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PHARMACEUTICAL CARE: SFIDA PER LA FARMACIA DEL FUTURO Giancarlo Nadin INSIEME PER LA SALUTE DEL CITTADINO

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PHARMACEUTICAL CARE:SFIDA PER LA FARMACIA

DEL FUTURO

Giancarlo Nadin

INSIEME PER LA SALUTE DEL CITTADINO

Giancarlo Nadin

PHARMACEUTICAL CARE:SFIDA PER LA FARMACIA

DEL FUTURO

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PREFAZIONE

Il Pharmaceutical Care (PhC), una forma evoluta di assistenza farmaceutica basata sul ruolo centrale della farmacia nel

monitoraggio delle terapie croniche, è ormai un modello di riferimento per le farmacie italiane, come per quelle di molti altri Paesi europei. Infatti, proprio la presa in carico dei pazienti cronici da parte della farmacia, con l’obiettivo di migliorare i risultati terapeutici e garantire la compliance, è uno degli strumenti essenziali per garantire la sostenibilità del sistema, valorizzando il ruolo professionale della farmacia.

Per questo motivo, nel 2013 Federfarma ha deciso di aderire al PCNE, Pharmaceutical Care Network Europe, collaborando alla realizzazione della ricerca condotta a livello europeo sul grado di attuazione del PhC e sulla Farmacia dei servizi, estensione italiana del modello di farmacia impegnata nell’assistenza mirata al singolo paziente e a garantire, oltre alla dispensazione del farmaco, una serie di prestazioni aggiuntive utili al cittadino e al sistema.

Questa pubblicazione illustra i risultati della ricerca condotta nel nostro Paese dal prof. Giancarlo Nadin, docente di marketing all’Università Cattolica di Milano, con il supporto incondizionato di GSK, un’azienda con la quale Federfarma ha avviato un percorso di collaborazione, nato dalla condivisione di alcuni principi di fondo: il farmaco è un bene essenziale per la collettività e va adeguatamente valorizzato, la farmacia è un presidio fondamentale del sistema, impegnata da sempre a garantire una sicura e appropriata dispensazione del farmaco e il suo corretto utilizzo e ora impegnata anche sul fronte dell’erogazione di nuovi servizi alla popolazione.

La ricerca ha realizzato una fotografia della situazione italiana, con l’obiettivo di analizzare come i farmacisti stiano affrontando

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le tematiche del PhC, come cioè i nostri colleghi si comportino quando devono confrontarsi con le problematiche poste da un malato cronico che ha bisogno di essere seguito e monitorato nel proprio percorso terapeutico. Un lavoro, quindi, che diventa propedeutico alla “Farmacia dei servizi”, per predisporci all’innovazione e capire come affrontare le nuove sfide che la società ci richiede.

Questi dati hanno costituito un punto di partenza per delineare un percorso di rilancio della farmacia italiana a partire da un’analisi delle esperienze innovative, ma anche dei punti deboli, e da un confronto con gli altri Paesi europei, nei quali si stanno sviluppando iniziative e progetti sul fronte del Pharmaceutical Care. Su tale base Federfarma ha disegnato un progetto di sviluppo che punta a mettere le farmacie in grado di fornire alla popolazione, su tutto il territorio nazionale, un nucleo base di nuovi servizi di alta valenza sociale e sanitaria, che valorizzino il contributo professionale della farmacia soprattutto sul fronte del monitoraggio e dell’aderenza alle terapie. In quest’ottica le piattaforme informatiche predisposte da Promofarma sono un importante strumento operativo a disposizione di tutti i Colleghi.

Il presente lavoro, quindi, non è una delle tante ricerche che poi, una volta presentate, restano nel cassetto, ma costituisce una base documentale su cui costruire la farmacia di domani. Per questo invito tutti i Colleghi a leggere con attenzione questa pubblicazione e a fare tesoro delle tante utili indicazioni che emergono.

Buona lettura, e buon lavoro a tutti.

Annarosa RaccaPresidente di Federfarma

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INDICE

Prefazione

1. Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

Definizione e ambiti di azione del Pharmaceutical CareProspettiva internazionale del Pharmaceutical Care Il ruolo della farmacia territoriale nelle cure primarie

2. Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

Il modello di funzionamento del Pharmaceutical CareLa gestione dei problemi farmaco-correlatati (DRP) La presa in carico dei nuovi pazientiMantenimento della relazione con i pazienti già assistiti Gli atteggiamenti nei confronti dei servizi Struttura, organizzazione e processiCollaborazione interdisciplinare

3. Approcci diversi al Pharmaceutical Care

Una vista di insieme Segmentazione delle farmacie in base al PhCIl profilo dei tre segmenti di farmacie (condizioni oggettive)

4. L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

Numerosi i progetti elaboratiIl profilo dei rispondenti a confronto Comportamento in tema di Pharmaceutical Care Evoluzione del Pharmaceutical Care nel corso del tempo

5. Considerazioni conclusive e uno sguardo al futuro della farmacia

Riflessioni in tema di Pharmaceutical CareTraiettoria evolutiva per una farmacia dei servizi

Protocollo d’intesa

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PHARMACEUTICAL CAREE COINVOLGIMENTO DELLA FARMACIA

NELLE CURE PRIMARIE

Definizione e ambiti di azionedel Pharmaceutical Care

Il concetto di Pharmaceutical Care viene definito come: “Il servizio di supporto professionale alla corretta ed efficace assunzione del-la terapia farmacologica al fine di conseguire risultati che migliora-no la qualità di vita di un paziente”. Questa definizione è stata data da Hepler e Strand, due accademici rispettivamente appartenenti all’University of Florida e all’University of Minnesota nei primi anni Novanta (cfr. Hepler CD, Strand LM.; “Opportunities and responsibi-lities in pharmaceutical care”. Am J Hosp Pharm. 1990; 47:533–43).

Secondo essa il PhC (Pharmaceutical Care) coinvolge non soltanto la dispensazione della terapia farmacologica, ma anche il supporto, il consulto e il servizio di controllo ai pazienti per un uso corretto ed efficace della terapia farmacologica, soprattutto per coloro che sono affetti da patologie croniche, magari anche multiple, e che prevedo-no quindi multi-trattamenti farmacologici.

Un aspetto che caratterizza l’approccio PhC è la messa a punto di un programma personalizzato di follow-up del paziente, finalizzato a monitorare l’iter della terapia e il conseguimento dei risultati definiti e attesi (per esempio la riduzione o eliminazione dei sintomi di uno stato di malessere). Un programma di PhC dovrebbe, quindi, inclu-dere:• consulto del paziente per valutare sia l’effettiva comprensione

e capacità di rispettare la terapia farmacologica, sia per iden-tificare eventuali esigenze e peculiarità nel trattamento farma-cologico;

• valutazione della terapia farmacologica assegnata, per indivi-duare potenziali problemi legati all’assunzione farmacologica (per esempio, effetti collaterali, interazione di più farmaci, limi-

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Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

tata aderenza e compliance del paziente); • messa a punto di un piano di monitoraggio, per assicurare che

gli obiettivi terapeutici siano raggiunti e verificare l’insorgere di eventuali complicanze, in tema d’interazione tra farmaci;

• educazione del paziente sul suo stato di salute, gestione della patologia e, in generale, di iniziative per la promozione della salute della cittadinanza;

• collaborazione tra farmacisti e altri operatori sanitari (medici di medicina generale, specialisti, infermieri, ecc.), per prevenire, identificare e risolvere problemi legati all’assunzione del far-maco e alla salute del paziente.

L’essenza del PhC, quindi, consiste nello spostare l’attenzione dalla semplice consegna del farmaco alla sistematica e organizzata erogazione di un servizio d’assistenza, per una corretta fruizione del-la terapia farmacologica e il raggiungimento degli obiettivi di cura. Così farmacia e farmacista diventano maggiormente responsabiliz-zati sul risultato della terapia, ma non si sostituiscono al medico, nè di base nè specialista, ma si integrano assumendo un ruolo specifico nella rete dei servizi al paziente, contestualizzando in modo più mar-cato il proprio ruolo fondamentale nel Ssn.

Sulla scorta di questa definizione si è creata nel tempo una speci-fica teoria, che fa ritenere il PhC disciplina propriamente applicabile nelle farmacie di comunità. Nel 1994, infatti, viene fondato il PCNE, un’organizzazione con lo scopo precipuo di diffondere in Europa la disciplina del PhC. Il nome stesso del gruppo -composto da ricerca-tori, accademici e farmacisti professionisti- è l’acronimo di Pharma-ceutical Care Network Europe (vedi www.PCNE.org).

Anche il PCNE, che è incentrato esclusivamente sui temi del PhC nelle farmacie di comunità, ha consolidato nel tempo proprie prassi operative, sintesi dell’esperienza compiuta nei vari Paesi membri. La stessa definizione di PhC, frutto di una visione maturata in più Paesi, è stata rivista nel 2013 da questo gruppo di ricerca: Kurt E. Her-sberger (Svizzera), Nina Griese-Mammen (Germania), Maria Cordina (Malta), Mary P. Tully (Regno Unito), Veerle Foulon (Belgio), Charlotte Rossing (Danimarca), Foppe J.W. van Mil (Olanda). Eccola:

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Il PhC è il contributo del

farmacista all’assistenza e la

cura dei pazienti presi nella

loro individualità, al fine di

ottimizzare l’assunzione dei

farmaci e migliorare il loro

stato di salute.

Questa definizione enfatizza alcuni punti decisivi per la farmacia:1. La centralità del farmacista, e soprattutto della farmacia di co-

munità: per il PCNE il PhC è prioritariamente affidato al farma-cista, perché in possesso della parte critica di conoscenze e competenze: chimica e cinetica del farmaco.

2. Questo non deve indurre a pensare che il PhC sia soltanto del farmacista, perché è un gioco di squadra, che implica la col-laborazione tra le diverse professionalità. Ergo, la farmacia è chiamata a instaurare un dialogo continuo con gli altri opera-tori della salute.

3. Centro di questa attività è la cura e l’assistenza degli individui presi singolarmente: uno alla volta. Ciò implica che il lavoro del PhC si sostanzia in piani d’intervento diretti e specifici per sin-goli pazienti. Il farmaco è un bene standard, soprattutto quan-do prodotto in serie dall’industria, mentre il PhC è sempre e solo personalizzato. Quindi, può includere le attività di edu-cazione, informazione e counselling erogate al banco durante la consegna del farmaco, ma non è da confondere con esse, perché qui non è richiesta la conoscenza e il rapporto con il singolo paziente.

4. Ottimizzare l’assunzione del farmaco è un punto fermo del PhC. La personalizzazione del rapporto di cui abbiamo parlato al punto precedente, infatti, induce il farmacista a indagare non soltanto su temi strettamente connessi alla terapia del paziente, ma anche sulle sue stesse condizioni (stile di vita, abitudini alimentari, comportamenti e atteggiamenti rispetto

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Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

al concetto di salute), tali da generare i cosiddetti problemi farmaco-correlati. Questa ottimizzazione deve, quindi, essere ricercata proprio nella riduzione o eliminazione dei problemi farmaco-correlati.

Vediamo quindi come il farmacista, che adotta un approccio PhC, è in grado d’affrontare i problemi farmaco-correlati. “Problemi far-maco-correlati: pietra miliare del PhC”: così titola un articolo di Fop-pe van Mil (comitato scientifico del PCNE), pubblicato sul “Journal of the Malta College of Pharmacy Practice” nel 2005.

La gestione dei problemi farmaco-correlati è, infatti, il cuore del PhC, perché proprio da questi “problemi” può ingenerarsi il suo fal-limento, ovvero la non ottimizzazione dell’uso dei farmaci, o il peg-gioramento della qualità di vita del paziente. Le fonti dei problemi farmaco-correlati possono essere rintracciate in tre fattispecie, come evidenziato in figura 1.1:

Fig. 1.1 – Fonti dei problemi farmaco-correlati

Si potrebbe pensare che il PhC focalizzi l’attenzione sui problemi che si originano in farmacia, cioè sostanzialmente sulla dispensazione (vedi figura 1.1), perché gli altri, perlomeno quelli connessi con i pro-blemi prescrittivi, dovrebbero essere analizzati altrove(per esempio, nell’ambito medicale). In realtà l’ambito d’azione del PhC si estende su tutti e tre i livelli (medicina, farmacia e paziente). La disciplina del PhC sostanzialmente entra in azione proprio nella terza fase, cioè quella che vede una forte interazione con il paziente. Questa fase temporalmente è l’ultima delle tre e, quindi, vede riuniti gli effet-ti (positivi e negativi) anche delle prime due. Cioè il PhC intervie-ne nella valutazione e verifica degli effetti integrati e sinergici dei tre processi governati da soggetti diversi, ma comunque impattanti sull’outcome terapeutico e sulla salute del paziente (crf fig. 1.1).

Ma allora, ci si potrebbe chiedere, perché proprio il farmacista è

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chiamato a governare questo processo che travalica i confini del suo operato (fase della dispensazione)? Perché è colui che, a valle, vede l’intero processo (integrato nelle tre componenti), perché possiede competenze sul farmaco e sul paziente e, infine, perché ha modo di frequentare il paziente più di quanto facciano le altre professioni. Si stima, infatti, che il farmacista, proprio per il servizio di consegna del farmaco, abbia la possibilità d’incontrare il paziente ben sei volte più del medico curante.

I problemi farmaco-correlati possono ulteriormente essere classi-ficati come reali e manifesti, cioè tali da influenzare il risultato della terapia, oppure potenziali, cioè problemi non ancora manifesti, ma che possono impattare negativamente sui risultati terapeutici. Qui il farmacista è chiamato a valutare le probabilità di rischio e il possibile impatto e, di conseguenza, capire come limitarne gli effetti.

Infine, i Problemi farmaco-correlati possono essere evitabili e ine-vitabili. Fra questi ultimi, van Mil cita per esempio la nausea, quale effetto collaterale nell’assunzione di farmaci oncologici o nelle inte-razioni tra terapie anti Aids. Che si tratti di problemi evitabili o inevi-tabili, comunque sia, il farmacista che si ispira al PhC è tenuto a com-piere le dovute indagini, affinché sia minimizzato l’impatto negativo sullo stato di salute del paziente. E questo, proprio in ossequio alla definizione di PhC prima data.

In sostanza, il PhC mette il farmacista e la farmacia territoriale al centro di questo processo, dando grande risalto al suo ruolo. Ma, al contempo, responsabilizzandolo maggiormente rispetto ai livelli connessi alla dispensazione del farmaco.

Prospettiva internazionaledel Pharmaceutical Care

Proprio in virtù di questa rilettura del ruolo della farmacia territoria-le nell’ambito delle cure primarie, e della sua centralità nella gestio-ne dei problemi farmaco-correlati o nel supporto per una maggiore aderenza del paziente cronico, sono stati ovunque attivati progetti e programmi per un suo maggiore coinvolgimento nel processo delle cure primarie. La figura 1.2 mette in evidenzia una serie di iniziative sperimentate in vari Paesi e Continenti, più o meno convergenti con

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Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

Fig. 1.2 – Esperienze di programmi e progetti per sviluppare il PhC

la nozione di PhC prima delineata.Le esperienze che si sono susseguite nel tempo per mettere in atto

la disciplina del PhC sono svariate e presentano anche obiettivi diver-si. Nessuno di essi, però, riesce a coprire in maniera compiuta l’inte-ro corpo teorico del PhC. Per esempio, il patient counseling, nato intorno alla fine degli anni ’80, è un primo passo di avvicinamento al PhC, ma da esso differerisce in quanto non è finalizzato ad assistere in via continuativa il paziente cronico, occupandosi prioritariamente di rimuovere i vincoli che ostacolano una piena comprensione delle informazioni sul farmaco e sulla sua assunzione.

Esistono svariate iniziative per mettere in piedi programmi per l’assistenza di pazienti con specifiche patologie, tipo il diabete. Que-ste vanno classificate con il nome di Disease management, e sono più particolareggiate rispetto al patient counselling, in quanto non si limitano a fornire una base conoscitiva condivisa con il paziente, ma offrono invece il supporto assistenziale continuativo (prevedono, per esempio, la programmazione degli interventi attraverso il follow-up). Il desease management, comunque sia, non copre l’intero spettro

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del PhC, in quanto si concetra su una patologia, quindi con parziale copertura delle problematiche generali, senza specifici approcci ver-so pazienti con più morbilità e, quindi, multitrattati.

Ha invece l’obiettivo di coprire in maniera totale tutte le proble-matiche e la patologie del paziente il Comprehensive Medication Review. Nato nei Paesi nord europei è un progetto portato avanti proprio per assicurare assistenza a coloro che sono politrattati (cin-que terapie concomitanti, che possono comportare l’assunzione quotidiana di 15-20 pillole).

L’Home Medication Review è un programma sviluppatosi in Au-stralia, per assicurare l’assistenza in chiave PhC a pazienti che non possono muoversi da casa.

Il Medication Therapy Management è nato negli USA, per as-sistere in farmacia pazienti privi di copertura assicurativa, che non potevano ottenere i servizi sanitari a pagamento. Assomiglia mol-to al PhC in quanto ha come scopo quello di assistere il paziente nell’assunzione delle terapie e migliorare l’outcome terapeutico. Si fonda su alcuni punti essensiali: la revisione della terapia; la stesura di un fascicolo del paziente con tutte le informazioni cliniche; il pia-no di azione che prevede l’intervento del farmacista e il possibile deferimento al medico; il programma di follow-up per assicurare la continuità assistenziale.

Medicines Use Review è un programma sviluppatosi nel Regno Unito dal 2005 e voluto dal NHS (Servizio sanitario nazionale), con lo scopo di verificare le condizioni di consapevolezza del paziente in tema di assunzione dei farmaci. Si fonda sui seguenti elementi: revisione delle terapie a opera di farmacista e paziente, finalizzata a valutare lo stato di consapevolezza del paziente e a identificare potenziali sovrapposizioni di farmaci; offrire informazioni al paziente su un uso più corretto del farmaco; presentare al paziente potenziali rischi causati da un uso improprio del farmaco, quali effetti collatera-li, interazioni farmaco su farmaco, ecc.

Una valutazione, compiuta nel biennio 2011-12, informa che a questo programma hanno aderito circa 8 mila farmacie, con una co-pertura di più di 2 milioni di casi applicativi e con un costo di 68 mi-lioni di sterline per il NHS. Si stima che il costo nazionale del farmaco non correttamente impiegato ammonti a circa 300 milioni di sterline

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Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

l’anno; perdita secca di valore che, in parte, può essere ridimensio-nata per effetto di progetti e interventi quali il MUR.

Esistono progetti pilota di applicazione di questo programma anche in Italia. Qualcosa di simile esiste anche nella vicina Svizzera, dove hanno coniato il termine Polimedication Check, proprio a te-stimoniare come questo sforzo d’affiancare il paziente nella guida a un uso corretto del farmaco abbia maggior importanza proprio nei pazienti multitrattati (Polimedication).

In sintesi, esistono diverse esperienze compiute nel vecchio Con-tinente, oltreoceano e fino nell’emisfero australe, tendenti a confer-mare l’importanza di coinvolgere la farmacia nel percorso delle cure primarie, e spingerla a favorire il corretto impiego dei farmaci da parte dei pazienti.

Proprio in ragione di queste esperienze e dell’attenzione da parte del PCNE ad assumere il ruolo di centro di ricerca, nonché magne-te delle esperienze europee, la presidenza di Federfama ha ritenuto nel 2012 di dare seguito alla richiesta di partecipazione dell’Italia al gruppo di ricerca. Questa partecipazione, che a oggi è assicurata dall’estensore del presente manuale, ha due scopi.1. Informare e rendere noto al centro di ricerca le iniziative e lo

stato dell’arte dei servizi in farmacia in Italia.2. Accedere a esperienze, programmi e progetti sviluppati negli

altri Paesi, come spunto per riflessioni e iniziative all’interno dei nostri confini.

Durante il 2013 si è così dato corso al primo programma di lavoro in comune con il PCNE. Si è trattato di un progetto di ricerca per valutare l’applicazione nei Paesi UE delle logiche e della pratica PhC nelle singole farmacie. A questo programma di ricerca hanno aderito 13 Paesi, fra cui l’Italia, collezionando complessivamente un campio-ne di più di 5.000 risposte, di cui 822 in Italia.

Nel prossimo capitolo analizzeremo nel dettaglio la struttura di questa ricerca, fondata sugli elementi della disciplina del PhC, e avremo così modo di posizionare l’Italia nel modello PhC e, insieme, di confrontarla con la farmacia europea.

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Il ruolo della farmacia territorialenelle cure primarie

La volontà di approfondire in Italia la conoscenza sulla PhC non è, naturalmente, fine a se stessa, ma va interpretata come la necessità di capire -e dotarsi di strumenti forti- per affrontare con successo lo sviluppo della farmacia, intesa come attore importante nel quadro delle cure primarie. Da più parti, infatti, si avverte l’esigenza di rior-ganizzarle, dopo che hanno raggiunto livelli ragguardevoli di spesa, addirittura al di sopra della spesa secondaria.

Alcuni affermano che il futuro delle politiche sanitarie è proprio da ricercare nelle cure primarie. Tale riorganizzazione in parte è già in atto, e prende spunto dalla cosiddetta “sanità di iniziativa”, dove gli operatori della salute -in primis il medico territoriale- si attivano per la presa in carico del paziente cronico, assicurando un program-ma di continuità assistenziale. E dove anche lo specialista è al servi-zio dei percorsi diagnostici e di cura, e collabora con la medicina di base. Insomma, riorganizzazione e rinforzo nella logica del gioco di squadra, partendo dal principio che proprio nel servizio territoriale si può ridurre all’essenziale il coinvolgimento, assai costoso, delle strut-ture. Peraltro, molti progetti sperimentali vanno proprio in questa direzione (assistenza integrata 24 ore al giorno, modelli territoriali di Chronic Care, Creg in Lombardia, strutture di comunità, Case della salute, e così via).

E la farmacia, che ruolo gioca in questo scenario? La farmacia di comunità, per sua definizione, è territoriale, cioè ancorata nel tes-suto sociale. Lo dimostrano le svariate ricerche che mettono in luce la fiducia che il cittadino riversa appunto nella figura del farmacista, quale professionista capace di offrire un aiuto, un supporto.

Questo però non è sufficiente. Occorre che la farmacia di comu-nità sappia interagire in maniera sistematica con le altre professioni sanitarie, dimostri di saper prendersi in carico il paziente, in quel pro-gramma di sanità d’iniziativa accennato prima. Come dice l’attuale presidente di Federfarma, Annarosa Racca, va auspicata una farma-cia sempre più attiva, per portare l’aderenza media del paziente alle terapie dal 40% a un potenziale 70%, con benefici per il paziente stesso e tutta la collettività. Impegno questo che, pur se in un con-

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Pharmaceutical Care e coinvolgimento della farmacia nelle cure primarie

testo non facile, può essere alla portata delle farmacie, perché di-spongono di competenze specifiche complementari a quelle delle altre professionalità sanitarie. Per esempio, proprio in una logica di Chronic Care model, la farmacia trova un suo collocamento ideale forte e unico come rappresentato da figura 1.3.

INFERMIERISTICAAssiste il paziente

FARMACIADispensa, amministrae controlla la terapiaMMG

Gestisce il pazientee il PDTA e PAI

SPECIALISTADefinisce il PDTA,

gestisce la patologia

Fig. 1..3 - Il modello di Chronic Care e il ruolo della farmacia

Qui il gioco di squadra è vincente: assicurare continuità assisten-ziale ai pazienti cronici significa definire un Piano Diagnostico Tera-peutico Assistenziale e personalizzarlo per ogni paziente arruolato nel programma. Il PAI (Piano Assistenziale Individuale), documento che individua il percorso specifico per il singolo paziente, guida gli operatori che lo accompagnano. La farmacia in questo scenario può attivarsi ben oltre quello che oggi realizza, ovvero la consegna del farmaco accompagnato da informazioni sull’uso.

