrone) di specie endemiche

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Le specie aliene. Sono aliene (o alloc-tone, non indigene, esotiche) quellespecie estranee alla fauna italiana, lacui introduzione è avvenuta ad operadell’uomo, tramite un trasferimentomotivato o involontario. Talora si parladi specie “invasive”, al fine di sottoli-neare le rapide dinamiche di espansio-ne che le specie aliene possono mani-festare una volta introdotte.L’introduzione di specie aliene, in par-ticolare se invasive, è attualmente considerato uno tra i più importanti fattoriche minacciano la conservazione della biodiversità, insieme alla frammenta-zione e distruzione degli habitat naturali. È inoltre confermato che la presenzadi tali specie porta conseguenze negative anche su molti aspetti della vita del-l’uomo, compresi quelli economici, sociali e sanitari. L’incidenza di specie alie-ne in Italia è molto elevata nella Pianura Padana ed in alcune altre aree forte-mente antropizzate (quali il litorale laziale e quello adriatico, il Salento, la pianadel Campidano in Sardegna). Attualmente, si stima che il numero di speciealiene costituisca poco più dell’1% della fauna italiana; tuttavia questa per-centuale non è costante nei diversi taxa con importanti ripercussioni negativesulla conservazione di alcuni habitat.Tra le specie terrestri, sono noti elementi alieni almeno tra i nematodi, i mollu-schi gasteropodi, gli artropodi e i vertebrati; la maggior parte (80-90%) è rap-presentata da insetti. Tra questi ultimi, gran parte delle specie è stata introdot-ta in epoche molto recenti attraverso gli scambi commerciali di piante, semi eterra o per la lotta biologica. Per quanto attiene i vertebrati, tra gli anfibi e i ret-tili sono noti con certezza una decina di casi di introduzione; uno dei più cono-sciuti riguarda la testuggine acquatica americana nota come terrapin dalleorecchie rosse (Trachemys scripta), venduta nei nostri negozi di animali e scri-teriatamente liberata nelle zone umide, dove entra in competizione con l’indi-gena testuggine d’aqua dolce (Emys orbicularis). I mammiferi non indigenisono soprattutto roditori; particolarmente preoccupante è il caso dello scoiat-tolo grigio (Sciurus carolinensis), introdotto dall’America settentrionale, inquanto si ritiene che questa specie, originariamente diffusa solo nelle provincedi Torino e Cuneo, possa rapidamente espandersi verso e oltre le Alpi, congravissima minaccia per la sopravvivenza dello scoiattolo indigeno (Sciurusvulgaris), con gravi ripercussioni sugli habitat boschivi. Un’altra specie notoria-mente invasiva è la nutria (Myocastor coypus), neotropicale, introdotta comeanimale da pelliccia negli anni ’20 del secolo scorso ed oggi responsabile digravi alterazioni agli ecosistemi ripariali.

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Terrapin dalle orecchie rosse (Trachemys scripta)

Incidenza molto alta

Incidenza alta

Incidenza media

Incidenza bassa

Incidenza delle specie aliene sul totale della fauna in Italia

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Negli ambienti d’acqua dolce i proble-mi sono ancora più gravi; oltre i dueterzi degli invertebrati alieni sinoracensiti sono rappresentati da crosta-cei, come il gambero della Louisiana(Procambarus clarkii), originario degliStati Uniti sud-orientali ed importato inItalia per l’acquacoltura; questa spe-cie, in continua espansione, destapreoccupazioni per la sua invasività, lasua superiorità competitiva rispettoalle specie indigene e la sua tolleranzaall’inquinamento e alle avversità ambientali, che di fatto ne impediscono l’era-dicazione. Ma la situazione più critica è rappresentata dai pesci: delle 67 spe-cie che costituiscono l’ittiofauna d’acqua dolce del nostro paese, quasi il 60%è rappresentata da specie aliene. Questo valore è purtroppo in continuoaumento: l’introduzione nell’ambiente naturale di specie esotiche, a scopocommerciale o ricreativo, pur vietata a norma di legge, continua e sta snatu-rando la fauna ittica italiana, incidendo pesantemente sulla conservazione del-le specie endemiche e degradando gli habitat d’acqua dolce.

Le specie minacciate. L’importanza per la conservazione di una specie è funzio-ne del suo status di endemica e della sua rarità, valori che possono essere inte-grati, quando possibile, considerando la sua unicità tassonomica, cioè il fatto chela specie sia l’unica rappresentante di un genere o addirittura di una famiglia,come accade ad esempio per il proteo (Proteus anguinus) delle grotte del Carsotriestino e goriziano. Questa importanza viene anche definita “intrinseca”, cioèdipende (con l’importante eccezione della rarità indotta dall’uomo) dalla storiaevolutiva di una specie. Tuttavia un elevato valore di conservazione non necessa-riamente comporta pericolo di estinzione: sono infatti i fattori antropici, che agi-scono direttamente sulla specie (ad esempio mediante prelievo) o indirettamente(mediante alterazione dell’habitat) a determinarne il grado di minaccia.Purtroppo la mancanza di uno studio esaustivo non consente di quantificareesattamente il grado di minaccia dell’intera fauna italiana. Su un campionestudiato di 10.000 specie, secondo i dati del Ministero dell’Ambiente, dellaTutela del Territorio e del Mare, le specie in pericolo di estinzione rappresenta-no circa il 5% del totale, mentre l’8% è invece da considerarsi vulnerabile.Purtroppo ben 46 specie sono state classificate come già estinte in Italia;mentre 32 di queste sopravvivono ancora in altri paesi, 14 (quasi tutte appar-tenenti agli insetti) sono endemiche italiane e, se il dato venisse confermato,potrebbero essere considerate estinte a livello globale.

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Una delle ultime foto di foca monaca (Monachusmonachus) in una grotta della Sardegna; laspecie è ormai considerata estinta in Italia

Lontra (Lutra lutra), una delle specie maggiormente minacciate della fauna italiana

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101■ Gli aspetti faunistici degli habitatterrestri e delle acque interne

Si indicano genericamente come “spe-cie di Direttiva” le specie inserite negliallegati della Direttiva 92/43/CEE, cioèla Direttiva Habitat, oppure negli allega-ti della Direttiva 79/409/CEE, cioè laDirettiva Uccelli, e nelle loro successivemodifiche ed integrazioni.Tralasciando i dettagli normativi chesaranno più esaustivamente trattatinel capitolo conclusivo del presentevolume, riveste particolare rilievo laDirettiva Habitat, che sancisce inmodo chiaro un semplice concetto:individua come soggetti per la con-servazione non solamente le specieanimali e vegetali (allegati II, IV e V),

ma anche gli habitat (elencati in allegato I), stabilendo che la conservazionedelle specie viene attuata attraverso la conservazione e gestione degli habi-tat in cui esse vivono. Le specie di interesse comunitario sono definite dallaDirettiva Habitat come le specie che, nel territorio della Comunità Europea,sono (1) in pericolo, o (2) vulnerabili, o (3) rare, o (4) endemiche; alcune diesse (riportate in allegato II con un asterisco) sono “prioritarie”, nel sensoche la Comunità Europea “ha una responsabilità particolare” per la loro con-servazione.Accanto ai Siti di Interesse Comunitario (SIC) individuati ai sensi della DirettivaHabitat per divenire le Zone Speciali di Conservazione (ZSC), le Zone di Prote-zione Speciale (ZPS) individuate ai sensi della Direttiva Uccelli per tutelare lespecie ornitiche vanno a costituire una coerente rete di habitat la cui tutela èfinalizzata alla conservazione di specie, o complessi di specie; in sintesi allatutela della fauna o, se vogliamo utilizzare un termine con maggiore appeal,della biodiversità animale.Nella presente breve disamina degli aspetti faunistici degli habitat italiani terre-stri e d’acqua dolce verrà pertanto seguita la classificazione proposta dallaDirettiva e verranno ricapitolati gli habitat vegetazionali dettagliatamentedescritti nel precedente capitolo, opportunamente integrando la trattazione perle acque dolci e gli ambienti sotterranei. In questi casi infatti l’aspetto vegeta-zionale può essere del tutto secondario rispetto a quello faunistico per la carat-terizzazione degli habitat, se non inadeguato, come nel caso delle grotte.

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dalle mareggiate, si depositano detritianimali o vegetali (come le banquette),presenti in maggior misura lungo le costesabbiose. Questa fascia albergasoprattutto invertebrati saprofagi edetritivori, assieme ai loro predatori: sitratta di un popolamento caratteristico,anche se molto variabile nello spazio enel tempo in funzione della disponibilitàdella risorsa. Vi ritroviamo in particolarelarve di ditteri (efidridi), coleotteri (qualicurculionidi, stafilinidi e scarabeoidei)ed i caratteristici crostacei anfipoditalitridi, come Orchestia mediterranea ePlatorchestia platensis, o talora Talitrussaltator che può raggiungere anchele fasce più interne. Non mancano ipredatori, soprattutto carabidi comeParallelomorphus laevigatus e Eurynebriacomplanata che si cibano dei talitridi.

La fascia sopralitorale, dove lungo ilitorali sabbiosi si formano le duneembrionali, alberga coleotteri fitofagi chepossono essere dunicoli specializzati(quando associati a piante alofile) oppureubiquisti. Quando la spiaggia è limoso-fangosa, prevalgono gli invertebratialofili e lutobi (cioè abitatori tipici diambienti limosi). Spesso troviamo un

La fauna degli habitat costieri.Le coste marine sono ambienti severiper gli animali terrestri o d’acqua dolce,per la presenza di numerosi fattorinaturali limitanti quali:● la mobilità dei substrati;● la loro aridità (per gli ambienti dunalie di spiaggia emersa) o l’eccessivaimbibizione da parte di acqua marina(per gli ambienti più prossimi alla linea dicosta, quali sabbie e accumuli di detriti);● l’esposizione alle mareggiate e ai venti,che possono rimuovere gli organismi dailoro microhabitat.Questi fattori agiscono in modo differentea seconda della natura del substrato,ma soprattutto della distanza dal mare:gli zoologi hanno pertanto distinto dellefasce o zone demarcate da lineesubparallele all’andamento della linea dicosta. La fascia intertidale (o zona di marea)ospita popolamenti ad invertebratiterrestri più stabili e diversificati laddoveessa è più ampia; ad esempio lungo ilitorali sabbiosi ritroviamo soprattuttoartropodi scavatori, che tendono aspostarsi seguendo in genere levariazioni del livello delle maree.Per quanto attiene la fauna acquatica,merita di essere menzionata l’importantemeiofauna interstiziale delle sabbie, cheaccanto ad elementi di origine marinaesclusivi di questo habitat (ne è uneccezionale esempio il crostaceomistacocaride Derocheilocaris remanei),annovera anche specie dulciacquicole,soprattutto minuscoli nematodi,crostacei copepodi, isopodi e anfipodidal corpo allungato, idoneo a muoversitra gli interstizi dei granelli di sabbia.Nella fascia eulitorale, raggiunta solo

Serpente gatto (Telescopus fallax), specie diallegato IV della Direttiva Habitat

Il carabide Eurynebria complanata

La fauna degli habitat terrestri e d’acqua dolce

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103102 acque salmastre sono invece il nono(Aphanius fasciatus), il ghiozzettocinerino (Pomatoschistus canestrini) eil ghiozzetto di laguna (Knipowitschiapanizzae); raro e localizzato è ilghiozzetto di faro (Pomatoschistustortonesei), presente nello Stagnone diMarsala. Il nono, il ghiozzetto cinerino eil ghiozzetto di laguna sono specieinserite nell’allegato II della DirettivaHabitat. Non mancano in queste acquele specie aliene, come l’invasivagambusia (Gambusia holbrooki),introdotta in Italia nel 1922 per la lottaalla malaria nelle Paludi Pontine.Abbiamo sin qui rivolto l’attenzione ainvertebrati e pesci; ma sicuramentesono gli uccelli la componente dellafauna più studiata e di maggior interesseper il grande pubblico degli habitatcostieri, sia per il loro ruolo ecologico cheli pone ai vertici della piramide alimentare,sia per il loro valore culturale ed estetico(specie “bandiera”). La maggior partedelle circa 500 specie ornitiche elencatenella checklist degli uccelli italiani è infattiosservabile negli habitat costieri, dovediverse specie svolgono importanti fasidel ciclo biologico, quali la riproduzione,la muta del piumaggio, la sostamigratoria e lo svernamento.Tra gli habitat costieri sono i fragmiteti adospitare alcuni dei popolamenti ornitici dimaggior rilievo conservazionistico; oltreai numerosi passeriformi, vi ritroviamocome nidificanti in particolare gli ardeidi,sia solitari come il tarabuso (Botaurusstellaris) e il tarabusino (Ixobrychusminutus), sia con tendenza ad aggregarsiin colonie (garzaie). Ad eccezione dellagarzetta (Egretta garzetta), tutti gliardeidi sono in declino in Italia, causala rarefazione dei canneti, l’intensapressione venatoria e la presenza dispecie aliene. Accanto agli ardeidi la listadelle specie minacciate o vulnerabililegate ai fragmiteti è molto lunga;

sono le acque marine, cui è dedicato unaltro capitolo di questo volume. Le acquemixoaline (30-0,5 ‰) corrispondono alleacque salmastre mentre quelle limniche(<0,5‰) sono le acque dolci: sono piùricche di specie le acque limniche, chealbergano molti insetti, nonché crostacei(anostraci, cladoceri, copepodi eostracodi), mentre sono povere le acquesalmastre (dove prevalgono i crostaceimentre sono scarsissimi gli insetti), perl’elevata variabilità delle condizioniambientali. Similmente a quanto avviene per gliinvertebrati, la salinità condiziona anchela fauna ittica di questi ambienti ditransizione. Tra i pesci di maggiorinteresse per la gestione dell’habitatricordiamo i migratori obbligati, chemigrano per riprodursi risalendo dal marealle acque dolci (anadromi) o viceversa(catadromi). Il solo pesce catadromo

dell’ittiofauna italiana è l’anguilla (Anguillaanguilla), di cui si studia sui testiscolastici la misteriosa riproduzione nelMar dei Sargassi. Accanto a questespecie troviamo i cosiddetti pesci “dirimonta”, cioè i migratori non obbligatiche dal mare possono risalire nellelagune, nei laghi, negli stagni costieri olungo i fiumi, come i muggini, la passeradi mare (Platichthys flesus), l’orata(Sparus auratus) e il branzino o spigola(Dicentrarchus labrax). Esclusivi delle

rispetto agli ambienti dunali perché vicompaiono le specie igropsammofile,legate cioè a terreni sabbiosi umidi,spesso trasportate dalle alluvioni fluvialied acclimatate in questo ambiente; viprevalgono i coleotteri, soprattuttocarabidi. Con l’aumento della percentualedi limo e argille, e la diminuzione disabbia, la fauna ad invertebrati terrestridiviene progressivamente più ricca ecomplessa; la presenza di vegetazioneinfine attira numerosi fitofagi e saprofagicon il loro corteggio di predatori.La fauna acquatica di questi ambientidipende in primo luogo dalla salinità,piuttosto variabile nello spazio e neltempo. Le acque iperaline (salinità >40‰) sono il frutto dell’evaporazione checausa una concentrazione di sali discioltisuperiore a quella dell’acqua di mare; sitratta di ambienti estremamente “severi”,con poche specie, quali i crostaceianostraci del genere Artemia ed alcunicopepodi. Le acque eualine (40-30‰)

popolamento migrante, costituito inprevalenza da ditteri e coleotteri chepassano la notte infossati nella sabbiadelle dune o alla base delle piantepioniere e nelle ore calde migrano sullasabbia bagnata in prossimità della riva.La fascia extralitorale comprende le dunemobili, quelle consolidate, il retroduna egli eventuali stagni costieri che occupanole depressioni retrodunali o interdunali.Può essere inoltre presente più all’internola zona delle dune fossili (o paleodune).Le faune comprendono, oltre ad elementixerofili, legati all’aridità di questi habitat,soprattutto invertebrati psammobi (cioèesclusivi delle sabbie) o psammofili, più omeno specializzati. Tra questi ritroviamoanche elementi relitti, con alcune specieendemiche ad areale molto ristretto ed arischio di estinzione, come il coleotteromeliride Brachemys peragalloi. Gli stagni costieri costituiscono unambiente di particolare interesse. Lafauna riparia è di solito più ricca e varia

Fauna degli habitat costieri, da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso: crostaceo anfipode(Orchestia gammarella), coleottero tenebrionide (Tentyria grossa), spatola, garzetta, cavaliere d’Italia elibellula (Lestes viridis)

Anguilla (Anguilla anguilla)

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105104 La fauna delle acque interneEscludendo gli habitat costieri, le acqueinterne comprendono essenzialmente leacque correnti (lotiche), quelle stagnantie lacustri (lentiche) e quelle sotterranee.

