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Guglielmo Capacchi Di recente, alla camera di Commercio di Parma, si è tenuto, a cura della Comunità delle Valli dei Cavalieri, un convegno per ricordare vita e opere del professor Guglielmo Capacchi, una persona speciale, come scriveva Pier Paolo Mendogni, che ha dato molto alla nostra città coltivando, parallelamente alla sua attività di docente universitario, con rara intelligenza e con grande serietà, il dialetto e, nel senso più ampio, la storia di Parma e non soltanto, diventando l’esperto più qualificato in questa materia che ha nutrito le nostre radici. Ognuno dei vari interventi ha evidenziato un aspetto particolare dei tanti ambiti di interesse del professore. Giuseppe Marchetti, che ha condotto il pomeriggio, da vecchio amico del professore, ha esordito dicendo che Capacchi va studiato da diversi punti di vista: professore, libraio, profondo conoscitore del dialetto e delle tradizioni popolari e amico delle persone appassionate come lui che accoglieva nella bottega della moglie in borgo Giacomo Tommasini. Bottega che

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Guglielmo Capacchi

Di recente, alla camera di Commercio di Parma, si è tenuto, a cura della

Comunità delle Valli dei Cavalieri, un convegno per ricordare vita e opere

del professor Guglielmo Capacchi, una persona speciale, come scriveva Pier

Paolo Mendogni, che ha dato molto alla nostra città coltivando, parallelamente

alla sua attività di docente universitario, con rara intelligenza e con grande

serietà, il dialetto e, nel senso più ampio, la storia di Parma e non soltanto,

diventando l’esperto più qualificato in questa materia che ha nutrito le nostre

radici.

Ognuno dei vari interventi ha evidenziato un aspetto particolare dei tanti ambiti

di interesse del professore. Giuseppe Marchetti, che ha condotto il pomeriggio,

da vecchio amico del professore, ha esordito dicendo che Capacchi va studiato

da diversi punti di vista: professore, libraio, profondo conoscitore del dialetto e

delle tradizioni popolari e amico delle persone appassionate come lui che

accoglieva nella bottega della moglie in borgo Giacomo Tommasini. Bottega che

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era, ed è tutt’ora, ritrovo per chi ama l’idea dei libri. Una sorta di caffè letterario

come quelli di un tempo.

La vita

Guglielmo Capacchi è nato in Borgo Torto nel 1931. Il padre Erminio che aveva

bottega di barbiere in via Cavour gli trasmise la passione per i libri e voleva che

imparasse sia il dialetto che l’italiano. Finita la guerra Guglielmo, che era sfollato

a Giarale di Marzolara, torna in città, studia al Romagnosi e lingue a Bologna

dove diventa professore di Lingua e Letteratura Ungherese. A Bologna dà avvio

all’insegnamento di Filologia Ugro-finnica e getta le basi per quella che diventerà

la Scuola Permanente di Studi sullo Sciamanismo. Parla correntemente

ungherese, inglese, spagnolo e esperanto, di cui fu anche insegnante e grande

sostenitore, e se la cava anche con lo swahili. Diventa ungarologo per una

combinazione fortuita ma poi vi si dedica senza risparmiarsi. Per questo, Matteo

Montan, nel suo libro La città a parole, con felice espressione, lo definisce “un

ungherese del sasso”. Muore a Parma il 7 ottobre 2005.

Docente universitario

Carla Corradi Musi, sua excollega, ha trattato la docenza e le opere di

Guglielmo Capacchi ungarologo che si prodigò per far conoscere la cultura

ungherese e ugrofinnica in generale, pubblicando una grammatica e numerosi

saggi letterari e linguistico-antropologici. Fu anche ottimo traduttore di poesie e

di testi teatrali.

Scrittore ed editore

Maurizio Silva ha raccontato della lunga collaborazione che ebbero. I principali

titoli di argomento locale rendono l’idea della mole di studi e di ricerche che egli

ha fatto su storia, arte, dialetto e tradizioni. È del ’68 la pubblicazione di Proverbi

e modi di dire parmigiani cui seguì Sapa e badil. Altri proverbi e modi di dire

parmigiani .Vengono poi I Castelli parmigiani, La cucina popolare parmigiana, Che

lavór, sjor Gibartén. Piccole storie di modi di dire parmigiani, Oh, l’è chì al formaj bón!

Altre piccole storie di modi di dire parmigiani. Come storico e consulente editoriale

curò la pubblicazione di testi come L’arte dell’incisione a Parma, Viaggio ai monti

di Parma, La féra ‘d San Giuzép, La Zecca di Parma, La storia di Bardi, Il declino di un

Ducato, Le osterie parmigiane, Feste e spettacoli alla corte dei Farnese.

Il Dizionario Italiano-Parmigiano

Silva, parlando del famoso e atteso dizionario Italiano-Parmigiano, ha spiegato

che fu molto impegnativa per entrambi perché Capacchi lavorava con schede

che continuamente aggiornava. Purtroppo, non avendo ottenuto nessun aiuto

dalle Istituzioni, egli chiese al professore di attendere prima di dare alle stampe il

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dizionario Parmigiano-Italiano. Quando risultò chiaro che si poteva procedere

era troppo tardi. Seri problemi familiari lo fecero desistere.

