B-io-grafia di Giovanni Rubino

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INDICE 1. INTRODUZIONE.................................................................................................. 3 2. NOTIZIE BIOGRAFICHE .................................................................................. 5 3. CONTESTUALIZZAZIONE ............................................................................... 9 4. B-io-GRAFIA ....................................................................................................... 15 4.1 PORTO MARGHERA E MORTEDISON .................................................. 17 4.2 LA GALLERIA DI PORTA TICINESE E IL COLLETTIVO ................... 21 4.3 IL MANZO AUMENTA MANGEREMO AGNELLI ................................ 25 4.4 IL MURALES DI GIOIOSA JONICA ........................................................ 27 4.5 PAC .............................................................................................................. 29 4.6 SARAJEVO ................................................................................................. 33 4.6.1 Contesto di guerra.................................................................................. 33 4.6.2 Io volontario dell’arte a Sarajevo .......................................................... 34 4.6.3 Il ruolo della donna .................................................................................. 39 4.6.4 Corpo di guerra ...................................................................................... 40 4.7 KIEV ............................................................................................................ 43 4.8 FAREMEMORIA ........................................................................................ 45 4.9 IL MURALES ALL’ALFAROMEO ........................................................... 48 5. ALTRE OPERE ................................................................................................... 51 5.1 MARXCUPOLA .......................................................................................... 52 5.2 CHAMPAGNE MOLOTOV........................................................................ 53 5.3 ISRAELE ..................................................................................................... 54 5.4 LA LOTTA CHE PAGA.............................................................................. 55 6. CONCLUSIONI ................................................................................................... 57 7. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................. 59 8. SITOGRAFIA ...................................................................................................... 61 9. FILMOGRAFIA .................................................................................................. 63

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Le opere di impegno sociale dell'artista milanese Giovanni Rubino, tesi di laurea in comunicazione di Roberta Avventi

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INDICE

1. INTRODUZIONE.................................................................................................. 3

2. NOTIZIE BIOGRAFICHE .................................................................................. 5

3. CONTESTUALIZZAZIONE ............................................................................... 9

4. B-io-GRAFIA ....................................................................................................... 15

4.1 PORTO MARGHERA E MORTEDISON .................................................. 17

4.2 LA GALLERIA DI PORTA TICINESE E IL COLLETTIVO ................... 21

4.3 IL MANZO AUMENTA MANGEREMO AGNELLI ................................ 25

4.4 IL MURALES DI GIOIOSA JONICA ........................................................ 27

4.5 PAC .............................................................................................................. 29

4.6 SARAJEVO ................................................................................................. 33

4.6.1 Contesto di guerra.................................................................................. 33

4.6.2 Io volontario dell’arte a Sarajevo .......................................................... 34

4.6.3 Il ruolo della donna .................................................................................. 39

4.6.4 Corpo di guerra...................................................................................... 40

4.7 KIEV ............................................................................................................ 43

4.8 FAREMEMORIA ........................................................................................ 45

4.9 IL MURALES ALL’ALFAROMEO ........................................................... 48

5. ALTRE OPERE................................................................................................... 51

5.1 MARXCUPOLA.......................................................................................... 52

5.2 CHAMPAGNE MOLOTOV........................................................................ 53

5.3 ISRAELE ..................................................................................................... 54

5.4 LA LOTTA CHE PAGA.............................................................................. 55

6. CONCLUSIONI................................................................................................... 57

7. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................. 59

8. SITOGRAFIA ...................................................................................................... 61

9. FILMOGRAFIA .................................................................................................. 63

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1. INTRODUZIONE

Inizialmente interessata ad una tesi sul fotogiornalismo di guerra, mi sono

avvicinata, durante le mie ricerche, alla figura di Giovanni Rubino, il quale, con il

suo diario Io, volontario dell’arte a Sarajevo e con alcuni filmati fatti in Bosnia, ha

documentato la guerra del ’92-‘95 con illustrazioni e audiovisivi. Sono dunque

rimasta tanto colpita dalla sua forte personalità sia artistica sia umana, da voler

incentrare la mia tesi di laurea su di lui e sui suoi lavori artistici. Rubino disegna e

dipinge su diversi supporti, dalla tela ai muri, ha realizzato alcuni cortometraggi e

documentari ed ha organizzato inoltre delle performance artistiche. La maggior parte

dei suoi lavori è stata fatta per motivi politici e sociali, la sua scelta infatti è stata

sempre quella di seguire le sue idee politiche, facendo opere utili e impegnate,

distanti però dal mercato economico dell’arte. Sono queste le opere che ho deciso di

approfondire qui di seguito. Ho scelto quindi di stilare una descrizione dei suoi

lavori principali, attraverso la traccia di B-io-grafia, una video-intervista del 2010 in

cui l’artista ripercorre le tappe fondamentali del suo percorso.

Non essendo stata pubblicata alcuna monografia su di lui e non essendo

reperibili molti documenti scritti sul suo conto, ho basato la mia ricerca attenendomi

ai materiali che lo stesso Rubino mi ha potuto fornire e alle lunghe conversazioni

che in questi mesi ho avuto il piacere di avere con lui.

La sua arte è caratterizzata da una forte capacità di testimonianza, “non

facilmente consumabile”;1 alcuni suoi lavori, quelli che mostrano la guerra in

particolare, ce la mostrano in maniera diversa rispetto a quella a cui siamo abituati

dalla televisione e dai giornali. A me, anestetizzata dal bombardamento mediatico

che ogni giorno a pranzo e cena ci mette di fronte a violenze e guerre come fossero

situazioni normali, hanno colpito i lavori fatti da Rubino, per quel loro valore

simbolico, che si aggiunge a quello descrittivo. E così questi “lasciano dentro una

maggiore eco emotiva rispetto ai reportage a cui siamo abituati”.2 Le sue opere

1 GIOVANNI RUBINO, da una mia intervista fatta nell’ottobre del 2010 2 Ibidem

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4

infatti, vogliono proprio porre l’attenzione sui problemi, dalla guerra agli attentati

mafiosi, dalla resistenza alla lotta operaia; e Rubino si serve quindi dell’arte per

riportarli alla luce e così intensificarli. Il suo lavoro non si sposta quasi mai fuori dai

problemi del reale ma è anzi sempre ancorato ad esso, sempre con un contenuto

molto significativo, il quale viene raccontato da lui attraverso la pittura e alle

tecniche moderne, costantemente aggiornate.

Per quanto riguarda la

sua persona (figura 1),3 sono

rimasta particolarmente

colpita dall’entusiasmo

giovane e coinvolgente che

mi ha da subito mostrato.

Inizialmente titubante per i

pochi materiali scritti a

disposizione, mi sono

convinta a lavorare con lui e

su di lui, durante il nostro

primo incontro. Colpisce poi il suo impegno laico ma religioso per questioni

politiche e sociali; quel richiamo ad agire che lui ha definito un “obbligo morale” e

che è racchiuso nel termine volontario dell’arte, come se la sua fosse una vera e

continua missione di pace.

3 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, FABRIZIO GARGHETTI, La calda estate del

’93, Milano, 1993

Figura 2

Figura 1 Giovanni Rubino nel filmato La calda estate del ’93.

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2. NOTIZIE BIOGRAFICHE

Giovanni Rubino, nato nel 1938 a Napoli, parlando delle sue origini tiene a

precisare di essere stato “allattato culturalmente”4 a Pompei, ponendo l’accento in

questo modo sull'importanza che ha avuto per lui l'apertura artistica della sua città

natale, così colma di pittura fuori dal tempo. Evidenzia poi la ricchezza di pittura

ancestrale di cui sono impregnati quei luoghi, pittura che ricorda quella di Goya e

degli impressionisti. Per la sua formazione pittorica, infatti, oltre all’aver frequentato

il liceo artistico a Napoli e poi l’Accademia a Milano, è stato essenziale l’essere

cresciuto immerso in quell’arte senza tempo. Si è occupato da giovane anche di

restauro di affreschi nelle chiese, formandosi così anche per quanto riguarda la

pittura storica tradizionale.

Nato in una famiglia di decoratori artigiani, fin da piccolo ha lavorato

nell’azienda familiare, producendo decorazioni per la carrozzeria. Lasciata

l’Accademia prima di averla terminata, ha continuato a formarsi da solo; molto

importante in questo è stato per lui l’aver visitato, a Londra, una mostra sulla pop art

e in particolare fu colpito dalle opere di Rauschenberg.5 Queste, infatti, lo

incoraggiarono a produrre dei figurativi rimanendo nel moderno, con tecniche che

vanno dalla fotografia alla lavorazione manuale.

