GURDJIEFF L'ENIGMA - Esonet · 2016. 10. 6. · Gurdjieff. M a l a po-sizion e pi ù elevat a cu i...

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J, G, Bennett L'ENIGMA GURDJIEFF Università' di Padova Biblioteca CIS Maldura CL03-0763-7 REC 085192 —4»«EL TEATRJ B 1005 I luoghi, le influenze, le religioni, le filosofie, tutto quel mondo misterioso e suggestivo nel quale si formò la personalità di una delle figure sconcertanti ed enigmatiche del nostro tempo. Ubaldini Editore - Roma

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I luoghi, le influenze, le religioni, le filosofie,tutto quel mondo misterioso e suggestivo nelquale si formò la personalità di una delle figureiù sconcertanti ed enigmatiche del nostro

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J. G. BENNETT

L'ENIGMA GUKDJIEFF

Gurdjieff fu un uomo singolare emultiforme, che mostrava se stessosotto modi diversi agli uni e agli altri,così da apparire a volte spietato e al-tre volte compassionevole. Proprio co-me 'nascondeva' se stesso, Gurdjieff'nascondeva' anche le fonti dei suoiinsegnamenti e dei suoi metodi.

Bennett, che per molti anni lavoròinsieme a Gurdjieff e che in seguitodivenne uno dei principali continuato-ri della sua opera, riunisce in questolibro i frammenti sparsi per ricostruireil rompicapo della vita di Gurdjieff etentare di sciogliere i numerosi inter-rogativi che tuttora circondano la suapersona.

Il libro comincia con un'affascinan-te descrizione della vita di Gurdjieffa Kars e delle influenze cui deve esse-re stato esposto nella fanciullezza e nel-la gioventù. Bennett ricostruisce poi iprimi viaggi di Gurdjieff alla ricercadella verità, discute la fonte delle sueidee e spiega le ragioni dei suoi enig-matici metodi e insegnamenti.

J. G. BENNETT, dagli iniziali inte-ressi per la matematica e la ricerca in-dustriale passò ben presto ad appassio-narsi di religione e lingue asiatiche,passione che lo portò a numerosi viag-gi nei paesi asiatici dove conobbe per-sonalmente molti esponenti religiosi espirituali poco noti ma importanti.

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1DHIVBBSITA DI PADOVA

•tltnto di Storta dal Teat»o dalla Spettacolo

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FACOLTÀ DI MAGISTERO

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"Ulisse"Collana di studi umanistici

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J. G. BENNETT

L'ENIGMA GURDJIEFF

Titolo originale dell'opera

GURDJIEFF

A VERY GREAT ENIGMA

(Coombe Springs Press)

Traduzione di

SALVATORE MADDALONI

© 1963, 1966, 1969, 1975, J. G. Bennett.© 1983, Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

J. G. Bennett

L'ENIGMAGURDJIEFF

Ubaldini Editore - Roma

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1Le origini di Gurdjieff

Gurdjieff ha sempre rappresentato un enigma, e sotto più diun aspetto. Il primo, e più evidente, è che non si possono trova-re, tra quanti lo hanno conosciuto, due sole persone d'accordo suchi egli fosse e che cosa abbia rappresentato.

Se si esaminano i numerosi libri su Gurdjieff, oppure le coseche lui stesso scrisse, non si trovano due descrizioni di lui checoincidano. Tutti coloro che l'hanno conosciuto, leggendo quantoaltri hanno scritto di lui avvertono che il bersaglio non è statocentrato. Ciascuno di noi è convinto di aver notato cose che glialtri non hanno notato, e questo è senza dubbio vero. Gurdjieff,infatti, aveva la peculiare abitudine di nascondersi, di mostrarsiin qualche modo diverso da quello che era realmente, e questoconfondeva molto le idee degli altri, sin dall'epoca in cui egli co-minciò ad essere conosciuto in Europa.

Un altro enigma connesso a Gurdjieff riguarda le fonti dei suoiinsegnamenti e dei suoi metodi. Egli non rivelò mai dove avesseimparato le cose che sapeva. Chiunque si dia la pena di passarein rassegna i suoi insegnamenti e metodi potrà assegnare prati-camente tutti gli elementi che li compongono a una qualche tra-dizione riconosciuta. Questo, potrà dire, appartiene alla tradizio-ne greco-ortodossa, quest'altro alla assiro-babilonese; quest'altroancora è di chiara derivazione musulmana, è connesso alla reli-gione Sufi, addirittura a questa o quella specifica setta Sufi. Eccoaltri elementi ancora che devono provenire da tale o tal'altrascuola del buddhismo. E ancora: ci sono prove del fatto che egliabbia attinto molto dalla cosiddetta tradizione occulta occidenta-le, dai platonici, dai Rosacroce. Se però passiamo ad esamina-

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re tutto ciò più da vicino ci accorgiamo che ci sono elementi chenon riusciamo a ricondurre ad alcuna tradizione conosciuta, checi sono certi importantissimi temi dei quali non si riscontra tracciaalcuna nella letteratura sopracitata; di essi avrò modo di parlarepiù a lungo nel prossimo capitolo.

Se Gurdjieff non fosse nulla più di un sincretista, di un rifor-matore che ha riunito insieme frammenti sparsi di varie tradizioniriconosciute, o anche di tradizioni occulte che era riuscito a sco-vare nel corso delle sue ricerche, occuperebbe un dato posto nellastoria. Se invece, al contrario, egli rappresenta qualcosa di total-mente originale, non riconducibile ad alcuna tradizione manifestao occulta, egli occupa un posto del tutto diverso. Ed è proprioqui che risiede il secondo enigma di cui dicevamo: quale dei dueposti dobbiamo assegnargli? Gurdjieff era solo un uomo intelli-gente che aveva avuto la possibilità di viaggiare ed effettuare ri-cerche in lungo e in largo, che aveva avuto modo di scopriremolte cose, di leggere moltissimo, di accedere a svariate fontidi lingua diversa, un uomo che da tutto il materiale così rac-colto aveva poi costruito qualcosa di suo? Oppure era un uomoche oltre a fare tutto questo (perché tutto questo certamente ave-va fatto), era dotato anche di un'ispirazione diretta e peculiare,ispirazione al tempo stesso fondamentale e non riconducibile anessuna fonte che l'aveva preceduto? Questa seconda ipotesi ren-derebbe Gurdjieff un uomo eminentemente importante, perché,nella storia delle idee sullo spirito, pochi sono stati i veri in-novatori.

C'è poi un terzo enigma, di cui vorrei parlare qui in detta-glio, perché è una cosa che mi ha molto colpito quando ho visi-tato i luoghi dell'infanzia di Gurdjieff: ed è riuscire a capirecome un uomo simile sia potuto provenire da un ambiente si-mile. Nella cittadina di Kars, in quello che era una volta il vec-chio quartiere greco, ho visto frotte di bambini che ci rincorre-vano chiedendoci di fotografarli o di dargli qualche moneta: euno qualsiasi di loro avrebbe potuto essere Gurdjieff. Ma la po-sizione più elevata cui questi ragazzi possono aspirare è quelladi autista, oppure di poliziotto, altra professione molto ambita.

La regione compresa tra il Caucaso e il Kurdistan è una partedel mondo dalle singolari caratteristiche, tanto che devo innan-

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zitutto parlare brevemente della sua geografia e della sua storia.La carta raffigurata a pag. 11 è una sorta di montaggio di variecarte di questa parte del mondo, essa ha un assetto un po' in-consueto perché normalmente le carte geografiche rappresenta-no separatamente o la parte asiatica della Turchia, oppure laRussia, oppure ancora l'Iran. In realtà, invece, tutta questa re-gione costituisce un'unica entità geografica, coerente e ben defi-nita. Ben definita, perché è dominata dalle alte montagne delCaucaso e del Kurdistan. Al centro è indicato il monte Ararat,il massiccio più elevato dopo quelli dell'Asia centrale sino ad ar-rivare al Mediterraneo. L'Ararat è più alto delle vette più altedelle Alpi, e questi grandi massicci si estendono su una super-ficie superiore a quella delle Alpi. Grandissima parte della zonarappresentata da questa carta si trova a più di mille metri soprail livello del mare; le vette più alte arrivano a 4.500 metri e tal-volta li superano. Esse rappresentano una grande barriera natu-rale tra l'Europa e l'Asia, che dagli Urali, a Nord, passa per il marCaspio e poi per i grandi massicci del Caucaso e del Kurdistan.Questa barriera ha sempre rappresentato un ostacolo alle emigra-zioni delle popolazioni da est a ovest e viceversa. Ci sono infattisolo pochi canali di passaggio; i più importanti di essi vanno indirezione nord-ovest da Tabriz a Kars, poi piegano a ovest pas-sando per Erzerum, dove raggiungono la valle dell'Eufrate. Aest di Erzerum c'è lo spartiacque, a circa 2.200 metri; ma è unpasso che può essere facilmente valicato nella bella stagione.

Da tempo immemorabile (e con questo intendo da buoni dieci-mila anni a questa parte) questa è la strada utilizzata per le mi-grazioni. Lo fu alla fine dell'età glaciale, quando gli uomini co-minciarono a spostarsi verso sud e ad insediarsi in quelle regio-ni, e fu anche la strada seguita, a ondate successive, dalle varieinvasioni: quella dei Parti, dei Carduchi e degli Armeni, quelladei Tartari, dei Mongoli, dei Turchi. Anche Gengis Khan, Ta-merlano e altri famosi conquistatori seguirono quella strada. Èattraverso essa che tra il decimo e il quindicesimo secolo, i Tur-chi Selgiukidi e i Turchi Ottomani portarono l'Isiam in Asia mi-nore. Ogni ondata di invasione incontrò naturalmente resisten-za; e uno dei punti in cui ci si poteva difendere dagli invasoriera una fortezza naturale che per molti secoli fu nota come la

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fortezza di Kars. Dall'alto della fortezza di Kars, costruita suuno sperone roccioso a picco su una piccola valle, si vedono lemontagne, ricoperte di neve in qualsiasi stagione dell'anno, perun angolo di trecentosessanta gradi. Molte e molte volte Kars fuassediata, difesa, conquistata. Una volta non fu Kars a esserepresa, ma la vicina città di Ani, che nell'ottavo e nono secolo erala capitale del regno Bagratide di Armenia. È in questa zona chele invasioni sono state arrestate, respinte, poi riprese; è qui chealla fine sono penetrate. Lo stesso Tamerlano cercò, senza riu-scirvi, di superare questo blocco, e dopo due tentativi infrut-tuosi dovette fare venire in appoggio un secondo esercito: era laprima volta che vi era costretto in tutte le sue conquiste.

Ma non tutti i movimenti provenivano dall'est. C'erano ancheinvasioni provenienti dall'Europa e dall'Asia minore: Greci, Ro-mani e Turchi, Ottomani, senza contare le invasioni dal Norddi Slavi e abitanti del Caucaso. Nel diciannovesimo secolo questeondate e controondate ripresero, questa volta tra l'Impero Russoe quello Turco, con guerre tra i due paesi nel 1809, nel '14, nel'55 e poi ancora nel 77: e ogni volta è in qualche luogo di que-sta regione che si ebbero gli scontri più duri. La frontiera tra idue paesi ha sempre corso poco ad est o poco a ovest di questopunto.

Trovandosi vicino a una frontiera, Kars non ha mai godutofama di posto sicuro. Costruita, distrutta, ricostruita ancora, dinuovo distrutta, questa città, come tutte quelle di questa zona,è un ammasso di macerie, e io sono certo che questo deve avereavuto un profondo impatto sulla psiche degli abitanti di questaparte del mondo. Da secoli, se non da millenni, essi infatti vivo-no in uno stato di tensione, senza sapere se il prossimo invasoreverrà da est o da ovest, e senza dubbio anche lo stesso Gurdjieffdeve avere subito questa pressione. La città di Kars conobbe unadelle sue più tremende esperienze nell'ottobre del 1877, quando,conquistata dai Russi, subì terribili distruzioni. Sono andato aconsultare i testi di storia che trattano la cosa dal punto di vistadi entrambi i paesi contendenti, la Russia e la Turchia: secondoi Turchi, si trattò di un barbaro massacro perpetrato dai Russi,che durò tre giorni; a sentire i Russi invece, ci fu una insensataresistenza turca, che costrinse a una graduale eliminazione delle

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sacche di resistenza. Ora, con tutta probabilità, queste non sonoche due versioni dello stesso avvenimento.

Fino alla data del 1877, Kars era una città di tutto rispetto.Aveva ventimila abitanti, era circondata da campagna relativa-mente ricca; non quanto quella che si incontra più a sud, nei din-torni di Tabriz, ma purtuttavia molto fertile. Nel 1877 Kars fuconquistata dai Russi; l'anno seguente, anche se costretti a ce-dere quanto avevano conquistato nei Balcani, i Russi mantenneroil possesso di Batum, di Kars e di Ardahan. A quell'epoca, l'ot-tanta per cento circa della popolazione era di nazionalità turca.Dopo la conquista russa, tuttavia, nei due o tre anni che segui-rono, ci fu un grande esodo. Circa ottantamila furono i Turchiche migrarono a ovest, mentre i russi stessi trasferirono qui genteda molte altre zone di questa parte del mondo: Greci che deside-ravano lasciare la Turchia, Armeni provenienti dalla parte me-ridionale della regione del Caspio, Assiri (Aisor come qui veni-vano chiamati) trasferiti dall'Iraq. Persuasero anche un numeroconsiderevole di laridi ad emigrare a nord e a istallarsi in questezone. Dalla Russia vennero sette eterodosse quali i Molocani ei Duchoburcy e persine dei Luterani Estoni. Tra il 1877 e gli anniottanta del secolo, dunque, questa parte del mondo rappresentòun crogiuolo straordinario. Decine di migliaia di famiglie eranostate spostate da un posto all'altro contro la loro volontà.

Bisogna comprendere bene che tutti questi spostamenti face-vano parte della politica dei governi interessati. Nessuno sape-va bene che fare delle popolazioni dominate. I Russi non sapeva-no che fare della numerosa popolazione musulmana, ostile allaloro dominazione; i Turchi, a loro volta, non sapevano che farenei riguardi della non meno numerosa popolazione cristiana, cheera non meno ostile nei loro confronti.

Queste sono le condizioni nelle quali Gurdjieff si trovò a tra-scorrere la propria infanzia. Per quanto sono riuscito a stabiliredalla consultazione di svariate fonti, da quanto lui stesso e lasua famiglia ci hanno detto, sembra probabile che egli sia natonel 1872 ad Alessandropoli, e che suo padre si sia trasferito aKars subito dopo la conquista di questa città da parte dei Russi,cioè intorno al 1878, quando Gurdjieff doveva avere sui sei anni.

È indispensabile rendersi ben conto dello stato di tensione e

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di disagio che una situazione del genere comporta. Io stesso, nel1925, mi sono trovato in Grecia, e ho visto un simile vasto scam-bio di popolazioni. Un milione e mezzo di Greci furono sfollatidall'Asia minore e spinti nella Grecia continentale, mentre 400mila Turchi venivano strappati dalla Macedonia e dalla Traciae incanalati in Asia minore. Vedere questi infelici gettati in unpaese dalle condizioni geografiche diverse, dai diversi modi divita, vedere la gelosia della popolazione costretta a ospitarli, ledifficoltà che incontravano a trovare un pezzo di terra per inse-diarvisi, era uno spettacolo da stringere il cuore. Altri episodianaloghi sono le migrazioni ancora più disagiate cui sono staticostretti gli Arabi in Giordania. Forse qualche lettore ha vi-sitato, come ho fatto io, i campi profughi di quella zona, forseha visto a Damasco cosa ne è stato degli sventurati Curdi, Tar-tari e altre popolazioni trasferite a sud dalla costa del Mar Nero.Solo chi l'ha visto con i propri occhi può avere un idea di cheterribile disagio comportino questi movimenti forzati per una po-polazione che non capisce né perché la stanno facendo spostarené dove andrà a finire.

Questo avveniva nel Caucaso quando Gurdjieff era un ragazzo.Quando il peggio ebbe luogo, egli era un bambino piccolissimo,e quando egli ebbe sei o sette anni, senza dubbio le cose avevanogià cominciato a sistemarsi. Quando suo padre si trasferì a Kars,ricostruita dopo la spaventosa distruzione dell'ottobre 1877, unasperanza di pace e tranquillità cominciava a farsi strada.

Ma c'erano, oltre a queste, altre difficoltà da sopportare, do-vute alle dure condizioni climatiche. D'inverno, fa un freddo ter-ribile; ogni inverno il termometro scende a trenta-quaranta gradisotto lo zero, e il freddo perdura diversi mesi, tanto che la neveè praticamente ininterrotta. Agli inizi della primavera c'è un im-provviso disgelo, e si hanno circa sei settimane, un paio di mesi,di fango; è una cosa di cui io stesso posso dare testimonianza,essendo stato in quella zona un paio di mesi fa; posso assicurareche non si vede che fango, fango che vi circonda dovunque an-diate. Poi viene la stagione secca, e tutta la fanghiglia si tramutain polvere: sono quattro o cinque mesi estremamente caldi e sec-chi. Non sono condizioni di vita facili, specialmente per genteche non ha una casa degna di questo nome. Da tempo immemo-

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rabile, come ho potuto appurare, la parte più povera della po-polazione di Kars e delle altre città del circondario vive alquantomiseramente in capanne di fango, talvolta al di sotto del livellodel suolo, praticamente delle buche nel terreno con un tetto aldi sopra, e talvolta con un sentiero che passa sopra questa spe-cie di tetto, tanto che quando uno cammina per la strada, certevolte non sa se sta per caso passando sul tetto di qualcuno, per-lomeno sino a quando non se lo vede sbucare da sotto.

Queste sono le condizioni attuali, e quali dovevano essere ot-tanta o novant'anni fa è una cosa cui preferisco non pensare. De-vono essere state condizioni di vita molto dure. Gurdjieff, nelsuo libro Incontri con uomini straordinari, parlando di suo padree del suo precettore, non si preoccupa molto di trasmetterci l'ideadella pesantezza di queste condizioni di vita; ma io penso che ciòsia dovuto soprattutto al fatto che egli stesso era stato talmen-te indurito da esse, che non gli apparivano più come qualcosa diparticolare, di cui valesse la pena scrivere. Io rimango però con-vinto che bisogna sempre tenere a mente la difficoltà di questecondizioni di vita, associata al disagio dovuto alla guerra e allemigrazioni, per capire bene come sia singolare che da tutto ciòsia potuto emergere un uomo capace di lasciare una traccia nelmondo, non solo in termini di forza intellettuale, ma anche diforza spirituale; una forza capace di avere un impatto sulle moltecentinaia di persone certamente non stupide che sono entrate incontatto con lui.

