Guida all'Itinerario Geoturistico in Salento (Puglia)

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Versione 1.1 Novembre 2014 1 / 37 Guida itinerario geoturistico “Turismo e Geologia nel Salento orientale” GUIDA DELL’ITINERARIO GEOTURISTICO “Turismo e Geologia nel Salento orientale” nell’ambito delle attività del Servizio di ricognizione e verifica del patrimonio geologico esistente, con individuazione dei geositi e delle emergenze geologiche della Regione Puglia (L.R. 33/2009 - azione 4.4.1 - linea 4.4 - asse IV - P.O. FESR 2007 2013)

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Questa guida illustra l'itinerario geoturistico nel basso Salento, Puglia, che tocca 13 geositi di grande valore geologico e paesaggistico.

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Guida itinerario geoturistico “Turismo e Geologia nel Salento orientale”

GUIDA

DELL’ITINERARIO GEOTURISTICO

“Turismo e Geologia nel Salento orientale”

nell’ambito delle attività

del

Servizio di ricognizione e verifica del patrimonio geologico esistente,

con individuazione dei geositi e delle emergenze geologiche della

Regione Puglia

(L.R. 33/2009 - azione 4.4.1 - linea 4.4 - asse IV - P.O. FESR 2007 – 2013)

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AUTORI

Il documento è stato redatto da:

Silvia Ciurlia

Flaviana Defilo

Antonello Fiore

Mario Parise

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Guida itinerario geoturistico “Turismo e Geologia nel Salento orientale”

INDICE

Autori 2

Indice 3

1. Premessa 4

2. Caratteri generali dell'itinerario in auto 4

3. I tratti pedonali 7

4. Descrizione dei geositi 7

4.1. Depositi a granchi ed ittiodontoliti di Porto Craulo 8

4.2. Successione Pliocenica del Porto di Otranto 10

4.3. Acquedotto Carlo Magno 11

4.4. Miniera bauxite Le Orte 13

4.5. Berma di tsunami, Torre Sant'Emiliano 15

4.6. Grotta dei Cervi 17

4.7. Le calcareniti oligoceniche a rodoliti di Porto Badisco 18

4.8. Le calcareniti a grandi Lepidocycline di Villaggio Paradiso 20

4.9. Calcari eocenici di Torre Specchialaguardia 22

4.10. Area termale di Santa Cesarea 24

4.11. Li tamantili 26

4.12. Masso della Vecchia 29

4.13. Laghi Alimini 31

5. Approfondimenti 34

5.1. Caratteri morfologici 34

5.2. Geologia e tettonica 34

6. Glossario 35

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1. PREMESSA

La presente guida illustra una proposta di itinerario geo-turistico (intitolata “Turismo e Geologia del Salento orientale”) che include anche temi di carattere più spiccatamente naturalistico e storico-culturale. Sfruttando la rete sentieristica già esistente, l’itinerario permette di far conoscere ad un pubblico eterogeneo luoghi del patrimonio geologico dell'area orientale del Salento che rappresentano importanti testimonianze della storia e dell’evoluzione geologica, geomorfologica, idrogeologica e pedologica del territorio.

Il lavoro si pone tra le attività di divulgazione previste del progetto interdisciplinare “Servizio di ricognizione e verifica del patrimonio geologico esistente, con individuazione dei geositi e delle emergenze geologiche della Regione Puglia”, che ha come obiettivo la realizzazione del Catasto Regionale dei Geositi, previsto dall’art. 3 della Legge Regionale della Puglia n.33/2009 “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico” (azione 4.4.1 - linea 4.4 - asse IV - P.O. FESR 2007 - 2013). Tale Catasto, realizzato a seguito di una attenta ricognizione e verifica del patrimonio geologico del territorio regionale, costituirà uno strumento utile sia per la conoscenza geologica del territorio che la base per poter promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio geologico.

Una delle attività primarie per garantire tale conservazione è appunto rappresentata dallo sviluppo di un geo-turismo attento e responsabile.

L'area in cui si inserisce la proposta di itinerario è già da qualche anno oggetto di fruizione turistica concentrata per lo più nei mesi estivi. Questo progetto si pone come obiettivo l'incentivazione del sempre più crescente interesse turistico per le emergenze naturali, che può portare anche ad una destagionalizzazione del turismo basata sul patrimonio geologico e non, di rilevante interesse scientifico ed economico.

L’itinerario si sviluppa attraverso i 13 geositi individuati nel corso delle fasi di censimento dei geositi (le relative schede sono consultabili al sito internet di riferimento del progetto). Lungo il percorso, o nei suoi immediati dintorni, sono anche presenti altre emergenze geologiche, non descritte nella presente guida, ma che potrebbero costituire una futura integrazione dell’itinerario.

Il presente itinerario è percorribile in macchina (vedi § 2), ma presenta una serie di tratti pedonali di avvicinamento ai geositi (vedi § 3). Gran parte del percorso si sviluppa lungo la fascia litoranea, consentendo anche di godere una vista panoramica del paesaggio salentino costiero; la porzione occidentale del percorso, che determina una sorta di anello che ne caratterizza la parte più a nord, consente altresì di muoversi all’interno del paesaggio più tipico della campagna salentina, tra un susseguirsi di uliveti e campi caratterizzati dalla tipica architettura rurale locale (muretti a secco, pagliare, masserie).

Per motivi logistici, nonché per la rilevanza del luogo e la sua notorietà turistica, il punto di partenza consigliato è dalla città di Otranto. L’itinerario può comunque essere seguito a partire da uno qualunque dei geositi, non avendo una sequenza specifica nella successione dei vari geositi.

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2. CARATTERI GENERALI DELL’ITINERARIO IN AUTO

Il percorso proposto, con i suoi 53 km circa, attraversa un'area del territorio orientale della Penisola Salentina blandamente ondulata, che si affaccia sul canale d'Otranto. Il paesaggio è caratterizzato da una serie di dorsali, ossia rilievi poco elevati detti localmente Serre (quota massima 126 m s.l.m.), allungate in direzione NW-SE e separate da aree pianeggianti più o meno estese, situate a quota inferiore.

Seguendo l’inizio dell’itinerario con avvio consigliato da Otranto (coordinate del punto di partenza/arrivo: WGS84UTM33N – X = 797026; Y = 4450031; WGS84 – Long: 18.48687913°; Lat: 40.14814059°), si giunge, attraversando il settore nord della città, all’estrema punta settentrionale della baia di Otranto, con il geosito "Depositi a granchi ed ittiodontoliti di porto Craulo" (§ 4.1), di rilevante importanza paleontologica, con abbondante fauna e molti organismi di mare basso, in posizione di crescita.

Dall’altro lato della baia, partendo dal porto di Otranto si raggiungere agevolmente a piedi il geosito “Successione pliocenica del Porto di Otranto” (§ 4.2), in corrispondenza della costa, che qui assume le caratteristiche di falesia: esso riveste un primario interesse scientifico nel campo della geologia stratigrafica oltre che paleontologico e sedimentologico, in quanto mostra chiaramente il contatto fra due formazioni geologiche di età diversa, formatesi in ambienti di sedimentazione differenti.

Immediatamente a ridosso della città di Otranto, lungo la Valle dell’Idro, si trova il geosito “Acquedotto di Carlo Magno” (§ 4.3), un rilevante intervento di ingegneria idraulica realizzato in sotterraneo, che costituì il primo esempio di acquedotto pubblico nella provincia di Lecce. La strutture ipogea non è visitabile turisticamente. A sud di Otranto, in località Le Orte, si raggiunge quello che è certamente tra i siti più suggestivi dell’intero percorso: il geosito “Miniera bauxite Le Orte” (§ 4.4), dove il contrasto di colori tra il lago ospitato al fondo della depressione che in passato era oggetto di estrazione e le rocce circostanti risulta di notevole impatto, in qualunque condizione di luce e illuminazione solare.