Nella seconda metà degli anni ’60 intanto, a Milano, si costituì il gruppo Mec-

art6, movimento artistico nato tra Francia e Italia negli anni Sessanta attorno alle

posizioni del critico Pierre Restany. Era quella la risposta europea alla pop-art e si

basava principalmente sull’utilizzo del mezzo fotografico e di supporti pittorici

tradizionali, con lo scopo di produrre opere serializzabili. Rubino fu uno tra i primi a

farne parte, ma lasciò il gruppo dopo poco tempo per contestazione politica. La sua

pittura, infatti, è stata sempre in funzione politica militante e mai sottoposta al

4 GIOVANNI RUBINO, filmato B-io-grafia, 2010 5 Si veda capitolo 3 Contestualizzazione 6 Ibidem

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6

circuito economico dell’arte. A Milano ha fatto poi l’insegnante ed attualmente è

pensionato.

Dalla sua biografia, presente nel catalogo Io volontario dell’arte a Sarajevo

leggiamo che ha progettato e organizzato cicli di mostre in spazi pubblici; oltre alla

"Mostra Incessante per il Cile"7c’è ad esempio la mostra “Poetico-politico” del

1974-78. Nel 1978 ha curato poi il coordinamento della rassegna "Pratica: Di/segno

Politico", allo Studio Marconi di Milano. È stato membro del gruppo austriaco

Secession Graz, ha organizzato il Collettivo Pittori di Porta Ticinese e ha coordinato

il lavoro “Nuovo-Spazio-Metropolitano”. Ha effettuato performance in occasione di

"Milanopoesia" nel 1987 e alla galleria La Zarina, a Verona nel 1994.

Ha partecipato a diverse mostre fra cui: XXIII Salon de la Jeune Peinture,

Parigi, 1967; "Le Monde en question", A.R.C., Museo di Arte Moderna, Parigi,

1967; Iki, Dusseldorf, 1973 - Art '74, Basilea, 1974; Quadriennale di Roma, 1975;

Expo di Bari, 1976 e 1977; Biennale di Venezia, 1976; "Mostra incessante per il

Cile", Rotonda della Besana, Milano, 1977; "For a better world", Socialisation of

Art, Slovenj Gradec, 1979; "Urbano reale, urbano virtuale", Triennale di Milano,

1979; Premio Città di Acireale, 1985; Premio Gallarate, 1985; "L'uomo a due ruote",

Spazio Ex Ansaldo, Milano, 1987; "Museo dei musei", Palazzo Strozzi, Firenze,

1988; Tokyo, 1990; "La coperta scoperta", Spazio Marzotto, Milano, 1990; Sarema

Arte, Fiera di Milano, 1992; Ciclismo & Arte, Bologna, 1993; Festival Video,

Goteborg, 1993; Cento Artisti per Milano, Permanente 1994- Dis/Locazione,

Bologna, 1995.

Tra le personali vengono poi citate: Galleria Apollinaire, 1973; Banca

Popolare di Milano, 1988; Galleria Uno, Sondrio, 1989; Nuovo Spazio Guicciardini,

1990; Galleria Mazzocchi, Parma, 1987; Galleria di Porta Ticinese, 1987; Galleria

Kriterion, 1990; Museo di Milano, 1992; Galleria Blanchaert, Milano, 1995.

7 Si veda Capitolo 4.2 La Galleria di Porta Ticinese e il Collettivo

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7

Con i suoi video infine ha partecipato a vari festival tra cui: un festival ad

Amsterdam nel ’92; Bellaria festival Anteprima '96; Fano festival; V. Idea Genova

(1° premio); Rimini festival antologica Anteprima; Premio Babele, Milano, 1993 (1°

premio); Concorso a tema fisso, Bellaria, 1997 (1° premio); Premio Troisi,

Montecatini, (2° premio); Casteggio (premiato); festival internazionale a Berlino,

2001; festival internazionale a Lisbona, 2001.

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3. CONTESTUALIZZAZIONE

Data “l’inadeguatezza del mondo dell’arte di fronte all’impellenza della lotta

di classe”,8 sul finire degli anni Settanta, alcune avanguardie artistiche maturano la

volontà di prendere parte ai duri conflitti sociali e alle tensioni politiche in atto,

elevando a soggetto delle opere l'impegno del “cittadino politicamente e socialmente

orientato”.9 Si tratta di una ricerca che tende sempre più a far coincidere l’aspetto

estetico dell’opera d’arte con quello politico, sociale ed ambientale.

Già a partire dai decenni precedenti però, in particolare dagli inizi degli anni

Cinquanta, varie correnti artistiche si erano dedicate a unire parole, immagini e

suoni per esplicitare con l’arte i messaggi di una corrente politica, rispondendo sin

da allora all'invito di governi o partiti a declinare una data visione sociale-culturale

nell'arte figurativa, promuovendo l'aderenza dei soggetti delle opere con l'attualità,

attraverso il realismo dei contenuti o della rappresentazione. Alla fine del decennio,

in questo ambito ad esempio erano moltissime le artiste impegnate nella lotta

femminista e nell’approfondimento di varie tematiche sociali come il divorzio o

l’aborto.

Esperienze artistiche performative e ambientali erano in quegli anni sempre

più frequenti e avvicinavano l’arte alla vita. Anche alla base del movimento Fluxus

c’era l’idea di rendere l’arte un “flusso continuo di esperienze reali”,10 e quindi parte

della vita stessa, un’arte “totale, vitale, indeterminata, come l’esperienza

quotidiana”.11

8 Ibidem 9 CRISTINA CASERO, ELENA DI RADDO (a cura di), Anni ’70: l’arte dell’impegno, Silvana

Editore, Milano, 2010, p. 49 10 MARTINA CORGNATI, MARIA ELISA LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni

sessanta, Electa, Milano, 2008, p. 157 11 Ibidem

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10

Alla fine degli anni Cinquanta si formava inoltre anche l’Internazionale

Situazionista (I.S.). Il concetto di situazione che ne sta alla base è inteso come

"costruzione concreta di ambienti momentanei di vita, e la loro trasformazione in

una qualità passionale superiore"12 con l’impiego di qualunque arte o tecnica. L’I.S.

è forse stato il più importante tentativo collettivo di costruire una critica alle

ideologie moderne considerate obsolete, in particolare nell’ambiente studentesco

universitario. Tra le loro preoccupazioni c’era quella di rompere in modo definitivo

con il mercato delle opere d’arte e quindi una contestazione ai mercanti d’arte,

critici, direttori di gallerie, etc. Un’esperienza importante per l’artista fu a questo

proposito l’occupazione del Teatro Municipale di Reggio Emilia nel ’67, insieme al

poeta Corrado Costa e al regista e situazionista francese Marc’O. Questa fu infatti

per lui una prima manifestazione in nome della libertà della cultura e dell’arte. La

stessa avversione alla mercificazione dell’arte è un argomento che è emerso più

volte durante le mie conversazioni con l’artista. Colpisce a questo proposito il fatto

che Rubino abbia rifiutato di comparire in varie pubblicazioni, anteponendo “la

realtà e la vita”13 a quello che sarebbe potuto essere scritto. È raro incontrare una

persona così disinteressata alla fama e all’aspetto economico che da essa deriva:

Giovanni Rubino nella sua attività mette anche davanti a questi il suo appassionato

impegno sociale e politico. Infatti “il compito del pittore -citando Cavazzoni,

Gherpelli e Vezzani- è quello di negarsi come tale e di trasformarsi in «operatore

culturale» al servizio della classe operaia”.14 È dunque in questo clima che si

sviluppano le opere di Giovanni Rubino, il quale ha sempre creduto che esista, oltre

all’arte autonoma, anche un’arte che è immersa nella storia e nei momenti sociali,

un’arte che sia alla portata di tutti. A questo proposito infatti dice:

12 GUY DEBORD, Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni

dell’organizzazione e dell’azione della tendenza situazionista internazionale, a cura di

Omar Wisyam, Nautilus, Torino, 1957 13 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010 14 ERMANNO CAVAZZONI, GIUSEPPE GHERPELLI, VENCESLAO VEZZANI, in un documento che

mi è stato fornito da Giovanni Rubino

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11

Il mio lavoro pittorico-fotografico-video è quasi sempre del tutto ispirato da una

tematica sociale perché sono marxista e credo nell’impegno per il cambiamento,

perché ho sempre pensato che un artista deve dare un contributo anche in quanto

tale oltre che come uomo.15

Negli anni Sessanta Rubino partecipò ad alcune mostre in Francia e in

particolare nel 1967 al Le Monde en Question, a Parigi, in cui espose insieme a

Bertini alcune sue tele pittorico-fotografiche che furono le prime opere che diedero

vita al gruppo Mec-art. L’artista, parlando del suo lavoro di quegli anni e delle sue

origini, sottolinea sempre però l’importanza che ha avuto per lui la pop-art, in

particolare con le opere di Rauschenberg, nell’uso di immagini foto-meccaniche nel

quadro, e a questo proposito dice:

