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GUIDO FRETTE UN RAZIONALISTA A TORTONA Catalogo della Mostra|Biblioteca Civica di Tortona 26.XI.2016 | 25.II.2017

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GUIDO FRETTE

UN RAZIONALISTA A TORTONA

Catalogo della Mostra|Biblioteca Civica di Tortona 26.XI.2016 | 25.II.2017

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CURATORI

Roberto Cartasegna Brunetta Santi CON LA COLLABORAZIONE DI Franca Petocchi autrice della tesi Testimonianza di un moderno: Guido Frette architetto del «Gruppo 7» Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1984/1985. (Relatore Giorgio Ciucci) Elisabetta Baldi Amilcare Fossati Luca Gemme Andrea Mazza Fausto Miotti Valeria Palazzoli

PROGETTO GRAFICO Brunetta Santi CONTRIBUTI AL CATALOGO Gaetano Giordano, Marco Pagni Frette

SI RINGRAZIANO

Giorgio Bonino, Maura Damilano, Alessandra Frette Fausto Galli, Giorgio Gatti, , Nicoletta Grassi, Luisa Iotti Carla Marazzi, Massimo Marchesotti, Gabriele Panigo, Emanuele Zecchin Archivi storici Politecnico di Milano Archivio di Stato di Cremona Archivio di Stato di Verbania e Pallanza Archivio storico e Biblioteca Triennale di Milano Biblioteca Centrale d’architettura. Politecnico Milano Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura La Sapienza Roma Biblioteca Civica Alessandria Biblioteca Civica Novara Biblioteca Nazionale Braidense Milano – Servizio emeroteca Biblioteca Nazionale Centrale Firenze Casa dell'Architettura Istituto di cultura urbana Latina Comune di Viareggio. Ufficio Anagrafe Comune di Tortona. Settore LLPP e Urbanistica Fondazione Mazzetti Asti

Ringraziamento speciale per la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona per il suo importante contributo

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SOMMARIO

PREFAZIONE ....................................................................................................... 4

GUIDO FRETTE UN ARCHITETTO DI SIGNORILE PRUDENZA ................................................. 5

IL “GRUPPO 7” E IL RAZIONALISMO ITALIANO (1926 – 1934) ............................................... 8

UN PROFILO BIOGRAFICO ..................................................................................... 11

FRANCA PETOCCHI INTERVISTA GUIDO FRETTE ............................................................ 33

Primo incontro con Guido Frette – gennaio 1983 .................................................................................. 33

Secondo incontro con Guido Frette – marzo 1983 ................................................................................ 38

A PROPOSITO DI MIO NONNO GUIDO FRETTE ............................................................... 44

L’ARCHITETTURA RAZIONALISTA NEI PROGETTI “TORTONESI” DI GUIDO FRETTE .................... 46

La casa in collina a Vho ............................................................................................................................. 46

Illustrazioni .............................................................................................................................................. 48

La Casa Littoria ........................................................................................................................................... 57

Illustrazioni .............................................................................................................................................. 64

Il locale-ritrovo sul Colle ........................................................................................................................... 75

Illustrazioni .............................................................................................................................................. 77

Conclusioni ................................................................................................................................................... 88

LA CASA DEL FASCIO DI TORTONA ........................................................................... 90

Illustrazioni .............................................................................................................................................. 99

ALCUNE IMMAGINI DELLA MOSTRA .......................................................................... 102

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 107

SITOGRAFIA .................................................................................................... 110

ARCHIVI STORICI .............................................................................................. 111

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PREFAZIONE Da alcuni anni l’Amministrazione Comunale della Città di Tortona è impegnata a riscoprire e valorizzare il patrimonio culturale che la lunga e nobile storia tortonese ha prodotto e tramandato.

A questo scopo gli Istituti Civici Culturali si prodigano per proporre al pubblico, locale e non, diversi eventi, soprattutto in occasione di anniversari e altre ricorrenze che, per il loro valore intrinseco o anche simbolico, meritano di essere ricordate. Così sono nate la mostra su S. Marziano nel 2013, nell'ambito delle celebrazioni costantiniane, l'esposizione per il Bicentenario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri (2014), la mostra sulla Grande Guerra e quella dedicata ai temi dell'Expo nel 2015, così come quella su Tortona negli anni del fascismo e quella, ancora in corso, sulla Seconda Guerra Mondiale.

Fra queste interessanti iniziative espositive, si colloca un evento particolare, sia per il taglio sia per il rigore scientifico col quale è stato condotto: la mostra dedicata all’architetto milanese Guido Frette (1901-1984), che si è svolta nei locali della Biblioteca da novembre 2016 a febbraio 2017.

L’idea di presentare la vita e le opere di Frette –autore del progetto di una casa in collina a Vho, tutt’ora visibile, della Casa Littoria, e di alcuni progetti, non eseguiti, per lo Chalet al Castello – è nata quasi per caso.

In Archivio storico, infatti, fra molteplici documenti, si sono rinvenute le tavole originali dei progetti per lo Chalet.

Come un volano, lentamente si sono aggregati altri progetti, altre storie e altre immagini di Frette, creando, alla fine, un prodotto di alto livello scientifico-culturale.

A coronamento della mostra, l’Amministrazione è lieta di presentare il catalogo che, oltre a raccogliere i materiali già esposti in mostra, offre ulteriori contributi, dal punto di vista iconografico, sulla Casa Littoria.

Il catalogo sarà disponibile on line, sul sito del Comune, proseguendo la tradizione di offrire al pubblico un prodotto “moderno”, a carattere incrementale, che permetta di superare alcuni limiti della più tradizionale versione cartacea; infatti, questo strumento, oltre a garantire la possibilità di inserire notevoli quantità di informazioni e di aggiornarle, se del caso, permette il posizionamento ottimale nei motori di ricerca, al fine di far conoscere ad un più vasto pubblico ed apprezzare l'originale patrimonio culturale locale.

L'Assessore alla Cultura MARCELLA GRAZIANO

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GUIDO FRETTE UN ARCHITETTO DI SIGNORILE PRUDENZA Brunetta Santi

Presentare al pubblico la figura di un grande dell’architettura italiana è sempre un’operazione complessa: si rischia di darne un’immagine sbiadita, oppure, al contrario, di falsarne i contorni.

Quello che potrebbe emergere è la visione elaborata di chi ha condotto lo studio e la ricerca, carica, anche, delle sue sensazioni e proiezioni: l’imparzialità è quasi impossibile.

Chiedo, quindi, al lettore un po’ di comprensione, nella speranza che del nostro architetto non rimanga solo una pallida ombra dai contorni sfumati ma, possa emergere, l’immagine di poliedrico e proficuo incubatore di idee e pensieri che Frette è stato.

Per approfondire la figura di Frette, ci sembra interessante un giudizio di Carlo Belli, critico d’arte, musicista e studioso di archeologia, che ricorda i membri del Gruppo 7: Ubalbo Castagnoli, Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Giuseppe Terragni e Carlo Enrico Rava.

«Provenienti da formazioni spirituali diverse erano avviati, senza saperlo, verso una medesima direzione; […] mi pare che il più vecchio tra essi avesse ventisette anni. Gli altri non arrivavano a venticinque.

Un giovanissimo Guido Frette

(Politecnico di Milano Archivi Storici)

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Sapevano tutti quanto era accaduto alla generazione precedente, ed anzi, qualcuno di essi aveva fatto in tempo a partecipare agli ultimi combattimenti del Futurismo» e continua: «Dalla costituzione del gruppo alla prima dichiarazione pubblica trascorrono alcuni mesi durante i quali la pattuglia è come un’orchestra che si accorda prima di cominciare a suonare; lunghe furono le discussioni per giungere ad esprimersi nella stessa tonalità …».

Egli descrivere i caratteri dei membri del Gruppo 7: «In questo affilare di armi, si rivelano i temperamenti: ci sono gli irruenti come Terragni e gli entusiasti come Figini e Pollini, (e da questa triade il gruppo riceverà una spinta decisiva); vi sono i dialettici che non riescono bene a definire se stessi, come Rava; quelli che consigliano signorile prudenza, come Frette, e altri che preferiscono ascoltare più che parlare»1.

Frette, comunque, era un giovane con le idee molto chiare. In un’intervista rilasciata, nel gennaio 1983, a Franca Petocchi, autrice di un’importante tesi2, Frette dichiara «può trovare una mia piccola biografia sulle Muse ed un brevissimo accenno sul libro di Cennamo. C’è tutta la polemica del Gruppo con Piacentini, che è riportata molto bene, sa è durata quasi due anni. Siamo stati noi del Gruppo a volere smettere, perché lui aveva detto che eravamo “massoni”. S’immagini lei se noi a ventitre-ventiquattro anni potevamo essere massoni, quando allora la massoneria era abolita. Lui invece lo era, e noi lo sapevamo benissimo che lo era. Nell’ultimo articolo abbiamo detto che noi in politica non c’entriamo.

Noi non ne vogliamo sapere, per noi la questione è puramente artistica e basta. Con quello abbiamo chiuso la polemica assai feroce in certi momenti. Ora le dico una cosa che pochissimi sanno. La Mostra di Architettura Razionale del 1931 l’ho allestita io, là a Roma, per il

1 C. BELLI, Origini e sviluppi del Gruppo 7, in «La Casa», 1959, p. 176. 2 F. PETOCCHI, Testimonianza di un moderno: Guido Frette architetto del “Gruppo 7”, Tesi Laurea presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1984-1985.

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Gruppo 7 sono andato io e c’era la famosa Tavola degli orrori3. Verso le sei di sera, mentre stavamo lavorando, poiché la mattina dopo c’era l’inaugurazione, è arrivato Piacentini. Sulla tavola c’erano molte tavole di architettura di Piacentini e su una di queste c’era l’immagine di un cagnetto con la gamba alzata nell’atto di fare i suoi bisogni. Apriti cielo! Lui dice “vado subito dal Duce” e c’è andato. Dopo un’oretta arriva Mussolini, guarda la tavola e scoppia in una risata e dice “la tavola ci rimane”»4.

Frette ricorda come l’esigenza, all’epoca era di dare un taglio netto con l’Ottocento: «Quando io frequentavo il Politecnico, qui a Milano, allora avevo come insegnante Moretti, il vecchio Morettone, che aveva lavorato in Sudamerica ed anche in Russia, un uomo di valore ma che non ammetteva assolutamente che si potesse cambiare l’architettura, Noi abbiamo avuto, come assistente di Moretti, Portaluppi.

Portaluppi io non l’ho mai considerato un grande architetto però è stato un ottimo insegnante, ci ha difeso fin che ha potuto, continuamente. Lui diceva “lasciamoli fare, sono giovani” ed infatti era vero. Noi abbiamo cominciato la scuola ... ad esempio il tetto piano con lo si poteva neanche concepire, quindi può immaginare le discussioni. In tutta la scuola eravamo venticinque e stavamo delle sette-otto ore al giorno in aula da disegno. Terragni era il più giovane di tutti. Se Terragni non fosse morto così giovane5 avrebbe dato del filo da torcere a tutti gli Aalto e Mendelsonhn d’Europa. Quando uno a ventinove anni fa la Casa del Fascio a Como ... basta! Non avesse fatto altro nella sua vita bastava solo quello»6.

L’architetto moderno svolge la sua attività che definiremo polivalente, dalla costruzione completa all’arredamento e, come detto prima, spazia in molteplici campi che a prima vista sembrerebbero essere al di fuori delle sue specifiche qualità. Scenografia, teatro, disegno 3La Tavola degli orrori, opera di Pietro Maria Bardi esposta alla Seconda Esposizione di Architettura Razionale era un provocante collage di opere 'passatiste' di Marcello Piacentini, Armando Brasini, Cesare Bazzani ed altri affermati architetti ostili al Movimento moderno. 4 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. 2, p. 81. 5 Muore, all’età di 34 anni, nel 1943. 6 Cfr. F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. 2, p. 82.

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industriale, urbanistica. Ma così non è, infatti vediamo come oggi l’architettura si dedichi sempre di più a problemi svariatissimi che coinvolgono fatti ed opere della società moderna.

«L’architetto moderno è quello che riesce intuitivamente a raggiungere, quasi tramite divinazione, una sorta di sintesi tra diversi saperi che vanno dalla biologia alla poesia»7.

Analoga affermazione appare in un articolo del 1954 quando Frette scrive: «L’architetto è il primo amico della civiltà nuova, è colui che la intuisce e la manifesta»8.

E per concludere Guido Frette compare fra le intelligenze che hanno fatto la storia dell’architettura italiana, in un “parzialissimo”, ma, importante elenco, redatto in occasione del novantesimo anno di fondazione dell‘Ordine degli Architetti9.

7 Cfr. F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. 1, p. 6. 8 G. FRETTE , Civiltà dell’architettura, in «Ovest – Rassegna illustrata di evoluzione moderna», n. 1 (1953), p. 47. 9 L. MOLINARI, Nomi che contano. Una lista per ricordare intelligenze e creatività che l’architettura ha offerto al paese, in «L’Architetto», giugno 2013 (http://www.larchitetto.it/magazine/giugno-2013)

Frette, il secondo da destra, in un’immagine del 1955 (Cfr. F. Petocchi)

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IL “GRUPPO 7” E IL RAZIONALISMO ITALIANO (1926 – 1934) Roberto Cartasegna

Nel 1926 un gruppo di giovani -composto da Ubaldo Castagnoli, Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Carlo Enrico Rava e Giuseppe Terragni- dà vita al “Gruppo 7” e fonda il razionalismo italiano10.

Nel 1927 Adalberto Libera sostituisce Ubaldo Castagnoli11.

«Comune obiettivo è quello di sostenere e diffondere un’architettura fondata sull’esame analitico delle funzioni, sulla ricerca rigorosa della struttura, sulla definizione di tipologie: ciò in nome di una radicale semplificazione linguistica, in aperta polemica con i novecentisti e i tardo-neoclassici, contro l’eclettismo e l’ufficialità del “monumentale”. […] In contrasto con la poetica futurista, in cui componenti irrazionali si amalgamavano al dissacratorio rifiuto del passato, il G. 7 non fa esplicite dichiarazioni di rottura con la tradizione, anzi, dissociandosi dal massimalismo delle avanguardie artistiche del Novecento europeo, ribadisce in più occasioni il costante collegamento con le forme del passato, propugnandone una coerente continuità»12.

Il primo atto del “Gruppo 7” è la pubblicazione su «La Rassegna Italiana» di una serie di articoli, che escono dal dicembre 1926 al maggio 1927, illustranti i nuovi principi ispiratori.

Nel 1928, al Palazzo delle Esposizioni a Roma, si tiene la prima Esposizione di Architettura Razionale. Inizia il confronto con il mondo “accademico”.

Nel 1931 si inaugura la Seconda Mostra di Architettura Razionale, alla galleria romana dello scrittore e critico d'arte Pietro Maria Bardi in via Veneto.

Il clima è ben diverso, ed il caso del Novocomum di Terragni a Como (1927-1929), realizzato eludendo la Commissione d’Ornato, mette in discussione i tanti compromessi del “monumentalismo semplificato”.

10 B. ZEVI, Storia dell’architettura moderna /dalle origini al 1950, Torino, Einaudi, 1961 (IV ed.), pp. 231 sgg.. 11 Frette precisa che «Il “Gruppo 7” è nato sui banchi della scuola» e «si è sciolto dal momento in cui ognuno di noi ha cominciato a lavorare»: F. PETOCCHI, Testimonianza di un moderno: Guido Frette architetto del “Gruppo 7”, Tesi di Laurea presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1984-85, Vol. II, p. 83. 12 C. DE SETA, Gruppo 7, in «Dizionario enciclopedico di Architettura e Urbanistica (DAU)», III, Roma, Istituto Editoriale Romano 1969, pp. 56-57.

