Guida Naturalistica Al Parco Della Baraggia (BI)

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GUIDA NATURALISTICA AL PARCO DELLA BARAGGIA (BI)

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Breve descrizione degli aspetti storici, geologici e naturalistici di un parco biellese: "la Baraggia". Sono stati approfonditi alcuni aspetti naturalistici attraverso la descrizione di specie animali e vegetali che si possono rinvenire nel parco.

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GUIDA NATURALISTICA AL PARCO DELLA BARAGGIA (BI)

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SOMMARIO

GUIDA NATURALISTICA AL PARCO DELLA BARAGGIA (BI)......................................................................................1

IL PAESAGGIO.....................................................................................................................................................3

GEOLOGIA..........................................................................................................................................................5

FLORA E FAUNA..................................................................................................................................................7

Molinia caerulea (L.) Moench subsp. arundinacea.........................................................................................9

Calluna (Calluna vulgaris)..............................................................................................................................10

Felce aquilina, Pteridium aquilinum.............................................................................................................11

Rhamnus frangula.........................................................................................................................................12

Circus cyaneus..............................................................................................................................................14

Circaetus gallicus..........................................................................................................................................15

Merops apiaster...........................................................................................................................................16

Ciconia ciconia..............................................................................................................................................18

SITOGRAFIA......................................................................................................................................................20

IL PAESAGGIO

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Vaste praterie e brughiere, alternate a sporadici alberi e vallette boscate. Un paesaggio, quello delle Baragge, che colpisce immediatamente per la sua semplicità ed il suo equilibrio di spazi e forme, per il suo apparire senza confini, esteso all'infinito; un ambiente a tratti sorprendentemente somigliante alla savana africana.Sono le alte pianure biellesi, vercellesi e novaresi ad ospitare quaesti particolari ambienti, tipicamente in forma di vasti altopiani con quote variabili da 150 a 340 m (secondo le zone).Le Baragge offrono scorci spettacolari tra l'estate e l'autunno: allo sfolgorante e diffuso colore dorato dell'erba si alternano macchie rosa, tipiche del brugo, e talora marroni (felci aquiline). Particolarmente suggestive e perfettamente inserite nel paesaggio (anche se sempre meno presenti), le greggi di pecore che stazionano temporaneamente in Baraggia. Dal punto di vista escursionistico, le Baragge presentano numerosi e facili sentieri e stradine sterrate con limitati dislivelli, molti dei quali percorribili a cavallo o in mountain bike; i paesaggi che si presentano al visitatore non lasciano mai delusi. Le sette porzioni costituenti la riserva delle Baragge sono circondate da numerose strade statali, provinciali e comunali che ne consentono un comodo accesso e sono attraversate da una rete di agevoli percorsi ciclabili.

Con il termine "baraggia" viene indicato un ambiente boscoso con esemplari più o meno radi di querce, betulle, carpini, con sottobosco di brugo, che si estendeva un tempo sui terrazzi marginali della pianura piemontese da Biella fino al Ticino. La riserva tutela alcuni nuclei della Baraggia originaria, in passato molto estesa e oggi ridotta ad alcune 'isole' a causa dell'intensa opera di bonifica che ha favorito la risicoltura. Di notevole interesse naturalistico sono i popolamenti faunistici tipici del territorio baraggivo, in particolare l'entomofauna con specie rare ed endemiche; tra queste si ricordano i coleotteri carabidi endemici: Agnonium livens, A. ericeti, Bembidion humerale, il coleottero Catops westi, un catopide presente soltanto in un'altra stazione in Italia, e il lepidottero Coenonympha oedippus molto raro e localizzato.