Le mie matrici culturali sono state dall’inizio intese a rappresentazioni del reale,

quindi dei figurativi; su questo si è inserito il discorso pop-art perché recuperava

oltre a brani di linguaggio figurativo (vedi Rauschenberg) anche altri di quello

meccanico della fotografia. Rigardo a questo, sono stato tra i primi ad usarla, in

mostre del ’66, e ho cercato sempre di arrivare a fare un’opera di comunicazione

verso gli altri e non solo di espressione e quindi per me stesso. Ho sempre aspirato

ad un’arte di classe, non borghese ma democratica e impegnata.16

Udo Kultermann, nel suo “Nuove forme della pittura”, fece una rassegna

degli artisti emergenti, in cui, vicino ai pop-artisti citava anche Rubino e in

particolare Questione di fame (figura 2)17 del ’66. L’opera, che è l’insieme di una

fotografia di uno scontro razziale e di un dipinto che riprende una natura morta di

Còtan del Seicento, sottolinea, con il disarmante contrasto, il significato della prima:

Giovanni Rubino ha messo in rapporto foto documentario con frutta e verdura, la

combinazione ironicamente surreale, di un’inquadratura che richiama antiche

maestrie, e in cui certi particolari arieggiano la natura morta, con una penetrante

15 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 16 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 17 Opera di GIOVANNI RUBINO, Questione di fame, 1965-66

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foto documentaria rileva la multiformità del reale, consentendo tutta una gamma di

possibilità interpretative.18

Figura 2 Questione di fame

Negli anni ’70 in particolare, il lavoro di Rubino ebbe un’esplicita

applicazione sociale, con la sua partecipazione a manifestazioni politiche di sinistra

e della lotta operaia per le quali ha prodotto manifesti, striscioni e alcuni murales.

Rubino continua dicendo: “In questi casi usavo la mia esperienza estetica per

potenziare la comunicazione visiva di messaggi politici, in quanto militante

coinvolsi anche altri artisti e li coordinai in un collettivo19 e con loro realizzai molti

murales a Milano.”20

18 UDO KULTERMANN, Nuove forme della pittura, a cura di Carlo Mainoldi, Feltrinelli,

Milano, 1969, p.18 19 Il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, approfondito nel capitolo 4.2 La

Galleria di Porta Ticinese e collettivo 20 GIOVANNI RUBINO, da http://www.farememoria.it/murales.swf

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Lea Vergine, nel suo L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-

1990, scrive dell’arte degli anni Sessanta e Settanta, per quanto riguarda l’utilizzo di

immagini e slogan ad ampio raggio, definendola pittura da leggere o anche poesia da

guardare. Insieme a Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci ed altri,

viene citato anche Giovanni Rubino. A proposito dei loro lavori la critica d’arte

scrive:

Lettere alfabetiche, ideogrammi, corsivi, arabeschi, immagini, geroglifici, combinati

in modo da scuotere il linguaggio e la lettura d'uso abituale, sono i "materiali" della

Poesia Visiva. Segni che significano se stessi e rimandano ad altro da sé,

consentendo interpretazioni mutevoli. A volte si tratta di esprimere un'idea più

prepotentemente, raddoppiando l'intensità del messaggio; si ricorre all'antitesi del

segno e della figura. […] Alle immagini vengono accostate scritte con sapore di

contrasto, aventi funzione di stimolo in vista del processo associativo che avviene in

chi guarda. Così ci si rende conto che il significato attribuito a quella parola scritta o

stampata o a quella immagine letta abitualmente in tutt'altro contesto è, alla fine,

solo frutto di un condizionamento associazionistico istituzionalizzato dalle

convenzioni dei media.21

21 LEA VERGINE, L’arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche 1960-1990, Skira,

Milano, 1999, pp. 107-109

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4. B-io-GRAFIA

Nell’inverno dello scorso anno, in occasione di una serata organizzata in un

circolo ARCI di Milano in cui veniva esposto e raccontato il suo lavoro artistico,

Rubino si fece intervistare e filmare seguendo una scaletta da lui preparata. È così

che nasce B-io-grafia, un filmato in cui l’artista ripercorre dalle origini fino ad oggi

le tappe più significative del suo percorso artistico, quelle opere che risultano essere

tutte “legate dal filo rosso”22 dell’impegno sociale e politico. Successivamente il

filmato è stato montato potendo inserire così anche delle immagini e alcuni tagli di

filmati in corrispondenza del parlato originale.

Il video, che dura circa quaranta minuti, è suddiviso in tredici capitoli e

ripercorre il suo lavoro artistico dalle origini, con la formazione del Collettivo di

Porta Ticinese e i primi progetti realizzati a partire dagli ultimi anni Sessanta fino

alle performance più recenti. Interessante poi, è stata anche la scelta di Rubino di

progettare lui stesso un filmato che raccontasse la sua vita e le sue opere, costruendo

una traccia per l’intervista, facendosi filmare e poi facendo montare tutto in un

video. La naturalezza e l’informalità dell’occasione lasciano trasparire la personalità

dell’artista, il filmato riesce quindi a raccontare e spiegare i suoi lavori in modo

esaustivo ma allo stesso tempo semplice e colloquiale.

Durante un nostro incontro, ho chiesto a Rubino se, a posteriori, avrebbe

preferito aver aggiunto o modificato qualcosa al filmato, la sua risposta è stata la

seguente:

Poiché allora l’intervista fu molto informale, non ho approfondito bene gli ultimi

periodi. Quello sulle lapidi, ad esempio, Farememoria: lì si accenna solo e non c’è

stato neanche modo di mettere altre immagini nel video. Ma quella sera avevo

sviluppato meglio l’argomento Mortedison, i murales, la storia di Agnelli e della

Galleria.23

22GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 23 Ibidem

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17

4.1 PORTO MARGHERA E MORTEDISON

Il 27 febbraio 1973, durante lo sciopero generale dell’industria contro la

nocività, in cui gli operai del petrolchimico della Montecatini Edison protestavano

per la loro condizione in fabbrica, Giovanni Rubino scese in piazza con i lavoratori

dell’Assemblea Autonoma di Porto Marghera, rendendo così quella manifestazione

un’opera d’arte. Da un volantino intitolato “Nocività e ipocrisia”, leggiamo la

protesta dei membri dell’Assemblea Autonoma, i quali si ribellavano dicendo che

Porto Marghera (Morto Marghera) non sarebbe mai stato un porto ecologico:

Vi sentiamo parlare della salvezza di Venezia, della natura e dell’ambiente. In

fabbrica invece vediamo come tutto questo sia falso, vediamo come si tratti di nuovi

trucchetti per convincerci a lavorare come vogliono i padroni. Gli operai hanno

sempre saputo quanto fosse schifoso il lavoro, l’ambiente, la società nella quale

sono costretti.24

Figura 3 Mortedison, Marghera, 1973

24 Volantino presente nel sito http://www.farememoria.it/mortedison.swf

Page 18: B-io-grafia di Giovanni Rubino

18

Rubino e il gruppo costruirono lì una croce a cui era legato un manichino

con una maschera antigas (figura 3),25 metafora della condizione degli operai in

fabbrica e simbolo di quello che essi non volevano diventare. Il progetto, inaugurato

il giorno prima alla galleria Apollinaire di Milano, una volta a Marghera fu presto

sequestrato dalla polizia; partecipò però alla Biennale di Venezia del 1976, nella sua

edizione dedicata all’ambiente sociale, organizzata e coordinata da Enrico Crispolti.

Su Montedison sono poi stati fatti diversi collage e fotomontaggi (figura

4),26 in cui il crocefisso, la scritta MORTEDISON e la maschera antigas sono stati

inseriti all’interno di alcune situazioni a loro estranee o non realizzabili veramente:

la maschera antigas addosso alla Gioconda, così come ad un bambino in spiaggia, il

crocifisso tra i cartelli di indicazioni stradali verso Porto Marghera, etc. Anche in

quest’occasione infine, è stato realizzato un prezioso filmato documentaristico che

mostra la costruzione della croce da parte degli operai e l’assemblaggio del

manichino insieme a Rubino e Corrado Costa.

Il suo contributo qui è importante non solo come opera artistica, ma

soprattutto in quanto azione militante politica contro l’inquinamento e la condizione

operaia. Mortedison rappresenta infatti per Rubino una tappa fondamentale; è infatti

questo il progetto pilota che ha permesso poi all’artista di raggruppare pittori e

intellettuali che facessero opere in sostegno alla lotta.