Le acque lotiche: gli invertebratibentonici. Le componenti della faunaindispensabili per caratterizzare glihabitat delle acque correnti superficiali,in particolare laddove la vegetazionemacrofitica è ridotta o assente, sonogli invertebrati bentonici ed i pesci.Entrambi sono stati utilizzati con lafinalità di suddividere i corsi d’acquain “zone ecologiche” omogenee.La fauna ad invertebrati bentonici(organismi che vivono in prossimità delsubstrato) può essere suddivisa in tregrandi gruppi ecologici. La microfaunacomprende tutti quei microscopiciorganismi che passano attraverso unsetaccio con vuoto di maglia di 60 µm(ovvero 60 millesimi di millimetro); viappartengono i protozoi, i rotiferi e molti

Anche altre attività umane che siesercitano tradizionalmente nelle lagunee lungo i litorali costituiscono una graveminaccia per la fauna.La pesca di una specie aliena introdottadeliberatamente, la vongola filippina(Tapes philippinarum), sta modificandola morfologia, la granulometria e lacomposizione dei popolamentimacrobentonici di ampie estensioni dibassi fondali lagunari; gli allevamenti itticieutrofizzano le acque costiere e lagunari ehanno ridotto la “montata” del novellamedelle specie naturalmente presenti inquesti habitat; le attività ricreative (sportacquatici, turismo balneare) sono causadi notevole degrado, quando non dideliberata distruzione delle spiaggecon asporto delle importanti banquette ocon il ripascimento delle linee di costamediante sabbie alloctone; infine lacaccia, che oltre all’azione diretta sullafauna (prelievo) è fonte di disturbo e diinquinamento da piombo dovuto allecartucce depositatesi sul fondo dei bacini.

che vi possono essere stagionalmentepresenti con densità talora molto elevate.Va evidenziato anche il ruolo deglihabitat come “punti notevoli” delpaesaggio, che numerose specieutilizzano per la navigazione: a questoproposito le foci fluviali sono diparticolare rilievo, e presso di esse ilflusso migratorio è molto elevato.Durante l’inverno, gli uccelli acquaticidivengono la componente faunisticache, in base alla percezione umana,caratterizza maggiormente le zone umidecostiere, che in Italia sostengonoregolarmente circa un milione di individui,ascrivibili ad oltre un centinaio di specie. Non solo le Direttive Habitat e Uccellielencano una serie numerosa di speciedi interesse comunitario tipiche deglihabitat costieri; anche la Convenzionedi Ramsar sulle zone umided’importanza internazionale e laConvenzione di Bonn sullaconservazione delle specie migratricisono strumenti legislativi rivolti allatutela di questi ambienti.Purtroppo però gli habitat costieripossiedono la prerogativa di essereraramente stabili nel tempo e per talemotivo la loro conservazione contrastacon la generale tendenza dell’uomo ad“imbrigliare” il paesaggio piegandolo alproprio volere; i risultati sono noti a tutti:argini perimetrali, difese di sponda,dighe snaturano gli habitat costieriimpedendo la loro evoluzione econservazione. Molto spesso il degradodi questi habitat, sino alla loro totalescomparsa, dipende dalla carenzad’acqua in superficie, spesso a causadell’abbassamento della falda comeconseguenza degli interventi finalizzatiall’agricoltura; in altri casi l’intensaurbanizzazione, la creazione dicomplessi industriali e l’antropizzazionedei litorali hanno reso moltoproblematica la salvaguardia.

tra tutte ricordiamo il caso del gobborugginoso (Oxyura leucocephala), estintoin Italia attorno agli anni sessanta eoggetto attualmente di tentativi direintroduzione. Nelle aree a vegetazionealofitica la fauna ornitica cambia; sonotipici nidificanti ad esempio l’avocetta(Recurvirostra avosetta), il cavaliered’Italia (Himantopus himantopus), il

fratino (Charadrius alexandrinus).Assumono particolare rilievo per lanidificazione la presenza di isolotti edossi dunali dove si concentra la maggiorparte delle colonie italiane di sterne elaridi, accanto a due specie molto note,di grande valore conservazionistico:la spatola (Platalea leucorodia) e il

fenicottero (Phoenicopterus ruber). Le zone umide costiere rappresentanoinoltre punti di sosta per i migratori, nonlegati strettamente a questi ambienti, ma Garzette (Egretta garzetta), gli ardeidi più comuni negli habitat costieri

Cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus)

Spatola (Platalea leucorodia)

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107106 possiedono una fauna molto particolare,ricca di crostacei arpatticoidi, tricotteri esoprattutto larve di ditteri (chironomidi,taumaleidi, tipulidi, psicodidi, straziomiidi),talora esclusivi di questi ambienti. Le sorgenti elocrene, in cui l’acquafuoriesce diffusamente dal terreno nonformando un rivolo unico bensìdisperdendosi in pozze e rivoletti checonfluiscono in uno o più collettori, sonotipiche delle aree prative o a pascolo, masi ritrovano talora anche nel sottobosco.La fauna è arricchita da elementi tipici diacque a lento decorso (raccoglitori,

pascolatori, raschiatori), con efemerotteri,tricotteri limnefilidi, coleotteri ditiscidi e,tra la meiofauna, copepodi ciclopoidi;quando il tenore in calcio lo consente, viabbondano molluschi gasteropodi e bivalvi.Le sorgenti limnocrene, in cui l’acquafuoriesce dal fondo di un bacino olaghetto, possiedono infine una faunasimile a quella lacustre.Le sorgenti sono state trascurate dallaDirettiva Habitat, che vi include, perl’Italia, le sole sorgenti “petrificanti” informazioni tufacee (Habitat 7220* “Sorgentipetrificanti con formazione di travertino(Cratoneurion)”) listate tra le torbiere.Penalizza questo importante insieme dihabitat, da cui i corsi d’acqua traggonoorigine, l’assenza di associazioni vegetalimacrofitiche caratteristiche, su cuilargamente si basa l’allegato I.

sbarramenti, canalizzazioni) banalizzanola fauna ad invertebrati dei corsi d’acqua,favorendo le specie più tolleranti, adampia valenza ecologica, e causando lascomparsa delle specie più sensibili.Per questo motivo gli invertebratibentonici sono da tempo consideratiottime “spie” delle condizioni ambientali eampiamente utilizzati nella diagnosi della“qualità biologica” dei corsi d’acqua,metodica oggi riconosciuta a norma dilegge (Direttiva Acque, 60/2000/CE). Poiché le comunità bentoniche varianolungo i corsi d’acqua, i macroinvertebratipermettono di distinguere tre grandihabitat o “zone ecologiche” che sonostate denominate crenal (habitat dellesorgenti), ritral (habitat dei ruscelli etorrenti) e potamal (habitat dei fiumi dipianura). A queste, ovviamente, vaaggiunto l’ambiente di foce, in cui, acausa dell’incontro con l’acqua di mare,si viene a formare un sistema ecotonale,di transizione, cui si è accennato nellasezione relativa agli habitat costieri. Adognuna di queste tre zone corrispondonocomunità macrobentoniche diverse traloro (dette crenon, ritron e potamon) inrisposta all’intensità della corrente,all’arricchimento in sali e sostanzaorganica, al grado di ossigenazionedell’acqua e alla temperatura.

L’habitat del crenal. Gli idrobiologiclassificano le sorgenti (crenal)ascrivendole a tre tipologie. Le sorgentireocrene, in cui l’acqua fuoriesce condiscreta velocità di corrente dalla roccia,dal detrito grossolano o dal terreno,albergano una fauna dominata daiframmentatori (numerosi ditteri, inparticolare chironomidi, plecotteri etricotteri, accanto a efemerotterieptageniidi, crostacei anfipodi). Se lasorgente scende lungo una pareterocciosa, formando una sottile laminad’acqua, si parla di habitat igropetrici, che

strato organico attaccato al substratoche possono prelevare o raschiare conl’apparato boccale appositamenteconformato (coleotteri elmidi, ninfe diefemerotteri eptageniidi, gasteropodi);● infine troviamo i predatori (predators)quali irudinei (sanguisughe), ninfe diodonati, coleotteri ditiscidi, chironomiditanipodini e molti altri.Naturalmente si può intuire come leabbondanze relative delle diversecategorie debbano necessariamentevariare lungo un corso d’acqua, infunzione principalmente della disponibilitàdi sostanza organica. I frammentatorisono ad esempio più frequenti nei trattisuperiori dei corsi d’acqua (dove, infunzione della velocità della corrente, èmaggiormente disponibile la sostanzaorganica grossolana) mentre i filtratoriaumentano gradualmente scendendo

lungo un torrente, finché la corrente nondiviene troppo lenta ed i raccoglitoridominano i fiumi di pianura. Tutti questiorganismi svolgono un ruolo che vienedefinito “riciclaggio della sostanzaorganica”, fondamentale in presenza diinquinamento organico, concorrendo al“potere autodepurativo” di un corsod’acqua. L’inquinamento organico echimico (scarichi urbani, industriali,zootecnici o di altre attività produttive)nonché le alterazioni antropiche dirette suicorsi d’acqua (escavazioni, dighe o

nematodi. La meiofauna raggruppainvece gli invertebrati che sono trattenutidal setaccio o retino citato, ma passanoinvece attraverso un setaccio con vuotodi maglia di 500 µm: si tratta di oligocheti,nematodi, acari, copepodi, ostracodi estadi larvali o giovanili di organismi dimaggiori dimensioni. Infine la macrofaunaè trattenuta da un retino con vuoto dimaglia di 500 µm; vi appartengono i piùnoti abitatori delle acque correnti. Nelle acque correnti l’attenzione degliecologi è stata rivolta principalmente alruolo funzionale che i macroinvertebrati,come consumatori, rivestono nella retealimentare e pertanto alle modalità con lequali si procurano il cibo. Distinguiamoquattro categorie principali:● i frammentatori (shredders) come moltelarve di tricotteri, ninfe di plecotteri ecrostacei anfipodi, si nutrono di detritoe frammentano la sostanza organicagrossolana;● i raccoglitori (collectors) si nutrono dellasostanza organica fine (cioè particelle didiametro inferiore ai 2 mm) che possonoprocurarsi raccogliendola direttamente(gatherers: ninfe fossorie di efemerotteri,oligocheti, molte larve di ditterichironomidi) o filtrandola dall’acqua

(filterers: larve di ditteri simuliidi, larve ditricotteri idropsichidi);● pascolatori (grazers) e raschiatori(scrapers) si nutrono delle alghe e dello

Ninfa di efemerottero (Habroleptoides confusa)

Larva di tricottero (Philopotamus ludificatus)

Larva di dittero chironomide

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109108 L’habitat dello stygal. Nelle sorgenti, neitorrenti e nei fiumi di pianura consubstrato ghiaioso e sabbioso, lameiofauna popola l’ambiente dellecosiddette “acque interstiziali”, ossia leacque che scorrono negli interstizi cheseparano i granuli di ghiaia e sabbia.Si tratta di un ambiente acquaticosotterraneo (stygal), dove l’oscuritàseleziona particolari organismi adattati edesclusivi di questo habitat. Naturalmentel’ampiezza degli interstizi pone dei limitifisici alle dimensioni degli animali.Anche la stabilità delle condizionichimico-fisiche è importante; nel trattoposto immediatamente sotto la superficiedel substrato sul fondo dei torrenti(il cosiddetto habitat iporreico), lefluttuazioni dei parametri ambientali sonomarcate e sono presenti anche organismioccasionali o che conducono in questohabitat solo una parte del loro ciclo vitale(in particolare giovani ninfe di plecotteri elarve di ditteri chironomidi). Andandoinvece più in profondità nel sedimentole condizioni ambientali sono più stabilie le acque, seppure meno ossigenate,fluiscono in modo più lento e costante;siamo nella zona freatica, ed è questo illuogo dove troviamo più facilmente ifreatobi, cioè gli organismi esclusividell’ambiente interstiziale nei terrenialluvionali: oligocheti, acari e crostaceidominano la comunità. I freatobi sono una particolare categoriadi stigobi, termine che raggruppa tutti glianimali esclusivi delle acque sotterranee;si tratta di organismi ciechi edepigmentati, con organi di senso moltosviluppati e modificazioni del corpoidonee a raggomitolarsi tra i granuli disedimento (forme volvazionali) o dalcorpo allungato atto a infilarsi negliinterstizi tra granulo e granulo (formeallungate e vermiformi). Lo stygal,trascurato negli studi idrobiologici,pur albergando un elevato numero di

torrenti sono trascurati dalla DirettivaHabitat; paradossalmente la tutela dellaloro fauna è demandata principalmentealla presenza di una vegetazione di gretoo ripariale di interesse comunitario.Tra gli invertebrati dell’epiritral sonoinclusi in Direttiva i soli gamberi di fiume(Austropotamobius pallipes e A. torrentium),

in forte regressione in tutta Italia, causa ildeterioramento della qualità delle acque el’eccessivo prelievo cui erano sottoposti.

L’habitat del potamal. Si tratta del trattomaturo di un fiume, quando il corsod’acqua, raggiunta la pianura, perde lasua vivacità ed il particolato solido erosoa monte si deposita lentamente, dandoluogo a fondi con sabbia fine e limo.Nel potamal aumenta la quantità dimateriale organico disponibile, diminuiscel’ossigeno disciolto e gli effetti dell’azioneumana sono in questo habitat più pesanti.Nonostante la prevalenza di ditteri,spesso molto tolleranti, sono associateall’ambiente potamale numerose speciedi interesse comunitario, ai sensi dellaDirettiva Habitat. Si possono ricordare ibivalvi Microcondylaea compressa eMargaritifera auricularia, quest’ultimaforse già estinta in Italia ed esclusiva delpotamal, accanto a vari odonati(Ophiogomphus cecilia, Cordulegastertrinacriae e Oxygastra curtisi), presentianche nei tratti ritrali inferiori.