Grazie alle competenze distintive che possiede in tema di chimica del farmaco, di farmacologia, di cinetica della terapia sull’individuo, può aiutare il paziente e il medico ad assicurare una corretta ammi-nistrazione della terapia. Può così favorire una maggiore aderenza del paziente e può intercettare e cercare di rimediare a eventuali problemi farmaco-correlati. In sintesi, può attivarsi profittevolmente nel mettere in pratica la disciplina del PhC.

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

L’essenza del Pharmaceutical Care consiste nello spostare l’atten-zione dalla semplice consegna del farmaco al paziente, alla sistema-tica e organizzata erogazione di un servizio di assistenza, per fruire di una corretta terapia farmacologica e raggiungere gli obiettivi di cura. Così la farmacia e il farmacista partecipano responsabilmente al risultato della cura, pur non sostituendosi né alla medicina di base, né a quella specialistica, ma integrandosi con esse e assumendo un ruolo nella rete di servizi al paziente, al cittadino e contestualizzando in maniera più marcata il proprio ruolo fondamentale nel Ssn.

A ben vedere, quanto qui affermato forse non rappresenta nulla di nuovo nel panorama dell’operatività della farmacia. Quotidiana-mente, infatti, i 18 mila presidi territoriali che schierano complessi-vamente qualcosa come 60 mila (fonte sito Federfarma) farmacisti al servizio della cittadinanza, già operano nella direzione di aiutare e assistere pazienti, cittadini nonché clienti. I risultati della ricerca dimostrano, infatti, la disponibilità e le risorse che le farmacie metto-no in campo per informare i pazienti e supportarli per una migliore conoscenza del farmaco. Chi più, chi meno, si rende disponibile ad aiutare anche da un punto di vista umano quanti, a volte visibilmente, soffrono e richiedono appunto aiuto e ascolto da parte dei farmacisti. Sotto questo punto di vista il PhC fa già parte dell’attività quotidiana dei farmacisti e in questo senso dovrebbe trovare piena applicazione, anche se nella pratica comune non viene chiamato in questo modo o ancor più non viene riconosciuto come disciplina autonoma.

In realtà, a questa visione ottimistica se ne deve affiancare una più realistica. Il modello di funzionamento delle nostre farmacie si basa sulla dispensazione del farmaco e privilegia, correttamente, la veloci-tà di evasione delle richieste del paziente, siano esse dietro prescri-zione o su istanza volontaria (scontrino). Questo purtroppo potrebbe voler dire in molti casi carenza di tempo da dedicare all’assistenza dei pazienti più bisognosi, proprio perché il ritmo del lavoro in farmacia è dettato dalla “coda” di clienti che si presentano al banco e che

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

devono essere serviti.Facendo un’associazione di pensiero, anche un po’ provocatoria, po-

tremmo dire che la condizione di massima applicazione del PhC sareb-be da ricercare in un modello di funzionamento “ambulatoriale” della farmacia; cioè qualcosa che non esiste e probabilmente non esisterà mai, proprio perché la farmacia muove il suo funzionamento attorno al “banco” e trova giustificazione economica nello scambio di farmaci e prodotti e non nell’erogazione di servizi, come un ambulatorio medico che, se privato, è remunerato da tariffe di servizio professionale.

Come spiegheremo meglio di seguito, l’applicazione della disci-plina di PhC in farmacia è un compromesso tra una gestione della farmacia da banco e una farmacia capace di accogliere il paziente, per esempio cronico, e supportarlo con un percorso di continuità assistenziale. Ciò non vuol dire -come evidenziato dalla figura 2.1- riorganizzare la farmacia come un “ambulatorio medico”, ma creare le condizioni per assistere in via continuativa i pazienti e al contempo servire le richieste veloci al banco. Il servizio di dispensa al banco, comprensivo di consulto, aiuto e rilascio di informazioni potrebbe non essere sufficiente per taluni pazienti problematici, e in molti casi purtroppo potrebbe offrire un livello di assistenza estemporanea, o non sistematica, proprio perché il lavoro segue il ritmo della conse-gna al banco, e mal si concilia con le esigenze di pazienti critici che necessitano di supporto.

Fig. 2.1 – Modelli di farmacia a confronto

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In definitiva, il PhC è una disciplina che è parte naturale della pro-fessione del farmacista; purtroppo essa viene applicata nella pratica soltanto in maniera estemporanea e occasionale, in virtù di un mo-dello di funzionamento della farmacia che vede centrale la dispensa-zione al banco. Nel futuro però la farmacia, per rendere sistematica la pratica di erogazione dei servizi, sarà chiamata a integrare alla con-segna al banco anche la sinergica erogazione di servizi di assistenza personalizzati ai pazienti, soprattutto cronici e magari multitrattati. Per fare ciò occorre progredire ed evolversi, seguendo un modello che è appunto quello presentato in questa ricerca e testato alla luce dell’esperienza dichiarata da più di 800 farmacie italiane.

Il modello di funzionamentodel Pharmaceutical Care

Il modello parte da un assunto importantissimo: il ruolo chiave che la farmacia può avere nell’identificare e gestire i problemi far-maco-correlati che si possono presentare a pazienti cronici e ancor più gravemente a pazienti multitrattati. Pongo qualche domanda: qual è il rischio di commettere errori nell’assunzione farmacologi-ca per un paziente anziano multitrattato? Cioè che è in cura con più di 5 terapie, che comportano l’assunzione quotidiana di 10-15 pillole o similari? Che tipo di giovamento può ottenere questo pa-ziente dall’affiancamento del suo farmacista nel percorso di cura?

Sappiamo che i momenti di contatto tra la farmacia e il paziente sono circa sei volte superiori ai momenti di contatto fra il paziente stesso e il suo medico curante. Questo dice molto, in termini di efficacia del servizio offerto dalla farmacia che assiste un simile paziente. Il modello di PhC parte, quindi, dall’organizzazione di un sistema di supporto per identificare e gestire i problemi farma-co-correlati in cui può incappare un paziente cronico. Una gestio-ne che si fonda su quattro attività fondamentali, che vedremo di seguito.

Il modello di PhC non soltanto si basa sulla centralità della far-macia nella gestione dei problemi farmaco-correlati, ma afferma anche l’importanza della gestione dei pazienti come strumento base appunto per identificare e gestire i problemi stessi. Da ulti-

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

mo, e come riportato graficamente in figura 2.2, perché si possa sviluppare e progredire la pratica di PhC nelle farmacie italiane è importante che tre aspetti, che definiremo antecedenti, siano sod-disfatti: 1) atteggiamenti e predisposizione verso l’erogazione dei servizi; 2) apertura collaborativa della farmacia verso la rete degli operatori delle cure primarie; 3) presenza in farmacia di idonea struttura, strumentazione e organizzazione.

Intendo rappresentare questo modello, che è fondante del PhC e al contempo programmatico per una sua applicazione in farma-cia, con la metafora della “costruzione”, in quanto incarna da sem-pre un ideale di robustezza e longevità.

Fig. 2.2 – Il modello di applicazione del Pharmaceutical Care

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La farmacia che fa servizi, oltre alla consegna del farmaco, si ado-pera per gestire problemi connessi all’assunzione della terapia (fig. 2.2). Aiuta, per esempio, la collettività ad aumentare il grado di aderenza del paziente alla prescrizione e alla terapia indicata dalla medicina e produce così un valore sociale distintivo e unico, cioè non generabile da altri operatori e, quindi, non sostituibile. Perché que-sto piano di attività sia praticato, occorre però che la farmacia sia in grado di assicurare una continuità assistenziale al paziente (gestione dei pazienti ripetuti fig. 2.2).

Per garantire questa continuità assistenziale è fondamentale che la farmacia instauri, sin da subito, un rapporto duraturo con i nuovi pa-zienti che entrano in farmacia. In poche parole: “arruolare i pazienti per un programma di assistenza e supporto continuativo” (prassi di arruolamento di nuovi pazienti fig. 2.2). Affinché poi questa casa, costituita appunto su tre piani complementari fra di loro, stia in piedi e sia solida è necessario che sia eretta su precise fondamenta. In par-ticolare, tre sono i pilastri che sorreggono e rendono possibili i servizi di assistenza (PhC) in farmacia.

Innanzitutto, una predisposizione (atteggiamento) a partire dal ti-tolare di farmacia di sviluppare i servizi in aggiunta e in piena comple-mentarità con la dispensazione del farmaco. Il tema è particolarmen-te spinoso, perché nel vissuto di tutti si ritiene che i servizi drenino risorse e non generino ricavi, tenuto conto che nessuna convenzione è stata estesa ad essi. Inoltre la farmacia ha perso valore economico negli ultimi anni (causa la riduzione dei ricavi e dei margini) e, quindi, ha sempre meno risorse per finanziare l’innovazione connessa al lan-cio dei servizi. Discuteremo di questo aspetto più avanti.

Il secondo pilastro che forma le fondamenta della casa del PhC è la collaborazione. Un tema che scotta, perché rimanda da subito al “dialogo fra sordi-muti” con la medicina generale e gli altri ope-ratori della sanità, ma non solo! Analizzeremo anche il rapporto che sussiste tra gli stessi farmacisti e come questo possa impattare nel-la costruzione di una rete di servizi, offerta potenzialmente dalle 18 mila farmacie (e i 60 mila professionisti schierati), che sono o sareb-bero i potenziali nodi di una rete, che assicura un beneficio sociale incommensurabile, oltre a un risparmio di spesa nella prevenzione e maggiore aderenza.

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

Il terzo pilastro riguarda la dotazione strutturale necessaria per fare servizi. Essa è fatta prioritariamente di elementi materiali, quali per esempio gli spazi e i locali della farmacia (che comunque sem-brano non essere un problema per la maggioranza delle farmacie, come poi vedremo), ma soprattutto di elementi immateriali, cioè norme, processi, protocolli di azione, schemi operativi che guidano la farmacia nel praticare i servizi “day-by-day” e che consentono alla singola farmacia di erogare servizi nel quadro più ampio di protocolli di cura (PDTA- Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali). Il PDTA è tanto importante in quanto assicura al paziente un servizio di assi-stenza senza soluzione di continuità (dall’ospedale al territorio, per esempio) e cementa al contempo il ruolo della farmacia come attore chiave (quindi inespugnabile) delle cure primarie.

Definito il modello, entriamo nel dettaglio dei singoli elementi che lo compongono.

La gestione dei problemifarmaco-correlati (DRP)

Procedo nella spiegazione del modello a partire dall’ultima fase (terzo piano della casa), ovvero dai “problemi farmaco-correlati”, perché nei fatti questa è una misura effettiva di come la farmacia sia realmente in grado di aiutare i propri pazienti, quando appunto emergono problemi. La figura 2.3 riporta il dettaglio delle singole attività che compongono in via schematica il terzo piano della casa del PhC (riportata in figura 2.2), cioè l’attività di gestione dei proble-mi farmaco-correlati anche detti, in terminologia anglosassone, DRP (Drug Related Problem).

Come si evince da una prima osservazione del contenuto di figura 2.3, i singoli passaggi che compongono l’attività di DRP presentano una logica sequenzialità, finalizzata appunto a garantire al paziente un’assistenza per la soluzione o il contenimento del suo problema. Per una definizione precisa, e di taglio anche clinico-farmaceutico del DRP, si rimanda alle pagine scritte dal gruppo di lavoro del PCNE che si è occupato appunto del tema (cfr http://www.pcne.org/wor-king-groups/2/drug-related-problems). Qui a noi interessa invece

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precisare che il presidio dell’attività da parte del farmacista si struttu-ra sull’organizzazione di passaggi sequenziali e concatenati; appunto rappresentati come i gradini di una scala ascendente (figura 2.3).

Fig. 2.3 – I singoli passaggi che scandiscono l’attività di DRP

Innanzitutto vi è da sottolineaere che del totale campione di 822 farmacie, ben 354 (43%) dichiara di non controllare con routine nei propri pazienti l’esistenza di problemi connessi all’assunzione di far-maci. Il dato è abbastanza significativo ed evidenzia un atteggiamen-to carente da parte della farmacia (in poco meno della metà del cam-pione) nel capire ciò che accade dopo aver dispensato il farmaco. Atteggiamento questo che, evidentemente, è lontano da una pratica sistematica di Pharmaceutical Care.

Circoscrivere il problema connesso all’assunzionedi farmaci e condividerlo con il paziente

Innanzitutto il farmacista si adopera per circoscrivere il problema e per condividere con il paziente una prima valutazione d’impatto sulla salute. Per misurare la frequenza con la quale tale attività viene svolta è stato chiesto all’intervistato (titolare di farmacia) di indicare quante volte ciò è accaduto, a partire dagli ultimi 5 pazienti visitati e che pre-sentavano evidenti problemi connessi con l’assunzione dei farmaci. La figura 2.4 mostra i risultati sul sottocampione di rispondenti che

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hanno accertato l’esistenza di problemi, ovvero su 468 (57%) a parti-re dal campione di 822.

In media possiamo affermare che nella metà dei casi (cioè 2,5 pa-zienti su 5) viene svolta l’attività di circoscrizione del problema; atti-vità preliminare a ogni tipo di trattamento successivo. Si badi bene però che questo valore deve essere riletto anche alla luce di quanti (34% del campione), avendo dichiarato di non controllare con routine i problemi farmaco correlati, presentano un valore nullo. In pratica, sul campione di 822 farmacie il valore medio di risposta a questa domanda è pari a 1,4.

Fig. 2.4 – Attività di circoscrizione del problemasugli ultimi cinque pazienti

10047

121100

7426

0 1001 472 1213 1004 745 26

Condivisione del problema con il paziente

266%

100-21%

47-10%

121-26%

100-21%

74-16%

012345

Numerodi pazienti

È interessante notare che il dato medio di 2,5 non è uniforme su tutti i rispondenti. A fronte di coloro che dichiarano di non riuscire a circoscrivere sistematicamente il problema con il paziente (57%, somma di quanti non eseguono mai l’attività, o al massimo due volte su cinque – colori giallo, verde e viola), vi sono coloro che invece si

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sono organizzati per farlo sistematicamente (almeno 4 volte su cin-que) e questi sono 100 su 486, cioè il 22%. Esiste infine il 21% che riesce a compiere questa attività nella maggioranza dei casi, ovvero 3 volte su 5.

Interpretare e documentare l’obiettivoper risolvere il problema

Il secondo passo che contraddistingue il processo di gestione dei problemi farmaco-correlati è l’identificazione di un obiettivo di miglio-ramento e la sua condivisione con il paziente. Il dato medio desumibile da figura 2.5 evidenzia che su 5 pazienti in media soltanto su 1,8 viene eseguita questa fase di processo, peraltro determinante per cercare di superare il problema e per migliorare l’outcome della terapia.

Fig. 2.5 – Definire l’obiettivo per risolvere il problema

12810197661561

12810197661561

61-13%

128-27%

101-22%97-21%

66-14%

15-3%

012345

Numerodi pazienti

Come per la fase precedente, si evidenziano approcci diversifica-ti nell’esecuzione dell’attività. In generale valgono le considerazioni fatte in precedenza, fatto salvo che il numero di coloro che eseguo-

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no questa attività in maniera sistematica si abbassa (non superando nemmeno il centinaio di casi), a favore di coloro che invece dichiara-no di non effettuare questa attività come fase del proprio lavoro (128 casi), oppure di coloro che non la fanno sistematicamente.

Se sommiamo coloro che non eseguono l’attività, oppure che la eseguono solo residualmente (somma di 0 e 1), raggiungiamo pra-ticamente la metà del campione. Come abbiamo visto, la somma di coloro che non fanno o fanno residualmente il primo livello di attivià (circoscrizione del problema) assume un valore pari al 36%. Esiste, quindi, una marcata differenza fra il primo step di processo (circoscri-zione) e il secondo (definizione obiettivo). Credo che questo aspetto si giustifichi proprio nella modalità di funzionamento della farmacia tradizionale. Mentre la prima attività è qualcosa di più vicino con la gestione del banco, la seconda, invece, è qualcosa di estraneo, che richiede un comportamento proattivo del farmacista, addirittura un atteggiamento di presa in carico del paziente; oserei definirlo un “appalto psicologico” del problema del paziente.

Qualche esempio per spiegare meglio il concetto. Normalmente accade che è il paziente stesso a richiamare l’attenzione del farma-cista su un problema connesso all’assunzione del farmaco, oppure è il farmacista che si accorge -dai comportamenti o dallo stato in cui versa il paziente- che possono esistere problemi connessi con la terapia. In questi casi è quasi una conseguenza naturale porre delle domande al paziente, per cercare di circoscrivere quello che sappia-mo potrebbe essere un problema che vanifica l’effetto della terapia (vedi figura 2.6).

Questo invece non avviene con altrettanta naturalezza e frequenza quando parliamo di interpretare e documentare un obiettivo tera-peutico per il problema che avverte il paziente. Almeno due le mo-tivazioni. Innanzitutto la mancanza del cosiddetto “appalto psicolo-gico”. Il farmacista è responsabilizzato sul farmaco, deve assicurare che il farmaco giunga nelle mani del paziente nelle modalità corrette e che il paziente abbia le informazioni per una corretta assunzione (assicurare in via sistematica e certa questa finalità non è sempre semplice, nè tantomeno scontato). Su quello che accade dopo, il far-macista non è e non può essere responsabilizzato, conseguentemen-te trova maggiore difficoltà ad assumersi l’onere di definire obiettivi

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per la soluzione del problema. Spesso infatti il comportamento che segue alla circoscrizione di un problema è il deferimento al medico curante (come vedremo più avanti il farmacista utilizza molto questa opportunità ritenendo appunto che il suo compito si concluda con l’emersione del problema cfr figura 2.43). Inoltre definire un obiettivo per la rimozione del problema comporta di per sè l’accettazione di un percorso formale di affiancamento dove il farmacista pone le basi (l’obiettivo appunto) per aiutare il paziente nel tempo, tenuto conto che molti problemi purtroppo non si risolvono con un intervento una tantum, ma richiederanno successive revisioni e ritarature. Revisioni e ritarature che implicano la necessità di tenere traccia formale sia degli obiettivi che delle successive revisioni; aspetto questo che è purtroppo lontano dalle possibilità della farmacia tradizionale centra-ta sulla dinamica del servizio al banco. Per definire obiettivi abbiamo bisogno di avere strumenti di archiviazione, per esempio un dossier del paziente la cui gestione e manutenzione quotidiana solleva pro-blemi organizzativi di non poco conto soprattutto in riferimento alla gestione dei pazienti al banco. Non si commette infatti un grande errore nello stimare in circa 5-10 minuti il tempo medio di interazio-ne al banco con l’avventore. In una dinamica di incontro così veloce

Fig. 2.6 – Dialogo per la circoscrizione del problema

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non è infatti facilmente conciliabile la necessità di mantenere archivi aggiornati anche se digitali e quindi di più agevole consultabilità. La figura 2.7 prova a sintetizzare il concetto attraverso relazioni di cau-sa-effetto tra fenomeni.

Osservando la figura 2.7 ci possiamo accorgere che non esiste un unico motivo prevalente che spiega la scarsa propensione da defini-re gli obiettivi terapeutici per pazienti con problemi. Nè tantomeno esiste un causalità lineare e sequenziale di fenomeni. Invece molti fenomeni collegati fra di loro, ma pur sempre importanti sono alla base di questo aspetto.

Mettere a punto una strategia

Il terzo passo connesso ad una corretta gestione dei problemi far-maco-correlati consiste nella definizione di una strategia risolutiva del problema.

Sempre tenendo in conto solo coloro che si dichiarano disposti a presidiare di routine i pazienti con problemi farmaco-correlati (cioè 53% su 822 rispondenti) emerge, fin da una prima visione del grafico

Fig. 2.7 – Fenomeni che inibiscono la definizione degli obiettivi

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Fig. 2.8 - Percentuale di chi Identifica e mette a puntouna strategia risolutiva

1268790682572

1268790682572

72-15%

126-27%

87-19%

68-15%

25-5%

90-19%

012345

Numerodi pazienti

di figura 2.8, che in media la definizione di un piano strategico di azione è eseguito per 2 su 5 pazienti.

Il fenomeno fa riflettere, perché nei fatti coloro che non eseguono questo passaggio, o lo fanno soltanto raramente, ammontano a qua-si la metà (27%+19%).

Se nella fase precedente il focus era sulla presa in carico del pa-ziente, con una logica assistenziale di non breve respiro, qui il tema centrale è la capacità della farmacia e del farmacista di “personaliz-zare” l’intervento. Spiego meglio che cosa intendo per “personaliz-zare”. Il farmacista è il depositario della conoscenza del farmaco; ne conosce tutte le caratteristiche chimiche e farmacologiche, sa quali sono le interazioni tra più farmaci, così come i potenziali effetti av-versi. Questa conoscenza, profonda e unica nello scenario degli ope-ratori della salute, si sostanzia nel prodotto, e pertanto è standard, tenuto conto che la maggioranza dei farmaci distribuiti in farmacia sono realizzati in modo uniforme dalle case farmaceutiche e vengono

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spesso dispensati in formato “blisterato”. Questo comporta che il farmacista abbia come prioritaria attenzione il farmaco, assai meno il paziente. Nei fatti, il paziente arriva in farmacia con una prescrizione per una terapia definita dal medico curante e la farmacia si occupa di dispensare correttamente il farmaco. Questo processo è assicurato e validato per ogni paziente, ma proprio in quanto standardizzato non prevede sorta di personalizzazione alcuna. Il servizio di PhC, e in par-ticolare modo la gestione dei problemi farmaco-correlati, prevede in-vece un forte livello di personalizzazione dell’intervento, da garantire esattamente a misura del paziente. Il passaggio della “strategia” è proprio il momento nel quale questa personalizzazione prende cor-po. Il farmaco è uguale ovunque, ma l’interazione del farmaco nel metabolismo del singolo individuo può essere differente sia per “co-stituzione”, sia perché l’effetto terapeutico dipende anche da altre situazioni personali, quali il regime alimentare o lo stile di vita più o meno sedentario. Alle nozioni scientifiche del farmaco (standard) deve, quindi, aggiungersi la conoscenza del paziente, per garantire una comprensione personalizzata del trattamento e degli eventuali punti deboli. In sostanza, il farmacista deve oltrepassare idealmente il banco che lo separa dal paziente ed entrare nei suoi “panni”, per comprenderlo al meglio. Riprenderemo l’argomento nel prossimo paragrafo, quando parleremo di gestione del paziente. Tutto questo enfatizza quanto indicato in figura 2.1: la farmacia che si riconosce nel servizio diviene in parte una farmacia “ambulatoriale”.

In altri termini, se devo personalizzare l’approccio di servizio sul paziente (non soltanto in termini di relazione cliente-fornitore, ma anche in termini clinici), devo avere il massimo d’informazioni e co-noscenza sul paziente. Quindi, dovrò fare in modo che la farmacia -quando necessario- assuma qualcosa che assomiglia, o trae spunto, da un’organizzazione di servizio ambulatoriale.

Portare avanti un piano di follow-up e controllo

L’ultimo passo nella gestione dei problemi farmaco-correlati è le-gato a un controllo costante del cammino compiuto verso la soluzio-ne del problema.