25 Ibidem 26 Ibidem

Page 19: B-io-grafia di Giovanni Rubino

19

Figura 4 Fotomontaggio per Mortedison

Qualche anno dopo Rubino è stato chiamato da un Collettivo di Vercelli per

fare anche lì un lavoro simile a quello fatto a Marghera, ma questa volta per lo

smantellamento delle fabbriche. Rubino ha scelto dunque di realizzare per

quest’occasione un dipinto sul tema dell’improduttività delle fabbriche e sulla

politica del carciofo, dunque dell’abbattere una cosa a poco a poco, una foglia dopo

l’altra, e in questo caso ogni foglia rappresenta un’azienda (figura 5).27 Qui la

parola-chiave è stata SMONTEDISON, riprendendo lo stesso gioco di parole usato a

27 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO su Mortedison

Page 20: B-io-grafia di Giovanni Rubino

20

Porto Marghera e con la stessa satira mostrata nell’occasione precedente. A questo

proposito cito le parole dello stesso Rubino, nel raccontarmi di questo progetto:

Qualche anno dopo Mortedison, fui chiamato a Vercelli, quindi all’altro capo del

nord Italia, dove c’era l’altro polo chimico. Allora però erano cambiati i tempi

quindi il mio lavoro non riguardava più il tema dell’inquinamento ma quello delle

fabbriche improduttive, la cosiddetta politica del carciofo, perché man mano

mettevano in disuso le fabbriche, a causa del calo della produzione chimica. Quindi

io fui chiamato da un collettivo di Vercelli e decisi di fare un murales su carta e,

poiché apparteneva allo stesso ciclo di Mortedison, facemmo un lavoro simile.

Come nel primo caso si trattava di morte, così in questo si trattava di smontare, usai

quindi qui lo stesso gioco di parole a formare poi “SMONTEDISON”.28

Figura 5 Murales Smontedison, Vercelli

28 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.

Page 21: B-io-grafia di Giovanni Rubino

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4.2 LA GALLERIA DI PORTA TICINESE E IL

COLLETTIVO29

Nel 1973, nasceva a Milano la Galleria di Porta Ticinese, tenuta da Gigliola

Rovasino, luogo che diventò ben presto un importante punto d’incontro per artisti,

critici e pubblico. Nel libro di Casero e Di Raddo è presente una descrizione di

quella zona di Milano, che, “negli anni Settanta, aveva una composizione politica

assai connotata”:30

Da piazza XXIV Maggio alle Colonne di San Lorenzo c’era la più alta

concentrazione di sedi politiche extraparlamentari d’Europa: il Manifesto in Corso

San Gottardo, Avanguardia Operaia in via Vetere (poi Democrazia Proletaria), Lotta

Continua e le femministe […], il Movimento Studentesco […], gli anarchici, il

primo storico covo delle Brigate Rosse, la sede della prima “Controinformazione”

[…] era nello stesso cortile della Galleria di Porta Ticinese.31

In quello stesso anno c’era

stato il colpo di stato in Cile così,

insieme alla gallerista Rovasino e al

poeta Corrado Costa, Rubino decise di

organizzare la Mostra incessante per il

Cile, contro l’operato di Pinochet. La

mostra, che oltre a lui coinvolse anche

molti altri artisti italiani, durò fino a quando, nel ’77, fu ristabilita la democrazia in

quel Paese. La mostra fu affiancata anche dalla realizzazione di un murales dai

colori vivaci, in piazza Duomo a Milano durante uno sciopero per il golpe in Cile

(figura 6).32

29 Nel filmato B-io-grafia “Galleria di Porta Ticinese” e “Il collettivo” rappresentano due

capitoli distinti, ho preferito riunirli qui per la vicinanza degli argomenti 30 ELISABETTA LONGARI in C. CASERO, E. DI RADDO, Anni ’70: l’arte dell’impegno, cit., p.64 31 Ibidem 32 Immagine da un filmato

Page 22: B-io-grafia di Giovanni Rubino

22

Gli artisti che avevano esposto le loro opere alla Galleria decisero poi di

riunirsi dando vita al Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese, decidendo così

di collaborare facendo interventi grafico-pittorici per la lotta di classe. Il collettivo,

infatti, a partire da quel primo progetto della mostra per il Cile, si impegnò sempre

nelle varie lotte politiche e sociali, criticando l’ideologia borghese, contribuendo

all’emancipazione del proletariato e arricchendo con i propri mezzi la

comunicazione politica. Fecero parte del collettivo, tra gli altri, artisti come Corrado

Costa, Gabriele Amadori, Roberto Sommariva.

Figura 6 Striscione per il Cile

Page 23: B-io-grafia di Giovanni Rubino

23

Le loro prime opere furono tre tele per contestare la venuta di Kissinger a

Milano del 4 novembre 1974 (figura 7),33 il mese successivo produssero invece un

grande telone satirico sul governo Moro e sull’autoriduzione dei prezzi,34 oltre a due

tele su Agnelli. Mentre nel gennaio del seguente anno parteciparono con alcuni

manifesti allo sciopero in FIAT, poco dopo furono fatti anche diversi murales per la

campagna MSI fuorilegge (figura 8),35 il Movimento Sociale Italiano infatti era

ritenuto allora una vera e propria ricostruzione del partito fascista. Sono davvero

molti i dipinti, su teloni, carta o muri fatti dal Collettivo, per impegno politico o

anche semplicemente per il recupero e l’abbellimento del centro storico di Milano

(figura 9).36

Figura 7 Telone su Kissinger, 1974

33 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO 34 Si veda capitolo 4.3 Il manzo aumenta mangeremo Agnelli 35 Immagine da un filmato di GIOVANNI RUBINO 36 Ibidem

Page 24: B-io-grafia di Giovanni Rubino

24

Per quanto riguarda la tecnica di realizzazione dei murale cito ancora Elisabetta

Longari:

Dei murales realizzati dal collettivo è importante chiarire la tecnica per certi versi

“classica”, perché fa uso della quadrellatura per riportare con il carboncino sul muro

lo schema della composizione precedentemente concepito in galleria dagli artisti. A

volte il disegno sommario tracciato su enormi rotoli veniva direttamente dipinto

sulla carta insieme alla gente e poi incollato al muro.37

Figura 8 Murales MSI fuorilegge

Figura 9 Murales per l’abbellimento del centro storico di Milano

37 ELISABETTA LONGARI in C. CASERO, E. DI RADDO, Anni ’70: l’arte dell’impegno, cit., p.64

Page 25: B-io-grafia di Giovanni Rubino

25

4.3 IL MANZO AUMENTA MANGEREMO AGNELLI

Come successe per i murales fatti a Marghera e Vercelli, allo stesso modo,

con l’uguale utilizzo di uno slogan creativo ed ironico messo in circolo a livello

nazionale, vennero progettati e poi realizzati alcuni dipinti per le autoriduzioni dei

prezzi. Giovanni Rubino, a proposito di questo suo lavoro scrive: “Il mio lavoro

(comunque) era anche una ricerca per un uso militante della comunicazione che

trovava applicazione visiva nel sociale, nello spazio delle lotte al capitale.”38

Lo slogan usato nel murales principale fu in questo caso l’originale “Il

manzo aumenta mangeremo Agnelli” (figura 10),39 ripreso da una frase scritta su un

muro di Padova e riutilizzato da lui insieme al Collettivo nel loro dipinto che venne

fatto nel 1974 su un muro del quartiere St. Ambrogio di Milano. Anche questa opera

fu riconosciuta dalla critica d’arte ed esposta alla Biennale di Venezia, alla

Quadriennale di Roma e, dallo Studio Marconi.

Per lo stesso argomento, il collettivo ha realizzato, oltre al murales, anche

due grandi tele satiriche su Agnelli: Agnelli visita una famiglia operaia (figura 11)40

e Agnelli, partenza, in cui l’Avvocato è rappresentato seduto alla stazione accanto

ad alcune signore impellicciate, quest’opera è stata poi richiesta ed acquistata dallo

stesso Agnelli. Le due tele furono utilizzate per delle esposizioni istituzionali come

ad esempio la quadriennale di Roma del 1976.

38 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 39 Immagine da http://www.farememoria.it/murales.swf 40 Tratta da un filmato di GIOVANNI RUBINO

Page 26: B-io-grafia di Giovanni Rubino

26

Figura 10 Murales, Milano, 1974

Figura 11 Tela fatta dal Collettivo, Agnelli visita una famiglia operaia

Page 27: B-io-grafia di Giovanni Rubino

27

4.4 IL MURALES DI GIOIOSA JONICA

Nel ’78 è stato richiesto a Rubino di fare un murales in onore di Rocco Gatto

(figura 12),41 mugnaio comunista che si era rifiutato di pagare il pizzo e di chi come

lui è morto dopo aver combattuto la ‘ndrangheta. Gatto aveva portato in tribunale

gli estorsori, consapevole che in questo modo avrebbe decretato la sua condanna a

morte.

Il murales dai vivaci colori è stato realizzato insieme a Corrado Armocida,

artista locale, sulla grande facciata di un cinema in Piazza Vittorio Veneto a Gioiosa

Jonica, ed è stato richiesto da un gruppo di “compagni gioiosani”.42 Rubino a questo

riguardo scrive:

In quanto artista della CGIL aderii all’invito e proposi un progetto valutato e

accettato dai compagni di Gioiosa e realizzato sul posto con artisti locali. Il murales

fu risolto con una tecnica visiva particolare: l’anamorfosi, per poter compensare la

visione unitaria dato che l’immagine era divisa dalle due facciate del cinema.43

Parlando del lavoro fatto qui contro la ‘ndrangheta durante un nostro

incontro, Rubino ha fatto un paragone con quello che Guernica era stato

quarant’anni prima contro il Fascismo, un’opera d’arte politicamente impegnata e

schierata, un’arte con una funzione sociale, di contestazione o per la pace o contro la

guerra e la prepotenza. Trent’anni dopo, nel 2009, sorprendentemente, è stato

richiesto all’artista di restaurare il murales, sentito fortemente dalla città come

Quarto Stato dell’anti ‘ndrangheta e testimonianza dello sforzo dei calabresi nella

lotta per la legalità e la giustizia sociale.