A proposito del dizionario, posso dire che, quando nel 1992 uscì, per noi di

“Parma Nostra” diventò subito il Vangelo e veniva, e viene tutt’ora, sempre

consultato. Il dizionario, a mio giudizio, è anche qualcosa di più talmente è ricco

di citazioni. Infatti non si limita ad indicare i termini dialettali più comuni

corrispondenti alla voce italiana ma elenca, in molti casi, tantissimi e curiosi

sinonimi che, ai meno giovani, spesso suonano ancora familiari. Riporta anche

parecchie espressioni idiomatiche che essendo scritte in modo completo e per

esteso contengono preziose indicazioni su come si costruiscono le frasi con

relative congiunzioni, apostrofi, accenti ed elisioni. Dal punto di vista della grafia,

quello che ho imparato, l’ho imparato soprattutto sfogliando gli esempi del

dizionario. In seguito, quando nel 2000 ho pubblicato il mio terzo libro, Pärma e

Brazil, non ho più disturbato il professore che mi aveva usato la gentilezza di

correggere la parte dialettale del mio secondo, Riz e Vérzi, ma ho potuto fare da

solo con il solo sussidio del suo dizionario. Il professore aveva una grande

disponibilità, ad aiutare chi scrive in dialetto. Lo ha fatto per Fausto Bertozzi,

Gianpiero Caffarra, Enrico Maletti e sicuramente altri ancora.

Uomo di cultura

Marzio Dall’Acqua, ex direttore del nostro Archivio di Stato, ha raccontato che

arrivato a Parma, provenendo da Mantova, della nostra città non conosceva

molto per cui gli fu molto preziosa la collaborazione con Capacchi che diventò

per lui un punto di riferimento. La sua vasta cultura gli fu preziosa in diverse

occasioni. Li univa il comune interesse per la cultura popolare. Secondo

Dall’Acqua il problema vero era, all’epoca, quello di salvare la cultura popolare

intanto che era possibile. La cultura orale di un mondo che sarebbe scomparso

con i parlanti. Ha spiegato che un resto archeologico sotterrato, se lo è stato

per 1000 anni, lo può stare ancora, ma il dialetto, la parola che sfugge, che

muore con la persona che la pronuncia, questo no. Il lavoro sul dialetto, sulle

tradizioni e sugli usi popolari che, in quel momento, poteva esser fatto solo da

una persona di grande intelligenza e di grande sensibilità, Capacchi lo ha fatto e

le sue pubblicazioni sono un tesoro che è stato salvato.

Gianluca Bottazzi, parlando dell’uomo Capacchi, studioso di storia del territorio,

ha detto che salendo i tre gradini di borgo Giacomo, dal professore, ha sempre

ricevuto, tali e tante erano le sue conoscenze e notevole la sua capacità di

dialogare e di dare indicazioni. Il professore spiegava volentieri, allo studioso

che incontrava in quel momento, gli aspetti che hanno caratterizzato le sue

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pubblicazioni e sempre con un tratto bonario che lo fa rimpiangere

maggiormente.

La “Fondazione Borri” ha voluto essere presente ad una manifestazione che

rendeva omaggio ad un protagonista importante della nostra cultura perché,

spiegava Mariacaterina Siliprandi, la cultura ci aiuta a vivere meglio. Omaggio a

Capacchi uomo di cultura lo ha inviato anche, da Amsterdam, il Duca Carlo

Saverio di Borbone Parma, che ha ricordato come anche suo padre

apprezzasse il professore tanto da conferirgli il cavalierato dell’Ordine

Costantiniano di San Giorgio e quello sotto il titolo di San Lodovico.

La Comunità delle Valli dei Cavalieri

Il territorio della Valle dei Cavalieri, che più propriamente andrebbero

chiamate Valli, è costituito dal sistema orografico appenninico dei corsi dell’Enza

e della Cedra, dove gli antichi borghi fortificati che occupavano posizioni

strategiche e dominavano le linee ottiche di queste zone, costituivano un

sistema poligonale di difesa dimostratosi nel tempo quasi inespugnabile. Gli

antichi borghi erano: Castagneto, Lalatta, Montedello, Palanzano, Pieve,

Ranzano, Succiso e Vairo.

Francesca Scala, parlando a nome dei soci della “Comunità delle Valli dei

Cavalieri”, organizzatrice dell’evento, ha spiegato che il convegno era un

riconoscimento dovuto al professore che è stato uno dei fondatori

dell’associazione portandovi entusiasmo e il seme della ricerca. Ha spiegato che

le finalità della Comunità sono: mantenere “viva” nella memoria le Valli (cercare

di diffondere documenti di ogni tipo; lettere, iscrizioni, storie di personaggi,

apporti orali, preghiere, proverbi, locuzioni); offrire “tessere”, seppure

modestissime, al mosaico della storia; favorire legami di collaborazione fra i soci

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e di affetto fra le montagne e chi si è allontanato; lasciare agli abitanti la

consapevolezza di possedere un patrimonio culturale che deve essere protetto.