L’habitat del ritral. A differenza del kryal,il ritral (o rhithral) è più ricco di sostanzaorganica proveniente dalla vegetazionecircostante o, per dilavamento, dalterreno. La comunità macrobentonica èqui più abbondante ed arricchita di tuttiquei consumatori di detrito la cuipresenza nei tratti d’alta quota era limitatadalla scarsità di alimento. Nei tratti inferioricompaiono le macrofite acquatiche e conesse gli invertebrati fitofagi e perifitici.Riveste inoltre importanza strutturale perle comunità del ritral la predazione daparte dei pesci. È noto che questa è piùintensa in certi microhabitat, ad esempioè maggiore nelle pozze (pool) che non neitratti a corrente veloce, con rapide ecascatelle (riffle e run), probabilmentein relazione alle minori possibilità dinascondiglio offerte. Un elevato drift (cioèil trasporto di organismi da monte a vallead opera della corrente) tende a mitigarel’effetto della predazione in questo habitat.Anche i tratti ritrali superiori (epiritral) dei

L’habitat del kryal. In montagna, al di sopradella linea degli alberi, il kryal è il trattotorrentizio dominato dalle acque discioglimento glaciale. La temperaturadell’acqua è generalmente inferiore ai 10°Canche nel breve periodo estivo, la correnteveloce, l’ossigenazione buona. Vi è totaleassenza di macrofite acquatiche radicatee anche la vegetazione riparia può essereassente alle quote più elevate. Per questoanche il kryal è escluso dalla DirettivaHabitat, che tutela tuttavia i ghiacciaipermanenti (Habitat 8340). Il kryalpresenta condizioni difficili per la vitaacquatica; la comunità bentonica èsemplificata e comprende poche speciemolto specializzate e spesso esclusivedi questo habitat; nei tratti superioridominano ditteri chironomidi, nematodi,oligocheti, tricladi e copepodi arpatticoidi,mentre con l’aumentare della distanza dalghiacciaio diventa importante la presenzadi ninfe di plecotteri ed efemerotteri e dilarve di tricotteri e il kryal sfuma nel ritral.

Fauna delle acque lotiche (ritral); da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso: ninfa di efemerottero,larva di chironomide, trota marmorata, gambero di fiume, scazzone, merlo acquaiolo, salamandrapezzata, ninfa di plecottero e crostaceo anfipode

Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)

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111110 pescasportiva. Negli ultimi trent’anni sonocomparse in Italia, introdotte a scoporicreativo, ulteriori specie, di provenienzaper lo più danubiana e asiatica: il quadropiù drammatico è quello del bacino del Po,dove la presenza di grossi predatori quali ilsiluro (Silurus glanis) ha drasticamente

alterato l’habitat portando all’estinzionedi numerosi ciprinidi autoctoni.Il depauperamento delle risorse ittiche hacomportato la necessità di ripopolamenti(noti anche come “semine ittiche”).Tale pratica, formalmente ineccepibile,è stata purtroppo spesso condottautilizzando esemplari di provenienzadiversa, causando il fenomeno notocome “inquinamento genetico”.Oltre alla pesca, altre sono le cause chehanno indotto gli enti preposti adintraprendere la pratica del ripopolamento:prima fra tutte l’alterazione o distruzionedelle zone di frega, soprattutto deisalmonidi, vuoi per l’inquinamento, vuoiper attività di sistemazione idraulica ocanalizzazione, vuoi per le derivazioni ascopo idroelettrico o irriguo che fannopermanere in molti corsi d’acqua portateveramente esigue quando non nulle.Secondariamente annoveriamo lalimitazione alle migrazioni dei pesci, ascopo trofico e riproduttivo, dovute aglisbarramenti e ad altre opere di difesao di presa, quasi mai accompagnateda scale di rimonta.

Anche alle zone ittiche può venir aggiuntala zona delle acque salmastre, il trattoterminale del fiume dove si ha il già citatorimescolamento di acque dolci e marine,le cui specie guida sono i ghiozzetti deigeneri Pomatoschistus e Knipowitschia(allegato II della Direttiva Habitat). Le prime due zone constituisconol’insieme delle “acque a salmonidi”, esono quelle che interessano i torrentidi montagna corrispondendo grossomodo al ritral, mentre le altre sono le“acque a ciprinidi” e corrispondono aitratti inferiori del ritral e al potamal.Questa semplice suddivisione è diestrema utilità pratica, tant’è vero cheè utilizzata da una direttiva comunitaria(78/659/CEE) che tratta della “qualitàdelle acque dolci che richiedonoprotezione e miglioramento per essereidonee alla vita dei pesci”.Negli ultimi anni purtroppo il quadrodistributivo dell’ittiofauna italiana è statosconvolto dalla massiccia introduzione dispecie aliene. Nelle acque interne italianerisultano oggi introdotte e in gran parteacclimatate oltre 35 specie. Tra queste,solo la carpa (Cyprinus carpio) è definibile“parautoctona”, cioè da considerarsiormai quasi indigena, risultando presentein Italia già ai tempi dell’Impero Romano.Se si eccettua qualche sporadicaintroduzione ipotizzata per il periodomedioevale, quelle documentate sonoiniziate a partire dalla metà del XIX secoloe si sono protratte fino ai giorni nostri,con specie di varia provenienza; assaifrequenti nei corsi d’acqua la trota iridea(Oncorhynchus mykiss) nei tratti asalmonidi e il pesce gatto (Ictalurusmelas), il persico sole (Lepomis gibbosus)e la gambusia (Gambusia holbrooki) neitratti a ciprinidi, tutte specie nord-americane. Le introduzioni del passatoerano per lo più giustificate da interessialimentari o commerciali, ma si sono poisovrapposti interessi legati alla pratica

ancora fredde e ben ossigenate,substrato ghiaioso, vegetazionesommersa in prevalenza algale emuscinale, ma con presenza di macrofitenei tratti a corrente più lenta, ha comespecie caratteristiche il temolo (Thymallusthymallus, allegato V) assieme alla trotamarmorata (Salmo trutta marmoratus)nell’area prealpina e padana (allegato II)e la trota macrostigma nell’areaappenninica e nelle isole, accompagnateda alcuni ciprinidi reofili, come il vairone(Leuciscus souffia, allegato II).La zona a barbo (o zona a ciprinidi adeposizione litofila), in cui la pendenzadell’alveo diminuisce e la correnterallenta, il substrato è ghiaioso esabbioso, la copertura macrofitica si faconsistente, ha come specie guida i barbi(Barbus plebejus e Barbus meridionalis,allegato II e V della Direttiva Habitat),accompagnati da lasca (Chondrostomagenei, allegato II), cavedano (Leuciscuscephalus) ed altri ciprinidi reofili.La zona a tinca (o zona a ciprinidi adeposizione fitofila), in cui la pendenzadiviene molto dolce, la corrente lenta, ilsubstrato prevalentemente fangoso e lacopertura macrofitica consistente, ospita,accanto alla tinca (Tinca tinca), numerosi

ciprinidi come la scardola (Scardiniuserythrophthalmus) e, nelle anse e tratti acorrente molto lenta, l’alborella (Alburnusalburnus alborella).

elementi specializzati ed endemici, èstato “dimenticato” sia dalla DirettivaHabitat che dalla Direttiva Acque.

I pesci e le zonazioni ittiche. Le zonazioniecologiche dei corsi d’acqua possonoessere anche individuate in funzione delladistribuzione della fauna ittica ed uno deipionieri di questa ricerca fu l’ittiologofrancese Marcel Huet nell’immediatodopoguerra. I lavori di Huet hanno postoin luce come la struttura del popolamentoittico vari in relazione alla pendenza deicorsi d’acqua, venendo influenzata datutti i parametri chimici, fisici emorfologici che con la pendenza sonostrettamente correlati. Lungo un corsod’acqua si vengono a distinguerequattro zone piscicole.La zona a trota (o zona a salmonidisuperiore), con acque veloci, fredde eben ossigenate, substrato agranulometria eterogenea (roccia, massi,ciottoli, ghiaia grossolana) e assenza divegetazione acquatica, ha come specieguida la trota fario (Salmo trutta trutta)

e lo scazzone (Cottus gobio), specieinserita nell’allegato II della DirettivaHabitat; in Appennino e nelle isole inquesto tratto è presente la trotamacrostigma (Salmo trutta macrostigma,allegato II).La zona a temolo (o zona a salmonidiinferiore), con acque meno veloci, ma

Trota fario (Salmo trutta trutta)

Tinca (Tinca tinca)

Siluro (Silurus glanis)

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113112 che si susseguono procedendo dallariva sino alle maggiori profondità.La zona litorale va dalla riva ad unaprofondità massima che è funzione delprofilo del fondale e della trasparenzadelle acque. Questi due fattori sonofondamentali poiché la zona colonizzatadalla comunità litorale in pratica siidentifica con la profondità massima incui si può sviluppare la vegetazioneacquatica. Dopo tale limite inizia la zonasublitorale che si spinge fino all’inizio dellazona ipolimnica, da cui si estende infine lazona profonda del lago. Le zone litorali deilaghi rivestono grande interesse perchérappresentano un mosaico di microhabitate dunque una elevata biodiversità.Le comunità litorali si differenziano aseconda dei substrati cui sono associate:● la vegetazione acquatica;● i sedimenti sabbiosi;● i sedimenti limosi;● i sedimenti ciottolosi;● il substrato roccioso.

delle correnti. Lo zooplancton riveste unruolo primario nell’ambito della catenatrofica: i meccanismi di controllo dellesue variazioni temporali e spazialivengono sia dal basso, cioè in relazionealla dinamica del fitoplancton, chedall’alto, cioè dipendono dalla predazioneda parte dei pesci. Ovviamente non deveessere trascurata l’influenza dei parametriabiotici nella dinamica di quelle specieadattate ad un intervallo ristretto di valoridelle caratteristiche fisico-chimiche delleacque. Lo zooplancton dei laghi ècostituito principalmente da rotiferi,cladoceri e copepodi, organismi di minutedimensioni (pochi superano i 2-3 mm) checomprendono filtratori (che si nutrono didetrito, batteri o fitoplancton) e predatori. Le comunità zoobentoniche sonorappresentate da un insieme di organismiche durante tutto o parte del loro ciclovitale vivono a stretto contatto con ilsubstrato. Nello studio dello zoobentos sidistinguono fasce o zone concentriche

merlo acquaiolo (Cinclus cinclus) chefrequenta ruscelli o fiumi con una fortecorrente, con una preferenza spiccataper le rapide; si può osservare mentrevola vicinissimo alla superficie dell’acqua,dove si tuffa e riesce a nuotare ecamminare sul fondale dei ruscelli.Infine, per quanto riguarda i mammiferi,non si può fare a meno di ricordare lacontrastante presenza lungo i nostri corsid’acqua di due specie di grande interesse.La prima è la lontra (Lutra lutra), moltoesigente dal punto di vista della selezionedell’habitat, diffusa fino alla metà del ’900in molti corsi d’acqua del nostro Paese: sitratta oggi di uno dei mammiferi a piùelevato rischio di estinzione in Italia, ed èinclusa negli allegati II e IV della DirettivaHabitat. L’altra specie da ricordare, inquesto caso come “detrattore” dibiodiversità, è la nutria (Myocastor coypus);specie aliena originaria del Sudamerica,introdotta in molti altri paesi tra cui l’Italiaper lo sfruttamento commerciale della suapelliccia (detta “pelliccia di castorino”), lanutria si è naturalizzata nel nostro Paeseove frequenta laghi e corsi d’acqua, ancheinquinati. Questa specie, oltre ad aversconvolto gli equilibri ecologici dellenumerosissime aree in cui si è insediata,arreca ingenti danni economici allecoltivazioni agricole e, prediligendo gliargini fluviali per la costruzione dellapropria tana, è oggi una delle maggioricause di degrado delle sponde, con graviripercussioni anche sull’equilibrioidrogeologico dei bacini fluviali.

Le acque lentiche: gli habitat lacustri.La fauna dei laghi, secondo la limnologiaclassica, viene distinta in tre categorieprincipali: zooplancton, zoobentos enecton, quest’ultimo costituitoprincipalmente da pesci. Fanno parte dellozooplancton tutti gli organismi che vivonofluttuanti in sospensione nelle acque,soggetti al trasporto da parte dei venti e

Altri vertebrati delle acque lotiche. Assaimeno importanti in termini di biodiversitàrispetto ai pesci sono gli anfibi, rettili,uccelli e mammiferi che frequentano icorsi d’acqua, ma che spesso ne sono glielementi più conosciuti. Mentre il trattopotamale presenta faune che in gran partesi confondono con quelle delle zoneumide costiere estesamente trattate, iltratto ritrale ospita elementi di grandepregio conservazionistico. Tra questi nonsi possono trascurare le salamandrinedagli occhiali (Salamandrina terdigitata eS. perspicillata); di recente (2005) queste

due specie sono state separate in base astudi genetici, mentre in Direttiva Habitatla salamandrina è raggruppata nell’unicaspecie S. terdigitata (allegato II e IV).Si tratta di specie endemiche italiane,diffuse nei ruscelli appenninici dallaLiguria orientale al Fiume Volturno (S.perspicillata) e dal Volturno all’Aspromonte(S. terdigitata), considerate di granderilievo conservazionistico. Più diffusa èinvece la salamandra pezzata (Salamandrasalamandra) che depone le larve nellesorgenti, ruscelli e torrenti dei rilievi alpinie appenninici. Molti altri anfibi e rettili(come la natrice dal collare, Natrix natrix,e la natrice tassellata, N. tessellata)frequentano i corsi d’acqua, che tuttavianon costituiscono i loro habitat elettivi.Tra gli uccelli forse l’unica specierealmente legata a questi ambienti è il

Salamandrine dagli occhiali (Salamandrinaperspicillata)

Fauna delle acque lentiche (stagno); da sinistra verso destra sopra il livello dell’acqua: rospo comune,testuggine palustre, airone cenerino, falco di palude in volo, coppia di germani reali; sott’acqua: limnea,notonetta e ditisco; idra; tritone crestato; cladocero e calanoide; fitoplancton

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115114 che a massimo invaso non supera i 50cm, per lo più temporanee. Accanto aquesti habitat ritroviamo piccole acqueatipiche, spesso aperiodiche o effimere,come le pozzanghere, i litotelmi (che siformano sulle bancate rocciose) e idendrotelmi (se si formano nei tronchicavi degli alberi).Grande interesse per la conservazionepresentano le acque temporanee, cheospitano sovente una comunità moltospecializzata, e indissolubilmente legataper la sopravvivenza al prosciugamentodei bacini. La fase di asciutta del bacinopuò essere superata dagli animali che lopopolano in vario modo; per gli ospiti nonobbligati, o legati all’acqua solo indeterminate fasi del ciclo vitale(soprattutto la fase larvale), il metodo piùsemplice è l’abbandono del sito. Questovale per le specie con mezzi propri dilocomozione, ad esempio gli insettivolatori (principalmente eterotteri,

coleotteri e ditteri) e gli anfibi. La faselarvale in molti casi termina prima delprosciugamento, pena la morte. Alcuniorganismi (sia larve, sia adulti, soprattuttomolluschi e crostacei malacostraci)possono sopravvivere infossati nelsubstrato fangoso, in attesa del ritornodell’acqua. Ma la maggior parte degliabitatori obbligati di questi ambienti(principalmente oligocheti, rotiferi, ecrostacei anostraci, notostraci, cladoceri,

della comunità fitoplanctonica, dellemacrofite, dei macroinvertebrati e dellafauna ittica, ma solo per i corpi idrici“significativi” (aventi cioè estensionesuperiore a 0,5 km2) e l’utilizzo di unodegli anelli di base della catena trofica,lo zooplancton, è del tutto omesso.