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L’architettura tradizionalista, secondo Bardi, appartiene al vecchio mondo borghese, mentre la nuova architettura è adatta ad esprimere gli ideali rivoluzionari del fascismo13.

In termini analoghi si esprimono i giovani organizzati nel M.I.A.R. (Movimento Italiano per l’Architettura Razionale).

Alla Seconda Mostra, per spezzare l’unità del movimento razionalista, viene “improvvisato” il R.A.M.I. (Raggruppamento Architetti Moderni Italiani). I contrasti di idee sono coperti con le «dichiarazioni di lealismo verso il regime»14.

Ciò non basta. Pochi, giorni dopo la costituzione del R.A.M.I., giunge la condanna ufficiale del M.I.A.R. da parte del Sindacato Nazionale Fascista Architetti.

Adalberto Libera dichiara sciolta l’organizzazione, ma con questo non finisce l’architettura moderna.

Nel 1934, il Concorso del Palazzo [Littorio] su via dell’Impero -che sancisce una raggiunta identità stilistica del razionalismo italiano- pone fine all’illusione di identificare l’architettura moderna con l’architettura di Stato.

13 Si veda: I. PERNA, Carlo Enrico Rava: Coerenza umanistica di un architetto, Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Architettura, 2007 (www.fedoa.unina.it/2934/); C. CAGNESCHI, La costruzione razionale della casa. Scritti e progetti di Giuseppe Pagano. Università di Bologna, Scuola di Dottorato in Ingegneria Civile ed Architettura, 2009 (www.amsdottorato.unibo.it/1440/); M. PROIETTI, Corsi e Ricorsi del Classico. Verso la definizione di uno stile architettonico nazionale nel ventennio tra le due guerre, Università Politecnica delle Marche - Ancona, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Architettura (DICEA), 2015 (www.openarchive.univpm.it/jspui/bitstream/123456789/1165/tesi-proietti.pdf), pp. 126 sgg.. 14 L. BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna, Roma-Bari, Laterza, 1978 (VIII ed.), p. 615.

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UN PROFILO BIOGRAFICO 1901 nasce il 1 marzo a Viareggio15 nella casa di via Nuovissima n. 76 da Alessandro e Amati Carmelita, la famiglia agiata era di origini francesi. Rimane a Viareggio, sino a nove anni, poi la famiglia si trasferisce a Milano.

1919-1925 studia dapprima in Svizzera, poi, all’Istituto Nautico di Livorno, ottenendo il diploma di capitano di lungo corso. Frequenta la Facoltà di Architettura del Politecnico dal 1919 al 1923, ma senza mai concludere la carriera scolastica. Probabilmente si laurea a Brera che rilasciava un “Diploma di professore di disegno architettonico" che permetteva, ai tempi, di svolgere la professione. «Proprio sui banchi di scuola nasce il Gruppo 7 […] da poche parole sparse ed idee singole nacque fra noi un discorso che prese via via corpo e senso e che doveva, in definitiva, sbocciare nell’dea di creare un gruppo avente, in embrione, le stesse idee nel campo dell’architettura. Queste furono le basi della creazione del Gruppo 7, ma questi nacque più tardi alla fine dei nostri studi e fu, principalmente, su iniziativa di Carlo Enrico Rava l’ideologo che più di ogni altro propugnò la creazione di tale gruppo, che poi nacque spontaneamente. Quasi per tacita comprensione dei singoli»16.

1926 esordisce sulle pagine di «Rassegna italiana» nel Gruppo 7: si firmano quattro articoli, Architettura I, II, III, IV, pubblicati tra il dicembre 1926 e il maggio 1927, che si possono definire il manifesto della nuova architettura. 15 Certificato di nascita di Guido Frette. Comune di Viareggio. Stato Civile, atto di nascita n. 137/1901 16 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 7-8.

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1927 con il Gruppo 7 partecipa alla III Biennale di Monza (31 maggio -16 ottobre) con proposte allestitive che si contrappongono, per la chiarezza degli assunti e del linguaggio, alle contemporanee esperienze del Novecento, aggiornando il dibattito architettonico.

1928 con il Gruppo 7 partecipa a Roma alla I Esposizione Italiana di Architettura Razionale promossa da Gaetano Minnucci ed Adalberto Libera. Propone delle «casette popolari assai snelle, coi muri lisci, con grandi vetrate, forse troppo grandi per lasciare all’interno Il necessario posto pel mobilio, con ringhiere da ogni parte, ma, insomma lodevoli». Il tema della piccola casa rappresenta, per i giovani del Gruppo 7, un argomento centrale, e Frette dice: «… villa è una parola che mi dà fastidio, per me sono case. Le ville sono quelle venete, quelle romane, fiorentine, quelle papali. Quelle che abbiamo fatto noi sono case, quella non è architettura ma edilizia. L’architettura la facevano i Papi, i Principi, oggi la fanno gli industriali, infatti ci sono degli stabilimenti che sono veramente belli. Gli industriali sono diventati i Papi, i Principi, quelli che una volta facevano costruire»17. Qui Frette si mostra pubblicamente come «razionalista»18. 1929 si sposa a Milano con Antonini Antonietta, milanese, due anni dopo, l’11 febbraio, nasce Alessandra, tutt’ora vivente. Partecipa alla II Mostra del Sindacato Regionale Fascista di Belle Arti dove per l’ultima volta troviamo tutti gli architetti del Gruppo 7. Frette, nel catalogo della mostra, compare con la voce “cucina”19.

Sul numero speciale di Natale di «Domus» fra gli architetti moderni, dei quali venivano presentate alcune realizzazioni, compare, anche, Frette che propone mobili in legni pregiati lucidati a spirito e rifiniti con maniglie, serrature variamente patinate e lavorate20.

1930 con il Gruppo 7 partecipa alla IV Esposizione Triennale Internazionale delle Arti Decorative ed Industriali Moderne di Monza col progetto della Casa Elettrica di Figini e Pollini, con la collaborazione di Bottoni e Libera. Questo sarà l’unico lavoro collettivo del Gruppo 7. 17 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. II, p. 83. 18 A. LANCELLOTTI, La mostra di Architettura razionale, in «La Casa Bella», n. 5 (1928), p. 34. 19 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 48. 20 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 61.

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La Casa Elettrica rappresenta il primo esempio di progettazione moderna in Italia, dove la contemporaneità è intesa come organizzazione degli spazi e integrata dalla presenza degli oggetti meccanici o elettrodomestici.

Finanziata dalla Società Edison, la Casa Elettrica è progettata dal Gruppo 7 con Piero Bottoni che ha la responsabilità della cucina e di altre aree di servizio, disegnate in risposta al criterio di «massimo sfruttamento dello spazio che la moderna economia edilizia impone». Frette collabora alla Casa Elettrica per una parte degli interni: l’arredamento del soggiorno e della camera da letto doppia (con Adalberto Libera) e l’esecuzione della serra delle piante grasse sul fronte dell’ingresso. Pochi mesi prima dell’esposizione Frette scrive: «le parti costruttive del mobile sono precise come gli ingranaggi di uno strumento meccanico […] come la casa moderna si può considerare la parte esterna di una macchina che non ha nulla di più del necessario, gli interni, le varie parti che la costituiscono, così i mobili devono essere gli ingranaggi di questa macchina perfetta e rispondenti all’uso per il quale sono stati ideati e costruiti, senza pregiudizi senza concessioni»21.

Partecipa, anche, al concorso sul progetto per una villa. Il suo lavoro, una villa al lago, verrà scelto insieme ad altri 35 progetti su 48 presentati.

21 G. FRETTE, Il mobile, in «Natura», n. 2, 1930.

Gruppo 7. Pianta della Casa Elettrica. Monza. Parco Villa Reale

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Frette imposta una pianta asimmetrica, composta da volumi diversi destinati a specifiche funzioni; l’uso del colore offre una maturità maggiore, un richiamo netto alle architetture d’oltralpe e alla pittura dei cubisti22. «Per gli interni si vogliono adoperati tutti quei nuovi materiali che la tecnica moderna mette a disposizione del costruttore: pavimenti e scale in linoleum a colori uniti, serramenti interni laccati alla nitrocellulosa, rivestimenti di pareti in celotex o maftex, armadi a muro e mobili da cucina in materiali facilmente lavabili e smontabili, soffitti piani colorati, pareti tinteggiate ad olio opaco, porte a fisarmonica ed a coulisse con bordature di nichel od altri metalli a tinte fredde. La ricchezza e la signorilità degli interni è affidata ai metalli, ai legni lucidi, accordi di colore fra mobili e pavimenti, cristalli etc. ed alla perfezione dell’esecuzione»23.

Firma 2 articoli in «Natura» come Guido Frette architetto del Gruppo 7.

22 M. INCERTI-G. MELE-U. VELO, I disegni delle ville per il concorso della IV Triennale di Monza, p. 144 (www.academia.edu). 23 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 45.

Villa sul lago

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1931 partecipa alla II Esposizione di Architettura Razionale a Roma dove, assieme al Salottino per signora, presenta uno studio per il mercato del pesce di una grande citta [Milano]24.

1933 con Piero Bottoni, Mario Cereghini, Luigi Figini, Enrico A. Griffini. Piero Lingeri, Gino Pollini, Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers firma Un programma d’architettura, in «Quadrante»25 che si può considerare il manifesto dell’architettura razionalista italiana e dove sono ospitati vari scritti ideologicamente vicini al Purismo, ovvero protesi idealmente verso la classicità ellenica.

Il programma viene esplicato attraverso l’enunciazione di nove punti salienti: «I primi quattro sono relativi all’individuazione di quello che i firmatari ritengono essere, evidentemente, il vero razionalismo; gli altri concernono la valutazione del rapporto di tale tendenza nella tendenza con le espressioni architettoniche internazionali allo scopo, soprattutto, di qualificarle in senso nazionale»26. Partecipa alla V Triennale di Milano alla Mostra dell’Arredamento, collabora con Figini e Pollini alla realizzazione di una villa-studio per un’artista

24 Diapositiva conservata presso la Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma (Foto Carlo Severati). 25 1 maggio, (1933), pp. 5-6. 26 I. PERNA, Carlo Enrico Rava: coerenza umanistica di un architetto, Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Architettura, 2007 (www.fedoa.unina.it/2934/), p. 59.

Studio per il mercato del pesce

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occupandosi degli arredamenti degli ambienti di servizio27 e, anche qui, l’elemento fondamentale è il colore. Nel catalogo ufficiale della Triennale vengono così descritti gli ambienti allestiti da Frette: «Bagno (allestimento G. Frette): pavimento di ceramica nera, apparecchi igienici di porcellana bianca, porte di colore bianco, pareti verniciate alla nitrocellulosa in colore giallino chiaro. Cucina e disimpegno relativo (arch. G. Frette): pavimento di ceramica azzurra, mobili laccati grigio–azzurri con zoccoli di linoleum eseguiti dalla ditta C. Viganò, pareti azzurre chiaro, porte bianche. Atrietto e wc di servizio (arch. G. Frette); pavimento di ceramica bianco avorio, apparecchi e porte bianchi. Camera da letto di servizio (arch. G. Frette): pavimento di linoleum grigio-scuro, mobili laccati color avana chiaro, con parti di linoleum eseguiti dalla ditta C. Viganò»28.

1934 partecipa alla Mostra dell’Aeronautica a Palazzo dell'Arte di Milano, allestita da Giuseppe Pagano (1 giugno - 1 ottobre 1934) con la sala dedicata a D’Annunzio, e considerata la «più bella mostra italiana del dopoguerra». Frette, in collaborazione con Giorgio Nicodemi, allestisce la sala «quasi un santuario» a cui si accedeva solo dopo aver attraversato le sale delle Medaglie d’oro allestita da Edoardo Persico e Marcello Nizzoli. Nella sala d’Annunzio sono raccolti i cimeli del comandante, custoditi attualmente nella nave Puglia al Vittoriale. Il timone dell’aeroplano “ferito” a Pola, le imprese d’annunziane, i gagliardetti, i messaggi e perfino i guanti bianchi del volo su Cattaro, bastano da soli ad evocare un atteggiamento particolare del gusto italiano. Taluni cimeli, come il gonfalone della reggenza di Fiume o un portavoce, tengono sospesa l’attenzione fra le memorie storiche ed il ricordo di un mondo favoloso che oscilla dal «Forse che sì forse che no» alla Beffa di Buccari. Lo stile architettonico della sala è quello del razionalismo italiano»29: qui Frette compare come l’unico architetto razionalista italiano.

27 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 46. 28 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 47. 29 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 48-49.

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1935 cura la Sala del ciclismo e del motociclismo alla Mostra internazionale dello Sport al Palazzo dell’Arte di Milano (1 maggio-31dicembre), ideata da Marcello Visconti di Modrone, podestà di Milano, e organizzata da Giovanni Muzio. Si tratta di un forte momento propagandistico del regime, per l’allestimento del quale risultano coinvolti vari nomi di «giovani e vivaci architetti e pittori milanesi che facevano riferimento all’area novecentista»30.

Progetta la casa di campagna a Vho di Tortona per conto dell’avv. milanese Emilio Jesi. Considerata da Frette «la sua cosa migliore»31.

1936 progetta lo Stadio del Tennis nella pineta di Viareggio. 30 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 49. 31 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol II, pp. 82-83.

Milano. Mostra dello Sport. Archivio della Triennale

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Partecipa alla VI Triennale di Milano Mostra dei sistemi costruttivi e dei materiali edilizi con Giuseppe Pagano. Agnolodomenico Pica commenta: «… bellissima sezione dei sistemi costruttivi e dei materiali edilizi di G. Frette e di G. Pagano […] che richiamava all’incidenza, anche estetica, del fattore tecnico nell’architettura»32.

Espone, nella Mostra dell’arredamento, la camera da letto per signora. Tale lavoro suscita la reazione di Roberto Papini che in «Emporium» scrive: «Parliamo subito della mostra dell’arredamento e di due sorprese, quelle riserbateci dagli architetti G. Frette e C. E. Rava [...] A vedere la camera da letto del primo e, da alcuni mobili disegnati del secondo, si direbbe che questi due bravi giovani ce li hanno cambiati per la strada, tanto ce li troviamo cincischiati in trovatine di dubbia lega e di dubbio gusto. Dichiariamo, quindi, il più chiaramente possibile che non a questo certo aspiravamo quando si affermava la necessità di tener conto dell’elemento femminile nell’arredamento. Tra l’uomo effemminato e l’uomo che ama e comprende la donna c’è, come si sa, una distanza enorme»33. Frette, inoltre, si presenta, anche, ideatore di disegni decorativi per la realizzazione di statuette di ferro vuoto di Chiodarelli e dei disegni per gli oggetti esposti nella sezione ENAPI34.

32 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 50. 33 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 51-52. 34 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 52.

Viareggio. Stadio del tennis

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1938 pubblica Casa nel tortonese in «Domus» e Alluminite: ossidazione elettrolitica dell’alluminio in «Casabella – Costruzioni».

1939 pubblica Documenti dell’arredamento: una cassettiera smontabile in «Domus» (maggio) e progetta una casetta smontabile. La casetta viene fabbricata dalla carpenteria Bonfiglio su progetto di Griffini e Frette, a quest’ultimo spettava il compito di «studiare la composizione di pianta e dell’aspetto esterno, insomma la sistemazione generale e l’arredamento, la casa era: smontabile, trasportabile, con pareti esternamente in legno, internamente con pannelli con intercapedine, isolanti dal caldo e dal freddo. Con gli stessi elementi in serie sono possibili varianti dalla minima (L. 7800) a quante composizioni di locali in più si vogliano».