Bisogna però considerare anche l'altra faccia della medaglia, ecioè ricordare che accanto a così difficili condizioni fisiche e psi-cologiche, in questa parte del mondo troviamo una ricca messedi materiale appartenente alla tradizione. Come ho già detto, quan-do Gurdjieff era un ragazzo, la popolazione del luogo era preva-lentemente musulmana, ed egli imparò a parlare il turco sin dabambino. Quando io l'ho conosciuto, a mio avviso parlava il turcomeglio di quanto conoscesse il russo. Ora bisogna ricordare che,in particolar modo nei villayete dell'est, i Turchi sono molto de-voti all'aspetto mistico dell'Isiam, il sufismo. Questa parte delmondo ha da sempre prodotto numerose comunità Dervisce. Nonv'è dunque dubbio circa il fatto che Gurdjieff sia stato influen-zato dal misticismo islamico; allo stesso tempo, tuttavia, egli si

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trovava in una regione dove forte era la spiritualità cristianagreco-russa. E in più, egli stesso era un armeno, poiché armenaera sua madre. In realtà, questa parte del mondo era sopratuttoarmena: gli armeni cominciano a essere in numero preponderantenon appena si oltrepassa la valle in cui si trova l'attuale Armenia.Ora, gli Armeni hanno tradizioni del tutto differenti da quelle deicristiani sia occidentali che greci e russi ortodossi. Esiste un'anti-chissima tradizione armena, che ha in Nakhichevan la propriacittà sacra, e che è venuta a mescolarsi con le altre tradizioni pre-cristiane di più vecchia data. Non solo: ci sono anche gli Assiri,i discendenti dei Caldei: gli Aisori, come qui vengono chiamati.Ci sono tuttora varie comunità che ancora conservano tracce delmisticismo e dei misteri babilonesi, zoroastriani e mitraici. Unramo particolare è costituito dagli lazidi, coi quali Gurdjieff ven-ne in contatto. Essi hanno un loro modo di intendere la credenzadi tipo dualistico, propria della Babilonia, in un conflitto tradue potenze che si contendono il mondo, le forze del bene e quel-le del male; credenza che è alla base della tradizione zoroastriana.

A quell'epoca, però, come del resto anche oggi, non esistevanosolo queste sette relativamente molto conosciute, ma anche moltealtre, che invece rimanevano in penembra. Non esiste, secondome, nessuna parte del mondo in cui, come in questa zona del Cau-caso, un giovane anelante alla spiritualità potesse venire in con-tatto con una tale varietà d'influssi. Questa regione è prossimaall'Iran, dove allora, come certamente avviene ancora oggi, esi-steva una forte tradizione Sufi. È prossima all'Armenia, dunqueanche alle tradizioni mistiche del tutto diverse che sono propriedei Sufi turchi. Si può dire, perciò, che in un certo senso, nell'am-biente che diede i natali a Gurdjieff, accanto a tutta una seriedi influssi tali da rendere molto dura l'esistenza, c'era, a disposi-zione di chiunque fosse disposto a ricercarlo, un vastissimo depo-sito di credenze e pratiche tradizionali di ogni tipo. Lui stesso,nel libro Incontri con uomini straordinari, fornisce indicazioni checonfermano ciò che si è detto.

Ma in che modo poteva mai avvenire una mediazione tra quelledue dimensioni viste le difficili condizioni di vita di questo ragazzogreco-armeno che vive nel quartiere greco di Kars e riesce a ma-lapena ad andare alla scuola russa di nuova costruzione? In che

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modo potrà egli avere un'opportunità di farsi strada? Uno deimolti strani avvenimenti nella vita di Gurdjieff è il fatto che eglinon iniziò ad avere dei contatti grazie al suo retroterra perso-nale, al suo ambiente familiare, ai suoi legami con Greci e Ar-meni, e nemmeno subì quel tipo di influssi che dovevano esserepresenti in quel quartiere greco: c'erano infatti, come ho detto,elementi Assiri, Molocani e via dicendo, ma nessuno di essi, pos-so dirlo per mia esperienza in altre parti del mondo, poteva darea Gurdjieff quelle cose che lo avrebbero mutato nel modo in cuiinvece effettivamente gli avvenne. Ancora ragazzo egli entrò incontatto con la comunità russa, e in particolare, per sua straordi-naria fortuna, con la comunità russa che si addensava attorno allachiesa russo-ortodossa di Kars, chiesa fondata immediatamentedopo la conquista da parte dell'esercito d'occupazione russo, nel1877. Qui non è il luogo ove ripetere la storia dei contatti diGurdjieff col cappellano Borsh della cattedrale militare e con altripreti della stessa chiesa, di come egli ricevette i loro insegna-menti e così iniziò ad avere dei contatti con la cultura occiden-tale del suo tempo. La cosa invece da sottolineare è che tutto que-sto, che sarebbe bastato a soddisfare le ambizioni di qualsiasi altrogiovane deciso a fare strada in qualche modo, per le ambizioni diGurdjieff, secondo quanto egli stesso ci dice, non era sufficiente.Egli voleva diventare completamente occidentale. La cosa è moltocomprensibile; chiunque infatti sia stato nei paesi asiatici conoscequesta bizzarra manìa, lì imperante, di divenire un 'tecnico', difare diventare ingegnere o scienziato un ragazzo che magari ha ca-pacità di tutt'altro genere. Anche Gurdjieff fu preso dalla stessasmania, anche lui aspirava a divenire un ingegnere o un tecnico;ma contemporaneamente si trovava sotto l'influsso della tradizio-ne, un influsso che non l'avrebbe più abbandonato.

Il giovane Gurdjieff ci appare dunque soggetto all'influsso dimolteplici forze. Innanzitutto, le difficili condizioni del suo am-biente fisico e umano; in secondo luogo, l'influsso dei contatticon la cultura occidentale, per il tramite della guarnigione russadi Kars; in terzo luogo, l'influsso del contatto con le tradizioni dipiù vecchia data, le quali, come lui stesso riferisce, erano com-pletamente in conflitto con le tendenze occidentaleggianti dei russia lui vicini. Senza alcun dubbio, fu proprio il suo essere soggetto

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a tali contrastanti ed apparentemente conflittuali influssi che glipermise di rendersi conto dell'esistenza di un grosso problema: inaltre parole, gli permise di rendersi conto di tutte le diverse inter-pretazioni del significato della vita umana. Egli era testimone delconflitto tra la tradizione cristiana e l'islamica; ma era anche sog-getto al conflitto tra quel genere di dualismo proprio delle tradi-zioni degli Assiri e degli lazidi, da una parte, e la tradizione non-dualistica condivisa da Cristiani, Musulmani ed Ebrei, dall'altra.Sin da molto piccolo, avvertì il conflitto di credenza, estrema-mente significativo, tra i seguaci del monoteismo e gli assertoridel Diteismo, cioè il conflitto tra coloro che, come gli Ebrei, iCristiani e i Musulmani, credevano in un solo Dio, Signore Su-premo del mondo, e coloro che, come i dualisti zoroastriani, cre-devano invece in due forze uguali ed opposte. In più, egli si tro-vava al punto d'incontro tra Europa ed Asia, proprio a metà stradatra l'Oriente e l'Occidente. Era in grado di capire da solo quantoradicalmente diverse fossero queste due visioni del mondo; mapoteva altrettanto bene rendersi conto che, ad onta di tutte leconcezioni del mondo e le credenze opposte, gli uomini rimane-vano tuttavia sempre gli stessi. Vide uomini votati alla spiritualitàaccanto a materialisti, uomini che cercavano la realtà dentro disé e altri che facevano unico affidamento su quanto potevano ve-dere e toccare. Chi dunque aveva ragione, e in che direzione anda-vano tutti loro? Erano domande pressanti e inquietanti, doman-de che ben presto, sin dalla sua prima giovinezza, fecero la lorocomparsa nella vita di Gurdjieff.

C'era dunque in lui qualcosa che gli permetteva di vedere aldi là di quanto vedevano tutti coloro che lo circondavano? Eglici ha lasciato scritto della sua profonda convinzione che tutto ciòavesse dovuto avere un significato, un significato che avrebbe do-vuto tenere nel debito contro le peculiari, al limite superstiziosecredenze del vecchio ambiente, che avrebbe dovuto riconoscere inotevolissimi, straordinari poteri di molte persone di quella partedel mondo, da una parte, ma che, dall'altra avrebbe dovuto dareanche tutto il giusto peso all'altro aspetto, all'inventiva e all'intel-ligenza dell'uomo, che sempre più stavano dominando il mondo, eche a quell'epoca erano viste come appannaggio esclusivo dell'Eu-ropa occidentale.

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18 Le origini di Gurdjieff

A mio avviso è indubitabile che in quel ragazzo vi fosse qual-cosa di molto poco comune. Da tutti i resoconti che lui stesso cifornisce della propria infanzia, così come dalle tracce lasciate neglianni seguenti della sua vita, ci appare evidente che nel suo ca-rattere c'erano elementi che potremmo definire troppo umani. Egliera un individuo sensuale, che amava il cibo, le donne, la bellezza;era anche impaziente, soggetto ad attacchi di collera e di passio-nalità. Senza contare che al fine di soddisfare la sua sete di sapere,era del tutto pronto a non farsi nessuno scrupolo su come ottenerele cose. Ma d'altra parte mai, in nessun momento, ricchezza mate-riale e notorietà lo interessarono veramente. È fuori dubbio chepiù di una volta, da giovane, si sia cacciato nei guai cercando disapere cose che non era autorizzato a sapere, o di saperle prima diessere autorizzato a farlo.

Ma accanto a questi difetti di carattere, c'era in Gurdjieff ancheuna calda empatia per le sofferenze del genere umano, tanto piùforte in quanto egli si era ben presto reso conto che queste sof-ferenze sono da addebitare alla nostra stessa natura. A quantosono riuscito ad appurare, egli non era nemmeno trentenne quan-do era giunto a concludere che la causa principale delle sofferen-ze umane è da ricercare nei difetti che abbiamo, e di cui non ci ren-diamo sufficientemente conto. Mi riferisco in modo particolarealla nostra credulità e suggestionabilità, a loro volta derivanti davanità ed egoismo. Gurdjieff si era reso conto di come siamo sog-giogati da forze banali e stupide che, agendo su di noi, ci impedi-scono di fare ciò che vorremmo, di modo che ci troviamo a com-piere azioni che sono all'opposto di tutto ciò che riteniamo giustoe necessario in quanto esseri umani. Gurdjieff colse molto a fondoil significato di questa bizzarra e miserevole condizione del gene-re umano. Per lui l'umanità non era tanto cattiva, dannosa o pe-ricolosa: era bisognosa d'aiuto, e ciò lo condusse ad avvertire l'estre-mo bisogno di trovare un modo d'aiutare i suoi simili per libe-rarli da questa condizione.

Inoltre Gurdjieff era certamente dotato di poteri, quelli checomunemente chiamiamo 'poteri psichici', e che dovevano certa-mente provenirgli dalle non comuni potenzialità che aveva eredi-tato e che lo accompagnavano dalla nascita. Inoltre, dal contattocon insegnamenti tradizionali di quella parte del mondo, con dot-

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trine che insegnano profusamente e praticamente come svilup-pare i poteri psichici latenti, Gurdjieff aveva imparato come ac-crescere i propri. Ora, è una tremenda tentazione quella di pos-sedere tali poteri; e Gurdijeff si rese ben conto che se da unaparte essi gli erano necessari, dall'altra costituivano un pericolo,e uno dei tratti caratteristici di tutta la sua vita è che egli protes-se se stesso e gli altri dallo straordinario potere d'influenza chepossedeva. Questa caratteristica è notevole, perché significavauna dura lotta contro la propria natura. Deve essere stata unagrossa tentazione, per lui, quella di servirsi di quei poteri perraggiungere i propri fini; e invece egli fu pronto a disfarsene inmodo spieiato, piuttosto che divenirne schiavo; e nel fare questo,si impedì da solo di realizzare talune delle imprese che si era pro-posto. Questo fatto rende la sua vita molto difficile da capire.Certe volte, infatti, egli sembrava sul punto di raggiungere coseimportantissime e straordinarie, ed ecco che avveniva qualcosache veniva a mutare l'intero corso della sua esistenza. Questo fe-nomeno è abbastanza comune in persone nelle quali esso è dovutoa una qualche debolezza: persone che per esempio non riescono aesser salde nel momento della decisione, persone che mancanodi coraggio, o di tenacia. Quando Gurdjieff non riuscì, non fuper una di queste ragioni; fu piuttosto per un certo scrupolotutto suo, che è difficile da capire per chi lo conobbe solo dal difuori. Si trattava di uno scrupolo a servirsi di sistemi coercitivi,e questo rendeva estremamente difficile comprenderlo, perché in-vece c'erano altre volte in cui agiva in maniera così violenta daterrificare letteralmente coloro che lo circondavano. Quando dun-que si comportava così, non era per paura, per mancanza di de-cisione: era perché si rendeva conto che un ulteriore passo avrebbecomportato conseguenze che, pur portando benefici nell'immedia-to, alla fine gli avrebbero impedito di raggiungere gli scopi dinatura più elevata che si era prefissi.

Tutto ciò, ripeto, rende difficile comprendere la sua esisten-za; ecco perché mi vedo costretto a soffermarmi in modo partico-lare sui sistemi che egli adottava per proteggere se stesso e glialtri dai poteri di cui era dotato e di cui si sarebbe potuto servire.Per il momento, l'oggetto principale della nostra indagine è ilretroterra di Gurdjieff, l'ambiente della sua prima età, e finora

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abbiamo parlato dell'ambiente più prossimo della sua fanciullezza,cioè della città di Kars e del territorio che la circonda.

Ma già a quattordici-quindici anni, Gurdjieff comincia a viag-giare. Non trovando, nel contesto sociale immediatamente circo-stante, risposta alle sue domande, e non ottenendole nemmenodagli elementi più colti dell'esercito d'occupazione russo di stanzaa Kars, Gurdjieff cominciò a cercare più lontano. È certo che si siarecato a Nakhichevan e a Tabriz. Quest'ultima città è molto pros-sima alla frontiera con la Persia, ed è una città profondamenteturca: la lingua che si parla è il turco, gli abitanti sono di raz-za più turca che persiana. A Tabriz, e nelle vicine montagne,vive certamente da molto tempo, forse da tre, quattromila anni,una lunga, tenace tradizione; in questa parte del mondo, per chiha la fortuna di entrare in contatto con essa, ci sono molte coseda scoprire. Gurdjieff ci ha lasciato chiari segni che stanno a in-dicare come nella Persia nord-occidentale egli abbia trovato cosedi grande importanza.

Un'altra cosa che affascinava Gurdjieff erano i suoi antenati perparte materna, gli Armeni. Tra l'ottavo e il diciannovesimo secolo,in questo periodo difficilissimo per quasi tutto il genere umano,gli Armeni furono portatori di una particolare fiaccola, di unaspecifica cultura. Pensiamo ai re Bagratidi di Ani. È fuori dubbioche gli Armeni non raggiunsero questa posizione di predominiosenza un lungo periodo di preparazione, risalente a molto primadell'ascesa dell'Isiam, e Gurdjieff era attratto da questo passag-gio dall'era cristiana all'islamismo in questa parte del mondo;questo perché in quell'epoca molte cose erano state distrutte e lecose più importanti erano rimaste come sommerse, e rimanevanonelle società segrete. Gurdjieff, sospettando la loro esistenza, eramolto interessato a scovarle. Egli cita questo fatto nel capitolointitolato: "Pogossian" del già citato Incontri con uomini straor-dinari, e questo lo portò a compiere un viaggio attraverso il Kur-distan, viaggio che aggirando il lago Van lo condusse a Mosul,sul fiume Tigri.

A Mosul io sono stato una o due volte. È una città da cui siricava l'impressione dell'esistenza di qualcosa di antico, qualcosache continua da molto tempo; a mio avviso qualcosa che risale aprima dell'ascesa dell'Isiam, e persino a prima dell'ascesa del cri-

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stianesimo. Nelle vicinanze si trovano Nineveh e Nimrod, le ca-pitali della potenza assira; ma non si tratta solo di questo. L'im-pressione mia personale è che in questa parte del mondo si è riti-rato qualcosa dopo la caduta di Babilonia, e Gurdjieff era allaricerca di questo qualcosa che era forse appartenuto ai Caldei.

Passiamo adesso a un altro elemento che influenzò Gurdjieff dagiovane, e cioè alla tradizione greco-ortodossa. Ricordiamo che lafamiglia di suo padre era di ceppo greco-bizantino. Quando, nel1453, i Turchi ottomani avevano conquistato Costantinopoli, ave-vano lasciato intatte le strutture del vecchio impero bizantino,incorporando e adattando alle proprie necessità solo quanto eraindispensabile per far marciare le cose. Ebbero difficoltà a in-graziarsi la popolazione greca, della quale tuttavia avevano biso-gno per amministrare questo impero che avevano conquistato,cosicché c'era questa particolare tensione, nel senso che i Turchiavevano bisogno dei Greci ma contemporaneamente ne disprezza-vano la cultura. Questa, in ogni caso, li influenzò certamente, emolto; così come contemporaneamente influenzava i Sufi. Ci fudunque uno strano effetto reciproco; e Cesarea, l'attuale Kayseri,deve certamente essere stata sede di molte straordinari avveni-menti. Cesarea era stata una delle prime città convenite al Cri-stianesimo, al tempo dei viaggi degli apostoli; è la città in cuivissero e fissarono la liturgia della chiesa cristiana grandi santidi questa religione, quali san Basilio, san Giovanni Crisostomo,san Gregorio.

Prima dell'avvento del Cristianesimo, la Cappadocia era il cen-tro del culto di Anahita, la Dea Madre; culto che abbastanzastranamente fece il medesimo tragitto dalla Persia sino a Kars,dopo avere invaso l'Asia minore. Insieme a questo culto, ai suoisacerdoti, procedeva una gran messe di conoscenze, e parte di esse,una parte forse più cospicua di quanto si possa valutare a primavista, era stata incorporata nell'elaborazione della liturgia cristia-na. Molto ci sarebbe da dire sui misteri di questa liturgia, peresempio su quante conoscenze e quante segreti essa contenga.Questo fatto aveva colpito profondamente Gurdjieff, il quale vo-leva capire che cosa, al di là dei riti di questa chiesa, fosse rima-sto come patrimonio dell'umanità. È per questa ragione che piùtardi intraprenderà dei viaggi nel mondo occidentale. A quel-

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l'epoca, in Cappadocia persistevano ancora degli eremi che, risa-lenti al terzo secolo circa, erano rimasti in vita per tutto il corsodell'impero bizantino, e poi per tutto il corso della dominazioneturca, sino ad arrivare ai nostri giorni. Qui, in Cappadocia, esi-steva una tradizione monastica che durava da sedici secoli, e cheera stata bruscamente interrotta quando, nel 1925, l'intera popo-lazione era stata espulsa dal paese.