41 Immagine da http://www.farememoria.it/murales.swf 42 GIOVANNI RUBINO, http://www.farememoria.it/murales.swf 43 Ibidem

Page 28: B-io-grafia di Giovanni Rubino

28

Figura 12 Murales per Rocco Gatto a Gioiosa Jonica

Page 29: B-io-grafia di Giovanni Rubino

29

4.5 PAC

Nel luglio del 1993 un attentato di origine mafiosa fece esplodere

un’autobomba nei pressi del Padiglione di Arte Contemporanea di Milano,

provocando cinque morti.

Dopo aver partecipato alla

manifestazione spontanea fatta a Milano il

giorno dopo l’esplosione, Rubino si è sentito

di dover fare però anche qualcosa in quanto

artista, non solo come cittadino. Per

quest’occasione quindi, ha scelto di

partecipare a quel dramma, restando lì a

dipingere in presa diretta, in modo

volutamente vistoso, portandosi quindi anche

il cavalletto di solito non usato, per la ventina

di giorni successiva all’esplosione. Rubino a

torso nudo e con una bandana in testa era lì ad

attirare l’attenzione su quel dramma (figura

13):44 il suo corpo a rappresentare il segnale

vivente di attenzione sull’avvenuto, sensibilizzando e drammatizzando. Parlandone,

Rubino dice:

Io quella notte non sentii gli scoppi ma venni a sapere dalla radio cos’era successo

quindi il mattino dopo ho pensato che sicuramente avrebbero fatto una

manifestazione e ci andai. Manifestando in quel grosso corteo, mi sono subito detto

“devo fare qualcosa”. Io infatti ho sempre cercato come militante di aggiungere

anche un contributo personale e quindi come artista, facendo o un manifesto politico

o un murale o ideando un’azione che potesse collaborare e aggiungere attenzione su

quel fenomeno. Allora cominciai sin da subito a filmare e decisi che avrei fatto

un’azione, cioè mi sarei messo lì a dipingere durante quella ventina di giorni.

44 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, B-io-grafia, 2010

Figura 13 Giovanni Rubino davanti alla Galleria d’arte contemporanea distrutta

Page 30: B-io-grafia di Giovanni Rubino

30

Io disegnavo, facevo il vedutista moderno, allo stesso tempo però usavo anche il

corpo come segnale perché io ero lì tra quelle rovine a torso nudo, con una bendana

tra i capelli, con anche il cavalletto, insomma facevo un po’ di teatro. Questo

serviva anche ad attirare l’attenzione perché ci si chiedeva come mai un artista se ne

interessasse, cioè la gente pensava “la cosa è così forte che c’è anche un artista che

ci da una mano a drammatizzarla”, potenziando in questo modo l’attenzione su un

fatto così grosso e politico, perché in effetti quello era un messaggio della mafia.45

L’uso del corpo come segnale ricorda la corrente Fluxus degli anni

Sessanta,46 in cui il corpo era inteso “non più soltanto come strumento ma come

oggetto dell’intervento artistico, condizione di un «fare», di qualcosa che avviene

nel tempo prima ancora che nello spazio, e che si connota esso stesso come opera”.47

Questo riguarda in particolare opere come quella fatta da Beuys nel 1962,48 in cui

l’artista si è fatto “interprete della crisi sociale in atto”49 diventando egli stesso una

“scultura sociale”.50 La tematica sociale e politica fortemente presente in Giovanni

Rubino era una problematica presa in considerazione anche dal movimento artistico

Fluxus, soprattutto a partire dagli ultimi anni Sessanta.

Cito a proposito della performance fatta qui dall’artista anche un articolo di

Vittorio Fagone il quale, vedendolo dipingere tra i resti della Galleria, scrisse:

Giovanni Rubino ha ritrovato il senso delle rovine in luoghi, modi ed espressioni

che, a prima vista, possono apparire paradossali. […] Rubino non si dichiara fuori

dallo scenario drammaticamente crollato e sovvertito. L’artista, a torso nudo e con

una benda in testa, si aggira tra le rovine come un sopravvissuto che cerca reliquie

salvabili. Disegna e dipinge da posizioni precarie, spesso attorniato da una piccola

folla di curiosi, da sopra la colonnina del distributore di benzina di via Palestro, dal

45 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 46 Si veda anche il capitolo 3, Contestualizzazione 47 M. CORGNATI, M. E. LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni sessanta, cit., p. 22 48 Opera di JOSEPH BEUYS, E in noi…sotto di noi…sotto terra, 1965 49 M. CORGNATI, M. E. LE DONNE et al., Arte contemporanea, vol 2. Anni sessanta, cit., p. 22 50 Ibidem

Page 31: B-io-grafia di Giovanni Rubino

31

cassone di un camion che trasporta detriti, da una bicicletta sulla quale sta a

cavalcioni e anche su un improbabile “cavalletto da campagna”.51

Anche in questo caso l’artista ha realizzato e fatto realizzare alcuni filmati;

quello di Fabrizio Garghetti, in particolare, montato con la regia di Giovanni Rubino

con il titolo di La calda estate del ’93,52 è un precursore dei filmati che saranno poi

realizzati durante la guerra in Bosnia. Le immagini reali delle rovine, sovrapposte a

quelle dell’artista durante i suoi spostamenti in bicicletta, o circondato da persone

incuriosite, o impegnato a dipingere, o alle riprese dei dipinti stessi (figura 14),53

rendono il video un’ansiogena testimonianza di quell’evento drammatico. Fagone a

questo proposito continua:

Costruito con un felice uso della sezione sonora e con raffinate tecniche di

montaggio, il video mostra quasi di continuo, ma in trasparenza, il frenetico

disegnare e dipingere di Rubino. Le diverse prospettive delle rovine, il “va e vieni”

dei mezzi di scavo, l’aggirarsi dell’artista quasi sperduto, il mescolarsi della cronaca

[…] con l’apparizione rassicurante degli incolumi e candidi Sette savi di Fausto

Melotti, rendono un’atmosfera che risulta tragicamente consueta e imprendibile

distanziamento immaginativo.54

51 VITTORIO FAGONE, Pac, e le rovine ispirano la mano dell’artista, Avvenire, 20-10-93 52 GIOVANNI RUBINO, FABRIZIO GARGHETTI, La calda estate del ’93, 1993 53 GIOVANNI RUBINO, 1993 54 VITTORIO FAGONE, Pac, e le rovine ispirano la mano dell’artista, cit.

Page 32: B-io-grafia di Giovanni Rubino

32

Figura 14 Dipinto per il P.A.C, Milano, 1993

Page 33: B-io-grafia di Giovanni Rubino

33

4.6 SARAJEVO

4.6.1 Contesto di guerra

Tra il 1991 e il 1995 una serie di conflitti armati hanno coinvolto i diversi

territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, causandone

infine anche lo scioglimento. Essi ebbero origine dal nazionalismo imperante nelle

diverse repubbliche (in particolare in Serbia, Croazia e Kosovo), già a partire dalla

fine degli anni ’80 ed anche da motivazioni economiche, politiche e religiose che

portavano a voler mettere fine all’esperienza della Repubblica Socialista Federale di

Jugoslavia.

Le stime parlano di novantaquattromila nomi, tra soldati e civili morti nella

guerra. Di questi oltre sessantamila sono bosgnacchi (68%), ovvero cittadini di

religione musulmana, i quali risultano essere le principali vittime del conflitto,

seguiti dai caduti serbi (26%) e poi ancora da quelli croati (5%).

Un esempio di arte impegnata sollecitata dalle realtà politiche e dalla storia,

un antesignano nel cinema dei disegni di Giovanni Rubino sulla guerra in Bosnia, è

La battaglia di Algeri, film del 1996 diretto da Gillo Pontecorvo. Il regista in quel

caso infatti, era stato incaricato dallo Stato di produrre un’opera per la memoria del

raggiungimento dell’indipendenza dell’Algeria dalla Francia. Ed è questa dunque

l’arte come la intende Rubino, l’arte che può avere una valenza politica, un’utilità

sociale, che non è solamente arte per la ricerca ma arte applicata, in rapporto con le

realtà politiche e sociali della Storia. Nel catalogo Io volontario dell’arte a Sarajevo,

il direttore della fotografia di La battaglia di Algeri, Marcello Gatti, entusiasta,

scrive di quanto le opere di Rubino (figura 15)55 gli facciano rivivere i momenti

vissuti da lui in Algeria:

Giovanni caro, ho veduto le due opere (video) che presentasti a Bellaria

(Anteprima), girato, disegnato con mani Michelagiolesche, dai modo alla fantasia di

55 Disegno di Giovanni Rubino, immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, Io,

volontario dell’arte a Sarajevo, 1995

Page 34: B-io-grafia di Giovanni Rubino

34

volare, sprigionarsi in libertà, questi disegni e realtà, si sente anche l’odore; mi

ricordano cose accadute a me anni fa, carcere, confine, contatti con guerriglieri

venezuelani, sembrava che affianco avevi Pierpaolo Pasolini: è un’opera d’autore.