Uscendo da Otranto in direzione sud, percorrendo la Strada Provinciale 87 si giunge dopo pochi minuti in corrispondenza di Punta Palascìa, la punta più orientale d’Italia, e proseguendo ancora lungo la stessa strada poco più a sud si raggiunge il geosito “Berma di tsunami, Torre Sant’Emiliano” (§ 4.5), nei pressi dell’omonima torre costiera (una delle tanti torri di avvistamento, costruita con funzioni difensive per segnalare l’arrivo di attacchi via mare): qui l’interesse geologico deriva da accumuli di grossi blocchi di roccia strappati dalle onde di maremoto in prossimità della linea di riva, e che sono stati depositati fino ad oltre 80 m nell'entroterra. Un tratto in prevalente discesa, ancora lungo la SP 87, consente di raggiungere la baia di Porto Badisco, in sinistra idrografica della quale si trovano due altri luoghi di interesse: il geosito “Grotta dei Cervi” (§ 4.6) e il geosito “Calcareniti oligoceniche a rodoliti di Porto Badisco” (§ 4.7). Il primo è una grotta carsica, non visitabile turisticamente, di estrema importanza per l’eccezionalità delle pitture di età neolitica, realizzate in guano di pipistrello e ocra rossa, che raffigurano forme geometriche, umane e animali. Il sito, tutelato dalla Soprintendenza per i Beni Culturali, è protetto da una recinzione e pertanto ci si può solo avvicinare, dalla baia di Porto Badisco. Sul margine

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settentrionale di questa è invece visibile il geosito delle calcareniti a rodoliti (noduli di alghe), che testimoniano particolari condizioni di sedimentazione del periodo geologico in cui tale formazione si depositò.

Proseguendo a sud di Porto Badisco lungo la strada litoranea (che da qui in poi diviene la SP 358), in direzione di Santa Cesarea Terme, si percorre un tratto di vari chilometri caratterizzato da alte falesie in roccia. In questa zona, così come da più a nord, dall’altezza di Punta Palascìa, è possibile vedere nelle giornate di cielo terso le montagne dell’Albania. Nei pressi di Villaggio Paradiso si trova il geosito “Calcareniti a grandi Lepidocycline del Villaggio Paradiso” (§ 4.8), anch’esso di rilevanza paleontologica (per l’abbondanza e le dimensioni di questo tipo di fossili) e sedimentologica (in quanto testimonia un particolare ambiente di deposizione). Poco oltre, lungo la stessa SP 358, un taglio stradale consente di osservare uno dei rari affioramenti rocciosi dell’Eocene, in corrispondenza del geosito “Calcari eocenici di Torre Specchialaguardia” (§ 4.9).

Raggiunta Santa Cesarea Terme, ci si trova in corrispondenza del geosito “Area termale di Santa Cesarea” (§ 4.10), dove lo stabilimento termale di Santa Cesarea sfrutta le acque sulfuree che vengono a giorno in corrispondenza di alcune grotte costiere. In condizioni particolari di corrente e vento, è possibile vedere negli specchi d’acqua antistanti le grotte una colorazione biancastra, derivante appunto dalla notevole presenza di sulfuri. Nella parte meridionale di Santa Cesarea, si raggiunge invece il geosito “Li Tamantili” (§ 4.11), che prende nome dal locale dialetto, e che consiste nelle tracce di antiche cave per l’estrazione di materiale da costruzione, che arrivano sino al livello del mare. Per quanto osservabili anche dall’alto della falesia, la visione ideale per godersi il panorama dei due geositi di Santa Cesarea è quella che si ha dal mare; si consiglia quindi, se le condizioni del mare lo consentono, un giro in barca su questo suggestivo tratto di costa.

A questo punto dell’itinerario è necessario tornare indietro lungo la SP 358, da Santa Cesarea Terme a Porto Badisco, e da qui inoltrarsi all’interno, in direzione di Uggiano La Chiesa prima, e poi di Minervino di Lecce (lungo la SP 56); oltrepassato l’abitato di Minervino, si punta su Palmariggi, lungo la SP 59. Circa a metà strada tra i due paesi, una deviazione sulla sinistra porta al geosito “Masso della Vecchia” (§ 4.12), in un ampio uliveto caratterizzato dalla presenza di grossi blocchi di roccia che creano strutture monolitiche (prodotte da processi carsici e erosionali), che hanno alimentato tutta una serie di leggende popolari.

L’itinerario procede quindi in direzione nord, seguendo da Palmariggi alcune strade secondarie che consentono di apprezzare ulteriormente la campagna salentina, in un paesaggio caratterizzato da superfici leggermente ondulate e basse pianure, prima di ricongiungersi alla SP 48, e subito dopo alla SP 341, in direzione dell’ultimo geosito dell’itinerario: i “Laghi Alimini” (§ 4.13). Questi occupano due depressioni di origine tettonica, e sono alimentati direttamente dalla falda sotterranea attraverso una serie di sorgenti presenti sul lato occidentale e dall'acqua dolce che proviene da vari canali. Oltre ai laghi, nel tratto litorale nei pressi si può ammirare un tipo diverso di linea di costa, bassa in roccia tenera o sabbiosa, e con presenza di cordoni di dune.

Per descrizioni di maggiore dettaglio dei geositi, si rimanda alle pagine successive.

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3. I TRATTI PEDONALI

Alcuni tratti dell’itinerario sono pedonali, richiedendo avvicinamenti al geosito d’interesse su sentieri o paesaggi privi di rete stradale. SI tratta di brevi avvicinamenti, che consentiranno di apprezzare ulteriormente gli elementi geologici del paesaggio, abbinando a questi anche aspetti di carattere botanico, faunistico e naturalistico. Date le caratteristiche del territorio in esame, prevalentemente pianeggiante, o tuttalpiù con blande pendenze, i tratti pedonali sono essenzialmente in orizzontale e non richiedono particolare impegno da parte degli escursionisti. In totale, i tratti pedonali assommano a poco più di 3 km.

I primi tratti di avvicinamento riguardano il centro abitato di Otranto, per raggiungere le zone, rispettivamente, dei geositi "Depositi a granchi ed ittiodontoliti di porto Craulo" (§ 4.1), e “Successione pliocenica del Porto di Otranto” (§ 4.2). Per arrivare al geosito “Acquedotto Carlo Magno” (§ 4.3) è necessario un breve percorso a piedi lungo la Valle dell’Idro, senza alcuna difficoltà particolare. Per godere appieno la bellezza e la suggestione del geosito “Miniera bauxite Le Orte” (§ 4.4), si consiglia, una volta lasciata l’auto nei pressi del sito, di avvicinarsi allo stesso e seguirne il perimetro circostante (mantenendosi a distanza di sicurezza dalle ripide pareti della depressione), su un terreno di terra rossa con abbondantissimi noduli bauxitici. Soprattutto sul lato ovest, bisogna fare attenzione ai profondi solchi di incisione nella terra rossa, nonché al terreno sdrucciolevole, specie a seguito di pioggia.

Un tratto pedonale di avvicinamento è richiesto per avvicinarsi al geosito “Berma di tsunami, Torre Sant’Emiliano” (§ 4.5): lasciata la auto ai margini della SP 87, una passeggiata di poco più di un quarto d’ora consente di raggiungere la costa, lungo un terreno roccioso a pendenza medio-bassa.