Sto cercando di comunicare una mia personale convinzione, ecioè che il mutuo arricchimento di tradizioni che ha avuto luogonella storia umana sia molto più profondo di quanto comune-mente si supponga. Questa parte del mondo ha rappresentato unasorta di crogiuolo nel quale si sono mescolate tradizioni diverse,e dal quale sono scaturiti elementi che adesso noi vediamo distin-ti, talvolta opposti, come la tradizione cristiana, quella islamica,quella assira, quella zoroastriana, e via dicendo. Ora, su un gio-vane in cerca di una risposta alla domanda: " C'è un significatoin tutto ciò? Tutti questi aspetti dell'esperienza umana possonotrovare una loro collocazione? Oppure alcuni di essi sono da ac-cettare, e altri da rifiutare?", tutto questo, si capisce bene, deveavere fatto una profonda impressione. E poi c'era l'altra doman-da, così urgente per Gurdjieff: "Come è possibile che l'umanità,che tanto ha ricevuto dagli insegnamenti tradizionali e dalle ri-velazioni da quattro a cinquemila anni in qua, sia riuscita a farecosì poco uso di quanto ha ricevuto; come è possibile che l'uomosia ancora sotto il dominio di forze del tutto estranee al signifi-cato profondo della sua esistenza?".

È mia opinione che siano state queste domande a spingereGurdjieff sempre più ad occidente, a Istanbul dapprima, poi inTerra santa, in Egitto, in Abissinia persine, terra in cui rinvennestrani contatti con tradizioni perdute. Non so con certezza se sisia spinto ancora più a sud, in Etiopia; so però per certo chel'Etiopia è stata molto importante per lui, perché alla fine dellasua vita ebbe a parlare del suo grande amore per questo paese. Unavolta disse che accarezzava l'idea di andare a passare lì gli ultimigiorni della sua vita. Disse che i due posti coi quali sentiva diavere legami erano uno l'Asia centrale, cioè il Bokhara, e l'altrol'Etiopia. Se è davvero così, se non ci stava prendendo in giro,cosa che naturalmente ha fatto di sovente, questo significherebbe

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che i suoi viaggi in Etiopia devono avere costituito parte impor-tante dell'insieme delle sue peregrinazioni. Poi, naturalmente, cisono le ricerche nell'Asia centrale; di queste dovrò parlare nelprossimo capitolo, strettamente legate come sono agli insegnamen-ti che Gurdjieff impartirà più avanti nella sua vita. È senza dub-bio qui, in Asia centrale, che Gurdjieff si imbattè nella parte piùpeculiare e sostanziosa di quelle che più tardi avrebbe chiamatele sue 'Idee', e che altri avrebbero chiamato il suo 'Sistema'. Perpoter sperare di rispondere alla domanda: "Tutto quello che egliinsegnò proveniva da questa parte del mondo, o ci sono elementiche sono peculiarmente suoi?", è chiaro che dovremo fare un'ac-curata rassegna di tutte le tradizioni dell'Asia centrale.

DOMANDE *

D.: Vorrei chiedere se la Dea Madre che si diceva fosse Anahitae il cui culto era celebrato in quest'area coincide con Lilith, la qualeera personificazione sia del bene che del male.

Bennett: No, non credo. Coincide piuttosto con Cibele, la qualevenne portata a Roma. La dea Lilith risale a un'epoca precedentea quella di cui parliamo. Ma la cosa importante, a mio avviso, è lacontinuità della tradizione presente in questa parte della Cappadocia.

D.: Il ricordo di Gurdjieff si è conservato nel suo paese, neisuoi luoghi?

Bennett: No. A Kars non ci sono più cristiani; per quanto ne soio, non ce n'è nemmeno uno. Quando parlavo di Gurdjieff, nessu-no lo aveva mai sentito nominare; quando venivano a sapere cheavevo compiuto un lungo e difficile viaggio sino a quella derelittacittadina sperduta nella campagna in onore della sua memoria, miprendevano per pazzo completo. Devo dire che sono andato allaricerca del luogo in cui, secondo i suoi scritti, era stato seppellitoil suo primo precettore, il cappellano Borsh, ma nel 1918, e poi

* II testo di questo volume è derivato da una serie di tre conferenze che J. G.Bennett tenne alla Denison House nel 1963, seguite da un dibattito.

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nel '20, tutto quanto aveva subito distruzioni e scompigli tali chenon si può più rinvenire alcuna traccia.

Penso comunque che andando un po' più a levante, Gurdjieffdiventa un po' più noto, se ne conserva il ricordo: mi riferisco aidintorni di Tabriz. Alcune sette Dervisce di quella zona potrebberobenissimo aver conosciuto Gurdjieff; purtroppo però non ho avutola possibilità di mettermi in contatto con esse. Andando invece piùa ovest, a Istanbul, ho potuto incontrare e interrogare due o tremembri della confraternita dei Dervisci, che serbavano il ricordodi molte cose accadute nel passato; ma non era di esse che andavoalla ricerca.

D.: Come è potuto succedere che il libro Incontri con uoministraordinari sia stato pubblicato solo molti anni dopo la sua morte?

Bennett: Gurdjieff è morto il 29 ottobre 1949, non sono ancorapassati quattordici anni. La sua volontà circa la pubblicazione delsuo secondo libro, appunto Incontri con uomini straordinari, non èstata mai espressa con chiarezza; quello che invece disse con chia-rezza, era che venisse pubblicato il suo primo libro, Belzebù. Disseche Incontri doveva venire letto ad alta voce, ma solo a coloro cheavessero già assimilato Belzebù. Parlerò più a lungo di tutto questoin seguito; ma già da adesso posso dirvi che si tratta di un libromolto più difficile di quanto di solito si creda. Chi non ha perce-pito che cosa Gurdjieff vuole dire in questo libro, chi lo considerasolo una specie di resoconto autobiografico, o un insieme di diver-tenti divagazioni, non coglie affatto il suo vero scopo. Anchechi vi ricerca elementi del suo insegnamento pratico cade in errore,perché il libro non pretende affatto di contenerne alcuno. Il suocontenuto, tuttavia, è di estrema importanza, ma quasi nessunol'ha compreso appieno. È probabile che i tempi non fossero ma-turi, che il tempo non fosse ancora venuto. La cosa straordinariaè che comunque adesso esso è a disposizione di chiunque.

D.: Con queste sue parole lei ha acuito la nostra curiosità. Puòdirci qualcosa di più sul contenuto di questo libro?

Bennett: In seguito vi farò vedere come ho seguito una partico-lare pista, e vi renderete conto di quanto è poco probabile chechiunque non possieda notevoli conoscenze, non solo del modo

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proprio a Gurdjieff di fare le cose, ma anche di questa parte delmondo, abbia la possibilità di scovare queste piste. Attraversoquell'esempio vi renderete conto di che cosa è necessario per esserein grado di decifrare quel libro, perché in realtà Incontri è scrittoin una specie di linguaggio cifrato che bisogna saper decodificare.Ci si può anche dire: ma perché darsi tanta pena? Tutto dipendese si vuole andare in profondità oppure no.

D.: Lei è in grado di capire le lingue parlate in quella parte delmondo?

Bennett: Sì, ed è per questo che ci vado. Se mi spingo più aest, non ce la faccio più. La lingua è tutto. Attraverso tutta l'Asiasi può parlare il turco: da immediatamente dopo il mar Caspio,passando per l'Amu Daria fino ad arrivare al Turkestan cinese, siparla un qualche dialetto turco. Ai tempi in cui io ero giovane,uno che sapeva il turco poteva trovare gente che lo capiva a par-tire dall'Adriatico sin giù alla muraglia cinese. Nel 1919-20, quan-do vivevo in quella parte del mondo, avevo il compito di intervista-re i pellegrini musulmani che arrivavano dall'Asia centrale, e ri-masi colpito dal fatto che ero in grado di comunicare con popola-zioni quali i Sarti e gli Uzbechi. Ne ero effettivamente in grado,perché questi diversi dialetti turchi sono molto più simili tra lorodi quanto per esempio non lo siano l'inglese, l'olandese e il tede-sco. Vale la pena di ricordare che Gurdjieff, che sicuramente parla-va il turco con estrema facilità, per una qualche strana ragione cidice che la lingua che si parla in questi luoghi è il persiano. Nonso se avete letto l'introduzione a Incontri, là dove si sofferma sualcune questioni filologiche, e dice che trova strano che in inglesesi abbia una sola parola per esprimere il termine 'dire', mentre inpersiano ci sono due termini diversi, diyaram e soilyaram. Orbene,questo non è altro che un modo ben bizzarro di scrivere due paroleassolutamente turche, quali sono pronunciate qui a Kars, nella lin-gua turca da lui parlata in gioventù. E invece nel libro dice che èpersiano. Ecco, se riuscite a capire perché Gurdjieff dice che ter-mini di purissimo turco sono persiani, cominciate a capire comelui vede le cose. Io personalmente non credo che conoscesse moltelingue. Quando, nel 1919, sentii parlare di lui per la prima volta,si diceva che avesse viaggiato in tutti i paesi dell'Oriente, che co-

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noscesse molte lingue. Io non ci ho mai creduto, perché secondome basta sapere il turco e si va quasi dappertutto. Sapendo il turco,alla fine del diciannovesimo secolo si poteva attraversare tuttal'Asia centrale. Non si ha bisogno di nient'altro sino a quando nonsi arriva dalle parti del Tibet, ed è certo che egli si sia messo conmolto impegno a studiare il tibetano. Immagino quindi che pro-babilmente Gurdjieff conosceva solo il turco, che aveva appresoalcuni dialetti turchi e anche il tibetano, nient'altro. Ma questodiscorso ci porterebbe lontano.

La fonte delle idee di Gurdjieff

II nostro compito adesso è quello di cercare di ricostruire le ri-cerche compiute da Gurdjieff tra la metà degli anni ottanta del se-colo scorso e il 1910 circa. Dopo il 1910, infatti, aveva trovatociò di cui andava in cerca, ed era pronto a trasmetterlo anche aglialtri.

La prima cosa da tenere a mente quando si parla di Gurdjieff,è che era nato da padre greco e da madre armena. Dunque avevacertamente contatti con le chiese sia greca che armena, come purecon la chiesa russa: tutte chiese che esistevano nella sua città na-tale di Alessandropoli, come pure nella città in cui trascorse la suaprima infanzia, Kars.

Ci sono ancora una o due cose da dire, riguardo all'influsso degliinsegnamenti da lui ricevuti nella prima infan2Ìa. A mio avviso unadelle principali differenze, dal punto di vista psicologico, tra lechiese orientali e quelle occidentali risiede nel fatto che le chieseorientali insistono soprattutto sulla nozione di morte e resurrezione,sul fatto di morire insieme a Cristo, e insieme a Cristo risorgere.Questo messaggio pasquale è il tema centrale delle chiese orientali,sia nei suoi rituali che nella sua psicologia, se posso usare questotermine. E questa insistenza ha effetti visibili sui seguaci di questechiese; mi riferisco all'importanza che essi accordano alla mortee al suo significato. In Occidente, non diamo tanta importanza aquesto aspetto: come cristiani, le nostre credenze, i nostri ritis'incentrano piuttosto sul concetto di peccato e di redenzione, sulconcetto di unione col Cristo, piuttosto che su quelli di morte eresurrezione. Non v'è dubbio che fondamentalmente, alla radice,

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si tratta sempre delle medesime credenze: voglio solo sottolinearequesta diversità d'accentuazione, diversità che si avverte molto be-ne quando si è in contatto con elementi cristiani della chiesa orien-tale.

Inoltre, credo, nelle chiese orientali c'è forse un senso partico-larmente profondo del mistero della religione; si avverte, in tuttii riti e le esperienze religiose, un senso della realtà di un qualcheelemento invisibile. Anche in questo caso, naturalmente, questonon significa che nelle chiese occidentali il senso mistico sia menoforte che nelle orientali; significa solo che il misticismo delle chieseorientali è un misticismo più permeato di mistero, rispetto al mi-sticismo più incentrato sulla illuminazione che appartiene più pro-priamente alle chiese occidentali. Mi sembra giusto dire che unsiffatto retroterra religioso ha lasciato la propria impronta suGurdjieff, come sicuramente la avrebbe lasciata su chiunque fossecresciuto in condizioni del genere. Su questo argomento non sapreidire molto di più: Gurdjieff stesso ci ha lasciato detto che nonsolo in gioventù, ma anche in seguito, continuò a essere influenzatodai suoi contatti coi preti della chiesa ortodossa, non solo russa,ma anche greca. Affermava che uno dei suoi primi maestri e amiciera entrato a far parte di una particolare setta misteriosa che chia-mava la setta degli Esseni, il cui eremo principale, secondoGurdjieff, esisteva ancora in una località non distante dal mar Morto.

È probabile che Gurdjieff abbia mantenuto i suoi contatti conla tradizione greco-ortodossa e russo-ortodossa per l'intero corsodella sua vita; in ogni caso, quando io lo vidi, al termine della suavita, egli mi diede la netta sensazione di essere un membro dellachiesa russo-ortodossa. Però era anche mezzo armeno, la religionedi sua madre era armena, che è sostanzialmente diversa dalla grecae dalla russa, dalle chiese orientali da noi comunemente considerate'ortodosse'. La chiesa armena, che ha una tradizione cristiana ri-salente molto indietro nel tempo, contiene ancora elementi che forsele altre chiese cristiane hanno nel frattempo perduto, elementi cherisalgono ai primissimi secoli e che appartengono a quella potentee straordinaria tradizione cristiana penetrata in Siria, Mesopomia,Persia, e poi, traversando le valli del Tigri e dell'Eufrate, anchein Asia centrale. Questa estesissima tradizione cristiana, che nonera né ortodossa né romana, venne travolta dall'Isiam nell'ottavo

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secolo, e le uniche tracce residue da noi conosciute sono i Cristianinestoriani e quelli assiri. Non dobbiamo dimenticare che nei pri-missimi secoli questo ramo della tradizione cristiana era altrettantoimportante sia della chiesa greca che di quella romana. Questo èquanto ho appreso nel 1953, quando sono stato nelle valli delTigri e dell'Eufrate, e in particolare ho incontrato un uomo estre-mamente erudito, forse il maggiore esponente in questo campoparticolare, nella città di Mosul. Altri elementi che mi aiutaronoa penetrare in una certa misura in questa tradizione furono le visiteai più antichi monasteri della cristianità armena, assira e nestoriana,dei quali naturalmente oggi non rimangono che le rovine, e l'incon-tro coi cristiani di quelle sette.

Sto parlando di tutto questo perché, a mio avviso, si tende trop-po spesso a dimenticare che fino al settimo secolo il Cristianesimopresente in Medio Oriente costituiva una parte importante di tuttala vita cristiana, e che l'unico fatto che gli impedì di integrarsi conl'Occidente fu l'ascesa dell'Isiam, che ebbe come conseguenza, inquella parte del mondo, una successiva mescolanza tra le tradizioniislamiche, persiane e cristiane. Di solito, parlando di chiese orientali,intendiamo riferirci alla chiesa greca e a quella russa, dimenticandol'importanza delle chiese armena, assira e nestoriana, ed altre deiprimi secoli. Certo Gurdjieff non le aveva dimenticate, e deve esserestato potentemente influenzato dal fatto di rendersi conto che nellachiesa armena, così come tra i nestoriani e gli assiri, si erano con-servati certi elementi inerenti al processo di crescita spirituale del-l'uomo, elementi che quelle chiese a loro volta avevano ereditatodalle antichissime tradizioni caldee con le quali abbiamo per lo piùperso completamente contatto.

Chi abbia letto lo scritto autobiografico di Gurdjieff, Incontricon uomini straordinari, si sarà reso conto di come egli fosse convin-to dell'esistenza di un sapere appartenente agli Assiri, che eglichiamava la tradizione Aisor, e che da un punto di vista praticoaveva una grande importanza, perché faceva tesoro di metodi edesercizi spirituali, e raggiungeva una penetrazione nella più se-greta natura umana che egli non riusciva a trovare nei suoi con-tatti con le chiese cristiane orientale e occidentale oggi in posi-zione di supremazia.

Di conseguenza l'attenzione di Gurdjieff si rivolse nuovamente

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al passato, là dove poteva sperare di trovare tracce di quanto erain gran parte andato perduto. Ci sono altre persone, quali peresempio Réne Guenon, che sono giunte alla conclusione che latradizione spirituale più profonda è stata smarrita dalle chiesed'Occidente; ma non è di questo che intendo parlare. Mi stosolo riferendo alla situazione in cui venne a trovarsi Gurdjieffquando, giovane di quindici-diciotto anni, provò l'intenso deside-rio e di capire il significato della vita e di trovare come uscire dallasituazione nella quale vedeva tutti coloro (greci, armeni, russi,tartari, turchi, e altri ancora) che vivevano attorno a lui.

C'è un altro aspetto importante derivante dalla parentela ar-mena, dai contatti che egli ebbe per mezzo di sua madre. Tra gliarmeni, le società segrete rivestono grande importanza, e gli ar-meni possiedono un impareggiabile talento per restare nell'ombra,tanto che solo quando si produce qualche avvenimento inatte-so, inspiegabile ricorrendo a forze visibili, si comincia a sospet-tare che una qualche società segreta armena abbia tessuto la telanell'ombra. Io ho vissuto molto a lungo in Medio Oriente, ma nonsto dicendo che altrettanto avviene nell'Europa occidentale. Perquanto riguarda Gurdjieff, la cosa da sottolineare è che attraver-so queste società segrete egli ebbe una possibilità di viaggiare al-trimenti impensabile per un giovane. Questo ci riporta a quantodicevo nel capitolo precedente, su questo straordinario fatto di co-me Gurdjieff sia potuto provenire da una città come Kars, da untremendo e misero ambiente del Caucaso spazzato continuamenteda invasioni. Ora, uno dei fattori che più contribuì alla sua eman-cipazione da quell'ambiente fu senza dubbio la possibilità di spo-starsi, di aprirsi a contatti a una distanza molto considerevole dacasa sua; e ciò avvenne proprio attraverso le società segrete ar-mene, di cui fu spesso una specie di ambasciatore, di rappresen-tante, come egli stesso si descrive, in uno dei capitoli del suo libro,intitolato: "Pogossian", che è il nome del suo amico armeno in-sieme al quale si recò dapprima a Etchmiasin, la città santa degliarmeni, poi a sud nel Kurdistan, per poi terminare il viaggio, se-condo il suo racconto, deviando a occidente e andando in TerraSanta invece che ad oriente, a Mosul, come inizialmente previsto.Non v'è dubbio alcuno che il viaggio a oriente, verso Mosul, siastato compiuto in un secondo tempo. Io stesso l'ho sentito par-

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lare di Mosul come di uno dei luoghi più interessanti e importan-ti del mondo intero, e sono certo che tutti coloro che sono statiin quella parte della valle del Tigri hanno avvertito il mistero diquella città e della zona che la circonda. Non si tratta solo di uncontatto con un passato che è morto; è piuttosto un qualcosa chemai ha cessato di esistere, che in qualche modo c'è ancora, anchese forse, adesso, va estinguendosi. All'epoca di Gurdjieff elementidi questa ininterrotta tradizione persistevano da non meno di tre-mila e forse quattromila anni. Altri visitatori di Mosul e dellazona circostante mi hanno detto di aver ricevuto la stessa impres-sione, come se lì vi fosse qualcosa di strano, di cui non ci si riescea capacitare. Gurdjieff non era tipo da avere una sensazione delgenere e non mettersi a cercare con molta determinazione le cosenascoste che avvertiva a fiuto. Partendo da Mosul e andando anord, nel Kurdistan fino a Urmia e alla frontiera con la Persia,ci sono state, e probabilmente ancora ci sono, molte cose da sco-prire per persone che abbiano le qualità necessarie per farlo. Maqueste qualità, è bene tenerlo presente, non sono concesse a tutti.