Le zone umide minori o “piccole acque”.Le piccole acque (o “Kleingewässer”degli Autori di lingua tedesca), sonoquell’ampio insieme di ambienti lenticiche non sono né laghi né estese zoneumide costiere, accomunati dall’estremavariabilità nel tempo delle dimensioni econseguentemente da ampie fluttuazionidei parametri ambientali. Rispetto ad unlago, una piccola acqua presenta, con rareeccezioni, assenza di stratificazionetermica e, se la torbidità non è eccessiva,penetrazione della luce fino al fondo delbacino; questo fatto consente la crescitadella vegetazione anche nelle zone piùprofonde. Una classificazione delle piccoleacque largamente utilizzata distingue: glistagni, con profondità a massimo invasosuperiore al metro; le paludi, a profonditàvariabile, inferiore a massimo invaso almetro, ma superiore in genere al mezzometro, talvolta temporanee, convegetazione emergente su tutto lospecchio acqueo (acquitrini) o assente acausa della torbidità e fangosità delsubstrato (pantani); le pozze, a profondità

Il necton vero e proprio dei laghicomprende numerose specie ittiche,soprattutto nei grandi laghi da sempreoggetto di attività alieutica professionalee nei bacini di minore estensione oggettodella pratica pescasportiva. Leproblematiche della fauna ittica lacustre,dominata da ciprinidi, sono simili a quelledescritte per i corsi d’acqua, ed inparticolare il prelievo eccessivo, iripopolamenti causa di inquinamentogenetico e l’introduzione di specie aliene.Alcune di queste sono sostenute per il lorointeresse commerciale, come il salmerino(Salvelinus alpinus), specie cisalpinaintrodotta nei laghi delle Alpi e di recenteanche in in Appennino, e il coregone (inparticolare Coregonus lavaretus),proveniente dall’Europa settentrionale,presente ormai in quasi tutti i grandi laghidell’Italia settentrionale e centrale doverappresenta una fonte di reddito per lascarsa pesca professionale.Le minacce agli habitat lacustri, oltre chedall’introduzione di specie aliene (ai pescivanno aggiunti i problemi creati dalgambero della Louisiana, Procambarusclarkii, e dalla nutria), provengono dadiversi settori, quali l’edilizia, l’agricoltura,la zootecnia e il turismo di massa (siasport acquatici che balneazione) chehanno alterato soprattutto la zona litoralee inquinato le acque. I monitoraggieseguiti per legge e recentementemodificati in seguito al recepimento dellaDirettiva Acque (2000/60/CE) all’internodi un nuovo testo unico sull’ambiente(D.Lgs. 152/06), dimostrano per lamaggior parte dei laghi italiani unprogressivo peggioramento dellecondizioni ambientali, con profondealterazioni della fauna soprattutto legateall’eutrofizzazione delle acque. Il recenterecepimento della Direttiva Acque non ètuttavia esente da problemi: questasancisce sì che lo stato ecologico di unlago deve venir stimato utilizzando lo stato

Il substrato che ospita il maggior numerodi specie di invertebrati è quello convegetazione in funzione dell’ampiadiversificazione dei microhabitat, mentre ilsubstrato roccioso è quello con la minorericchezza specifica. Vi ritroviamo: specienatanti, soprattutto microcrostacei, chepossono muoversi agevolmente sia inacqua libera che a diretto contatto colsubstrato; specie vagili o reptanti,sostanzialmente camminatrici, come larvedi insetti, idracari, ostracodi, isopodi edanfipodi; specie striscianti, come iturbellari e i gasteropodi; specie sessili,fisse al substrato, come le spugne, gliidroidi e i briozoi; specie fossorie, chevivono infossate nei sedimenti, comenumerosi oligocheti, nematodi e bivalvi.

I sedimenti sublitorali e profondi sono unazona estremamente importante per ilmetabolismo dei laghi, sia per la lorotendenza ad accumulare i nutrienti, cheper la loro capacità di rilasciarli nelleacque libere quando si creano particolaricondizioni. Per le loro caratteristicheambientali legate all’assenza di luce, lazona sublitorale e quella profondaospitano unicamente invertebrati detritivorie i loro predatori. Possiamo trovare speciefossorie, striscianti o deambulanti sulsedimento e talvolta natanti per piccolitratti: si tratta di turbellari, oligocheti,molluschi gasteropodi e bivalvi, crostaceianfipodi e isopodi, larve di ditteri.

Un oligochete tubificide con il cocooncontenente le uova

Lepidurus apus lubbocki, notostraco di acquetemporanee

L’eterottero Notonecta maculata, predatorecomune nelle pozze

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117116 copepodi, ostracodi) sviluppano stadi diquiescenza. Si tratta di uova durature ocisti, che trattengono al loro interno iliquidi vitali evitandone l’evaporazione epermettendo la sopravvivenza degliorganismi in uno stadio latente anche peranni. Questi stadi sono anche moltoimportanti per la colonizzazione di nuovibacini, poiché possono essere veicolati daagenti atmosferici (vento, acque diruscellamento), da animali (insetti volatori,anfibi, uccelli, mammiferi) o dall’uomo. Gli anfibi, predatori o superpredatori nellepiccole acque, si pongono in genere alvertice delle piramidi alimentari di questiambienti dove si registra una elevataricchezza di specie. In questi habitatpredominano le specie legate all’acquaper motivi trofici, fisiologici o riproduttivi.Gli anfibi depongono grandi quantità diuova in quartieri riproduttivi che di fattoservono anche come nurseries per losviluppo dei girini o delle larve. In molticasi nel corso del loro sviluppo larvale glianfibi subiscono un profondo imprintingolfattivo che li lega al sito dove sono natie dove tendono a ritornare. Gli anfibi,come gli altri abitatori delle piccoleacque, sono in declino in tutta Europa.Questo declino è senz’altro dovuto allacompromissione o alla distruzione diquesti habitat, che stanno scomparendoad una velocità elevatissma. Per gli anfibisi aggiungono, però, altri fattori diminaccia: precipitazioni acide, aumentodell’incidenza delle radiazioni UV-B,introduzione di predatori acquatici alieni,epidemie virali, fungine e batteriche,prelievo a scopo alimentare o amatoriale. Le numerose specie di anfibi inclusenella Direttiva Habitat rappresentanoprobabilmente lo strumento più idoneoper tutelare le piccole acque, accanto allapresenza di numerose specie di uccelli,che presentano sostanzialmente unsottoinsieme di quella ricca avifauna di cuisi è parlato trattando degli habitat costieri.

La fauna delle torbiere. Le torbiere,per la loro valenza vegetazionale, sonodistinte nella Direttiva Habitat dalle acquedolci, mentre da un punto di vistaidrobiologico ne rappresentano unaparticolare categoria.

Le principali peculiarità che si possonoosservare nella distribuzione degliinvertebrati acquatici nelle torbiere sonodovute alla presenza o meno di sfagni.Nonostante queste piante caratterizzinoprevalentemente le torbiere alte erichiedano un certo grado di acidità, nonè infrequente che alcune specie forminotappeti anche nelle torbiere piane.

Il mosaico ambientale delle sfagneteconsente l’instaurarsi di un popolamentoacquatico costituito da organismi piccolia sufficienza da abitare in superficie lasottile pellicola d’acqua presente nelleconcavità delle foglie e, più in profondità,

l’acqua trattenuta dai cumuli di sfagni.Questi organismi in genere tolleranocondizioni chimico-fisiche peculiari(soprattutto nelle torbiere acide), variabilinello spazio (procedendo dalla sommitàalla base dei cumuli di sfagni) e neltempo (anche nell’arco di una giornata).I tappeti di sfagni ospitano interessantispecie acidofile, prevalentemente relittiglaciali, con una distribuzione geograficadi tipo boreoalpino (specie cioè presentisia nell’Europa settentrionale che sull’arcoalpino, talora anche in stazioni relitteappenniniche); tra queste, numerosicopepodi arpatticoidi, ditteri chironomidi ecoleotteri. Le specie che prediligono glisfagni prendono il nome di specie tirfofile;di particolare rilievo alcuni arpatticoidi delgenere Moraria e le larve di ditterichironomidi. Le torbiere piane in assenzadi sfagni albergano invece una faunameno peculiare e non dissimile da quelladelle altre paludi. Si tratta in genere diambienti di origine piuttosto recente (post-glaciale), con acque ricche in nutrienti,

basiche o solo leggermente acide. I gruppitassonomici più ricchi di specie in taliambienti sono i nematodi, i copepodi, igasteropodi e naturalmente gli insetti (conprevalenza di coleotteri, eterotteri e ditteri).Il popolamento di invertebrati terrestri eanfibi non è nelle torbiere ricco di speciené composto da specie esclusive; si trattaspesso di “isole” troppo piccole persostenere a lungo popolazioni vitali permolte specie. Inoltre gli sfagni sono pocoappetibili per gli insetti fitofagi: moltopoche sono pertanto le specie tirfobionti(cioè esclusive delle sfagnete) e poche letirfofile. La natura insulare delle torbiereaccentua i tassi di estinzione e rendedifficile la ricolonizzazione di questiambienti; le specie che scompaiono inseguito all’alterazione di una torbierapresumibilmente non torneranno più. Neconsegue che distruggere una torbierasignifica distruggere irreversibilmenteun’“isola” di biodiversità, riducendo anchele possibilità di sopravvivenza della faunadelle torbiere più vicine.

Fauna delle torbiere; da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso: marasso, rana temporaria, larvedi tricotteri, toporagno nano, lepidottero, coleotteri (carabide e stafilinide), microalghe

Rana temporaria (Rana temporaria)

Libellula quadrimaculata

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119118 La fauna dei prati e delle praterie.Prati e praterie sono caratterizzati da unamarcata stagionalità che condiziona la lorofauna: la variazione nel tempo delladisponibilità delle risorse alimentari offertedai prati agli invertebrati, e indirettamenteai vertebrati (germogli primaverili,foglie, fiori, semi, materiale vegetalemarcescente) condiziona pertanto i ciclibiologici delle specie. L’uomo, con i suoiregolari interventi di sfalcio nella maggiorparte di questi habitat, può incentivare laripresa di fioriture altrimenti già esauriteo interrompere quelle in atto, modificandoi cicli biologici delle specie, soprattutto dilepidotteri e coleotteri. L’abbondante produzione di polline daparte di molte piante erbacee, con picchisoprattutto primaverili sfasati nel tempo,costituisce una delle fonti alimentari dimaggior interesse offerte da prati e prateriee un interessante esempio di coevoluzionetra piante da fiore e insetti pronubi, cioèimpollinatori. Ne traggono vantaggio

principalmente i coleotteri floricoli (che sinutrono direttamente di polline, anche diquello delle graminacee che, legato perla diffusione al vento, non necessita diimpollinatori); tra gli insetti pronubi i piùnoti appartengono ai lepidotteri, ai ditterie soprattutto agli imenotteri.Assai poco rilevante è il ruolo trofico delleorchidacee, anche se si tratta di piantetalvolta rare ed endemiche, dai fiorivistosi e ritenute gli elementi di maggiorinteresse conservazionistico di questecenosi vegetali. Infatti gli insetti chefrequentano i fiori delle orchidee nontraggono sempre beneficio da questevisite; la complessa coevoluzioneorchidee-impollinatori ha condotto a casiestremi di “inganno”, ad esempio nelgenere Ophrys, i cui fiori addiritturaricordano nell’aspetto le femmine dialcune api. In questo caso i maschi dialcuni generi di imenotteri si recanosui fiori attratti da stimoli chimici chescambiano per i feromoni emessi dalle

femmine della loro specie: sull’insettorimangono attaccate le masse pollinichedelle orchidacee, che vengono trasportatesu altri fiori della stessa specie, mal’imenottero non ne trae vantaggio.

Oltre al polline, una importante fontealimentare per gli invertebrati praticoli ècostituita dalle cariossidi dellegraminacee, sfruttate ovviamente sindall’antichità anche dall’uomo che hatrasformato estese aree prative inmonocolture di cereali. Si tratta di unafonte di cibo abbondante, sfruttata damolti insetti (in particolare dagliimenotteri formicidi e da coleotteri, tracui anche alcune specie di carabidi,notoriamente famiglia di insetti predatori)e dai numerosi uccelli granivori.Anche il fogliame, abbondante in pratie praterie, è ovviamente una fontealimentare di primaria importanza pergli insetti fitofagi e per vari ungulati.Il fogliame dei vegetali più abbondanti,le graminacee, non ha però un elevatovalore nutritizio, è ricco di silice e puòvenir sfruttato solo da insetti fitofagi conrobusto apparato masticatore: ne sonoun classico esempio gli ortotteri, chesono molto abbondanti in questi habitat.Anche le foglie di un’altra famiglia dipiante molto comune nei prati, leleguminose, sono poco appetibili aifitofagi, inclusi i vertebrati, poichécontengono nei tessuti sostanze tossiche.