La figura 2.9 mette in evidenza le risposte fornite dai rispondenti

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Fig. 2.9 - Percentuale di chi porta avantiun piano di follow-up e controllo

2088178352243

2088178352243

43-9%

208-45%78-17%

35-7%

22-5%

81-17%

012345

Numerodi pazienti

nei confronti dell’attività di follow-up.Il grafico evidenza un sistematico decadimento nell’attività del far-

macista. In media, essa viene portata avanti soltanto su 1,4 pazienti, rispetto ai 5 oggetto di analisi. Il 45% dei rispondenti dichiara di non eseguire nemmeno l’attività, il 17% di attivare il follow-up solo con un paziente su cinque, cioè in maniera residuale. Purtroppo, soltanto il 14% la esegue in maniera sistematica. È una fotografia che denota una forte “défaillance”, non soltanto dal punto di vista dell’efficacia del PhC, ma forse anche dal punto di vista della gestione “commer-ciale”. Come sostiene la dottoressa Annarosa Racca, presidente di Federfarma, l’aderenza media del paziente iperteso si aggira intorno al 40% ed è ipotizzabile che il dato riguardi anche altre patologie. Riuscire a vincere questa latenza del paziente nell’aderenza alla cura implica un continuo e costante supporto, oltre al convincimento che non può bastare un’unica sessione informativa sull’uso corretto del

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farmaco. Infatti, molti altri elementi si aggiungono (stile di vita, re-gime alimentare, compresenza di altre terapie) e questo fa ritenere che il comportamento, anche se giudizioso, del paziente, non basti. Occorre un indirizzo, occorre aggiungere un monitoraggio che con-forti e guidi, talvolta anche riorientando il processo di assunzione del farmaco, e forse anche la cura. Questo sforzo si addice proprio alla farmacia perché, come detto in precedenza, incontra sistematica-mente il paziente e in quantità maggiore rispetto al medico curante. La farmacia è, quindi, proprio il luogo dove si può realisticamente mantenere alto il presidio di cura e la gestione della terapia. Il far-macista è il professionista che meglio riesce a fare questo lavoro, proprio perché, a differenza dalla specialistica e talvolta anche della medicina generale, vede e incontra tutte le richieste farmacologiche del paziente, che devono essere ritirate proprio in farmacia. Quindi è in grado di suggerire e apportare misure correttive.

Ma il motivo che induce a pensare che non presidiare il follow-up sia un errore, è anche di natura economica. Se è vero che gestire il follow-up del paziente solleva anche una serie di problemi di tipo or-ganizzativo (come quelli esposti in figura 2.7), è altrettanto vero che consente di assicurare una solida relazione con il paziente, altrimenti abbandonato alla sua libera scelta. In figura 2.10 proviamo a sinte-tizzare il concetto e a indicarne le conseguenze in termini gestionali.

Quando la farmacia, in ragione della propria competenza condivi-de con il paziente un percorso strutturato e cadenzato di assistenza, si instaura una relazione continuativa che genera effetti benefici sia per il paziente, in termini di presidio della patologia, sia per la farma-cia, anche in termini economici. Benefici di triplice natura. Innanzitut-to, con un regime cadenzato di incontri, la farmacia A (nell’esempli-ficazione di figura 2.10) raccoglie tutta la spesa farmaceutica del pa-ziente assistito (quindi ha anche maggiore certezza di essere ripagata degli sforzi profusi nell’erogazione dei servizi). In caso contrario, la spesa potrebbe essere distribuita anche su altri operatori, mancan-do un vero e proprio “sodalizio terapeutico assistenziale” che lega il paziente alla farmacia. In termini assoluti il gioco, da questo punto di vista, potrebbe essere a somma zero, nel senso che comunque la rete delle farmacie (A, B, C di fig 2.10) beneficerebbe dei volumi di farmaco movimentati, mentre nella visione del singolo (nel caso

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Fig. 2.10 – Benefici della relazione con il paziente

A) verrebbe meno una condizione forte per assicurare l’impegno di risorse a favore dei servizi di assistenza. Secondo aspetto: purtrop-po il gioco non è mai a somma zero! Sapendo che meno della metà dei pazienti è in grado di seguire la terapia in maniera giudiziosa, dobbiamo mettere in conto che nel tempo verranno “perse” delle prescrizioni, perché il paziente, per esempio sentendosi in “salute”, deciderà autonomamente di sospendere la terapia. Così il farmaco non verrà ritirato né nella farmacia A, né tantomeno nelle altre (vedi punto interrogativo di figura 2.10).

Terzo aspetto rilevante (il dialogo continuo è frutto di un pro-cesso assistenziale, magari cadenzato con attività di monitoraggio) e consente al farmacista di agire, in chiave preventiva e sempre in ossequio alla deontologia professionale, per proporre soluzioni te-rapeutiche (immaginiamo Otc, ma anche suggerimento di farmaco a prescrizione successiva da parte del medico curante), in aggiunta al piano terapeutico in essere (vedi rilevanza e differenza degli scontrini

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nei due casi contrapposti di figura 2.10).Lascio al lettore una stima di quanto potrebbe essere l’effetto eco-

nomico generato dalla “concentrazione” di spesa per una farmacia (effetto uno), dal fenomeno di “up-selling”, cioè sfruttamento pieno del potenziale di prescrizione in base alla patologia (effetto due) e, infine, “cross-selling”, cioè le vendite aggiuntive generate dall’auto-revolezza professionale del farmacista che si adopera per promuo-vere e tutelare la salute del paziente (effetto tre), attraverso rimedi anche di natura preventiva.

Dati i quattro passaggi inerenti la gestione in ottica PhC delle pro-blematiche farmaco-correlate (DRP) propongo di seguito una sintesi che ricapitola i punti salienti del processo, e raffronta la realtà italiana con il valore desunto dalla rilevazione internazionale a cui hanno par-tecipato i colleghi farmacisti che operano Oltralpe (vedi figura 2.11).

Come detto, il processo di gestione dei problemi farmaco-corre-

Fig. 2.11 – Comportamenti di gestione dei DRP a confronto

2,2 2,5 2,2 2,81,4 1,04 1,13 0,79

0

1,25

2,5

3,75

5

Circoscrivereil problema

Identificarel’obiettivo

Definireuna strategia

Gestireil follow-up

MEDIA UE

MEDIA IT

lati corre lungo quattro passi fondamentali, concatenati tra di loro come esposto in figura 2.11. La performance generale delle farma-cie italiane (campione totale di 822 farmacie, tenuto anche conto di coloro -43%- che hanno dichiarato di non eseguire con routine le attività di gestione dei DRP) si attesta intorno al valore medio di 1 paziente su 5, come evidenziato dalla spezzata azzurra di figura

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2.11. Si riscontrano passaggi operativi più praticati (circoscrizione del problema) e meno praticati (follow-up del paziente) e per ciscuno di essi abbiamo provato a dare spiegazioni plausibili del fenomeno e dell’applicazione in Italia. Rimane ora da chiedersi se questo valo-re medio, che si attesta intorno all’unità (su base 5 pazienti), sia un dato confrontabile con quanto accade in altri Paesi che praticano la disciplina del PhC. Come è desumibile dal grafico di figura 2.11, il valore medio che assume la gestione dei problemi farmaco-correlati da parte del campione europeo di farmacie intervistate (5.000 farma-cie, comprese le 822 italiane) si muove intorno a 2,5 su base ultimi 5 pazienti presi a esempio.

Il dato è sensibilmente superiore a quello italiano. Bisogna ricordare che vi sono alcuni Paesi ove, sulle tematiche di PhC, vi è già da molti anni grande attenzione. Per esempio, in Olanda le compagnie di assi-curazione, che sono il “payer” principale della spesa del farmaco e di quella sanitaria (diagnostica, medicina generale e specialistica, ospe-daliera, ecc.) sono molto attente ai livelli di spesa e all’efficacia ed effi-cienza delle risorse dedicate. Quindi promuovono incontri tra medici e farmacisti, per mettere a punto programmi personalizzati, in modo da presidiare in continuità assistenziale le patologie croniche del singolo paziente. Questo consente di assicurare la compensazione dei pazienti, di ridurre i problemi farmaco-correlati, e al contempo di ottimizzare le risorse a beneficio appunto del payer. In questo caso, la farmacia è molto più predisposta alla gestione dei problemi farmaco-correlati, e così il valore di questo componente del PhC è senz’altro più elevato del valore unitario che assume in Italia.

In Gran Bretagna, con una direzione diversa rispetto all’Olanda, si arriva comunque a un risultato simile, che riconosce alla farmacia un elevato valore di presidio nella gestione dei DRP. Oltremanica, infatti, il Servizio sanitario nazionale (NHS, National Health System) promuove fra le altre attività anche il cosidetto MUR (Medicines Use Review), ov-vero un servizio che le farmacie offrono ai propri pazienti, arruolati così in un programma di assistenza che garantisce loro la piena conoscenza e consapevolezza delle terapie assunte. Al contempo, il farmacista che attua un programma MUR indaga sull’eventuale insorgenza di intera-zioni farmaco su farmaco, piuttosto che sulla probabilità d’incorrere in eventi avversi derivanti dall’assunzione dei farmaci in ragione dello

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stile di vita del paziente (per esempio più o meno sedentario), o del-le abitudini alimentari, fenomeno questo che interagisce in maniera significativa con il farmaco.

Senza entrare nei dettagli, risulta chiaro che quando intervengono stakeholder a favorire l’applicazione della prassi di PhC, si riscontra-no valori più elevati degli indici di DRP rispetto all’Italia, che si ac-cinge soltanto ora ad affrontare in maniera strutturata e sistematica il tema. Vi è da notare, comunque sia, che il valore assunto dal PhC medio in Europa non è vicino alla sua massima applicazione (cioè 5 casi su 5). Infatti, affermare che il valore medio europeo di presidio dei DRP (problemi farmaco-correlati) è pari a 2,5 pazienti su 5, lascia intendere che il bicchiere è mezzo pieno. Cioè la prassi è ancora ben lungi dall’essere applicata in maniera esaustiva e presenta spazi di miglioramento dovuti alla difficoltà intrinseca di modellare in farma-cia questa disciplina, che a volte può entrare in conflitto con la con-sueta e routinaria gestione della dispensazione del farmaco.

Un’ultima annotazione che emerge dall’osservazione del grafico di figura 2.11 consiste nel divario rilevante che vi è fra Italia e me-dia UE per quanto riguarda il processo finale dei DRP, consistente nell’assicurare al paziente una continuità assistenziale, ovvero il “fol-low-up”. Mentre in Italia su questo punto si assiste a una riduzione di applicazione (che si attesta a livelli inferiori all’unità), nella media UE il valore è superiore alla media (2,5 su 5), attestandosi su valori vicini a 3 pazienti su 5.

La continuità assistenziale è senza dubbio un requisito indispensa-bile di questo processo, proprio perché i problemi farmaco-correlati il più delle volte non vengono risolti in maniera istantanea, riguar-dando aspetti comportamentali dei pazienti. Al tempo stesso questa esigenza di continuità assistenziale sembra creare, soprattuto nelle farmacie italiane, problemi organizzativi, che determinano una sua ridotta applicazione.

La presa in carico dei nuovi pazienti

La gestione dei problemi farmaco-correlati è strettamente legata alla capacità di avere in farmacia un’organizzazione capace di gestire i pazienti con continuità assistenziale. Ciò non significa soltanto avere

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con loro una buona relazione fiduciaria, ma implica la mes-sa a punto di un’organizza-zione di presidio che, da un lato, prenda in carico i nuovi pazienti e, dall’altro, ne ge-stisca nel tempo la continuità assistenziale.

Per quanto attiene la pre-sa in carico di nuovi pazienti (arruolamento), quattro sono gli elementi che costituisco-no questo processo: 1) il dia-

logo iniziale per conoscere lo stato di salute, i sintomi e le diagnosi mediche; 2) la definizione delle aspettative e dei risultati attesi dalla terapia; 3) il commento con il paziente della terapia; 4) la verifica che le informazioni siano state comprese e che siano stati ben definiti i prossimi passi da fare per la corretta terapia.

Si tratta di passi sequenziali, che consentono alla farmacia di co-noscere il proprio paziente e di impostare un percorso di assistenza. Entriamo nel contenuto di ciascuno e verifichiamo come si posiziona la farmacia italiana.

Fig. 2.12 – I 4 passi fondamentali dell’arruolamento di nuovi pazienti

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Definire le condizioni mediche del paziente

La farmacia, nel corso di una giornata tipo, incontra cittadini che non ha mai avuto prima occasione di vedere. Quando questo acca-de, il comportamento naturale è quello di evadere la richiesta nel minor tempo possibile. Richiesta che può essere sotto forma di pre-scrizione medica, oppure riguardare la domanda di farmaci da banco o di prodotti. In tutti i casi, oltre a evadere in tempi celeri la richiesta, è lecito chiedersi il motivo per il quale il paziente ha bisogno di quel determinato rimedio farmaceutico. Questo tipo di approfondimen-to dovrebbe essere naturale, conseguente al rapporto professionale instaurato dallo stato fiduciario di cui beneficia il farmacista. D’altro canto, vi sono una serie di aspetti (scarso tempo a disposizione, pri-orità incombenti, ritrosia del paziente stesso, ecc.) che si possono frapporre a questo tipo di approfondimento e che, quindi, limitano il rapporto con il nuovo paziente alla sola consegna del farmaco.

Il primo passo nella gestione dei nuovi pazienti in ottica PhC parte, appunto, dall’approfondimento delle condizioni mediche del pazien-te, che costituiscono la pietra miliare per la costruzione di una rela-zione d’assistenza. Se la farmacia non si attiva in maniera propositiva per conoscere il paziente, al di là della mera richiesta (ricetta o scon-trino) e alla consegna del prodotto, la relazione potrebbe non offrire spazio per uno sviluppo del rapporto. La figura 2.13 mostra, per gli 822 farmacisti partecipanti all’indagine, quanto questa attività di ap-profondimento sia realizzata: il 44% non esegue questa attività mai e il 17% la esegue una volta su 5, cioè raramente. La media di presa in carico iniziale è, quindi, alquanto modesta, posizionandosi intorno a un valore di 1,4 pazienti sul totale di 5 presi in considerazione.

Questa mancanza di presa in carico del paziente potrebbe essere giustificata dal fatto di ritenere che l’attitità di presidio clinico è di stretta competenza del medico curante. Il riordino dei compiti che tocca in generale il comparto delle cure primarie e territoriali offre però -alla farmacia attenta e predisposta al cambiamento- uno spa-zio d’azione interessante che la vedrebbe protagonista, considerato che può mettere a disposizione competenze chimico-farmaceutiche complementari a quelle della medicina generale e specialistica.

Inoltre, se è vero e condivisibile che quanto più la farmacia cono-

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sce il proprio cliente, anche da un punto di vista clinico, tanto più riesce a generare occasione di scambio (vedi concetto idealizzato e raffigurato in figura 2.10), allora questa attività di approfondimento trova un fondamento di natura economica, oltre che clinica.

Comprendere aspettative e risultati attesidalla terapia farmacologica

La richiesta al paziente di condividere aspettative e risultati attesi dalla terapia farmacologica è il secondo passo che connota la presa in carico del paziente cronico. Questa, che fra le quattro attività è la meno presidiata -avendo una media di 1,2 su un totale di 5 pazienti- segna un punto importante nel processo di assistenza continua con il paziente.

Questa attività porta direttamente al cuore del PhC. L’attenzione del farmacista si sposta, dalle proprie competenze sul farmaco, alla consapevolezza del paziente dei progressi che può ottenere aderen-do alla terapia. La giudiziosità e meticolosità del paziente è, infatti,

3591171301134063

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Fig. 2.13 - Richiesta al paziente di descriverele condizioni mediche

63-7%

359-44%

117-14%

130-16%

113-14%

40-5%

012345

Numerodi pazienti

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

409133118733851

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Fig. 2.14 - Le aspettative del pazientee i risultati attesi

51-6%

409-50%

133-16%

118-14%

73-9%

38-5%

012345

Numerodi pazienti

un aspetto determinante alla riuscita della terapia, dato che, purtrop-po, soltanto il 40% dei pazienti segue correttamente il percorso tera-peutico. La capacità della farmacia di valutare la consapevolezza del paziente è, quindi, un punto chiave per stabilire il successivo percor-so e l’intensità del programma di assistenza. Vi sono pazienti che si aspettano, per esempio, una rapida guarigione, altri che al contrario non confidano affatto nei progressi terapeutici. Tutto ciò influisce sul comportamento di aderenza prescrittiva e assunzione del farmaco. Il farmacista che valuta questo punto si mette nei panni del paziente e, quindi, comprende meglio la strada più corretta per indurlo a un comportamento aderente.

Implicitamente, stiamo chiedendo al farmacista, che spende gran parte del proprio tempo concentrato sul farmaco e le sue specificità, lavoro sostanzialmente standardizzato, di ampliare il suo impegno. Pensiamo, per esempio, alle informazioni da offrire al paziente circa l’assunzione del farmaco. Vi sarà un’attività tutta tesa a trasferirle in maniera codificata (cioè standardizzata su requisiti minimi e fonda-mentali), cercando di assicurare la migliore copertura dei contenuti, indipendentemente dal contesto relazionale specifico (chi è il cliente,

39

che tipo di relazione esiste con il farmacista, che dinamiche conte-stuali e situazionali esistono, ecc.). Il farmacista diventa così il garan-te del “bugiardino” e offre informazioni importanti, di cui a volte il paziente è ignaro. Così descritto, questo è un compito incentrato sull’informazione (appunto standard), che non tiene conto del desti-natario. Non può essere efficace, se non muove da una conoscenza specifica del paziente. A questo approccio “informativo”, capace di assicurare contenuti universalmente validi, si dovrebbe aggiungere un passaggio in ottica PhC più squisitamente personalizzato, cioè ta-gliato sulle specifiche caratteristiche del paziente. Questo passaggio si fonda appunto sulla comprensione, da parte del farmacista, che il paziente ha acquisito consapevoleza circa il percorso di cura e i suoi potenziali effetti. In sintesi, si passa da un approccio (standard) che si basa sul prodotto (farmaco e informazione sintetizzata nel bugiar-dino), a un approccio che si basa sul paziente (e le sue capacità di apprendimento) ed è, quindi, personalizzato.

La figura 2.15 rappresenta e mette a confronto i due approcci. L’approccio personalizzato sul profilo del paziente, in particolare, porta con sé anche la necessità di tenere traccia dei passaggi che si

Fig. 2.15 – Approcci di assistenza a confronto

40

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

generano nel corso della relazione con il paziente. Mentre il rilascio di informazioni standard può non richiedere la storicizzazione della relazione, dato che i contenuti non variano da caso a caso, l’assi-stenza personalizzata assume invece connotati specialistici e unici, paziente per paziente, e quindi implica la necessità di storicizzare la relazione. Tale fase, infatti, assicura una tracciabilità della storia clini-ca del paziente, dando evidenza di monitoraggi e di risultati clinici intermedi; elementi questi che favoriscono la ricerca di una maggiore aderenza e compliance del paziente.

Commento con il paziente sulla terapia farmacologica

Il terzo passo nella gestione con il paziente nuovo consiste nella condivisione di informazioni sulla terapia farmacologica e, soprattut-to, dei potenziali effetti collaterali e delle avvertenze all’impiego.

Come è intuibile da una prima osservazione della disposizione de-gli spicchi che compongono il grafico a torta di figura 2.16, il com-portamento dichiarato dai farmacisti rispetto a questo passaggio operativo conferma l’attenzione della categoria nel dare informazioni

Fig. 2.16 - Commento con il paziente della terapia farmacologicae dei potenziali effetti collaterali

16111917613891

137

16111917613891137

137-17%161-20%

119-14%

176-21%

138-17%

91-11%012345

Numerodi pazienti

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ai pazienti. È un fatto condiviso e riconosciuto che il paziente non ha le conoscenze per gestire questo strano prodotto che è il farmaco. La farmacia, che possiede un’asimmetria conoscitiva (conoscenza della chimica del farmaco e della cinetica sull’individuo), si rende disponi-bile a mettere in circolo questo sapere a favore del cliente. Inoltre, questo passaggio che potremmo definire nelle “corde” dei farma-cisti, visto il suo livello di concreta applicazione nel campione dei rispondenti, viene eseguito con uno sforzo abbastanza contenuto, soprattutto se, come abbiamo visto in figura 2.15, è effettuato sulla base di un approccio standard centrato sul prodotto.

Partendo dal presupposto che è di circa 5 minuti il tempo medio di interazione con il paziente per la consegna del prodotto al ban-co (cfr. la ricerca TradeLab riportata su Puntoeffe nel maggio 2009), è evidente che il rilascio di informazioni sul farmaco, soprattutto se standard, può tranquillamente rientrare nell’attività a contorno e a conforto proprio di un servizio di consegna del farmaco, presupposto anche per la successiva assunzione corretta della terapia da parte del paziente.

Non c’è, quindi, da meravigliarsi se si riscontra diversità di risposta e di comportamento dei farmacisti fra questo passo operativo (rila-scio di informazioni) rispetto ai due precedenti passaggi analizzati, cioè conoscenza dello stato di salute del paziente e compresione di aspettative e risultati (vedi disposizione degli spicchi di figure 2.16, confrontata con le figure 2.13 e 2.14, riportate nella pagina seguente per semplificare il confronto).

Verifica della comprensionedelle informazioni rilasciate

L’ultima fase della gestione dei nuovi pazienti consiste nella verifica della comprensione, da parte del farmacista, delle informazioni scam-biate con il paziente. Il grafico 2.17, che riporta le frequenze di rispo-sta dei farmacisti rispetto all’argomento in questione, rimarca senza ombra di dubbio che la farmacia italiana è consapevole della parziale conoscenza, da parte del cittadino, su questo strano prodotto che è il farmaco, e sul suo impiego, e quindi evidenzia la necessità di veri-ficare che il paziente abbia ben compreso le informazioni trasferite.

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

A differenza di quanto registrato nei passaggi precedenti, questa attività viene completata sistematicamente (5 casi su 5) dal 36% dei rispondenti. Questa fase è molto importante soprattutto per i pa-zienti nuovi ai quali è stata diagnosticata la patologia cronica da poco tempo. Per loro, infatti, la patologia può anche significare entrare in una nuova fase della propria vita. Per questo è importante che la farmacia sia in grado di verificare la corretta comprensione da parte del paziente, e la condivisione su quelli che saranno i passi successivi.

È doveroso qui fare un’annotazione importante a margine di que-sta attività, che risulta essere compiuta direi magistralmente dalla maggioranza delle farmacie. Se è vero che la conferma del feed-back

3591171301134063

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Fig. 2.13 – Descrizione delle condizioni mediche

Richiesta al paziente di descriverele condizioni mediche

63-7%

359-44%

117-14%

130-16%

113-14%

40-5%

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Numerodi pazienti

409133118733851

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Richiesta al paziente delle aspettativee i risultati attesi

51-6%

409-50%

133-16%

118-14%

73-9%

38-5%

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Numerodi pazienti

Fig. 2.16 – Condivisione con il paziente delle modalità di assunzione e delle potenziali problematiche

16111917613891

137

16111917613891137

137-17%161-20%

119-14%

176-21%

138-17%

91-11%012345

Numerodi pazienti

Commento con il paziente della terapia farmacologica,dei potenziali effetti collaterali

Fig. 2.14 – Condivisione degli obiettivi e del percorso di miglioramento

43

da parte del paziente è un elemento supportato dai farmacisti, risulta altrettanto connaturato al servizio mantenere alto nel tempo un pre-sidio continuativo nell’assistenza ai pazienti.

Infatti, è facilmente condivisibile il concetto secondo il quale si-ano necessarie ulteriori misure di supporto proprio a favore di quei pazienti per i quali tanto si è investito, sia in fase informativa, sia di verifica della comprensione (questi due ultimi passaggi del processo di gestione dei nuovi pazienti). Considerato che il problema dell’as-sunzione della terapia farmacologica è di tipo comportamentale, non si può ritenere che un confronto informativo una tantum, in fase di prima conoscenza con il paziente, possa risolvere o sollevare da tutti i rischi di non aderenza a una prassi corretta di assunzione della te-rapia.

Proprio in quanto problemi comportamentali (per esempio stili di vita sedentaria in presenza di una terapia che prevede esercizio fi-sico, piuttosto che una dieta alimentare che mal si coniuga con gli effetti della terapia farmacologica), siamo portati a ritenere che una prima informativa ricca e qualificata sull’assunzione del farmaco sia

Fig. 2.17 - Verifica che il paziente abbia compresopienamente le informazioni

10278

12512595

297

1027812512595297297-36%

102-12%

78-10%

125-15%

125-15%95-12%

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Numerodi pazienti

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

da considerare come il primo passo di un processo più articolato, fondato sulla continuatività assistenziale. Di questo infatti si parlerà nel prossimo paragrafo (cfr. “Mantenimento della relazione con i pa-zienti già assistiti”), dedicato alla gestione dei pazienti continuativi.