In fondo, in questa parte della storia di Gurdjieff vediamo co-me egli sia giunto a convincersi che nel Medio Oriente sia sempreesistita una tradizione ben definita, e come sia giunto altresì a pos-sedere una conoscenza degli uomini, del mondo, nonché di certimetodi e tecniche rimasti intatti malgrado i grandi cambiamentidovuti alle invasioni provenienti dall'Asia centrale e malgrado igrandi sovvertimenti religiosi. Mi riferisco innanzitutto alla sosti-tuzione degli zoroastriani, che rappresentavano la tradizione piùimportante, da parte dei cristiani, e poi al sopraggiungere dell'Isla-mismo al posto del Cristianesimo. E tuttavia, attraverso tuttoquesto, attraverso le ondate d'invasione che andavano e venivano,Gengis Khan, Tamerlano, gli Atabeg e tutti gli altri, qualche cosa ri-maneva sempre. Ritornando in Asia centrale, tutte queste onda-te di invasione si sono sempre portate via qualcosa; è fuori didubbio che nella parte dell'Asia centrale chiamata Turkestan c'èsempre stata, e c'è tuttora, una tradizione che sicuramente soprav-vive persine sotto l'attuale regime delle Repubbliche Sovietiche.

Passiamo adesso a indicare un po' più in dettaglio in che modoGurdjieff seguì questa pista e trovò senza dubbio alcune cose.Gurdjieff si spostava con un gruppo di persone che egli chiama-

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va 'I cercatori della verità'; di alcune egli parla come di personeancora in vita dieci o quindici anni orsono. Probabilmente i rac-conti contenuti in Incontri sono abbastanza veritieri, anche se, daquel poco che ho potuto verificare, io penso che siano tutti mesco-lati. In altre parole, Gurdjieff prende una data storia e la disse-mina un po' qui un po' lì. Certe parti compaiono nel suo primolibro, Belzebù, o nella prima parte di Ali and Everything, libroche è stato pubblicato tredici anni fa. In questi libri, come cia-scuno può verificare, ci sono capitoli autobiografici che sono unatraccia per seguirlo nelle sue peregrinazioni e nelle sue scoperte.

Una delle cose che è possibile che vi accadano, se ne avete la for-tuna o la capacità o quel che sia quando viaggiate da queste parti,è di imbattervi inaspettatamente in personaggi molto interessanti.A me questo è avvenuto svariate volte. Non sono mai riuscito acapire perché, ma mi è accaduto di sentirmi condotto da qualcosadi misterioso in un certo villaggio, o in una certa valle, e lì, ina-spettatamente, incontravo una persona; oppure mi accadeva disentire parlare di un dato luogo, e sentivo di dovermici recare, elì, in qualche sperduto villaggio, trovavo un uomo che magarivendeva abiti usati e che si scopriva essere, poniamo, un iniziatoderviscio. Queste cose avvengono a certe persone e non ad altre,e non so spiegarne la ragione. Oso pensare che a me siano avve-nuto perché, in tanti anni di contatto con Gurdjieff, ero moltopreparato e allenato. Quello che so, è che cose del genere effetti-vamente avvengono e certamente devono essere capitate anche aGurdjieff: nel corso del suo viaggio, senza alcun piano, senza sa-pere che cosa avrebbero trovato, lui e i suoi compagni sentivanoparlare di una cosa, di una persona, e si mettevano a seguire quellatraccia, e questo li portava sempre davanti a qualche personaggioche possedeva particolari conoscenze, o saggezza, o magari certiparticolari poteri. Personaggi del genere molto spesso non sonocollegati, apparentemente, con nessuna organizzazione, con nessu-na setta. Anch'io mi sono fatto ingannare, quando ho incontratopersonaggi che affermavano di non essere collegati a nessun altro,che dicevano di condurre vita solitària e felice, da eremita, chesostenevano di vivere la realtà della loro vita interna, oppure lapresenza di Dio, e di non cercare nulla di più; e poi, svariati annidopo, venivo a scoprire che quella persona, che aveva tutta l'aria

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d'essere davvero un eremita solitario, era in realtà un membroimportantissimo di tale o tal'altra setta.

Grazie al suo fiuto per una ricerca del genere, Gurdjieff erain grado non solo di riconoscere l'importanza di ciascun singolocontatto, era anche in grado di mettere insieme i vari frammenti,e così creare un quadro coerente.

Ora vorrei parlare di due scoperte che spero esemplifichinocome Gurdjieff abbia lasciato delle tracce dietro di sé, tali chechiunque studi diligentemente i suoi scritti possa trame indica-zioni, e persine, se lo desidera, possa risalire alla loro fonte. Miriferisco innanzitutto all'esistenza, in quella regione che si esten-de da est a nord-est, passando attraverso il Kurdistan sino ad ar-rivare alla Persia nord-occidentale, di una setta chiamata 'I fra-telli della verità', gli Ahl-i-Haqq. Si tratta di una setta da lungotempo conosciuta, citata da Hastings, nella sua Enciclopedia dellereligioni e dell'etica, in più di un punto, ma sempre tangenzial-mente e un po' in tono spregiativo, come una setta eterodossasciita persiana. Di solito si pensa che essi siano in qualche modocollegati agli Ali Ilahi, una setta sciita estremista che deifica Ali,genero di Maometto. La cosa non sembra rivestire particolare in-teresse; però, se si confronta il loro nome: 'Fratelli della verità',con quello con cui Gurdjieff dice d'aver chiamato il suo gruppo,'I cercatori della verità', si può forse immaginare che questa par-ticolare setta sia tra quelle cercate e scovate da Gurdjieff. Av-viene infatti che in nessuno degli scritti più noti egli faccia direttoriferimento a una setta persiana; ma in un libro molto raro, IIMessaggero di Dio, pubblicato nel 1934, suo primo libro e uni-co pubblicato mentre egli era ancora in vita, Gurdjieff parla aper-tamente dei suoi contatti con una setta persiana, e racconta di averinviato diversi suoi seguaci negli eremi di quella setta.

Orbene, a mio avviso è molto probabile che questa setta altronon sia che quella degli Ahl-i-Haqq, con la quale sono per casoentrato in contatto sette o otto anni fa mentre attraversavo laPersia nord-occidentale, e con la quale da allora ho mantenuto icontatti. La cosa rimarchevole dd dire su questa setta è che essapossiede certamente certe conoscenze tecniche di tipo molto par-ticolare. In altre parole, non si tratta solo di una setta religiosaislamica più o meno eretica; in realtà è una setta che conserva in

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vita tradizioni di antichissima data. La setta era stata fondata nel1316 dal Sultano Sahaq; ma questa data segna più un rinnova-mento, una riforma, che un vero inizio. Ciò risulta evidente dalfatto che essa ha conservato, dopo l'avvento dell'Isiam, tradizio-ni non solo cristiane nestoriane, ma anche più antiche ancora,caldee o zoroastriane nate ai tempi della grandezza di Babilonia,cioè quattromila anni fa. Tutte queste cose, Gurdjieff le dice nelsuo libro II Messaggero di Dio. Io ho avuto una prova molto diver-tente di come sia difficile stabilire la verità su Gurdjieff. Un gior-no del luglio 1949 mi trovavo con lui a Parigi, ed egli espressela sua intenzione di cucinare un pilaff persiano con vero riso per-siano che gli era stato spedito per aereo dalla Persia. Ora noi era-vamo abituati a sentirci dire da Gurdjieff che un tale esotico fruttoche stava offrendo gli era stato mandato per aereo dalle Isole Sa-lomone, quando molti dei presenti sapevano benissimo di esserestati la mattina con lui ai mercati generali, e che l'aveva acquista-to lì. Allo stesso modo, quando ci diceva che il suo formaggiobrinza gli era stato spedito per aereo dal Caucaso, noi sapeva-mo benissimo che lo acquistava da un ebreo che aveva un nego-zio in piena Parigi. Ecco perché eravamo alquanto propensi a ri-tenere che era molto improbabile che il riso gli fosse stato effetti-vamente inviato dalla Persia. Quando tuttavia andai con lui incucina vidi una ventina o trentina di piccoli sacchi, tutti quanti conle etichette e i timbri persiani, e mi resi conto che aveva effetti-vamente ricevuto per via aerea una partita di riso persiano. Mala cosa più importante è che questo riso veniva dalla città diKirmanshah, la quale, guarda caso, è il luogo conosciuto comecentro di questa particolare setta degli Ahl-i-Haqq. Naturalmentequesto può non significare nulla: io devo avvertirvi che per chiun-que legga Gurdjieff e cerchi di ricostruire le sue peripezie, quasitutto ciò che egli scrive può significare tutto e niente allo stessotempo.

Ci sono altre e più serie ragioni per supporre che a quell'epoca,e forse ancor oggi, nella Persia nord-occidentale circolasse un sa-pere che può aver contribuito alla crescita spirituale di Gurdjieff.Mi riferisco soprattutto alle conoscenze circa la trasformazione del-l'energia psichica. Do per scontato che il lettore abbia già esami-nate le idee di Gurdjieff, abbia già letto i suoi libri e quelli che

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parlano di lui, quindi non mi soffermerò a illustrare le sue idee,e i suoi insegnamenti, ma cercherò di far vedere come esiste unmodo per seguire le tracce che a modo suo egli ci lascia, e cosìpoter risalire fino alle loro fonti. Una caratteristica o tema centra-le degli insegnamenti di Gurdjieff è che nel corso della sua vitaterrena l'uomo è destinato, è costretto, a trasformare energie. Unodei modi per spiegare l'esistenza dell'uomo sulla terra è dire cheegli, attraverso il modo stesso in cui vive, è in grado di produrrecerti elementi necessari a uno scopo molto elevato. L'uomo cheesegua il suo compito riceve in cambio per se stesso qualcosa diimperituro: in altre parole, egli ha il compito di trasformare ener-gie, e questo compito può assolverlo vivendo in un certo modola sua vita. Questa trasformazione, per vari modi, ha come risul-tato una divisione dell'energia stessa in tre parti: una parte è ne-cessaria per poter compiere il lavoro cui si riferisce; una secondaparte va allo scopo particolare per la quale è richiesta; ma la ter-za parte è la ricompensa per l'uomo, entra nel suo essere e con-tribuisce alla formazione del suo ricettacolo spirituale, della suaanima.

Orbene, tutto ciò risale a un lontano passato; se non vado er-rato era la dottrina dei Caldei, sino all'epoca della distruzione diBabilonia, e dopo, probabilmente, fu anche la dottrina dei cristia-ni della Chiesa d'Oriente di cui vi parlavo prima. Questa dottrinaaffermava che è necessario sapere che tipo d'azione, che modo divita renda possibile all'uomo adempiere al proprio compito. Se-condo me è piuttosto interessante notare come ciò sia peculiar-mente e chiaramente esplicitato tra i cristiani dell'antica tradi-zione medio-orientale. Ciò vale anche per i cristiani ortodossi maa un grado minore; quanto ai cristiani d'occidente, ciò è vero inmisura ancora minore. I padri d'oriente, e secondo me in modoparticolare i padri russi, per esempio, capirono molto chiaramen-te che all'uomo è richiesta un'azione del genere, e l'associarono alconcetto il quale, per poter partecipare alla resurrezione, l'uomodeve acquisire un corpo di resurrezione. È san Paolo a parlarne,nelle sue epistole, ma il concetto che è necessario, per poter par-tecipare alla resurrezione, avere acquisito un corpo di resurre-zione, era stato percepito con la massima intensità nel mondo cri-stiano d'oriente. E naturalmente, tutto ciò si accorda con l'inter-

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prelazione che i cristiani dell'oriente danno della parabola dell'abi-to nuziale, e cioè che nella salvazione ci sono due elementi: gra-zie alla Redenzione, l'uomo viene accolto senza che debba pagarealcun prezzo e può così partecipare al banchetto; ma c'è ancheuna richiesta precisa a cui lui ha la responsabilità di soddisfare,e cioè che al banchetto egli venga con l'abito delle nozze, che èinterpretato come il corpo di Resurrezione. E questo corpo è as-sociato con l'idea della trasformazione delle sostanze spiritualisottili, che non sono toccate dalle forze distruttive di questa esi-stenza terrena, e sono pertanto in grado di partecipare alla Resur-rezione.

Tutto questo, ne sono certo, è in qualche modo collegato alsapere posseduto dagli Akl-i-Haqq di cui parlavo prima. Sembrache essi conoscano i modi per attuare quelle trasformazioni d'ener-gia, in altre parole, i modi in cui l'uomo può effettuarle nel pro-prio personale modo di vivere (che naturalmente può prenderela forma esteriore della preghiera e della meditazione, ma che inrealtà consiste nel fare aver luogo dentro di lui una data in-terazione tra sostanze), portando così a termine il proprio com-pito specifico. Tutti coloro che hanno letto Gurdjieff riconosce-ranno che questo è il tema principale della sua opera. Questaazione lui la chiama sostentamento reciproco di tutto ciò che esiste.Secondo questo principio, tutto ciò che esiste deve necessaria-mente contribuire alla esistenza di tutte le altre cose. Tutte levite e tutte le forme di vita sono strettamente interconnesse, eciò comporta che ciascuna debba necessariamente fare qualcosaper tutte le altre. E questo qualcosa dipende da una trasforma-zione di energia. A mio avviso, queste cose Gurdjieff le appreseattraverso i contatti avvenuti in quelle parti del Medio Orienteche da millenni sono state chiamate Iran. Questo, inoltre, spiegail suo profondo interesse per Babilonia. Non si può leggere quantoGurdjieff scrive su Babilonia senza notare quanto questa civiltàlo aveva colpito. Egli fu molto fortunato perché potè visitare Ba-bilonia mentre erano in atto gli scavi tedeschi, in un momentoin cui era accessibile una parte della città vecchia molto più vastadi quella accessibile adesso. Fortunatamente anche per me, quegliscavi vennero compiuti 'all'antica': in altre parole, dopo aver fattoemergere un reperto, invece di richiudere il tutto lo lasciavano a

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ciclo scoperto, e così ho avuto la possibilità di gironzolare perBabilonia e di ricavarne svariate impressioni.

Non so se tutti coloro che conoscono Babilonia hanno avver-tita, forte come l'ho avvertita io, la sensazione che in essa riman-gono tuttora certi elementi che ci permettono di entrare diretta-mente in contatto con la vita dei suoi abitanti di 2500-3000 annifa. Ogni qual volta mi sono recato a Babilonia, questa sensazionesi è immancabilmente ripresentata. Ci sono stato anche in com-pagnia di altri, e mi sono reso conto che certe persone, in quelluogo, non avvertono assolutamente nulla, non vedono che unammasso un po' opprimente di rovine. Altri, invece, sono quasisopraffatti da questa sensazione di una vita che continua, che èininterrotta in questo luogo abbandonato da più di mille anni.Come mai avviene ciò? Secondo me, perché in questa parte delmondo per lunghissimo tempo si è compresa la natura di questesostanze, di queste energie; perché i Babilonesi sapevano qualierano. Questo avveniva con particolare vivacità in certe zone diBabilonia, e ha lasciato dietro di sé tracce imperiture, ed è questoche permette alle persone di oggi di rientrare in contatto conquanto avveniva 2500-3000 anni fa. In un certo senso, quellaricerca continua ancora oggi.

Nel libro Ali and Everything Gurdjieff descrive svariate voltela visita di Belzebù a Babilonia. Quelle pagine sono tra le piùvivide del libro; non c'è quasi nessun altro luogo al mondo cheegli descriva con tanta vivacità, quasi vi fosse presente. Non com-presi appieno il significato di quelle pagine sino a quando, a miavolta, non mi recai a Babilonia, e non avvertii la medesima sen-sazione di potere quasi essere presente nella città vivente. Pensaiallora quanto doveva essere stato facile, per Gurdjieff, rimettersinella vita di Babilonia, incontrare i suoi abitanti, sapere come par-lavano, che genere di vita conducevano, quali erano i grandi temiche governavano le loro vite, e via dicendo. È certo che tutto ciònon poteva che rafforzare in lui la convinzione che. era molto im-portante capire come potevano avvenire quelle trasformazioni, inche modo l'uomo potesse imparare ad avere il controllo delle ener-gie psichiche e spirituali, o sostanze sottili, non solo a propriobeneficio e per alimentare la propria individualità, ma anche perpotere assolvere i compiti richiesti dal mondo che lo circonda,

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oppure ancora per altri fini, quali per esempio portare aiuto aglialtri.

Gurdjieff era dotato indubitabilmente, sin dall'infanzia, di grandidoti naturali; ma in più, ancora da giovane, egli riuscì, attraversoi suoi contatti con queste fonti di sapere, a sviluppare i suoi poterisino a un grado considerevole. Successivamente andò ancora piùa fondo, perché sapeva per giusto e sicuro istinto che nell'Asiacentrale esisteva un sapere ancora più profondo e significativo.

Per poter viaggiare, per poter tenere i necessari contatti, Gur-djieff ci dice d'essersi messo a fare il guaritore di professione,talvolta facendo il guaritore miracoloso, tal'altra semplicementel'ipnotista. Ci descrive quanto sia riuscito a fare in quell'Asia cen-trale allora gravemente infestata, nelle aree russe, dalla piaga del-Pacolismo e, nelle zone centrali e orientali, da quella dell'oppio.L'oppio è una cosa strana. In quella parte del mondo si attra-versano chilometri e chilometri di campi di papavero, e ci si rendeconto di quanto bizzarro e importante sia il ruolo di questa piantaal fine di capire l'esistenza umana. Essa ha fatto moltissimo perl'uomo, gli ha aperto nuove possibilità; ma ha anche generato,tramite il cattivo uso che può essere fatto della sostanza che essaproduce, effetti particolarmente devastanti. Comunque sia, non viè dubbio che già alla fine del secolo scorso, quando era ancoragiovane, Gurdjieff aveva scoperto che attraverso le sue conoscenzesulle trasformazioni delle sostanze, era in grado di aiutare a com-battere queste due maledizioni, l'alcolismo e l'oppiomania. Ricordobenissimo che la prima volta che lo conobbi, nel 1920 a Istanbul,egli stava trattando un caso estremamente difficile e straordinario,un alcolizzato da tutti considerato assolutamente incurabile.