Gli insetti sono gli invertebrati più noti efacilmente osservabili nei prati. Tra questi,numerose specie trascorrono l’intero ciclovitale in questi habitat, come gli ortotteri,gli omotteri, molti coleotteri e lepidotteri,mentre altri vi si ritrovano solo durantela fase adulta, essendo le larve legate ahabitat limitrofi, quali aree cespugliate oboscose; ne sono un classico esempiomolti imenotteri. Gli insetti praticolitradizionalmente oggetto di studiecologici e tassonomici e pertantomaggiormente utilizzati comebioindicatori sono gli ortotteri, alcunefamiglie di coleotteri ed i lepidotteri diurni.Gli ortotteri (cavallette, grilli e locuste)

manifestano un elevato grado di polifagia,tuttavia gli ortotteri sono particolarmenteidonei ad essere utilizzati come indicatoriambientali, in quanto comprendono per lopiù specie di dimensioni medie o grandi,pertanto ben visibili e spesso riconoscibilisul campo, nonché localizzabili grazie alloro canto. Si tratta inoltre di insetti chenon si allontanano molto dall’habitat incui vivono; numerose specie sono attere(prive di ali) o brachittere (ad ali ridotte)e pertanto incapaci di volare. Anche lespecie macrottere (dotate di ali bensviluppate) sono per lo più cattivevolatrici, sebbene con eccezioni (si pensialle locuste migratrici). Assieme agliortotteri, nei monitoraggi ambientali è utileanche lo studio dei mantodei (mantidi),

Fauna dei prati e delle praterie; da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso: mantide religiosamentre divora una farfalla (Erynnis tages), biacco, ortottero (Tylopsis liliifolia), lepidottero esperiide(Thymelicus acteon) e papilionide (Papilio machaon); nella lente: gasteropode e coleottero carabide

L’ortottero Saga pedo

Dittero bombiliide (Bombylius sp.) mentresucchia il nettare

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121120 predatori presenti in Italia con poco più diuna decina di specie, che si prestano acaratterizzare soprattutto gli habitat xericidella pianura e della costa e le isolexerotermofile interne. Nonostante il lorointeresse, gli ortotteri non hanno il giustoriconoscimento nella Direttiva Habitat;vi sono presenti infatti soltanto duespecie, delle quali una (Saga pedo,allegato IV) è presente in Italia in pratiaridi e nella macchia mediterranea, l’altra(Brachytrupes megacephalus, allegatoII e IV) localizzata in formazioni erboseplaniziarie della Sardegna sud-occidentale, Sicilia e qualche isolaminore e considerata in serio pericolodi estinzione.Tra i coleotteri, sono senz’altro i carabidii meglio studiati; per essi è ampiamentedocumentata la correlazione tra i lororaggruppamenti di specie ed i principalifattori biotici ed abiotici checaratterizzano gli habitat in cui vivono.Si tratta di un gruppo ricchissimo dispecie, tradizionalmente utilizzato comebioindicatore, ma gruppi altrettanto o piùnumerosi (quali gli stafilinidi, i curculionidie gli scarabeoidei) potrebbero senz’altro

essere utilizzati per scopi analoghi.La caratteristica che rende i carabidi unbuon soggetto di studio per finiapplicativi è in primo luogo la modalità dicampionamento: campionamenti continuimediante trappole a caduta permettono

di ottenere dati di tipo (semi)quantitativocomparabili in habitat e regioni diverse.Inoltre questi coleotteri sono per lo piùpredatori polifagi, vivono a livello dellasuperficie ed entro i primi centimetri dispessore del suolo, sono ben conosciutidal punto di vista tassonomico eautoecologico e, soprattutto, sidistribuiscono nell’ambiente secondochiare preferenze di habitat (non solopraticoli, ma anche boschivi, costieri osotterranei), tali da permetterel’identificazione di vere e proprie“carabidocenosi”. Queste associazioni dispecie non corrispondono in genere allefitocenosi analiticamente individuate daibotanici, ma a raggruppamenti dellestesse. A questa grande utilità negli studidi ecologia teorica e applicata si associala ricchezza di specie endemiche, taloramolto localizzate, che rende i carabidi ungruppo di grande interesseconservazionistico. Alla loro riconosciutaimportanza scientifica non ha fattoriscontro un adeguato riconoscimentolegislativo: si pensi che nella DirettivaHabitat una sola specie è presente negliallegati II e IV. Si tratta del raro Carabus(Chrysocarabus) olympiae, che si ritrovaesclusivamente in prati montani nelBiellese: l’utilità della scelta di questaspecie, sicuramente apprezzata daicollezionisti e seriamente minacciata, alfine di tutelare gli ambienti prativi èovviamente quantomento dubbia.Sono invece ampiamente rappresentatiin Direttiva Habitat i lepidotteri, cioè lefarfalle. Ordine di insetti molto noto,conta oltre 7.000 specie in Italia, moltedelle quali strettamente monofaghe.Non sono i numerosi microlepidotteri digrande rilevanza conservazionistica adessere tuttavia rappresentati in Direttiva;anche in questo caso la scelta dellespecie, con poche eccezioni, si èindirizzata verso quelle più vistose (perlo più ropaloceri), che maggiormente

attraggono l’attenzione e fungono da“specie bandiera”, con un criterio discelta fortemente influenzato dallanostra percezione della biodiversità.La maggior parte dei lepidotteri inseritiin Direttiva sono tipici di ambienti prativi;andiamo dal bellissimo Parnassius apollo,

che frequenta praterie e maceretimontani, al ricercato Papilio hospiton,presente in Sardegna dove frequentagarighe e steppe mediterranee, allosfingide Proserpinus proserpina, alla rara

Argynnis elisa che frequenta gli ericetisardo-corsi, alle rarissime Erebia calcaria(presente sporadicamente in nardo-calluneti e prati xerici calcicolialtomontani e subalpini dell’Italianordorientale) e Erebia christi (presentein pochi prati mesofili subalpini e alpinidel Piemonte settentrionale), per arrivarealla comune (ma endemica italiana)

Melanargia arge, delle garighe eformazioni erbose dell’Italia centro-meridionale.Non mancano interessanti elementilegati ai prati umidi, veri e propri habitatrelitti in via di rapida scomparsa. Viannoveriamo Coenonympha oedippus,

Lycaena dispar e Maculinea teleius,la cui sopravvivenza è legata non soloal mantenimento delle oasi relitte in cuivivono, ma anche alla regolamentazionedegli sfalci (che non debbono incideresui cicli riproduttivi), alla limitazionedell’uso ricreativo dei prati, al divietodi passaggio di mezzi motorizzati, aldivieto di pascolamento.La Direttiva Habitat riconosce l’interessecomunitario per numerose altre speciepraticole, tra le quali molti rettili che sonofra gli elementi più caratteristici, sebbenenon esclusivi, di questi habitat.Per gli uccelli, inoltre, la Direttiva Uccelliprevede misure speciali di conservazioneper quanto riguarda l’habitat di moltirapaci che cacciano nelle praterie comeil capovaccaio (Neophron percnopterus),il grillaio (Falco naumanni) e il lanario(Falco biarmicus), oltre ad altre specielegate a questi ambienti, come la gallinaprataiola (Tetrax tetrax), la calandra(Melanocorypha calandra) e la coturnice(Alectoris graeca), che in Italia popolaprincipalmente rupi montane e terrenirocciosi e scoperti.

Parnassius apollo

Scarabeo (Scarabaeus laticollis) che trasportauna pallina di sterco

Coenonympha oedippus

Proserpinus proserpina

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123122 La fauna delle foreste. La strutturadella fauna che si insedia nei boschi èdeterminata sia da fattori climatici siadalle interazioni biotiche tra animali epiante. Le faune delle diverse tipologie diforeste (dai boschi a sclerofille, ai boschiplaniziari, alle faggete e peccete montane,passando per i querceti mesofili) sonopovere di elementi esclusivi dei singolitipi forestali, essendo composteprevalentemente, ma con le dovuteeccezioni, da specie ad ampia diffusionedal livello del mare all’orizzonte montano.Il gradiente climatico, dalla pianura allamontagna, mostra un progressivoabbassamento della temperatura e dellabiodiversità, soprattutto per quantoriguarda gli invertebrati. Una minorepresenza di invertebrati, prevalentementeinsetti, si traduce in una minoredisponibilità di risorse alimentari ancheper i vertebrati che, grazie alla loroendotermia, sono influenzati in misuraminore dai fattori climatici. Cambianopertanto gli aspetti quantitativi più chequalitativi: si potrebbe dire che i fattoriclimatici giuochino un ruolo prevalentenello strutturare la biodiversità a largascala, mentre la composizione della faunaforestale a scala locale è strutturataprincipalmente da fattori biotici.Negli ambienti forestali le specie arboreerappresentano indubbiamente la risorsapiù importante sia come fonte alimentaresia come componente strutturaledell’habitat. Essendo le essenze arboreein genere longeve, su di esse si puòinstaurare una successione di faunediverse, a partire da quelle legate allaplantula appena nata, a quelle chesfruttano foglie e frutti negli individuimaturi, a quelle che si insediano nellecavità dei tronchi delle piante vetuste,a quelle che sfruttano il legnomarcescente di quelle morte. Sebbene quantitativamente inferiore intermini di biomassa, le foglie degli alberi

costituiscono una fonte alimentarequalitativamente superiore a quella dellegno, soprattutto per gli insetti.Vi sono innumerevoli specializzazioni tragli insetti fillofagi; andiamo dai bruchidei lepidotteri che attaccano le fogliedirettamente con il loro robusto apparatoboccale, alle larve minatrici, che scavanoinvece gallerie nello spessore delle foglie.Un meccanismo ancora più complesso èdato dai produttori di galle, in genere

imenotteri (ma anche acari e ditteri);attraverso uno stimolo chimico questespecie gallecole inducono le foglie aprodurre escrescenze (che hanno ingenere forme caratteristiche a secondadelle specie che le producono) al cuiinterno si sviluppano le larve. I più notiproduttori di galle (sia fogliari che legnose)sono gli imenotteri cinipidi; moltocaratteristici sono anche i loro parassiti.Oltre alle foglie degli alberi vengonosfruttati anche i fiori, i frutti, i semi. Nonsolo numerosissimi insetti, ma anche gliuccelli si cibano delle parti commestibilidei frutti favorendo la disseminazione.Il frutto della quercia, la ghianda, ospitaad esempio vari coleotteri curculionididel genere Balaninus, che allo stadiolarvale vivono al suo interno. La ghiandarappresenta una risorsa alimentare ancheper alcuni mammiferi, come i cinghiali(Sus scrofa), e uccelli, quali le ghiandaie(Garrulus glandarius). Rispetto alle foresteRampichino (Certhia brachydactyla)

Galla su roverella (Quercus pubescens)prodotta dal cinipide Andricus caputmedusae

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125124 di latifoglie, quelle di conifere offronominori risorse alimentari e sostengonopertanto una fauna più povera.Nei boschi di conifere, indipendentementedalla quota, vengono a mancare le fiorituree fruttificazioni tipiche dei boschi alatifoglie. Il polline delle conifere, che vienedisseminato dal vento, è pressoché inutilecome fonte di nutrimento, mentre il nettaremanca del tutto. Gli strobili (pigne), chesostituiscono nei boschi di aghifoglie ifrutti, albergano una comunità di insettimolto specializzati, ma di fatto sonoper la loro stessa natura una risorsaalimentare modesta. Infine, la consistenzacoriacea delle foglie aghiformi ostacolal’azione dei fillofagi, che sono ridotti apochi elementi specializzati.Il legno vivo o morto delle latifoglie ospitaun gran numero di specie di insetti xilofagi,ognuno con le proprie preferenze dimicrohabitat. I coleotteri scolitidi scavanogallerie sotto le cortecce; la loro azioneprovoca l’introduzione di miceli fungini e

crea le condizioni idonee all’insediamentodi una comunità costituita da numerosealtre specie (in particolare coleotteri editteri) che possono essere micetofaghe(cioè nutrirsi dei miceli fungini) o predatrici.Una ferita provocata sulla corteccia,permettendo la fuoriuscita della linfa, portaall’instaurarsi di un raggruppamentotemporaneo di specie legate ai materialiin fermentazione, costituita da saprofagiaccompagnati dai loro predatori. Tuttavianon per tutti gli alberi questo è possibile.Le conifere hanno un meccanismo didifesa molto efficace per contrastarequesti attacchi, costituito dalle resine.Queste, dotate di proprietà cicatrizzanti,antibatteriche e antimicotiche,rappresentano una barriera efficace neiconfronti di molti invertebrati, non soloper le loro caratteristiche chimiche, maanche per la loro consistenza fortementeviscosa in grado di contrastare l’uso dizampe, antenne e parti boccali. Con l’invecchiamento dell’albero e con

il formarsi al suo interno di cavità, allespecie legate al legno vivo cominciano asostituirsi quelle che si associano allegno divenuto marcescente sottol’azione di batteri e funghi. Si tratta dellefaune saproxiliche, che comprendono inparticolare numerosi ditteri e coleotteriche si sviluppano nelle cavità degli alberisenescenti. Alle specie legate,usualmente per una fase (quella larvale)del ciclo vitale ai vecchi alberi o ai tronchimarcescenti viene attribuito un elevatovalore conservazionistico, perché la loropresenza testimonia la maturitàdell’ambiente e la sua corretta gestione,fattori che consentono l’insediamentodi faune più specializzate e di unaimportante componente a vertebrati.Basti pensare all’orso bruno (Ursusarctos), al tasso (Meles meles) o alcinghiale (Sus scrofa) che scavano spessonei tronchi marcescenti per nutrirsi diinvertebrati, soprattutto larve di insetti etermiti, oppure ai numerosi uccellientomofagi, come i picidi. È per questomotivo che nell’allegato II della DirettivaHabitat troviamo un certo numero di insettilegati a foreste vetuste: basti pensare aicoleotteri con larve xilofaghe, come illucanide Lucanus cervus (il noto cervovolante), i cerambicidi Cerambyx cerdo,Rosalia alpina e Morimus asper funereus,gli scolitidi del genere Stephanopachys,o il rarissimo buprestide Buprestissplendens, relegato in Italia a boschi diconifere sul Pollino, o ancora il rarocetoniide Osmoderma eremita.Rosalia alpina e Osmoderma eremitasono specie prioritarie; in particolareRosalia alpina, legata alle faggete mature,per la sua vistosità è stata di recenteassunta al ruolo di specie “bandiera” innumerose aree protette.Ma i tronchi dei vecchi alberi riservanoanche altre sorprese. Sebbene un alberopossa sembrare un luogo di interessenullo per l’idrobiologo, in realtà le cavità

(dendrotelmi o tree-hole) che trattengonol’acqua piovana, di solito presenti negliesemplari vetusti di querce e faggi allabase del tronco e nelle ceppaie,costituiscono dei microhabitat peculiari.Numerosi insetti si riproducono etrascorrono la loro fase larvaleesclusivamente nei tree-hole; tra essiannoveriamo alcuni ditteri ceratopogonidi,culicidi (zanzare appartenenti ai generi

Aedes e Anopheles), chironomidi e sirfidi(Myiatropa florea), nonché il coleotteroscirtide Prionocyphon serricornis.La presenza di cavità negli alberi è moltoimportante anche per le colonie diimenotteri sociali (vespe, api e formiche),che vi si insediano con il loro corteggio dicommensali e parassiti. Inoltre numerosisono gli uccelli che nidificano in questimicroambienti, tra i quali ricordiamol’allocco (Strix aluco) e il picchio rossominore (Picoides minor). Le cavità sonofrequentate anche da numerosimammiferi; non solo scoiattoli (Sciurusvulgaris), ma numerose specie di chirotterivi trovano spesso esclusivo rifugio per losvernamento o il riposo diurno.Ricordiamo che tutti i pipistrelli sonoinseriti negli allegati della Direttiva Habitate sono tra i mammiferi a più elevatogrado di minaccia in Europa.Anche il ghiro (Glis glis), il moscardino(Muscardinus avellanarius) e il quercino(Eliomys quercinus) frequentano le cavità

Fauna delle foreste (querceto); dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra: coleottero lucanide (cervovolante), elateride e carabide; toporagno; coleottero cerambicide, lepidottero ninfalide (Inachis io) e chilopodelitobiide; picchio rosso maggiore; ditteri brachiceri e lepidottero tortricide (Tortrix viridana, adulto e bruco)

Larva di zanzara, tipica abitatrice dei tree-hole

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127126 degli alberi per trovarvi rifugio, seppurenon in modo esclusivo: le ultime duespecie sono incluse nella Direttiva Habitat. Una volta morto l’albero, le foglie morte ei tronchi marcescenti al suolo subisconoun’opera di demolizione fino allamineralizzazione da parte di batteri,funghi, nematodi, anellidi e vari gruppi diartropodi, in particolare acari, isopodi,diplopodi e collemboli. Proprio i ceppifradici che marciscono al suolorappresentano pertanto un ambientericco di vita: nei legni e nei muschi che liricoprono si concentrano molti saprofagi.Nel modesto volume di un troncomarcescente si origina un’intera catenaalimentare comprendente, oltre aidecompositori, anche consumatoriprimari (su muschi e patine algali) esecondari (predatori o parassiti), questiultimi rappresentati soprattutto da larvedi insetti, coleotteri carabidi e stafilinidi,ragni e chilopodi. La comunità checomprende i decompositori e i loropredatori presenta una elevata diversità esi continua con quella della lettiera e delsuolo profondo, che costituiscono habitatben distinti. Appartengono alla faunadella lettiera nematodi, gasteropodi,

oligocheti, pseudoscorpioni, acari, ragni,isopodi, chilopodi, diplopodi, pauropodi,sinfili, collemboli e numerosi ordini diinsetti, soprattutto coleotteri e imenotteri.Nel suolo al di sotto della lettiera

(ambiente endogeo) vivono invecenumerose specie endemiche, chepresentano caratteristiche adattative(microftalmia o anoftalmia, sviluppodegli organi di senso, depigmentazione)simili a quelle degli abitatori delle grotte.