Il cromatismo di Frette emerge nella «camera da letto della signora: pareti rosa salmone chiaro, soffitto grigio pallido, mobili in palissandro chiaro e igraf avorio, armadio con ante imbottire di tessuto di cotone a fiori come il rivestimento delle poltrone. Tende Rodhia salmone chiaro, pavimento in linoleum grigio. Il cancello esterno: in legno chiaro giallo limone, chiodature e cerniere in ferro fatte a mano in tinta grigio scuro. Su «Domus» questa casetta viene presentata come documento dell’arredamento»35.

Presenta, presso il Comune di Tortona, i progetti per il nuovo ritrovo al Castello.

Partecipa a Milano, (9 maggio-20 ottobre) a Palazzo dell’Arte, oggi Triennale, alla Mostra dedicata all’opera di Leonardo da Vinci diretta e supervisionata da Giuseppe Pagano. Alla realizzazione vengono chiamati i più importanti architetti del Razionalismo tra cui Camus, Minoletti, Figini e Pollini, Renzo Zavanella, Banfi, Belgioioso, Peressutti e molti altri. A parere di Pagano «La prima parte era certo la più difficile da ordinare, almeno per noi. La sua stessa impostazione generica la comprometteva, avviando, per forza, a forme di eloquenza evocatrice. Indico i titoli delle sale: l'iconografia vinciana; i documenti e i luoghi vinciani; la Firenze medicea; la Lombardia sforzesca; la Francia di Francesco I. Particolarmente, le ultime tre sale non potevano servire che di introduzione, affatto approssimativa, alla presentazione leonardesca ed avendo rinunciato a farne delle ricostruzioni archeologiche di determinati 35 F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 84-85.

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ambienti non ci poteva restare che il tentativo di una evocazione per accenni e, direi quasi, per simboli. Gli architetti Aldo Putelli e Guido Frette, che si assunsero queste tre sale con Bianchetti e Pica, e firmarono quella dell'iconografia, si limitarono allo studio di accostamenti sulle bianche pareti di qualche autentico elemento antico: un quadro, un cassone, un'armatura –ma eccitandone il valore oltre quello che gli stessi oggetti avrebbero in un museo- ricomponendoli in una inedita prospettiva lirica»36.

36 G. PAGANO, Criteri di allestimento della Mostra Leonardesca, in «Le Arti», Bollettino del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, n. 6 (1939), p. 602.

Milano. Mostra dedicata a Leonardo da Vinci (http://journals.ateneo.edu/ojs/kk/article/view/KK2016.02605)

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1939-1940 realizza a Tortona la Casa Littoria, nei pressi della Stazione ferroviaria. Al progetto viene dedicato ampio spazio in «Rassegna d’architettura»37. Frette la definisce «non brutta» e «vagamente ispirata a Terragni, anche qui la facciata è semplicissima, liscia con un porticato sul fronte».

1940 partecipa al concorso per il piano regolatore di Verbania con Pellegrini e Rava (ex compagno del Gruppo 7). Il concorso vede coinvolti i maggiori urbanisti del tempo, ma risulta vincitore il gruppo romano CZ6 dell’architetto Giorgio Calza Bini. Il progetto definitivo del primo piano regolatore della città del 1942 non sarà approvato, anzi si riscontrano delle irregolarità e i tre architetti presentano un ricorso al prefetto di Novara.

Partecipa alla VII Triennale, l’ultima realizzata nel periodo fascista, che si chiude il 9 giugno 1940 alla vigilia della dichiarazione di guerra di Mussolini. Mentre nelle precedenti edizioni il dibattito architettonico e culturale era vivo, in questa Triennale non ci sono margini per un confronto sulle tematiche culturali. Molto spazio hanno gli architetti del regime, primo fra tutti Marcello Piacentini. Frette espone la propria Casa Littoria, allestisce la Sala delle applicazioni del cuoio con Mario Del Fabbro, esordisce come designer con «Attrezzature speciali per viaggio e accessori d’equipaggiamento per caccia e carovana» e allestisce la Sala delle stoffe Croff. Infine dà il suo apporto artistico come disegnatore per decorazioni da ricamare su tovaglie38.

37 N. 6 (1940), pp. 184-188. 38 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 54-55.

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Piano regolatore di Verbania. Archivio di Stato di Verbania

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1940-1941 progetta una casa al mare a S. Margherita Ligure: aria, luce, sole dominano, invadono. In essi la casa vive, da essi trae la sua ragione d’essere. A pianta quadrata, con il patio centrale, (che Frette aveva chiamato cortile patronale) che richiama la domus latina.

Il terreno circostante viene lasciato nelle sue naturali condizioni e l’olivo, pianta dominante assieme al cipresso, circonda e quasi entra nell’ambito della casa. Anche nei materiali si è seguito lo stesso criterio: tutta la parte bassa sarà costruita in pietrame del luogo a vista, mentre la parte a doppia altezza verrà lastronata con lastre di cotto, materiale questo largamente usato nelle costruzioni liguri per il suo particolare colore caldo che s’intona perfettamente sia col verde argenteo dell’olivo che con quello scuro del cipresso39.

1941 pubblica in «Domus» sei articoli sull’illuminazione nella casa moderna. Il negozio in «Lo Stile», L’architetto e le esposizioni in «Costruzione-Casabella», Il progetto per una casa sul mare a S. Margherita Ligure e Sistemi di illuminazione senza impiego di metallo e l’artigianato in «Cellini».

39 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, pp. 98-99.

S. Margherita Ligure. Villa al mare

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1943 su «Domus» di giugno appare La sistemazione di un bar-pasticceria a Milano. L’autore dell’articolo, Melchiorre Bega, così scrive: «Dell’architetto Frette vedete qui un bar-pasticceria (non fra le sue opere più felici) di graziosi motivi, un po’ lezioso tuttavia nella composizione e nella situazione dei pannelli decorativi». La leziosità anticipava alcune sistemazioni ed arredamenti del dopoguerra40.

1944 lo studio in via Rugabella 9 a Milano viene bombardato e non si salva nulla.

1945 partecipa al concorso per scuole elementari, bandito dal Politecnico di Milano, in collaborazione con l’arch. Enrico Freyrie.

1945-1946 progetta e dirige i lavori degli uffici della Società Cantieri metallurgici di Napoli, delle Trafilerie e Corderie di Milano.

1947 scrive in «Il Tempo» di Milano sui diversi interventi in merito alla Triennale di Milano.

1948 collabora con il quotidiano «Il Tempo» per la rubrica Scenografia scaligera in coppia col maestro Giulio Confalonieri.

1949 così si esprime sulla messa in scena del Fidelio firmato da Oskar Schuh, alla Scala: «Forse sarebbe stato meglio non affidare a Casorati, pittore di

40 Cfr F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 65.

Milano. Sistemazione di un bar pasticceria

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grandissimi meriti e di rara onestà artistica, l’incarico di eseguire i bozzetti per un’opera la cui musica è così lontana dal clima casoratiano»41.

1951 pubblica Case dell’INA per i dipendenti Rai a Milano in «Prospettive», del quale Frette e uno dei soci fondatori con Rava42. Alla IX Triennale di Milano progetta oggetti di design nella sezione cuoi e pelle, con il pittore Umberto Zimelli, tra questi lampade e poltrone. Allestisce lo stand SIAU alla XXIX fiera campionaria di Milano43.

41 Le scene di Casorati in «Il Tempo» di Milano, 1 febbraio 1949. 42 Milano. Casa Ina. Fronte su via Sercognani. Cfr F. Petocchi , Op. cit.. 43 XXIX Fiera Campionaria. Allestimento stand SIAU.

Milano. Casa Ina

Milano. XXIX fiera campionaria stand SIAU

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1952 pubblica Triennale (IX) bilancio artistico in «Prospettive» (n. 2, marzo). Partecipa, come presidente, al Congresso di Firenze dell’Associazione italiana degli Scenografi. Progetta più case a Vicenza44.

44 Si ringrazia l’ing. Gaetano Giordano di Vicenza per la datazione del progetto (prot. 6743 PG del 25 giugno 1952) e per la segnalazione di ulteriori edifici rispetto a quello illustrato nel lavoro dell’arch. Petocchi.

Vicenza. Casa (Foto G. Giordano)

Milano. IX Triennale. Lampada da tavolo e sezione cuoio e pelli.

Archivio fotografico

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Vicenza. Edifici residenziali (Foto G. Giordano)

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1953 autore del volume Scenografia teatrale per l’editore Gorlich, Milano, tradotto anche in inglese e francese, redattore per la rubrica Scenografia per la rivista «Sipario» di Milano. Partecipa, ancora come presidente, al Congresso di Firenze. Progetta La Casa Ina ad Aosta.

1954 partecipa alla X Triennale di Milano, con l’allestimento della Mostra internazionale delle scuole d’arte. Pubblica Arredamenti per l’editore milanese G. G. Gorlich, Scenografia teatrale, Decors de theatre e Stage design.

1956 lascia «Prospettive» e inizia a collaborare con la rivista «Sipario» rassegna mensile dello spettacolo e arredamenti (diretta da Valentino Bompiani) concludendo, nel 1966, la sua attività di critico scenografico.

1957 partecipa alla XI Triennale di Milano, Sezione dei metalli, nella Mostra delle Produzioni d'arte, progettando l'allestimento con l’architetto Giancarlo Ortelli. Collabora con un gruppo di architetti (fra i quali gli ex compagni Figini e Pollini, e professionisti importanti come Luciano Baldessari e Ignazio Gardella) al progetto del quartiere Ina di via Feltre a Milano.

Aosta. Casa Ina

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1959 è fra i fondatori dell’Association Internationale Techniciens du Theatre.

1961 partecipa, quale delegato italiano, al congresso della Association Internationale des Techniciens du Théatre a Parigi.

1962 partecipa alla mostra, per la società Sisu (metalli), alla Fiera Campionaria di Milano e a Bolzano e interviene, quale delegato italiano, al congresso dell’Association Internationale des Techniciens du Théatre a Berlino. Viene incaricato dell’insegnamento di Architettura scenica ed arredamento presso la scuola di scenografia dell’Accademia delle Belle arti di Brera.

1962-1964 progetta due case di campagna sul lago Maggiore.

1962-1966 insegna a Brera Architettura scenica ed arredamento.

1965 allestisce la sezione italiana alla Mostra internazionale del giocattolo a New York.

New York. Mostra internazionale del giocattolo

Milano. XI Triennale Sezione dei metalli delle Produzioni d’arte.

Archivio fotografico

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1965-1968 progetta e dirige i lavori degli uffici della direzione della Società salifera italiana di Montedoro, progetta la Banca Popolare di Crema in collaborazione con gli architetti T. B. Varisco e A. Ermentini. Progetta casa Galleani e casa Cermenati a S. Felice sul Benaco sul lago di Garda.

Crema. Banca popolare (www.gruppobancapopolare.it)

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1966 cura (con Ezio Gribaudo, Valerio Miraglio e Gabriele Pellegrini), nel complesso architettonico dell’antico Battistero di S. Pietro ad Asti, l’allestimento della mostra di Eugenio Guglielminetti45 e partecipa alla Mostra biennale dello Standard nell’arredamento a Mariano-Comense.

1966-1971 insegna disegno tecnico ed arredamento presso la Scuola degli artefici annessa a Brera.

1967 è presidente, con Luigi Carluccio, per l’Ente Manifestazioni Milanesi, Antologica, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Padiglione d'Arte Contemporanea (PAC).

45AA.VV., Guglielminetti. Scenografie, costumi e dipinti. Catalogo di mostra Asti, Antico Battistero di San Pietro, aprile-giugno 1966.

S. Felice sul Benaco. Casa Galleani

S. Felice sul Benaco. Casa Cermenati

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1968 allestisce, presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano, una mostra di scenografia e costumi.

1970 partecipa alla ristrutturazione interna della Maison de l’Italie nella città universitaria di Parigi.

1973 collabora con Guido Gregoretti all’allestimento della Sala degli orologi al Museo Poldi-Pezzoli46 e progetta una casa in collina a Torino.

1975 progetta una casa di campagna sul lago d’Iseo.

1984 muore a Milano il 24 dicembre all’età di ottantatré anni.

46 V. GIAROLA, Riaperta la sala degli orologi: il nuovo scrigno del Poldi Pezzoli, 19 ottobre 2015 (www.luukmagazine.com).

Milano. Museo Poldi Pezzoli

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FRANCA PETOCCHI INTERVISTA GUIDO FRETTE

Tra le tesi di laurea discusse presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, nell’anno accademico 1984–85, vi era quella di FRANCA PETOCCHI dal titolo: Testimonianza di un moderno: Guido Frette architetto del “Gruppo 7”.

Lo studio, condotto con indubbia competenza tanto da essere citato dal Relatore in una sua opera (GIORGIO CIUCCI, Gli architetti e il fascismo: architettura e città, 1922 – 1944, Torino, Einaudi,1989), contiene nel secondo volume, anche, la trascrizione di due “interviste” fatte dall’Autrice a Guido Frette.

Si è ritenuto di estremo interesse proporre questi inediti colloqui (avvenuti nel mese di gennaio ed in quello di marzo del 1983) messi da Franca Petocchi cortesemente a disposizione.

Una ultima puntualizzazione. L’arch. Frette parlando della Casa Littoria di Tortona, nel corso della prima intervista, fornisce una versione non esatta. Al fine di evitare incertezze interpretative si è optato per l’inserimento di una nota.

[R.C. – B.S.]

Primo incontro con Guido Frette – gennaio 1983

Trascrizione della registrazione del colloquio

Può trovare una mia piccola biografia sulle «Muse» ed un brevissimo accenno sul libro del Cennamo. C’è tutta la polemica col Gruppo con Piacentini, che è riportata molto bene, sa è durata quasi due anni. Siamo stati noi del Gruppo a volere smettere, perché lui aveva detto che noi eravamo “massoni”. Si immagini lei se noi a ventitré-ventiquattro anni potevamo essere massoni, quando allora la massoneria era abolita. Lui invece lo era, e noi lo sapevano benissimo che lo era. Nell’ultimo articolo abbiamo detto che noi in politica non c’entriamo. Noi non ne vogliamo sapere, per noi la questione è puramente artistica e basta. Con quello abbiamo chiuso la polemica, assai feroce in certi momenti. Ora le dico una cosa che pochissimi sanno. La Mostra di Architettura Razionale del 1931, l’ho allestita io, là a Roma, per il Gruppo 7 sono andato io e c’era la famosa Tavola degli Orrori. Verso le sei di sera, mentre stavamo lavorando, poiché la mattina dopo c’era

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l’inaugurazione, è arrivato Piacentini. Sulla Tavola c’erano molte tavole di architettura di Piacentini e su una di queste c’era l’immagine di un cagnetto con la gamba alzata nell’atto di fare i suoi bisogni. Apriti cielo! Lui dice «Vado subito da Duce!» E c’è andato. Dopo un’oretta arriva Mussolini, guarda la tavola e scoppia in una risata e dice «La tavola ci rimane!».

I miei genitori erano milanesi di origine francese, fino a nove anni sono rimasto a Viareggio poi ci siamo trasferiti a Milano. I quadri che lei vede qui intorno di Fiume, Sironi, Marussig, sono tutti regalati perché sono stati tutti amici miei. A me piace moltissimo Fiume.