Questa fase della vita di Gurdjieff compresa tra il 1895 e il1900 deve certamente essere stata straordinaria. In quell'epoca,grazie alla sua ottima conoscenza del turco, egli si spostava spessoin questa parte del mondo, acquisendo continuamente confidenzacoi vari dialetti dei Sarti, degli Uzbechi, degli Uiguri e di altrerazze del Turkestan. Egli divenne ben presto conosciuto comel'uomo che era in grado di guarire quelle che noi oggi chiame-remmo malattie psicosomatiche. Nel fare ciò, egli era motivatoin parte dal genuino desiderio di aiutare e di fare del bene aglialtri; ma ancora di più, dall'urgenza che avvertiva a capire la parte

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più recondita della psiche umana, parte di solito nascosta dietrola maschera della nostra personalità, al di fuori della portata dellanostra coscienza. Ora è ben noto che questa maschera cade, tal-volta completamente, negli stati di alcolismo o di gravi tossico-dipendenze, nei quali spesso affiorano cose totalmente diverse.Questi stati rappresentano certamente un mezzo per capire piùrapidamente la psiche umana. Se aveva il potere di aiutare per-sone in quelle condizioni, è naturale che ne sia divenuto ancheil confidente, il confessore. Molte persone in stato di bisogno sirivolgevano a lui, e nel corso di quegli anni, in questo modo, eglifu occupato dallo studio di quella che potremmo chiamare 'psico-logia pratica'. Lui stesso ci dice che prima di iniziare questi suoiviaggi, prima di fissare nel Turkestan la sua base operativa, avevastudiato tutto quello che c'era da studiare della psicologia occi-dentale, ed era giunto alla conclusione che molto poco essa avesseda offrire in termini di chiarificazione. Va osservato che stiamoparlando della psicologia occidentale così come era nell'ultimo de-cennio del secolo scorso.

Gurdjieff ci dice anche che a un certo momento, alla svolta delsecolo, si recò nel Tibet. Secondo me, questo corrisponde certa-mente a verità, perché so che col tibetano se la cavava bene. Iltibetano parlato non è difficile da imparare; è soprattutto unaquestione di vocabolario, perché la grammatica del tibetano èmolto facile. Se vi accontentate di non imparare a scriverlo (que-sto, sì, terribilmente difficile), il tibetano parlato è molto sem-plice, e sono certo che era senz'altro nelle possibilità di Gurdjiefffamiliarizzarsi sufficientemente con questa lingua. Naturalmentenon è solamente in Tibet che si parla tibetano. Lo si parla anchesull'altro versante delle montagne del Turkestan, e anche più asud, nel Nepal, come io stesso ho potuto verificare. Dunque, sottola forma di uno o un altro dei suoi dialetti, è una lingua parlatain una vasta area, e risulta estremamente utile a chiunque desideriviaggiare in quella parte del mondo.

Nel corso dei suoi viaggi in Tibet tra il 1899 e il 1902 Gurdjieffsubì uno dei gravi incidenti della sua vita. In uno degli scrittidella terza serie, ci racconta come nel corso della spedizione siastato colpito da una pallottola vagante, e come ciò abbia resonecessario un lungo periodo di riposo per riacquistare le forze.

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Nel 1904 fu nuovamente ferito, al tempo dell'abortita rivoluzionerussa del Caucaso; anche qui, ci dice, una pallottola vagante. En-trambe le volte, a quanto sembra, si recò in Asia centrale pressoamici che sapevano guarire attraverso l'uso di quelle energie esostanze. Secondo il suo stesso resoconto, le sue ferite erano taliche senza un tale aiuto sarebbe morto prima d'aver raggiunto itrent'anni.

A questo punto ci troviamo di fronte a una domanda moltointeressante. Sino a questo punto abbiamo parlato delle tecnicheconnesse all'impiego dell'energia, alla trasformazione delle sostanzee all'approfondito studio della psicologia umana; abbiamo parlatodella conoscenza dell'ipnosi che aveva Gurdjieff, della sua capacitàdi affrontare i mali del genere umano. Ma egli aveva anche unastraordinaria e profonda conoscenza della struttura del mondo edella psiche umana. Ci si può allora chiedere: da dove potevavenirgli, questa conoscenza?

Quando, a metà degli anni venti, ci interessammo a questo ar-gomento, un gruppo di noi cercò di rintracciare, se possibile, lefonti da cui Gurdjieff aveva attinto le sue nozioni sulle leggi co-smiche. Mi riferisco per esempio al concetto di quella che è chia-mata la 'tavola degli idrogeni', vale a dire tutta la gamma dellesostanze, dalla più sottile, o Sostanza Divina, fino alla grossolana,che egli chiamò 'materia sprovvista di Spirito Santo'. Le opere diOuspensky e Nicoli trattano in dettaglio questi argomenti. Or-bene, è chiaro che tutto ciò può essere collegato direttamente aPiatone, ai calcoli sesquilaterali presentati nel Timeo, con cui èpossibile arrivare agli elementi con i quali il Demiurgo creò i di-versi mondi. Questi concetti platonici, dopo essersi trasmessi alneo-platonismo, entrarono a far parte di svariate tradizioni semi-occulte, quali quella dei Rosacroce e della massoneria in Europa,e più in generale di quella tradizione che è comunemente chiamata'occulta'. L'evidente somiglianzà di questi concetti e l'uso che nefecero nel sedicesimo secolo gli autori rosacrociani, quale RobertFludd, farebbero a prima vista pensare che la cosmologia di Gur-djieff altro non sia che un'ingegnosa rielaborazione di quel mate-riale, e in particolare degli insegnamenti di quella importantis-sima e potentissima scuola che esisteva all'epoca in Olanda, e dellaquale faceva probabilmente parte Fludd.

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Leggemmo il più a fondo possibile tutto questo materiale al-quanto difficile, perché scritto quasi per intiero in latino, pernostra fortuna con grandi disegni. C'è naturalmente il ben notoAurora di Jacob Bòhme, con i notevoli disegni tracciati da Wil-liam Law. A mio avviso, era da questo materiale, che Gurdjeffaveva attinto. Ma a un certo momento, giungemmo a un puntomorto, ci rendemmo conto che non veniva in alcun modo spie-gato quello che Gurdjieff chiamava l'Enneagramma, quel simboloa nove linee di cui si serviva per raffigurare le sue concezioni. Cosapiù importante di tutte, anche se in questi scrittori rosacrociani,e soprattutto in Fludd, si trova la scala musicale, e anche le treottave, usate come le usa Gurdjieff, non c'è tuttavia segno alcunoche il significato di ciò che Gurdjieff chiama gli intervalli sia com-preso allo stesso modo in cui lui l'intendeva. Per Gurdjieff, il fattoimportante è che per poter portare a termine qualsiasi processo,devono necessariamente esservi degli urti, degli interventi esterni.Questo concetto è d'importanza davvero immensa, e dai miei studidi tanti anni posso affermare che esso getta una gran luce non solosulla nostra esperienza personale, sul successo o l'insuccesso diogni sorta di impresa umana, ma anche sulla comprensione dellanatura degli organi viventi e dell'universo nella sua intierezza.Ora, se invece non si tiene conto di questi concetti di urto e diintervallo, tale comprensione risulta molto meno penetrante.

Una volta, per puro caso, senza che avessi intenzione alcunadi fare questo tipo di letture, mi è capitato di leggere il passaggioconclusivo del trattato di Keplero sul moto dei pianeti. Come bensapete tutta l'opera di Keplero fu basata sull'intuizione che questecostruzioni dei Rosacroce dovevano avere un loro significato co-smologico. Finora non avevo mai letto il canto col quale l'Autoreconclude il libro.* Non mi ero mai reso conto di quanto straor-dinario fosse l'atteggiamento che Keplero aveva verso il propriolavoro. Egli, così come naturalmente Isaac Newton e tutti gli altriscopritori delle scienze meccaniche, della matematica e dell'astro-nomia moderna, è stato ispirato dalla convinzione dell'esistenza di

* Si tratta del libro di Giovanni Keplero Mistero cosmografico, e contiene ilsegreto dell'Universo sulla base del numero e delle dimensioni delle sfere celesti,il tutto spiegato sulla base delle cinque figure geometriche regolari.

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una Legge dell'Armonia. La biblioteca di Newton era fornita ditutto ciò che alla sua epoca era disponibile su questo argomento,e tuttavia non v'è alcuna prova che egli fosse a conoscenza diquesto peculiare segreto della discontinuità delle transizioni e dellanecessità di un 'urto'.

Questo solleva una domanda di estremo interesse. Dove puòGurdjieff avere trovato un concetto simile, se nel periodo delpensiero europeo di cui maggiormente si interessò, vale a dire isecoli sedicesimo e diciassettesimo, esso era sconosciuto? Comemai né nei neo-Platonici, né nello Pseudo-Dionigi, né nei Rosa-croce e nemmeno nella massoneria troviamo una comprensionedell'interazione reciproca dei processi quale Gurdjieff la simbo-leggia nel suo Enneagramma?

È lo stesso Gurdjieff a darci una chiave di soluzione di questoenigma; infatti sia nel libro Belzebù che negli scritti della secondaserie, e particolarmente nel capitolo intitolato " II principe YuriLubovedsky " egli ci racconta come abbia trovato una traccia perarrivare a una particolare setta, che dice trovarsi nel Bokharasuperiore, e che possiede questo particolare sapere. A prima vistapuò sfuggire che egli si stia riferendo proprio a quello di cui stiamoparlando, ma chi vada a rileggersi la parte di questo capitolo incui sono descritti l'addestramento delle sacerdotesse incaricate delledanze sacre, e gli strumenti che utilizzavano, si accorgerà che èun inconfondibile riferimento al simbolo dell'Enneagramma. Que-sto simbolo è ottenuto prendendo una circonferenza e dividendolain nove parti uguali. I nove punti vengono collegati in modo daformare un triangolo e una figura a sei lati. Come si vede, in essoè presente sia la triade che la combinazione di sei punti. Il segretodella combinazione di questi ultimi sta nell'ordine in cui sonocollegati: 1, 4, 2, 8, 5, 7. L'Enneagramma fa vedere simbolica-mente che, per ottenere una configurazione ben stabile, è neces-sario che i vari processi siano interconnessi. È questo che assicura,per esempio, la stabilità di un organismo vivente, quale il corpoumano. È evidente che, se solo si riuscisse a capire dove Gurdjieffha trovato l'Enneagramma, si potrebbe capire da dove vengonogli elementi più importanti contenuti nel suo insegnamento; sa-premmo cioè dove trovò ciò che mancava nella tradizione occi-dentale.

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A questo punto devo raccontare una specie di avvincente giallo.Nella storia di 'Soloviev', inserita nel capitolo su Lubovedsky,Gurdjieff racconta di come sia stato messo sulla strada di quelche andava cercando, e di come abbia ritrovato un suo amico,certo Principe Yuri, grazie a un derviscio del Bokhara, di nomeBogga-Eddin. Ora questo Bogga-Eddin è chiaramente un musulma-no; ma i musulmani non hanno alcun nome del genere. Questo tut-tavia non è un problema, perché quasi sempre i Russi trasformanola 'h' in 'g'> dicono per esempio gas pi tal là dove gli inglesi diconohospital, per cui è quasi certo che per loro Bahauddin diventiBogga-Eddin. Pertanto quando Gurdjieff parla di un derviscio delBokhara di nome Bogga-Eddin si sta indubitabilmente riferendo auna persona di nome Bahauddin. Orbene, esiste un famosissimo per-sonaggio, Bahauddin Naqshbandi, del Bokhara, la cui tomba è co-nosciuta in tutta l'Asia e che viene venerato dal quattordicesimo

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secolo. Dice Paul Vambery che tre pellegrinaggi alla tomba diMohammed Bahauddin Naqshbandi sarebbero equivalenti a unoalla Mecca.

È dunque praticamente certo che quando Gurdjieff scrive delderviscio del Bokhara Bogga-Eddin, si sta riferendo all'ordine der-viscio di Naqshbandi. Devo dire che quest'ordine mi affascina damolti anni. Li ho incontrati un po' in tutto il mondo. Molti nonli hanno mai sentiti nominare, molti hanno sentito parlare deiMevlevi, o dervisci danzanti, dei Rufai, o dervisci urlanti, odei dervisci Kadiri, discendenti di Abdul Kadir Jelani; ma sareisorpreso di trovare qualcuno che conosce i Naqshbandi, a menoche non abbia viaggiato in quei luoghi. E tuttavia l'ordine deiNaqshbandi è attualmente l'ordine derviscio più estesamente dif-fuso di tutti. I dervisci Naqshbandi si incontrano in tutto l'arcoche va dal Marocco all'Indonesia. Questo è quanto ho appresoda Mohammed Subuh, il quale da ragazzo si recò a Giava perstudiare con un famosissimo sceicco derviscio Naqshbandi, dinome Abdurrahman. Credo di non sbagliarmi se affermo che deidervisci Naqshbandi si trovano persine nelle isole Salomone. InPakistan ci sono di sicuro, posso dirlo per averli incontrati per-sonalmente; e poi ci sono, naturalmente, in tutto il vicino e mediooriente. Da voci che mi sono giunte, credo che se ne trovinoanche nell'Africa musulmana, però desidero limitarmi alla mia espe-rienza personale, e io personalmente ho incontrato dei dervisciNaqshbandi in Siria, a Damasco e ad Aleppo, e poi anche in AsiaMinore. Questi dervisci si distinguono da tutti gli altri ordini peralcune notevoli caratteristiche. Innanzi tutto i dervisci dell'ordineNaqshbandi hanno un principio che dice che l'uomo deve mirarea una perfetta armonia tra vita intcriore e vita esteriore, epertanto essi non permettono che i loro seguaci si ritirino inalcun modo dal mondo. Ovunque abbia incontrato dei dervisciNaqshbandi, ho visto persone occupate nelle normali occupazionidella vita, alcune ricche, altre povere, alcune semplicissime, matutte che vivevano una vita ordinaria; gente che si sposa, che hafigli se lo desidera, e che vive e prospera, ma nel mondo. Inoltretra di essi vige un saldissimo principio di mutuo amore e coope-razione, che impone loro di aiutare non solo gli altri membri dellostesso ordine, ma anche altri loro simili attorno a loro. Non è

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difficile riconoscere questo atteggiamento come quello che Gur-djieff chiama la 'Quarta Via'.

Inoltre, e posso dirlo per mia diretta esperienza, i dervisciNaqshbandi posseggono una notevole conoscenza delle tecnicheconnesse alla trasformazione d'energia. C'è tuttavia una loro par-ticolare caratteristica, che ho avuto difficoltà a capire a fondo, ecioè che non si riesce mai a far dire a uno sceicco Naqshbandichi c'è alle sue spalle, perché o mente, o vi fa capire di esserelui il punto centrale della setta, e anche gli allievi assicurano cheè lui il Grande Maestro, e non ce n'è nessun altro. E questo av-viene anche quando magari a due chilometri, dall'altra parte dellacollina, c'è un altro sceicco Naqshbandi, anch'egli considerato daisuoi seguaci come il solo e unico Maestro; questo l'ho visto coimiei occhi. Si potrebbe pensare che sono gente strana, visto checiascun sceicco Naqshbandi si pone al vertice come il solo e unicomaestro. Solo in due luoghi mi sono imbattuto in dei Naqshbandiche riconoscevano di avere un maestro alle spalle, una volta aCehan e un'altra a Istanbul, e in entrambi i casi mi hanno addi-tato l'oriente, mi è stata nominata una particolare città, e mi èstato detto come, se fossi stato preparato, avrei potuto giungeresino al Mutessarif-i-Zeman, il Maestro del Tempo. In ogni caso,sono abbastanza certo che se anche lo avessi trovato, un certomistero sarebbe comunque rimasto, tanto che sono incline a chie-dermi se l'ordine dei Naqshbandi non sia in realtà una prodigiosasocietà segreta che riesce molto bene a nascondere la propria or-ganizzazione mediante questo espediente di dichiarare il centroqualunque punto uno esplori, oppure se questo notevole gradodi autonomia tra gli sceicchi, o capi o maestri non sia insito nellanatura stessa della loro setta, nel loro stesso approccio ai problemidella vita. Io propendo per la seconda ipotesi, sono dell'avvisoche l'ordine dei Naqshbandi non sia un ordine gerarchico, nel sensoche non vi si trova una successione di gradi d'autorità. Penso cheè del tutto vero che più o meno sono indipendenti gli uni daglialtri, e anche qui ritroviamo una caratteristica propria delle scuoledella quarta via descritte da Gurdjieff. Queste scuole, infatti, nonsono permanenti, non hanno una loro 'stabilità', ma appaiono escompaiono quando tempi e luoghi lo richiedono. Gurdjieff insi-stette però sempre nell'affermare che rimane sempre un 'cerchio

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interno' accessibile solo a coloro che sono in grado di assolverei compiti che esso impone.

Quando ci parlava di tutto ciò, Gurdjieff si accendeva di un'en-fasi particolare. Il luogo cui recarsi, diceva, è Bokhara. "Se voletedavvero conoscere i segreti dell'Isiam", diceva sempre, "è a Bo-khara che li potete trovare". Ma ciò equivale a dire che li potretescoprire, questi segreti, nella misura in cui scoprirete il centro, ilpunto focale dei Naqshbandi. Da queste sue parole ci risultavaabbastanza chiaro che questa gente conosce PEnneagramma, ed èdunque depositarla di un sapere molto approfondito e straordi-nario.

Posso citarvi anche un'altra prova a conferma di questa interpre-tazione: mi riferisco all'etimologia del termine stesso Naqshband.Quest'ordine venne fondato nel quattordicesimo secolo da Muham-mad Bahauddin, che morì nel 1390. È dunque un ordine nonmolto antico, se lo confrontiamo per esempio a quello dei Mevlevi,che sono contemporanei dei Francescani, oppure a quello dei Ka-diri, che risalgono più o meno all'epoca dei Benedettini. PerchéBahauddin adottò questo nome di Naqshbandi? Il termine Naqshsignifica 'sigillo', 'simbolo', 'segno', e Naqshband significa 'unuomo che mette un sigillo', oppure 'un uomo che da un segno'.Oppure ancora, questo termine può significare 'coloro che creanosimboli', 'coloro che hanno il potere di generare il simbolismo'.Sembra probabile che, nel corso dei suoi viaggi in queste regioni,alla fine del secolo scorso e all'inizio dell'attuale, Gurdjieff siariuscito a entrare effettivamente in contatto con queste genti. Eglici ha lasciato diversi indizi che stanno a indicare che effettiva-mente fu così, indizi disseminati un po' in tutti i capitoli dei suoilibri, alcuni nel capitolo intitolato "II derviscio del Bokhara HadjiAsvatz Troov", altri nei già citati capitoli della seconda serie, inti-tolati "II principe Yuri Lubovedsky", altri ancora nel capitolo"II professor Skridlov", che è l'ultimo capitolo pubblicato in or-dine di tempo. In questo modo arriviamo a concludere che quantosuccessivamente Gurdjieff ebbe a insegnare sotto il nome di 'Idee',non proveniva che dal riunire insieme due metà di un'unica ve-rità. Una metà proviene dalla tradizione occidentale, soprattuttoplatonica, e l'altra metà è ripresa dalla tradizione orientale, inparticolare quella Naqshbandi. Questa fusione di due metà è chia-

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ramente indicata dallo stesso Gurdjieff nella storia di Boolmarsha-no, nel capitolo 44 di Belzebù.