Infine, il geosito “Masso della Vecchia” (§ 4.12) è l’ultimo per il quale è previsto un tratto pedonale che, partendo dalla SP 59, segue un tratturo asfaltato e quindi devia verso NW per entrare nell’uliveto che ospita i blocchi rocciosi di interesse. La passeggiata è interamente su terreno orizzontale, senza alcuna difficoltà.

Per descrizioni di maggiore dettaglio dei geositi, si rimanda alle pagine successive.

4. DESCRIZIONE DEI GEOSITI

L’itinerario escursionistico proposto consente di apprezzare le caratteristiche geomorfologiche, il pregio paesaggistico dell’ambiente ed il legame tra architettura degli insediamenti rurali, storia, sviluppo sociale e georisorse.

Il percorso si svolge in parte all'interno del Parco Naturale Regionale "Costa Otranto - Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase", istituito con L.R. n. 30/2006 per tutelare il patrimonio naturalistico dell'area, di altissimo valore scientifico-culturale

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(www.parcootrantoleuca.it/). Articolato in n. 13 punti di osservazione con pannelli illustrativi, è costituito da un tratto percorribile in auto e da alcuni tratti pedonali attraverso i quali è possibile osservare le principali unità geologiche e i loro rapporti reciproci.

Nel seguito, ciascun geosito del percorso viene descritto nel dettaglio, seguendo l’itinerario consigliato che parte da Otranto e si sviluppa in direzione sud lungo la litoranea, e poi si addentra verso l’interno prima di tornare all’estremo nord in corrispondenza della fascia costiera, presso i Laghi Alimini.

Nella descrizione dei singoli geositi, si è utilizzato un linguaggio per quanto possibile semplice, limitando i termini tecnici, e riportando comunque nel Glossario (§ 6) delle sintetiche spiegazioni per i termini che compaiono in grassetto nel testo.

4.1. DEPOSITI A GRANCHI ED ITTIODONTOLITI DI PORTO CRAULO

Il geosito di Porto Craulo, in località Frascio, oltre ad avere un alto valore paesaggistico e ad offrire spunti per un turismo escursionistico, rappresenta un geosito di riferimento per gli aspetti paleontologici per i depositi simili e coevi di Roca Li Posti e San Andrea. Oggetto di dettagliati studi paleontologici verso la metà degli anni 60 e nei primi anni 80 del secolo scorso, è costituito da una calcarenite organogena debolmente cementata di colore giallastro, analoga per litologia e contenuto microfaunistico alle sabbie calcareo-organogene della zona di Capo d’Otranto.

Figura 1 – Panoramica del sito (foto: S. Margiotta).

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L'abbondante macrofauna è rappresentata da resti di Coralli isolati, Brachiopodi, Cirripedi, Echinidi, Lamellibranchi, Gasteropodi e Cheloni. Rilevante è la presenza di Crostacei Decapodi brachiuri, tra cui spiccano per frequenza esemplari di Cancer sismondai Meyer; Varola, 1965, tutti in posizione di crescita: questi taxa di Porto Craulo sono indicatori di mare relativamente basso con acque calme di ambiente neritico (o sublitorale), caratterizzato da sedimentazione lenta. Il confronto con le specie attuali di Cancer evidenzia che il genere si è adattato ad ambienti marini attuali decisamente più profondi.

Altri ritrovamenti importanti riguardano gli ittiodontoliti, dei quali sono state riconosciute le specie Notidamus griseus, Sparus cinctus e Pagrus Mauritanicus.

Figura 2 – Dettaglio della successione (foto: S. Margiotta).

Figura 3 – Crostaceo proveniente da Porto Craulo (foto: A. Varola).

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4.2. SUCCESSIONE PLIOCENICA DEL PORTO DI OTRANTO

Il geosito, raggiungibile a piedi dal porto di Otranto, riveste un interesse scientifico nel campo della geologia stratigrafica, oltre che della palentologia e sedimentologia, in quanto mostra chiaramente il contatto tra due formazioni geologiche di età diversa, formatesi in ambienti di sedimentazione differenti. L'unità inferiore, che possiede caratteri simili ai Trubi (formazione geologica definita in Sicilia), è la Formazione di Leuca, del Pliocene inferiore: indicativa di ambienti di mare aperto (piattaforma esterna) a basso tasso di sedimentazione, essa è costituita da marne di colore bianco-sporco con intercalazioni di livelli sabbiosi di colore giallo chiaro. Generalmente dall'aspetto massivo, a luoghi risulta parzialmente stratificata per la presenza di alcuni livelli sottili più cementati e spesso ossidati. Una crosta fosfatica nella parte alta dell’unità, di spessore fino a 20 cm, mostra bioerosione da parte di organismi litofagi. Localmente si rinvengono fossili sparsi (Amusium, Chlamys, Neopycnodonte).

Figura 4 – La successione pliocenica del Porto di Otranto (a sin), con particolare (a dx) del

passaggio fra i depositi della Formazione di Leuca (Trubi) e quelli della Formazione di Uggiano la

Chiesa (foto: S. Margiotta).

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Superiormente si passa alla Formazione di Uggiano la Chiesa, del Pliocene medio-superiore, che dalla microfauna bentonica viene associata ad ambienti marini di bassa profondità: alla base, vi è un conglomerato formato da clasti di varia composizione litologica, con diametro che raggiunge eccezionalmente i 50-80 cm, di colore bruno scuro con tonalità verdastra, immersi in una matrice giallastra di fango calcareo con resti di fossili. La colorazione dei clasti è da mettere in relazione a processi di fosfatizzazione che ha portato anche alla formazione di piccoli noduli sparsi nel sedimento. Fra i clasti, spesso bioerosi da organismi litodomi, si segnala la presenza di noduli bauxitici (pisoliti) e di granuli glauconitici. Nella matrice sono ricorrenti i fossili con prevalenza di Ostrea (anche di grosse dimensioni) e Chlamys; si osservano anche Flabellipecten, Spondylus, Amusium, Conus, echinidi, balanidi, coralli, denti di pesci. Gradualmente, ma rapidamente, i clasti diminuiscono verso l’alto, fino a lasciare posto all’espressione più tipica della formazione geologica, rappresentata da calcari detritico-organogeni, talvolta marnosi, a grana medio-fine e di colore giallastro.

Figura 5 – Dettaglio della breccia fosfatica (foto: S. Margiotta).

4.3. ACQUEDOTTO CARLO MAGNO

L’acquedotto Carlo Magno e le opere idrauliche ad esso connesse costituiscono uno dei primi esempi di acquedotto pubblico realizzato in epoca moderna in provincia di Lecce. Si tratta di un intervento di ingegneria idraulica rilevante sotto il profilo storico, in un luogo significativo per la comprensione dei rapporti esistenti tra assetto geomorfologico ed idrogeologico del territorio, frequentazione umana ed uso del suolo.

La Valle dell’Idro è una piccola incisione fluviale che corre a ridosso della città di Otranto, composta da due rami principali, i canali di Carlo Magno e di San Giuseppe.

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Il contesto geologico dell'acquedotto è caratterizzato da due distinte unità litostratigrafiche, rispettivamente del Pliocene inferiore e del Pliocene medio-superiore. Si tratta di biomicriti marnose che ospitano falde idriche note e sfruttate sin dall'antichità per via di due sorgenti (dette “di Carlo Magno”).

Il complesso di opere idrauliche si sviluppa intorno alla galleria drenante che ha intercettato le due sorgenti: questa si inoltra nel fianco della valle per circa 70 metri, con altezza media di circa due metri. Alla base della galleria scorre l’acqua delle sorgenti in una canaletta larga 40-50 centimetri e profonda altrettanto; essa è rivestita in calcestruzzo e in origine era coperta da lastre di Pietra leccese. Le due sorgenti si trovano al termine della galleria: la prima scaturisce da una piccola diramazione laterale lunga circa 5 metri, la seconda circa dal termine della galleria principale.