Sullo stesso argomento, Giancarlo Bodria ha sottolineato quanto l’associazione

sia importante per la ricaduta culturale sul territorio. Territorio, quello di

Palanzano, Monchio e Ramiseto, che il professore, che pure era nato in borgo

Torto, amava moltissimo essendo la zona di origine della sua famiglia. Bodria ha

illustrato con dovizia di particolari il non facile percorso che ha permesso di

raggiungere il prestigioso risultato. L’idea della Comunità è nata nel ’71 e la sua

realizzazione si deve ad un gruppo di studiosi a far parte del quale venne

invitato anche il professor Capacchi che si spese con generosità. Quanto mai

preziose si rivelarono le sue conoscenze di araldica ma soprattutto quelle

storiografiche relative a quelle valli che conosceva non meno a fondo di chi le

abitava. Lo stesso vale per la redazione dei 29 annuari pubblicati, ad oggi, nei

42 anni di vita della Comunità. Giorgio Maggiali, sindaco di Palanzano, ha

espresso la gratitudine della sua gente per il professore che ha collaborato con

forza, competenza e trasporto verso le montagne alla nascita dell’associazione.

Etnografo

Carlotta Capacchi ha ricordato che circa 40 anni fa, a Monchio, in occasione di

un funerale, il papà Guglielmo, ebbe occasione di sentire I Cantor ‘d

Monc’eseguire alcuni canti sacri. Fu amore a prima vista. Ascoltandoli ebbe la

percezione di trovarsi di fronte qualcosa di diverso da quanto aveva udito fino ad

allora. Cantavano il Miserere, le litanie, il Magnificat e il Dies Irae. Non dette pace

ai cantori fintanto che non riuscì a trascrivere e registrare. Consegnò

l’incisione a Roberto Leidi titolare della cattedra etnomusicologia a Bologna che,

a sua volta, la inviò ad un convegno internazionale di musiche popolari.

L’ascolto lasciò tutti senza parole. Il verdetto fu unanime; la musica sacra di

Monchio è un caso unico. I cantori vennero invitati ad esibirsi alla Piccola Scala

di Milano. I testi furono recepiti nel libro di Marcello Conati I canti popolari della

Val d’Enza e della Val Cedra che si avvalse della collaborazione del professore.

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Il coro di cantór ‘d Monc’

Giacono Rozzi, a nome dei coristi, ha esordito dicendo:”Noi cantiamo “a

orèccia”, non c’è nessun maestro, nessuno che ci guida e nessuno che ha

dimestichezza con la musica”. Il coro propone un repertorio di canti sacri in

latino, che da secoli la tradizione orale ha tramandato di generazione in

generazione. Quando c’è bisogno va, di loro, chi è disponibile. Parlando

del Dies Irae, il loro pezzo forte che Capacchi tanto amava da essere

scherzosamente chiamato “il professor Dies Irae”, ha spiegato che ha due

versioni che Capacchi, con ironia, li aveva denominati il Dies Irae di sjor e il Dies

Irae di povrètt perché uno ha una melodia solenne e l’altra più semplice. Anche

il Magnificat ha una versione solenne che si canta nelle feste della Madonna e

nei Vespri. Rozzi, concludendo la presentazione del gruppo, ha detto: “Per il

professore, questi canti erano una delizia. Noi glieli dedichiamo sperando che da

lassù ci senta e possa godere con noi questa bella serata. Ancora grazie

professore!”

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Capacchi studente

E’ toccato ad alcuni suoi vecchi compagni di scuola, Gianpaolo Minardi, Giorgio

Orlandini e Fabio Fabbri dare un interessante contributo alla conoscenza del

professore studente al Romagnosi negli anni ’40. Ne è scaturito il ritratto di un

Capacchi poliedrico; aveva, già allora, autorevolezza. Sapeva l’inglese quando

in pochi, all’epoca, lo conoscevano. Leggeva molto ed era già colto aiutato

anche da una robusta memoria. Aveva molti interessi; musica, pittura, cinema,

teatro e una grande curiosità. Aveva uno spiccato senso dell’umorismo che

contrastava con il suo vestire sempre di scuro e l’espressione seriosa. Ad

esempio, parafrasando Eisentein, con i suoi compagni di scuola, girò il

film Tchapamowskij corriere dello Zar (ovviamente da leggersi, alla

russa, Ciapamoschi), di cui era animatore e sceneggiatore, girato sulle rive della

Baganza. Era tale il suo ascendente sui compagni che riuscì a convincerli a

studiare l’Esperanto e a coinvolgerli nell’avventura di rimettere in piedi il giornale

“L’uomo libero”. Baldassarre Molossi e Pier Maria Paoletti ci mettevano la firma

ma l’autore era soprattutto lui. Fabbri, a nome suo e degli amici, ma vorrei

aggiungere anche a nome di tutti i parmigiani, ha concluso dicendo che il

Comune di Parma e di Palanzano avrebbero il dovere di dedicargli una via o una

piazza perché è stato un grande rappresentante delle valli, un grande

parmigiano e un grande italiano.