Zevi, nella sua Storia dell’Architettura, dice che c’è stato da parte del razionalismo un approccio equivoco con il Regime, sino a dire che il Gruppo 7 non è mai riuscito a formulare una precisa poetica e conclude dicendo che Larco, Rava e Frette tradiranno. Come interpreta queste affermazioni?

Lei non ha cominciato la professione, può significare che per forza di cose lavorando si arriva al compromesso, quindi certe architetture non erano più quelle “codificate” dal Razionalismo. Era già un po’ un miscuglio. Allora tutti, cominciando da lui ….

Mi scusi non volevo provocarla così.

No, ha fatto bene, lui voleva dire che il tradimento era quello di essere passati ad un compromesso. Ma quella è una cosa fatale, non c’è niente da fare.

Persico affermava che il Razionalismo italiano non è nato da alcuna esigenza profonda.

Ma l’esigenza era unica, era dare un taglio netto con l’Ottocento, questa è stata l’esigenza.

Quando io ho frequentato il Politecnico, qui a Milano, allora avevo come insegnante Moretti, il vecchio Morettone, che aveva lavorato in Sudamerica e anche in Russia. Un uomo di valore, ma che non ammetteva assolutamente che si potesse cambiare l’architettura. Non l’ammetteva. Noi abbiamo avuto come assistente di Moretti, Portaluppi. Portaluppi io non l’ho mai

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considerato un grande architetto, però è stato un ottimo insegnante, ci ha difeso finché ha potuto, continuamente. Lui diceva «Lasciamoli fare, sono giovani», ed infatti era vero. Noi abbiamo cominciato a scuola, apriti cielo cosa succedeva. Ad esempio il tetto piano non lo si poteva neanche concepire, quindi può immaginare le discussioni. In tutta la scuola eravamo in venticinque e stavamo dalle sette-otto ore in aula da disegno. Terragni era il più giovane di tutti. Se Terragni non fosse morto così giovane avrebbe dato del filo da torcere a tutti gli Aaalto e Mendelsohn d’Europa. Quando uno a ventinove anni mi fa la Casa del Fascio di Como … basta!

Non avesse fatto altro nella sua vita bastava solo quello. E’ l’esempio più classico che c’è in Italia e non solo in Italia. Non è che ci sia solo Terragni ma in primo luogo c’è lui.

Considero la cosa mia migliore la “Casa in collina” vicino a Tortona, è del 1936. Un’altra cosa di una certa importanza è lo “Stadio del tennis” a Viareggio. Non hanno buttato giù nemmeno un pino, nelle tribune c’erano dei grossi fori da cui uscivano i fusti. Comunque villa è una parola che mi dà fastidio, per me sono case. Le ville sono quelle venete, quelle romane, fiorentine, quelle papali. Quelle che abbiamo fatto noi sono case, quella non è architettura ma edilizia. L’architettura la facevano i Papi, i Principi, oggi la fanno gli industriali, infatti ci sono degli stabilimenti che sono veramente belli. Gli industriali sono diventati i Papi, i Principi quelli che una volta facevano costruire. Allora ci mettevano venti anni e più, se noi proviamo a mettere vent’anni a costruire una casa minimo si va in manicomio.

Il Gruppo si è sciolto dal momento in cui ognuno di noi da cominciato a lavorare. Non c’era più tempo di stare insieme. Era fatale. Gli unici che sono rimasti insieme sono Figini e Pollini. Ci siamo conosciuti tutti durante il periodo universitario. Dopo alcuni mesi abbiamo cominciato a capire, o meglio, a capirci, che avevamo più o meno le stesse idee. Il Gruppo 7 è nato sui banchi della scuola, tanto è vero che al principio il settimo era Castagnoli, poi se ne è andato perché non andava d’accordo con Figini. Ed è venuto Libera, e Libera studiava a Roma. Libera non è mai stato della “scuola romana” è sempre stato con noi, era in gamba anche lui. Rava era il nostro ideologo e scrivano. L’idea del gruppo è nata da lui ed era anche quello che scriveva più di tutti, Pollini era il tecnico, Figini il teorico.

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Io mi sono buttato sul teatro e sulla scenografia. Ho fatto diversi progetti di ville al lago di cui due sul Lago di Garda. Nel ’38 è stata costruita la Casa del Fascio di Tortona che poi, alla caduta del fascismo, è stata distrutta, non era brutta.

Nel ’39 ho partecipato al concorso per il Piano Regolatore di Verbania che poi è andato a rotoli a causa di alcune irregolarità da parte di chi doveva decidere sui partecipanti al concorso stesso. Le due case sul lago le ho progettate assieme all’architetto Varisco ed all’arch. Ermentini coi quali ho progettato anche la Banca Popolare di Crema nel 1965.

Del 1975 è una casa in collina a Torino e poi una casa in campagna sul Lago d’Iseo. L’epoca del Gruppo 7 era viva, adesso è morta. Discussioni infernali, ci si trovava spesso, si litigava. E d’altra parte era logico era il passaggio dall’Ottocento al Novecento.

Le racconto come è stata salvata la Casa del Fascio di Terragni a Como. Alla fine della guerra la Casa del Fascio è stata occupata dal Partito Comunista che voleva abbatterla per costruirci un grattacielo per fini speculativi. Quello sarebbe stato un insulto. Il comandante della Guardia di Finanza ha mandato via i comunisti e ne ha proibito la demolizione, poi ha chiamato il nipote di Terragni, pure architetto, perché la sistemasse internamente. E così si è salvata. Nella Casa del Fascio di Tortona mi sono vagamente ispirato a Terragni, anche qui la facciata semplicissima, liscia, con un porticato sul fronte.

Noi però non abbiamo mai abbandonato la tradizione, Le Corbusier l’ha abbandonata completamente anche nei disegni, noi no. La differenza tra noi e gli altri razionalisti europei sta proprio lì, quelli erano più scarni ed essenziali di noi, noi avevamo ancora il ricorso di cose viste fino a qual momento. Era una situazione un po’ strana la nostra perché da una parte eravamo contro tutto quello che era l’ultima parte dell’Ottocento, dall’altra non sentivamo completamente certe cose che venivano fatte all’esterno. Noi siamo venuti in un secondo tempo.

Il progetto per la Stazione di Firenze è stato difeso dal nostro Gruppo a spada tratta. Le polemiche erano con i Brasini, Bazzani, Piacentini, Del Debbio, forse Del Debbio un po’ meno. Forse il Razionalismo italiano non è

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stato troppo razionalismo perché c’era la remora della tradizione, che gli altri avevano meno di noi. Ad esempio i tedeschi, noi abbiamo avuto il Brunelleschi, Michelangelo, tutta questa gente, mentre loro non hanno avuto nessuno, di questa importanza. Per forza di cose c’è questa differenza, direi, sostanziale, benché allora ci rimproverassero il fatto di avere copiato dagli altri.

Tutto questo era spontaneo, non era fatto volutamente. Le architettura di quell’epoca si assomigliavano un po’ tutte.

Nel discorso agli architetti italiani, Mussolini difendeva gli architetti moderni rispetto agli altri della tradizione. In un certo senso ci ha difeso, non è che fosse una imposizione almeno da parte sua, da parte di qualcun altro sì. Ad esempio quando ho fatto la Casa del Fascio a Tortona non avevo previsto la torre, perciò mi ha mandato un telegramma il segretario del Partito Fascista dicendomi che mancava la prescritta torre littoria; in risposta gli chiesi «prescritta da chi? ». E non è stata fatta47.

Quando abbiamo cominciato a lavorare, ognuno è andato per conto suo e quindi come Gruppo non abbiamo fatto altro che la Casa Elettrica. Ognuno ha lavorato per conto suo, sa bisognava vivere, con le polemiche si viveva pochino, quindi si arrivava tutti, più o meno, al compromesso, purtroppo ma è così. Tutti ci siamo arrivati. Bisognava cercare di non scontentarsi troppo. La cosa iniziale credo sia stato un progetto di Majocchi che non aveva il tetto a falde bensì piatto. Credo sia stato l’inizio di tutto quanto. La frase classica di Moretti nei nostri confronti era «Le pare una casa bella, questa?». Però Portaluppi non ci dava indicazioni, invece Moretti si impuntava. Guai se noi seguivamo Moretti, il merito di Portaluppi è stato quello di averci lasciato fare.

Rapporti personali fra noi ed il Gruppo del Novecento non ce n’erano, anche se eravamo legati idealmente al Gruppo del Novecento (scrittori, pittori, scultori). Loro sapevano di noi e viceversa, eravamo come mondi staccati anche se ruotavamo intorno alla stessa cosa che era l’arte e l’architettura moderna. 47 «In realtà la Torre fu costruita su progetto dello stesso Frette»: F. PETOCCHI, Testimonianza di un moderno: Guido Frette architetto del “Gruppo 7”, Tesi di Laurea presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1984-85, Vol. I, p. 91, n. 33.

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Qualunque cosa noi facevamo e che veniva conosciuta all’estero, immediatamente si capiva che era italiana e, quindi, vuol dire che c’era differenza tra noi ed i tedeschi o i francesi, vuol dire che c’era rimasto un qualcosa della tradizione che ci impegnava ad adoperare certe forme e certe idee.

Noi si voleva andare contro l’architettura dell’Ottocento, noi ci siamo voluti staccare da quella architettura.

Durante il periodo universitario fo fatto una scenografia nell’ambito di un esame di decorazione ed è stata la prima volta che ho avuto a che fare con la scenografia.

Secondo incontro con Guido Frette – marzo 1983

Nel secondo incontro, ho sottoposto Frette ad una serie di domande alle quali egli mi rispose in seguito in maniera scritta. Qui sono ora riportate sia le domande che le risposte in forma di intervista.

Raccontare come le varie figure del Gruppo 7 sono venute a contatto all’interno del Politecnico (interessi, esperienze, desideri comuni).

Dato l’esiguo numero di allievi presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (25/30 allievi nei cinque anni di corso), i contatti ed i rapporti tra essi erano certamente ben più semplici e rapidi di adesso, dato che il numero è cresciuto a dismisura e quindi interessi e desideri comuni potevano allora manifestarsi con una notevole rapidità. Non parliamo di esperienze perché di queste eravamo completamente digiuni. Fu facile accorgersi quali potevano essere gli elementi che si sarebbero intesi con più facilità e semplicità e questo avvenne anche attraverso la visione di schizzi e di disegni che venivano elaborati da alcuni allievi e che rappresentavano l’assieme dei desideri e delle aspirazioni dei singoli, futuri elementi del Gruppo 7. Da poche parole sparse ed idee singole nacque, fra di noi, un discorso che prese via via corpo e senso e che doveva, in definitiva, sbocciare nell’idea di creare un gruppo avente, in embrione, le stesse idee nel campo dell’architettura. Queste furono le basi della creazione del Gruppo 7, ma questo nacque più tardi, alla fine dei nostri studi e fu

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principalmente, su iniziativa dell’arch. Carlo Enrico Rava che, più di ogni altro, propugnò la creazione di tale gruppo che poi nacque spontaneamente, quasi per tacita comprensione dei singoli, spronati da una medesima necessità di far conoscere le proprie idee in contrasto con il gusto imperante, specie in Italia, e patrocinato dagli allora più famosi e conosciuti architetti.

Accennare al tipo di ambiente culturale esistente allora all’interno del Politecnico, ed esempio sulle varie tendenza degli insegnanti e/o degli stessi studenti.

In quell’epoca, parlo del 1919-20, ed anche negli anni successivi oltre sessant’anni fa, l’ambiente e il livello culturale degli allievi del Politecnico (ingegneri civili, meccanici, elettrotecnici etc.) non era certo uno dei più vivi in tale senso e, quindi, i rapporti con noi erano improntati ad un senso di distacco anche se, ogni tanto, qualcuno di loro veniva a cercarci per chiedere aiuto nell’elaborazione di un progetto che loro non erano capaci di eseguire. Tendenze importanti non ne avevano, almeno palesi e, come già accennato, si viveva in due mondi alquanto diversi ed i momenti degli incontri erano rappresentati dalle lezioni in comune. Lo stesso credo possa dirsi degli insegnanti i quali ci consideravano meno degli allievi ingegneri, forse anche perché noi passavamo la maggior parte del nostro tempo in aula da disegno.

Al Politecnico insegnava Moretti, potrebbe chiarire il rapporto che aveva con voi studenti?

L’arch. Gaetano Moretti era il titolare della cattedra di Architettura, era un anziano valoroso architetto che aveva lavorato molto in Italia e nell’America latina e, se non erro, anche in Russia. Data la sua formazione tipicamente ottocentesca era fatale che non gli fosse possibile accettare con una certa facilità le nostre idee e le nostre tendenze che cozzavano con le sue fino al arrivare a veri scontri, a volte anche aspri, che sempre più approfondivano il solco che veniva scavandosi tra lui e quella parte di allievi, specie quelli come noi, che cercavano nuove forme che rispondessero ai nostri desideri ed aspirazioni. Questo stato di cose che, se da una parte, ci metteva a disagio, dall’altra ci spronava, sempre di più, a continuare nel nostro atteggiamento ed a fare tesoro delle nostre opinioni. Per fortuna avevamo un difensore

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nella persona dell’arch. Piero Portaluppi che era l’unico assistente di Moretti.

Che ruolo ha avuto, nella vostra formazione universitaria, la figura di Portaluppi, dal momento che difendeva le vostre idee rispetto a Moretti?

Portaluppi era, come già detto, l’unico assistente di Moretti e di lui parecchio più giovane e, quindi, più portato a capirci e, se non ad assecondarci del tutto nei nostri propositi, a difenderci ed a calmare gli stati d’animo che via via si presentavano. Egli ha rappresentato il trait-d’union tra Moretti e noi ed anche se da noi non gli furono riconosciuti dei grandi meriti come architetto, lo apprezzammo come insegnante perché, soprattutto, non cercò mai d’imporre il suo gusto, ma ci assecondava spesso fino a trovarsi, egli stesso, in contrasto con Moretti. Questo si può dire di Portaluppi, anche se culturalmente non ha certo influenzato quella parte di noi che poi si ritrovò, a studi terminati, a formare il Gruppo 7.

Che rapporto è esistito tra il Gruppo 7 (o i singoli del gruppo) ed artisti come Sironi, Carrà, Funi, De Chirico, Martini ed altri contemporanei a questi?

Il rapporto fra il Gruppo 7 o i suoi singoli non è mai stato stretto con gli artisti maggiori di quel tempo, pittori, scultori, uomini di lettere etc. anche se noi, parecchio più giovani, guardavamo con occhi ammirati le opere dei vari Sironi, De Chirico, Carrà ed altri. Può fare eccezione, tra gli scrittori, massimo Bontempelli che assieme a Bardi diresse la nostra rivista «Quadrante» che poi, come altre riviste troppo intelligenti, ebbe vita assai breve. La nostra ammirazione non poteva essere assoluta perché il “materiale” usato da questi artisti (pittura, scultura, lettere etc.) non aveva molta attinenza con quello usato da noi: architettura. Questa ha basi fortemente ancorate alla terra e non può, a differenza delle prime, spaziare in campi ancora decisamente astratti e nei quali la fantasia del singolo artista può estrinsecarsi in ogni maniera. Penso che come noi, che eravamo quasi affascinati dalle opere di questi maestri, anche essi o parte di essi seguissero ed apprezzassero il nostro lavoro e le nostre idee e di quanto affermo può far buona testimonianza l’amicizia che chi scrive ebbe in seguito con Sironi e Funi. Di Sironi conservo un ricordo incancellabile perché, oltretutto, credo di essere stato una delle ultime persone che lo videro in

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vita e che raccolse i suoi ultimi pensieri e soprattutto i suoi dolori. Degli altri componenti il Gruppo 7 non posso su questo argomento dire molto, anche perché quando ci trovavamo, il nostro massimo interesse era rivolto alle cose nostre e non trovavamo il tempo di seguire compiutamente il lavoro degli altri. Degli architetti stranieri quelli verso i quali si rivolgeva massimamente la nostra attenzione erano Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Mendelsohn ma specialmente verso il primo. Degli italiani in principio nessuno, a meno che non si voglia ricordare il già allora scomparso Sant’Elia e un giovane architetto che viveva e lavorava in Svizzera e che era in stretto contatto con noi.