Img.1. Bembidion humerale

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L'ambiente fisico è costituito da un altopiano ondulato caratteristico per gli ammassi ciottolosi con geomorfologia unica in Europa. L'originaria morfologia, è stata notevolmente modificata dall'uomo nel corso dei secoli. In quest'area si estraeva l'oro nei torrenti Elvo e Olobbia; un'operazione di colossali proporzioni avvenuta in epoca romana e pre-romana (ad opera dei Vittimuli), che ha determinato l'accumularsi di pietre di scarto che hanno modellato il paesaggio nella forma attuale: cumuli di ciottoli alti fino a 10 metri, alternati a strette infossature. Il pregio naturalistico dell'area risiede nella grande variabilità delle specie botaniche presenti, anche rare, e per la ricchezza della fauna entomologica. Nella tradizione locale è rimasta la pratica della ricerca artigianale dell'oro.

L'area costituisce l'ultima propaggine della collina biellese, ed è caratterizzata dalla presenza alla sommità del Brich di un castello ricostruito, su antiche fondamenta, nei primi decenni del secolo. Parte dell'area circostante il castello è caratterizzata dalla presenza di alcune specie arboree esotiche con esemplari particolarmente pregiati derivanti dal giardino preesistente; per il resto la zona fitoclimatica è quella del Castanetum con netta prevalenza del castagno, nonché della robinia, quercia, ciliegio e salicone. All'interno del castello è prevista la predisposizione di locali espositivi e di attrezzature per conferenze.

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GEOLOGIA.

Questi particolari altopiani sono ciò che rimane di antiche e vaste pianure costituite da depositi fluvioglaciali e fluviali accumulatisi (da 750.000 a 135.000 anni fa - Pleistocene medio), a seguito dell'erosione delle zone montuose e collinari effettuata ad opera di torrenti e ghiacciai. In seguito, la rete idrografica stessa, approfondendosi gradualmente in queste pianure, ne erose e ne smantellò gran parte, generò altri depositi più recenti a quota inferiore, lasciando solo alcuni lembi sopraelevati delle antiche pianure. Questa situazione è particolarmente evidente presso il Baraggione di Candelo e Cossato e la Baraggia del Piano Rosa in quanto costituenti i depositi più antichi e quindi più "alti" (40-50 e talora 80 metri di dislivello rispetto all'attuale pianura, mentre nelle Baragge tra Castelletto Cervo e Gattinara, di origine più recente, si raggiungono mediamente i 2-3 metri di elevazione). Questi antichi depositi furono inoltre ricoperti per 1-1,5 metri, da una coltre sottile e discontinua di sabbie e limi giallastri di origine eolica (Loess). Su di essa si sono venuti a formare dei suoli particolarmente argillosi, poco aerati, molto poveri di nutrienti, tendenzialmente acidi, poco permeabili e difficilmente sfruttabili a fini agricoli; ciò giustifica la frugalità della componente vegetazionale. Solo nelle vallette o lungo i rari corsi d'acqua la presenza dell'humus diventa più consistente. Sono particolarmente interessanti, inoltre, gli strati di depositi geologici sottostanti a quelli appena descritti, osservabili ai piedi dei terrazzi più antichi, lungo le incisioni dei torrenti e le scarpate (famosissimi i cosiddetti "canyon" di Castelletto Cervo); si tratta di depositi deltizi e marini, inglobanti frequentemente reperti fossili. Sono questi i testimoni della presenza, in tutta la zona, di un grande golfo marino, circa 5,2-1,8 milioni di anni fa.

Img 2. Baraggione di Candelo

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FLORA E FAUNA

La vegetazione tipica dell'ambiente baraggivo è costituita da praterie e brughiere a prevalenza di alte erbe, le molinie (Molinia coerulea e M. arundinacea, rustiche, eliofile, adatte a terreni con grandi variazioni di umidità) di brugo (Calluna vulgaris), un piccolo arbusto rustico molto simile all'erica e frequentemente con essa confuso, adattato a terreni fortemente acidi) nonché, più sporadicamente, di felce aquilina (Pteridium aquilinum) nei settori maggiormente percorsi da incendi. Dominano il tutto imponenti alberi di alto fusto più o meno isolati:nelle Baragge biellesi e vercellesi querce, soprattutto farnia (Quercus robur) dalla caratteristica chioma espansa e talora carpino bianco (Carpinus betulus) nei settori maggiormente boscati di fondovalle; betulle (Betula pendula) nelle Baragge novaresi (Piano Rosa).