In sintesi, la figura 2.18 ricapitola gli aspetti salienti legati all’aper-tura di relazioni con nuovi pazienti e confronta la performance delle farmacie italiane con quella delle farmacie europee.

Fig. 2.18 – Rapporto con i nuovi pazienti

1,8 1,8 3,8 3,71,5 1,2 2,3 3,1

0

1,25

2,5

3,75

5

Descrizionecondizioni mediche

Aspettative erisultati attesi

Commento effettie avvertenze

Verifica correttacomprensione

MEDIA UEMEDIA IT

Dal raffronto tra il comportamento delle farmacie italiane e quelle della media europea non emergono sostanziali differenze. In entram-bi i casi emerge come il punto debole della farmacia in generale consista proprio nelle prime fasi del processo, legate alla capacità di adottare un approccio molto personalizzato sul paziente. Il settore della farmacia è, infatti, un comparto molto “normato”, nel quale la regolamentazione spesso viene prima di ogni cosa e, quindi, an-che del cliente. Se questo si giustifica con la necessità di garantire una normativa capace di dare certezze ai pazienti (clienti), è anche vero che si corre il rischio di concrentare l’attenzione dell’operatore unicamente sul prodotto (risultato del processo regolatorio), dimen-ticando che dietro a ogni farmaco e a ogni terapia esiste un pazien-te. Centralità del cliente nelle politiche aziendali è, infatti, il mantra ripetuto in ogni ambito applicativo delle discipline di management e marketing. L’adozione dei criteri del PhC, che vedono la centralità del paziente nei processi di assistenza, è quindi fortemente comple-

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mentare con il marketing, dove l’una con un taglio clinico completa l’altra che assume, invece, un taglio commerciale.

Mantenimento della relazionecon i pazienti già assistiti

La disciplina del PhC, so-pratutto quando praticata nel contesto delle patologie croniche, non può sottrarsi a una logica di applicazione continuativa nel tempo. Un processo chiave del model-lo non è soltanto l’arruola-mento di nuovi pazienti, ma ancor più il mantenimento della relazione con i pazienti e l’assicurazione di una con-tinuità assistenziale.

Per rapporto con i pazienti si intende qui non solo una costante relazione di tipo “commerciale” (il paziente che occasionalmente o anche con cadenza fissa visita la farmacia; aspetto questo che è sicuramente funzionale per assistiti durante fasi acute di malat-tie o altre circostanze), ma una relazione di assistenza, supporto e monitoraggio dell’avanzamento e stabilizzazione della patologia cronica.

Le fasi ritenute fondamentali per mantenere costante ed efficace una relazione di assistenza con i propri pazienti cronici sono quat-tro, così come riportate in figura 2.19.

Ci troviamo di fronte ancora una volta a un percorso operati-vo scandito da passi concatenati e sequenziali, che nel loro com-plesso consentono alla farmacia di seguire in maniera sistematica il paziente cronico per quanto attiene l’assunzione della terapia farmacologica e le problematiche connesse. Di seguito descrivia-mo analiticamente tutti i quattro passaggi ed evidenziamo i valori emergenti dalla ricerca eseguita sul campione di farmacie italiane.

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Comprensione della modalità seguitaper l’assunzione della terapia farmacologica

Ripercorrere e comprendere con il paziente quello che è accadu-to nel tempo intercorso dall’ultimo incontro (ricordiamo che questo passo è idealmente concatenato e subordinato all’attivazione dei passaggi connessi con l’arruolamento di nuovi pazienti) è un approc-cio di riapertura della relazione molto importante, in quanto consen-te da un lato di riattivare il contatto, e dall’altro di sensibilizzare il pa-ziente sugli aspetti fondamentali con cui ci si era lasciati nell’incontro precedente.

La figura 2.20 indica le risposte fornite dal campione analizzato circa la realizzazione di questa attività, a partire dagli ultimi cinque pazienti assistiti con prescrizioni ripetute. Il valore medio è 1,5, ov-vero ogni 5 pazienti conosciuti soltanto a uno o due in media viene chiesto di riepilogare quanto accaduto dall’ultimo incontro.

Osservando in dettaglio il grafico, emerge che gran parte dei ri-spondenti (41%) non pratica affatto questa attività, probabilmente limitandosi a evadere le richieste del paziente listate nella ricetta. Per contro, esiste un gruppo di circa 200 rispondenti per i quali l’at-tività viene svolta sistematicamente, forse come approccio routinario

Fig. 2.19 – I 4 passi della gestione dei pazienti ripetuti

47

Fig. 2.20 – Dialogo iniziale con il paziente per riattivarela storia di assistenza

Il paziente indica la modalità seguitaper l’assunzione della terapia farmacologica

3341461411013664

3341461411013664

64-8%

334-41%

146-18%

141-17%

101-12%

36-4%

012345

Numerodi pazienti

di servizio. Questa componente di “routinarietà” è fondamentale, perché rinsalda i vari momenti durante i quali la farmacia eroga il servizio di assistenza. Inoltre, se l’inizio del secondo o ennesimo in-contro si apre riassumendo quando accaduto dall’ultimo incontro, non soltanto si crea un “ponte” logico nel processo assistenziale, ma nel contempo si responsabilizza il paziente e, quindi, si enfatizza il gioco delle parti nel percorso assisstenziale, così come evidenziato nella figura 2.21.

Va, quindi, creato un ponte logico tra l’ultimo passaggio della pre-sa in carico del paziente -cioè il momento nel quale si è verificata la comprensione delle informazioni per seguire un’assunsione corretta del farmaco (vedi scala sinistra di figura 2.11)- e l’inizio dell’incontro successivo, quando si responsabilizza il paziente, chiedendogli quali comportamenti sono stati messi in atto nel periodo intercorrente per dar corso all’applicazione prescrittiva. Assistere, infatti, non vuol dire “fare il lavoro” del paziente, ma offrire quel supporto di counselling che lo aiuta a essere pienamente conscio del ruolo di “guida” che as-

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sume nel processo terapeutico. Tutto ciò rientra pienamente, raffor-zandolo, nell’evoluzione di quello che viene definito con il concetto di empowerment del paziente (L. Fioravanti, F. Spandonaro “Continuità assistenziale: dal principio alla realizzazione: cosa insegna il disea-se management” in Politiche sanitarie Vol. 8, N. 1, Gennaio-Marzo 2007), e che si sostanzia anche con le iniziative di sviluppo dell’auto-medicazione (F. E. Pregliasco “Le patologie respiratoire intercorrenti nel paziente BPCO: il ruolo dell’automedicazione”; Fimmg - ottobre 2005). È anche scontato, inoltre, che questo tipo di ponte tra il primo e il secondo incontro debba essere riformulato da parte del farma-cista ad ogni successivo incontro, soprattutto nel momento in cui al paziente vengono assegnati “compiti” e comportamenti che non sono scontati nella loro attuazione, ma appunto richiedano impegno e applicazione.

Le considerazioni fatte in questo paragrafo mettono in luce la forte condizione di continuità assistenziale che connota il PhC. Corollario di tutto ciò è la messa a punto e la disponibilità di un sistema di sup-porto documentale quale strumento per la tracciabilità della storia passata e come “memoria” del farmacista, che non può ricordare a mente tutte le “posizioni”. Di questo ne parleremo diffusamente nel paragrafo relativo agli antecedenti organizzativi del PhC (cfr par. 2.5). Qui vale comunque la pena ricordare che l’assenza di questo “pon-te” o di una sua carente tracciatura storico-informativa potrebbe in-durre a semplificare questa fase, riducendola a una generica apertura colloquiale, piuttosto che a una attività strutturata che rafforza l’assi-stenza in ottica PhC come percorso condiviso e continuativo.

Fig. 2.21 – Connessione tra le varie fasi del processo di assistenza

49

Ricerca di potenziali problemi connessiall’assunzione della terapia farmacologica

(es. interazioni, effetti collaterali, scarsa aderenza, ecc.)

Il secondo passo per assicurare un’efficace gestione dei pazien-ti cronici assistiti in via continuativa consiste nel dialogo finalizzato alla ricerca e all’identificazione di problemi connessi con l’assunzione dei farmaci (interazioni negative, effetti collaterali, scarsa aderenza, ecc.), come riportato in figura 2.22.

Fig. 2.22 – Ricerca di interazioni negative, effetti collaterali,scarsa aderenza

Dialogo con il paziente su problemiconnessi con l’assunzione della terapia farmacologica

2501551561215090

2501551561215090

90-11%

250-30%

155-19%156-19%

121-15%

50-6%

012345

Numerodi pazienti

Se si somma la percentuale di coloro che non eseguono mai il passaggio, o che lo eseguono una sola volta su cinque (quindi rara-mente), scopriamo che, nei fatti, la metà del campione non esegue sistematicamente questo approfondimento. Ricordiamo l’importan-za della gestione dei problemi farmaco-correlati quale elemento costituente il “piano più alto” della casa del PhC e, soprattutto, il

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valore insito in questo processo, quale occasione per assicurare un più elevato outcome terapeutico, anche attraverso la stabilizzazione e compensazione del paziente cronico e, quindi, anche l’efficace uso delle risorse della collettività. Efficienza che, come abbiamo detto, deriva dall’evitare o ridurre il ricorso del paziente al pronto soccorso, o la necessità di continue ospedalizzazioni.

Mi soffermo meglio sul tema, perché questo è “capitale” nel PhC. Siamo partiti parlando dell’importanza del PhC come disciplina ca-pace d’intercettare, gestire e porre rimedio ai problemi farmaco-cor-relati (DRP - Drug Related Problems) in cui potrebbe incappare un paziente con patologie croniche. La reale capacità della farmacia d’intercettare questi potenziali problemi non è però una questione “estemporanea”, che si risolve con una o più domande fatte a caldo a un soggetto nei cui confronti non c’è alcun tipo di relazione di sup-porto o di aiuto.

Un’efficace disamina delle condizioni che possono portare a evi-denziare problemi farmaco-correlati presuppone, infatti, una cono-scenza approfondita del paziente. Spesso i problemi trovano radice in comportamenti errati, o non appropriati, o non giudiziosi del pa-ziente. Il farmacista che vuole entrare in essi deve conoscere e anche apprezzare il suo paziente. La figura 2.23 evidenzia questa impor-

Fig. 2.23 – Scoperta e gestione dei DRP nel corso della relazione

Co

nosc

enza

dei

com

po

rtam

enti

Inte

rcet

tazi

one

pro

ble

mi

51

tante relazione fra indagine sui DRP e conoscenza del paziente e dei suoi comportamenti.

Il percorso conoscitivo, fatto di successivi approfondimenti, neces-sita di una continuità assistenziale. Approfondire la conoscenza signi-fica entrare nell’intimo del paziente e scovare le problematiche più radicate che possono determinare l’insuccesso nella terapia farma-cologica. Come evidenzia la figura 2.23, al crescere della conoscenza del paziente cresce in maniera proporzionale la capacità d’intercetta-re le problematiche relative all’assunzione del farmaco.

Valutazione circa l’efficacia della terapiafarmacologica assunta

Dal momento che il paziente è posto al centro del percorso di cura, la valutazione congiunta dell’efficacia della terapia assume rilevanza assoluta. Il farmacista, aiutando il paziente a identificare il punto in cui si trova nel processo terapeutico, realizza due scopi. Innanzitutto conferma la centralità del paziente e, quindi, il suo empowerment, e secondariamente comprende e approfondisce meglio la conoscenza del paziente, soprattutto dal punto di vista della sua motivazione, volontà e determinazione a progredire in termini di aderenza alla te-rapia.

La figura 2.24 riporta la misura di questa fase della gestione dei pazienti ripetuti, a partire dalle dichiarazioni fornite dagli 822 farma-cisti che hanno partecipato alla ricerca. Assistiamo a valori medi vicini a 2 (1,77) pazienti, su una base 5 di riferimento. L’osservazione delle frequenze di risposta confermano il dato visto in precedenza: la metà del campione sostanzialmente non esegue questa attività, oppure la esegue in maniera molto residuale.

La valutazione dell’efficacia della terapia rimanda, inoltre, a un aspetto importante della legge sui servizi del 2009 e successivi DM applicativi (DM 16/12/2010). Da quella data, infatti, la farmacia è sta-ta autorizzata a eseguire nei propri locali servizi di monitoraggio a fa-vore dei propri pazienti. Si tratta della cosiddetta autoanalisi e analisi di prima istanza a favore di pazienti.

Questa facoltà è da considerarsi, ai fini del PhC, come uno stru-mento che assicura credibilità scientifica nelle valutazioni che farma-

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

cista e paziente eseguono per l’efficacia della terapia. Tutto ciò verrà ripreso più avanti, quando parleremo di strumentazione e organizza-zione dei servizi in ottica PhC.

Qui basta sottolineare quanto questa fase (la valutazione dell’ef-ficacia), elemento di conferma e rinforzo dell’aderenza del pazien-te alla terapia, trovi forza e radicamento “scientifico” proprio nella possibilità di ricorrere alla farmacia per monitorare la patologia cui è affetto il paziente.

Valutazione del livello raggiuntonegli obiettivi terapeutici prefissati

Infine, l’ultimo passaggio nella gestione dei pazienti ripetuti ri-guarda la valutazione, insieme con il paziente, del livello di raggiun-gimento degli obiettivi prefissati e nella loro conferma o revisione. Una prima lettura della figura 2.25 evidenzia come coloro che non eseguono del tutto il processo, o svolgono un’attività soltanto resi-duale, superino di molto il 50% del campione.

Fig. 2.24 - Richiesta al paziente di una valutazione circal’efficacia della terapia farmacologica

2761291551166482

2761291551166482

82-10%

276-33%

129-16%155-19%

116-14%

64-8%

012345

Numerodi pazienti

53

Una prima spiegazione del fenomeno è certamente legata alla ca-rente attenzione della farmacia a fissare a monte obiettivi terapeutici con i pazienti in cura (vedi figura 2.14). Ne consegue che, a valle, ha meno rilevanza l’attuazione di una fase di controllo. Pensare il servi-zio in ottica di ciclo integrato è, invece, fondamentale per assicurare un approccio scientifico al paziente e, al contempo, fargli apprezzare lo sforzo profuso dalla farmacia.

La figura 2.26 mostra i benefici di questo processo ciclico con-trapposto a una impostazione lineare, che vede poco coinvolto sia il paziente che il farmacista nei servizi, se non in termini di rilascio d’informazioni.

L’approccio lineare, esposto nella parte destra di figura 2.26 non soltanto è poco interattivo, ma essendo lineare è “finito”, cioè non prevede la possibilità di “reinventarsi”, come è invece caratteristica del processo circolare, rappresentato nella figura (parte sinistra) dal serpente immaginario mitologico “uroboro”, che nell’atto di man-giarsi la coda rinasce e si rinnova.

A parte i riferimenti all’immaginario antropologico, appare chiaro che la valutazione dell’efficacia delle misure intraprese diviene fonda-

Fig. 2.25 - Richiesta al paziente di una valutazione circail livello di raggiungimento degli obiettivi

3481321181144961

3481321181144961

61-8%

348-42%

132-16%

118-14%

114-14%

49-6%

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Numerodi pazienti

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ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

Fig. 2.26 – Il ciclo di counselling del paziente

mentale per definire i nuovi obiettivi e mantenere continuatività assi-stenziale con il paziente, cioè assicurarsi che torni in farmacia in base a un programma concordato che, non ultimo, assicura alla farmacia un flusso dispensatorio continuo e costante (magari crescente), tipico di una patologia cronica.

La gestione in farmacia dei pazienti ripetuti, scandita dai quattro passaggi prima descritti, prevede il seguente posizionamento, ri-spetto alla media dei farmacisti europei esposta in figura 2.27.

In generale, il dato medio si attesta su valori inferiori a quelli regi-strati a livello europeo. Si evidenzia, in particolar modo, un aumento del differenziale per quanto attiene l’ultima fase: valutazione del rag-giungimento di obiettivi e conseguente loro revisione.

La cronicità è un problema fondamentale di compensazione e sta-bilizzazione dei pazienti e il processo di gestione dei pazienti ripetu-ti, per sua stessa natura, affronta proprio questo scopo. Un aspetto chiave della stabilizzazione consiste poi nella capacità di mettere a punto una metrica della patologia, ovvero definire obiettivi di miglio-ramento, sistemi di monitoraggio e controllo dell’avanzamento. La natura stessa della cronicità afferma che questo processo, come ab-biamo osservato in figura 2.26, è circolare, nel senso che purtroppo (per il paziente) non ha fine e richiede una continua ritaratura.

La farmacia, capace di affinare e adottare procedure di servizio, non soltanto offre un’attività personalizzata, ma al contempo crea le condizioni affinchè il paziente, cronico, trovi interesse a legarsi alla

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Fig. 2.27 – Il processo di assistenza dei pazienti in cura

2 2,5 2,3 2,31,5 1,8 1,7 1,5

0

1,25

2,5

3,75

5

Informazioni sullapratica seguita

Ricercadi problemi

Valutazionedell’efficacia

Livello diraggiugimento

obiettivi

MEDIA UE

MEDIA IT

farmacia che garantisce continuità assistenziale. La farmacia di oggi, infatti, ha metriche di funzionamento prioritariamente indirizzate a controllare i processi interni (sopratutto legati al prodotto; si pen-si per esempio al controllo dei mancanti, piuttosto che al controllo della rotazione di magazzino), mentre scarsa è l’attenzione a creare metriche anche cliniche per monitorare il servizio al paziente. Di que-sto aspetto ci occuperemo proprio nei prossimi paragrafi dedicati agli aspetti organizzativi del PhC, definibili anche come antecedenti, in quanto creano una corretta infrastruttura hard e soft, che abilita il singolo farmacista all’erogazione di servizi in ottica di PhC.

Gli atteggiamenti nei confrontidel servizio

Il modello di PhC sin qui presentato enfatizza il rapporto con il paziente e l’attitudine della farmacia a erogargli un servizio perso-nalizzato, ovvero una prestazione che, partendo dal farmaco (pro-dotto standard nella maggioranza dei casi), costruisce un percorso di assistenza continuativa ritagliato su misura per il paziente, come evidenziato in figura 2.28.

Erogare servizi personalizzati significa predisporre, o più sempli-

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cemente rivedere, l’organizzazione tradizionale della farmacia (sin-teticamente rappresentata nella parte in alto di figura 2.28). Essa è centrata sul funzionamento del banco, che è il punto di equilibrio tra la gestione interna (gestione dello stock) e la gestione delle richieste di consegna del farmaco da parte dei pazienti. La personalizzazione del servizio, ponendo al centro il paziente e non il farmaco, necessita di una serie di accorgimenti, a partire da un approccio assistenziale continuativo circolare. Perché questo approccio circolare (vedi figura 2.26 ripresa in figura 2.28) sia svolto efficacemente, occorre che siano verificati anche altri presupposti. La figura 2.28, nella parte in basso, ne individua almento quattro fondamentali:

• l’apertura della farmacia alla logica collaborativa, • l’organizzazione del tempo e delle risorse in farmacia,• la predisposizione di processi e protocolli operativi,• il ripensamento degli spazi e della struttura della farmacia.Naturalmente questi elementi della struttura aziendale non sono

Fig. 2.28 – Servizio standard e personalizzato a confronto

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slegati da quelli che classicamente compongono la farmacia tradizio-nale, ma devono essere armoniosamente pensati e progettati affinché i servizi compenetrino e siano complementari alla dispensazione del farmaco. Quindi, come esistono processi che regolano il funzionamen-to dello stock, altrettanto deve accadere per l’erogazione del servizio e tra questi deve esserci una connessione.

L’evoluzione della farmacia verso la “Farmacia dei servizi” è stata pensata come un elemento in aggiunta alla consegna del farmaco e, come tale, non è mai decollata. L’assenza di una Convenzione che ne riconosca il valore e che generi profitto ha, inoltre, indotto la maggior parte dei titolari di farmacia a trascurarla, come forma d’innovazione della farmacia. Il PhC, che nei fatti è il luogo in cui potrebbe svilupparsi la “farmacia dei servizi”, deve essere invece integrato nell’organizza-zione classica della farmacia.

I quattro elementi (struttu-ra, organizzazione, processi e collaborazione) costituiscono i pilastri del PhC e, in quan-to tali, sono stati oggetto di studio nella ricerca condotta in Italia e in Europa.

A essi poi si accompagna un ulteriore pilastro, che mi-sura gli atteggiamenti del titolare volti ad arricchire l’of-ferta della farmacia attraverso i servizi. Per atteggiamenti e

convincimenti ci si riferisce qui al grado di predisposizione del titolare a impegnarsi in una serie di attività (i vari piani della casa del PhC), che sicuramente sottrae risorse alla farmacia, in parte anche distogliendole dalla normale routine di dispensazione del farmaco, che rimane ancora l’unica attività capace di generare introiti vitali alla farmacia.

Il PhC è una disciplina che, come abbiamo visto, è di non immediata applicazione, richiedendo un cambio di passo sia nei comportamenti di servizio, sia nell’organizzazione della farmacia. Se poi consideria-mo che non esiste una Convenzione che riconosca una remunerazione per i servizi erogati, è facile ipotizzare che lo sviluppo della pratica di

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PhC richieda una forte consapevolezza, oltre alla determinazione del titolare verso un percorso evolutivo futuro. Inoltre, il PhC e gli inve-stimenti connessi potrebbero essere vissuti come antagonisti rispetto alla ricerca di marginalità della farmacia, soprattutto mentre la farma-cia perde ricavi, margini e valore. In sostanza, lo sviluppo del PhC si verificherebbe laddove il titolare consideri in chiave prospettica inve-stire sulla relazione con il cliente, ritenendo che questa, in assenza di una remunerazione in Convenzione, possa un domani ripagare degli investimenti grazie al contributo privatistico del paziente: il cosiddetto “out-of-pocket” del cittadino.

Per verificare questa predisposizione sono state poste due doman-de ai titolari che hanno partecipato all’indagine. Una per misurare il fenomeno nella sua componente quantitativa, cioè quante volte si cer-ca di mettere in atto la disciplina del PhC, e una di taglio qualititativo, per far emergere l’impegno e lo sforzo profuso per assistere al meglio il paziente (figura 2.28 bis).

Fig. 2.28 bis - Fornire quantitativamente e qualitativamente i servizi di PhC

2,8 2,81,2 1

Prodigarsi nel fornire assistenza

Cercare di fornire assistenza

2 3 4 5mai raro ogni tanto spesso sempre

MEDIA UE

MEDIA IT

Il grafico di figura 2.28 bis raffronta le risposte del campione ita-liano con la media europea. Va però sottolineato che qui cambiano i valori adottati: mentre le precedenti domande sono state sempre riferite a un gruppo di 5 pazienti, questa e le successive sono invece rapportate a una scala di valore che oscilla tra il “mai” e il “sempre”.

Le domande volte a misurare gli antecedenti di servizio, infatti,

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non sono relative a momenti d’incontro specifico con i pazienti, ma ri-guardano condizioni precedenti, cioè si riferiscono ad attività o com-portamenti preparatori e organizzativi.

In generale, possiamo dire che la media dei valori espressi dai colleghi d’Oltralpe è anch’essa migliorabile: infatti “spesso” non è “sempre”. Il modello di funzionamento della farmacia si ispira alla dispensazione del farmaco e, come abbiamo detto, il massimo atteg-giamento verso il servizio potremmo trovarlo in una farmacia “ambu-latorio” (cfr figura 2.1), che però è puramente teorica, dato il sistema che ruota intorno alla consegna del farmaco.