Opere inedite, amalgami l’arte e la tragedia. (…) Mi hai ricordato Guttuso, foglio

bagnato con i tuoi schizzi, carro armato, fotocopiatrice. È un enorme

bombardamento d’immagini come un mosaico, ci hai fatto partecipare anche a noi,

lo stesso tuo fiatone l’avevo anche io vedendolo. (…) Ha lo stesso ritmo del tuo

cuore, del tuo essere, come ti presenti a noi. (…) Sono certo che anche un cieco con

il suo tatto, vedrebbe, sentirebbe, le tue pitture.56

Figura 15 GIOVANNI RUBINO, disegno di un soldato italiano in Bosnia, 1995

56 MARCELLO GATTO in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, 1995

Page 35: B-io-grafia di Giovanni Rubino

35

4.6.2 Io volontario dell’arte a Sarajevo

L’esperienza di Sarajevo viene da quella del P.A.C., così come anche la tecnica

pittorica utilizzata per realizzare le pitture in diretta fu la stessa usata per

l’esplosione alla Galleria di Milano. I due lavori sono collegati, infatti fu proprio

facendo la mostra del P.A.C. che decisi di andare a Sarajevo. Un gallerista mi disse

che quel modo così caldo e descrittivo, per delle situazioni così, avrei potuto

utilizzarlo anche per la guerra in Bosnia, ecco perché io poi mi sentii in dovere di

andare. L’esperienza è quindi parallela, Sarajevo ha il debito verso l’esperienza

pilota del P.A.C. che lo precede di due anni.57

Queste le parole dell’artista parlando, durante un nostro incontro della sua

esperienza di guerra. Fu spinto quindi da un “imperativo morale”58 Rubino, quando

andò in Bosnia la prima volta tra l’agosto e il settembre del 1995, proprio nei giorni

del tanto atteso arrivo degli aerei NATO, tappa decisiva per la fine di quella guerra.

Per intraprendere questo viaggio si è affiancato ad un convoglio di aiuti di volontari

per la pace, riuniti nell’associazione Sprofondo.

Quest’esperienza è stata molto importante per lui, perché ha fatto riaffiorare

nella sua mente i ricordi della seconda guerra mondiale vissuta durante l’infanzia

permettendogli di ricostruirli. La vita nei ricoveri, le malattie, la fame, l’arrivo degli

americani a Napoli: sono stati anche questi suoi ricordi a spingerlo ad andare, quella

“emozione biografica”,59 quella sua profonda conoscenza della situazione.

Partito con l’obiettivo di disegnare i principali luoghi storici distrutti dalla

guerra, come la Biblioteca di Sarajevo, “simbolo della cultura offesa”60 (figura

16),61 ha realizzato qui, oltre ai tantissimi dipinti, anche un video-diario del viaggio

e della sua permanenza in Bosnia. Durante quei giorni ha disegnato tutto quello che

57 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit. 58 Ibidem 59 Ibidem 60 FRANCESCA PENSA in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, 1995 61 Dipinto di GIOVANNI RUBINO, 1995

Page 36: B-io-grafia di Giovanni Rubino

36

ha visto e vissuto: dalle scene di fame, ai convogli di guerra (figura 17),62 ai resti dei

bombardamenti, agli scoppi delle granate, ai morti.

Figura 16 GIOVANNI RUBINO, dipinto della biblioteca di Sarajevo distrutta, 1995

Interessante l’intervento di Francesca Pensa, insegnante collega di Rubino,

contenuto nel diario Io, volontario dell’arte a Sarajevo, a proposito del video e dei

disegni dell’artista:

Il video di Giovanni Rubino propone una testimonianza diretta della tragedia di

Sarajevo e della guerra nella ex-Jugoslavia. […] Il valore e l’efficacia anche

didattica di questo lavoro è riconoscibile infatti a diversi livelli. Il primo di essi è

proprio quello della memoria che non deve essere cancellata, dal ricordo che deve

restare come concreta e indelebile prova dell’orrore accaduto alla incredibile

vicinanza dei nostri confini, nella civile e ricca Europa. La seconda e importante

funzione dell’opera è quella di cercare di chiarire attraverso l’evidenza delle

immagini le complesse dinamiche e ragioni di questo conflitto, nato in un Paese nel

quale la coabitazione di popoli e religioni diverse è stata la causa deflagrante di una

62 Dipinto di GIOVANNI RUBINO, 1995

Page 37: B-io-grafia di Giovanni Rubino

37

guerra e di un conflitto dirompenti. Ma la funzione forse più importante è quella

poetica: il video si propone soprattutto nella prima parte, come versione lirica degli

accadimenti reali. Il taglio delle inquadrature, la loro frequente mancata messa a

fuoco, il sovrapporsi di disegni e di immagini del reale trasformano la cronaca in un

racconto epico, nel quale l’emozione trasfigura la tragedia della guerra, senza

tuttavia cancellarne l’orrore.63

Il video-documentario ci mostra i suoi spostamenti, gli incontri con i soldati

italiani per strada o nelle caserme, le sue visite agli ospedali e ai ricoveri e lo

vediamo anche, ripreso da altre mani, disegnare i resti delle città bombardate.

Figura 17 Un soldato italiano in Bosnia, 1995

Il filmato, come accennato nel capitolo precedente, ricorda molto nello stile

quello realizzato per l’esplosione del Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano;

già a partire dai primi secondi di ripresa infatti, vediamo due scene simili, che

63 F. PENSA in GIOVANNI RUBINO, Io, volontario dell’arte a Sarajevo, cit.

Page 38: B-io-grafia di Giovanni Rubino

38

riportano l’una all’altra: nel primo un fiammifero illumina un dipinto e poi si

accende in una fiammata, nel secondo una candela brucia il dipinto di un edificio

bosniaco. Entrambi dunque iniziano in quella stessa stanza buia, illuminata dalle

sole fiamme, ed entrambi raccolgono drammatici scorci documentaristici, alternati

ad altri in cui l’artista dipinge. Inaspettato e commovente è invece l’episodio del

filmato in cui Giovanni Rubino, sceso dal suo furgone, trova un libro di poesie sul

ciglio della strada, a ridosso di un campo di mine.

Page 39: B-io-grafia di Giovanni Rubino

39

4.6.3 Il ruolo della donna

Sappiamo che tra le prime vittime della guerra in Bosnia Erzegovina ci sono

le donne che, tra il ’92 e il ’95, hanno subito enormi danni fisici e psichici. Sono più

di ventimila infatti le donne stuprate e circa cinquecento i figli nati da quelle

violenze.

Venivamo ammazzate, gettate nelle fosse comuni. Venivamo stuprate, arrestate,

incarcerate nelle prigioni e nei campi, torturate, usate da scudo vivente. Venivamo

obbligate al lavoro forzato, scacciate a forza dalle nostre città e villaggi, derubate

dei nostri averi e in mille altri modi umiliate brutalmente. Non di rado le bambine

tra i dodici e i quattordici anni venivano forzatamente separate dalle loro famiglie e

condotte in luoghi speciali dove venivano sottoposte, da parte dell'aggressore, a

orribili sevizie, stupri ed altre forme di tortura, compresa la mutilazione fisica e

l'assassinio.64

Questo il frammento di un articolo pubblicato da Amnesty International per

la campagna Mai più violenza sulle donne, citando un intervento a cura di Bakira

Hasecic, Amna Kovac, Adila Kovacevic, dell'associazione bosniaca Donna vittima

della guerra. Lo stupro etnico è stato usato come arma di guerra, come strategia per

eliminare un popolo, fecondando le donne bosniache con seme serbo, sottomettendo

così una collettività umana attraverso le sue donne. Questo meno di vent’anni fa, a

due passi dal nostro Paese.

64 http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Italia/Guerra-in-Bosnia-la-violenza-sulle-donne,

BAKIRA HASECIC, AMNA KOVAC, ADILA KOVACEVIC, Guerra in Bosnia: la violenza sulle

donne, consultato il 24.10.10

Page 40: B-io-grafia di Giovanni Rubino

40

4.6.4 Corpo di guerra

È soprattutto da questo tipo di violenza sulla donna, che ricorda le torture e

gli “esperimenti” fatti nei campi di concentramento nazisti, che Rubino è rimasto

colpito, vedendo le immagini attraverso già dalla televisione, ancor prima di arrivare

sul posto. Ed è dall’uso spietato che è stato fatto del corpo della donna come terreno

di battaglia che nasce Corpo di guerra (figura 18),65 cortometraggio che ha

realizzato nel 1998.