Il paesaggio descritto costituisce una fase di degradazione di boschi di querce preesistenti, via via diradati a causa di ripetuti tagli; l'aspetto di landa a copertura arborea rada si è mantenuto nel tempo grazie a incendi, pascolamenti e sfalci. Non si tratta pertanto di ambienti di origine prettamente naturale: la loro struttura e composizione nonché la loro conservazione sono legate strettamente all'attività forestale, agricola e zootecnica dell'uomo. Non costituendo pertanto una fase stabile (climax) le Baragge risultano soggette a dinamismi di lenta ricostituzione del bosco originario, processo variabile a seconda delle zone. Betulla, pioppo tremolo, frangola (un piccolo arbusto) e altre specie legnose testimoniano l'inizio del processo di ricolonizzazione da parte della vegetazione boschiva. Nelle Baragge non mancano comunque veri e propri boschi, in particolare nelle vallecole, sulle scarpate e lungo i torrenti. Oltre alle specie vegetali sopra citate, costituenti "l'ossatura" principale della vegetazione baraggiva, è possibile rintracciarne alcune (tra le circa 370 rilevate), più localizzate e poco comuni: particolarmente interessante in quanto tipica di climi molto freddi, relitto dell'era glaciale, è il giaggiolo o iris siberiano (Iris sibirica); il giglio dorato (Hemerocallis lilio-asphodelus = H. flava) considerato preglaciale, rintracciabile in ambienti umidi e ombrosi e la genziana mettinborsa (Gentiana pneumonante) tipica dei prati umidi torbosi e dei molinieti. Interessanti, inoltre, gli ecosistemi di torbiera e acquitrini con alcune piante rare in prevalenza acquatiche come gli sfagni (Sphagnum), la drosera (Drosera intermedia) caratteristica per la sua capacità di catturare e digerire gli insetti che si posano su di essa e la ciperacea rincospora scura (Rhyncospora fusca). Tra gli animali selvatici sono gli uccelli ad avvantaggiarsi maggiormente di questo peculiare ed ormai raro ambiente di pianura che alterna praterie e boschi; molte specie inoltre sono favorite anche dalla vicina presenza di campi coltivati e soprattutto dalle risaie, che raggiungono per alimentarsi, utilizzando la Baraggia come area-rifugio per il riposo diurno e notturno. Sono state censite ben 167 specie di cui una settantina nidificanti; molte altre, migratrici, essendo la Baraggia l'ultima area naturale planiziale posta ai piedi dei rilievi, la utilizzano per la sosta prima della faticosa traversata delle Alpi. Particolarmente importante la presenza di alcune specie di uccelli ormai rari nella pianura padana (come la colombella la tottavilla, etc.). La Baraggia dà la possibilità di riprodursi anche a specie meno rare che negli ultimi anni danno segni di ripresa come ad esempio le cicogne bianche, il lodolaio ed il gruccione.

I vari ambienti della Baraggia danno asilo a diverse popolazioni di uccelli, più o meno specializzate:

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le lande erbose ospitano svariati rapaci (fra i quali il biancone e le albanelle), allodole, piccoli turdidi e altri uccelli; gli acquitrini sono particolarmente frequentati in primavera da altre specie, fra le quali beccaccini, pavoncelle, cutrettole. Nei boschetti è possibile scorgere sparvieri, usignoli, bigiarelle, luì. La stessa cosa non si può dire dei mammiferi. Infatti in Baraggia la scarsità di rifugi tra la vegetazione e la difficoltà di scavo in un terreno così compatto, allontanano molte specie presenti nelle vicinanze. È il caso della volpe, del tasso e di alcuni micro-mammiferi terricoli. Ben presente è invece la lepre che ama gli habitat aperti. Al contrario, le zone di scarpata, le vallecole più o meno incise e i corsi d'acqua sono habitat normali per gran parte degli animali selvatici tipici delle zone piano-collinari quali, oltre a quelli sopra elencati, mammiferi (ad esempio il cinghiale e sporadicamente il capriolo), rettili e anfibi (per la descrizione di rettili e anfibi del territorio biellese vai al sito http://www.francoandreone.it/docs/Andreone_book_anfibi_rettili_valsesia.pdf). Gli insetti, pur essendo più difficilmente osservabili, presentano alcune specie estremamente importanti: diversi coleotteri strettamente specializzati per l'ambiente baraggivo e quindi difficilmente rintracciabili altrove (come Agonium livens e A. ericeti, Bembidium humerale e Fissocatops westi) e una farfalla, la ninfa delle torbiere (Coenonympha oedippus) lepidottero a rischio di estinzione in Europa.

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Molinia caerulea (L.)

Img.3 Molinia caerulea (L.) Moench subsp. arundinacea (Schrank) K. Richt. Plantae Europeae 1: 72 (1890)

Altri sinonimi: Molinia altissima

Piante perennanti per mezzo di gemme poste a livello del terreno e con aspetto di ciuffi serrati.Descrizione: Pianta perenne cespitosa con tipiche radici fascicolate ingrossate, biancastre e contorte, tenaci; culmo eretto o inclinato, rigido e robusto, alto da (100)120 fino a 250 cm, con un solo nodo alla base e lungamente nudo.Foglie piane verdi-bluastre a lembo largo 8-12(15) mm, glabro o sparsamente peloso, molto scabro e tagliente al bordo, con parecchie nervature parallele ben evidenti, ligula sostituita da 2 ciuffi laterali di peli.Pannocchia eretta allungata di 10-60 cm, a rami corti, solitari o gemini, eretto-patenti, spesso lungamente nudi alla base, con molte spighette erette 2-4 flore ad asse lievemente peloso, lunghe 6-9 mm, verdi-violacee o brunastre, spesso sbiadite; glume poco diseguali, lemmi maggiori (fiori inferiori) lunghi 4,5-7 mm, largamente ellittici e ad apice acuto; stami (3) penduli e stimmi sporgenti lateralmente.Frutto a cariosside lunga 2-3 mm.

Habitat: Praterie subalpine in pendio calcicole con scorrimento d'acqua ed anche, nel caso di drenaggio o abbassamento della falda con componente termofila a Bromus erectus s.l., formazioni erbose secche seminaturali su substrato calcareo; pinete. Da 0 a 1200 m.

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Proprietà ed utilizzi: Usata in giardinaggio, in numerose cultivar, come specie decorativa per la grande capacità di adattamento, l'eleganza del portamento e la ricchezza dei cespi, che si mantengono pressoché integri, pur mutando colore, anche nella stagione autunno-invernale.

Calluna (Calluna vulgaris)

Il genere Calluna appartiene alla famiglia delle Ericaceae, molto simili alle classiche Eriche, si tratta sempre di piante perenni, diffusa nell’Europa settentrionale, Asia Minore, Siberia e America settentrionale.

Img.4. Calluna vulgaris

Le Calluna sono piante fruticose, in altre parole sono legnose alla base, particolarmente rustiche, generalmente di dimensioni di 20-30 cm, con portamento eretto cespuglioso. Forma numerosi fusti ricoperti da sottili foglie embricate, persistenti, semplici, aghiformi, ellittiche, lanceolate, disposte su quattro linee lungo i rami.

A differenza dell’Erica, la Calluna fiorisce sul finire dell’estate, talvolta sino a novembre, inoltre i fiori hanno un calice lungo il doppio della corolla rispetto a quello dei fiori di Erica ed hanno la corolla e il calice divisi in quattro parti (tetrameri) e non in cinque (pentameri).