Ciò detto, in Italia rimangono comunque ampi spazi di migliora-mento proprio su questo tema. Mentre il posizionamento UE è me-diamente intorno a “spesso”, in Italia è solo “ogni tanto”. La spiega-zione di questo valore penso non sia da ricercare nello scarso interes-se verso la componente professionale del PhC, quanto semmai negli aspetti legati all’economicità dei servizi. Il vissuto generale dei titolari di farmacia nei confronti dell’economicità dei servizi, infatti, è negati-vo: non genererebbero profitti e drenererebbero risorse, utili invece per far fronte alla ridotta marginalità. Questo nodo verrà sicuramente sciolto quando si riuscirà a dimostrare che i servizi presentano una propria condizione di sostenibilità economica.

Struttura, organizzazione e processi

Il secondo antedecente importante consiste nel do-tare la farmacia di strutture, organizzazione e processi necessari per assicurare al paziente un servizio adegua-to. Un aspetto che differenzia in maniera significativa i ser-vizi di assistenza al paziente dall’attività di dispensazione del farmaco consiste proprio nella diversa impostazione

strutturale del servizio, e nella logica procedurale e temporale d’in-

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terazione con il paziente. Infatti, mentre la dispensazione del farmaco è un’attività che viene svolta prioritariamente al banco, il PhC preve-de -almeno nei momenti topici della relazione- l’incontro in un luogo appropriato che garantisca privacy e tranquillità.

Inoltre, la consegna del prodotto presenta modalità e tempistiche sostanzialmente differenti dall’attività di servizio al banco. Questa si fonda sul criterio “First-come, first-served” (“si serve in ordine di arri-vo”, secondo la terminologia anglosassone) e il tempo d’interazione previsto è in genere contenuto, non superando quasi mai qualche minuto.

Al fluire dinamico del servizio di consegna si contrappone, invece, la logica dell’incontro per i servizi di assistenza. Questi spesso richie-dono un appuntamento preventivo e possono avere una durata che va anche oltre i 30 minuti, almeno nelle prime fasi conoscitive e di contatto. Diventa, quindi, fondamentale ripensare alla gestione degli spazi, del tempo e delle risorse, quando l’offerta, oltre la consegna del farmaco, si arricchisce con l’erogazione di servizi personalizzati.

Di seguito vengono analizzati i singoli elementi che determinano l’organizzazione dei servizi e una misura di quanto vengono praticati dalle farmacie italiane.

Incontro dei pazienti in una zona della farmaciache garantisce tranquillità e rispetto della privacy

Il presupposto del PhC è la personalizzazione del servizio sulle di-mensioni del singolo paziente. La possibilità di incontrare il pazien-te in un’area che assicura il rispetto della privacy e la tranquillità è, quindi, un requisito indispensabile per assolvere il presupposto della personalizzazione.

La figura 2.29 mette in risalto le risposte dei farmacisti in merito a questo aspetto. La percentuale di quanti danno seguito a questo precetto solo “ogni tanto” ammonta a più del 50%, segnale questo di una ridotta possibilità di mettere a proprio agio il paziente, per una relazione di counselling che richiede proprio queste caratteristiche.

L’impossibilità di ricorrere all’area dedicata per gli incontri con i pazienti, almeno alla nascita della relazione o nei momenti più deli-cati, potrebbe essere determinata dalla reale mancanza in farmacia

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di una zona da destinare a tale scopo. Questo è un problema che riguarda circa il 30% del campione, che afferma di non possedere un’area adeguata. Si è allora provveduto a filtrare le risposte (fig. 2.29) in ragione della presenza e disponibilità di un’area dedicata nei locali della farmacia. La figura 2.30 mostra così come risponde il sottoinsieme del campione che possiede un’area dedicata.

Dal confronto dei valori delle due ultime figure emerge chiara-mente che esiste una parte delle farmacie che, seppure dotata di area dedicata, opera in condizioni che non consentono di assicurare agli incontri la corretta contestualizzazione. In particolar modo, co-loro che utilizzano l’area solo “ogni tanto” passano dal 53%, come visto prima, al 47% (5%+11%+31% di figura 2.27); segno questo non tanto di una carenza, quanto dell’incapacità di utilizzare la stessa area in modo appropriato.

La disponibilità di una zona dedicata diviene, quindi, una condizio-ne necessaria, ma non sufficiente. La farmacia che assicura tranquil-lità e privacy agli incontri, cosa non sempre fattibile se al banco c’è la coda, non soltanto possiede una zona dedicata, magari semplice-mente l’isola o il corner della dermocosmesi, ma si è anche dotata

Fig. 2.29 - Incontrare i pazienti in una zona della farmaciache garantisce il rispetto della privacy

90116250217149

mairaramenteogni tantospessosempre

90-11%

116-14%

250-31%

217-26%

149-18%

mairaramenteogni tantospessosempre

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di un’organizzazione capace di gestire le risorse umane in maniera appropriata, non soltanto ai ritmi dettati dal banco, ma anche dal tempo richiesto da un servizio personalizzato (appuntamenti, preno-tazione dell’area, gestione risorse umane specialistiche, ecc.).

Utilizzo di procedure e protocolli per erogare servizi

Tutte le aziende, che siano farmacie o aziende di distribuzione o manifatturiere, approntano linee guida, processi, procedure, proto-colli, per coordinare al proprio interno le risorse e farle converge-re verso la realizzazione del miglior prodotto o servizio a favore del cliente. In questa prospettiva anche le farmacie hanno messo a punto nel tempo le proprie “regole” di funzionamento, non soltanto per offrire al paziente il miglior servizio, ma anche per garantire l’attività richiesta nel miglior modo, cioè in condizioni di efficacia, di efficienza e con il minor dispendio di risorse.

Si pensi, per esempio, ai criteri di gestione del magazzino, alle lo-giche di riassortimento e di gestione dei mancanti e via di seguito per qualsiasi area che prevede l’esecuzione di attività, l’impiego quindi di

Fig. 2.30 - Incontro contestualizzato: solo coloroche dichiarano di possedere l’area dedicata

2965

181180127

mairaramenteogni tantospessosempre

65-11%

181-31%180-31%

127-22%

29-5%

mairaramenteogni tantospessosempre

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risorse (umane e finanziarie) che incidono sul servizio al cliente finale.In questa prospettiva ci si chiede se i servizi, introdotti in farma-

cia dalla legge del 2009, siano stati “normati” nella loro messa in funzione, oppure se siano stati attivati in maniera non strutturata, cioè legati alle valutazioni del singolo farmacista e, quindi, esposti a una marcata condizione di “occasionalità”. La figura 2.31 mette in evidenza le risposte delle 822 farmacie italiane in tema di regole e metodi per erogare i servizi di PhC.

Dall’osservazione di figura 2.31 emerge che le farmacie, per quanto riguarda i servizi erogati ai pazienti, non sono molto abituate a lavorare in base a protocolli. Quasi la metà del campione (46%), infatti, dichiara di non utilizzare procedure e protocolli per l’espletamento dei servizi.

L’approccio per processi è, invece, centrale nel PhC, poichè è la mo-dalità attraverso la quale è possibile assicurare una standardizzazione di un servizio -quello di assistenza alla persona- che, essendo comples-so nelle variabili prese in gioco, risente fortemente della soggettività del professionista erogatore. Il servizio di consegna del farmaco è, in-vece, fortemente regolamentato e procedurizzato, anche in virtù della lunga storia di applicazione in farmacia. Dobbiamo quindi superare

Fig. 2.31 – Avvalersi di protocolli e informazioni per espletare i passi fondamentali del servizio di assistenza

379136139124

44

mairaramenteogni tantospessosempre

136-17%

379-46%

124-15%

44-5%

139-17%

mairaramenteogni tantospessosempre

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questa fase sperimentale, per quanto attiene i servizi, e fare in modo che l’assistenza ai pazienti in ottica PhC sia integrata in termini anche di regole e approcci gestionali. Cioè dobbiamo lavorare per integrare la dispensazione con i servizi, come rappresentato in figura 2.28.

A distanza di ormai 5 anni dall’entrata in vigore della legge sui ser-vizi, possiamo certamente dire che essa vede applicazione a mac-chia di leopardo; a volte addirittura un’applicazione estemporanea. Questo è determinato anche dal fatto che non si è trovato il modo per sincronizzare in maniera “regolamentata” l’erogazione dei servi-zi, con il fluire dell’attività tradizionale e prioritaria di dispensazione del farmaco.

In sostanza, la farmacia continua a fare il mestiere di sempre e occasionalmente aggiunge, in maniera accidentale e non integrata, la prestazione di servizi. Ergo, i servizi, secondari alla consegna del farmaco, non si sono sviluppati e in quanto residuali non hanno bene-ficiato di quella riflessione che consenta di regolamentarli e, quindi, di applicarli in maniera diffusa e integrata rispetto al resto dell’azien-da farmacia. I servizi, benché se ne parli come la chiave per l’inno-vazione della farmacia, sono rimasti figli di un Dio minore e, quindi, sottovalutati.

Quello a cui invece richiama la figura 2.28 è esattamente la ricerca di una diversa via interpretativa per i servizi. Questi, se ben regola-mentati e integrati con la farmacia tradizionale, diventano un forte viatico per il suo sviluppo. Infatti, il primo risultato, diretto, dell’ero-gazione dei servizi di PhC è un corretto impiego del farmaco, cioè una condizione di migliore -oserei dire anche “maggiore”- distribu-zione del farmaco, che rimane e rimarrà il vero motore di sostenta-mento della farmacia di ieri, oggi e domani. La figura 2.32 riprende parte del contenuto della figura 2.28, enfatizzando il tema della inte-grazione tra farmacia dispensatrice e farmacia dei servizi.

Aggiungo una considerazione che può sembrare marginale, ma che invece è capitale per le farmacie tutte, rilette come singoli nodi di una rete di servizio territoriale. Questa valutazione sull’integrazio-ne della farmacia dispensatrice con la farmacia dei servizi, attraverso la definizione di regole e processi condivisi che integrano singole attività, non è soltanto applicabile nel micro, cioè all’interno di una singola farmacia, ma anche nel macro, ovvero interpretando le singo-

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le farmacie come una rete di servizio a vantaggio delle cure primarie. Si pensi, infatti, alla medicina del territorio, alle cure primarie,

come un servizio esteso alla cittadinanza e realizzato efficientemente ed efficacemente dall’integrazione multiprofessionale tra le diverse figure del Ssn: medicina di base, specialistica, infermieristica, farma-ceutica, ecc.

In questa prospettiva il sistema regolatorio e procedurale, che consente e assicura l’erogazione del servizio e l’integrazione di tut-te le professioni coinvolte, potrebbe essere sintetizzabile nel cosi-detto PDTA (Piano Diagnostico Terapeutico Assistenziale), almeno per quanto riguarda il presidio delle patologie croniche. Occorre, quindi, partire a livello macro e disegnare PDTA a livello di sistema nazionale, regionale o di singola Asl, capaci di valorizzare lo sforzo della farmacia non soltanto in termini di consegna del farmaco, ma anche e sopratutto come realtà capace di fornire servizi di assisten-za che assicurano una corretta amministrazione della cura, generano aderenza alla terapia e contribuiscono nel monitoraggio dei risultati terapeutici. La figura 2.33 ricapitola in forma grafica il concetto e la centralità del PDTA.

Questa schematizzazione mette al centro il malato (anche se per semplificazione grafica non è stato riportato) e tutti gli operatori sa-nitari che collaborano, assicurando l’ottimizzazione del flusso fisico del paziente (il cosidetto “Safe Patient Transition” o anche “patient

Fig. 2.32

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tour” in terminologia anglosassone) senza soluzione di continuità (Seamless Care Pharmacy), così da assicurare un efficace ed efficiente servizio di cura. Tre condizioni forti sono alla base di questo concetto d’integrazione delle cure primarie:1. Processo integrato di servizio, da cui ne discende la forza della

farmacia come rete di servizio territoriale e che richiede la de-clinazione a livello di singola farmacia di opportune procedure o regole di erogazione dei servizi

2. L’apertura collaborativa delle figure professionali coinvolte (tema che verrà trattato nel paragrafo sulla collaborazione pro-fessionale)

3. Condivisione di dati e informazioni, possibilmente con modali-tà digitale, affinché tutti gli attori possano ottenere visione del flusso operativo (tema che verrà trattato di seguito sempre in ambito del paragrafo sulla struttura, organizzazione e processi).

Ne consegue che la capacità della farmacia di dimostrare la sua attitudine al gioco di squadra -assicurando che la rete delle quasi 18 mila farmacie è capace di erogare un servizio integrato ai processi delle cure primarie- assume quindi un valore importantissimo anche in una logica di visibilità del comparto nei confronti del Servizio sani-tario e degli operatori delle cure primarie, nonchè della collettività in senso allargato. Condizione questa non solo per ridare forza e vigore alla categoria professionale, ma anche per creare le condizioni di ri-appropriazione di valore e, quindi, di remunerazione della farmacia all’interno della catena delle cure primarie.

Fig. 2.33 – idealizzazione di uno schema PDTA

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Utilizzo di applicativi per gestire informazioni sul farmacoe gestione dei dati clinici del paziente

Le farmacie italiane sono tutte dotate di applicativi informatici che supportano la gestione della farmacia in termini di flussi digitalizza-ti: dall’ordine del farmaco alla consegna al paziente passando per il carico a magazzino, lo scarico per consegna e la registrazione della transazione di vendita (scontrino o ricetta).

L’utilizzo di tale struttura informatica a supporto della gestione non è sempre scontato. Vi sono farmacie che per esempio gestiscono i movimenti di magazzino a quantità ma non a valore, vi sono farma-cie che utilizzano a pieno la strumentazione informatica beneficiando di informazioni sul traffico in farmacia che analizzano con ritmo ca-denzato come sistema di controllo di gestione.

Tenuto conto che il processo di assistenza personalizzata al pazien-te richiede l’uso sistematico di dati e informazioni sia sul paziente sia sul farmaco si è provveduto a verificare quanto le farmacie impiegas-sero questi supporti nell’erogazione dei servizi. La figura 2.34 riporta le frequenze di risposta in merito all’utilizzo di tre funzioni informati-ve chiave:1. Controindicazioni farmacologiche2. Interazione farmaco su farmaco3. Dati clinici del paziente

Fig. 2.34 – Digitalizzazione delle informazioni a supportodel processo clinico in farmacia

Presenza di software capace di gestire:

364 359 757458 463 65

Controindicazioni farmacologiche

Interazione farmaco su farmaco

Dati clinici paziente

0 225 450 675 900

364 458

359 463

757 65

NOSÌ

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L’utilizzo in farmacia di supporti digitali per la consultazione di informazioni utili a erogare servizi personalizzati di assistenza pre-senta una duplice dimensione. Da un lato possiamo dire che siano sufficientemente usati gli applicativi che consentono di controllare le interazioni farmaco su farmaco o di interrogare le controindicazioni legate ai farmaci. Più della metà dei rispondenti dichiara di impiegare questi strumenti quali supporti per offrire un servizio migliore.

Per contro, si assiste invece a una risposta completamente diversa quando viene chiesto loro di valutare l’impiego in farmacia di data-base per la gestione dei dati clinici dei pazienti. Come si evince dalla figura 2.34, più del 90% del campione afferma di non utilizzare simili strumenti.

Questa dicotomia trova una sua spiegazione e conferma nelle con-siderazioni in precedenza fatte circa la focalizzazione del farmacista sul farmaco e soltanto in via indiretta sul paziente. Infatti, la necessità di avere una tracciabilità e una rendicontazione sul singolo paziente non è rilevante se non nel momento in cui si attivano programmi con-tinuativi di assistenza al paziente, dove si registrano e si riutilizzano nel tempo dati diagnostici, di monitoraggio e controllo. In sintesi, il database e le esigenze di gestione collegate (archiviazione, consulta-zione, aggiornamento, eccetera) si giustificano nel momento in cui la farmacia adotta un comportamento di assistenza continuativa.

Vi è da segnalare, d’altro canto, che la reale possibilità di mettere in pratica il modello di servizio circolare come definito in figura 2.26 non è assolutamente praticabile senza un supporto di questo tipo, al di là di un impegno che veda coinvolta la farmacia su un manipolo di pochi pazienti, per i quali si riesca ancora a gestire a memoria le singole posizioni.

In quest’ottica deve essere riletto il progetto (DigitalCare) volto a creare un portale che aiuti i farmacisti a gestire in maniera integrata i dati del paziente, ovvero il dossier farmaceutico, cioè l’archivio dove verranno registrate tutte le transazioni sul farmaco nominalmente per ciascun paziente. Questo passaggio -che richiede ancora l’approva-zione di un apposito dettato normativo da parte parlamentare- è im-portante perché è il primo passo verso la condivisione nel sistema delle cure primarie (medicina, farmacia, altri operatori) del fascicolo sanitario elettronico del cittadino (FSE), nel quale confluiranno tutte

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Fig. 2.35 – Livelli gerarchici nella gestione dei dati paziente

le informazioni sanitarie consultabili dagli operatori accreditati e au-torizzati, come riportato in figura 2.35.

È il caso di sottolineare che, sebbene il percorso legislativo in tema di dossier farmaceutico e FSE sia ancora in divenire, rimane comun-que sempre nella facoltà di ciascun farmacista attivare nella propria farmacia un “archivio paziente” (parte centrale di figura 2.35), capa-ce di contenere dati clinici e di monitoraggio che gli consentano di tracciare le informazioni necessarie al percorso assistenziale. La nor-mativa, infatti, consente alla singola farmacia di raccogliere queste informazioni per uso clinico, previa concessione di utilizzo dei dati da parte del paziente ai sensi della normativa sulla privacy.

Il risultato clinico come metro di giudiziodel comportamento professionale

La centratura dell’operato del farmacista sul paziente anziché sul farmaco, voluta attraverso l’applicazione della disciplina del PhC, ag-giunge inoltre un ulteriore tassello nel mosaico della strumentazione organizzativa di presidio per i servizi.

Mettere al centro del servizio il paziente e in via subordinata il

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farmaco significa riorientare l’attività e, conseguentemente, rivedere anche i parametri impiegati per misurare la bontà e la correttezza dei comportamenti. Il risultato clinico di miglioramento delle condizioni di salute del paziente cronico diventa quindi un parametro da misura-re e osservare per valutare e guidare l’operato della farmacia.

Fig. 2.36 - Il risultato clinico raggiunto dai propri pazienticome metro di giudizio

23677

181223105

mairaramenteogni tantospessosempre

77-9%

236-29%

223-27%

105-13%

181-22%

mairaramenteogni tantospessosempre

La figura 2.36 evidenza che coloro che seguono questa prassi si-stematicamente (sempre o spesso) sono il 40% della base dei rispon-denti, mentre il 38% non la esegue mai o solo raramente. In sostan-za, ci troviamo di fronte a una situazione di distribuzione sulla scala valoriare abbastanza equilibrata. Vi sono farmacisti che si sentono responsabilizzati non solo sull’attività di dispensazione del farmaco: si fanno carico delle condizioni di salute del paziente, assumono un “appalto psicologico” nei confronti dei problemi che emergono in tema di aderenza alle terapie e di conseguenza guidano il proprio operato avendo come metro di giudizio i miglioramenti nella salute del paziente (come indica la figura 2.36). Lo spostamento da una

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metrica interna focalizzata sull’efficienza ed efficacia del farmaco e la sua logistica (per esempio, tempi medi di evasione delle richieste al banco) a una metrica che si proietta anche oltre le mura della far-macia, per entrare idealmente in casa del paziente e osservare il suo percorso di miglioramento del quadro clinico, ha quindi senso solo se il farmacista prende in carico il paziente per un programma di conti-nuità assistenziale. La figura 2.37 riespone il concetto in forma grafica.

Fig. 2.37 – Il ciclo dell’appalto psicologico della salute del paziente

La chimica è annoverata tra le scienze esatte, la medicina no. Il far-macista dispensatore rientra nell’ambito dei chimici, il farmacista che pratica PhC è più vicino alla classe medica e agisce in ragione di una “ragionevolezza sanitaria”, più che di una “scienza dura” del farmaco.

Questo implica che il suo agire è guidato da regole e discipline stabilite ex-ante (nella figura 2.37 estrinsecabili nella rigorosità del PDTA), ma deve essere riletto e ripensato in base ai comportamenti applicativi: il PAI (Piano di assistenza individuale), che sintetizza la strategia di azione sul singolo paziente. Comportamenti applicativi che sono soggetti a un approccio “trial&error”, che sono vissuti stra-da facendo e che richiedono un controllo a consuntivo e una misura di retroazione (feedback di figura 2.37), tendente a confermare o ri-vedere approcci e linee guida di azione.

Condividere e accedere a una baseconoscitiva ed esperienziale

Un ultimo elemento da ricomprendersi nell’impianto organizzativo che compone il modello di PhC è la condivisione e accesso a una

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base informativa e conoscitiva che aiuti il farmacista a superare i pro-blemi che incontra nel servizio di assistenza ai pazienti.

Fig. 2.38 - Condivisione con colleghi farmacisti di memorandumsu casi di assistenza a pazienti critici

57792684936

mairaramenteogni tantospessosempre

92-11%

577-70%

49-6%

36-5%

68-8%

mairaramenteogni tantospessosempre

Il concetto è fondamentalmente disatteso e lontano dalla pratica di adozione nelle farmacie italiane (cfr. fig. 2.38). Questo certamente si giustifica in un contesto di servizio centrato sul prodotto, dove le informazioni e la conoscenza sono intrinsecamente connesse al far-maco: come si è detto in precedenza (cfr. figura 2.15), il foglietto illustrativo e la farmacia che ne è garante in termini di informativa. Se spostiamo l’attenzione sul paziente, diviene importante l’accumulo di conoscenza guidata dall’esperienza. Dobbiamo però constatare che questo accumulo di conoscenza assume connotati che travali-cano i confini della singola farmacia. Infatti, ogni singola farmacia può maturare esperienza sulla prassi di assistenza del paziente; può occuparsi di gestioni trasversali e generali, può intervenire in termini di gestione verticale su specifiche patologie o aree di intervento. Per

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quanta forza possano avere questa pratica e l’attenzione nell’accu-mulo di queste conoscenze, la farmacia singolarmente presa vivrà sempre una condizione di carenza conoscitiva, in ragione del fatto che la pratica applicativa sul paziente è sterminata. Mettere a fat-tore comune, invece, l’esperienza dei singoli (si pensi a un sistema di Knowledge sharing, terminologia anglosassone che denota ed etichetta strumenti e metodi precisi, applicato a 18mila farmacie e alimentato da una popolazione potenziale di 60mila farmacisti), si-gnifica dotare il singolo farmacista di una sorta di “dono di ubiqui-tà”: in questo modo, infatti, egli può accedere ad esperienze che si muovono in un tempo e uno spazio che si estendono oltre il suo spazio-tempo fisico.

Tutto ciò rimanda a qualcosa di molto noto e altrettando discusso: il “Facebook” della farmacia, ovvero il FarmaBook di cui vedremo i potenziali contenuti quando ci soffermeremo sul tema della collabo-razione.

Qui vale la pena di concludere sottolineando due aspetti chiave a cui rimanda il concetto in esame:• l’importanza strategica della condivisione della conoscenza, quale

pilastro fondamentale dell’organizzazione del PhC • la conseguente necessità di ragionare in termini di rete delle far-

macie e non di singola farmacia, quando si affronta la disciplina di PhC.

Fig. 2.39 – Posizionamento a confronto: Italia vs. Unione Europea

0,8 2,3 2,4 1,4 2 2,81,3 2,3 0,9 2,5 1,4 0,7

Condivisione della conoscenza

Risultato clinico come guida al servizio

Sondare il livello di soddisfazione

Protocolli per svolgere il servizio

Utilizzo di applicazioni per la gestione di info e dati

Incontro in zona dedicata

0 1,25 2,5 3,75 5

MEDIA UEMEDIA IT

mai raro ogni tanto spesso sempre

Condivisione della conoscenza

Risultato clinico come guida al servizio

Sondare il livello di soddisfazione

Protocolli per svolgere il servizio

Utilizzo di applicazioniper la gestione di info e dati

Incontro in zona dedicata

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A conclusione di questo paragrafo, riportiamo una sintesi degli elementi prima analizzati e il confronto del posizionamento italiano rispetto a quello dei colleghi europei (vedi figura 2.39).