Se tutto ciò è vero, significa che in una data ben remota, primaancora dell'avvento del Cristianesimo, già esisteva un grande sa-pere circa la costruzione dell'ordine naturale, e che questo saperesi divideva in due parti: una parte proveniva dall'Occidente, quasicertamente per il tramite di Pitagora, come suggerisce Piatonenel Time o, e una si trovava in Oriente, nelle mani dei Magi Caldei,e si spostò a nord quando, dopo l'invasione di Alessandro, l'im-pero achemenide andò in frantumi. Talvolta Gurdjieff sembrava par-lare in tono iperbolico: ma quando per esempio diceva: "Questecose che vi sto dicendo risalgono a moltissimi anni fa, forse a4.500 anni fa", io credo che si stesse veramente riferendo agliinizi, all'epoca in cui la cultura sumera si trasfuse nella fase ini-ziale di quella che doveva divenire la cultura caldea. È probabileche a quell'epoca si conoscesse sulle leggi e sulla natura dell'essereumano molto più di quanto siamo disposti a credere. Forse qual-cuno potrà dire che è poco credibile che queste genti 'primitive'conoscessero tutte queste cose; se però si considerano le loroeffettive realizzazioni, ci si rende conto che tanto primitivi nonerano. Se nel quadro si fa rientrare anche l'Egitto, e ci si chiede:"All'inizio del terzo millennio avanti Cristo, che rapporti c'eranotra Sumeri ed Egizi?", si giunge alla conclusione che in realtà inquell'epoca c'era un gran messe di conoscenze, e forse la nostrascienza moderna è debitrice a queste conoscenze più di quantosiamo disposti a renderci conto. Noi siamo convinti che negli ul-timi tre o quattrocento anni abbiamo scoperto praticamente tuttociò che è importante, così, dal nulla, avendo alle spalle solo l'igno-ranza di astrologi e alchimisti e le speciose speculazioni dei neo-platonici. E invece è probabile che dietro a tutto questo ci fosseuna messe di vere conoscenze sull'uomo e sull'universo molto piùricca di quanto oggigiorno siamo disposti ad ammettere.

È certo che questa, almeno, fosse la convinzione di Gurdjieff,tanto che nelle sue ricerche egli si propose di mettere in luce lapiù vasta mole possibile di queste conoscenze. Finora ho parlatosoprattutto delle sue ricerche nell'Asia centrale, ma so per certoche si recò anche in Etiopia, così come si spinse molto più aoriente. Da quello che diceva, doveva aver conosciuto le Isole del

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Pacifico e certamente conosceva le Salomone di persona. Quandosi recò alle Salomone, era alla ricerca di qualche cosa, e a tutt'oggi,alle Salomone, ci sono cose che attendono di essere scoperte.

Adesso vorrei rimettere un po' insieme tutti questi dati. Egliebbe dunque la grandissima fortuna (o questo era il suo destino)di poter giungere alla fonte stessa di conoscenze tradizionali difondamentale importanza, conoscenze che a mio avviso possonoessere collegate ai dervisci Naqshbandi. E inoltre fu capace di sco-prire metodi estremamente pratici e potenti che permettevanoall'uomo di controllare e produrre le sostanze sottili connesse allenostre esperienze psichiche e spirituali. Oltre a ciò, e soprattutto,suppongo, grazie alle sue accanite ricerche, raggiunse una profon-dissima comprensione della psiche umana, comprensione alquantodiversa e per alcuni versi più penetrante di quella cui è giunta,negli ultimi sessant'anni, tutta la psicologia occidentale.

Se adesso riguardo l'arco di tempo di 43 anni che mi separadalla prima volta in cui feci la conoscenza di Gurdjieff, rimangoattonito nel constatare quante tra le cose che allora apparivanoin flagrante contraddizione con quanto era comunemente accettatoin campo scientifico e psicologico siano state successivamente pie-namente reputate vere. Questo è dovuto in parte all'influenza dellostesso Gurdjieff, ma soprattutto all'effettivo progresso autonomodi queste discipline. È una cosa davvero notevole, e innumerevolisono gli esempi che potrei citare di cose che, quando le udivamonel 1921 o '22, ci apparivano assolutamente bizzarre. Penso peresempio alla natura dello spazio extra-galattico, alle innumerevoligalassie esistenti oltre alla nostra. A quell'epoca la cosa ci apparivamolto strana; non ricordo esattamente quando essa cominciò adessere accettata; oggi lo è divenuta completamente.

Nel prossimo capitolo parleremo del problema di stabilire se tut-to ciò che Gurdjieff diede al mondo non sia che il risultato dellesue ricerche, riunite in modo molto intelligente dagli sforzi con-certati di un gruppo di uomini eminenti, oppure se, al contrario,non vi sia un qualcosa di più, che è impossibile ridurre al risultatodi una ricerca nella tradizione e di uno sforzo di sintesi, per quantoprodigiosi essi possano essere stati. Finora, nella misura in cuimi è stato possibile, ho presentato un resoconto delle sue vicende.Nel prossimo capitolo mi propongo di soffermarmi di più sui suoi

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insegnamenti e metodi nell'arco che va dagli inizi della sua divul-gazione sino alla fine della sua vita, e dirò anche che cosa, se-condo la mia convinzione, egli desiderava sortisse da tutta la suaopera.

DOMANDE

D.: Io sono armeno, ma non ho mai sentito nominare questesocietà segrete armene di cui parlava lei...

Bennett: Conosce almeno i Dashnak?

D.: Quello era un partito politico.Bennett: Era molto di più.

D.: Ma non dal punto di vista del misticismo, è così?Eenne tt: Posso dirle che nel 1919 sono stato personalmente in

contatto con questa gente, e so per certo che in loro c'era ancheun elemento di misticismo. Per un certo verso, sì, poteva sembraresolo un partito politico, ma stando nel Caucaso ebbi prove tan-gibili che in esso vi erano anche elementi religiosi e persine dimisticismo.

D.: Ma il movimento Dashnak è un partito politico di matricemarxista, non ha nulla di mistico.

Bennett: Divenne unicamente partito politico in un'epoca moltoposteriore a quella di cui sto parlando. Nel 1920 era ancora unasocietà segreta. Io posso solo parlarle di persone che ho conosciutopersonalmente a Istanbul nel 1919 e nel 1920. A quell'epoca que-sti membri del movimento Dashnak non erano certamente deimarxisti, ve lo posso assicurare nel modo più categorico. Finedichiarato di questo movimento era quello di raggiungere l'indi-pendenza dell'Armenia. Era un movimento nazionalista armeno,non era politico nel senso che non era né marxista né anti-marxista,almeno a quell'epoca. Sono assolutamente sicuro che se si risaleagli ultimi anni del secolo scorso, quando già tali società esistevano,si scopre che intendevano semplicemente difendere le tradizioniarmene.

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Naturalmente è assolutamente vero che esse erano una spinanel fianco per i governi zaristi russi dell'epoca. Ma perché? Perchélottavano per l'indipendenza dell'Armenia; e per la stessa ragionecostituivano una spina nel fianco dei governi turchi. Ma questo èsolo un aspetto della questione. Quello che so, viene da quantolo stesso Gurdjieff disse a riguardo, e questo almeno è verificabile,e cioè che la possibilità di viaggiare per quella che oggi è l'Ar-menia e per tutto il Kurdistan gli venne proprio grazie al contattocon l'una o l'altra di queste società segrete.

D.: Si sa nulla del suo soggiorno in India?Bennett: Molto poco. Solo un racconto che è senza dubbio as-

solutamente apocrifo, in cui dice che all'età di 17-18 anni conobbeMadame Blavatsky, la quale si innamorò di lui.

D.: L'Enneagramma ha delle caratteristiche ben precise? È ilsimbolo di una società segreta, come il Pentagramma? Ha deilegami con altre società?

Bennett: È molto probabile che sia l'emblema di qualche so-cietà segreta. In questo momento non vorrei parlare della sua in-terpretazione, di cui dirò di più successivamente. Mi riferisco alfatto che è un simbolo, un Naqsh suscettibile di essere collegatoa una società, piuttosto che al suo aspetto strumentale. L'unicacosa che ho sentito dire su di esso, a parte l'accenno che ne falo stesso Gurdjieff che lo dice collegato ai dervisci del Bokhara,è il fatto che in qualche luogo dell'India settentrionale lo si utilizzatuttora come strumento di divinazione.

D.: Ci potrebbe dire qualcosa sulle tecniche per la trasforma-

zione dell'energia?Bennett: Tutto ciò che riguarda cosa egli abbia insegnato, e in

che modo, lo vorrei riservare per la terza conferenza. Qui mi sonolimitato a cercare di indicare quelle che sembrano essere state leprobabili fonti di Gurdjieff, e come egli arrivò a mettere insiemequel materiale che poi avrebbe chiamato le sue 'Idee' o 'Sistema'.Naturalmente per completare questa esposizione alquanto somma-ria dell'enigma Gurdjieff, la prossima volta mi rimane da parlarvisul tema della trasformazione dell'energia. Dovete però capire chequeste conversazioni non s'incentrano sugli insegnamenti di Gur-

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djieff; io qui mi propongo piuttosto di dire qualcosa circa la stra-nezza di quest'uomo. In quella parte del mondo si sono recatetante e tante persone, e tuttavia nessuno, a quanto sembra, vi hatrovato le cose che lui vi ha trovato. A un certo momento sia ioche molti altri abbiamo pensato che le sue idee fossero derivatedalla tradizione occidentale, e non v'è dubbio che alla fine del di-ciannovesimo secolo e agli inizi del ventesimo ci siano state diversesocietà occulte russe che hanno compiuto una ricerca estremamenteattenta di questo materiale, che tanto affascinava i Russi. Solo nel1924, quando prendemmo a studiare seriamente l'argomento, giun-gemmo alla conclusione che questa spiegazione non era certamentequella giusta, che Gurdjieff doveva aver trovato cose del tuttodiverse da quelle rinvenibili in Europa, nonché del tutto distinteda quelle rinvenibili in India, perché le sue idee non coincidonocon le fonti tantriche o buddhiste, né con le cosiddette fonti teo-sofiche. Qui non mi sono soffermato su tutto questo, perché sitratta di un accostamento 'in negativo'; tuttavia alcuni punti dicontatto ci sono certamente. Non v'è dubbio sul fatto che Gur-djieff avesse studiato molto seriamente il Buddhismo, perché cisono molte caratteristiche della psicologia buddhista che egli haadottato e trasferito nelle sue teorie. Però i suoi concetti più fon-damentali non si ritrovano, per quanto ne sappia io, né nelle filo-sofie classiche induiste, né nei Tantra, né nel Buddhismo.

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Gli insegnamenti e i metodi di Gurdjieff

Una caratteristica notevole degli insegnamenti e dei metodi diGurdjieff è che essi furono continuamente mutevoli. Fino alla finedella sua vita, infatti, egli continuò a cercare nuove vie. Da quantoho potuto appurare, dal 1888 circa, quando aveva sedici anni, sinoalla fine della sua esistenza, nell'ottobre 1949, egli non ebbe alcunperiodo di tranquillità.

Questa sua continua sperimentazione può indurre in errore, per-ché conoscendo un dato periodo della sua vita c'è il rischio diconsiderarlo rappresentativo di tutta la sua esistenza, e così trovarsiin totale contraddizione con chi conosce meglio un periodo diverso.Questo è vero anche per quanto riguarda le sue affermazioni, chepotevano essere rigettate e contraddette non solo trent'anni, maanche trenta giorni dopo essere state enunciate. La maggior partedei libri su Gurdjieff si riferisce a un dato periodo della sua vita,e pertanto limitandosi alla lettura dei soli libri non si riesce adavere un quadro esauriente del personaggio Gurdjieff.

C'è poi un'altra caratteristica di Gurdjieff che devo immediata-mente ricordare, e cioè il fatto che egli si camuffava di proposito,mettendosi di proposito in cattiva luce. È come se avesse indos-sato una maschera che aveva l'effetto di allontanare le persone dalui, piuttosto che attrarle. Ora, questo metodo, che è chiamato daiSufi la Via di Malamat, cioè la Via del Biasimo, nei tempi antichiera in grande stima presso i Sufi, i quali consideravano particolar-mente eminenti in campo spirituale gli sceicchi che la seguivano.Queste persone si presentavano al mondo esterno sotto cattivaluce, in parte per evitare di attrarre su di sé elogi ed ammirazione,e in parte, anche, come forma di protezione personale. In tempi

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più recenti, questa Via di Malamat è stata abbandonata, mentre eracertamente seguita, anche se con altri nomi, sia dal Cristianesimoche da altre grandi religioni. Attrarre sulla propria persona il bia-simo piuttosto che la lode è sempre stato molto approvato; solooggigiorno comportarsi in questo modo e compiere di propositoazioni che possono attirare discredito non solo non è ben compre-so, ma non è nemmeno considerato giusto.

C'è invece una ragione particolare per seguire la Via di Mala-mat, e questa ragione ha a che vedere coi poteri di cui erano dotatele persone destinate ad eccellere nel mondo o in campo spirituale.Secondo gli antichi insegnamenti zoroastriani, esisteva un deter-minato potere denominato Hvareno. Esso consisteva in un segnodi regalità, e chiunque fosse dotato di Hvareno possedeva un po-tere d'attrazione sugli altri, aveva un 'tocco regale'. Questo potereera riconoscibile da certi segni o caratteristiche del corpo fisico,che indicavano un uomo destinato ad eccellere o nel campo mate-riale o in quello spirituale. Si dice per esempio che il Buddha aves-se questi segni, che vennero riconosciuti quando ancora egli eraun bambino, e che mostravano che egli era destinato ad andaremolto avanti sulla via della spiritualità. Ma non era possibile direse significassero che egli sarebbe divenuto un grande re, destina-to a governare il mondo, oppure se sarebbe divenuto un grande Ini-ziato in campo spirituale. Se un uomo dotato di questi segni, o delpotere chiamato Hvareno, desiderava seguire il cammino della spi-ritualità, doveva proteggersi dal pericolo di essere considerato unMessia, da una parte, e della esaltazione esteriore della sua perso-na, dall'altra. Una delle ragioni per le quali uomini destinati a unavita spirituale elevatissima seguivano la Via di Malamat era quelladi proteggersi dal pericolo di venire posti su un trono, per cosìdire, e di divenire un capo o essere oggetto d'adorazione.

Il Vangelo dice chiaramente che Cristo era dotato di Hvarenoa un grado eccelso, tanto che gli Ebrei volevano prenderlo con laforza e incoronarlo re. Ma ci dice pure che ogni qual volta c'eraquesto pericolo Egli si tirava indietro e si nascondeva. Ciò si puòinterpretare dicendo che anche Cristo seguiva la Via di Malamat,come del resto indicano le parole: "Egli era disprezzato e rifiu-tato dagli uomini". Forse ricorderete che ne L'imitazione di Cristo,San Tommaso da Kempis consiglia ai cristiani che desiderano se-

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guire Cristo di ricercare il biasimo piuttosto che la lode in tutte leproprie azioni.

Poiché dunque anche Gesù Cristo, per poter compiere la suamissione terrena, seguì la Via del Biasimo, possiamo concludereche essa può considerarsi appartenente ai sommi vertici della spi-ritualità. Questa Via sembra indicata anche per tutti coloro checorrono il pericolo di attrarre verso di sé quell'errato culto del-l'eroe che sconfina nell'idolatria. Il potere di attrarre gli altri èuna tentazione talmente terribile che pochi vi resistono.

Gurdjieff si rese conto sin da piccolo di possedere un tale po-tere. Con questo non voglio dire che egli sia da affiancare a Sa-lomone o a Buddha, i quali è certo avessero questi segni; intendosolo affermare che egli aveva innata una certa capacità o Hvareno,e che si rese presto conto che questa sua dote gli avrebbe potutofare raggiungere una posizione di autorità verso gli altri. Nel libroche ho già citato, // Messaggero di Dio, scritto nel 1933, egli spie-ga che ventuno anni prima, e cioè nel 1912, aveva adottato quelloche chiama "uno stile di vita innaturale", e proprio per proteg-gersi dalle conseguenze derivantegli dallo Hvareno che possedeva.

Quando un uomo adotta queste particolari misure è molto dif-ficile capire il suo comportamento manifesto, e questo era chiara-mente il caso di Gurdjieff. Molti hanno espresso un giudizio su dilui giudicandolo dal suo comportamento manifesto, senza pren-dere in considerazione la possibilità che questo comportamento fos-se stato adottato di proposito per lo scopo che stiamo dicendo.Lui stesso, ne II Messaggero di Dio, citava questo episodio; mapoco dopo la pubblicazione del libro eliminò quel paragrafo e ri-tirò dalla circolazione quante più copie possibili del libro, tantoche probabilmente una percentuale relativamente esigua di per-sone avrà avuto modo di vederlo. Anche questo era collegato almedesimo bisogno di camuffare la sua vera natura. Aveva decisodi seguire una via diversa da quella che intendeva seguire al mo-mento della pubblicazione. Questo libro era stato una specie diballon d'essai, lanciato per valutare che conseguenze avrebbe avu-to annunciare al mondo che certe cose erano possibili, e quandosi accorse che c'era il rischio che i suoi tentativi fossero palese-mente male interpretati, si ritrasse e prese a seguire una stradapiù in ombra.

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Credo di potere assicurare, grazie a tutti gli studi della sua vitache ho compiuto e ai miei numerosi contatti con lui, che egli eradavvero un uomo che aveva scelto deliberatamente di celare ipropri poteri dietro la cortina di un comportamento tale da attrar-re il biasimo su di sé. Purché si rifletta brevemente a questo fatto,ci si rende conto di quanto sia difficile per noi sceverare la veranatura dell'uomo e i suoi veri propositi partendo da quanto ap-pariva all'esterno. Ma prima di parlare di questo, devo passarebrevemente in rassegna le varie fasi della sua vita nel periodo incui effettuò ricerche, e cioè dall'età di quindici anni, circa sinoalla morte. Innanzitutto ci furono le ricerche locali, i contatti inquella regione straordinaria che è il Caucaso, punto d'incontro diEuropa e Asia, nella quale egli era nato e cresciuto. Più tardi, apartire dalla metà circa degli anni '90 del secolo scorso sino agliinizi del nostro secolo, egli si spostò invece più lontano. E nonc'è dubbio che anche in questo periodo dedicò molto tempo aicontatti con una setta cui fa riferimento svariate volte, e dallaquale apprese una antica e segreta tradizione. Questo fatto diedenuova direzione alla sua attività successiva. Dopo questo periododi ricerche, ne sopravvenne uno di sperimentazione sui problemiche si era posto, dedicato a trovare il modo di liberare l'umanitàda una particolare deficienza dell'umana natura che, a suo av-viso, sarebbe divenuta sempre più grave via via che il mondo segui-tava a precipitare su una certa china. Questa caratteristica dellanatura umana è la suggestionabilità, cioè la nostra debolezza difronte a una suggestione esterna, la tendenza a seguire il gregge ea farci trasportare dalla propaganda di qualsiasi genere. Qggi,con lo sviluppo delle tecniche di comunicazione, questa è infattidivenuta una minaccia gravissima per il mondo. Lo sviluppo deimetodi di comunicazione fa sì che, per via della suggestionabilità,l'iniziativa personale tende ad essere soffocata, e diventa possi-bile controllare la mente dell'uomo per mezzo della suggestione,in misura molto pericolosa non solo per chi è sottomesso a questocontrollo, ma anche per chi lo esercita. Nel libro Brave New WorldAldous Huxley ci fa vedere fino a che punto tutto ciò può arrivare.