Nel filmato vediamo un soldatino giocattolo che avanza carponi sopra il

corpo nudo di una donna, suo campo di battaglia; è quindi questo rigido

accostamento dei due elementi di per sé lontani a creare il senso del filmato. In

trasparenza, come anche negli altri filmati visti, scorrono alcune intense illustrazioni

dell’Artista e in sottofondo audio solo un ritmo sonoro ripetitivo per dare

drammaticità alle immagini. Il video è breve ma martellante, così da risultare

ripetitivo e di forte impatto: i movimenti meccanici del soldatino sul corpo nudo e

indifeso di una donna angosciano infatti lo spettatore. Il simbolismo del

cortometraggio, cioè l’uso che viene fatto qui della donna come “terreno”, ricorda

poi l’ottica surrealista dei paesaggi ambigui di alcuni dipinti di Dalì. L’essenzialità e

l’immediatezza di questo filmato hanno permesso all’artista di partecipare a diversi

concorsi, anche all’estero, ricevendo ovunque numerosi apprezzamenti.

65 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, Corpo di guerra, 1998

Page 41: B-io-grafia di Giovanni Rubino

41

Figura 18 Tratto dal filmato Corpo di guerra

Page 42: B-io-grafia di Giovanni Rubino

42

Page 43: B-io-grafia di Giovanni Rubino

43

4.7 KIEV

All’indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004, svoltesi in

Ucraina, si sviluppò un movimento di protesta per chiedere la cancellazione del

risultato elettorale, che dava vincitore Janukovyc. La maggioranza dei deputati

infatti, contestava i risultati che sarebbero stati manomessi da significativi brogli.

Quella fu la sommossa che passò poi sotto il nome di rivoluzione arancione, dato il

colore adottato dall’avversario Juscenko, e dai suoi sostenitori. Centinaia di migliaia

di contestatori scesero quindi nella piazza principale di Kiev e la occuparono per più

di un mese, fino a quando il risultato elettorale non fu invalidato e furono fissate le

nuove elezioni.

Rubino per l’occasione andò a Kiev, con l’intenzione di restare solo qualche

giorno, ma vi rimase per l’intero mese, passando le sue giornate e talvolta anche le

notti, nella tendopoli che si era creata in piazza. Oltre ai disegni e ai dipinti realizzati

lì (figure 19, 20),66 ha voluto anche questa volta registrare alcuni episodi della vita

da campo degli arancioni e della loro rivoluzione. Il filmato, Capodanno a Kiev,67 è

un questa volta più documentaristico, non contiene dunque intramezzi con immagini

dei suoi dipinti se non alla fine e non è stato aggiunto un particolare audio in un

secondo momento. Il filmato è dunque molto grezzo ma è interessante perché ci

mostra comunque alcuni episodi particolari, che sono stati notati ed evidenziati

dall’occhio dell’artista.

66 Immagini tratte dal filmato GIOVANNI RUBINO, Capodanno a Kiev, 2005 67 Filmato di GIOVANNI RUBINO, Capodanno a Kiev, 2005

Page 44: B-io-grafia di Giovanni Rubino

44

Figura 19 GIOVANNI RUBINO, dipinto sulla vita da campo a Kiev, 2005

Figura 20 GIOVANNI RUBINO, dipinto sulla vita da campo a Kiev, 2005

Page 45: B-io-grafia di Giovanni Rubino

45

4.8 FAREMEMORIA

Farememoria è un progetto nato dalla partecipazione di Rubino a una mostra

di pittura sulle lapidi dei caduti della resistenza. Per quell’occasione infatti, l’artista

aveva deciso di fare una performance a partire dalla lapide di Alessandro Lugaresi,

che si trova proprio sulla strada in cui abita. Quella sua opera consisteva nel

ricalcare su un foglio di carta bianco i rilievi della lapide con la tecnica del frottage,

ovvero sovrapponendo il foglio alla lapide e sfregando la superficie con una matita.

Questa performance per essere documentata aveva bisogno però di essere

fotografata e ripresa, da qui la collaborazione di Rubino con un primo artista della

fotografia.

Figura 21 Foto di Ferdinando Scianna

Dopo quest’esperienza Rubino ha pensato di allargare il suo lavoro, con

nuove lapidi e nuovi fotografi, spostandosi in giro per l’Italia e all’estero, e ridando

così vita al ricordo dei giovani morti in passato per la nostra libertà, con un

linguaggio assolutamente nuovo. Così come era stato anche per il PAC, è ancora più

evidente qui il ruolo dell’artista come colui il quale attira l’attenzione su un

Page 46: B-io-grafia di Giovanni Rubino

46

problema, mettendo in evidenza in questo caso le lapidi, a cui nessuno ormai faceva

più caso.

Del catalogo di Farememoria, tra i vari interventi, particolarmente

interessante quello di Giusi Busceti che descrive il percorso di Rubino come fosse

una via crucis:

Qui l’essenziale è non dimenticare, e alla sua maniera: alle ossa. Così la matita deve

toccare quest’ultima vita materiale, le “ultime lettere” di questi condannati a morte,

eroi per forza o per coraggio; ultime lettere, però, della lingua del mondo sulle loro

ossa: le lapidi. Le più dimenticate, dissimulate sotto un cartellone pubblicitario o

dall’insegna di un ristorante. L’artista ne inventa un dies irae, un giorno della

resurrezione, va a “scoprirle”, queste icone dell’addio: e ci conduce tutti con sé, a

scoprirle. […] E dunque eccoli, tutti i movimenti di un Requiem, celebrato ora

anche per i più oscuri caduti. Ecco le facce un po’ stupite o perplesse che guardano

per le strade, che assistono a tutte le stazioni della via crucis laica ma colma di

religiosa attenzione di Giovanni Rubino: svolte, portoni, strade ghiacciate dopo folta

nevicata di città, fermate del bus e stazioni del metrò sono le tappe di un uomo che

segue l’uomo, portando non la croce (che, quella, la portarono i caduti) ma la scala.

Alta, pesante, ingombrante, imbarazzante, scomoda compagnia che fa da bordone a

tutto il coro dei morti di quest’opera-video: che nessuno, più nessuno possa

ignorarla, che tutti vengano un po’ infastiditi dalla sua immagine di durezza e

spigolosità; che sia di scandalo, insomma, alla quiete pubblica: anche solo per la

semplicità di un gesto – lo scendere e salire quella scala, come di chi sta costruendo

una casa – che si fa rito, ossessivamente ripetuto, sempre uguale, fino allo

sfinimento che a tratti coglie lo spettatore. Sfinimento che dura un attimo per noi

ma, per chi si alza ogni mattina all’alba per salire su una impalcatura che a volte

diventa il suo patibolo, tutta la vita.

Fare memoria: sembra piatta una lapide, finche non ci trascini sopra una matita, che

evidenzia tutti i rilievi, tutte le asperità, i nervi scoperti di tutti i nomi, direbbe

Saramago, fisici della condizione umana, del corpo che non rifugge la morte. Fare

memoria: non è solo un tributo artistico mettersi al fianco, condividere la sorte di

chi scala il suo calvario. Non dimenticate quella scala, è la medesima che Rosso

Fiorentino, Pontormo o Tintoretto appoggiano alla croce. Per aiutare “la

deposizione” di quei corpi verso l’onore della sepoltura; e chi è sopravvissuto a

ricevere tra le braccia il peso di un dono estremo che, raccolto da un testamento

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artistico, diventa memoria: ciò che non si cancella.68

Al progetto hanno collaborato fotografi illustri come: Ferdinando Scianna

(figura 21),69 Gianni Berengo Gardin, Cesare Colombo, Juliaan Hondius, Livio

Nepi, Giorgio Vianini, Barry Lewis (figura 23)70, Renzo Chiesa, Vincenzo Dragani,

Giovanni Ricci, Fabrizio Garghetti, Luciano Ferrara, Mario De Biasi, Paola Mattioli

(figura 22),71Angelo Golizia, Isabella Balena, Laura Elina Larmo, Antonio Ria.

Anche su Farememoria inoltre è stato fatto un filmato, il quale è una raccolta

di riprese cinematografiche e fotografie di alcune performance fatte a Milano tra il

2005 e il 2006, con l’aggiunta di varie interviste a protagonisti della resistenza o a

conoscenti dei caduti. Ad oggi Rubino si mostra ancora disponibile a continuare

quest’opera, Farememoria è quindi una collana di un lavoro che ancora non si è

concluso, una serie aperta.