I fiori sono campanulati riuniti in spighe o in racemi terminali sui rami dell’anno precedente, di colore roseo o rosa violaceo, molto ricchi di nettare e sono molto attraenti per le api e farfalle. Il frutto è una capsula. Le Calluna sono piante rustiche e robuste, resistenti alla salinità del mare, adatte per il giardino classico e quello roccioso ma anche per

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decorare balconi, in più si presta bene a essere allevate in vaso e all’interno. Il suo nome generico significa abbellire, pulire, riguardo all’uso dei rami di questa pianta per fare scope.

Felce aquilina, Pteridium aquilinum

Img .5. Pteridium aquilinum (L.) Kuhn. - famiglia delle Ipolepidacee

La felce aquilina è forse la più diffusa tra tutte le felci del continente europeo. Ha fusto rizomatoso a crescita sotterranea orizzontale, foglie con lamina a contorno triangolare, 2-3 pennatosette. I sori sono disposti ai bordi delle foglie, protetti semplicemente dai bordi fogliari, che si avvolgono su se stessi.La felce aquilina può arrivare a raggiungere i 2 m di altezza.

La felce aquilina contiene una sostanza, la tiaminasi, che distrugge la vitamina B1, una sostanza che provoca tumori, tannini ed altro ancora. Si conoscono casi di avvelenamento di animali che hanno pascolato in prati o ai bordi delle boscaglie infestate da questa felce.Non si conoscono, invece, casi di avvelenamento di esseri umani e d’altronde poiché questa, come tutte le felci, non ha fiori o bacche, sarebbe davvero difficile essere tentati di assaggiare le fronde fogliose.

La felce aquilina è l’unica specie europea del genere Pteridium, cresce nelle foreste, specialmente nelle radure luminose, ai bordi dei boschi o nei pascoli a substrato umido.

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Rhamnus frangula

Img .6. Rhamnus frangula

La Frangola (Rhamnus frangulaL., 1753) è una pianta arborea, appartenente alla famiglia delle Ramnacee, originaria dell'Europa e dell'Asia.

Predilige terreni umidi e sabbiosi, nei boschi di pianura o di montagna, lungo le rive dei fiumi o delle paludi, nei terreni asciutti assume un portamento più compatto.

Arbusto alto fino a 4–5 m (in media 2–3 m) generalmente con pochi rami alterni sviluppati per lo più alle estremità.

Le foglie sono alterne caduche, con un picciolo più lungo delle stipole che sono lunghe 4–7 cm, lamina ovato ellittica, ottusa o più spesso acuminata, con 8 nervi per lato e margine intero. Adulte sono glabre da giovani leggermente pelose come i giovanissimi rami e gemme. Le stipole brevi e strette cadono prestissimo.

I fiori sono piccoli raccolti in fascetti ascellari di 2-6, ermafroditi piccoli 3–4 mm, perigini, con ricettacolo glabro imbutiforme e 5 sepali glabri e biancastri. I petali sono 5 anche essi bianchicci e concavi più piccoli dei sepali. Ogni petalo ha 5 stami. ovario a 3 logge con stilo unico. Nei terreni umidi i rami si accrescono tutta l'estate e portano fiori all'ascella di ogni foglia, quindi nel periodo estivo si possono trovare su ogni ramo dalla estremità boccioli, fiori, frutti verdi poi rossi poi neri. Nei luoghi asciutti la pianta fiorisce solo a primavera.

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Il frutto maturo è una piccola drupa nero-bluastra di 6–7 mm, sferica, un po' più larga che lunga, con un seme per loggia di colore giallo, quasi rotondo, appiattito, con un tegumento coriaceo.

La corteccia è grigio violacea o grigio piombo, con numerose lenticelle bianco grigiastre rotonde nei rami giovani e allungate trasversalmente nei vecchi.