In generale, emerge che la media Ue degli elementi organizzativi analizzati presenta una frequenza applicativa ben superiore a quella italiana: “spesso” contro un valore che si attesta appena al di sopra di “raro” (vedi linea tratteggiata rossa e verde di figura 2.39).

In dettaglio, osserviamo che vi sono aree dove i valori Italia e Ue non si discostano significativamente: “incontro in zona dedicata” per assicurare privacy e tranquillità ne è un esempio.

Vi sono poi prerequisiti organizzativi quali il “risultato clinico come sistema di controllo” e i “protocolli come linea guida”, che mostrano significative differenze con la pratica Italiana e che vedono una buo-na applicazione nell’Unione europea (valori rossi superiori a “spes-so”). Segno, questo, di una maggiore maturità nei riguardi dell’evo-luzione della farmacia dalla dispensazione del farmaco all’assistenza del paziente, dovuta anche a iniziative di coordinamento dall’alto da parte di terzi pagatori (per esempio, le compagnie di assicurazione in Olanda) o del Ssn che persegue obiettivi di revisione dell’impianto delle cure primarie (vedi il National health service in Gran Bretagna).

Si registrano comunque anche elementi organizzativi che possono essere oggetto di sviluppo anche nel resto d’Europa e che vedono in ogni caso l’Italia in una posizione molto arretrata: si pensi al fattore “condivisione della conoscenza, dove l’Italia è inferiore a “raro”, ma in generale la stessa Ue non supera di molto quel valore.

Quindi, in sostanza, luci e ombre sulle prassi organizzative a sup-porto del PhC. Vi sono aree che devono essere sviluppate sostanzial-mente in tutti i Paesi d’Europa e vi sono elementi importanti su cui investire per il miglioramento in Italia, ancora indietro rispetto alla pratica europea. Da questo punto di vista, le esperienze oltre confine possono essere prese come esempio per una traduzione e applica-zione nel contesto italiano.

Collaborazione interdisciplinare

L’ultimo blocco che compone il nostro modello interpretativo della prassi del PhC è relativo alla collaborazione della farmacia con le altre

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professionalità della sanità per gestire i pazienti cronici. L’approccio PhC pone il far-macista a pieno titolo all’in-terno della rete di assistenza delle cure primarie. Affinché ciò possa svilupparsi piena-mente è indispensabile che la farmacia attivi una serie di canali di comunicazione con gli operatori della sanità coinvolti nel processo di as-

sistenza del paziente. Il ruolo della farmacia è un ruolo di cerniera. La farmacia prende in carico un paziente che provviene dalla medi-

cina generale o specialistica, ne segue il percorso di cura e l’applica-zione della terapia, quindi si relaziona ulteriormente con la medicina per informare circa la necessità di valutare una revisione della terapia farmacologica o il suo mantenimento. Sintetizzando con una defi-nizione sportiva: si assiste al passaggio del testimone come in una corsa a staffetta (figura 2.40).

Continuando con la metafora della corsa a staffetta, possiamo dire che il processo di assistenza del paziente è guidato dal PDTA (Percor-

Fig. 2.40 – La metafora della staffetta

76

Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

so diagnostico terapeutico assistenziale) e le analogie si estendono:• il “concorrente” è rappresentato dal rischio di non riuscire a stabi-

lizzare, compensare e assicurare le migliori condizioni di salute del paziente cronico; il concorrente non è il medico né, tantomeno, il collega farmacista

• il passaggio del testimone è regolato dalle competenze di ciascuno, non è unidirezionale e può prevedere più “giri di pista”, cioè la ripe-tizione di attività con successivi passaggi di responsabilità per il bene e la salute del paziente

• la vittoria è della squadra, non del singolo, ma tutti salgono sul podio.Una metafora, questa, che non è affatto facile da applicare in am-

bito sanitario, dove per decenni si è ragionato di separazione a com-partimenti stagni tra le professioni e dove si sono innescati semmai processi competitivi, invece di quelli collaborativi. Però, è una meta-fora che vale la pena di esportare in questo settore, oggi chiamato, per ovvi motivi di contingentamento di spesa e ricerca di efficacia, a riorganizzarsi e a ripensare ruoli e relazioni.

Sappiamo che il tema andrebbe analizzato da una prospettiva am-pia, che non si limiti alla farmacia e che dovrebbe prendere in carico anche il vissuto degli altri operatori circa la collaborazione. Quello di cui si dispone oggi è comunque la visione della farmacia: quindi, su questo ci concentriamo analizzando le dichiarazioni offerte dai far-macisti che hanno partecipato alla ricerca.

Consulto e deferimento a colleghi farmacisti

Il primo aspetto che connota la collaborazione nella pratica del PhC riprende l’utimo aspetto che abbiamo tracciato nel paragrafo relativo alla organizzazione, ovvero il gioco di squadra tra colleghi e la collaborazione per assicurare ai pazienti la miglior prestazione assistenziale.

Innanzitutto, è stato chiesto di valutare il grado di apertura comu-nicativa con altri colleghi. Questo aspetto, che a prima vista sembre-rebbe sviare l’attenzione dal tema principale (collaborazione multidi-sciplinare), assume una dimensione centrale nella prassi di PhC.

Dal momento che l’approccio PhC sposta l’accento dal farmaco all’assistenza al paziente, il terreno sul quale il farmacista si trova a

77

Comunicazione con MMG per problemiconnessi all’assunzione farmacologica

190179226104123

mairaramenteogni tantospessosempre

123-15%

104-13%

179-22%

226-27%

190-23%

mairaramenteogni tantospessosempre

Deferimento della cura del pazientead altri farmacisti

501141109

4130

mairaramenteogni tantospessosempre

41-5%

109-13%

501-61%141-17%

30-4%

mairaramenteogni tantospessosempre

Fig. 2.41 – Consulto con altri farmacisti e deferimento dei pazienti

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

operare non è più solamente quello delle proprietà del farmaco e degli effetti sull’organismo: a tutto ciò si aggiungono la conoscen-za della dinamica delle patologie e le reazioni dei pazienti. Aspetti, questi ultimi, che in chiave di dispensa del farmaco vengono toccati dal farmacista solo marginalmente. Allargandosi e spostandosi il ba-ricentro delle competenze dal farmaco al paziente, diviene fonda-mentale l’apertura collaborativa.

Il dato rilevato nella nostra indagine e riportato in figura 2.41 (par-te sopra) lascia immaginare l’esistenza di canali di comunicazione tra colleghi. Al tempo stesso esiste una folta maggioranza (il 45%) che praticamente ricorre ai consigli del collega solo raramente, oppure non lo fa per nulla.

Come dicevamo nel precedente paragrafo, un possibile facilitato-re del dialogo fra professionisti potrebbe consistere nella creazione di un portale dedicato, nel quale i farmacisti possano condividere le esperienze professionali: casi di successo e comportamenti da evita-re perché inefficaci.

Provocatoriamente ho in precedenza fatto appunto la proposta di costituire un “Facebook verticale”, cioè destinato solo a un pubblico specilistico, appunto i farmacisti, che potremmo denominare Farma-Book. Oltre alle funzioni di connessione tra i professionisti, questo portale avrebbe come scopo quello di:• creare una banca dati di casi ed esperienze applicative• codificare i casi con una gerarchia logica (per esempio, per patolo-

gia o per specializzazione)• aprire sessioni di dialogo per approfondimenti per ciascuna fatti-

specie e caso (blog e forum)• aprire finestre di rating (del tipo “I like it” o più strutturate, come il

sistema di valutazione di ebay) che consentano di accreditare i casi e associarne i riscontri sia positivi sia negativi.In sostanza, ne risulterebbe un “libro” aperto di casi applicativi di

facile consultazione e testato dalla base dei partecipanti attraverso le logiche dell’innovazione condivisa e diffusa. Colui che si avvicinasse a questo strumento avrebbe la possibilità di appropriarsi di una base utile per affrontare problemi che altrimenti non saprebbe risolvere.

L’apertura di un canale di comunicazione con i colleghi per lo scambio di esperienze e competenze è un punto di partenza per una

79

logica collaborativa che non nega la possibilità e utilità di ricorrere all’interscambio di pazienti in presenza di competenze specialistiche distintive.

Sappiamo, infatti, che la conoscenza è importante, ma in molti casi quello che più conta è l’esperienza, cioè la conoscenza matu-rata personalmente dal farmacista. Il modello di PhC prevede infatti la opportunità di ricorrere al deferimento di pazienti a colleghi che hanno una esperienza specifica, quale opzione per offrire al paziente il miglior supporto senza per questo interrompere la relazione di as-sistenza creatasi tra farmacista e paziente.

Questa facoltà di deferimento diventa naturalmente tanto più im-portante quanto meno la farmacia è despecializzata e si propone di “far tutto”, cioè di intervenire in ogni patologia e per ogni specialità medicale. In questo caso, quando le farmacie sono tutte uguali e non hanno elementi di specificità, potremmo addirittura giungere alla conclusione che tra le farmacie si insinui un rapporto competitivo ben lungi dall’essere collaborativo. In sostanza, due farmacie che si trova-no a meno di 500 metri di distanza e che offrono gli stessi servizi, cioè quelli standard, magari anche con assortimento di offerta pressoché comune, si sentono in competizione e nei fatti lo sono, soprattutto da quando, ormai quasi 10 anni fa, sono stati messi nelle condizioni di applicare sconti e promozioni al farmaco (Decreti Storace e Bersa-ni sulla liberalizzazione del prezzo del farmaco di automedicazione).

In realtà, questo potenziale conflitto può essere evitato o arginato a favore di una maggiore collaborazione tra le farmacie, adottando politiche che il marketing definisce di differenziazione competitiva attraverso la specializzazione. Il mondo dei servizi in farmacia pre-senta una potenzialità applicativa quasi sterminata. Le farmacie che vogliono uscire dalla bagarre competitiva e non ricadere nella spirale negativa dell’eccesso di scontistica o nella scontistica indiscrimina-ta hanno la possibilità di farlo attraverso l’identificazione di percorsi elitari di specializzazione, da condividere in accordo con il proprio bacino di utenza. Il modello della farmacia PhC o della farmacia dei servizi non assomiglierà tanto al centro polifunzionale, quanto sem-mai al modello dei centri di eccellenza della sanità, ove a un servizio comune verrà affiancata una o più specialità di servizio, in cui la far-macia eccellerà e per cui godrà di immagine distintiva nel proprio

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

bacino di utenza.Se questa fosse la prospettiva, allora il tema del deferimento dei

pazienti ad altre farmacie avrebbe piena applicazione e consentireb-be di realizzare quello che in economia di mercato viene denominato come relazione win-win; ovvero vinci tu e vinco io, idealmente rap-presentata in figura 2.42.

Si immagini un Comune con 30mila abitanti che si estende su un diametro di 6-7 chilometri con circa una decina di farmacie. Queste farmacie avranno meno occasioni di attrito competitivo quanto più prevederanno al loro interno specifici e differenziati ambiti di spe-cializzazione. Le farmacie che avranno adottato simili percorsi evo-lutivi troveranno anche grande beneficio nella mutua collaborazione fra colleghi; si veda, a titolo di esempio, il deferimento biunivoco di pazienti tra la farmacia F10 e F9; deferimento voluto, perché si trae beneficio dalle altrui competenze distintive nelle reciproche aree di specialità. Si genererebbe in sostanza la condivisione dei percorsi di cura specialistici, per avere pazienti maggiormente soddisfatti attra-verso le competenze più esclusive e, quindi, si avrebbe maggiore collaborazione anziché collidere per effetto della pratica di sconti sul prodotto via via crescenti. In assenza di specializzazione, il deferi-mento di paziente potrà essere solo univoco (vedi F5 con F1): con

Fig. 2.42 – Specializzazione e rapporto win-win fra farmacie e pazienti

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ovvi limiti nella potenzialità collaborativa. Le farmacie che non hanno specializzazione hanno minori chance di dialogo e minore autorevo-lezza sugli aspetti clinici e saranno indotte purtroppo a competere sul prezzo. Il paziente metterà a confronto le due offerte indistinte e compirà la sua scelta in ragione del prezzo più basso. Le farmacie F5 ed F7 (despecializzate) saranno indotte quindi a una assurda guerra dei prezzi combattuta a suon di sconti.

Venendo ora al vissuto riportato dagli 800 farmacisti che hanno partecipato alla ricerca, emerge che il deferimento di pazienti “par-ticolari” non è quasi mai praticato (cfr. fig. 2.41, parte sotto). Poco meno del 10% del campione afferma di ricorrere spesso o sempre, quando necessario, al deferimento a colleghi maggiormente esperti. Invece, più della maggioranza assoluta (il 61%) dichiara che non ha mai deferito pazienti a colleghi.

Sebbene questi dati trovino ovvia giustificazione nella natura stes-sa del servizio di dispensazione, attualmente prioritario rispetto a un’attività di assistenza e servizio, negano purtroppo ogni spazio a una visione delle farmacie come rete di servizio a favore del cittadi-no. Aspetto, questo, che invece sarebbe di grande impulso e spinta per la farmacia dei servizi e una maggiore territorializzazione della farmacia.

Deferimento al Medico di medicina generale

La collaborazione nella nostra ipotetica “corsa a staffetta” non è soltanto con i colleghi farmacisti, ma riguarda anche e soprattutto le altre discipline che interagiscono con il paziente. Si parla in questi casi di dialogo multidisciplinare, che viene attuato elettivamente con il medico curante (vedi figura 2.43).

Il deferimento al medico curante (generico o specialistico) del pa-ziente che presenta particolari condizioni di salute trova un’ampia prassi attuativa, come evidenziato in figura 2.43. Il 53% dei farmacisti vi ricorre, quanto necessario, in maniera sistematica (spesso o sem-pre). Solo una parte più ridotta (19%) dichiara di non rimandare il paziente al medico. Questo dato è di grande interesse, perché dimo-stra che il farmacista è consapevole della necessità di un approccio multidisciplinare, per assicurare al paziente un percorso assistenziale

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

più efficace. Il ricorso al deferimento è uno strumento molto utile nel-le mani del farmacista, a condizione che avvenga nell’ambito di una relazione più ampia sia con il paziente, sia con il medico. In assenza di questa relazione, il deferimento sembrerebbe più un allontanamento del paziente, cioè l’esatto opposto rispetto a una strategia di orien-tamento all’assistenza.

Quindi, dietro questa informazione (deferimento elevato dei pa-zienti alla medicina) vi potrebbero essere due opposte tensioni. Una che si muove nella direzione auspicata, cioè piena collaborazione e gioco di squadra (metafora della staffetta) e l’altra, purtroppo meno nobile, del deferimento come stratagemma per non affrontare temi problematici in farmacia, rinviandoli al medico che ha in cura il pazien-te e che ha definito la strategia di azione e ne è, quindi, responsabile (in una terminologia di uso comune “mollare la patata bollente”).

Lasciamo la verifica di questa ipotesi alla successiva domanda del questionario, che è riferita appunto al dialogo con il medico per la continuità di relazionale in ottica collaborativa.

Fig. 2.43 – Deferimento dell’assistito al medicoche ha in cura il paziente

8070

233248191

mairaramenteogni tantospessosempre

80-10%191-23%

233-28%248-30%

70-9%

mairaramenteogni tantospessosempre

83

Comunicazione con il medicoper informativa e aggiornamento

Innanzitutto poniamoci una domanda. Quante volte il farmacista, oltre a deferire il paziente al medico curante, ha attivato con lui un canale di comunicazione, per portare avanti il piano di continuià as-sistenziale?

Comunicazione con il MMG per problemiconnessi all’assunzione farmacologica

190179226104123

mairaramenteogni tantospessosempre

123-15%

104-13%

179-22%

226-27%

190-23%

mairaramenteogni tantospessosempre

Avvio di comunicazione con il MMGper aggiornamento

3831971407725

mairaramenteogni tantospessosempre

77-9%

140-17%

383-47%

197-24%

25-3%

mairaramenteogni tantospessosempre

Fig. 2.44 – Comunicazione continua con la medicina

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

La figura 2.44 (parte sopra) ci informa sull’attività compiuta dalla farmacia per seguire il paziente deferito al medico. In realtà, mentre inviare il paziente al medico è cosa abituale, come abbiamo visto in figura 2.43, il successivo contatto con il medico per seguire l’evol-versi di un problema farmaco-correlato è, invece, piuttosto raro. So-stanzialmente, il 45% afferma che attiva questo contatto raramente, e il 27% solo ogni tanto. Tutto ciò fa pensare che il deferimento di pazienti problematici assomiglia più a un abbandono di responsabili-tà che a un percorso di assistenza multidisciplinare.

Purtroppo, nella stessa direzione va anche la risposta all’apertura di dialogo tra farmacista e medico per aggiornamenti sullo stato di salute del paziente (cfr 2.44 parte sotto). Il 47% dei rispondenti, infat-ti, dichiara di non attivare canali di comunicazione con il medico per seguire l’iter della cura.

Stiamo così perdendo una grande opportunità di valorizzare le competenze uniche (non in quanto le sole che possiede il farmaci-sta, ma in quanto uniche nel panorama delle professioni della sani-tà) sulla dinamica chimica del farmaco e sull’interazione cinetica nel corpo umano, che soltanto i farmacisti possiedono e che dovrebbero mettere a disposizione degli altri operatori. Proprio “Insieme per la salute del cittadino”, come recita lo slogan adottato dal protocollo di intesa fra Federfarma e GSK.

A questa prospettiva clinica di interdipendenza e complementarità delle professioni si deve poi aggiungere anche qualche valutazione di tipo organizzativo e di visione strategica. Anche perché, la manca-ta continuità potrebbe comportare il rischio di dissolvere un servizio decantato, da sempre, come fattore distintivo della farmacia.

Lo schema della figura 2.45 sintetizza il processo di assistenza PhC per un ipotetico paziente con problemi farmaco-correlati (lato de-stro) e lo confronta con il comportamento della farmacia che non si prende in carico il paziente, ma si limita a dispensare il farmaco e a informare sui suoi effetti. Intuitivamente balza agli occhi, osservan-do la figura 2.45, la complessità gestionale del comportamento di servizio ispirato dalle logiche di PhC, rispetto a un comportamento sicuramente più semplice, riconducibile alla farmacia tradizionale.

Appare chiaro che il comportamento assistenziale PhC consente alla farmacia d’instaurare un solido legame con il paziente, che si

85

Fig. 2.45 – Comportamenti di servizio a confronto

sente accompagnato da operatori sanitari che si prendono cura della sua salute. La farmacia si guadagna così la stima del paziente, assi-curata da una relazione continua e intensa (vedi passaggio finale del follow-up). Ovviamente, perché questo processo si completi e per-duri nel tempo (appunto nella continuità del follow-up) è necessario che la farmacia crei un ponte solido collaborativo e comunicativo con il medico, chiamato a prestare servizio nel programma di assistenza.

Viceversa, l’assenza del momento comunicativo e collaborativo, delineato in figura 2.44, “rompe il legame (la catena di fig. 2.45)” che collega la farmacia al paziente tramite il medico e, quindi, ne con-segue che il paziente, se torna in farmacia, lo fa per motivi suoi (per esempio, non ultimo, la prossimità). La farmacia, quindi, non pilota la relazione, ma al più la subisce. Il paziente, non trovando un’attenzio-

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

ANALISI DELLO STATODEL PHARMACEUTICAL CARE IN ITALIA

ne personalizzata, sceglie la farmacia per convenienza, per esempio per vicinanza o, peggio, per vantaggi economici: la farmacia è così costretta a servire il paziente lasciando sul campo parte della propria marginalità.

In sintesi, esisterebbe un trade-off nella gestione della farmacia: “non mi impegno nella relazione, ma catturo il paziente con il prez-zo”. Oppure, “attivo un servizio PhC (che implica l’utilizzo di riscorse) e accompagno il paziente in una relazione longeva, senza compro-mettere la marginalità nelle transazioni”.

Invio al medico della storia dei farmaciassunti dal paziente

Quest’ultimo passaggio, che connota un ulteriore elemento della collaborazione all’interno del modello PhC, è molto discutibile, per-ché l’attuale normativa vieta la comunicazione formale e strutturata dei dati clinici del paziente dalla farmacia alla medicina, e viceversa. Non di meno è assai importante, dato che rinforza la collaborazione e qualifica il servizio di assistenza fornito dalle farmacie. Così, infatti, lo troviamo applicato in altri Paesi europei, che hanno superato que-ste chiusure a compartimenti stagni tra le professioni, per favorire un’integrazione tra gli operatori sanitari e perseguire così efficacia ed efficienza nel ciclo delle cure primarie.

La figura 2.46 mostra la lontananza delle farmacie italiane da que-sto modello di scambio allargato dei dati del paziente. Ma perché parlarne, tenuto conto che la stessa normativa lo esclude e gli opera-tori certamente non lo ricercano? La motivazione consiste proprio nel fatto che simili approcci alla condivisione (magari digitalizzata) dei dati nella filiera dei professionisti della salute sarà sempre più neces-saria, sia per ottenere risparmi di spesa, sia per assicurate il migliore servizio al paziente. Il percorso legislativo in merito al Dossier farma-ceutico è avanzato e così anche le riflessioni in tema di FSE (Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino).

Lo scoglimento di questo nodo regolatorio consentirà alle farma-cie di rilasciare dati importanti per misurare l’aderenza del paziente; si pensi, per esempio, all’utilità di un indicatore di aderenza determi-nato dal rapporto tra il farmaco consegnato dalla farmacia e il farma-

87

Fig. 2.46 - Invio a MMG di relazione scritta circala storia dei farmaci assunti

676942519

8

mairaramenteogni tantospessosempre

19-2%25-3%

676-82%

94-12%

8-1%

mairaramenteogni tantospessosempre

co prescritto dal medico. Due dati provenienti da fonti diverse che, se integrati, offrono un’informazione di grande ricchezza per l’am-ministratore pubblico, chiamato a controllare la spesa sanitaria. Ma anche la farmacia beneficerebbe dall’introduzione di FSE, in quanto consentirebbe di conoscere, in tempi e costi ridotti, il profilo del pro-prio paziente e, quindi, renderebbe più agevole e meno dispendioso il ciclo di assistenza in ottica PhC.

Non rimane ora che ricapitolare gli elementi della collaborazione indagati in questo paragrafo e verificarne la comparazione con le prassi dei colleghi europei. La figura 2.47 riporta il grafico a barre di confronto tra performance italiana nei singoli elementi della collabo-razione (barre verdi) e performance europea (barre rosse).

Partiamo dal fondo di figura 2.47 con le considerazioni sul dialo-go tra farmacisti. In assoluto emerge che, nella stessa classe profes-sionale, non sempre si innescano percorsi collaborativi, nè in Italia nè all’estero. Va però riconosciuto che lo spirito collaborativo delle farmacie estere è di gran lunga superiore a quello italiano, come si evince dal tratto rosso che supera in maniera significativa il tratto

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Analisi dello stato del Pharmaceutical Care in Italia

verde del livello italiano. Quindi, mentre da noi la collaborazione intraprofessionale è qualcosa di “raro”, all’estero invece, vuoi per i programmi portati avanti da stakeholder quali il servizio nazionale, le compagnie di assicurazione, l’industria del farmaco ecc., vuoi per una cultura di maggiore apertura relazionale, la collaborazione, per quanto migliorabile, si situa a un valore di “ogni tanto”.

Passando poi a un confronto sul livello di collaborazione interpro-fessionale con il medico, possiamo notare dalla figura 2.47 che il po-sizionamento dell’Italia e dei restanti Paesi UE è pressoché comune (superiore a “ogni tanto”), determinato probabilmente da un’esigen-za oggettiva di ricorrere al medico, quando i problemi del paziente oltrepassano le competenze della farmacia. Per esempio, quando la radice di problemi farmaco-correlati potrebbe prevedere la revisione della terapia, passo appunto di pertinenza del medico curante.