Cosa ha rappresentato la figura di Le Corbusier?

Come già più volte accennato, la personalità di Le Corbusier, espressa attraverso i suoi scritti e le sue opere ha rappresentato il massimo della nostra aspirazione e dei nostri desideri in quanto che, la sua onestà professionale e la sua quasi incredibile divinazione per certi, oggi, attuali problemi che hanno influenzato la maggior parte della nostra opera e di conseguenza delle nostre aspirazioni. Con questo non voglio dire che si abbia copiato quanto da lui eseguito, ma, certamente, il suo pensiero ha influenzato la nostra opera anche se si potevano notare, specie all’inizio del movimento, differenze anche notevoli nell’elaborazione dei suoi e nostri progetti. A questo proposito ci piace notare che quando all’estero vedevano un nostro lavoro subito lo classificavano come italiano, e questo conferma la nostra asserzione, del Gruppo 7, che pur rinnovandoci profondamente, non abbiamo mai misconosciuto l’influenza che ha esercitato su di noi la nostra meravigliosa tradizione.

Cosa ha significato la parola “razionalismo”?

Il razionalismo ha rappresentato per noi del Gruppo 7 e quindi anche di chi scrive, sia una reazione allo spirito dell’Art Noveau e sia all’Espressionismo che esalta le componenti fantastiche ed emotive. Questo per quanto riguarda i movimenti più vicini a noi, ma fu anche una reazione ai concetti ed alle forme del tardo Ottocento e del movimento neo-classico, specie milanese.

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“Razionalismo” deve essere aderenza della forma all’uso per il quale l’oggetto è destinato e siccome, in definitiva, anche l’Architettura è un insieme di forme, questa deve essere perfettamente funzionale e rispondere, in ogni particolare, all’uso al quale è destinata. “Razionalismo” è anche aderenza all’attuale modo di vivere nei confronti del passato anche assai recente, e lo sfruttamento di tutti i nuovi materiali (acciaio, cristallo, isolanti, materie plastiche ecc.) che permettono la nascita di nuove forme, di nuovi mobili, e di nuove spaziature. Poesia delle proporzioni la quale, in definitiva, si riallaccia all’arte classica, poesia nella distribuzione dei pieni e dei vuoti ed, infine, un desiderio di sincerità, di logica, di ordine.

Nel primo articolo del Gruppo 7 su «Rassegna italiana», nel dicembre del 1926, si trova scritto: «La sistematica distruzione del passato» -operata dalle cosiddette avanguardie è definita- «concetto ancora così romantico». Cosa voleva significare questa affermazione?

Il concetto col quale le cosiddette “avanguardie” tentarono sistematicamente, ed in parte vi riuscirono, di distruggere il passato, è stato da noi definito un concetto “romantico” in quanto che noi “volevamo rifuggire” dall’atmosfera accesa dei vecchi dibattiti d’avanguardia (come dice il Benevolo nella sua Storia dell’architettura moderna).

Altro su questo argomento non posso dire poiché a distanza di oltre sessanta anni certi concetti risultano sorpassati od, almeno, sfumati, o addirittura, persi.

Sempre dallo stesso articolo: «L’appannaggio della gioventù d’oggi è un desiderio di lucidità, di saggezza […]. Noi non vogliamo rompere con la tradizione: è la tradizione che si trasforma, assume aspetti nuovi […]. La nuova generazione sembra proclamare una rivoluzione architettonica: rivoluzione tutta apparente. Un desiderio di verità, di logica, una lucidità che sa di ellenismo, ecco il vero carattere dello spirito nuovo». Cosa significa e che rapporto esiste tra il «desiderio di lucidità» e «conoscenza del passato», tra «desiderio di logica e ordine» e «lucidità che sa di ellenismo».

Mi è difficile, da brani staccati di frasi, riuscire a rispondere a certe domande poiché il discorso così spezzettato non mi consente di ricordare il

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senso di certe affermazioni ed il loro significato che, a quei tempi lontani, poteva risultare chiaro e pieno di significato. Posso solamente rifarmi al desiderio di uno spirito nuovo, logico e di ordine, e ad una lucidità che sa di “ellenismo” perché in definitiva, è a questo concetto che il razionalismo si riallaccia.

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A PROPOSITO DI MIO NONNO GUIDO FRETTE Marco Pagni Frette

Ho trascorso molto tempo con mio nonno Guido Frette nell’ultimo periodo della sua vita, quando aveva smesso da diversi anni di occuparsi di architettura a tempo pieno per dedicarsi all’insegnamento e all’arredo d’interni.

Nonostante la sua genuina riservatezza, intuivo che negli anni precedenti la seconda Guerra Mondiale aveva fatto cose grandi insieme ad un gruppo di giovani architetti che talvolta mi citava, anche se questo passato ormai lontano non amava troppo ricordarlo né tantomeno ostentarlo.

Mio nonno era una persona riservata, moderata, elegante – ricordo i suoi cache-col che portava sempre con la camicia sia in abbigliamento sportivo che formale – ma negli anni giovanili fu certo di carattere più impetuoso – in parte per una vena toscana tipica da nativo viareggino.

Con me, ovvero il suo primo nipote, amava trascorrere il tempo osservandomi mentre giocavo a tennis, il suo sport preferito, del quale era stato ottimo giocatore prima categoria negli anni in cui trionfavano i moschettieri francesi e gli italiani Cucelli e Del Bello; ricorderò sempre con affetto le sue appassionate critiche al mio gioco, ma anche i suoi generosi suggerimenti e consigli, così come la dedica che mi fece regalandomi il più bel libro sulla storia del tennis scritto dall’amico Gianni Clerici.

Negli anni in cui lo conobbi, mio nonno parlava soprattutto degli ultimi suoi interessi, fra tutti la scenografia e gli incarichi che ebbe come insegnante presso l’Accademia di Brera e come critico d’arte della rivista Sipario: ricordo la sua amicizia con i massimi scenografi del novecento – Casorati, Sironi, Benois, Zuffi, Marussig, Luzzati, Primo Conti ed altri – dei quali su quella rivista aveva raccontato le sceneggiature e descritto le opere. Di alcuni di essi possiedo alcuni bozzetti che l’autore aveva dedicato al nonno e confesso che leggere ancora oggi su quei disegni, acquerelli e tempere alcune righe di dedica a lui rivolte fa rivivere in me i ricordi degli anni trascorsi insieme a lui e un sentimento di sincera commozione.

Fra tutti gli episodi che il nonno ricordava con orgoglio vi fu una furiosa polemica con Franco Zeffirelli a seguito di una critica apparsa sulla rivista

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Sipario nella quale mio nonno non aveva certo mandato a dire che cosa pensava della messa in scena di un’opera teatrale; Zeffirelli, punto sul vivo, aveva risposto in maniera piccata all’opinione del critico che, evidentemente, non condivideva; non per questo però mio nonno perse la calma né ritratto mai la sua critica nel successivo carteggio con il maestro.

Infine non posso dimenticare l’impegno per la patria - dapprima come iscritto al Partito Fascista e in seguito come ufficiale durante la seconda guerra mondiale – e del senso di abbandono e sgomento che provò allorché venne proclamato l’armistizio di Badoglio l'8 settembre 1943: «cosa pensare, cosa dire, cosa fare? Tutto un mondo crolla – Tutto si dissolve – L’orgoglio, la dignità, il sacrificio, tutto è travolto, tutto è finito» queste le parole appassionate e travolgenti che scrisse in una lettera inviata alla sua sposa Tea in quella giornata per lui nefasta.

Le parole così vibranti di questo scritto esprimono molto bene il carattere, il temperamento e gli ideali di un uomo che ha vissuto il proprio tempo in modo intenso e generoso, con discrezione e moderatezza.

Questo catalogo e la mostra così ben curata da Brunetta Santi ne rappresentano un giusto tributo.

Un giovane Guido Frette a Viareggio con la figlia Alessandra nel 1935

L’architetto Guido Frette con il nipote Marco nel 1969

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L’ARCHITETTURA RAZIONALISTA NEI PROGETTI “TORTONESI” DI GUIDO FRETTE

Roberto Cartasegna

La casa in collina a Vho Tortona, alla metà degli anni Trenta, si appresta ad arricchire il patrimonio edilizio con progetti ispirati alla nuova Architettura italiana “d’autore”.

L’avvocato milanese Emilio Jesi acquista nel luglio del 193548 un terreno in Regione Calabrina nei pressi della Frazione di Vho, a circa tre chilometri dalla città.

Jesi affida all’architetto Frette la redazione del progetto di una palazzina e gli elaborati risultano predisposti con sollecitudine49.

La rivista «Domus» ha modo di illustrare sia il progetto50 -che, per inciso, viene presentato anche alla VI Triennale di Milano (1936)- sia l’opera51.

«É stata cura dell'architetto che i vari elementi che compongono la planimetria, e cioè casa, frutteto, prato, viali e giardino raggiungessero una fusione e creassero una unità.

Tutta la parte adibita ad abitazione, ossia il piano rialzato, è stata tenuta sopraelevata di circa due metri, per evitare che elementi vicini rappresentati da piante e vigne possano togliere la vista anche la più lontana.

L’orizzontalità del paesaggio ha consigliato il progettista a non alterare questa caratteristica ed a tenere nell'architettura della casa quasi esclusivamente orizzontali, ad ampliare la larghezza delle finestre, in modo da far entrare nei locali quanto più paesaggio possibile.

48 Per la cronaca il 31 luglio, con atto rogato dal notaio Vistarini: ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI TORTONA (d’ora in poi: ASCT), Seconda Sezione, Faldone 731, Pratica edilizia n. 62 /1935. 49 Il 3 settembre è infatti datata la comunicazione trasmessa dal proprietario al podestà «agli effetti della esenzione venticinquennale della tassa fabbricati»: Ibidem. 50 Una casa in collina, in «Domus», n. 99 (marzo 1936), pp. 16-18. 51 Casa nel tortonese, in « Domus », n. 130 (ottobre 1938), pp. 10-15.

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La costruzione si compone di due piani, uno sopraelevato ed uno seminterrato; nel primo sono sistemati tutti i locali di abitazione e qualche servizio, nel secondo i sevizi più tipici.

La costruzione è completamente intonacata candida con intonaco spugnoso e ruvido mescolato a polvere di marmo.

Cosa che vogliamo particolarmente far notare: la presenza di opere d’arte […]. Sul muro che chiude a destra la scala principale sulla fronte Est è collocato un altorilievo in pietra di Arturo Martini rappresentante l’Ospitalità, e nella grande sala di soggiorno su un alto piedistallo è la Vittoria pure di Martini»52.

Come ha osservato Franca Petocchi l’importanza dell’edificio è anche data dalla «contemporanea progettazione dell’esterno e dell’interno […] unico esempio realizzato (a parte la Casa Elettrica) di progetto integrale»53.

Non a caso, Frette ha espresso la seguente valutazione: «Considero la mia cosa migliore la Casa in collina»54.

Una singolarità è quella del non uso della definizione, che comunemente si farebbe, di “villa”; infatti secondo Frette «… villa è una parola che mi dà fastidio, per me sono case. Le ville sono quelle venete, quelle romane, fiorentine, quelle papali. Quelle che abbiamo fatto noi sono case, quella non è architettura ma edilizia.

L’architettura la facevano i Papi, i Principi, oggi la fanno gli industriali, infatti ci sono stabilimenti che sono veramente belli …»55.

Comunque «sulla Guida alla VI Triennale, la “casa” di Frette venne designata Villa in collina»56.

52 Ibidem, p. 11. 53 F. PETOCCHI, Tesi di Laurea presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, A.A. 1984-85, Vol. I, p. 81. 54 Ibidem, Vol. II, pp. 82-83. 55 Ibidem, Vol. II, p. 83. 56 Ibidem, Vol. I, n. 8, p. 82.

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Illustrazioni

ASCT Seconda Sezione, Faldone n. 731, fasc. 2 e

Pratica Edilizia n. 62/1935

Localizzazione topografica

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Planimetria

Piante

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Plastico Angolo sud-est visto dall’alto

Plastico Angolo ovest–sud

visto dall’alto

Plastico Angolo sud-est

della casa

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Veduta del giardino di

fronte alla casa

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Fronte ovest. L’ingresso al seminterrato

Fronte sud. Vista della serra e della terrazza.

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La porta della stanza di soggiorno sulla terrazza . Particolare dell’ingresso principale e della terrazza. L’altorilievo di Martini “L’ospitalità” all’ingresso

Sul fronte est. Le grandi finestre delle camere da letto

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Rampa che scende alla fronte ovest. La serra e la terrazza

Il roseto e la piscina

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Stanza di soggiorno. Veduta della terrazza. Davanti alla finestra la «Vittoria» di A. Martini. Lampadario a luci tubolari e anelli di ottone

Sala da pranzo all’estremità della sala di soggiorno. Mobili in rovere. Alle finestre tende in rodia azzurro pallido. Lampadario a saliscendi

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Stanza di soggiorno. Pareti imbiancate a calce e pavimento in pitch-pine. Sopra al caminetto in pietra quadri di De Rocchi e Utrillo.

Nella libreria di pero nero una raccolta di terrecotte di A. Martini.

Da «Domus» n. 99 (1936) e n. 130 (1938)

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La Casa Littoria Nell’ottobre del 1936 il podestà Pietro Banchieri rende pubblica l’intenzione di costruire una “Casa Littoria”57.

L’area ritenuta ottimale è quella dove si trova ciò che rimane del trecentesco convento di San Francesco, posta presso la Circonvallazione (attuale corso Romita) e dietro l’Albergo Europa realizzato agli inizi del secolo -in stile liberty- da Gardella e Martini. In altri termini, tra il nucleo antico e la Stazione ferroviaria.

Guido Frette riceve l’incarico di redigere il progetto.

Al momento le ragioni dell’affidamento non sono note, forse per l’eccellente risultato della “casa” a Vho, oppure considerato il substrato culturale comune a quello di Terragni (che a Como, con la sua Casa del Fascio, ha da poco realizzato un «serrato e magistrale gioco di volumi che tuttavia sfiora il formalismo»58).

Nel luglio 1938 il segretario federale di Alessandria invia il progetto alla segreteria amministrativa del PNF a Roma.

Il progetto trasmesso59 non propone una planimetria simmetrica e “bloccata”, neppure volumi chiusi con rivestimenti in lastre di marmo o ritmici porticati, elementi ricorrenti del lessico “accademico”, tuttavia sembra “cedere” su altri aspetti.