Al fine d'investigare il problema della suggestionabilità umana,Gurdjieff studiò molto a fondo l'ipnosi. Ricordo che la primissi-ma conversazione che ebbi con lui, la prima volta che l'incontrai,

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I 56 Gli insegnamenti e i metodi di Gurdjieff

nel 1920, verteva proprio sull'ipnosi. In quella conversazione midisse cose talmente sorprendenti che mi resi subito conto che nesapeva molto di più di chiunque altro avessi incontrato sino adallora. Nel 1920 ero molto interessato all'argomento: non soloavevo letto moltissimo sull'ipnosi, ma avevo anche fatto eserciziocon un esperto e mi ero allenato per vedere sino a che punto essami poteva aiutare a capire certe conclusioni sul tempo e l'eternitàcui ero giunto attraverso gli studi matematici. Ero dunque fortedi una certa esperienza; e tuttavia mi apparve presto chiaro chedi fronte a Gurdjieff nel campo dell'ipnotismo ero semplicementeun bimbo in fasce. Non solo io, del resto, ma anche altre perso-ne che avevano studiato l'argomento piuttosto a fondo, come peresempio Charles Lancelin, il noto occultista francese, erano lungidal comprendere appieno quanto l'ipnosi poteva fare per gli es-seri umani.

Come vi dissi la settimana scorsa, Gurdjieff si dedicò allo studiodell'ipnosi negli anni che vanno dal 1900 al 1908, probabilmentein connessione al suo lavoro di guarigione di persone alcolizzate odrogate, oppure soggette agli svariati altri influssi che esaltano lasuggestionabilità e affievoliscono il potere di iniziativa di una per-sona. Nel corso di questi anni Gurdjieff aveva cercato di vederese riusciva a trovare un metodo pratico per aiutare le persone af-fette da questo grave problema. Non voglio dire che la suggestio-nabilità sia il punto nodale di tutti i problemi umani, perché inrealtà si tratta di una debolezza collaterale, dovuta all'egoismo del-l'uomo. Se infatti l'uomo non fosse egoista, nemmeno sarebbe sug-gestionabile. Nondimeno, la suggestionabilità è un sintomo e unamanifestazione di debolezza ben più grave di quanto oggigiorno sisia disposti ad ammettere. Abbiamo tutti sentito parlare di lavag-gio del cervello e di propaganda ai fini commerciali e politici;ma la nostra debolezza, dovuta alla suggestionabilità, è ancorapiù grave, e i suoi effetti sul genere umano saranno disastrosi, ameno che non la si combatta efficacemente.

Quando dunque Gurdjieff scelse come tema di indagine di sco-prire attraverso quali mezzi il genere umano potesse essere liberatoda una tale debolezza, egli si stava interessando a una cosa dav-vero importante per noi tutti. Ora, sapete che è impossibile cu-rare un sintomo se non si interviene alla radice di esso. E dietro la

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suggestionabilità c'è una spaventosa ignoranza della natura umana,ignoranza che è una delle cose che rendono delicata la nostra attua-le situazione. È perché conosciamo tanto sulla natura in sensolato, e così poco sulla nostra natura interna, che si crea un cosipericoloso squilibrio nell'attività dell'uomo. Siamo in grado diagire con tanta efficacia sul mondo esterno, ma siamo impotentia farlo'su quello interno.

Gurdjieff fu dunque portato a interessarsi a fondo della natu-ra umana, per riuscire a capire perché l'uomo non conosce se stesso.Probabilmente nel corso dei contatti che ebbe con quella partico-lare scuola di cui ho parlato nel capitolo precedente, centrò la veraspiegazione di questo problema; spiegazione che oggi viene col-ta di rado, persine da coloro che hanno studiato le idee di Gurdjieffnei suoi libri o nella sua attività pratica. L'illusione fondamentaleriguarda la natura della coscienza. Quella che noi comunementechiamiamo coscienza non è che un riflesso della coscienza. La ve-ra coscienza è l'opposto di ciò che noi chiamiamo coscienza. Dietrola nostra coscienza normale, c'è un'altra coscienza, ma è più giu-sto dire che quella che chiamiamo coscienza, la nostra coscienza'normale', è un po' il contrario della coscienza, proprio come il ne-gativo di una fotografia, nel quale la luce è oscura e le parti oscu-re sembrano luminose.

A mio parere, una volta afferrato questo carattere della nostracoscienza, Gurdjieff era veramente pronto a inserire i suoi primistudi sull'ipnosi in un quadro più completo della problematica uma-na. In altre parole, si trattava ora di scoprire quali erano i modiattraverso i quali l'uomo possa accedere al suo vero stato di coscien-za, senza però perdere il contatto col mondo esterno, contatto peril quale noi usiamo la nostra 'coscienza inversa', o 'coscienza infe-riore', come spesso è chiamata, in modo alquanto fuorviante.

Accanto a queste scoperte sulla natura umana, Gurdjieff fu sen-za dubbio molto interessato a quelle che egli chiama le Leggi dellaCreazione e del Permanere del Mondo, termini che utilizza perindicare quelle conoscenze che l'uomo da sempre ricerca, che glipermettano di comprendere il mondo e il posto che vi occupa. Èper il nostro bisogno di capire come è fatto il mondo, quali sonole sue leggi e perché sono tali che noi uomini abbiamo col mondoil rapporto che abbiamo. Sono domande che le scienze naturali non

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possono nemmeno formulare, poiché esse studiano soltanto ciò chepuò essere oggetto di conoscenza, e non la fonte di questa stessaconoscenza, cioè a dire la natura umana. La scienza accetta comedato di fatto che al centro di un mondo, governato dalle leggi deiprocessi fisici, chimici, biologici, c'è un essere come l'uomo, sulquale essa non può, non solo dare risposte, ma neppure interro-gazioni. È dunque necessario avere un quadro del mondo nel qualevengano a fondersi l'uomo e la sua esperienza, da una parte, e ilmondo e la sua natura, dall'altra. Fu la necessità di comprenderequesta situazione totale che spinse Gurdjieff a ricercare tutto ciòche si poteva conoscere circa la natura delle leggi o principi fon-damentali; così venne a conoscenza di cose straordinarie, e tra il1908 e il 12 costruì una cosmologia che non fu però mai in gradodi portare a termine.

Questo ci porta al quinto periodo della sua vita, quello iniziatointorno al 1910, anno in cui Gurdjieff, probabilmente in collabo-razione con persone che si erano affiancate a lui nelle ricerche, sidedicò a riunire insieme tutto questo materiale, cioè a fonderetutto quanto aveva appreso nel campo della psicologia, dal puntodi vista pratico, e in particolare sull'ipnosi, con tutto ciò che avevaappreso sulle leggi e la struttura del mondo, cioè sulla cosmologia.Così cominciò a prendere forma ciò che più tardi doveva esserechiamato il 'Sistema' di Gurdjieff, quello che lui invece preferivachiamare le sue 'Idee'. Quanto sia durato questo periodo di atti-vità di sintesi è difficile dire, perché in un certo senso esso du-rava ancora agli inizi della prima guerra mondiale. A quel momen-to era arrivato a rendersi conto che per operare questa sintesi gliera necessario avere persone sulle quali poter fare esperimenti. Simise dunque a fare nascere dapprima piccoli gruppi di personesparsi qua e là, e più tardi quello che chiamò il suo Istituto perl'armonico sviluppo dell'uomo. Egli era senza dubbio in contattocon circoli molto esclusivi che facevano capo allo Zar e alla suacorte. Si era incontrato molte volte con lo Zar Nicola n, e ci avevaparlato della sua ammirazione e simpatia per lui e della strana si-tuazione esistente alla corte russa. Come è noto, sua moglie era unanobile polacca appartenente alla corte imperiale.

Questo periodo, durante il quale Gurdjieff frequentò in Russiagli ambienti più elevati, arriva sino all'inizio della prima guerra

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mondiale. È molto probabile che, come ci disse egli stesso, eglifosse in diretto contatto con Rasputin, il monaco che tanta biz-zarra influenza ebbe alla corte russa, e che Gurdjieff cercò sempredi contrastare. Successivamente Gurdjieff si ritrasse da quel mon-do, e dopo il 1915 seguì un altro periodo durante il quale egliconobbe e frequentò Ouspensky e le persone che questi gli fececonoscere. Durante questo periodo lavorò con diversi gruppi spe-rimentali per tutto il corso della guerra, negli anni che vanno dal1915 alla rivoluzione, epoca in cui si ritirò nel Caucaso. Suo padrefu ucciso quando, il 25 aprile 1918, i turchi presero d'assalto Kars.Degli anni che vanno dal 1915 al '19 sappiamo molto, a quantosembra, grazie a quanto ha lasciato scritto Ouspensky nel suo libroIn Search of thè Miracolous* Ma non dobbiamo dimenticare cheOuspensky era a conoscenza solo di una piccola parte del lavoro diGurdjieff. Molti esperimenti iniziati vennero abbandonati, e Gur-djieff prese a lavorare in modi del tutto diversi, cosicché la fase chesegue è completamente diversa.

La domanda che a questo punto sorge spontaneamente è: su checosa vertevano i suoi esperimenti? Prima di rispondere, devo pre-mettere alcune parole sul difficile problema del trasferimento dellacomprensione da un contesto a un altro. Non v'è dubbio che inAsia esiste una saggezza tradizionale, di grandissima importanzaper il genere umano, ma probabilmente, e contrariamente a quantosi crede di solito, questa saggezza raggiunge vertici più elevati inquello che è chiamato il medio oriente che nell'estremo orienteo in India. Non ha importanza la sede esatta di questa saggezza, ilfatto importante è che trasferirla in un contesto europeo è impresaestremamente ardua, molto più ardua di quanto si creda. Si sonoavuti molti tentativi prematuri di trasferire in Occidente concettie metodi provenienti dall'India, dalla Cina, dal Giappone, dal Me-dio Oriente, da fonti buddhiste, induiste, tantriche, zen, sufi, edaltre. In tutti questi casi sono sorte difficoltà notevoli, perché lepersone che avevano fatto il tentativo di portare in Occidentequella saggezza erano o europei che avevano assimilato imperfetta-mente ciò che l'Oriente ha da offrire, oppure asiatici che non ca-

* Trad. it. con il titolo Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio,Roma.

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pivano il contesto europeo ed americano. In quasi tutti i casi, quellepersone commisero gravi errori, o perché tentavano di trasferire inblocco ciò che funzionava molto bene in un certo contesto asiaticoa un contesto del tutto diverso, oppure perché cercavano di adat-tarlo all'Occidente senza avere veramente capito questo diverso am-biente.

Uno dei principali obiettivi che Gurdjieff si propose di realiz-zare, fu quello di trovare come le cose che aveva scoperto, parti-colarmente in Asia, e, in misura minore, in Africa, potessero esseremesse a disposizione pratica del mondo occidentale. Gli ci volleroqualcosa come trent'anni di costante sperimentazione prima di poterarrivare a un metodo che trovasse ragionevolmente soddisfacente;e questo malgrado due innegabili vantaggi di partenza di cui gode-va: l'essere lui stesso, dopo tutto, di origine europea, e l'averestudiato in modo particolare quali carenze della natura umana èassolutamente necessario superare. I suoi studi non erano stati di-retti unicamente al perfezionamento dell'uomo, per mezzo, peresempio, di metodi di penetrazione negli stadi profondi della co-scienza, quale la meditazione; egli aveva anche studiato a fondoquali sono gli ostacoli insiti nella nostra natura che ci impedisconodi vivere una vita normale. Ora, questo gli diede un considerevolevantaggio quando entrò in contatto con persone occidentali, perchétali ostacoli sono molto simili tanto in Oriente quanto in Occidente.La vera grande differenza tra Oriente e Occidente sta più nel tipodi cose in cui noi crediamo, e in cui loro credono, nelle cose versocui noi nutriamo speranze e loro nutrono speranze. Ecco perchéè così difficile capirsi a vicenda: non è tanto che le nostre naturesiano diverse, quanto piuttosto il fatto che noi ci impegniamo incose per le quali loro non si sognerebbero mai di impegnarsi, eloro, d'altra parte, si impegnano in cose in cui noi non ci sognerem-mo mai di impegnarci.

Questo compito, cui Gurdjieff si dedicò dal 1910 circa, finoagli anni trenta, corrisponde al periodo di cui parlavo l'altra volta,quando riferii che egli aveva detto che per ventun'anni aveva vis-suto una vita innaturale. Quindi, per un breve periodo, tornò avivere normalmente, e successivamente ancora tornò a un generedi vita difficile da capire.

A questo punto devo dedicare qualche parola all'esito ultimo

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di tutto ciò, perché purtroppo non posso soffermarmi molto di piùsulle varie fasi di questa sua sperimentazione. Si è già parlato nelcapitolo precedente delle sostanze, e di come nei paesi dell'Oriente,specialmente nel medio oriente, si comprenda molto di più che inOccidente quali sostanze stanno dietro le varie attività. Gurdjieffsi espresse con molta chiarezza circa l'importanza, per l'uomo, diessere in grado di produrre e controllare le sostanze che gli sononecessarie per produrre dei cambiamenti. Aveva capito che nonpossiamo migliorare il funzionamento di una qualsiasi cosa che nonfunziona a dovere, se continuiamo a immettervi il carburante sba-gliato. Se vogliamo un'azione più precisa, avremo bisogno di car-burante meglio raffinato.

A proposito delle sostanze, va detto che, verso l'inizio del secolo,Gurdjieff s'imbattè senza dubbio in un concetto sul quale poi sisoffermerà nel capitolo di Belzebù intitolato "Guerra". In questocapitolo egli cita il curdo Aternach, un uomo colto, che avevascoperto che la ragione della guerra qui in terra non sta nel com-portamento degli esseri umani, ma è necessaria per una particolaresostanza che può essere prodotta unicamente in uno di questi duemodi: o attraverso l'azione conscia e intenzionale dell'uomo, oppu-re attraverso la sua morte. Ne segue che se l'uomo non produceintenzionalmente questo elemento, il numero delle morti, e spe-cialmente delle morti premature in terra dovrà aumentare: a questopunto, le guerre diventano inevitabili. Secondo questa teoria, leguerre sono la conseguenza del mancato adempimento da partedell'uomo dei suoi compiti cosmici; in seguito a questo mancatoadempimento nascono condizioni che rendono inevitabili le guerre.Oppure, se non per mezzo della guerra, la morte prematura deveessere generata in qualche altro modo. Dato che, secondo questateoria, tale sostanza necessaria viene fornita da una morte di uncerto tipo, il risultato può essere ottenuto, probabilmente, tramiteun enorme incremento della popolazione mondiale, quale quellodi cui siamo testimoni in questo secolo. Un accenno a questo pro-blema si trova in Gurdjieff alla fine del capitolo X'LII di Belzebù,quando parla delle volpi, dei topi e dei gatti. Senza dubbio vi ren-dete anche conto che questo processo è in qualche modo collegatoa quello chiamato 'nutrire la luna'.

Che queste immagini siano da prendere in senso letterale o fi-

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gurato, in ogni caso non c'è alcun dubbio che Gurdjieff avvertìdi essere arrivato a una verità profondamente significativa per noitutti, e cioè che o l'uomo assolve un certo compito per il quale egliesiste sulla terra, oppure sarà costretto a vivere e morire in modotale che lo stesso risultato sarà ottenuto anche al di sopra di lui,malgrado la sua volontà.

Questo concetto può essere espresso in termini semplici dicendoche le azioni intenzionali dirette a un fine positivo danno come ri-sultato la creazione di una certa sostanza. Una parte di essa va per-duta nel fatto stesso di compiere l'azione; una parte rimane a di-sposizione per gli scopi di cui dicevamo, quali che siano, e la terzaparte rimane disponibile per il perfezionamento, per lo sviluppointerno e la spiritualità della persona stessa. La vita umana dovreb-be essere organizzata in modo tale che ci sia un numero sufficientedi persone che si dedicano intenzionalmente a questa trasformazionedell'energia; perché solo in questo modo potranno essere scongiu-rati i rischi a cui l'umanità è esposta.

La medesima credenza, sotto veste leggermente diversa, non èdel tutto sconosciuta all'Occidente: è la dottrina della sofferenzavicaria e del trasferimento dei meriti. Gurdjieff considerava d'im-portanza vitale che l'uomo riconoscesse questo suo compito e si met-tesse all'opera in modo tale da assolverlo. Solo in questo modopotrà essere scongiurato il grande pericolo che corre l'umanità. Lacostante preoccupazione di Gurdjieff fu quella di realizzare le con-dizioni in cui l'uomo, se lo desiderava, potesse capire come otte-nere questa trasformazione delle sostanze; in altre parole, comepoter assolvere al proprio compito di natura cosmica. Il principioè che, assolvendo questo compito, egli contemporaneamente servei suoi simili e salva la propria anima.

Arriviamo così a vedere come tutto ciò è strettamente connessocol problema della suggestionabilità. Chi capisce che per poter as-solvere il proprio compito di natura cosmica deve liberarsi dallasuggestionabilità, ha una grande responsabilità: infatti deve essereindipendente e libero, in grado di assumere e accettare liberamentee coscientemente questi compiti. Si giunge a concludere che è ne-cessario fare vedere all'uomo come liberarsi dall'illusione e dalladebolezza che lo rende suggestionabile e indulgente verso se stesso;solo così vedrà che può assolvere il compito cui è destinato. Natu-

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Talmente questo compito potrà essere espresso sotto forma di codicemorale, oppure di insegnamenti e pratiche religiose. Questi mezzi,nel loro complesso, costituiscono quella che è chiamata la Via dellamoralità aggettiva. Chiunque con cuore sincero e appassionato se-gua la pratica della propria religione e ne segua i comandamentiprodurrà gli stessi risultati che provengono dalla trasformazionecosciente delle sostanze. Il modo di vita darà quel risultato che èaltrimenti ottenuto con la morte. C'è tuttavia la possibilità, e allostesso tempo la necessità, che un limitato numero di esseri umanisegua quella che è chiamata la Via del compimento accelerato. Que-sta via ha diversi aspetti, alcuni connessi alla religione, altri no;ma tutti hanno in comune il rispondere al bisogno di una più esattae personale regolazione del lavoro di trasformazione, rispetto a quel-la ottenibile seguendo regole e comandamenti formulati per la guidadi tutti, e quindi necessariamente generali e spesso vaghi. Tra leVie di compimento accelerato ce n'è una chiamata la Quarta Via*che è caratterizzata dall'adempiere a tutti i normali obblighi dellavita connessi a un lavoro personale esattamente regolato e moltointenso.

Chiunque abbia letto gli scritti di Gurdjieff e conosca un po'la sua vita vedrà con chiarezza che tutti i suoi interessi erano con-centrati unicamente sulla Quarta Via. Ora, la Quarta Via richiedeun'intelligenza, una flessibilità e una libertà intcriore di sommogrado; infatti si tratta di creare le condizioni tali da permettereche il dovere della Trasformazione sia assolto senza trascurarealcuni degli obblighi comuni a tutti gli uomini e donne. Questoci conduce a porci la semplice, pratica domanda: quali sono le con-dizioni che permettono all'uomo di assolvere il proprio compitodi natura cosmica? A chi non conosce la Quarta Via, potrà sem-brare che il modo migliore di assolverlo sia quello di ritirarsi dallavita. Si è sempre pensato che questo lavoro più intenso ed acce-lerato fosse appannaggio di monaci ed eremiti ritirati dal mondo,persone che potevano dedicare tutto il proprio tempo ed energiealle azioni che portano alla trasformazione delle sostanze. Questoè stato probabilmente vero in un'epoca molto lontana, quando lecondizioni di vita erano molto più semplici di quelle di oggi. Il

* Trad. it.: Astrolabio, Roma.