Nei tempi antichi il carbone ottenuto dalla Frangola veniva utilizzato per produrre ottima polvere pirica a fumo soprattutto nei paesi dell'est europeo, mentre nel bolognese venivano utilizzati i rametti per produrre cannucce per pipa.[2] In omeopatia, viene utilizzata la corteccia essiccata a scopi lassativi per uso interno o come collutorio contro afte o stomatiti per uso esterno. La corteccia fresca o non ben essiccata produce effetti collaterali quali vomito, coliche e altri leggeri sintomi da avvelenamento. Anche le bacche contengono molti dei principi sopra indicati, ma provocano effetti collaterali simili a quelli dati dalla corteccia fresca.[1]

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Circus cyaneus

Img 7.Circus cyaneus o albanella reale (Linneus 1776)

Rapace di medie dimensioni (circa 50 cm di lunghezza), con struttura intermedia tra il più massiccio C. aeroginosus e le più snelle C. pygargus /C.macrourus. Ha coda relativamente lunga e ali larghe in corrispondenza del "braccio" e più corte e arrotondate alla "mano" dove sono evidenti le 5 "dita". Da posato le ali non superano la lunghezza della coda ma i tarsi relativamente corti fanno sembrare sia le timoniere che le primarie più sporgenti che nelle altre albanelle. Il volo di caccia è tipico di circus radente al terreno con 5-6 battiti intervallato da planate con le ali leggermente rivolte all' insù. A differenza dei suoi congeneri effettua anche scivolate ad ali piatte o incurvate verso il basso e procede in volo battuto per lunghi tratti. Il maschio adulto è caratterizzato da una colorazione grigio-bluastra sulle parti superiori ad eccezione delle primarie più lunghe di colore nero. Capo e petto dello stesso colore e nettamente distinti dalle restanti parti bianche. Osservando in volo da sopra si notano il sopraccoda bianco e le ampie aree nere all'estremità delle ali. Da sotto risaltano oltre alle primarie nere il cappuccio grigio e il bordo nero lungo il margine posteriore dell'ala. L'iride è scura, il becco nero, cera e zampe gialle. La femmina adulta possiede le parti superiori brune omogenee con orli delle penne di colore più scuro ad eccezione delle copritrici del sopra ala che hanno orli color crema. Il sopracoda è bianco mentre le parti inferiori sono bianco-fulviccio con marcate striature più scure su petto e copritrici. Remiganti e primarie sono ampiamente barrate. Vista in volo si notano le tre barre sulle remiganti Il disegno facciale è solitamente privo di contrasto in quanto non è presente una mascherina ma soltanto una tenue macchia bianca attorno all'occhio e una sottile e non molto evidente linea chiara a forma semilunare lungo il margine posteriore delle auricolari. Vertice e retro-collo fortemente striati su sfondo rossiccio e quindi non è presente una evidente macchia nucale. Iride variabile con l'età poiché da giallo chiaro diventa con il tempo color ambra.

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In riproduzione frequenta paludi, canneti e zone a maremma; durante lo svernamento e la migrazione luoghi aperti, colline e rive del mare. Non si attestano più casi di riproduzione in Italia.

Volo basso; sul terreno salta e cammina.

Si ciba di vari animali di palude, ratti, lucertole, piccoli uccelli, nidiacei e uova.

Come molti altri accipitridi, è un uccello a rischio d'estinzione. È "specie particolarmente protetta" ai sensi della legge 157/92 [1]. Tra le minacce ci sono l'allargamento delle città, la distruzione di paludi, canneti e zone a maremma, il bracconaggio, la cattura dei nidiacei, la somministrazione di bocconi avvelenati e gli incendi.

Come altre albanelle può essere addestrata dall'uomo per mantenere sotto controllo la sovrappopolazione di altri volatili come i piccioni.

Circaetus gallicus

Img 8.Circaetus gallicus o biancone (Gmelin 1788)

Il suo nome deriva dal greco ( "kirkos" = falco e "aëtos" = aquila ), mentre "gallicus" fa riferimento a quell' area della Francia detta appunto Gallia.

Con una lunghezza corporea di circa 70 cm e un'apertura alare di 170–190 cm è evidentemente più grande della nostra poiana, più simile nella struttura a un'aquila. È chiaro nella parte inferiore e l'area del capo e del petto si distacca con evidenza dal resto del corpo. Ha una testa relativamente grande e occhi gialli lucenti. I piccoli atti al volo sono molto più chiari e hanno talvolta una testa quasi bianca.