Il fronte principale verso la piazza risulta alquanto “appesantito”, effetto al quale concorrono due imponenti altorilievi posti su setti murari (da affidare,

57 Si veda il contributo di F. MIOTTI, La Casa del fascio di Tortona. 58 L. BENEVOLO, Storia dell’architettura moderna, Roma-Bari, Laterza, 1978 (VIII ed.), p. 620. Così l’autore ricorda il “rimprovero” di Giuseppe Pagano a Terragni. 59 ARCHIVIO CENTRALE DI STATO DI ROMA (d’ora in poi: ASC) , Partito Nazionale Fascista, Servizi vari, Serie II, Busta 815. Il progetto, oltre ad una Planimetria generale della zona, propone: - Pianta del seminterrato - Pianta del piano rialzato - Pianta del primo piano - Sezione longitudinale della costruzione - Fronte principale sulla piazza - Fronte verso il corso Leoniero - Fronte verso i giardini della Stazione. La fruizione di questa fonte storica è stata possibile grazie alla disponibilità della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona. Un particolare ringraziamento è dovuto ad Andrea Crozza, Segretario generale della Fondazione.

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quasi sicuramente, ad Arturo Martini) che sembrano introdurre una ambigua simmetria nel ritmo del prospetto, per non dimenticare la statua raffigurante l’imperatore Augusto60.

Avendo presente le peculiarità del progettista, c’è da domandarsi se è stato applicato il “metodo-Terragni”, visto per il Novocomum61.

Suddetta ipotesi potrebbe essere avvalorata alla luce del diverbio, avvenuto nel 1931, tra Frette e Piacentini -alla Seconda Mostra di Architettura Razionale- a proposito del Tavolo (o della Tavola) degli Orrori 62.

Comunque lo scopo è raggiunto. Con lettera datata 22 luglio 1938, da Roma si comunica che «Il progetto […] è in massima meritevole d’approvazione per quanto si riferisce allo studio architettonico dell’edificio», tuttavia si lamenta la mancanza della «prescritta Torre Littoria che potrebbe agevolmente ricavarsi, sopraelevando la parete piena frontale sinistra del prospetto, ove campeggiano i tre Fasci Littori»63.

Puntualmente Frette trasmette gli elaborati “aggiornati” (anche a livello planimetrico) ma con la Torre dotata di Balcone-Arengario, prevista in posizione opposta alla soluzione suggerita e con trattazione singolare del “tema”.

L’architetto Antonio Cassi Ramelli, direttore responsabile della rivista «Rassegna di Architettura», nel presentare l’opera di Frette, avrà modo di osservare che «La stessa torre s’è voluta trasformare in una gabbia vuota

60 Inizio dei lavori della Casa Littoria, in «Il Popolo», 27 aprile 1939. 61 Terragni, convinto che la Commissione d’Ornato avrebbe espresso parere contrario al suo progetto razionalista, sottopone ad esame un manufatto di dimensioni analoghe ma in stile neoclassico. 62 «Esplicita pietra dello scandalo era poi il Tavolo degli Orrori, un fotomontaggio derisorio dell’Italia provinciale, folcloristica, umbertina, falso-monumentale in cui erano inserite, tra scatole di fiammiferi, fotografie del 1860, copertine di romanzi, pagine del Segretario Galante, brani di romanzi d'appendice, vecchi cataloghi di mode, bracci d'accademico in uniforme senza tronco né testa e indici accusatori, una serie di brutture architettoniche tra cui figuravano opere di neoclassici e neobarocchi come Brasini, Giovannoni, Bazzani e anche costruzioni di Piacentini»: B. ZEVI, Storia dell’architettura moderna / dalle origini al 1950, Torino, Einaudi, 1961 (IV ed.), p. 235. Frette ha avuto modo di ricordare che nella «mostra […] che ho allestito io a Roma, esposi anche la famosa Tavola degli Orrori di Bardi. [...] Fra le architetture ve ne era una di Piacentini e davanti a questa architettura c’era un cagnetto con la gamba alzata. La sera prima della inaugurazione verso le 5 ricordo che arrivò Piacentini, il quale vedendo quel tabellone, esplose e mi ordinò: “Lei lo leva”, io risposi; “Non levo niente” e Piacentini: “Io vado dal Duce”, al che io risposi: “Si accomodi, vada!”. Dopo un oretta arrivò Mussolini, il quale volle vedere la cosa, si mise a ridere e ricordo disse: “Questa rimane”. [...] la polemica con Piacentini durò quasi 2 anni ...» L. RONCAI (a cura di), Intervista con: Mario Balocco, Carlo Castellaneta, Guido Frette, Raul Gattermayer, Alessandro Tinterri, Dipartimento Conservazione delle Risorse architettoniche e ambientali, Laboratorio 5, Analisi e metodologie storiche, Corso Storia dell’Architettura 2, 1985. 63 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 200.

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piena di movimento originale e di ombre inattese pel gioco dell’elica interna, come a rifiutare la tradizione tanto comune di troppe torri inutilmente riecheggianti quelle guerriere e tetre e chiuse del nostro medioevo»64.

Verso la fine del 1938, un bel plastico, pur confermando l’articolazione volumetrica dell’ultimo progetto trasmesso a Roma, mostra una “nuova” soluzione progettuale, dalla linea decisamente razionalista 65.

Così, dopo la demolizione di gran parte di ciò che rimane del San Francesco (resti della chiesa ricorderanno, ancora per qualche anno, il complesso religioso), nell’aprile 1939 hanno inizio i lavori della Casa Littoria diretti dal progettista e dall’ingegnere Emilio Orsi di Tortona66; un anno dopo, si preannuncia che «sarà prossimamente inaugurata» ricordando altresì che «La spesa per la costruzione di questo grandioso fabbricato si aggira su 1.000.000 di lire»67. Dell’inaugurazione non vi è notizia.

Il sintetico esame dell’edificio, apparso su «Casabella-Costruzioni», risulta «tutto sommato neutro: “… improntata sull’esempio delle migliori realizzazioni del genere, benché le soluzioni architettoniche non siano del tutto felici e giustificate”»68.

Frette descrive l’opera realizzata in questi termini: «La costruzione poggia sopra uno zoccolo dell’altezza di m. 2 che nella parte verso la fronte principale forma terrazza, accessibile dalla piazza a mezzo di un’ampia gradinata in pietra.

In caso di manifestazioni e di celebrazioni, le gerarchie e le rappresentanze delle Autorità, si dovrebbero disporre sopra questa terrazza, mentre la

64 G. FRETTE, La Casa Littoria di Tortona, in «Rassegna di Architettura», n. 6 (1940), p. 184. 65 La Casa Littoria di Tortona, in «Alexandria», Rivista mensile della Provincia, Anno VI, nn. 11-12 (novembre-dicembre 1938), p. 366. 66 Inizio dei lavori della Casa Littoria, in «Il Popolo», cit.; R. CARTASEGNA – M. COSTA, Dinamica urbana e cultura di Piano tra Ottocento e Novecento, in Storia urbana di Tortona, «Quaderni della Biblioteca civica», n. 5, Tortona, [Litocoopl Srl], 1983, p. 85. L’elenco delle Opere realizzate dal Regime dal 1922 al 1939 (riportante Intitolazione dell’opera / Inizio / Ultimazione / Costo dell’opera), relativamente ai lavori in corso di esecuzione per la Casa del Fascio indica un costo pari a 485.000 lire: ASCT, Seconda Sezione, Faldone 704. 67 La Casa del Fascio di Tortona, in «Stampasera», 18 aprile 1940. 68 Nn. 151-152-153 (1940), pp. 101-102. Cfr. F. PETOCCHI, Op. cit., Vol. I, p. 87 e p. 90, n. 29. Per quanto riguarda la realizzazione dell’opera, si veda: F. MANGIONE, Le Case del Fascio /in Italia e nelle terre d’oltremare, Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per gli Archivi, «Pubblicazioni degli Archivi di Stato», 2003, pp. 160-161.

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persona che terrà la celebrazione, o in tutti i casi la persona più insigne, salirà sul Balcone-Arengario situato sulla facciata della Torre Littoria.

La costruzione è a due piani sopra un seminterrato e si completa con una torre alta m. 22, semplice tralicciatura di 4 piani uniti fra loro da una scala elicoidale in vista.

I) Seminterrato

Nel seminterrato, accessibile sia direttamente da Corso Leoniero per mezzo di una rampa inclinata, sia dall’interno per mezzo di una scala, sono sistemati: la Palestra (m. 21 / 11) servita da un atrio-biglietteria per eventuali spettacoli; spogliatoi e doccie [sic] sia individuali che comuni: i servizi igienici e tutti gli altri servizi (locale per attrezzi, pronto soccorso, ecc.).

Un ampio locale vicino alla Palestra servirà per armeria, mentre sempre nel seminterrato si trovano i locali per la caldaia del termosifone e carbonile.

Altro spazio è a disposizione per eventuali necessità.

Negli spogliatoi può essere sistemata in certe circostanze una cabina per proiezioni cinematografiche, ed in casi speciali può essere montato nella palestra un palcoscenico, usando i locali attrezzi e pronto soccorso come eventuali camerini.

II) Piano rialzato

Il piano rialzato è in comunicazione con la terrazza a mezzo di 9 porte aprentesi verso l’atrio. Da questo si accede a sinistra verso la scala che sale al primo piano e verso i locali adibiti a Bar e ritrovo; a destra verso il locale della biblioteca e di lettura.

Di fronte alle porte d’ingresso è stato sistemato il Sacrario dei Caduti fascisti, volto verso l’atrio e il cui accesso è situato frale porte che danno accesso al Salone delle Adunate.

Il salone apre tutte le sue porte verso i corridoi degli uffici, e questo per permettere un rapido sfollamento, ed in casi di grande affluenza, la sosta di persone nell’atrio e nei corridoi stessi.

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A sinistra, nell’atrio, vi è un locale per informazioni ed una capace guardaroba.

Sui due lati della costruzione si trovano uffici adibiti a vari usi per la GIL e Comandi, allo scopo di radunare in un complesso tutti gli uffici similari.

La scala secondaria porta direttamente alla Palestra, senza dover uscire dalla Casa stessa.

III) Primo piano

Dalla scala principale si immette in un atrio dal quale partono i due corridoi che disimpegnano gli uffici del Fascio maschile e di quello femminile.

In questo piano si trovano tutti gli uffici che servono al funzionamento di una Casa Littoria, e possono venire facilmente variati nella loro destinazione essendo tutti di misure assai simili.

Gli uffici in facciata sono stati tenuti arretrati a loggia continua per creare davanti ad essi una zona d’ombra che è tanto più utile in quanto l’orientamento corrisponde al settore meridionale.

STRUTTURA

La struttura è mista in cemento armato ed in mattoni con solai in laterizio armato. Tetto piano impermeabilizzato.

MATERIALI IMPIEGATI

Zoccolatura in pietra del Cardoso a spacco messa in opera ad opus incertum; scalinata in pietra del Cardoso con pedata a spacco di cava ed alzata lavorata a punta di scalpello; pavimento della terrazza in lastre di pietra del Cardoso a spacco di cava; facciate e fianchi in intonaco “Duralbo” color avorio e tagliato a riquadri; contorni delle finestre in breccia della Versilia venata; pavimento del salone e dell’atrio in marmo brecciato verde. Dello stesso materiale è la scala principale; porte interne in faesite sbiancata e rovere naturale»69.

L’attuazione del progetto registra una importante variante rispetto alla soluzione formale prospettata con il plastico: l’arretramento degli uffici -

69 G. FRETTE, La Casa Littoria di Tortona, cit., pp. 184 sgg..

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sopra descritto- risulta funzionale non soltanto «per creare davanti ad essi una zona d’ombra» ma, probabilmente, anche per introdurre lo stilema tipicamente razionalista, del “reticolo” o “telaio-reticolo”.

Puntualmente Cassi Ramelli definisce la costruzione «…massa chiara e serena scandita in ritmi ben sicuri di pilastrate e d’aperture». Ed ancora, «… in modo che diremmo naturale, s’è intonata all’ambiente tortonese. Un ambiente agricolo che fortunatamente non conosce alveari multipiani e scatoloni sesquipedali di pietra e cemento, poiché le case non vi sorpassano quasi mai i due piani e lo stesso Duomo ha raccolto a fianco della facciata le sue due torri campanarie e le ha tenute più basse del colmo della navata maggiore. Dentro questo quadro orizzontale che pare quasi improntato al largo respiro della pianura circostante, la nostra casa Littoria s’è adagiata con la sua massa chiara e orizzontalissima»70.

Il plastico della Casa Littoria viene esposto, nel 1940, alla VII Triennale di Milano71.

Purtroppo, il 13 settembre 1944, il porticato e la torre dell’edificio sono danneggiati dal bombardamento aereo condotto dagli alleati.

L’architetto Francesco Sappia elabora, nell’agosto 1945, il Progetto di trasformazione della ex casa littoria in edificio per la esposizione permanente di prodotti ortofrutticoli ed enologici con annessi uffici di informazioni e vendita, cattedra di agricoltura con gabinetto di chimica agraria, uffici vari ed albergo diurno72.

70 Ibidem, p. 184. Insomma, l’opposto di quanto a volte, frettolosamente ed in modo acritico, è stato scritto: «costruzione che si rifà alle linee di Piacenti». Così A. BERGAGLIO, L’interminabile contesa per i ruderi della Casa Littoria / Tra la città di Tortona e lo Stato padre-padrone, in «Sette Giorni a Tortona», 3 dicembre 2016. 71 Forse si tratta del plastico pubblicato sulla rivista «Alexandria» oppure di una versione “aggiornata”. Al momento vi è solo spazio per ipotesi. 72 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 105. Gli elaborati risultano particolarmente interessanti poiché costituiscono anche rilievo dello “stato di fatto” della Casa Littoria. Per quanto riguarda l’architetto Sappia, ricordiamo il suo “piacentiniano” progetto (datato giugno 1944) per un edificio da realizzarsi in sostituzione della casa medievale di corso Leoniero. Si veda: A. PERIN, L’ipotesi di abbattimento e due progetti di ricostruzione, in Storia arte e restauri nel Tortonese / Il Palazzetto medievale / Dipinti e sculture, Banca Cassa di Risparmio di Tortona, Cinisello Balsamo (MI), Arti grafiche Amilcare Pizzi S.p.A., 1993, pp. 36 sgg..

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La proposta progettuale, che avrebbe comportato (e completato) la perdita del lessico architettonico dell’edificio, non ha seguito ed alla fine degli anni cinquanta si delibera l’abbattimento di ciò che resta del manufatto73.

Frette ha avuto modo di sottolineare che «… ancora oggi io considero la casa del Fascismo di Como come l’esempio di architettura razionale italiana più perfetto […] in Italia stupidamente, sono state distrutte moltissime opere del Fascio fra le quali anche una fatta da me a Tortona e che non era male, (lo dico senza modestia)»74.

73 A. BERGAGLIO, L’interminabile contesa per i ruderi della Casa Littoria / Tra la città di Tortona e lo Stato padre-padrone, cit.. La permuta, concordata con lo Stato, vede la cessione di un’area, in piazza delle Erbe, per realizzare il Palazzo di Giustizia e la trasformazione del sedime della Casa Littoria in giardini pubblici: R. CARTASEGNA, Una città e la sua storia urbana. Tortona nei secoli XIX-XX, Tortona, Litocoop Srl, 2013, p. 100. 74 L. RONCAI (a cura di), Intervista, cit..