A circa 25 metri dall’ingresso, un pozzo verticale risale fino al piano campagna. In più punti si osservano poi tracce degli utensili utilizzati per lo scavo. Numerosi piccoli incavi artificiali posti sui lati delle gallerie hanno funzione di poggia-lucerne.

Nell’area antistante, un altro cunicolo ipogeo, semi-allagato, fungeva da canale di scarico del “troppo pieno”; esso è collegato alla superficie attraverso pozzi luce verticali.

Figura 6 – Acquedotto Carlo Magno: vista dell’ingresso della galleria drenante (foto: G. Selleri).

Si tratta di un’opera precedente la realizzazione dell’Acquedotto Pugliese, dismessa con l’entrata in funzione di quest’ultimo, dove sono ancora presenti le tracce di un intervento idraulico più antico. Questo sito rappresenta, quindi, un luogo dove è possibile osservare

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la stratificazione nel tempo, prodotta dal progresso tecnologico, delle modalità attraverso le quali l’uomo ha cercato di sfruttare a proprio vantaggio le opportunità offerte dalle peculiarità geologiche del territorio.

L’acquedotto Carlo Magno è stato realizzato nella sua conformazione attuale nel 1917 dal Genio Militare per la Regia Marina, che ne sostenne l’esercizio a sue spese fino al 1925, al pari di altri acquedotti simili realizzati per esigenze belliche della Grande Guerra a Gallipoli e Leuca, e lo cedette prima in esercizio provvisorio e poi in via definitiva nel 1929 al Comune di Otranto.

L’acquedotto Carlo Magno è rimasto in funzione fino al 1940, anno dal quale è in stato di

completo abbandono. La struttura non è visitabile turisticamente.

4.4. MINIERA BAUXITE LE ORTE

In località Le Orte, poco a sud di Otranto, è possibile visitare un sito estrattivo abbandonato nel quale, fino alla metà degli anni '70 del secolo scorso, era in funzione una miniera a cielo aperto da cui veniva estratta la bauxite. Le attività minerarie interessarono una porzione del substrato carbonatico caratterizzata da una successione di strati dell’Oligocene superiore; qui si era concentrato un potente deposito di materiali residuali del processo carsico, con abbondanza, appunto, di pisoliti di bauxite, molto abbondanti sul terreno nei pressi dell’antica zona di estrazione.

Non si tratta degli unici depositi di bauxite del Salento; i più consistenti furono scoperti, oltre che a Otranto, nell'area di Palmariggi e di Poggiardo. I giacimenti erano costituiti da riempimenti non stratificati in tasche e fratture del substrato roccioso. I potenziali giacimenti bauxitici salentini destarono interesse da parte delle compagnie minerarie; per un certo periodo, l'insieme di tali siti risultava tra i primi quattro per produzione a livello nazionale. Nel tempo la presenza di bauxite in Salento si rivelò di importanza minore rispetto a quanto sperato. La miniera de Le Orte fu abbandonata nella seconda metà degli anni '70, senza che fossero intraprese azioni finalizzate ad una qualche forma di recupero ambientale. Con il passare del tempo sul fondo della depressione creata con gli scavi si è formato un piccolo ecosistema lacustre. Il colore delle rocce affioranti, in contrasto con l’azzurro degli specchi d’acqua e del cielo, rende il sito particolarmente suggestivo, conferendo tonalità particolari all’ambiente naturale nelle diverse ore del giorno. Tra queste, domina il tono rosso-brunastro del terreno, sul quale si riconoscono numerosissimi noduli e pisoliti di bauxite.

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Figura 7 – Vista panoramica della miniera di bauxite nei pressi di Otranto (foto: Gruppo di Lavoro

Geositi).

Figura 8 – Lungo i fronti di scavo affiora una successione cenozoica accumulatasi in ambienti

variabili tra il continentale ed il marino poco profondo (foto: Gruppo di Lavoro Geositi).

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La sequenza affiorante lungo le pareti della depressione è composta da una successione di strati formatasi in un regime climatico di tipo tropicale durante l'Oligocene superiore. Nel dettaglio, si riconosce un’alternanza di depositi di ambienti continentali (sia di acqua dolce che subaereo), salmastri di transizione (laguna e/o bacino costiero) e marini.

Nella successione oligocenica sono state individuate quattro nuove specie (ì-iv) ed una sottospecie (v) di fossili di molluschi, per ora ritrovate solo in Salento: (i) Tectarius (Echininus) japigiae; (ii) Pseudamnicola messapica; (iii) Pseudamnicola palmariggii; (iv) Stenothyrella salentina, (v) Hydrobia dubuissoni hydruntina.

Figura 9 – Gli accumuli di terra rossa, erosi dalle acque di ruscellamento, contribuiscono a rendere

particolarmente suggestivo il paesaggio (foto: Gruppo di Lavoro Geositi).

4.5. BERMA DI TSUNAMI, TORRE SANT'EMILIANO

Evidenze di uno tsunami che ha colpito le coste salentine sono ben documentate lungo un ampio tratto di costa esteso da Otranto a Capo Santa Maria di Leuca. In particolare, presso Torre Sant'Emiliano, pochi chilometri a sud di Otranto, è possibile osservare un accumulo di grossi blocchi di roccia che, strappati dalle onde di maremoto in prossimità della linea di riva, sono stati depositati fino ad oltre 80 m nell'entroterra. I blocchi maggiori hanno peso di circa 70 tonnellate, e sono disposti secondo due cordoni che formano una fascia larga circa 30 m per una lunghezza di circa 2,5 km. La quota massima del deposito è di circa 11 m. Gruppi di blocchi sovrapposti indicano che l'onda proveniva da SE-SSE.

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La datazione al radiocarbonio di conchiglie marine ritrovate nel detrito, e di frammenti di ceramica rinvenuti nel deposito sottostante i blocchi, suggeriscono che l'accumulo sia avvenuto circa tre secoli fa.

Tra i numerosi terremoti che hanno colpito in Salento in epoca storica, vi è quello avvenuto nella notte del 20 febbraio 1743: il sisma fu avvertito in un'area molto vasta, al di là del mare Adriatico e in tutto il sud Italia. Secondo le fonti, in Puglia i morti furono circa 180. Le località salentine che subirono gli effetti distruttivi più gravi furono Francavilla Fontana e Nardò (che, da sola, contò circa 150 vittime). Danni di una certa entità si registrarono in numerose altre località fra Brindisi e Taranto. Il sisma generò anche uno tsunami di cui le fonti storiche ci descrivono solo alcuni effetti osservati nel porto di Brindisi. Infatti, ad esclusione della cittadina di Otranto, il litorale tra Brindisi e Santa Maria di Leuca era all’epoca pressoché disabitato per via della malaria che infestava le ampie zone umide costiere.

Generalmente la Puglia meridionale non viene considerata tra le zone più sismiche d’Italia. Tuttavia, evidenze di tipo storico e geologico indicano che, in un recente passato storico, il Salento è stato colpito da terremoti e, lungo le fasce costiere, anche da intensi tsunami. Il Salento, in particolare, subisce in maniera sensibile gli effetti di scosse sismiche con epicentro lungo la costa albanese e in prossimità delle isole Ionie; meno avvertiti sono i terremoti con epicentro in Appennino meridionale, nel Tavoliere e nel Gargano.

Figura 10 – Vista panoramica di parte dell'area colpita dallo tsunami, il cordone di blocchi è

evidenziato dalla linea rossa (foto: Gruppo di Lavoro Geositi).