68 GIUSI BUSCETI nel catalogo GIOVANNI RUBINO, Farememoria, Milano, 2006 69 FERDINANDO SCIANNA, Milano 70 BARRY LEWIS, Milano 71 PAOLA MATTIOLI, Milano, 2006

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Figura 22 Foto di Paola Mattioli

Figura 23 Sequenza di foto di Barry Lewis

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4.9 IL MURALES ALL’ALFAROMEO

Nel ‘78 fu organizzato un 25 aprile all’interno della fabbrica dell’Alfaromeo

di Arese, occasione per cui furono invitati a partecipare diversi licei artistici per

dipingere una sala della struttura. Rubino, che era iscritto al sindacato degli artisti ed

assistente di un professore in un liceo artistico di Milano, preparò il progetto per un

murales e accolse quindi l’iniziativa. Rappresentò quindi una serie di tappe della

storia operaia, a partire da alcune scene della resistenza, passando poi alla

ricostruzione di Sesto e delle grandi fabbriche fino al femminismo di quegli anni

(figura 24).72 Il murales fu realizzato anche in questa occasione con la tecnica

dell’anamorfosi, in modo da riuscire a coinvolgere tutto l’insieme della sala,

estendendo le figure su più lati e sul soffitto. Anche gli operai parteciparono,

contribuendo alla realizzazione del dipinto insieme a Rubino e ai suoi studenti.

L’artista lo scorso anno è potuto tornare nella fabbrica dismessa, facendo

foto e filmati al murales ancora intatto dopo trent’anni, e documentando anche gli

immensi spazi vuoti dei capannoni abbandonati.

72 Immagine tratta dal filmato di GIOVANNI RUBINO all’Alfaromeo, 2009

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Figura 24 Murales all’Alfaromeo

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5. ALTRE OPERE

Di seguito analizzerò brevemente quelle opere che, sebbene nel filmato B-io-

grafia occupino un capitolo intero, dai materiali a disposizione non è possibile

trattare in maniera adeguatamente approfondita.

Per quanto riguarda il lavoro non impegnato dell’artista, invece, non presente

quindi nella video intervista usata da traccia per questa tesi, cito letteralmente le

parole di Rubino da una mia intervista fatta nell’ottobre di quest’anno:

Ho fatto anche lavori basati su figurazioni autobiografiche, quindi io rappresentato

in vari topoi iconografici della pittura del genere ad esempio de La conversione di

San Paolo di Caravaggio oppure io con la donna; quindi una serie di icone

pittoriche di sempre della storia dell’arte. Per il resto ho sempre fatto opere che

avessero un contenuto: ho fatto parecchi quadri e anche molti video sul ciclismo,

alcuni anche molto belli, oppure su visioni Daliniane, doppie immagini, paesaggi

antropomorfi, rocce che sembrano figure umane, etc. Poi ho lavorato anche sulla

moneta, questo anche è un tema politico, era al tempo di Mani Pulite che feci tutto

questo ciclo di lavori e anche un video che si chiama Vendere cara la pelle

sull’icona della moneta.73

73 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.

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5.1 MARXCUPOLA

Il primo capitolo di B-io-grafia è dedicato a due lavori fatti da Rubino tra gli

anni ’60 e ’70. Il primo è Marxcupola è un progetto che fece parte di una serie di

opere esposte alla Galleria di Porta Ticinese per la polemica su Testori nel ‘78. Il

lavoro consiste nella rivisitazione laica di un dipinto del Sacro Monte di Varallo, un

insieme di cappelle “popolate da affreschi e sculture che raccontano la vita di Cristo,

realizzate fra la fine del XV e il XVIII secolo dai maggiori artisti piemontesi e

lombardi”.74 Nel suo dipinto Rubino però rappresentò l’icona Marx, con un sistema

grafico in cui l’immagine traspare da una serie di cerchi concentrici (figura 25).75

L’immagine di Marx divenne un affresco virtuale quando Rubino partecipò ad una

mostra in una chiesa sconsacrata e proiettò l’immagine sul soffitto.

Figura 25 Marxcupola

74 http://www.sacromontevarallo.eu 75 Immagine tratta da un filmato di GIOVANNI RUBINO

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5.2 CHAMPAGNE MOLOTOV76

Champagne molotov (figura 26),77 secondo protagonista del primo capitolo

della videointervista è un “multiplo del movimento”,78 un’icona riproducibile in

serie, pensata come simbolo politico del ’68 e oggetto da vendere nei festival politici

giovanili. In questo caso furono preparate una serie di bottiglie di Champagne alle

quali erano stati legati dei fiammiferi antivento e diverse etichette riportanti alcune

date in cui la bomba molotov era stata usata in atti terroristici. Quelli erano gli anni

della strategia della tensione, tra il ’68 e il ’74 infatti furono più di cento gli attentati

in Italia; uno tra i più gravi quello a Piazza Fontana del 12 dicembre, data riportata

in un’edizione della bottiglia di Rubino. Le bottiglie furono presentate alla Biennale

di Venezia del ‘76.

Figura 26 Bottiglia Champagne Molotov

76 Marxcupola e Champagne Molotov rappresentano in B-io-grafia un unico capitolo che qui

ho preferito dividere 77 GIOVANNI RUBINO, 1968 78 GIOVANNI RUBINO, intervista, 2010, cit.

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5.3 ISRAELE

In B-io-grafia uno tra gli ultimi capitoli è dedicato all’esperienza di Rubino

in Israele. Durante un viaggio per interessi personali infatti, l’artista si è spinto

anche in zone a rischio come la striscia di Gaza e lungo i confini con il Libano,

documentando anche qui con disegni (figura 27)79 e filmati il visto e il vissuto. Le

riprese fatte non sono ancora state selezionate e montate, però è interessante che

l’artista anche quando in viaggio per motivi personali non dimentichi mai di

rappresentare artisticamente la realtà incontrata.

Figura 27 Il muro del pianto

79 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO, B-io-grafia, cit.

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5.4 LA LOTTA CHE PAGA

Rubino continua ancora oggi a dare il suo contributo di documentatore

creativo (figura 28),80 partecipando ad esempio, nell’agosto dello scorso anno alla

manifestazione sorta davanti all’INNSE di Lambrate durante lo sciopero contro la

chiusura della fabbrica. Anche in questa occasione ha realizzato alcuni filmati,

ancora non montati, e vari disegni.

Figura 28 Giovanni Rubino all’INNSE

80 Immagine tratta dal filmato GIOVANNI RUBINO all’INSSE, 2009

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6. CONCLUSIONI

Ho ripercorso nel mio elaborato le opere con un valore sociale o politico di

Giovanni Rubino, scoprendole attraverso l’autore stesso e i materiali di cui lui mi ha

potuta fornire. È stato interessante notare come quasi tutti i momenti importanti del

suo operato artistico siano stati ripresi da una telecamera, come se, più ancora

dell’opera stessa, e quindi del dipinto o della performance, fosse importante la scelta

dell’evento storico e l’atto stesso di chi lo rende opera d’arte.

L’occhio dello spettatore diventa l’occhio del passante che, attirato dalla

figura dell’artista, riscopre o ricorda un periodo storico. Farememoria81 è forse il

caso più tangibile: sono talmente tante le lapidi sulle nostre strade che è difficile

ormai farci caso, ma Rubino su una scala intento a ricalcarle, un filmato, una foto,

possono certamente aiutare ad attirare lì la nostra attenzione. Una volta sensibilizzati

da queste immagini risulta naturale far caso, muovendosi nelle città, ai tanti segni

lasciatici dal passato cui normalmente non avremmo fatto caso. È questo che è

successo a me, ed è così che mi sono sentita io, richiamata a prestare attenzione alle

questioni sociali e politiche affrontate dall’artista. Ed è questo l’obiettivo che, a mio

parere, traspare dalla maggior parte dei suoi filmati, quelli in cui Rubino si fa

riprendere, o altre volte ancora lo fa da solo, improvvisando dei disegni o anche

facendo solo finta, dando rilievo al movimento della sua mano più che al risultato

finale: vedere i filmati non ancora tagliati e montati mi è stato utile per far caso

proprio a questi momenti.

Giovanni Rubino, si caratterizza e distingue da molti altri artisti

contemporanei per la scelta di essere sempre protagonista della sua arte non solo in

quanto creatore ma anche come oggetto della stessa. Infatti in tutti i suoi filmati lo

vediamo presente e in azione e questo per trasformare un evento sociale e politico,

quindi di per sé avulso dall’arte, in un’opera di valore artistico.

81 Si veda il capitolo 4.8 Farememoria

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I suoi lavori sono talmente tanti che è stato difficile approfondire tutti quanto

avrei voluto, cosa che spero però di riuscire a fare in futuro; ho preferito quindi

descrivere dall’inizio alla fine il suo percorso, nel modo più completo possibile. È

stato per me importante e bello conoscere Rubino e aver avuto così l’opportunità,

attraverso lui e i suoi lavori, di venire in contatto con situazioni sociali e culturali

che prima non avevo preso in considerazione.

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7. BIBLIOGRAFIA

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• GIOVANNI RUBINO, Farememoria, 2005

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• GIOVANNI RUBINO, Filmato all’Alfaromeo trent’anni dopo, 2009

• GIOVANNI RUBINO, Filmato all’INNSE, 2009