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Con circa 5.900 - 14.000 coppie in Europa i bianconi sono tra le specie più rare. Si trova anche in Europa meridionale e orientale, a macchia di leopardo tuttavia anche in Ungheria e Polonia.

In qualità di evidente uccello migratore si sposta tra agosto e ottobre con prestazioni giornaliere fino ai 100 km/h principalmente passando per Gibilterra nelle regioni a sud del Sahara e ritorno solo verso marzo.

Si nutre principalmente di rettili come serpenti e lucertole e perciò dipende anche dalla loro presenza. Gli uccelli circondano sbattendo le ali la loro vittima, così da non lasciare al serpente alcuna possibilità di mordere.

Costruisce il suo nido preferibilmente in alberi alti dislocati sui pendii. Depone le uova probabilmente solo all'età di tre o quattro anni e quindi poi solo un uovo per volta. Depone in Europa meridionale e in Marocco in aprile, in India al contrario già a gennaio/febbraio. La femmina cova a maggio e giugno per circa 35-40 giorni un uovo bianco lungo più di 7 cm. Il piccolo resta nel nido per 60-80 giorni.

Merops apiaster

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Img.9. Merops apiaster - Il gruccione (Linnaeus, 1758)

Questa specie, come gli altri gruccioni, è un uccello esile e variopinto. Può raggiungere una lunghezza di 25–29 cm incluse le due penne allungate della coda e la sua apertura alare può raggiungere i 40 cm. Pesa fra i 50 e 70 grammi. Il piumaggio variopinto, a grandi linee castano superiormente e azzurro inferiormente, è “dipinto” anche di giallo, verde, nero, e arancione. Il becco è nerastro, lungo e leggermente ricurvo verso il basso. Le zampe sono marrone-grigiastro. I sessi sono fra loro simili.

Il trillo è tipico: nasale, liquido, udibile a distanza: “criich-criich-criich” o “priich-priich“ o “criichuich“ o “prruich“ ripetuto continuamente. Il suono singolo indica normalmente la posizione e l'assenza di pericolo, il suono ripetuto viene usato come allarme.

Si nutre prevalentemente di insetti, soprattutto imenotteri (ma anche libellule, cicale e coleotteri) catturati in aria con sortite da un posatoio. Prima di mangiare il suo cibo un gruccione rimuove il pungiglione colpendo l'insetto ripetutamente su una superficie dura.

I gruccioni sono socievoli, fanno il nido in colonie in banchi di sabbia, preferibilmente lungo le rive dei fiumi, di solito all'inizio di maggio. Scavano un cunicolo lungo anche 3-5 metri in fondo al quale depongono 5-8 uova sferiche. Una sola covata all'anno all'inizio di giugno. Sia il maschio che la femmina si prendono cura delle uova che vengono covate per circa 20 giorni.

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In Italia le colonie di nidificazione sono numerose, concentrate quasi esclusivamente in pianura e collina. La specie è molto numerosa nella pianura Padana, lungo la costa adriatica, in Toscana, Umbria, Lazio e nelle isole. Arriva tra la fine di aprile e maggio per ripartire ad agosto inoltrato.

Ciconia ciconia

Img10.Ciconia ciconia o Cicogna bianca ( Linnaeus, 1758)

La cicogna bianca è inconfondibile: è un grande uccello bianco e nero, con zampe, collo e becco lunghi. Presenta un piumaggio prevalentemente bianco, con solo le remiganti (primarie, secondarie e terziarie) delle ali nere. Nell'adulto il becco e le zampe sono di colore rosso acceso, anche se queste ultime spesso sono sporche di escrementi e quindi biancastre. In base all'età il colore del becco cambia: nei primi mesi è grigio, ma con la crescita diventa rosso; i giovani (dalla fine della loro prima estate all'inizio della seconda) hanno solo l'estremità nera. La cicogna bianca è un uccello di grandi dimensioni (il terzo più grande nel genere Ciconia, dopo la cicogna bianca orientale e la cicogna maguari): dalla punta del becco alla punta della coda può essere lunga anche 110 cm, mentre l'apertura alare sfiora i 220 cm[3]. Quando è in piedi è alta fino a 125 cm. Il peso si aggira intorno ai 4 kg, con un massimo di 4,5 kg.[senza fonte] Mediamente i maschi sono leggermente più grandi delle femmine.