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4.6. GROTTA DEI CERVI

La Grotta dei Cervi (anche nota come “Grotta di Enea”), è una cavità carsica riconosciuta come il sito che racchiude il complesso pittorico di età Neolitica più importante d’Europa. Si trova nei pressi dell'insenatura di Porto Badisco, a 4 km da Uggiano la Chiesa. L'ingresso principale si apre a 200 metri dalla linea di riva, a quota di circa 30 metri s.l.m.

Geologicamente il sistema carsico si sviluppa nella formazione oligocenica delle Calcareniti di Porto Badisco. Il suo andamento è sub-orizzontale, con lunghezza totale di 1500 metri, che lo rende uno dei sistemi più estesi in Puglia, e il più esteso del Salento.

La grotta si compone di tre corridoi all’incirca paralleli ad andamento sub-orizzontale, orientati NNO-SSE e collegati tra loro da rami secondari. Alcune porzioni del sistema carsico sono interessate da presenza di acqua di falda.

La Grotta dei Cervi è stata scoperta nel 1970, ed è registrata al Catasto delle Grotte Naturali della Regione Puglia come PU 902. La peculiarità del sito è rappresentata dalla presenza di numerosi pittogrammi di età neolitica, realizzati in guano di pipistrello e ocra rossa, che raffigurano forme geometriche, umane e animali.

La genesi della cavità è legata al processo carsico in area costiera: sono molto evidenti, in particolare, le forme ipogee connesse a condizioni ambientali di tipo freatico o connesse all’azione di condensazione d’aria. Le formazioni calcitiche secondarie sono diffuse in numerosi settori della grotta.

Figura 11 – Vista di uno degli ingressi di Grotta dei Cervi (foto: G. Selleri).

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La grande estensione del sistema carsico, insieme alle tracce della sua frequentazione neolitica, ne fa un geosito ipogeo unico nel panorama speleologico pugliese, e di grande interesse in diversi campi della ricerca scientifica (archeologia, paleontologia, geologia, paletnologia, ecc.).

Gli scavi archeologici hanno messo in evidenza che il deposito di riempimento della grotta, al di sotto dei livelli antropici, è costituito da sabbie siltose contenenti fauna pleistocenica (Equus Hydruntinus e Bos Primigenius).

La Grotta dei Cervi non è aperta al pubblico, e i suoi accessi risultano chiusi da strutture in muratura e cancelli, realizzati a protezione del sito da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia.

4.7. LE CALCARENITI OLIGOCENICHE A RODOLITI DI PORTO BADISCO

L’insenatura di Porto Badisco rappresenta una meta turistica di notevole interesse storico-paesaggistico, oltre che geologico. L'area, secondo quanto descritto nell’Eneide di Virgilio, corrisponderebbe al primo approdo di Enea, nel suo viaggio in Italia dopo la fuga da Troia. Tale insenatura, la cui genesi è connessa alla parziale sommersione di una valle fluviale, si apre sulla costa tra Santa Cesarea Terme e Capo d’Otranto. Porto Badisco rappresenta la località tipo della Formazione delle Calcareniti di Porto Badisco. In corrispondenza del fianco settentrionale dell’insenatura è osservabile il contatto tra queste e la sottostante Formazione dei Calcari di Castro, a sua volta in appoggio sui Calcari di Santa Cesarea. Le Calcareniti di Porto Badisco sono caratterizzate alla base dalla presenza di magnifici esempi di rodoliti (noduli algali di Corallinaceae) che costituiscono un corpo lentiforme, spesso fino a 1,5 m. Tali rodoliti hanno forma da sferoidale ad ellissoidale con morfologia di crescita prevalentemente colonnare e più raramente concentrica; hanno diametro variabile tra 5 e 10 cm, il nucleo è generalmente costituito da un litoclasto calcarenitico, e sono immerse in una matrice bioclastica a macroforaminiferi. Su questo intervallo basale poggiano calcareniti massive e poco cementate, intercalate a livelli più marnosi.

Le Calcareniti di Porto Badisco sono depositi relativi ad ambienti marini di bassa profondità. La composizione tassonomica dell’associazione algale e dei macroforaminiferi indica un ambiente di sedimentazione situato nella zona oligofotica. La deposizione di tali sedimenti avveniva in acque da subtropicali a tropicali. La litofacies a rodoliti rappresenta il riempimento di una depressione, assimilabile ad un canale, controllata dalla topografia ereditata dal substrato.

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Figura 12 – Panoramica del lato settentrionale dell’insenatura di Porto Badisco (foto: S. Margiotta).

Figura 13 – Panoramica dell’affioramento a rodoliti (foto: S. Margiotta).

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Figura 14 – Dettaglio delle rodoliti alla base dell’unità (foto: S. Margiotta).

4.8. LE CALCARENITI A GRANDI LEPIDOCYCLINE DI VILLAGGIO PARADISO

A sud di Porto Badisco (Otranto), immediatamente ad ovest della strada che collega la medesima località a Santa Cesarea, si trova la località di Villaggio Paradiso. La strada che collega la località alla litoranea è in gran parte in trincea e permette di osservare una esposizione prevalentemente sabbiosa e calcarenitica attribuibile all’unità delle Calcareniti di Porto Badisco.

Il carattere particolare dell’esposizione, che ne fa assumere il carattere di geosito, è la presenza, in esemplari dispersi nel sedimento, di grandi Lepidocycline ben conservate. Queste, appartenenti alla sottofamiglia di Foraminiferi, vissuti dall'Eocene al Miocene nell'area europea e indo-pacifica, hanno diametro sino a 7-8 cm, guscio piatto, con rigonfiamento centrale appena accennato. Oltre alle Lepidocycline sono molto abbondanti le nummuliti rimaneggiate, esemplari ben conservati di Amphistegina, Neorotalia e Nephrolepidina.

La presenza delle grandi Lepidocycline indica un ambiente di sedimentazione situato nella parte più profonda della zona oligofotica. Inoltre, la presenza di nummuliti rimaneggiate e la diminuzione della frazione fine nella matrice, sono indicativi di un certo idrodinamismo che doveva interessare i fondali.

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Figura 15 – Panoramica dell’affioramento (foto: S. Margiotta).

Figura 16 – Dettaglio di un intervallo particolarmente ricco in Scutelle (foto: S. Margiotta).

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Figura 17 – Dettaglio di un intervallo a piccole Lepidocycline (foto: S. Margiotta).

4.9. CALCARI EOCENICI DI TORRE SPECCHIALAGUARDIA

L’affioramento che mostra, nel territorio salentino, la migliore esposizione della successione eocenica del Calcare di Torre Specchialaguardia è ubicato lungo la strada litoranea che congiunge Porto Badisco a Santa Cesarea, circa intorno al km 12. Per la rarità di affioramenti eocenici nel Salento la sezione stradale in oggetto è individuata come geosito. La sua importanza risiede nel fatto che nessuna sezione rappresentativa di tutte le unità dal Cretaceo sino all’Oligocene è riconosciuta in campo proprio per la rarità dei sedimenti eocenici, i quali in più areali hanno spessori esigui o sono totalmente assenti.

Presso Torre Specchialaguardia, la successione è esposta per circa 80 metri e poggia con contatto discordante sui calcari cretacici. Sono individuabili 4 litologie principali, a partire dal basso stratigrafico, differenziate in base alle caratteristiche sedimentologiche e ai fossili presenti. Tra questi ultimi, predominano i foraminiferi (che hanno consentito la precisa attribuzione bio-cronostratigrafica), ma sono presenti anche alghe rosse e coralli. In uno degli intervalli sono stati notati riempimenti di glauconite nei vuoti presenti nel calcare eocenico.