Il terreno ospita inoltre microambientitemporanei soggetti a rapidemodificazioni nel tempo, costituiti damateriali in decomposizione quali sterco(soprattutto di mammiferi), cadaveri divertebrati e invertebrati, funghimarcescenti. Il numero di specieospitate da questi microhabitat è moltoelevato e il loro ricambio è rapido.Ricca è anche la comunità ospitata daicorpi fruttiferi dei funghi (i funghi carnosicon gambo e cappello che siamo abituatia vedere nei boschi).Non tutti i boschi presentano però unalettiera così ricca di specie; l’aridità delsuolo dei boschi a sclerofille e la suaesiguità nelle aree rocciose hanno comeconseguenza una minore diversità dicriptozoi. Al contrario la fauna dellalettiera dei boschi planiziari, influenzatadal livello della falda e taloraperiodicamente allagata, è per questomotivo più povera di quella dei boschicollinari, ma si arricchisce di unapeculiare comunità di specie interstizialiche vivono nel suolo imbibito d’acqua(habitat ipotelminorreico). Inoltre lecaratteristiche della vegetazione si

ripercuotono su quelle del suolo: le foglieaghiformi delle conifere, ad esempio, sidecompongono meno rapidamente diquelle delle latifoglie e si accumulanodando luogo ad una lettiera acida,alterata chimicamente dalle resine espesso arida. La fauna di lettiera delleforeste di conifere è in genere ben piùpovera di quella che caratterizza levicine faggete, e molto più povera diquella dei querceti mesofili pedemontanio dei boschi planiziari.Con ovvie eccezioni, le specie animalilegate allo strato arbustivo sono ingenerale le stesse che frequentano lostrato arboreo, mentre il popolamentodello strato erbaceo, quando presente, èpiuttosto scarso. Esso diviene più ricconelle cosiddette chiarie, cioè le radure,naturali o dovute all’azione dell’uomo,all’interno del bosco, dove si possonoosservare numerose specie di lepidotteri,coleotteri, ditteri e imenotteri. Si trattaspesso di animali le cui larve si sonosviluppate a spese delle essenzearboree, ma talora si tratta di elementiche poco hanno a che fare con l’habitatforestale, provenendo invece dai prati edai coltivi circostanti. Tra le specie piùvistose che frequentano le radure deiboschi mesofili montani, il lepidotteroParnassius mnemosyne è inserito

nell’allegato IV della Direttiva Habitat;la rarissima Euphydryas maturna, specie

di allegato II di recentissimo rinvenimentoin Italia (Piemonte occidentale), frequentada adulta le radure di boschi mesofilimontani, mentre la larva è legataall’essenza arborea Fraxinus excelsior.Non dobbiamo inoltre dimenticareche un particolare contributo alladiversità biologica nei boschi vienefornito dai cosiddetti ecotoni: conquesto nome si indicano le aree ditransizione tra ecosistemi differenti,come le strette fasce arbustive presentitra i boschi e le praterie o i coltivi.Questi ambienti possiedonocaratteristiche proprie e molte specieanimali (ad esempio molti ortotteri,coleotteri, rettili e uccelli come l’usignolo,Luscinia megarhynchos) si associanoregolarmente ad essi. Tra queste vannoricordati anche numerosi lepidotteri, trai quali specie incluse negli allegati diDirettiva. Frequentano i margini deiboschi xerici montani gli adulti di Papilioalexanor (allegato IV) diffuso nell’estremolembo orientale delle Alpi Marittime eLiguri e con stazioni relitte in Calabria eSicilia, mentre i margini igrofili di boschimesofili montani erano frequentati dallicenide Lycaena helle (allegati II e IV).Purtroppo per questa specie (le cui larvesono legate alla poligonacea Polygonumbistorta), le ultime segnalazioni per l’Italia(Trentino-Alto Adige) risalgono agli inizidel ‘900, e molti autori consideranoLycaena helle ormai estinta nel nostroPaese. Ancora ben distribuite in Italiasono invece Zerynthia polyxena, chefrequenta i margini di boschi mesofilimontani inferiori o mediterranei, eMaculinea arion, i cui adulti sono presentiai margini di boschi xerotermici montani,mentre le larve frequentano prati epraterie con timo e origano; entrambe lespecie sono inserite in allegato IV.Infine Euphydryas aurinia (allegato II)frequenta i margini di boschi mesofiliplaniziari nell’Italia settentrionale.

Lo scorpione Euscorpius tergestinus, predatoredelle comunità di lettiera

Parnassius mnemosyne

Il gasteropode limaciide Limax sp.

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129128 La fauna delle grotte. L’habitatcavernicolo è solitamente interpretato amisura d’uomo come quella parte disottosuolo esplorabile, costituito dallegrotte (Habitat 8310 “Grotte non ancorasfruttate a livello turistico” dell’allegato Idella Direttiva Habitat). Questa visionespeleologica ed antropocentrica nonrispecchia però la realtà: l’habitatcavernicolo comprende sia le cavitànaturali propriamente dette, cioèpercorribili dall’uomo, sia l’insieme dellefessure di medie, piccole e piccolissimedimensioni che si formano perdissoluzione nelle rocce carbonatiche, siail cosiddetto ambiente sotterraneosuperficiale che sfuma nell’epicarso, cioènello strato superiore di disgregazionedella roccia. Tutti questi habitat, checondividono buona parte della loro faunaad invertebrati, sono caratterizzatidall’assenza di luce: ne consegue che lapresenza delle piante è relegata in genereai primi metri dall’entrata delle grotte.Se i vegetali sono praticamente assentiin questi ambienti, essi sono tuttavia iprincipali produttori della sostanzaorganica che viene veicolata nelsottosuolo dalle acque. Alla base dellepiramidi alimentari dell’ambientesotterraneo troviamo pertanto i detritivori,consumatori primari di sostanze animalie vegetali in decomposizione. Il livellosuccessivo della piramide comprendeinvece i predatori.Gli organismi che frequentano l’ambientesotterraneo sono in realtà un insieme dispecie che presentano differenti gradi difedeltà a questo habitat. Gli organismicavernicoli si definiscono: troglosseniquando la loro presenza in grotta èsporadica e accidentale; subtroglofiliquando abitano le grotte regolarmente osolo in alcuni periodi della loro vita, marimangono legati alla superficie peralcune funzioni biologiche; eutroglofiliquando mostrano una netta preferenza

per le grotte e particolari adattamenti checonsentono ad alcune popolazioni divivere permanentemente nell’ambientesotterraneo, pur potendo altrepopolazioni della medesima specie viveree riprodursi anche all’esterno; troglobiquando sono esclusivamente legatiall’ambiente di grotta, mostrando gliadattamenti più spiccati (morfologici efisiologici) all’ambiente cavernicolo ecompiendo all’interno delle grotte il lorointero ciclo vitale.

Per gli organismi acquatici sotterranei, siusano spesso con analogo significato itermini stigosseni, substigofili, eustigofilie stigobi, termini derivati dal mitico Stige,il fiume che le anime dei morti devonotraghettare per entrare nell’Oltretomba.Tra gli adattamenti peculiari dei troglobiricordiamo la riduzione o l’assenza degliocchi, la depigmentazione, lo sviluppodegli organi di senso, l’allungamento diarti e appendici, il metabolismo ridotto,l’aumento del volume delle uova e lariduzione del loro numero. Importantiinoltre sono la neotenia, ovvero ilraggiungimento della maturità sessualedurante la fase larvale, e la progenesi, incui alcuni caratteri dell’adulto vengonoanticipati nello sviluppo: comeconseguenza l’adulto, maturosessualmente, conserva caratteristichetipiche dello stadio giovanile o larvale.I troglobi nel corso dell’evoluzione hannoIl vespertilio maghrebino (Myotis punicus), frequente nelle grotte della Sardegna

Associazione parietale con Dolichopodabaccettii (Monte Argentario)

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131130 dato origine, per isolamento, a numerosespecie endemiche, la cui distribuzione èlimitata ad una ristretta area geografica,spesso ad un solo massiccio carsico,talvolta ad una sola grotta. Non a caso siusa per l’habitat cavernicolo l’appellativodi “scrigno di biodiversità”: è questo unodei motivi principali per i quali le grottesono considerati come ambienti naturalimeritevoli della massima tutela.Per quanto attiene alla fauna terrestre,è possibile individuare nelle grotte lapresenza di diverse associazionifaunistiche ben evidenti. Nella zonaprossima agli ingressi delle cavità sipossono incontrare, a seconda delperiodo dell’anno e del clima, animali chevi trovano occasionale o regolare rifugio:comuni sono i piccioni, i ghiri e, tra gliinvertebrati, i molluschi e numerosiartropodi. Dalla zona di penombra finoalla parte iniziale della zona oscura siincontra la cosiddetta associazioneparietale; si tratta di una eterogeneacomunità che occupa le pareti e la volta

delle cavità ed è composta da specieper lo più subtroglofile, come ditteri,lepidotteri, ortotteri, ragni e opilioni.Le zone interne delle grotte possonoessere utilizzate dalle coloniedi chirotteri che, con le loro deiezioni,formano il cosiddetto guano cherappresenta una importante fonte di ciboper l’associazione guanobia, checomprende tra gli altri oligocheti, acari,collemboli, coleotteri colevidi e stafilinidie larve di ditteri. Nelle zone più profondedelle grotte, dove la temperatura ècostante, l’umidità è elevata ed il buiototale, si incontrano i veri cavernicoli.Si tratta principalmente di isopodi,diplopodi, collemboli, ragni,pseudoscorpioni e numerosi coleotteri,soprattutto carabidi e colevidi. Gli ambienti delle acque carsichesotterranee costituiscono habitat moltoparticolari. La zona vadosa (ove prevalelo scorrimento verticale delle acque dipercolazione, che spesso si accumulanonell’epicarso) ospita una fauna adattata

alla vita nelle microfessure, che puòessere rinvenuta nelle vaschette distillicidio. Si tratta di organismi in genereminuti, dal corpo allungato o appiattitoin relazione allo stile di vita (nematodi,oligocheti e soprattutto crostaceicopepodi, sincaridi ed anfipodi).La zona satura invece, in cui prevale loscorrimento orizzontale, ospita unnumero più elevato di specie; vi troviamo,oltre ai gruppi in precedenza menzionati,anche i grossi crostacei (isopodi, anfipodie decapodi) e, nella Venezia Giulia,il proteo (Proteus anguinus).

Le cause di degrado dell’habitatcavernicolo consistono in interventiumani effettuati nelle immediatevicinanze delle cavità o anche lontano daesse, ma vicino alla fonte di infiltrazionedelle acque o a sistemi di microfessurecollegati con la grotta stessa. Tra questesono rilevanti la presenza di scarichifognari, di pratiche agricole ezootecniche intensive, di discarichenonché l’impermeabilizzazione del suoloche priva le grotte delle acque dipercolazione e pertanto dell’apporto dinutrimento. Talora il disturbo umanoviene perpetrato all’interno delle grotte,ed una delle minacce più serie a questi

ecosistemi deriva dalla loro apertura alturismo. Considerando la ricchezza inspecie endemiche, i problemi di gestionesono rilevanti: sicuramente il puntodebole delle scelte sinora effettuate èstato quello di tutelare prevalentementesingole cavità e non intere aree carsiche,non impedendo di fatto le attivitàantropiche più dannose. Per quantoriguarda la fauna, negli allegati II e IVdella Direttiva accanto al proteo, specieprioritaria, troviamo tutti i chirotteri e,tra gli anfibi, i geotritoni (genereSpeleomantes). Fortemente carente èinvece la lista degli invertebrati, ove èstato di recente incluso solo il coleotterocolevide Leptodirus hochenwartii,

presente in Italia in una sola grottadel Carso triestino. Le grotte non si formano solo nelle roccecarbonatiche; il carsismo si sviluppainfatti anche nelle evaporiti (gessi) e neiconglomerati. Cavità particolari siformano poi in rocce non calcaree, perfratturazione, scorrimento di acque diinterstrato, o ancora in seguito allecolate laviche. Di queste ultime (Habitat8320 “Campi di lava e cavità naturali”),la cui fauna è ancora poco studiata,troviamo esempi bellissimi sull’Etna.

Leptodirus hochenwartii

Proteo (Proteus anguinus)

La fauna delle grotte (Carso Goriziano); da sinistra a destra e dall’alto in basso: Troglocaris planinensis(decapode), Marifugia cavatica (polichete), Cypria cavernae (ostracode, nella lente), Proteus anguinus(anfibio) e Niphargus steueri (anfipode)

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■ La fitosociologia in ambito marino

La diversità dei vegetali marini bento-nici o macrofitobentos sulle coste ita-liane è di 924 taxa criticamente accer-tati e di circa un altro centinaio la cuipresenza richiede ulteriori studi. Circauna ventina di questi taxa è formata daspecie aliene introdotte dalle attivitàantropiche o migrate dall’OceanoIndiano attraverso il Canale di Suez.Queste specie fanno parte di un contingente di 85 specie aliene del Mediterra-neo che nell’ultimo ventennio sembrano essersi stabilmente insediate in que-sto mare, che ospita in totale 1351 specie di macroalghe e di angiospermemarine. Il manto vegetale strutturato dalle specie macrofitobentoniche è statoarticolato con il metodo fitosociologico in 85 unità vegetazionali: 5 classi, 9ordini, 11 alleanze, 53 associazioni, 10 subassociazioni.Applicando a queste unità vegetazionali l’ecologia del paesaggio, si percepi-scono nel sistema fitale marino tre unità principali: ● il paesaggio ad alghe brune delle scogliere sommerse, coperte da un den-so manto algale, articolato in fasce sovrapposte dalla superficie in profondità; ● i paesaggi sui substrati clastici coperti dai prati e dalle praterie ad angio-sperme marine e/o da alghe verdi rizofitiche e polienergidiche, ma anche daletti ad alghe rosse calcaree libere di rotolare sul fondo, formanti rodoliti, rodoi-di e ciottoli rivestiti; ● i paesaggi biocostruiti dalle alghe calcaree fissate ai substrati duri e checostruiscono sia l’habitat delle piattaforme calcaree superficiali sia quello del-la biocenosi del coralligeno in profondità.Questi complessi paesaggistici vegetazionali sono costituiti da vari habitat e sonooggetto di misure di conservazione da parte del Programma delle Nazioni Uniteper l’Ambiente/Piano di Azione per il Mediterraneo (UNEP/PAM) con due piani diazione specifici: il primo, firmato a Malta nel 1999, ha come oggetto vari habitatdella vegetazione marina ed il secondo, firmato ad Almeria nel 2008, intende pro-teggere la biocenosi del coralligeno e le altre biocostruzioni marine.

133Habitat marini: vegetazioneTHALASSIA GIACCONE· GIUSEPPE GIACCONE

Coralligeno con Lithophyllum stictaeforme e Parazoanthus sp.