Sussistono, infine, differenze abbastanza rilevanti per quanto ri-guarda il comportamento del farmacista in tema di comunicazione e informativa del medico. Qui la farmacia europea è più disponibile a tener aperto il contatto con il medico, appunto in una logica di staf-fetta di servizio, prima delineata con le figure 2.40 e seguenti.

Da ultimo il superamento di alcuni vincoli regolatori mette in evi-denza che in molti Paesi UE è praticata la condivisione di dati clinici del paziente, con beneficio di tutti gli attori del processo curativo.

Fig. 2.47 – Elementi di collaborazione: confronto Italia vs Ue

0,4 2,2 1,2 3,2 1 1,72,1 0,8 1,9 0,2 1,6 1,7

Documentazione al medico DRP

Contatto con medico per DRP

Aggiornamento con medico curante

Deferimento al medico curante

Deferimento altri farmacisti

Consulto altri farmacisti

0 1,25 2,5 3,75 5

MEDIA UEMEDIA IT

mai raro ogni tanto spesso sempre

Documentazione al medico per DRP

Contatto con medico per DRP

Aggiornamento con medico curante

Deferimento al medico curante

Deferimento altri farmacisti

Consulto altri farmacisti

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APPROCCI DIVERSIAL PHARMACEUTICAL CARE

Una vista di insieme

Nel capitolo precedente abbiamo descritto i singoli elementi che connotano il modello del PhC e abbiamo cercato di spiegarlo con l’analogia della “casa” (cfr fig. 2.2). Casa che si regge su fondamenta solide (i tre pilastri dell’organizzazione, della collaborazione e degli atteggiamenti) e che si sviluppa su tre piani, di cui due relativi alla gestione del paziente e uno relativo alla capacità della farmacia di mettere in campo strumenti e approcci volti alla gestione e, possi-bilmente, alla soluzione dei problemi farmaco-correlati che i pazienti possono accusare nel tempo. Il PhC è appunto tutto ciò, insomma il “tetto” che copre questa casa e sotto il quale tutti questi singoli aspetti lavorano sinergicamente.

Ma, al di là di questa descrizione metaforica del modello del PhC, esiste un modo per confermare che questi elementi presi singolarmente costituiscano un “tutt’uno” che chiamiamo appunto PhC? Oppure dobbiamo parlare più realisticamente per ciascuno degli elementi delineati di “buone prassi” comportamentali, che hanno un senso soltanto se presi singolarmente? Elementi che possono essere affrontati uno per uno o, perché no, non essere presi in considerazione in quanto non rilevanti o non di interesse per la farmacia?

La questione non è affatto di “lana caprina”, o interessante da un punto di vista meramente accademico, ma ha un risvolto anche da un punto di vista operativo. Un conto, infatti, è parlare del PhC come un tutt’uno composto da singoli elementi, ma tutti sinergici e indispensabili, pena il fallimento di tutto l’approccio; un conto diverso, invece, è parlare della somma di elementi singoli, autonomi e separati, e che messi insieme completano un “mosaico”, ma che possono funzionare singolarmente, anche senza un disegno preordinato.

Facciamo un’altra metafora: la torta. Una torta alla frutta è la som-

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Approcci diversi al Pharmaceutical Care

APPROCCI DIVERSIAL PHARMACEUTICAL CARE

ma di componenti separati, cioè la base di pan di spagna, le creme, la frutta e la panna? Oppure è un oggetto nuovo, sintesi degli elementi che lo compongono, ma che insieme perdono la loro singolarità?

Certamente i vari ingredienti possono essere degustati singolar-mente, ma quando compongono una torta creano qualcosa di nuo-vo; qualcosa che è maggiore della somma dei singoli componenti. Vale allora la pena di dedicare del tempo per fare una torta, cioè per creare qualcosa che, singolarmente, ha un valore e un senso diver-so. Fuori metafora, bisogna allora comprendere se i singoli elementi descritti nel PhC valgono per la loro stessa essenza, oppure se è op-portuno rileggerli come fattori che compongono qualcosa di nuovo e originale, appunto un’entità che vale più dei singoli oggetti che la compongono.

Proviamo, quindi, a mettere i singoli componenti che costituis-cono l’approccio al PhC in relazione l’uno con l’altro, identificando i potenziali collegamenti tra di loro, per consentirci, da un lato di interpretare meglio il fenomeno dell’assistenza al paziente in farma-cia e, dall’altro, di comprendere possibili elementi su cui puntare per migliorare l’approcio stesso e la qualità dei servizi erogati.

La figura 3.1 schematizza le relazioni di causa-effetto che esistono tra gli elementi del modello PhC. Lo schema proposto ripropone in maniera diversa la struttura della casa esposta in figura 2.2. Diversa è la rappresentazione grafica, medesima è invece la logica sottostante. Esiste un “motore” del PhC che consiste nella gestione integrata del paziente, questo a sua volta genera una base solida per la gestione dei problemi farmaco-correlati.

Il tutto, cioè gestione del paziente e dei problemi farmaco-cor-relati (parte destra dello schema di figura 3.1), viene attivato quan-do vengono realizzate almeno tre condizioni: atteggiamenti verso l’erogazione dei servizi, apertura collaborativa e, infine, precondizioni di carattere organizzativo e strutturale in farmacia (parte sinistra dello schema di figura 3.1).

Questo modello del PhC è stato sottoposto a verifica attraverso un programma statistico che misura i coefficienti di regressione esis-tenti tra gli elementi, a partire dalla base dei dati raccolti attraverso le 822 farmacie rispondenti. Esso consente di valutare quali siano i legami e la forza dei collegamenti tra gli elementi che costituiscono

91

l’approccio PhC qui identificato. È come se ci chiedessimo se fra due oggetti o fenomeni esista una condizione di causa ed effetto, ovvero un fenomeno influenzi l’altro e, quindi, ne determini il successo o l’insuccesso.

La misura di questi potenziali legami tra gli elementi e la loro “forza” vengono misurati attraverso una tecnica statistica che si chiama “regressione statistica”, ovvero un’unità di misura che indica quanto un elemento influenza un altro. Per esempio, se il collegamento tra l’elemento “collaborazione” e l’elemento “Problemi farmaco-correlati” assume un valore del 15% (vedi figura 3.1), significa che la “collaborazione” è un elemento che influisce positivamente sulla “gestione dei problemi” e che questo impatto è pari al 15%, cioè al variare del primo elemento (collaborazione), il secondo varia con un impatto del 15%.

Partiamo quindi proprio dal-la gestione dei Problemi farma-co-correlati (DRP- Drug Related Problems) e vediamo che cosa ne influenza la buona riuscita. La fig-ura 3.1 (riproposta qui a fianco in forma semplificata per convenien-za di consultazione), mostra che la gestione di essi è appunto influen-

Fig. 3.1 - Rilettura d’insieme dei singoli elementi del PhC

92

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

APPROCCI DIVERSIAL PHARMACEUTICAL CARE

zata fortemente sia dalla gestione dei nuovi pazienti sia, con maggio-re forza, dalla gestione dei pazienti ripetitivi (vedi aree cerchiate in rosso). “Lavorare bene” con i pazienti ripetuti consente di migliorare la gestione dei problemi, con un impatto migliorativo stimabile in-torno al 33%. Un innalzamento che può essere importante, tenuto conto che la gestione dei pazienti ripetuti si aggira oggi intorno a un valore medio pari a 1,6 su una scala a 5, come possiamo notare consultando la figura 2.27. Gli spazi di miglioramento nella gestio-ne dei pazienti ripetuti presenta, quindi, un effetto sinergico anche sulla capacità di rispondere efficacemente in presenza di problemi farmaco-correlati. In pratica è possibile ipotizzare che se si passasse a valori medi di 2,6 a partire dagli attuali 1,6 (ipotizzando un miglio-ramento su tutti i quattro elementi che compongono il fattore in fig. 2.27) si potrebbe ottenere un beneficio nella gestione dei Problemi farmaco-correlati pari a 0,33 su quell’indicatore che oggi si attesta in media intorno a un valore di 1 su 5 massimo (vedi figura 2.11). La logica di questo modello è semplice. Se gestisco metodicamente i pazienti conosciuti cioè:

1. chiedo info sulla pratica di assunzione dei farmaci 2. faccio un’attenta ricerca delle cause di problemi 3. valuto l’efficacia della terapia con il paziente 4. condivido il livello raggiunto,

assicuro una maggiore probabilità di intercettamento di potenzia-li problemi connessi con l’assunzione del farmaco, che successiva-mente gestico con apposita procedura cioè:

a. circoscrivo il problemab. identifico l’obiettivo c. definisco una strategia d. gestisco il follow up.

In sintesi, il processo di miglioramento potrebbe essere rappresentato graficamente come nella figura 3.2. Come si evidenzia in figura 3.1, non è soltanto la gestione dei pazienti ripetuti a esercitare un effetto sulla gestione dei Problemi farmaco-correlati. La statistica applicata alla base dei dati ottenuta dal campione di 822 rispondenti, mostra che la gestione dei “nuovi pazienti” ha anche un effetto d’influenza sulla gestione dei Problemi (DRP). L’impatto generato è pari al 23%, inferiore a quello prodotto dai pazienti

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ripetuti (33%), ma pur sempre rilevante. Questo trova una sua logica nella figura 3.3.

Gran parte dei Problemi farmaco-correlati possono essere collegati o alimentati da comportamenti errati o non aderenti del paziente nei confronti della prescrizione terapeutica. I comportamenti, infatti, sono un fenomeno “misurabile e apprezzabile” soltanto nel tempo. Quindi, la continuità assistenziale diviene il momento nel quale il farmacista conosce appieno i comportamenti del paziente e può così valutare con pacatezza la reale sussistenza di problemi farmaco-

Fig. 3.2 - Impatto del miglioramento nella gestione dei pazienti ripetuti

Fig. 3.3 - La relazione fiduciaria e i suoi effetti

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correlati. In definitiva, il supporto maggiore alla gestione dei problemi deri-

va dalla continuità assistenziale (pazienti ripetuti), ma non si può negare che anche la gestione dei nuovi pazienti (impatto pari al 23%) abbia un effetto diretto. La figura 3.3 segnala comunque anche un ulteriore aspetto, a corredo di questa connessione tra i vari elementi. Il primo contatto, ovvero la presa in carico di nuovi pazienti o il primo passo per l’arruolamento nel programma di assistenza, è un passag-gio chiave per assicurare la continuità assistenziale, proprio perché è qui che si crea la relazione fiduciaria tra paziente e farmacista.

Questo trova conferma anche nell’analisi dei dati di ricerca.La gestione dei nuovi pazienti è un fattore scatenante anche per la

gestione dei pazienti ripetuti, come si può osservare in figura 3.1. Cioè una buona attività di arruolamento di nuovi pazienti cronici e l’aper-tura di una relazione solida, fran-ca e reciproca con il paziente è un punto fondamentale per creare le condizioni affinchè il paziente torni in farmacia e instauri una relazione continuativa. Questo è confermato nel modello dal coefficiente di regressione esistente tra i “nuovi pa-zienti” e i “pazienti ripetuti”; coefficiente che appare essere molto rilevante (76%). In pratica, un buon sistema d’arruolamento di nuovi pazienti e di apertura di relazione non soltanto genera benefici per la gestione dei problemi (DRP), ma è anche condizione per instaurare una relazione continuativa con i pazienti. Nel tempo poi, una loro maggior conoscenza permetterà al farmacista di essere più efficace nella soluzione dei problemi farmaco-correlati.

Gli elementi che impattano sulla capacità della farmacia di gestire i problemi farmaco-correlati non sono soltanto rintracciabili nella logica di gestione del paziente (nuovo e ripetuto).

La figura 3.1 mostra quanto

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sia positivo il coefficiente di impatto che la “collaborazione” eser-cita sulla gestione dei DRP. Tale impatto diretto non è rilevantissimo (15%), ma esiste ed è di segno positivo, cioè consente di migliorare la gestione dei DRP nel momento in cui si intensifica la collaborazione interdisciplinare e multidisciplinare. Questa evidenza è importante perché conferma la necessità d’inquadrare il mestiere “assistenziale” del farmacista (cioè il PhC), in una logica di marcato radicamento territoriale e di preciso inquadramento sulla “scacchiera” dei ruoli e delle competenze nel comparto delle cure primarie.

Infatti, per affiancare con successo un programma di assistenza al paziente con il tradizionale servizio di dispensazione del farmaco, la farmacia deve intrattenere rapporti forti con il territorio, integrando-si così nella rete di servizio condivisa con gli altri operatori. Provo a

Fig. 3.4 - Il flusso di gestione di Problemi in collaborazione con il medico

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materializzare questo concetto nello schema di figura 3.4, che riporta un flusso operativo di gestione di un problema farmaco-correlato.

Il flusso operativo di gestione del problema potrebbe realizzarsi nell’incontro farmacista-paziente con la revisione della posologia del farmaco. Aspetto, questo, che potrebbe non richiedere il contatto della farmacia con il medico curante, in quanto l’informativa può es-sere trasferita efficacemente dal paziente. Nei casi gravi, o con il per-durare del problema, potrebbe diventare necessaria la revisione del piano terapeutico. Il farmacista ha due chance. Deferisce il paziente al medico curante e non si occupa di verificare quanto accade succes-sivamente, correndo il rischio di incrinare il rapporto con il paziente, oppure instaura un dialogo aperto con il medico, applicando le sue decisioni al paziente. Questa seconda opzione, che risiede nell’area verde di figura 3.4, richiede la disponibilità del farmacista a dialogare e collaborare con il medico. Quanto più, infatti, la farmacia sarà dis-posta a giocare in squadra con il medico (sporcandosi anche le mani in una relazione che non solo prende tempo, ma a volte non è nem-meno facile da gestire), tanto più si riuscirà ad affrontare i problemi farmaco-correlati. Elemento questo da cui eravamo appunto partiti.

Così come esiste una relazione causale fra la gestione dei pazienti e la gestione dei problemi farmaco-correlati, altrettanto esiste una relazione causa-effetto tra gli antecedenti del modello e la gestione dei pazienti, ovvero quei tre fattori (atteggiamenti, collaborazione e struttura/processi) che creano le condizioni di base per costruire la gestione dei pazienti (nuovi e ripetuti) e la gestione dei DRP. Vediamo in che misura questi tre fattori abilitino la gestione dei pazienti nel gruppo dei farmacisti che hanno partecipato alla ricerca.

Con la stessa modalità vista in precedenza sono stati calcolati, con apposita elaborazione sta-tistica, i coefficienti di regressi-one (coefficienti d’impatto) tra gli antecedenti e la gestione dei pazienti. Un estratto di fig-ura 3.1, qui di seguito riportata, mette in evidenza le connessioni esistenti, i coefficienti di impatto

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e riporta anche il valore assoluto per ciascun elemento, desunto dalle risposte fornite dalle farmacie intervistate. In questa schematizzazi-one si è provveduto a trasformare per uniformità di approccio il dato qualitativo degli antecedenti in dato numerico, in base a questa scala di conversione:

Mai = 0Raro = 1Ogni tanto = 2Spesso = 3Sempre = 4

Si conferma che tutti e tre gli antecedenti esercitano un’influen-za positiva sui comportamenti adottati in tema di gestione pazienti (nuovi e ripetuti). Gli atteggiamenti sono fortemente impattanti sulla presa in carico e gestione dei nuovi pazienti (25%). Non è, invece, dimostrabile alcun effetto impattante degli atteggiamenti sulla ges-tione dei pazienti ripetuti. Per la collaborazione, dove si è visto che è abbastanza importante (15%) come elemento d’influenza sulla ges-tione dei DRP (piena collaborazione con colleghi e altri professionisti per la soluzione dei problemi), si evidenzia anche un’influenza sulla gestione dei nuovi pazienti pari al 13%. Infatti, il ruolo della medicina di base può essere molto importante, perché potrebbe aiutare l’ar-ruolamento dei pazienti da parte della farmacia. Infatti, la collabora-zione con il medico potrebbe innescare un flusso di lavoro nuovo per la farmacia, come evidenziato in figura 3.5.

Qui sono riportate tre diverse possibili situazioni collaborative con il medico. Il primo caso riporta una situazione dove tra medicina e farmacia non esistono occasioni di collaborazione. Entrambi gli op-eratori svolgono le rispettive mansioni condividendo lo stesso pazi-ente, ma senza occasione di dialogo. Questa è sostanzialmente la situazione attuale. Tra i due soggetti potrebbero esserci occasioni di collaborazione, ma entrambi procedono sulla propria strada, senza entrare né in conflitto, né provocare occasioni di scambio a mutuo beneficio.

Nella seconda fattispecie sussiste, invece, un’apertura collabora-tiva da entrambi gli operatori. In cosa consisterebbe questa com-

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ponente relazionale? L’esistenza di un rapporto fiduciario tra i due indurrebbe comportamenti di apertura, avendo entrambi l’idea che la collaborazione consentirebbe loro di ottimizzare le risorse e massimizzare il servizio al paziente. Così, per esempio, il medico potrebbe informare un nuovo paziente, nel momento stesso in cui gli diagnostica una patologia cronica, della possibilità di entrare in un programma d’assistenza erogato dal farmacista. Dal canto suo il medico si troverebbe avvantaggiato nelle fasi successive di assisten-za, sapendo che il proprio paziente è arruolato dal farmacista in un programma che mira ad assicurare le migliori condizioni di aderenza alla terapia. Questo sodalizio renderebbe anche un grande servizio alla farmacia, che non sarebbe impegnata a condurre una campagna di promozione per arruolare pazienti, diversamente difficili da indi-viduare.

La terza prospettiva di collaborazione si spinge oltre, prefigurando addirittura un cambio di percorso assistenziale. In alcuni Paesi gli ef-fetti di questo tipo di collaborazione stanno prendendo forma. In UK, e così anche in altre nazioni, il farmacista può prescrivere farmaci per

Fig. 3.5 - Stadi di collaborazione e benefici per la farmacia

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prescrizioni ripetibili. Questa revisione dei percorsi di cura offre sig-nificativi spazi di efficienza, perché snellisce il traffico nell’ambulato-rio e, nel contempo, mette nelle mani del farmacista la possibilità di amministrare la terapia, riconoscendo che è l’operatore che meglio conosce il paziente, per i suoi frequenti contatti. È chiaro allora che la collaborazione diventa un elemento di forte spinta nella gestione dei pazienti. In pratica, proprio attraverso la collaborazione con le altre professionalità, la farmacia ottiene una sorta di deferimento del pa-ziente, al quale viene suggerito di attivare un percorso di assistenza in farmacia.

Struttura e processi esercitano una rilevante influenza (33%) sulla gestione dei nuovi pazienti. Opportuno, quindi, mettere in campo tutte le competenze per far apprezzare al paziente il ruolo e la capac-ità del farmacista. Questa influenza permane anche verso i pazienti ripetuti, sebbene con un coefficiente d’impatto minore (15%).

Quanto più sarà pervasivo l’uso della tecnologia digitale quale mezzo per archiviare i dati sui pazienti resi disponibili dal processo assistenziale (dossier dei farmaci, misure di monitoraggio, questionari di approfondimento e valutativi dello stato di salute, ecc.) tanto più verrà strutturata e agevolata l’attività di gestione di pazienti nuovi e ripetuti. Quanto più si riuscirà a introdurre in farmacia soluzioni che abilitano la telemedicina, tanto più la farmacia sarà in grado di offrire ai propri pazienti soluzioni di servizio efficaci ed efficienti.

La figura 3.6 riporta un possibile schema di gestione della relazi-one con il paziente, in ottica di digitalizzazione dei flussi conoscitivi.

Fig. 3.6 - Digitalizzazione dei flussi derivanti dalla relazione con il paziente

Bracciale (ritmo cardiaco e pressione arteriosa,bilancia wireless e glucometro - livello glicemico)

App per il controllo delle controindicazionifarmacologiche e le interazioni farmaco su farmaco

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La digitalizzazione della sanità, infatti, consente di fare quello che un tempo non veniva praticato, perché troppo dispendioso. L’utilizzo di tablet consentirà di gestire in tempi ridotti, e con modalità semplificata, la relazione con il paziente. La gestione di un file dove riportare le informazioni sul suo stato clinico (parte destra dell’immagine) eliminerà l’uso di supporti cartacei difficilmente archiviabili e utilizzabili.

Il farmacista avrà la possibilità d’interrogare, tramite specifiche ap-plicazioni, i database sui farmaci che offrono informazioni su interazi-oni e controindicazioni (parte bassa a destra dello schema). E queste interrogazioni possono essere fatte durante l’incontro, così da offrire un’immediatezza di risposta e di servizio.

Oltre alla telemedicina in farmacia (parte bassa a sinistra dello schema), anche i servizi di autoanalisi e diagnosi di prima istanza possono beneficiare dell’innovazione digitale, magari con semplificazione dei processi. Possono essere consegnati ai pazienti strumenti di rilevazione (bracciali - parte alta a destra dello schema) che inviano da casa in farmacia parametri di monitoraggio, da archiviare direttamente nella cartella del paziente.

Va sottolineato che esiste, ed è significativo, un fenomeno di in-fluenza reciproca (covarianza statistica) tra atteggiamenti, collabora-zione e struttura/processi. In pratica questi tre antecedenti possono essere intesi come un mix che lavora in maniera sinergica per creare le migliori condizioni nella gestione del paziente, nuovo e ripetuto. Essi si influenzano in un tutt’uno, che abilita la realizzazione del PhC.

Il modello proposto, elaborato alla luce dei dati italiani, ci consente da un lato di interpretare meglio il tipo d’approccio al Pharmaceutical Care, ma anche di comprenderne le influenze tra un fattore e l’altro e, in ultimo, di valutare l’effetto che si può generare attivando misure di miglioramento sui suoi eventuali punti deboli.

Attraverso, quindi, la serie di relazioni dirette e indirette esistenti tra gli elementi (coefficienti di regressione o di impatto prima delineati) è possibile studiare gli effetti anche in una dimensione quantitativa. La modifica (migliorativa o peggiorativa) del valore di uno o più elementi del modello genera così un effetto sulle variabili dipendenti e, in genere, sulla qualità dell’assistenza Pharmaceutical Care, in particolar modo sulla capacità di azione da parte del

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farmacista sui cosiddetti DRP (Drug Related Problems). La catena causa-effetto delineata nel modello “scarica”, infatti, gli effetti positivi o negativi di ogni singola variabile sulla gestione dei DRP, che in ultima analisi sono la cartina di tornasole della capacità della farmacia di portare valore nella rete di servizi delle cure primarie. Valore che viene generato per il singolo paziente e per la collettività. Valore che deve, quindi, prevedere una remunerazione al farmacista, sia da parte del singolo paziente (attraverso la sua spesa privata), sia da parte del Sistema sanitario nazionale, che accredita e supporta (economicamente e anche in forme diverse) le farmacie per il servizio erogato alla comunità.

Segmentazione delle farmaciein base al PhC

La situazione che abbiamo descritto mostra una farmacia che, rispetto all’applicazione della disciplina del PhC, presenta ombre e luci. Analizzati i dati di ricerca nel suo complesso ci si chiede ora se esistano, e siano significative, differenze di comportamento all’interno del campione. In pratica, ci domandiamo: si possono rintracciare gruppi di farmacisti che adottano comportamenti più inclini al PhC? Se sì, che profilo hanno? Quali sono le loro carat-teristiche distintive e poi, che cosa hanno fatto per conseguirle?