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Illustrazioni

ASCT Seconda Sezione, Faldone 800 fasc. 3

ARCHIVIO CENTRALE DI STATO DI ROMA, Partito Nazionale Fascista, Servizi

vari, Serie II, Busta 81 Planimetria generale

(Foto F. Miotti)

ASCT Fondo cartografico. Altimetria su mappe catastali eseguita dagli

studi tecnici dei geom. Ettore Bertoldo e Ugo Ghianda. 1946

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Pianta del piano rialzato

PRIMO PROGETTO ACS ROMA, Partito Nazionale Fascista, Servizi vari,

Serie II, Busta 815

Pianta del seminterrato

Pianta del primo piano

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Fronte principale sulla piazza

Fronte verso i giardini della Stazione

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Fronte verso il corso Leoniero

Sezione longitudinale della costruzione

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SECONDO PROGETTO ACS ROMA, Partito Nazionale Fascista,

Servizi vari, Serie II, Busta 815

Pianta del piano rialzato

Pianta del primo piano

Pianta del seminterrato

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Fronte principale sulla piazza

Fronte verso i giardini della Stazione

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Sezione longitudinale della costruzione

Fronte verso il corso Leoniero

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Il plastico Da «Alexandria» nn. 11-12 (1938)

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Da «Rassegna di architettura» n. 6 (1940)

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Collezione privata

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F. Sappia progetto di trasformazione della ex Casa Littoria ASCT Seconda Sezione, Faldone 105

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Il locale-ritrovo sul Colle Nel 1937 viene indetta una licitazione privata per l’affitto del sedime, di proprietà comunale, del Castello (ex forte S. Vittorio) per costruirvi un bar, un ristorante e una sala da ballo.

Claudio Daffonchio e Mario Magnani, nel 1939, presentano istanza al Podestà per ottenere permesso di costruire un fabbricato ad uso Bar, Ristorante e Ritrovo danzanti denominato Nuovo ritrovo al Castello75. Il progettista è Guido Frette76.

Si tratta della elaborazione definitiva, che tuttavia non trova attuazione.

L’architetto, in precedenza, aveva redatto altri due progetti utilizzando china rossa:

- Nuovo locale al Castello di Tortona77;

- Nuovo ritrovo al “Forte Vittorio” a Tortona78.

Frette, analizzando queste due proposte, precisa che «A differenza del primo progetto sul quale la costruzione era stata tenuta sulla sinistra del terreno, per chi guarda Tortona, in questo progetto detta costruzione è stata tenuta sulla destra, e questo per permettere un eventuale allargamento […] verso sinistra».

75 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 804. L’istanza è depositata, in Municipio, il 24 marzo. Il progetto propone quattro elaborati (scala 1/50):

- Pianta; - Pianta del 1° piano e della terrazza; - Facciate, Fronte della costruzione verso il viale alberato / Fronte della costruzione verso la pista da ballo; - Sezione sulla linea A-B / Sezione sulla linea C-D.

76 R. CARTASEGNA, La città di Tortona tra le due guerre, in Cartoline dal Ventennio / Tortona negli anni del fascismo, Catalogo della omonima Mostra, Tortona, 2016, p. 33 e p. 50. 77 Il progetto si articola in cinque tavole: La planimetria generale nel rapporto 1:100;

- [Pianta], rapp. 1:50; - Fronte sud (verso il viale) / Fronte nord (verso Tortona), rapp. 1:50; - Fronte est (verso la pista), rapp. 1:50; - Assonometria del nuovo locale pubblico da erigersi al “Castello” nei pressi di Tortona, rapp. 1:50;

78 Quattro sono gli elaborati: - Planimetria generale nel rapporto 1:100; - La pianta nel rapporto 1:50; - Le facciate nel rapp. 1:50, Fronte verso Tortona / Fronte verso levante; - Le facciate nel rapp. 1:50, Fronte verso la strada / Fronte verso il giardino.

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Passando ad esaminare la costruzione, l’architetto evidenzia che «La costruzione è completamente in legno, e poggia su fondamenta in muratura e soletta in cotto. L’area totale della costruzione è di mq. 387, (quella del primo progetto era di mq. 350) …»79.

La soluzione formale, del primo progetto, propone una disposizione planimetrica particolarmente articolata, nella quale il rapporto forma-funzione è sicuramente intrigante.

La seconda, pur confermando una organizzazione plastica dei volumi -comunque attenuata dai materiali-, vede il dominio dell’orizzontale.

La differenza compositivo-formale, tra soluzioni proposte e progetto finale, è evidente.

Del resto, Frette ha avuto modo di ricordare che l’attività professionale, inevitabilmente, si svolge «talora fra i compromessi, perché purtroppo o il cliente, o l’ambiente o le autorità ci hanno spesso impedito di fare tutto quello che veramente volevamo fare»80.

79 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 804, Nuovo Ritrovo al “Forte Vittorio” / Descrizione del progetto. 80 L. RONCAI (a cura di), Intervista, cit..

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Illustrazioni

Primo progetto Nuovo Locale ASCT Seconda Sezione Faldone 804

Planimetria generale

Pianta

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Fronte sud e fronte nord

Fronte est

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Assonometria

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SECONDO PROGETTO Nuovo ritrovo al “Forte Vittorio”

ASCT Seconda Sezione Faldone 804

Planimetria generale

Pianta

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Fronte verso la strada / Fronte verso il giardino

Fronte verso Tortona / Fronte verso levante

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PROGETTO PRESENTATO “Nuovo ritrovo al Castello” ASCT Seconda Sezione Faldone 804

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Pianta

Pianta del primo piano e della terrazza

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Fronte verso la scalinata di piano regolatore / Fronte della costruzione verso Tortona

Fronte della costruzione verso il viale alberato / Fronte della costruzione verso la pista da ballo

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Sezione sulla linea A.B. / Sezione sulla linea C.D.

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Conclusioni L’esame del periodo tortonese valorizza, senza ombra di dubbio, la figura di Guido Frette; l’architetto sembra esserne conscio, infatti nelle interviste trova sempre modo di citare le sue opere tortonesi.

Nel dopoguerra gli interessi professionali sembrano mutare a favore della “scenografia”.

D’altra parte «un diluvio di cemento ha invaso le città congestionate, ha reso anonimo, simile e banale ogni luogo dove si costruisca in forme massificate. E ancora non sembra delinearsi una prospettiva per far fronte agli immensi problemi del costruire in un mondo di città desolate»81.

Una sconfitta per il Movimento Razionalista. «Non è facile comprendere come mai un movimento di questa grandezza abbia portato a singole opere positive e ad una così clamorosa sconfitta nella grande dimensione.

[…] quando fu chiaro quale breccia poteva essere aperta all’espansione quantitativa, il mondo produttivo si impadronì, ai minimi livelli, del movimento moderno, riconobbe ed onorò i maestri consentendo loro di realizzare soltanto opere individuali e si espanse, invece, quantitativamente, senza tenere in alcun conto il loro senso più profondo. E, addirittura, la produzione usò, distorcendola, la teoria razionalista, come alibi alla sua pratica di speculazione»82.

Realtà amara per un fondatore del Movimento?

L’interesse di Frette, per la scenografia, lo porta a sostenere che «… non si deve dimenticare che, più o meno modernamente sentite ed interpretate, le creazioni degli scenografi contemporanei, si riallacciano pur sempre alle tre grandi tendenze fondamentali: classica […], romantica e moderna.

Tradizionalisti, naturalisti, astrattisti, veristi, classici, romantici, moderni.

Tentativi, esperimenti, tendenze, ritorni. Ma tutte opere -purché degne- denotano il gusto e la sua tecnica. Svelano i suoi sogni e le sue aspirazioni.

81 R. GUIDUCCI, La città dei cittadini. Un’urbanistica per tutti, Milano, Rizzoli, 1975, p. 27. 82 Ibidem, pp. 31-32.

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È veramente da augurarsi che il pubblico segua gli artisti, comprenda la grande importanza raggiunta da questa forma d’arte e senta l’ansia di ricerca e di rinnovamento dalla quale sono pervasi tanti scenografi intenti a creare, per la gioia dei nostri occhi, un mondo magico ed immaginario che ci illuda e ci faccia sognare»83.

Il “perfezionamento teorico” di quanto già sperimentato nella progettazione.

Così trovandosi nel soggiorno della “casa in collina”, pur posto ad un piano rialzato, la sensazione induce a ritenere di trovarsi alla quota del terreno, illusione creata dalla ampia terrazza e dallo spessore del pur basso parapetto84; allora come non ripensare alla Casa Littoria, ed alla prima soluzione progettuale del Fronte principale sulla piazza, quale “soluzione immaginaria” predisposta per fare (un po’) sognare? … altorilievi e statua dell’imperatore Augusto troverebbero ampia giustificazione … “scenografica”.

83 G. FRETTE, Nascita e vita della scenografia, Introduzione a Scenografia teatrale, Biblioteca di Belle Arti, Venezia, p. XI. 84 Un sentito ringraziamento è dovuto a Nicoletta Grassi, attuale proprietaria dell’immobile, per aver permesso di apprezzare l’opera frettiana.

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LA CASA DEL FASCIO DI TORTONA Fausto Miotti

Le sedi delle sezioni locali del Partito Nazionale Fascista, secondo Benito Mussolini, dovevano presentarsi come luoghi di culto nei quali gli uomini del partito dovevano esercitare la liturgia politica fascista. Erano luoghi sacri dove coltivare il culto dei morti, cioè ricordare ed onorare sia i combattenti scomparsi (caduti nella lotta contro i sovversivi) sia i combattenti sopravvissuti e destinati a compiti più grandi. Queste caratteristiche che volevano le Case del Fascio come luoghi di culto dove esercitare una liturgia, prevedevano, anche, la fusione di elementi ideologici diversi derivati dalla fusione della tradizione mazziniana e dannunziana con atteggiamenti propri dello squadrismo, ed esigevano la costruzione di nuovi edifici appositamente progettati per rispondere a precisi dettami previsti dal partito. Solo con il consolidamento del regime fascista, negli anni ’30, tra i fascisti di provincia si fece largo l’esigenza di dotarsi di una Casa del Fascio che fosse funzionale allo svolgimento dell’articolata vita del partito e che insieme valesse da santuario della religione politica. Elemento integrante della politica di ristrutturazione urbanistica, fondata su una precisa gerarchia degli spazi, il nuovo edificio avrebbe assunto una notevole valenza simbolica dalle linee “armoniose e possenti” che doveva inserirsi all’interno della politica di ristrutturazione urbanistica fondata su una precisa gerarchia degli spazi e degli edifici. La Casa del Fascio sarebbe stata il centro e fulcro di tutte le organizzazioni del partito e, anche, centro della vita politica e sociale della città: un edificio costruito per il popolo con caratteristiche di casa, scuola e tempio. Nel 1932 il segretario nazionale del Partito, Achille Starace, decise che ogni Casa del Fascio fosse dotata di una “torre littoria” con tanto di campane e altoparlanti per scandire i riti del regime85.

A Tortona la sezione locale del Partito Nazionale Fascista, fondata nel dicembre 1920, ebbe una storia molto travagliata a causa delle profonde divisioni interne che contrapponevano due fazioni rivali. Questa situazione di instabilità non permise la costruzione di edificio che fosse sede del partito.

85 Si veda la voce curata da L. DI NUCCI, Casa del fascio, in «Dizionario del fascismo», Vol. 1, pp. 253-256.

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Solo con il consolidarsi del regime mussoliniano si cominciò a programmare la costruzione ex-novo di una Casa del Fascio.

Durante il governo podestarile del tortonese Pietro Banchieri (marzo 1935-febbraio 1938) si concretizzò il progetto per la costruzione di una Casa Littoria nell’ambito di un programma che, oltre a favorire i lavori pubblici necessari anche a far fronte alla disoccupazione, si impegnava per un rilancio di carattere municipalistico della città «già fiorente e forte colonia dell’Impero romano» per inserirla «al piano dell’Impero fascista».

Il programma culturale del podestà, concordato con il generale Aristide Arzano -presidente della Società storica tortonese-, prevedeva il restauro delle rovine romane della città, la sistemazione del Museo Romano, la valorizzazione e sistemazione del «Colle Vittorio» dove far sorgere un «Tempio votivo dedicato alla Madonna della Vittoria e delle Pace, patrona dell’Impero»86. Su «Il Popolo» dell’8 ottobre 1936 il giornalista Vittorio Capra riportava un’intervista rilasciata dal podestà Pietro Banchieri, nella quale si affermava che «in collaborazione con l’amico geom. Cav. Gramegna, segretario del fascio» intendeva costruire al più presto l’indispensabile «Casa Littoria» in località San Francesco, allargando contemporaneamente gli attuali giardini pubblici»87.

L’8 novembre 1936, durante l’adunata dei fascisti tortonesi, convocata dal segretario federale Carlo Poggio, fu comunicato che era stata decisa la costruzione della nuova Casa Littoria per riunire, in un unico edificio, tutte le organizzazioni del partito e dare una degna sede ad uno dei più vecchi fasci di combattimento della provincia.

Con l’appoggio assicurato dal Prefetto, con l’interessamento del podestà e del segretario del fascio, la questione del sedime su cui costruire il nuovo edificio sarebbe stata risolta con l’acquisto dell’albergo S. Francesco presso i giardini pubblici e la stazione ferroviaria88. La decisione fu accolta con manifestazioni di entusiasmo e si aprì una colletta per raccogliere i fondi alla quale per primi aderirono il podestà Pietro Banchieri (lire 500); il segretario del fascio Luigi Gramegna (lire 500); Giovanni Mario Barenghi (lire

86 Sul periodo fascista a Tortona si veda F. MIOTTI, La vita politica a Tortona dal 1919 al 1945, in «Iulia Dertona», anno LXVII, 2016, fasc. 112-113, pp. 9-44. 87 «Il Popolo», 8 ottobre 1936. 88 «Il Corriere di Alessandria», 13 novembre 1936.

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1000); e i gerarchi tortonesi Carlo De Mattei (lire 50) e Giorgio Nascimbene (lire 50)89.

Il primo passo si concretizzò nel febbraio 1937 quando fu deliberato, da parte del Podestà Banchieri, l’acquisto della proprietà Turba (l’antico convento di S. Francesco) per il miglioramento della viabilità e per la costruzione di una nuova «Casa del Fascio», mentre fu l’avv. Stefano Lorenzi (commissario prefettizio che resse il Comune di Tortona dal febbraio all’ottobre 1938) a dare un impulso decisivo per la realizzazione della sede di tutte le organizzazioni del partito fascista90.

Per stendere il progetto fu chiamato Guido Frette, un architetto razionalista di Milano, autore del progetto della villa Iesi, costruita a ridosso della strada per Sarezzano.

Il progetto prevedeva che la massa del fabbricato si affacciasse, con il fronte principale, sulla piazza attraversata dall’attuale corso Romita, mentre sul fianco destro sui giardini pubblici, di fronte alla stazione ferroviaria, e quello sinistro sul prolungamento del corso Leoniero. Preoccupazione di Frette, nel primo progetto, era stata quella di non creare una massa troppo alta tale da disturbare il panorama urbanistico di Tortona che si presentava privo di edifici con più di due piani fuori terra. Le stesse torri, poste sulla facciata del Duomo, erano più basse del vertice del frontone stesso. Frette cercò così di riallacciare il carattere architettonico della nuova costruzione alla tradizione romana della città, sforzandosi di contenere l’edificio in linee della massima sobrietà e semplicità. Unici motivi decorativi previsti nel primo progetto erano due paraste in facciata fra i pilastri che, mediante altorilievi ispirati alla colonna traiana, avrebbero dovuto collegare l’epoca di Roma all’epoca dei Fasci, l’Impero di Roma all’Impero Fascista.

L’edificio poggiava sopra uno zoccolo di pietra dell’altezza di 2 metri: verso la fronte principale formava una terrazza rialzata con funzione di tribuna e “arengo”. Durante le cerimonie le autorità si dovevano disporre sulla gradinata arricchita, sul lato destro, di una statua raffigurante l’imperatore Augusto. La costruzione si sarebbe strutturata su due piani più un

89 «Il Popolo», 19 novembre 1936. 90 ASCT, Seconda sezione, Faldone 200, fasc. 12.