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problema, oggi, è diverso, e Gurdjieff si era reso bene conto chea causa dei progressi delle comunicazioni e degli altri progressi tec-nologici, le varie vite sulla terra oggi sono molto più strettamen-te legate tra di loro, cosicché per ottenere quei risultati non èpiù possibile contare unicamente sul ritiro dal mondo, è necessa-rio trovare il modo di svolgere questo compito nelle condizioni divita ordinaria. Questa è una delle cose notevolissime di questo se-colo: un po' in tutte le parti del mondo sono apparsi numerosimovimenti che, con nomi diversi e collegati a diverse grandi reli-gioni del mondo, hanno in comune l'ingiunzione di svolgere i pro-pri obblighi spirituali nelle condizioni ordinarie della vita.

Si potrebbe allora concludere che tutti questi movimenti appar-tengano alla Quarta Via; ma sfortunatamente ci sono molte imita-zioni di questa via, che non hanno quella caratteristica di com-pimento accelerato che è l'unica giustificazione ammissibile perpotersi allontanare dalla Via della Moralità Obiettiva. È un feno-meno molto interessante, che mi sono dedicato a studiare più afondo possibile. Nei venti o trenta movimenti che conosco, c'èuna caratteristica comune, e cioè il principio che l'uomo può vi-vere una vita completa, sia esteriore che intcriore, senza bisognodi ritrarsi dal mondo, e senza tralasciare le consuete responsabilitàdella vita, sposarsi, avere figli, svolgere un dato lavoro nella so-cietà e via dicendo. E tuttavia non è possibile dire che tutti questimovimenti, e nemmeno la maggior parte di essi, appartengano allaQuarta Via. In molti di questi movimenti c'è di gran lunga troppateoria e troppo poca pratica; altri mancano della flessibilità me-todologica che è assolutamente richiesta per il compimento acce-lerato.

In questo momento non mi sto riferendo ai tentativi abortitidi fondare dei centri di diffusione della Quarta Via, quanto piut-tosto alla diffusa consapevolezza della necessità di una tale diffu-sione. A mio avviso questa non è semplicemente una conseguenzadel nuovo modo di vedere del ventesimo secolo, ma forse è veroil contrario, e cioè che il nostro modo di vedere sta cambiandoperché si va diffondendo la consapevolezza che anche la gente chevive una vita del tutto ordinaria deve essere in grado di dare ilproprio contributo alla soluzione dei grandi problemi dell'umani-tà. Ecco perché nelle chiese cristiane, per esempio, riscontriamo

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che la netta distinzione tra sacerdoti e laici va scomparendo unpo' dappertutto. In altre parole, oggi si ammette che anche perso-ne che non sono, per così dire, degli specialisti, e cioè i sacerdoti,abbiano una vita religiosa e spirituale cui si riconosce grande im-portanza, e questo riconoscimento arriva a un grado che soli centoanni fa sarebbe stato semplicemente impensabile. La stessa cosaè vera nel caso del Buddhismo: non più di cent'anni fa, le solepersone considerate davvero religiose erano i monaci, o bhikku. Ilbuddhista ordinario si accontentava di vivere una vita ordinaria,senza sperare di ottenere alcunché, se non, talvolta, la possibilitàdi reincarnarsi in condizioni tali da permettergli di ritirarsi dalmondo. I libri canonici buddhisti, i Pali Pitaka, insistono moltis-simo sul concetto che la vita dei bhikku, coloro che rinuncianoal mondo, è totalmente e indiscutibilmente superiore a quella de-gli uomini che vivono una vita ordinaria. Nel ventesimo secoloil buddhismo ha abbandonato in modo straordinario questo atteg-giamento tradizionale, ed esistono certi movimenti, come il Sati-patthana in Birmania, che insegnano all'uomo ordinario come me-ditare in modo da poter sperare di raggiungere lo sviluppo spiri-tuale che prima era considerato appannaggio esclusivo dei bhikku.

Dopo aver brevemente presentato la Quarta Via, devo adessoaccennare a un'altra sua importante caratteristica, e cioè che essanon ha una forma stabile, un luogo fisso, un centro. La QuartaVia significa cercare e adattarsi continuamente, ma non allo scopodi accrescere il proprio bagaglio, quanto per assolvere un compito.Nel mondo c'è una certa Opera da svolgere, e al fine di svolgerequest'Opera è necessario che alcune persone arrivino alla neces-saria comprensione. Le persone affette dalla suggestionabilità, dalladebolezza rispetto al mondo esterno, che non conoscono se stesse,e soprattutto coloro che rimangono nello stato di coscienza ordi-naria, o semi-coscienza, non sono in grado di assolvere efficace-mente o direttamente questo compito, che richiede una compren-sione differenziata e specifica. È dunque necessario che chi siassume la responsabilità di guida in questo campo aiuti gli altria prepararsi, se scelgono e desiderano farlo.

Tutto ciò ci conduce a un'importante distinzione. Innanzituttoal concetto, tipico del ventesimo secolo, che lo sviluppo spirituale,nel nostro tempo, non richiede il ritrarsi dalle responsabilità della

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vita, e cioè che è possibile rendere spirituale il proprio lavoromateriale. Questa dunque è una prima cosa ormai di comune do-minio, e che, come dicevo, permea ogni cosa, non solo le pratichereligiose riconosciute, ma anche i movimenti di tutti i generi chesono andati nascendo. Il secondo concetto, che è compreso menoappieno, è che lo sviluppo accelerato dell'uomo è associatoall'esecuzione di una certa Opera. Il concetto di Quarta Via èstrettamente connesso a questi due princìpi: il primo, quello di untotale inserimento nella vita esterna, e il secondo, l'interiore ac-ccttazione della necessità di una certa Opera per il raggiungimentodi un grande Fine Cosmico.

Secondo Gurdjieff, questo Fine è quello di trasformare le so-stanze in modo tale che il destino dell'umanità considerata nellasua totalità possa continuare a evolversi in modo giusto. Taleevoluzione può assumere forme svariate. Può prendere la formadella creazione artistica, oppure di certi modelli di organizzazionesociale; può prendere la forma di trasmissione di un certo saperespecializzato, oppure di ricerca delle condizioni dell'umanità e pre-parazione al futuro, nonché altri compiti ancora, più specifica-mente collegati a quanto dicevo prima, e cioè la trasformazionedelle sostanze.

Dopo lunghi anni di studio di questi argomenti, e dopo esserestato in contatto con un numero insolitamente elevato di personeanch'esse interessate a questo campo, posso personalmente assicu-rare che una tale Opera esiste realmente, e che ci sono personeche lo sanno, anche se questo non si vede esternamente, in su-perficie. In altre parole, c'è sulla terra una vita a due facce: unafaccia è quella visibile, esterna, cui tutti noi partecipiamo, l'altraè data dalla vita invisibile, cui possiamo partecipare se scegliamodi farlo. In un certo senso si può dire che la prima vita è gover-nata dalla causalità, nel senso che in questa vita certe cause risie-denti nel passato producono dati risultati, vissuti nel presente,risultati che si proietteranno nel futuro. Questo può essere chia-mato il flusso degli eventi, che naturalmente ha nomi vari, daSamsara a Fiume della vita, e via dicendo, in parole povere è lavita comune che noi tutti viviamo. La seconda vita è invece non-causata, il che significa che esiste solo nella misura in cui vienecreata. È la vita della Creatività, e un mezzo di partecipazione a

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questa vita è dato da ciascun atto creativo realizzato in modogiusto. La ricerca della creatività altro non è se non la ricerca diquesta seconda vita.

La creazione assume infiniti contenuti e forme. Tutto ciò cheavviene, ovunque avvenga, è anche un campo di possibile creati-vità, .e pertanto non vi son limiti a ciò che si può trovare nel campodella creazione. Ma la stragrande maggioranza del genere umanosi accontenta di vivere nella prima vita; sono pochi quelli che ri-cercano la seconda, sentendo il bisogno di partecipare a questacreatività e rendendosi conto che senza questa partecipazione sonovivi solo a metà, e forse nemmeno tanto.

Ecco dunque cosa si intende col termine 'Opera', e quandoparliamo della Grande Opera, del Magnus Opus, ci riferiamo almondo invisibile che, per essere, ha bisogno di essere perpetua-mente creato. È ad esso che siamo chiamati, se siamo destinatia un compimento accelerato. Per entrare in quel mondo, dobbia-mo guadagnarci il diritto di farvi parte, e a questo fine dobbiamoportarvi qualcosa di fatto da noi. La prima e più semplice cosache possiamo portarvi è la nostra capacità di agire, la nostra ca-pacità di trasformare energia, e dunque di partecipare alla Crea-zione. Queste capacità successivamente potranno assumere formespecifiche di creatività in accordo coi bisogni obiettivi, da unaparte, e con le nostre forze soggettive, dall'altra.

La Quarta Via è senza dubbio l'applicazione diretta del princi-pio della creatività nella vita, e per questa ragione è chiamatanon-causale. Essa deve sempre avere inizio senza una causa ante-cedente: è una spinta spontanea che ne rende possibile l'esistenza.Ma non voglio entrare nei particolari, perché questa diverrebbeuna conferenza di filosofia, e poi correrei il rischio di dover ri-spondere a domande di filosofia; permettetemi dunque di limitar-mi a dire che c'è un'Opera da compiere, e che taluni esseri umanihanno la sensazione che la loro vita non è completa se non par-tecipano a questa Opera, ed è a queste persone che è rivolto ilmio scritto.

Gurdjieff trovò un modo di partecipazione diretto, e cercò ditrasmetterlo in modo che fosse disponibile a noi, uomini del mon-do occidentale. Non fu certamente lui il creatore di questa forma,né fu lui il fondatore di questa Via; penso però che qui interven-

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ga la particolare ispirazione che aveva Gurdjieff a capire le tran-sizioni dal passato alla nuova era che l'umanità si appresta a vi-vere. L'elemento più significativo del futuro del nostro mondo èl'unificazione di tutte le forme di esperienza umana. L'Opera con-siste nel riunire gli uomini, nel fare sì che non siano divisi; sonocerto che questa è una caratteristica ben appariscente di questonostro ventesimo secolo. In un certo senso, però, questa necessitàdi unirsi fa scattare gravissime reazioni, ed ecco perché siamostati testimoni di continue guerre, ostilità, odii. Se però guardia-mo cosa c'è dietro a tutto questo, vediamo che tutto è dovutoall'impellente necessità di unire, non a quella di separare. Unacaratteristica molto appariscente è la maggiore tolleranza che c'èin tutto il mondo, nonché la mutua acccttazione tra le persone,acccttazione che forse costituisce, accanto a tanti elementi negati-vi, la caratteristica del nostro secolo che più ci autorizza all'ammi-razione e alla speranza.

Orbene, in che cosa si compendia in pratica tutto ciò, per noi?E Gurdjieff, di che cosa andava veramente alla ricerca? C'è unsuo accenno molto interessante, che penso non sia pubblicato danessuna parte, in certe sue conferenze che tenne a New York al-l'inizio degli anni '30 e cui si riferisce esplicitamente nel libroche ho citato, // Messaggero di Dio. E cioè la speranza che fossepossibile creare sulla terra dei circoli di un nuovo genere. Neparlava con molta serietà, anche se nel corso della sua vita nonriuscì mai a realizzare questo proposito. Egli capì che la genteaveva bisogno di incontrarsi e di scambiare le proprie esperienze.Ma il modo in cui ciò avviene attualmente, nelle circostanze ordi-narie, è stupido, perché di solito non ci si scambia esperienze enon si conversa che di cose banali, superficiali; oppure si trattadi contatti formali, estremamente ritualizzati. Gurdjieff voleva chefosse possibile agli uomini incontrarsi e condividere le loro espe-rienze, voleva che gente di ogni tipo si incontrasse, che si diffon:

desse la comprensione dei problemi della vita umana, e di comel'uomo dovrebbe vivere. Ci continuò a parlare dell'urgenza di que-sto problema fino alla fine della sua vita. In altre parole, ciò chevoleva fare non aveva nulla di esoterico, di occulto; tutto al con-trario, voleva che le persone che si rendevano conto che esistequesto problema della vita umana, e che era necessario che venisse

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affrontato e condiviso fossero le più numerose possibile. Egli siavvide che era inevitabile che questo sarebbe stato interpretatoe capito in molti modi diversi, e sperava che si sarebbe trovatoil modo di creare una sorta di terreno comune sul quale le variepersone avrebbero potuto incontrarsi. Penso che per tutta la vitaabbia sperato di dare un buon avvìo a tutto ciò, ma in questofu singolarmente sfortunato. Il primo tentativo a Fontainebleau,in Francia, fallì; e quando tutto era di nuovo pronto per il secon-do, negli anni '30, scoppiò la seconda guerra mondiale. Dopo il con-flitto, era troppo malato, troppo vicino al termine della sua esisten-za per riuscire a fare molto, anche se fece un altro grossissimo tenta-tivo di trovare una sede vicino a Parigi.

A mio avviso Gurdjieff aveva sempre sperato che quanto luistesso aveva scoperto e capito di tutti questi problemi si sarebbediffuso liberamente tra la gente, senza alcuna segretezza, e spera-va altresì che tutti sarebbero arrivati a capire che chiunque è pre-parato a farlo può partecipare al compito di vivere la propria vitain modo da renderla partecipe del mondo Creativo. Alcune per-sone, poi, possono andare molto più lontano, e raggiungere quelliche Gurdjieff chiamava 'risultati accelerati'. Ma egli era certa-mente convinto che anche chi non possiede questa intensità divita può partecipare al processo generale. Certo, chi è più forteha l'obbligo di condividere con gli altri la sua forza, in modo dadiffondere la comprensione di questo genere di vita, e la capacitàdi metterlo in atto. Tutto ciò in pratica è collegato alla trasforma-zione delle sostanze. In parole semplici, significa che coloro chesono spiritualmente forti possono aiutare coloro che sono spiri-tualmente deboli, e non solo attraverso le azioni esteriori, ma dan-do loro a prestito una certa quantità di 'sostanza operante', qual-cosa di analogo alla sostanza prodotta dall'ape regina, che rendepossibile l'attività delle api operaie. Questo importantissimo con-cetto mi fu spiegato da Gurdjieff per la prima volta nel luglio1923, e io ne ho riferito brevemente nel mio libro Witness. Seriuscite a capire questo concetto, arrivate molto vicini all'essenzadel significato della vita dell'uomo sulla terra. Gurdjieff stessoaveva la capacità di produrre questa 'sostanza operante', e chi dinoi l'ha conosciuto ha potuto attingervi. Ma di tale sostanza ci sonotante altre, enormi riserve, che qualsiasi uomo può generare.

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In questo modo torniamo alla domanda: in che rapporto stavalo stesso Gurdjieff rispetto alla totalità dell'opera che si andavacompiendo sulla terra? Il modo di vita personale di Gurdjieff hagenerato molta confusione (ne abbiamo riferito parlando della Viadel Biasimo). Alcuni sono stati portati a pensare che è necessarioche l'Opera appaia repulsiva all'esterno, ma io sono sicuro che nonè questo che Gurdjieff intendeva. Lui voleva solo evitare che lagente dipendesse da lui, che fosse suggestionata da lui e lo consi-derasse una specie di capo spirituale. Il suo fine era la libertà dellepersone. Ma questo metodo andava bene solo per lui, e per nessunaltro, tanto che se vedeva qualcuno che lo imitava, gli inveivacontro con la massima acredine, dicendogli: "È del tutto inutile,nonché stupido, che tu faccia una cosa del genere". In altri ter-mini, se le persone a lui vicine cominciavano a imitare il suo com-portamento alquanto incomprensibile e ad attirarsi il biasimo, egliaffermava spietatamente che ciò per loro era del tutto inutilee pertanto del tutto sbagliato. Solo per lui era indispensabile, pervia del compito peculiare che si era proposto di compiere.

Si era senz'altro imposto quest'obbligo particolare, di non as-sumere mai, nel compiere la sua opera, la posizione di grandemaestro col suo grande seguito di allievi. Era spesso manifestoche se lo avesse voluto, avrebbe potuto esercitare sugli altri, e conla massima facilità, il potere di attrazione di cui era dotato. Sisarebbe potuto circondare di migliaia di persone, avrebbe potutodiffondere i suoi metodi, che sono davvero di inestimabile valoreper chi desidera vivere meglio la propria vita, tra migliaia di per-sone, invece che tra un numero relativamente esiguo. Invece siastenne deliberatamente da qualsiasi cosa del genere, e lo fece peruna serie di ragioni che io credo di conoscere, ma di cui non sa-rebbe giusto parlare in questa sede.

Ho cercato di trasmettervi alcune informazioni su questo par-ticolare essere umano, su come egli abbia compiuto la sua opera,perché penso che queste cose, dal punto di vista dei problemiumani, siano molto più importanti di quanto ci si renda conto.In altre parole, è vero che Gurdjieff fece sforzi immensi per reci-tare il suo ruolo; ma questo non è ancora, non è assolutamentetutto. Nel mondo, in questo momento, sta avvenendo un processo,sta avendo luogo tutta una attività creativa che tende a innalzare

Gli insegnamenti e i metodi di Gurdjieff 71

l'uomo al di sopra dell'intervallo in cui si trova attualmente e afarlo entrare in un nuovo ciclo, e in modo che questo nuovo ciclonon risenta troppo degli intralci del passato. Questo fenomenoassume tanti aspetti, in modo tanto intricato e interconnesso, chevia via che il tempo passa e lo vedo sempre più estesamente, aven-do avuto la fortuna di vivere questo momento, e lo riscontro inmolte parti del mondo, rimango veramente attonito di fronte aquesta forza straordinaria, a questa intelligenza e coscienza sovra-umana che in questo stesso momento sta dirigendo le sorti na-scoste del genere umano.

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Indice

1. Le origini di Gurdjieff

2. La fonte delle idee di Gurdjieff .

3. Gli insegnamenti e i metodi di Gurdjieff

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In seguitò abbandonò il suo lavoropuramente scientifico per diventare di-rettore dell'Istituto per lo Studio Com-parato di Storia, Filosofia e Scienze,dove per molti anni condusse una ri-cerca originale e corsi di studio diret-ti all'unificazione di scienza, storia, fi-losofia e religione.

Gli ultimi anni della sua vita furo-no particolarmente laboriosi in quantosi dedicò a fondare la InternationalAcademy for Continuous Education, aSherborne, Glouchestershire, di cui fupresidente fino alla sua morte nel di-cembre 1974.

Finito di stampare nel agito 1983 dalla Tip. « DOMOGRAF »per conto della Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.

L. 6.000