Fondo a rodoliti

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135134 pe “…una determinata parte del territorio, così come percepita dalle popola-zioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle lorointerrelazioni”. Con qualche precisazione questa definizione si può estendereanche al paesaggio marino o Seascape. Nella definizione del paesaggio mari-no entrano due componenti: la componente fisica costituita prevalentementedalla geomorfologia del territorio e la componente biotica formata nei fondalimarini prevalentemente dal bentos (organismi fissati al substrato) vegetale eanimale e nell’orizzonte dell’acqua anche dal necton (organismi nuotatori). Maper la percezione del paesaggio è necessaria una terza componente: quelladell’osservatore che in mare è generalmente un operatore subacqueo. Il primo documento letterario che descrive la percezione del paesaggio èinquadrato nella cultura dell’Umanesimo europeo. Francesco Petrarca, infatti,in una lettera scritta nel 1336 al suo consigliere spirituale Padre Dionigi da Bor-go San Sepolcro, descrive la sua salita insieme al fratello sul Monte Ventosopresso Avignone e la sua scoperta della percezione del paesaggio naturaleche lo circonda o che immagina, come un’armoniosa presa di coscienza delrapporto dell’uomo con la natura nella dimensione non solo estetica e senti-mentale, ma soprattutto spirituale nel progetto di Dio che li sostiene entrambi.In questa lettera vi sono due elementi utili per inserire il Seascape nello studiodell’ecologia del paesaggio: la popolazione degli osservatori può anche esse-re fatta da una o due persone, come avviene nelle immersioni subacquee, e lacomponente naturalistica geomorfologica e biocostruita può anche non esse-

Nel Libro Rosso pubblicato da UNEPnel 1990, sono elencati: 48 specievegetali, 11 popolamenti e 6 paesaggimarini ricchi di vegetazione, minaccia-ti di estinzione e/o di grave alterazionein Mediterraneo. Con l’eccezione di 3specie vegetali (Caulerpa mexicana,Caulerpa scalpelliformis e Ptilophoramediterranea, accantonate nel mare diLevante e nell’Egeo) non presenti neimari italiani, tutte le altre specie, tutti ipopolamenti e tutti i paesaggi sonopresenti sulle coste italiane. Nell’elen-co dei tipi di habitat marini, compilato

da un gruppo di esperti anche italiani e pubblicato nel 1998 da UNEP, sonoelencate 83 associazioni vegetali (inclusi gli aggruppamenti ed i popolamenti)tutte segnalate sulle coste italiane. Di queste associazioni vegetali 38 sonoclassificate da UNEP nel 2000 come habitat prioritari per definire le ASPIM(Aree Specialmente Protette di Interesse per il Mediterraneo). In questo docu-mento sono indicati in totale 61 habitat prioritari (a prevalente composizionevegetale o animale) e tutti sono presenti sulle coste italiane. Nell’Allegato Idella Direttiva Habitat 92/43/CEE (modificato nel 1997) tra gli 8 habitat marini(tutti presenti nei mari italiani) alcuni sono considerati prioritari e tra questi:“Praterie di posidonie” e “Lagune costiere”, caratterizzati dal prevalere divegetali marini.Nel Protocollo ASPIM/DB della Convenzione di Barcellona (1995) sono elen-cate nell’Allegato II 14 specie vegetali in pericolo o minacciate, 13 delle qualisono presenti negli habitat delle coste italiane; inoltre nell’Allegato V (Speciedi interesse comunitario che potrebbero essere soggette a misure di gestio-ne) della Direttiva Habitat sono riportate due specie di alghe rosse calcareelibere (Lithothamnion corallioides, Phymatolithon calcareum) che contribui-scono a formare l’associazione a rodoliti (habitat prioritario per definire leASPIM) presente in molte regioni dell’Italia.Gli aspetti vegetazionali tipicamente marini degli habitat italiani sono trattati inquesto paragrafo seguendo i principi dell’ecologia del paesaggio. Il paesaggioha in Mediterraneo, nel dominio pelagico, un ritmo nictemerale mentre neldominio bentonico, ed in particolare nel piano infralitorale, la sua periodicità èstagionale (l’alternarsi nelle cinture dei vari orizzonti delle cistoseire in prima-vera-estate ed in autunno-inverno degli idrozoi e delle dictiotacee). La Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000), firmatadagli Stati della Comunità Europea, definisce il paesaggio terrestre o Landsca-

Lithothamnion corallioides

Prateria a Posidonia oceanica

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re percepita in tutte le sue parti dall’occhio, ma in parte anche immaginata, uti-lizzando visioni memorizzate in precedenza.Il paesaggio marino può anche essere emerso, ma allora non può essere ilmare aperto, ma quello della fascia costiera con le sue unità fisiografiche, isuoi complessi biocenotici (comunità viventi) ed in particolare vegetazionali ele strutture antropiche finalizzate non solo a scopi residenziali, ma anche aitrasporti, agli insediamenti produttivi e turistici. Questo paesaggio marinoemerso è percepibile dalle popolazioni e può esprimere anche elementi cultu-rali che si integrano con quelli naturali.Nel paesaggio marino sommerso del Mediterraneo, accessibile con addestra-mento e attrezzature di medio livello, si percepiscono tre unità principali:● i substrati rocciosi del sistema fitale (o vegetale) coperti da un denso e arti-colato manto algale;● i substrati clastici, cioè non concrezionati, coperti dalle praterie ad angio-sperme (piante superiori) marine e/o dai prati di alghe verdi polienergidiche(radicanti e senza organizzazione cellulare), ma anche da estese formazioni arodoliti (alghe rosse calcaree rotolanti libere sul fondo sabbioso);● le formazioni organogene con prevalenza di alghe calcaree delle piattafor-me a corallinacee in superficie e della biocenosi del coralligeno in profondità.Nel sistema afitale (senza vita vegetale) si hanno formazioni organogene agrandi coralli bianchi e gialli, ma la loro percezione è possibile attualmente sol-tanto attraverso lo schermo collegato ad una telecamera filo-guidata.

137136

Biocostruzioni

Il paesaggio ad alghe brune dellescogliere sommerse. Il paesaggiovegetale sulle scogliere marinesommerse ha due componenti biotiche(fotofila e sciafila) in relazione ai valori diirradianza e al prevalere nei vari siti dellaluce incidente o della luce riflessa.Queste componenti variano la loroazione in funzione della profondità, dellastratificazione termoalina, della tipologiae dell’intensità dell’idrodinamismo, dellageomorfologia e natura (clastica orocciosa) del substrato. Inoltre sonoimportanti le relazioni biotiche tra basifitied epifiti, tra strato elevato e sottostratoed infine tra erbivori e prodottiantierbivori (sostanze allelopatiche),selezionati nel processo di coevoluzionedei vegetali marini con i loro utilizzatori(predatori). Nel mediolitorale possono

entrare, come componenti delpaesaggio, principalmente dueassociazioni di alghe a tallo molle:il Nemalio-Rissoelletum verruculosae(la specie più diffusa è conosciuta come“spaghetti di mare”) e nell’Adriaticosettentrionale il Fucetum virsoidis (laspecie strutturante è chiamata nelleregioni venete per le sue vescicoleaerifere “l’alga che fa le ciocche”).La vegetazione fotofila dell’infralitoralee del circalitorale è caratterizzata da unasuccessione di cinture e/o di prati adalghe brune, le più diffuse delle qualisono specie endemiche del genereCystoseira.Nei biotopi più superficiali, compresi trala frangia infralitorale e 10-12 m diprofondità, con irradianza tra 80 e 10%di quella incidente in superficie, si hanno

Associazione Cystoseiretum strictae

La vegetazione degli habitat marini

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139138 tipologie ed intensità di idrodinamismo damoto ondoso che determinano, fino a 2-5m, il prevalere di cistoseire cespitose e,oltre queste quote batimetriche, dispecie a cauloide unico. La componentemultidirezionale e la capacità disintetizzare sostanze antierbivore(terpeni ciclici con gruppi laterali metilici),unitamente alla capacità di resistereanche a periodi di emersione, hannodato origine nella frangia infralitorale allacintura vegetale più estesa in tutti isettori biogeografici delle coste italiane:l’associazione Cystoseiretum strictae.Quando al di sotto della frangial’idrodinamismo diventa bidirezionalee oscillante si sviluppa l’associazioneCystoseiretum crinitae; immediatamenteal di sotto l’idrodinamismounidirezionale ondulato fa sviluppare ilCystoseiretum sauvageauanae. Questopaesaggio dell’infralitorale superiore emedio è favorito anche dall’instaurarsidi due fasce di alotermoclino estivo-autunnale che in maniera più netta siformano nel medio e nel basso Tirrenoe nel Canale di Sicilia.In altri settori biogeografici delle costeitaliane la zonazione vegetazionale inquesti ambienti si ferma alla prima o allaseconda fascia ed il resto dello spaziosommerso è colonizzato sia da altre alghebrune della famiglia dictiotacee sia daaltre cistoseire cespitose e/o a cauloideunico, caratterizzate da una più ampiavalenza ecologica o con distribuzionelimitata (endemismi puntiformi).L’insieme di questa vegetazione adalghe brune (appartenente all’alleanzafitosociologica Cystoseiron crinitae)è considerato uno dei paesaggi marinimaggiormente minacciati dall’attivitàantropica ed è denominato “Forestaa Dictyopteris (membranacea)polypodioides” dal nome dell’alga brunapiù diffusa in questi livelli intutto il Mediterraneo.

La vegetazione della parte più profondadell’infralitorale risente ancoradell’idrodinamismo da moto ondoso chea queste profondità (da 20 a 40 m)diventa unidirezionale fluente. L’intensitàluminosa non scende al di sotto dell’1%di quella incidente sulla superficie ed ilmanto vegetale dello strato elevato ècaratterizzato dall’associazione vegetaleCystoseiretum spinosae.Al di sotto di questi valori di irradianzadella luce incidente, comincia ilcircalitorale, caratterizzato in ambienticon correnti di fondo laminaridall’associazione Cystoseiretumzosteroidis e dalla sua subassociazioneLaminarietosum rodriguezii.In ambienti di stretto (in particolare nelloStretto di Messina oltre che nello Strettodi Gibilterra) con correnti pulsanti diforte energia, si afferma l’associazioneCystoseiretum usneoidis con la suasubassociazione Laminarietosumochroleucae. Entrambe queste dueassociazioni a laminarie hanno unsingolare significato corologico. Laminariarodriguezii, infatti, è un relitto oligocenico

dell’Alto Oceano Pacifico che in questaera geologica comunicava con laMesogea (il Mediterraneo di epoca

Laminaria rodriguezii

terziaria) attraverso un Oceano Articotemperato ed un mare asiatico dipiattaforma continentale detto Via Turgai.Laminaria ochroleuca si trova diffusa nelvicino Atlantico e nel Mare di Alboranall’ingresso dello Stretto di Gibilterra. NelloStretto di Messina è rimasta accantonatada circa 5 milioni di anni, cioè dallatrasgressione atlantica detta dei Trubi.Le fasce vegetazionali profonde formanoun paesaggio sommerso e sonoraggruppate nell’alleanza fitosociologicaSargassion hornschuchii. Le associazionivegetali a cistoseire che si spingono amaggiori profondità (oltre 70-100 m)sono nell’Adriatico (ma anche in tutto ilMediterraneo orientale) caratterizzateda Cystoseira corniculata e Sargassumtrichocarpum, mentre in Mediterraneooccidentale si sviluppa in maniera piùestesa l’associazione Cystoseiretumdubiae alla quale si associa Sargassumhornschuchii.

Altre associazioni vegetali della classeCystoseiretea, con distribuzione piùlimitata o presenti in ambienti “ruderali”,cioè fortemente antropizzati, sonoraggruppate nell’ordine Ulvetalia, altresviluppate su fondali con sabbie limose ecaratterizzate da specie sia indigene sia

aliene del genere Caulerpa, sono partedella classe Caulerpetea. Nel sottostratodella vegetazione relativamente fotofila oin ambienti caratterizzati dal prevaleredella luce riflessa su quella incidente ecomunque con debole irradianza, sisviluppa una vegetazione sciafila. Questavegetazione à generalmente distribuita amosaico e non forma paesaggi sommersieccetto nelle ampie falesie subverticaliche a volte si estendono per alcunedecine di metri. Questa vegetazionesciafila è inserita nella classeLithophylletea, per l’infralitorale fa partedell’ordine Rhodymenietalia e per ilcircalitorale dell’ordine Lithophylletalia.Nell’infralitorale si distingue un aspettovegetazionale sciafilo superficiale,descritto nell’alleanza Schotterionnicaeensis, presente nella frangiainfralitorale e all’ingresso delle grottesemisommerse; un aspetto sciafilointermedio documentato nell’alleanzaPeyssonnelion squamariae, diffuso nellepareti subverticali, ma anche nel sottostrato dei cistoseireti e dei posidonieti.Questi aspetti sciafili sono dominatinell’infralitorale da alghe rosse laminari enastriformi (Peyssonnelia, Rhodymenia,

Schottera, ecc.), da alghe brune foliacee(Zonaria, Lobophora, ecc.) e da algheverdi polienergidiche globose, filamentosee laminari (Codium, Flabellia, Cladophora,Halimeda, ecc.).

Sargassum hornschuchii

Peyssonnelia squamaria

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141140 I paesaggi biocostruiti dalle alghecalcaree. I paesaggi ad alghe bruneerette, ricordati nel paragrafo precedente,richiamano boschi e prati in miniatura;in questo paragrafo incontriamo ipaesaggi biocostruiti dalle alghe calcaree,in sinergia con animali biocostruttori,che ricordano le scogliere coralline deimari tropicali o i termitai, ma anche gliagglomerati urbani con architetturacomplessa. Le biocostruzioni conprevalenza di alghe calcaree con aspetto“monumentale”, quindi con capacità dicaratterizzare i paesaggi, si sviluppano siain superficie, soprattutto nel mediolitorale,con le “piattaforme a corallinacee”,sia in profondità con la biocenosi delcoralligeno. Quest’ultima si sviluppa inmaniera semplificata in ambientiprincipalmente boreali dell’infralitorale(Mar Ligure e Adriatico) ed in manieramatura e complessa in ambientisubtropicali del circalitorale (Mar Tirreno,Stretto di Sicilia, Mar Jonio).Le biocostruzioni algali si realizzano per

un sinergismo biotico tra le speciecomponenti che si accresconosovrapponendosi e/o saldandosi.Si hanno anche fasi di fossilizzazionee di ricolonizzazione che possono averedurata plurisecolare e di millenni.La capacità di costruire l’habitat in questespecie algali è conseguente almeccanismo di mineralizzazione dellaparete cellulare, sotto forma di carbonatodi calcio e magnesio e con formecristalline, prevalentemente calcitichenelle corallinacee ed aragonitiche nellepeissonneliacee e nelle udoteacee.Il fenomeno della calcificazionecontribuisce ad equilibrare il deficit dianidride carbonica che accompagna lafotosintesi e a mantenere quindi ilpotenziale alcalino nell’acqua di mare.Le associazioni vegetali che determinanoa livello del mare paesaggi biocostruitisono, sulle coste italiane del Mediterraneooccidentale, il Lithophylletum byssoidise in quelle del Mediterraneo orientale(compreso il Mar Jonio e il Mare