La successione si presenta clinostratificata e rappresentata esclusivamente da facies di pendio di avanscogliera, che presumibilmente interessava tratti limitati della costa orientale salentina nel corso dell’Eocene.

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Figura 18 – Panoramica di un tratto della successione (foto: S. Margiotta).

Figura 19 – Dettaglio dei calcari bianchi con cavità riempita da glauconite (foto: S. Margiotta).

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Figura 20 – Particolare della successione con calcari bianchi a coralli ed alghe (foto: S. Margiotta).

4.10. AREA TERMALE DI SANTA CESAREA

In un'area che si estende dalla costa fino a località Cupa nell'interno, in un tratto di costa caratterizzata da gradini morfologici e terrazzi di abrasione marina, si sviluppa l’area termale di Santa Cesarea, grazie alla presenza di acque sotterranee ipotermali sulfuree che vengono a giorno in corrispondenza di quattro principali grotte costiere: Gattulla, Sulfurea, Fetida, e Solfatara (o Sulfurara). Le prime tre sono ubicate all’interno o negli immediati pressi della zona degli stabilimenti termali, mentre la grotta Solfatara è posizionata poco più a sud, lungo la costa. Tutte le grotte rientrano nel Catasto delle Grotte Naturali della Regione Puglia, gestito dalla Federazione Speleologica Pugliese (l’associazione che riunisce i gruppi speleologici pugliesi).

Le acque sulfuree dell’area termale di Santa Cesarea sono estratte per mezzo di pozzi, in località Cupa e Albergo Palazzo (quest'ultima è ubicata sulla costa), a temperature comprese tra i 28 e i 30 °C, e vengono utilizzate negli stabilimenti termali locali per varie applicazioni terapeutiche e trattamenti estetici.

L’origine delle acque sulfuree sembra connessa ad acque connate rimaste confinate al di sotto del Mare Adriatico ad opera di spesse coperture sedimentarie non permeabili.

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Figura 21 – Panoramica dell’area termale, vista da nord (foto: G. De Giorgio).

Figura 22 – Panoramica dell’area termale, vista da sud (foto: G. De Giorgio).

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4.11. LI TAMANTILI

L’area estrattiva di Santa Cesarea si colloca lungo uno dei più bei tratti costieri della penisola salentina, dove si alternano tratti in falesia ed insenature di forma e dimensione varia, risultato delle attività antropiche che si sono susseguite nel tempo. In quest’area il prelievo del materiale ha attraversato varie fasi produttive, caratterizzate dapprima da prelievi con tecniche manuali, fino a cicli produttivi di tipo quasi industriale. Contestualmente, anche i fronti di scavo, ricavati in rocce calcaree, mostrano tipologie differenti. Nei settori di attività più antichi si osserva la configurazione a gradini, una tecnica che prevede l’estrazione dei blocchi a partire dalla porzione rocciosa più elevata fino a raggiungere la zona prossima al livello del mare, approfondendosi gradualmente lungo il versante. Successivamente la tecnica di estrazione è divenuta più efficace, sviluppando pareti verticali e creando spettacolari falesie a picco sul mare, andando spesso a obliterare le testimonianze di coltivazione più antiche. L’attività estrattiva costiera di Santa Cesarea rappresenta un interessante esempio di come l'attività antropica abbia modificato l’originale, a tratti spettacolare, ambiente costiero, rendendolo nel tempo un’ambita meta di turismo balneare.

Figura 23 – Panoramica delle pareti di cava ricavate nelle calcareniti, in località gli Archi (foto: S. Margiotta).

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Inoltre, le pareti di cava consentono di osservare caratteri di facies delle rocce altrimenti non visibili a causa dell'alterazione. Un classico esempio è fornito dalla successione sedimentaria affiorante a Porto Miggiano, nei pressi delle località gli Archi e Fontanelle dove, grazie ad una scalinata, i caratteri sono facilmente osservabili da vicino nonostante la verticalità delle pareti. La successione esposta appartiene all’unità pleistocenica della Calcarenite di Gravina, in appoggio discordante su unità più antiche (Cretaceo e Eocene-Miocene), con spessore variabile fino ad un massimo di circa 40-50 m. La peculiarità di tali depositi consiste nella presenza di spettacolari strati inclinati fino a circa 30°, immergenti verso Sud, di spessore variabile da pochi centimetri a poco oltre il metro: si tratta di depositi carbonatici (calciruditi, calcareniti e calcisiltiti bioclastiche) con rare intercalazioni argillose, ricchi di resti fossili (alghe rosse, briozoi, echinidi, brachiopodi, rari coralli solitari e bivalvi, oltre che foraminiferi bentonici e planctonici). I sedimenti si presentano generalmente bioturbati, e solo raramente mostrano laminazioni piano-parallele. Tra le altre tipiche strutture sedimentarie (cioè formatesi all’epoca della deposizione degli strati geologici) si notano strati inclinati verso monte, oltre che orizzonti deformati per frane sottomarine. L'insieme dei caratteri di facies consente di interpretare tali rocce come depositi di scarpata e di base di scarpata sottomarina. Essi, che si rinvengono anche in altre insenature lungo la costa fra Otranto e S. Maria di Leuca, sviluppano corpi la cui forma ricorda quella dei grembiuli indossati dalle casalinghe (tamantili in dialetto salentino).

Figura 24 – Particolare delle strutture sedimentarie lungo una parete intagliata nelle calcareniti in località gli Archi (foto: S. Margiotta).

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Figura 25 – Livello di calcareniti intensamente bioturbato (foto: S. Margiotta).

Figura 26 – Successione calcarenitica affiorante in località Fontanelle (foto: S. Margiotta).

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4.12. MASSO DELLA VECCHIA

Il Masso della Vecchia è un blocco di Pietra leccese (calcareniti fini sottilmente stratificate a basso grado di cementazione, seguite verso l'alto da un banco roccioso omogeneo e più cementato, spesso circa 1 metro) quasi del tutto isolato dal substrato, posto ai bordi di un esteso uliveto secolare sulla superficie sommitale della Serra di Poggiardo. Per la sua singolare forma, simile a grandi strutture monolitiche, in passato sono state elaborate sulla sua origine una serie di leggende popolari; in realtà, esso rappresenta una rarità nel campo geomorfologico e riveste un primario interesse scientifico.

La sua origine è da attribuire ai processi di disgregazione chimica e meccanica (denudazione) operata dalle acque meteoriche sui terreni calcarenitici a seguito della emersione definitiva dell'area durante il Pliocene; il successivo allontanamento del materiale degradato e del suolo di copertura negli inghiottitoi carsici presenti nei calcari mesozoici sottostanti, ha portato ad un progressivo abbassamento della superficie topografica e l’affioramento delle parti più elevate della superficie calcarenitica, mentre negli avvallamenti persisteva una coltre di copertura della roccia, formata dai depositi residuali. Proprio uno di questi inghiottitoi si apre sul fondo di una profonda dolina, alcune decine di metri a nord del sito.

Figura 27 – Una profonda dolina, parzialmente colmata dall'uomo, è presente nei pressi del Masso

della Vecchia (foto: P. Sansò).

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In questo contesto morfologico, le acque meteoriche che dalle parti più elevate scendevano lungo i loro fianchi debolmente inclinati, si infiltravano nella coltre di copertura e vi si accumulavano, provocando l'incisione di solchi che si approfondivano sempre più (fenomeno detto appunto corrosione marginale), mettendo in evidenza i livelli sottilmente stratificati della locale successione stratigrafica .

Il protrarsi del fenomeno ha portato all'asportazione del terreno circostante, lasciando come relitto questa macroforma carsica residuale, indicata come Masso della Vecchia.

Figura 28 – Sui blocchi strappati dai trattori sono ben visibili microforme carsiche sviluppatesi sotto

una copertura di suolo (foto: P. Sansò).