La cicogna bianca ha ali lunghe e larghe, adatte per planare. Quando è in volo si nota ancora meglio la distinzione tra le remiganti nere e il resto dell'ala bianco. Come tutte le altre cicogne in volo tiene il collo disteso e le zampe allungate. Plana molto spesso; quando è in volo battuto i battiti sono lenti e regolari.

La cicogna bianca nidificava in Italia ai tempi dei romani anche nella stessa Roma, costruendo i nidi sui cornicioni dei templi (come testimoniano Virgilio, Ovidio, Plinio il Vecchio e molti altri). Cantata da Dante e specie nidificante nel Belpaese fino al '500, scomparve a partire dal XVII secolo.[senza fonte] Il ritorno spontaneo della specie venne registrato in Piemonte verso la fine degli anni cinquanta del Novecento.[senza fonte] In Italia negli ultimi anni si assiste a un lento

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ma costante incremento della popolazione nidificante. Nella stagione riproduttiva 2005, la Cicogna bianca ha nidificato in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna.[senza fonte] Sempre al 2005 risultavano presenti nel Paese centosessanta coppie; particolarmente importante risulta la crescita costante della popolazione nidificante in Sicilia, che costituisce circa il 14% della popolazione italiana.[senza fonte]

La colonia spontanea di cicogne più grande d'Italia, infatti, si trova a Gela, in Sicilia. Nel 2011 la Lipu ha monitorato nella Piana di Gela 40 coppie, accertando la nascita di 70 nuovi esemplari[4].

La cicogna non ha particolari esigenze alimentari, poiché si adatta a qualunque cibo, anche variando a seconda del luogo ma, in prevalenza, si nutre di cavallette o lombrichi, nonché pesci, invertebrati palustri e rane, aggiungendo a volte semi, bacche, lucertole e persino roditori. Quando raggiunge l'Africa migrando, ha una più grande varietà di prede tra cui scegliere e, a seconda dei casi, predilige le piccole prede reperibili nelle zone umide (come anfibi o pesci), ovvero, nella savana, le numerosissime cavallette e altri insetti.

In marzo-aprile, i genitori preparano su un albero, su un tetto o su un altro manufatto (p.e. un sostegno della rete elettrica) un grosso nido largo più di 1 metro, in cui la femmina depone in media 3-4 uova, che vengono covate per 35 giorni da entrambi i genitori; dopo la schiusa, tanto il maschio quanto la femmina provvedono all'allevamento dei pulcini. I nidiacei imparano a volare all'età di 70 giorni.

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SITOGRAFIA

Ente di Gestione Aree Protette - Riserva Naturale Orientata delle Baragge

baraggebessabrich.it

Parco Baragge - Bessa - Brich Zumaglia - Mont Préve: L'Area Protetta

parks.it

Molinia caerulea (L.) Moench subsp. arundinacea (Schrank) K. Richt. - Forum Acta Plantarum

actaplantarum.org

Calluna (Calluna vulgaris) | Parole Verdi

paroleverdi.it

Felce aquilina, Pteridium aquilinum

treviambiente.it

Rhamnus frangula - Wikipedia

it.wikipedia.org

Circus cyaneus - Wikipedia

it.wikipedia.org

Circaetus gallicus - Wikipedia

it.wikipedia.org

Merops apiaster - Wikipedia

it.wikipedia.org

Ciconia ciconia - Wikipedia

it.wikipedia.org