Biocostruzione con Cladocora

Adriatico) anche la sua subassociazioneLithophylletosum trochanteris.Nel mediolitorale la costruzioneorganogena è realizzata soprattuttodall’attività di Lithophyllum byssoides,Lithophyllum trochanter (raramenteassociato in Italia a Tenarea tortuosa),Neogoniolithon brassica-florida,Lithophyllum papillosum e, all’ingressodelle grotte semisommerse, daPhymatolithon lenormandii.Alla base della parte vivente di questecostruzioni si trova spesso, in endobiosi,un tappeto di alghe azzurre o cianobatteri.Nella parte alta dell’infralitoralel’associazione Ceramio-Corallinetumelongatae può costituire estese cinturebiocostruite. Varie alghe calcareeincrostanti ricoprono le rocce sommerse,ma non sviluppano paesaggi biocostruiti. La biocenosi del coralligeno sulle costeitaliane dell’infralitorale e del circalitoraleforma il paesaggio biocostruito più estesoed il più spettacolare sia per la ricchezzain biodiversità (316 specie vegetali) sia

per la fantasia di forme e di colori.L’associazione vegetale responsabile diquesta biocostruzione è il Lithophyllo-Halimedetum tunae. Le alghe calcareeche contribuiscono maggiormente allabiocostruzione sono Lithophyllumstictaeforme, Mesophyllum alternans,M. lichenoides e Halimeda tuna.Dati sperimentali hanno ottenuto misuredi produzione di calcare compresi tra 465g/m2 di carbonato di calcio per anno incomunità infralitorali con dominanza diHalimeda tuna e di Mesophyllumalternans e 170 g/m2 in popolamenticircalitorali con dominanza diLithophyllum stictaeforme. Il contributodato allo sviluppo in spessore dellaformazione organogena da parte dellealghe calcaree varia con le condizioniambientali ed è anche in funzionedell’erosione causata dagli erbivorispecializzati ed in generale dei demolitoriche agiscono sia sulle superfici sia sullospessore delle porzioni calcificate. I tassidi maggiore sviluppo della concrezione

Lithophyllum byssoides

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143142 organogena (tra 0,006 e 0,83 mm/anno) sisono misurati in ambienti del circalitoralesuperiore, caratterizzati da fenomeni dirisalita di acque profonde, fresche elimpide. Il paesaggio biocostruitopercepito dall’osservatore in immersioneè il risultato di un equilibrio dinamico tra lespecie ingegnere (bioconstructor species)e le specie demolitrici (bioeroder species)e tra queste in particolare le alghetranofite (microborer species):cianobatteri dei generi Schizothrix,Entophysalis; cloroficee dei generiOstreobium, Phaeophila, Eugomontia;fucoficee dei generi Laminaria ePhyllariopsis. La biocostruzione algale

ospita in epibiosi numerose specievegetali. L’insieme di questi popolamentidanno origine ad associazioni vegetali siadi strato elevato sia di sottostrato. Nelsottostrato, in ambienti con prevalentecomponente blu dello spettro, si sviluppal’associazione Rodriguezelletumstrafforelloi. Questa associazione sirealizza tra alghe cianofile del genereendemico Rodriguezella e numerose algherosse filamentose e foliacee. Nello stratoelevato si sviluppano varie associazioni esubassociazioni vegetali caratterizzate daFucales e da Laminariales. Sul coralligenodell’infralitorale si impiantano aspettiimpoveriti dell’associazione Cystoseiretumspinosae ed in quello del circalitorale delCystoseiretum zosteroidis.

I paesaggi vegetali sui substraticlastici. Sui fondali sabbiosi e ghiaiosidella biocenosi del detrico costiero edella biocenosi delle sabbie grossolane eghiaie fini sotto l’influenza di correnti difondo dell’infralitorale e del circalitorale sisviluppano varie facies dell’associazionea rodoliti costituita sulle coste italianeprincipalmente dalla facies aLithothamnion minervae e dalla facies apeissonneliacee libere dell’associazionePhymatolitho-Lithothamnietumcoralliodis. Questi letti a rodoliti formanoestese coperture algali, elementi di unpaesaggio paragonabile a quello dellabiocenosi del coralligeno. Questi “reefsmobili” ospitano una elevata biodiversità(oltre 100 specie di vegetali) e perimportanza possono essere paragonatiai prati con angiosperme marinedell’infralitorale. Le alghe rosse calcareelibere che caratterizzano questaassociazione vegetale sono speciecostruttrici di un habitat che puòestendersi al largo delle coste per alcunichilometri quadrati e formare un vastopaesaggio sommerso. Frammentiimpoveriti di questo aspetto vegetalepossono trovarsi anche nei canali dicomunicazione tra le lagune ed il mare enei canali sabbiosi interposti tra i cordonidi posidonia in ambienti con correntiintense unidirezionali. In rapporto ai valoridi irradianza, di idrodinamismo e di tassoe granulometria di sedimentazione, sisviluppano facies con prevalenza dicorallinacee ramificate: cilindriche(correnti turbolente), sferoidali (correntipulsanti), ellissoidali (correnti oscillanti).In ambienti con acque torbide e confrazione limosa nei sedimentipredominano le peissonneliacee calcareelibere. Quando l’idrodinamismo diventadebole e occasionale le rodoliti possonovenire ribaltate, per favorire la lorocrescita, anche da frequenti bioturbazionidi animali (crostacei, echinodermi,

Phyllariopsis purpurascens

Prateria a Halophila stipulacea

molluschi e pesci) e si accrescono informe complesse e cavernosedenominate boxwork. Soprattutto suqueste grosse rodoliti può estendersi lavegetazione ad alghe molli descrittasopra per le formazioni calcaree dellabiocenosi del coralligeno. Quando questegrosse rodoliti vengono ricoperte anchedalle specie costruttrici si forma unaspetto del coralligeno denominato“coralligeno di piattaforma”. Le specie dialghe calcaree che costruiscono i letti arodoliti sono una dozzina.La vegetazione ad angiosperme marine èl’elemento costitutivo del paesaggiosommerso dell’infralitorale delle costeitaliane ed è descritta dalla classeZosteretea. Il fondale di elezione ècostituito da sabbie, ma Posidoniaoceanica può vegetare anche su roccia ecrearsi una copertura di sedimentoattraverso la filtrazione del suo feltrofogliare. Le angiosperme marine otalassofite che vivono sulle coste italianesono cinque: Posidonia oceanica,

Cymodocea nodosa, Zostera marina,Nanozostera noltii, Halophila stipulacea.Posidonia oceanica è l’unica specieendemica (del Mediterraneo) e formaestese praterie su fondali coperti dasabbie grossolane con ricca componenteorganogena e si estende dalla superficiefino alla profondità in cui la luce incidentenon scende al di sotto dell’1% di quelladel livello zero. Quindi, in rapportoall’idrodinamismo la prateria puòassumere differenti disposizioni spaziali:a cordoni paralleli (correnti unidirezionali),a colline (correnti circolari), a mosaico dichiazze vive e radure spoglie (movimentideboli). All’interno di baie verso terrasi può formare una barriera densa(reef barrier) con una laguna interna,colonizzata da altre angiosperme e/oda caulerpe. La prateria a posidonia formal’associazione vegetale Posidonietumoceanicae. Sui suoi rizomi si sviluppal’associazione sciafila Flabellio-Peyssonnelietum squamariae e sulle

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145144 foglie l’associazione di alghe epifiteMyrionemo-Giraudietum sphacelarioidis.Posidonia oceanica è considerata laspecie costruttrice dell’habitat di uncomplesso ecosistema che copresuperfici sommerse paragonabili a quelledella macchia mediterranea sulle costeemerse. Questa percezione di unpaesaggio forestale sommerso da partedelle popolazioni rivierasche delMediterraneo è molto antica. In unframmento arrivato fino a noi del librosulla Natura di Aristotele, si parla di unaforesta di “querce marine” cheproducevano ghiande galleggianti (i fruttidi posidonia), ricercate e mangiate daitonni. La loro migrazione in Mediterraneocoincide casualmente con il rilascio inprimavera dei frutti maturi di posidonia.Questi pesci, considerati in antichitàcome maiali marini, secondo il testo delfilosofo e naturalista greco, dopo essersirimpinzati delle ghiande marine,ritornavano nell’Oceano Atlantico,lasciando sulle spiagge del Mediterraneoa fine estate grosse palle fibrose,considerate da Aristotele escrementi eche invece sono i resti delle fibre fogliaridi posidonia aggrovigliate dal motoondoso. La presenza delle praterie aposidonia è all’origine di alcunetoponomastiche della fascia costiera:a Grado, nel Friuli Venezia Giulia, ipescatori chiamano “tresse” i fondalicon resti di vecchi posidonieti; in Sicilia, iluoghi descritti da Verga nei Malavoglia,formano il villaggio marinaro, fuori dellemura che cingevano anticamenteCatania (quindi ex arce) e presso undeposito costiero di posidoniespiaggiate (foglie intrecciate dette“trezze”) che porta il nome di Acitrezza;in Sardegna la città di Alghero prende ilnome dalla prateria antistante formatadall’”Alga”, come veniva chiamataposidonia anche nelle carte nautichedella Marina.

Quando la sedimentazione è costituitada sabbie fini o l’ambiente è fortementeinstabile nei parametri ambientali,Posidonia oceanica è sostituita daprati a Cymodocea che dà origineall’associazione Cymodoceetumnodosae. In presenza di sedimenti con

significativa componente limosa inambienti calmi si sviluppa l’associazioneNanozosteretum noltii. Più rari sono inItalia e limitati all’Adriatico settentrionalei prati dell’associazione Zosteretummarinae confinata alle foce dei fiumi onei pressi di sorgenti sottomarine diacqua dolce. Dopo il taglio dell’istmodi Suez dal Mar Rosso è penetrata inMediterraneo ed è arrivata nel 1998 inItalia Halophila stipulacea.Questa specie forma un aggruppamentovegetale su vasti tratti delle costeorientali e settentrionali della Sicilia esi estende anche fino in Campania.Come altre specie aliene invasive, laspecie si moltiplica fino ad oggi solovegetativamente; inoltre sono stateosservate in fioritura soltanto piantemaschili (la pianta è dioica).La specie forma praticelli densi o siassocia con altre angiosperme e con lavegetazione a caulerpe. Si comportacome una specie eurivalente sia per lagranulometria del sedimento sia per leesigenze fotiche, termiche eidrodinamiche. Questa sua caratteristica

Prateria a Cymodocea nodosa

Egagropile di posidonia

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147146 fa prevedere una rapida estensionedell’areale anche lungo le coste italiane. Sempre sui substrati clastici, ma anchesu roccia coperta da un sottile strato disedimento, si stanno diffondendorapidamente lungo tutte le coste italianealcune specie aliene con comportamentoinvasivo. Con il metodo fitosociologicosono stati descritti i popolamenti acaulerpe ed alghe rosse che formanofeltri, ormai insediati stabilmente suifondali marini da oltre un decennio. Ineffetti questi popolamenti hannocambiato profondamente i paesaggisommersi, facendo percepire visivamenteall’osservatore subacqueo anche glieffetti dei cambiamenti climaticiattraverso il fenomeno complesso dellatropicalizzazione della biodiversità delMediterraneo. Caulerpa racemosa è statasegnalata nel 1924 a Tunisi da unveterinario dell’Armata francese perraccomandare di integrare la dieta deicavalli con questa erba marina che con isuoi sali minerali e le sue vitamine

migliorava il manto degli equini. Ma permolti decenni i prati rimasero accantonatinella baia di Tunisi. Nell’ultimo ventenniodel 1900 entra in Mediterraneo la varietàcylindracea di Caulerpa racemosa.Questa specie esplode in manierainvasiva da Sud a Nord, cominciandodalle coste italiane. Il Caulerpetumracemosae è ormai inserito su buonaparte della vegetazione dell’infralitoralee del circalitorale superiore. La specieha colonizzato anche aree desertificatedall’eccessiva pressione antropica (areeportuali, zone antistanti insediamentiindustriali e urbani), anche se dal puntodi vista delle catene trofiche si è inseritabene nell’anello delle risorse per glierbivori ed è addirittura commercializzata(ristoratori livornesi) come insalata,seguendo l’esempio dei giapponesi cheda secoli l’hanno inserita nella loro dieta.La presenza nel citoplasma dicaulerpenina (una doppia molecoladell’indolo), che fuoriuscendo formaacido indolacetico (ormone della crescita

vegetale), causa un rapido ripopolamentovegetale dei fondali con una biodiversitàin epibionti paragonabile a quella deiposidonieti. Più insidiosa è l’invasione delCaulerpetum taxifoliae formato da unceppo selezionato negli acquari europeie sfuggito in mare da circa trent’anni.Questa specie contiene principalmentenel citoplasma, come la specie indigenaCaulerpa prolifera, una concentrazionealta di caulerpina, un diterpene con effettiallelopatici sugli erbivori che quindi laevitano. Il successo recente deicaulerpeti in Mediterraneo, come è statodimostrato sperimentalmente, è dovutoall’arrivo, attraverso le acque di zavorra,di un batterio anaerobio endosimbiontedelle caulerpe che ne facilita la diffusionevegetativa, ottimizzando l’uso del lorometabolismo mixotrofo, trasportando daisedimenti eutrofizzati molecole organichenel citoplasma. A seguito delle caulerpe,sulle quali si trovano con frequenza inepibiosi, sono arrivate in Mediterraneo eanche si sono diffuse su fondali mariniitaliani due specie di alghe rossefilamentose che crescono formandoestesi grovigli feltrosi: Acrothamnionpreissii e Womersleyella setacea. Questedue specie hanno ampliato il loro habitatin epibiosi e si stanno sviluppando inmaniera invasiva sulle specie costruttricidelle formazioni organogene. Quando iloro feltri vanno in putrefazione possonocausare anossie sul fondo con danni allabiodiversità. Tutte queste specie alieneinvasive non hanno ancora iniziato ilprocesso di naturalizzazione in manieraintegrata. Questo è confermatodall’assenza di riproduzione sessuata edalla frequenza di moltiplicazionevegetativa o per sporificazione. Spesso illoro andamento invasivo è marcatamentestagionale e questo limita in parte i dannidell’eccesso di proliferazione. Comunquela sostanza organica da loro sintetizzata

spesso viene spostata nelle catenetrofiche dalla catena degli erbivori aquella dei detritivori. I prodotti antierbivoriche ne limitano l’utilizzazione, infatti,vengono detossificati dai processiossidativi dopo l’uscita dal citoplasmanell’ambiente dell’acqua e dei sedimenti.Una specie di alga rossa filamentosa,Lophocladia lallemandii, si comportacome invasiva solo in estate ed inautunno, vive come epifita sulle cistoseirequando queste sono in riposo vegetativo,ma ha creato problemi alla fruizione dellespiagge per gli enormi accumuli di massespiaggiate, principalmente sui litoralidella Sicilia meridionale. Anche Codiumfragile ssp. tomentosoides si comporta

da specie invasiva in lagune e sullebarriere di protezione dall’erosionecostiera, ma le sue esplosioni non hannolunga durata; l’insediamento pertantonon risulta localmente stabilizzato.Negli ambienti lagunari adibiti adacquacoltura si insediano ed esplodonovarie specie di alghe aliene; i casi piùspettacolari sono in atto nella LagunaVeneta dove nelle acque superficialiSargassum muticum e Laminaria japonicahanno cambiato il paesaggio dei canalilagunari. Spesso queste esplosioni nonhanno lunga durata e si ha unavvicendamento in funzione dell’area direclutamento delle specie allevate e deiloro epibionti.Caulerpa racemosa

Codium fragile