Figura 29 – Una delle bizzarre forme carsiche residuali (foto: P. Sansò).

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Figura 30 – Il Masso della Vecchia (foto: P. Sansò).

4.13. LAGHI ALIMINI

Il territorio dei Laghi Alimini, con le sue basse pianure e le superfici leggermente ondulate rappresenta sotto l'aspetto paesaggistico un sito ideale per l'attività escursionistica, oltre a rivestire un interesse scientifico primariamente nel campo della geomorfologia, e quindi nell'ambito della idrogeologia e della geologia strutturale. Nati dall'evoluzione di un ambiente palustre che occupava il territorio più di 5000 anni fa, i laghi oggi occupano due depressioni di origine tettonica orientate all'incirca parallelamente alla linea di costa per una estensione di 7 km, e poggiano su un basamento di età Pliocenica, costituito da calcareniti alternate a sabbie e argille sabbiose. Separati da un promontorio roccioso inciso dal canale denominato Lu Strittu, i laghi sono alimentati direttamente dalla falda sotterranea attraverso una serie di sorgenti presenti sul lato occidentale e dall'acqua dolce che proviene da vari canali.

Il canale Zuddeo, la palude Traugnano e altri canali di drenaggio alimentano il bacino più ampio, Alimini Grande, che, per effetto dell'ingressione marina attraverso il canale Bocca degli Alimini è caratterizzato da acqua salmastra: in particolare, la salinità diminuisce in tutto il bacino dal mare verso l’interno da valori del 34,8 ‰ a valori del 2,2 ‰.

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Il canale di Rio Grande alimenta il lago più piccolo, denominato Alimini Piccolo o Fontanelle: con una profondità media di 0,70 m, questo ha un’estensione di solo 0,5 km2; nel secolo scorso è stato realizzato uno sbarramento per inibire l'afflusso di acqua salmastra dall’Alimini Grande, rendendo l’Alimini Piccolo un bacino di acqua dolce.

Figura 31 – Panoramica del lago Alimini Grande (foto: S. Margiotta).

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Figura 32 – Dettaglio del collegamento del tratto sfociante nel canale Bocca degli Alimini (foto: S.

Margiotta).

Figura 33 – Panoramica del lago Alimini Piccolo (foto: S. Margiotta).

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5. APPROFONDIMENTI

5.1. CARATTERI MORFOLOGICI

L’itinerario geo-turistico attraversa i tratti morfologici tipici della Penisola Salentina, ossia una serie di ampie superfici, quasi tutte di età Quaternaria, disposte a varie altezze (da un massimo di poco più di 120 m fino a pochi metri s.l.m.) raccordate da scarpate con blande inclinazioni (10-20°) orientate prevalentemente NW-SE e NNW-SSE.

Le caratteristiche fisiografiche della costa sono differenti procedendo nelle direzioni opposte a partire dalla città di Otranto: in corrispondenza del suo centro abitato essa assume le caratteristiche di costa rocciosa con tratti di falesia, mentre procedendo verso sud prevale la conformazione a falesia con altezze sempre crescenti procedendo nella stessa direzione e una serie di grotte e cavità disposte al di sopra e al di sotto del livello del mare. Ben differente aspetto assume la costa posta a nord di Otranto, con andamento piuttosto lineare, poco accidentato, caratteri di costa bassa in roccia tenera o sabbiosa, cordoni dunari e laghi retrodunali.

Altri elementi fisici che caratterizzano la costa sono incisioni da parte di canali e solchi creati dall'erosione esercitata dalle acque superficiali sui terreni di natura carbonatica.

5.2. GEOLOGIA E TETTONICA

I caratteri morfologici della Penisola Salentina sono il risultato dell'azione di una serie di processi che hanno avuto luogo a partire dalla fine del Cretaceo - inizio del Mesozoico, quando, per effetto della collisione tra la placca africana e la placca eurasiatica, si ha la emersione parziale della piattaforma carbonatica Apula. In questa fase, e quelle tettoniche successive, le alture che caratterizzano il paesaggio, denominate localmente Serre, corrispondono ad alti strutturali, ossia ad altopiani di natura carbonatica che, durante i periodi di ripetuta sommersione che hanno interessato l'area, sono rimasti emersi: essi costituivano quindi delle isole mentre nei bacini contigui si depositavano altri sedimenti di natura calcarea.

Tali fasi di deposizione collegate a cicli di ingressione-regressione marina per movimenti eustatici del livello del mare, hanno portato alla formazione di depositi come il Calcare di Castro e la Pietra Leccese, le cui varietà litologiche sono state largamente utilizzate per secoli nella edilizia locale.

Ulteriori fasi sedimentarie associate a locali sommersioni della Piattaforma Apula sono correlate al sollevamento della Catena Appenninica da un lato e della Catena Dinarico-Ellenica dall'altro a partire dal Miocene medio e dall'inizio del Pliocene inferiore e del Quaternario.

La definitiva emersione dell'area (e dell'intera area peri-mediterranea) nel Pleistocene medio-superiore è stata accompagnata da ripetute variazioni del livello marino associate

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alle glaciazioni pleistocenico-oloceniche (eustatismo glaciale). Tali oscillazioni del livello del mare hanno modellato un paesaggio costiero a gradinata, ben visibile nel tratto costiero Otranto-Leuca, con ripe e antistanti piattaforme di erosione marina, dalle quote più alte fino al livello del mare, testimonianza dei successivi stazionamenti del livello del mare fino al raggiungimento di quello attuale.

Altri caratteri tipici del paesaggio sono rappresentati dalle forme carsiche, tra le quali dominano in superficie le doline, di forma generalmente circolare e che costituiscono depressioni più o meno marcate rispetto al paesaggio circostante, con profondità massime che raggiungono una decina di metri. Tali espressioni del fenomeno carsico sono indicative di periodi di emersione dell'area (periodi di continentalità) con climi da caldo umidi a temperati-freddi. Le doline più antiche, con forma in genere a imbuto, interessano le formazioni carbonatiche del Cretaceo, e presentano riempimenti di terre rosse bauxitiche, depositi salmastro-lagunari e intercalazioni di livelli lignitiferi; le doline più recenti sono disseminate sulle formazioni calcarenitiche del Pleistocene superiore.

Le forme carsiche sotterranee (ipogee) sono rappresentate da grotte di vario sviluppo, ubicate prevalentemente lungo la costa e parzialmente invase dal mare, in qualche caso interessate da depositi secondari (stalattiti, stalagmiti, ecc.). Nei depositi stratificati presenti in alcune grotte sono stati rinvenuti resti scheletrici umani.

6. GLOSSARIO

Abrasione: asportazione meccanica, o intensa erosione di superfici rocciose per attrito e impatto, in cui le particelle solide di roccia trasportate da vento, ghiaccio, onde, acque correnti, o gravità sono gli strumenti della abrasione.

Acque connate (acque fossili): acqua intrappolata negli interstizi di una roccia sedimentaria al tempo della sua deposizione.

Acque sulfuree: tipi di acque che possiedono una quantità pari o superiore ad 1 mg di H2S per litro, il quale ne conferisce il classico odore.

Afotica (zona): parte dell’oceano in cui non c’è sufficiente penetrazione di luce per la fotosintesi.

Avanscogliera: parte verso mare della scogliera; a luoghi, ripido pendio coperto da depositi di scogliera, o da corpi verticali bio-costruiti.

Bauxite: roccia composta di un misto di vari, amorfi o cristallini, ossidi e idrossidi di alluminio. E’ un commune costituente residual o trasportato di depositi argillosi in regioni tropicali e subtropicali, e si trova in forma concrezionaria, compatta, pisolitica, o oolitica. La bauxite è la principale fonte commerciale dell’alluminio. Prende il nome da Les Baux de Provence, località presso Arles, nella Francia meridionale.