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seminterrato. Nel seminterrato, accessibile da corso Leoniero a mezzo rampa inclinata, sia attraverso una scala, era prevista la palestra, gli spogliatoi e le docce sia individuali sia comuni con tutti i servizi inerenti. Adiacente alla palestra era collocata un’armeria e i locali tecnici destinati alla centrale termica. Il piano rialzato era in comunicazione con la terrazza a mezzo di nove porte d’ingresso. Dall’atrio si accedeva, verso destra, al locale biblioteca lettura e, verso sinistra, al bar e alla scala principale che portava al primo piano. Di fronte alle porte d’ingresso era sistemato il sacrario e il salone delle adunate su cui si distribuivano tutte le porte lungo il corridoio degli uffici destinati alla Gioventù italiana del Littorio. Al primo piano si accedeva agli uffici del fascio femminile e a quello maschile91.

Il 20 luglio 1938 il segretario federale di Alessandria inviò alla segreteria amministrativa del PNF a Roma il progetto e il piano finanziario necessari alla costruzione dell’edificio con un preventivo di spesa di 700.000 lire. Il fascio locale avrebbe conferito 125.000 lire, il Comune di Tortona avrebbe stanziato 200.000 lire, mentre i rimanenti 325.000 lire si sarebbero ottenuti accendendo un mutuo presso la Cassa di Risparmio di Tortona al tasso del 6%, estinguibile in 20 anni. In un primo momento il piano economico presentato fu respinto dal segretario amministrativo nazionale del PNF e fu necessario, nel settembre 1938, ripresentare un nuovo progetto ridimensionato a circa 500.000 lire. Veniva osservato che il progetto originario non presentava la torre littoria, considerata invece un elemento fondamentale per la funzionalità dell’edificio. Fu così prevista una torre alta 22 metri dal piano stradale, posta nell’angolo destro della scalinata. Dal primo piano si accedeva ad un balcone arengo. La torre, nella parte inferiore, era prevista in muratura piena, mentre la parte superiore a traliccio per alleggerire e snellire la struttura. Le decorazioni ad altorilievo sopra la scalinata furono abolite e rimasero solo tre fasci in rilievo sulla facciata a sinistra della scalinata. Il ragioniere Mario Vistarini, segretario amministrativo del Fascio tortonese, preparò una dettagliata relazione per dimostrare la solidità finanziaria del fascio ed affermare che nell’ultimo anno le entrate erano migliorate con l’aggiornamento delle quote ricavate dal tesseramento annuale e con la diminuzione delle spese generali, insieme ad una più intensa propaganda svolta dai “camerati” membri di un’apposita commissione istituita in previsione della costruzione della Casa Littoria.

91 I progetti della Casa Littoria sono conservati in ACS, Partito nazionale fascista, Servizi vari, Serie II, busta 815.

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Nell’assemblea dei soci della Cassa di Risparmio di Tortona, svoltasi nel marzo 1938, fu deciso di concedere un mutuo per la costruzione della casa littoria, accelerando l’inizio dei lavori92.

Il 4 aprile 1939 venne redatto l’atto notarile con il quale in Comune di Tortona dichiarava di donare, al locale Fascio di combattimento, un sedime della superficie di mq 1350 per consentire la costruzione di una Casa Littoria93. Pochi giorni dopo, il 29 aprile 1939, alla presenza del prefetto Domenico Soprano e del segretario federale Alessandro Berruti, delle maggiori autorità locali e di tutti gli iscritti alla G.I.L., fu posta la prima pietra della Casa Littoria per dare al «Fascismo dertonino una Casa degna delle sue gloriose tradizioni»94.

I lavori erano stati appaltati, a licitazione privata, all’impresa del cav. uff. Adolfo Dellachà mediante il ribasso del 2% sulla base di gara di 400.000 lire.

I lavori per la costruzione dell’edificio, iniziati il 22 aprile 1939, proseguirono abbastanza spediti, nonostante le difficoltà di approvvigionamento del ferro necessario ad armare la parti in cemento armato (pilastri e solai). L’attività subì qualche lieve rallentamento, ma nell’ottobre 1939 l’ossatura del fabbricato era completata e gli intonaci quasi ultimati. Durante i lavori furono apportate alcune modifiche al capitolato per una maggior spesa di 70.000 lire.

La Federazione dei Fasci di Alessandria ordinò un’ispezione ed inviò a Tortona l’ing. Ercole Alerici il quale constatò che i lavori erano stati condotti a regola d’arte e che le variazioni apportate rispondevano al criterio di conferire maggior grandiosità e prestigio alla struttura, soprattutto per gli interventi dell’arch. Guido Frette e dell’ing. Luigi Orsi. L’unico appunto si riferiva all’abolizione del linoleum nella pavimentazione della palestra, sostituito da un battuto di cemento non adatto per la destinazione di quel locale95.

Nel novembre 1939 la Federazione Fascista di Alessandria condusse, anche, un’inchiesta di carattere politico sulla «costruenda Casa Littoria» di Tortona che coinvolse sia il segretario del Fascio di Combattimento di Tortona Statiti 92 ACS, Partito nazionale fascista, Servizi vari, Serie II, busta 815. 93 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 804, fasc. 3. 94 «Il Corriere di Alessandria», 2 maggio 1939; «Il Popolo», 5 maggio 1939. 95 ACS, Partito nazionale fascista, Servizi vari, Serie II, busta 815.

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di Cuddia sia l’imprenditore edile Adolfo Dellachà, accusati di irregolarità amministrative per aver modificato il progetto dell’edificio così da garantire un margine di guadagno al costruttore. In una relazione dell’Arma dei Carabinieri si legge: «Si vuole che il costruttore Dellachà Adolfo, pur di ottenere l’appalto dei lavori, abbia presentato un progetto con un preventivo di spesa molto basso. In seguito al mancato arrivo di ferro e a causa degli aumenti non indifferenti nei prezzi dei vari materiali, le spese invece sarebbero aumentate in tal misura che il Dellachà oltre ad non realizzare nessun guadagno avrebbe dovuto rimetterci non meno di 100 mila lire. Per diminuire tale perdita, pare, coll’approvazione del sig. Staiti, segretario del fascio, il Dellachà avrebbe modificato il progetto stesso96.

Lo stesso segretario del Fascio era accusato di aver utilizzato denaro del partito per pagare informatori e delatori «poco amanti del lavoro e di pochi scrupoli». Accertate le responsabilità del segretario, il federale Giovanni Alessandri, il 15 gennaio 1940 nominò commissario del Fascio di Tortona lo squadrista alessandrino Pietro Sau97.

L’inchiesta non fermò i lavori di completamento e la Casa Littoria fu completata entro l’aprile del 1940, ma la stampa ufficiale tacque sull’inaugurazione del nuovo edificio. Su «La Stampa» di Torino il 18 aprile 1940 in un breve articolo si annuncia che: «La nuova Casa Littoria, che sarà prossimamente inaugurata, si eleva nella località ex S. Francesco, nelle vicinanze della stazione.

Il progetto è stato studiato dall'arch. Guido Frette di Milano. Dal grandioso scalone con il pavimento romano, si accede attraverso una serie di porte a vetro, ad un ampio e luminoso atrio, dove è il sacrario ai Caduti per la Rivoluzione. Nell'ala destra vi sono gli uffici del Fascio Femminile e del GUF; sulla sinistra vi troviamo gli uffici del Sindacato dell'Industria e dell'Agricoltura. Al primo piano vi è la serie del locali, tutti spaziosi e luminosi, occupati dalla GIL e dal Fascio di Combattimento; al piano semi-interrato si trova la palestra della GIL con tutti i più moderni accessori, docce, pronto soccorso. La spesa per la costruzione di questo grandioso fabbricato si aggira su 1.000.000 di lire».

96 Archivio di Stato di Alessandria (d’ora in poi ASAL), Prefettura, Gabinetto, II versamento, busta 55. 97 Ibidem.

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Durante le festa di Santa Croce, nel maggio 1940, la Pesca di beneficenza, organizzata in favore della Colonia solare, si svolse «nell'ampio salone della nuova Casa Littoria di prossima inaugurazione». L’inaugurazione, però, non si svolse forse a causa dei venti di guerra che ormai stavano soffiando, anche, sull’Italia di Mussolini.

Fu il giovane Carlo De Mattei, nominato segretario politico del Fascio di Tortona il 12 giugno 1940, ad essere incaricato dalle gerarchie provinciali del partito ad organizzare un nuovo corso per il fascismo locale e a trasferire nel nuovo edificio la sede di tutte le organizzazioni del regime. Il De Mattei convinse anche il podestà Moccagatta a trasferire nella Casa Littoria l’ufficio profughi, aperto dopo l’entrata in guerra dell’Italia per dare assistenza agli sfollati provenienti dalle zone limitrofe al confine francese. Posta nei pressi della stazione ferroviaria, furono messi a disposizione anche «locali, telefono, telone con scritta “ufficio profughi” nonché tutti i componenti delle organizzazioni fasciste libere da impegni, per l’assistenza morale e materiale dei profughi». Nell’immagine del fascismo la Casa del Fascio doveva essere, anche, una vera e propria casa dedicata al popolo, sede degna delle organizzazioni del partito. Le linee razionaliste e gli ampi spazi luminosi e aperti sulla città dovevano dare «immediata percezione della piena integrazione del partito nella vita della massa e della diretta comunicazione fra la massa e i suoi dirigenti», mentre l’ampia strada di circonvallazione diveniva lo spazio per svolgere le manifestazioni pubbliche del regime98.

Tra le più affollate manifestazioni si può ricordare quella svoltasi il 31 maggio 1942 in occasione della visita del gerarca Rino Parenti, presidente nazionale dell’Opera Nazionale Dopolavoro. Al rapporto tenuto dal federale di Alessandria, Carlo Fossati, alle «gerarchie e al popolo di Tortona» presenziarono anche il prefetto Domenico Soprano, il senatore Ferrari Pallavicino, il podestà Francesco Moccagatta, il questore e il consigliere nazionale Francesco Baraldi.

Il settimanale «Il Popolo» riporta una dettagliata relazione sull’evento:

«Tortona domenica 31 maggio ebbe alto onore di ospitare il Gerarca Rino Parenti, Presidente dell’O.N.D., che ha presenziato assieme al Prefetto, al 98 ASAL, Prefettura, Gabinetto, II versamento, busta 55.

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Senatore Pallavicino, al Podestà, al Questore, al Cons. naz. Baraldi, e a tutte le massime autorità politiche, militari, religiose e civili della città e provincia al rapporto tenuto dal Federale alle Gerarchie e al popolo tortonese, conferendogli un carattere di particolare significato e importanza. Tutta la popolazione, schierata in un ammassamento imponente di fronte alla Casa Littoria, gremiva il vasto piazzale e gli sbocchi delle vie laterali: in prima fila i Combattenti, i Mutilati e gli Squadristi, gli Ufficiali dell'Esercito c della Milizia, e poi tutte le Organizzazioni giovanili, il G.U.F., il Dopolavoro, le Massaie Rurali, gli operai, i fascisti di tutti i Gruppi Rionali. L’arrivo dei Gerarchi è stato salutato con acclamazioni interminabili all’indirizzo del Capo e dopo la deposizione di una corona di fiori sulla lapide dei Caduti si è iniziata la cerimonia col rito della benedizione del nuovo Signum della G.I.L. Dopo di che ha preso la parola il Segretario Politico della città esponendo al Federale, con voce calda e vibrante, il resoconto di tutte le attività svolte dal Fascio locale nel difficile momento» 99.

Dopo il 25 luglio 1943, con lo scioglimento del Partito Fascista, la Casa del Fascio fu chiusa dalle autorità di polizia e non sembra avesse subito danni. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la città fu rapidamente occupata dalle truppe tedesche che presero possesso della Casa del Fascio e vi insediarono il comando del presidio militare. Nei primi giorni del dicembre 1943 nella Casa Littoria ebbe luogo la prima assemblea del Fascio repubblicano tortonese, presenti il commissario federale Carlo Valassina, il comandante del presidio militare tedesco e parecchi gerarchi della federazione. Gli oltre duecento intervenuti procedettero alle elezioni del segretario politico e del direttorio al canto di “Giovinezza”100.

Il 13 settembre 1944, alle ore otto del mattino, un’incursione dell’aviazione alleata colpiva e provocava ingenti danni alla Casa del Fascio101. L’edificio fu abbandonato e, nei mesi successivi, completamente saccheggiato di tutto quello che poteva essere asportato.

Nel maggio 1945 le truppe alleate, da poco entrate in città, abbatterono la torre littoria che minacciava di rovinare sulla strada di circonvallazione.

99 «Il Popolo», 4 giugno 1942. 100 «Il Popolo di Alessandria», 9 dicembre 1943. 101 ASAL, Prefettura, Gabinetto, II versamento, busta 80. Relazione del Comitato Provinciale di Protezione Antiaerea al capo della provincia di Alessandria, 20 febbraio 1945.

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Nell’immediato dopoguerra l’amministrazione comunale tortonese tentò di acquisire la proprietà del rudere, divenuto nel frattempo un bene demaniale. Con deliberazione n. 14 del 25 maggio 1947 il Consiglio comunale di Tortona chiedeva l’autorizzazione a stare in giudizio contro lo Stato per rivendicare i diritti di proprietà sul terreno e sulle rovine dell’ex Casa Littoria. La causa fu portata presso il tribunale di Torino che, nell’udienza del 21 settembre 1951, respinse le ragioni del Comune, considerando l’atto di donazione fatto del Comune in favore del fascio di Tortona, non nullo ma annullabile. Quindi l’azione del Comune, tesa ad annullare l’atto per mancanza di manifesta volontà di donare, era considerata prescritta.

Le trattative tra Comune ed Intendenza di Finanza di Alessandria giunsero ad un accordo che prevedeva la demolizione dei ruderi e la costruzione di un nuovo edificio che dovesse ospitare gli uffici finanziari e gli uffici giudiziari102. Nel novembre 1955 la ex-Casa Littoria fu demolita, ma il nuovo cantiere non andò in porto e il Comune decise di costruire il nuovo Palazzo di Giustizia su parte del sedime del vecchio mercato coperto.

102 ASCT, Seconda Sezione, Faldone 105, fasc. 3.

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Illustrazioni

1939 posa della prima pietra (Collezione privata)

Cantiere Casa Littoria (Collezione privata)

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La Casa Littoria sullo sfondo dei resti dell’ex convento di S. Francesco (Fondo fotografico Cassa di Risparmio di Tortona)

Intervento dal balcone della Littoria del Segretario del fascio. In »Il Popolo« 4 giugno 1942 (Biblioteca Civica Tortona)

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Una delle ultime immagini della Casa Littoria. Fausto Coppi, con la maglia iridata nel Circuito degli assi - 1953

(Fondo fotografico Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona)

1945 demolizione della torre da parte degli alleati (Collezione privata)

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ALCUNE IMMAGINI DELLA MOSTRA

La mostra inizia dal piano terra, lungo lo

scalone

Si snoda lungo la manica del 1° piano.

In questo tratto si illustra la biografia

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1° piano. Sala dedicata alla Casa in collina e alla Casa Littoria

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1° piano. Sala dedicata al Ritrovo sul Colle

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Foto nn. 1, 2, 5, 6, 9: Brunetta Santi Foto nn. 3, 4, 7, 8: Emanuele Zecchin

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Tortona – dicembre 2017