Bentos: categoria ecologica che comprende gli organismi acquatici, sia d'acqua dolce sia marini, che vivono in stretto contatto con il fondo o fissati ad un substrato solido.

Berma: gradino basso, orizzontale o a bassa pendenza, sulla parte interna di una spiaggia, formato da materiale rimosso e depositato da onde di tempesta.

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Biomicrite: un calcare consistente di proporzioni variabili di detrito di organismi fossili e fango carbonatico (micrite).

Bioturbazione: rimaneggiamento di terre o sedimenti ad opera di animali e piante.

Calcarenite: un calcare costituito in prevalenza da particelle riciclate di calcite a granulometria sabbiosa; sabbia calcarea consolidata.

Carsismo: processo che produce un tipo di paesaggio tipico di rocce carbonatiche o evaporitiche, prodotto per dissoluzione, e che è caratterizzato da doline, grotte, e drenaggio sotterraneo.

Clino-stratificazione: stratificazione inclinata, connessa ad ambiente di sedimentazione sulla parte in pendenza di un corpo d’acqua.

Corrosione: processo di erosione in cui rocce e terra sono rimosse o trasportate via da processi chimici, specialmente dall’azione solvente dell’acqua corrente, ma anche da altre reazioni come idrolisi, idratazione, carbonatazione, e ossidazione.

Corrosione marginale: si sviluppa ai piedi dei versanti carbonatici per un aumentato afflusso di acque meteoriche convogliate dalla superficie del versante; ne consegue un'aumentata intensità dei processi di dissoluzione e lo sviluppo di un profondo solco di corrosione.

Deposito residuale: il residuo lasciato in sito da processi di alterazione.

Disconformità: discordanza in cui i piani di stratificazione al di sopra e al di sotto dell’interruzione sono essenzialmente paralleli, il che indica una significativa interruzione nella sequenza di rocce sedimentarie, in genere per un considerevole intervallo erosivo (o talvolta per mancata deposizione), e in genere marcata da una superficie erosiva visibile e irregolare.

Discordanza: una sostanziale interruzione nel record geologico, in cui un’unità rocciosa è sovrapposta da un’altra che non è nella diretta successione stratigrafica, come una interruzione nella continuità di una sequenza deposizionale di rocce sedimentarie o una interruzione tra rocce ignee erose e strati sedimentari più recenti.

Discordanza angolare: una discordanza tra due gruppi di rocce I cui piani di stratificazione non sono paralleli o in cui le rocce più antiche, sottostanti, immergono con un angolo differente (in genere maggiore) rispetto a quelle più recenti e sovrastanti; nello specifico, una discordanza in cui sedimenti più recenti giacciono sulla superficie erosa di più antiche rocce tiltate o piegate.

Dolina: depressione circolare in area carsica. Presenta drenaggio sotterraneo, e dimensioni da metri a decine di metri, ed è in genere a forma di imbuto.

Epicentro: il punto sulla superficie della Terra che si trova immediatamente al di sopra del fuoco (punto di rottura iniziale) di un terremoto.

Eufotica (zona): quella parte dell’oceano in cui c’è sufficiente penetrazione di luce per supportare la fotosintesi. La profondità è variabile, ma in media è intorno agli 80 m circa.

Eustatismo: fenomeno di innalzamento o abbassamento del livello del mare; lungo le coste esso causa arretramenti e avanzamenti del mare rispetto alla costa. Le cause possono essere diverse, tra queste il fenomeno delle glaciazioni e dei disgeli, che comportano variazioni di volume dell'acqua con il successivo abbassamento o innalzamento del livello marino (eustatismo glaciale).

Foraminifero: qualunque protozoo appartenente alla sottoclasse Sarcodina, ordine Foraminifera, caratterizzato dalla presenza di una o più camere composte di calcite o particelle agglutinate. Gran parte dei foraminiferi sono marini ma sono anche note forme di acqua dolce. Dal Cambriano al presente.

Fosfatizzazione: la conversione di qualcosa in fosfato.

Freatico: termine che indica la zona di un acquifero in cui tutti I vuoti sono occupati da acqua.

Fronte della scogliera: parte superiore del pendio esterno o verso mare di una scogliera, che si estende dal bordo della scogliera sino al di sopra del limite di profondità di coralli e alghe coralline.

Page 37: Guida all'Itinerario Geoturistico in Salento (Puglia)

Versione 1.1 Novembre 2014 37 / 37

Guida itinerario geoturistico “Turismo e Geologia nel Salento orientale”

Glauconite: gruppo di minerali consistente di idrosilicati di potassio e ferro.

Inghiottitoio: depressione chiusa o dolina in cui tutto o parte di un corso d’acqua scompare nel sottosuolo.

Ittiodontoliti: denti fossili di pesci.

Lepidocycline: genere dei Foraminiferi.

Litofago: detto di un organismo che si nutre di materiale roccioso.

Località tipo: la località dove una particolare roccia, unità stratigrafica, fossile o minerale è stato identificato per la prima volta.

Marna: roccia formata da un misto di argilla e carbonato di calcio, in condizioni marine o di acqua dolce.

Neritico: pertinente all’ambiente oceanico, o alla zona di profondità tra il livello di bassa marea e circa 1800 m, o tra il livello di bassa marea e approssimativamente il margine della piattaforma continentale; anche, pertinente agli organismi viventi in quell’ambiente. Anche nota come la zona sublitorale.

Nummulite: qualunque foraminifero appartenente alla famiglia Nummulitidae. Dal Cretaceo superiore al presente.

Oligo-: prefisso con il significato di “poco”, “piccolo”.

Permeabilità: la proprietà o capacità di una roccia, sedimento o terreno poroso, di farsi attraversare da un fluido.

Piattaforma: termine generale per qualunque superficie orizzontale o quasi.

Pisolite: corpi di forma globosa, costituiti da una successione di lamine carbonatiche grossolanamente concentriche, di dimensioni generalmente variabili tra alcuni millimetri e qualche centimetro.

Retroscogliera: il lato verso terra di una scogliera, che include l’area e I depositi contenuti tra la scogliera e la terra ferma.

Rodolite: nodulo di alghe rosse (coralline), con incrostazione concentrica.

Rudista: mollusco bivalve appartenente alla superfamiglia delle Hippuritacea, caratterizzata da conchiglia inequivalve, in genere attaccata al substrato, solitaria o gregaria in masse tipo scogliera. Si trovano di frequente in associazione con coralli. Dal Giurassico superiore al Cretaceo superiore, o Paleocene.

Scogliera: struttura a forma di dorsale o piccolo rilievo, in strati o massiva, costruita da organismi calcarei sedentari, specialmente coralli, e consistente essenzialmente dei loro resti; è resistente alle onde e resta al di sopra del sedimento circostante.

Taxon (pl. Taxa): gruppo di organismi di qualsiasi rango, come ad esempio una specie, famiglia, o classe. Un taxon può essere indicato da un nome Latino o da una lettera, numero, o altro simbolo.

Tsunami: onda marina gravitazionale prodotta da disturbi del fondo oceanico a larga scala, e di breve durata, principalmente per terremoti sottomarini superficiali, ma anche per movimenti di pendio sottomarini, subsidenza, o eruzioni vulcaniche. E’ caratterizzata da elevate velocità di propagazione (sino a 950 km/hr), alta lunghezza d’onda (sino a 200 km), lunga durata (da 5 min a qualche ora), e ampiezza poco visibile in mare aperto. Deriva etimologicamente dal giapponese: “onda di porto”.