Per rispondere a queste domande siamo partiti da una suddi-visione del campione in sottogruppi. Abbiamo identificato il cri-terio di estrazione di questi sottogruppi a partire dalle risposte fornite alle domande in tema di partecipazione della farmacia a campagne e iniziative sul territorio. Accanto alle domande rela-tive al modello di PhC sono stati poi proposti anche altri quesiti, per classificare il campione e comprenderne taluni comportamen-ti in merito ad attività territoriali compiute dalla farmacia. È stato così chiesto ai rispondenti di indicare quanto fossero partecipativi a quattro tipi di attività a favore della cittadinanza, in particolare:1) iniziative di promozione/educazione della salute2) iniziative di supporto ai pazienti per migliorare il processo di

cura (revisione della terapia farmacologica)

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3) Monitoraggio terapeutico continuativo4) Partecipazione a campagne di screening

La figura 3.7 evidenzia le risposte degli 822 partecipanti alla ricer-ca italiana. A colpo d’occhio, il grafico mostra come la disponibilità delle farmacie a partecipare a iniziative territoriali si concentri sulle tematiche della educazione/promozione della salute e sulle campa-gne di screening. In questi due ambiti, quasi l’80% dei rispondenti dichiara di partecipare a eventi a beneficio della propria cittadinanza.

Sia la “revisione della terapia”, sia le attività di “monitoraggio te-rapeutico” non riscuotono, invece, altrettanto successo. Infatti, me-diamente soltanto il 15% dei rispondenti dichiara di partecipare a simili iniziative. Esistono, quindi, luci e ombre su tale tema. Sebbene il campione mostri una buona disponibilità a relazionarsi con la citta-dinanza, attuando comportamenti stile “porte aperte” per la salute del cittadino, tuttavia questi sono selettivi e non si estendono a tutte le possibili linee d’azione.

Una possibile spiegazione a questa dicotomia potrebbe consistere nella meccanica delle singole attività oggetto d’indagine. La prima e la quarta attività, nell’ordine proposto in fig. 3.7, fanno parte tipica-mente delle iniziative a “campagna”, cioè quelle lanciate e gestite in un arco di tempo contenuto, anche se comportano la profusione di risorse importanti per la farmacia, sia umane che finanziarie. Que-ste attività, proprio perché contenute nel tempo e molto focalizzate nella loro meccanica, sono quindi vissute come estemporanee, tali

Fig. 3.7 – Partecipazione alle seguenti attività:

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da non incidere sull’organizzazione e funzionamento della farmacia. In sostanza, a latere dell’attività tradizionale di intermediazione e di-spensazione del farmaco, verrebbe chiesto alle farmacie di compiere uno sforzo aggiuntivo, per educare o attuare campagne di screening per la cittadinanza. La risposta a questo tipo d’iniziative non tarda a venire: praticamente gran parte delle farmacie dichiara di aderire.

Per quanto riguarda, invece, le altre due linee di azione qui indi-cate, emerge una fotografia totalmente diversa. La stragrande mag-gioranza delle farmacie dichiara di non riuscire ad attuare iniziative di revisione della terapia e di monitoraggio a favore dei pazienti cronici. La giustificazione di un tale comportamento va ricercata proprio nel-la modalità che l’erogazione di simili servizi richiede. Non possono, infatti, essere svolti in maniera estemporanea, perché sono attività che non rientrano nel concetto di campagne, ma di linee di servizio stabili e continuative.

Ecco il motivo della dicotomia che si manifesta nelle risposte degli 822 farmacisti. Uno sforzo importante, ma contenuto nel tempo, è congeniale con l’attuale organizzazione della farmacia, mentre par-tecipare ad attività durature, anche se meno impattanti in un arco di tempo limitato, potrebbe richiedere una revisione significativa dell’organizzazione della farmacia. Una rivisitazione del suo modus operandi che non sempre è chiara negli obiettivi e tanto meno nelle modalità. Non esistono infatti, perlomeno in Italia, riferimenti evi-denti a cui affidarsi per impostare questo tipo di ripensamento della propria organizzazione aziendale. Dato che oggi le farmacie sono sottoposte a una pressione sui prezzi e a una crescente competizio-ne, mantenere inalterato lo schema organizzativo può essere visto come una via per affrontare il già precario equilibrio economico. Da qui la scarsa adesione a iniziative che, per essere attuate profittevol-mente, richiederebbero la revisione del modello di funzionamento della farmacia.

Partendo da queste considerazioni, valide indipendentemente dal modello di PhC, abbiamo provveduto a suddividere il campione in gruppi, proprio a partire dalle risposte fornite a queste quattro do-mande, secondo una tecnica statistica, che prevede la ripartizione in gruppi omogenei al loro interno, ed eterogenei tra di loro. L’ap-plicazione del metodo statistico ha dimostrato che la suddivisione

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ottimale del campione si ottiene con 3 gruppi.La figura 3.8 mostra il profilo quantitativo dei tre sottogruppi (clu-

ster) uscenti. La ripartizione adottata ha generato tre gruppi che si ripartiscono sul campione con una distribuzione dove un sottogrup-po pesa circa la metà, un secondo pesa per un terzo e il terzo per il rimanente quinto.

Il gruppo con maggiore numerosità, pari a 378 farmacie (46%), si contraddistingue, come vedremo di seguito, perché è caratterizzato da una vocazione ai servizi, anche se in una logica spot. Il secondo gruppo per importanza, composto da 258 farmacie (31%) presenta caratteristiche tipicamente di dispensazione e una scarsa vocazione ai servizi e, conseguentemente, al PhC. Infine, l’ultimo gruppo è il meno popolato, contando 186 farmacie (23%), ed è quello che me-glio incarna i presupposti del PhC.

Vediamo più in dettaglio le caratteristiche dei tre gruppi. Innan-zitutto partiamo dai criteri che sono stati utilizzati per la creazione

Fig. 3.8 – Profilo quantitativo dei tre sottogruppi

dei sottogruppi. Per comprendere appieno la ripartizione eseguita si propone l’incrocio in una tabella a doppia entrata, che confronta per ciascuno dei tre gruppi il comportamento rispetto alle quattro atti-vità territoriali proposte (vedi figura 3.9). Essa riporta la percentuale di predisposizione del campione nel suo totale e suddiviso in gruppi alla partecipazione alle quattro attività territoriali.

Si evidenzia così, per esempio, che sul totale del campione (822 farmacie), ben 619 cioè il 75% esegue campagne di screening (cfr casella rossa di figura 3.9). Come si è già visto in figura 3.7, la percen-

Ripartizione dei cluster

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tuale di adesione ad altre iniziative varia: 19% per il monitoraggio, 11% per la revisione e ben il 79% per le iniziative di promozione ed educazione della salute. Ma vediamo ora come si comportano i tre sottogruppi rispetto a queste quattro iniziative. Per comprenderne il comportamento paragoniamo la percentuale di adesione alle iniziati-ve con il medesimo dato espresso dal campione nel suo complesso.

Il sottogruppo dei “dispensatori”, come è possibile vedere in figu-ra 3.8, presenta una partecipazione alle quattro tipologie di campa-gne territoriali sempre inferiore alla media (vedi caselle verdi): rispet-tivamente 32% su 75%, 0% su 19%, 0% su 11% e infine 40% su 79%. Questa ridotta predisposizione a partecipare induce a ritenere che il gruppo sia composto da farmacie fortemente dedicate all’attività

di dispensazione, e poco inclini a collocare la farmacia in un ruolo di servizio sociale. In quanto molto concentrati sul farmaco e sulla sua logistica viene loro dato l’appellativo di “dispensatori”.

Esiste poi un secondo gruppo, maggioritario in termini numeri-ci (378 su 822), fortemente incline a partecipare a certe tipologie di campagna, ma meno ad altre (cfr caselle gialle a confronto con quelle rosse). Questo gruppo trova significativo interesse, con una adesione al 100%, a campagne di prevenzione o di screening, in-somma tutte quelle attività che hanno un respiro sulla popolazione e che si concentrano su un arco di tempo definito. Per contro, questi ultimi affermano di non partecipare affatto a iniziative di assunzione, monitoraggio e revisione della terapia farmacologica per singoli pa-zienti. Diversamente dalle prime due aree di azione, infatti, queste due si contraddistinguono per una minore massificazione e per una

Fig. 3.9 – I sottogruppi riletti in termini di variabili di classificazione

Campagnedi screening

Monitoraggio tera-peutico del paziente

Revisione della tera-pia farmacologica

Promozione/educa-zione della salute

ripartizione esegue % su tot esegue % su tot esegue % su tot esegue % su tot

Dispensatori 258 82 32% 0 0% 0 0% 103 40%

Servizi “spot” 378 378 100% 0 0% 0 0% 378 100%

PharmaCare 186 159 85% 160 86% 90 48% 169 91%

Totale Campione 822 619 75% 160 19% 90 11% 650 79%

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maggiore interazione con il paziente, assistito anche in via continua-tiva, quindi con un impegno che può protrarsi nel tempo. A questo sottogruppo, quindi, viene associata l’etichetta di “servizi spot”, a in-dicare la volontà di superare il modello di pura dispensazione, ma al contempo anche il limite di impegnarsi soltanto su iniziative, seppur importanti e fondamentali, ma contenute nel tempo; appunto spot.

Il terzo gruppo, infine, è composto da coloro che presentano inci-denze superiori alla media in tutte e quattro le categorie di attività di servizio (vedi caselle azzurre di figura 3.9). Questi ultimi sono coloro che, unici nel campione intervistato, hanno affermato di impegnarsi su iniziative di monitoriaggio del paziente e di revisione della terapia farmacologica. Per queste motivazioni al gruppo è stata assegnata l’etichetta di “PharmaCare”, ovvero farmacie proiettate verso l’evo-luzione della professione e che associano, a un’attività di dispensa-zione, anche quella di assistenza personalizzata del paziente.

Vediamo ora se tali profili trovano conferma alla luce delle risposte fornite sugli elementi costituenti il PhC. Le sei aree che compongono il modello di PhC (gestione pazienti nuovi e ripetuti, Gestione dei DRP, Atteggiamenti, Collaborazione e infine Struttura/processi) ven-gono, quindi, rilette in ragione dei tre gruppi, così da verificare il loro posizionamento.

Gestione dei problemi farmaco-correlati(Drug Related Problems)

Abbiamo detto che la gestione dei problemi connessi con l’assun-zione della terapia farmacologica è un punto molto importante, che purtroppo mostra in tutti e tre i sottogruppi marcati punti deboli, dato che, come evidenziato in figura 3.10, in nessuna fase della ge-stione e per nessun sottogruppo si assiste a valori che raggiungono la soglia di 2, su un massimo di 5 (qui per ragioni espositive, diversa-mente da quanto fatto prima, i grafici non verranno visualizzati su una scala a 5, per ragioni di migliore rappresentazione grafica).

Non deve meravigliare, sulla base di quanto detto, il distacco dei valori assunti dal gruppo dei PharmaCare (tratto verde) rispetto alla media (tratto nero) e agli altri due sottogruppi, che da un punto di vista grafico stanno sotto, e di molto. E’ interessante però osserva-

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re l’andamento del gruppo dei “serviziSpot”. Essi alternano perfor-mance che non si discostano dalla media (per esempio...definire una strategia), a performance più vicine al gruppo “dispensatori” (vedi aree cerchiate in rosso di fig. 3.10). Coerentemente con il loro profilo, infatti, le analisi di screening compiute durante le campagne da parte dei “serviziSpot”, inducono queste farmacie a rilasciare al paziente “indicazioni” comportamentali (per esempio, necessità di deferimen-to del paziente al medico curante), soprattutto quanto lo screening

Fig. 3.10 - Gestione dei problemi nei 3 sottogruppi

riveli situazioni anomale. Carente è, invece, l’area che identifica gli obiettivi condivisi con il paziente, per quanto attiene passi succes-sivi di assistenza, per il fatto che questo sottogruppo non intende operare in continuità. Per quanto riguarda, infine, il sottogruppo dei “dispensatori”, si conferma (fig. 3.10), che essi dimostrano scarsa predisposizione ad attivare iniziative volte a gestire i problemi farma-co-correlati dei propri pazienti.

Passiamo ora ad analizzare come i sottogruppi si differenziano in termini di comportamento rispetto alla gestione dei pazienti.

Gestione dei nuovi pazienti

Questo elemento assume valori medi del campione che oscillano da 1 a 3 (vedi linea nera del grafico di figura 3.11; si ricorda che la scala possibile è da 0 a 5 in quanto pesata su 5 pazienti, anche se per convenienza espositiva la scala nel grafico è modificata).

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Emerge con evidenza che in tutti e quattro i passaggi chiave del processo di gestione dei nuovi pazienti il cluster dei “PharmaCare” (tratto verde) ottiene valori nettamente superiori alla media (tratto nero). Per contro, i “dispensatori” (tratto azzurro) hanno valori sotto la media, mentre il sottogruppo dei “servizi Spot” (linea mattone) si posiziona a ridosso della media.

È interessante osservare, infine, che gran parte della differenza tra i PharmaCare e la media si genera soprattutto nelle prime due fasi; proprio quelle che nei fatti sono neglette dal resto del campione, registrando valori inferiori a 1,5 su base 5. Le differenze, invece, si

Fig. 3.11 – Gestione dei nuovi pazienti nei 3 sottogruppi

assottigliano su fasi tradizionali, quali appunto la verifica della com-prensione da parte del paziente, che viene eseguita in media 3 volte su 5 praticamente da tutto il campione.

Gestione dei pazienti ripetuti

La separazione dei valori per i tre sottogruppi nelle fasi di gestione dei pazienti ripetitivi è riportata in figura 3.12. Si conferma il profilo dei PharmaCare, che assume valori medi apprezzabili intorno a 2-2,5 su un max di 5, mentre la media (tratto nero) rimane decisamente sotto i valori di 2.

Interessante notare come in questo caso il gruppo dei “serviziSpot”

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Fig. 3.12 - Gestione pazienti ripetuti nei 3 sottogruppi

(linea mattone) converga sostanzialmente con il gruppo dei “dispensatori” (linea azzurra, coperta appunto quasi sempre dalla linea mattone). Questo conferma il profilo del gruppo che, essendo orientato a prestare servizi legati a campagne intense ma di breve respiro, non ha una prassi forte nella gestione continuativa dei pazienti, così come non è nella volontà dei dispensatori.

Atteggiamenti nei confronti dei servizi

La figura 3.13 mostra l’andamento dei tre sottogruppi rispetto ai due elementi che compongono il fattore “atteggiamenti”. Innanzi-tutto va segnalato che per questi tre fattori la scala di misurazione non è più basata sulla valutazione a partire da 5 pazienti, ma è una scala valoriale a 5 gradi (mai, raramente, ogni tanto, spesso e sem-pre), trattandosi di comportamenti generalizzati, antecedenti all’ado-zione di pratiche di PhC. Conseguentemente si è preferito esporre tali risultati a partire da un grafico a barre, che maggiormente evi-denzia i fenomeni valoriali.

Il sottogruppo dei PharmaCare conferma la sua natura di predi-sposizione ai servizi, dimostrando un atteggiamento verso l’assisten-za sia quantitativo (cercare di fornire assistenza), sia qualitativo (pro-digarsi nel fornire assistenza). Da notare semmai che anche in questo gruppo esiste una consapevolezza che “si può sempre far meglio”. Infatti, il valore assunto dalla domanda “cercare di fornire...” è su-periore al valore della domanda “prodigarsi nel fornire...”. Cioè le

110

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Fig. 3.13 - Atteggiamenti nei confronti dei servizi nei 3 sottogruppi

risposte fornite lasciano presagire che, alla volontà di estendere i servizi alla maggioranza dei pazienti, deve anche accompagnarsi il desiderio di un miglioramento qualitativo del servizio (strutturazione degli incontri, approfondimento clinico, monitoraggio continuo dei parametri, verifica del livello di raggiungimento dei risultati, ecc.). Per gli altri due sottogruppi, invece, si conferma il posizionamento delineato per gli altri elementi costituenti il PhC.

Struttura e processi

La figura 3.14 informa sullo stato dell’arte, in termini di struttura e processi nei tre sottogruppi indentificati. Partendo dagli elemen-ti strutturali (ultima domanda in ordine di apparizione in fig. 3.14), si denota una maggiore tensione dei “PharmaCare” a impiegare la struttura per offrire un servizio e un’assistenza più qualificata rispetto ai colleghi degli altri gruppi. Nel caso dei “dispensatori”, il dato rile-vato arriva a stento alla soglia di “ogni tanto”, denotando quindi un disimpegno, nonostante la presenza di spazi appositi nelle farmacie intervistate (71%).

Esistono altri elementi di struttura/organizzazione ove si registra un differente approccio tra PharmaCare e gli altri sottogruppi: impie-go di protocolli per svolgere il servizio, risultato clinico e soddisfazio-ne del paziente. Cioè, in pratica, quegli elementi che costituiscono guida per indirizzare il servizio di assistenza e assicurarne la sistema-ticità e riproducibilità.

111

Fig. 3.14 - Struttura/processi nei 3 sottogruppi

Collaborazione interdisciplinare

La figura 3.15 mette in evidenza lo stile collaborativo dei tre sot-togruppi analizzati. Vi sono elementi che presentano “rari” ambiti di applicazione (documentazione al medico per DRP, deferimento ad altri farmacisti e a operatori sociali) per i quali la distinzione, per quanto esistente, deve essere posta in secondo piano, rispetto in-vece alla valutazione del suo accadimento in termini assoluti. Si con-ferma, comunque sia, che le maggiori frequenze sono attribuibili al sottogruppo dei PharmaCare, mentre la classe dei “dispensatori” si ritrova sempre fanalino di coda.

Interessante, poi, osservare il distacco netto che c’è tra i Pharma-Care e il resto del campione per quanto attiene “l’aggiornamento del medico curante”, che segna la disponibilità alla collaborazione, così come il contatto con il medico in caso si riscontrino DRP, che denota un forte segno di continuità assistenziale nel tempo, e di col-laborazione con le altre professioni interessate alla cura del paziente.

L’attività di deferimento al medico curante è praticata con una certa metodicità non soltanto dai PharmaCare, ma anche dai Servi-ziSpot. Come detto in precedenza, questo potrebbe celare compor-tamenti non tanto di deferimento, in una prospettiva collaborativa, quanto semmai il tentativo di liberare la farmacia da una responsabi-

112

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

Fig. 3.15 - Collaborazione nei 3 sottogruppi

lità che in ottica di dispensazione non le competerebbe. Il deferimen-to del paziente alla medicina di base per i farmacisti “dispensatori” è attività che viene svolta solo ogni tanto.

Il profilo dei segmenti di farmacie(condizioni oggettive)

La disciplina del PhC è interpretata in maniera non univoca da par-te delle farmacie. Vi sono tre sottogruppi che danno origine a tre di-versi segmenti comportamentali. Una domanda legittima è chiedersi se questi tre segmenti corrispondano a profili tipo di farmacia, iden-tificabili oggettivamente e non solo soggettivamente, cioè in termini di comportamenti rispetto al PhC. Le variabili oggettive qui utilizzate per descrivere il profilo di ciascun campione sono quelle rilevate du-rante la ricerca. In sintesi si riferiscono a:• localizzazione geografica, • posizionamento della farmacia sul territorio,• esperienza del titolare,• dimensionamento della farmacia, • strumentazione a disposizione.

Partendo innanzitutto dalla dislocazione fisica della farmacia, la figura 3.16 mette in evidenza la distribuzione territoriale dei rispon-

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denti suddivisi per i tre sottogruppi. Per una semplificazione di analisi le 20 regioni sono state raggruppate in base alle quattro aree Niel-sen (nord-ovest che include la Lombardia, nord-est che include l’E-milia-Romagna, il centro -che si estende sino alle Marche, Campania esclusa- e infine il sud con le Isole).

Si può affermare che la maggiore particolarità è riscontrabile nel

Fig. 3.16 – Distribuzione territoriale dei 3 sottogruppi

sottogruppo dei ServiziSpot, dove il 50% delle farmacie incluse ap-partiene a regioni del nord-ovest (Piemonte-Lombardia-Liguria-Valle d’Aosta), con circa più di 10 punti percentuali sugli altri due gruppi. Per contro, il gruppo si radica meno al sud (dal Lazio a scendere) e in parte anche al centro. I Dispensatori e i PharmaCare sono pressochè simili da un punto di vista di distribuzione territoriale.

Sempre per quanto attiene al collocamento territoriale, la figura 3.17 mostra la distribuzione dei sottogruppi per tipologia di ubica-zione.

Lo stacco maggiore si registra ancora nel gruppo dei ServiziSpot,

Fig. 3.17 - Connotazione per ubicazione

114

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

Fig. 3.18 – Connotazione per tipologia di farmacia

che presentano un profilo maggiormente caratterizzato da farmacie urbane di zona periferica. Meno rilevanti, invece, sono le farmacie rurali sussidiate, mentre le rurali vantano una presenza media. Vice-versa non vi sono differenze marcate di connotazione per ubicazione fra le farmacie PharmaCare e quelle di Dispensazione.

Da un punto di vista gestionale, c’è distinzione tra farmacia indivi-duale e farmacia facente parte di gruppo familiare (cioè che detiene fino a 4 farmacie) (vedi figura 3.18). La formazione dei sottogruppi è difforme da questo punto di vista per quanto riguarda i “Dispensa-tori”, che si contraddistinguono per la maggiore presenza (10 punti percentuali) di farmacie individuali, rispetto ai restanti due sotto-gruppi.

Passando ora a una qualificazione dei sottogruppi basata in ra-gione delle risorse umane, possiamo affermare che la distinzione di genere nella proprietà non presenta marcate variazioni fra i tre sot-togruppi (figura 3.19).

Il sottogruppo dei PharmaCare si caratterizza per una maggiore presenza di titolari maschi (67% contro 60%).

La figura 3.20 ci aiuta a identificare eventuali differenze dei sot-togruppi per quanto attiene all’esperienza del titolare nell’esercizio della professione. Sebbene non esistano differenze radicali, è pos-sibile affermare che il sottogruppo dei PharmaCare preveda al suo interno la presenza maggiore di titolari giovani, cioè con un’espe-rienza di lavoro non superiore ai 25 anni. La classe da 10 ai 25 anni compone il sottogruppo per il 42%, quando la presenza nel gruppo dei ServiziSpot è pari a 33%.

115

Altro fattore da osservare, per comprendere le differenze ogget-tive nel profilo dei sottogruppi, consiste nel dimensionamento della farmacia. La figura 3.21 mostra la composizione delle farmacie per numero di farmacisti impegnati.

Appare evidente che il sottogruppo dei ServiziSpot prevede al suo interno una frequenza minore di piccole farmacie. Mediamente la presenza di realtà con due farmacisti è pari al 31%, contro il 45% medio dei restanti due sottogruppi. Per contro, è ovviamente supe-riore la presenza di farmacie con maggiore personale (20% classe oltre 4 farmacisti, con il 14% medio dei due gruppi). Non vi sono poi, al riguardo, significative differenze tra i PharmaCare e i Dispensato-ri. La figura 3.22, che riporta la composizione dei sottogruppi per presenza di addetti non farmacisti, non aiuta a qualificare in maniera significativa il profilo dei sottogruppi.

Fig. 3.19 – Connotazione di genere

Fig. 3.20 – Connotazione per esperienza del titolare

116

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

APPROCCI DIVERSIAL PHARMACEUTICAL CARE

Fig. 3.21 – Connotazione per numero di farmacisti

Fig. 3.22 – Connotazione per presenza di addetti non farmacisti

Un elemento di analisi ulteriore è il dimensionamento della far-macia per numero di ricette medie esitate in un giorno. La figura 3.23 mostra lo spaccato per classi di ricetta e per le tre tipologie di farmacie identificate.

Il dato più rilevante consiste nella frequenza di farmacie che lavo-rano da 50 a 100 prescrizioni al giorno nella famiglia delle farmacie ServiziSpot. Per esse, l’incidenza è pari al 42%, contro una media, per i restanti due cluster, che è inferiore di circa una decina di punti percentuali. Al contrario, le farmacie ServizioSpot hanno al loro inter-no una percentuale di prescrizioni inferiore a 50, inferiore di 10 punti percentuali rispetto agli altri due sottogruppi. Nei fatti, quindi, se si fondessero le due classi creando una categoria fino a 100 ricette,

117

questa diversa connotazione verrebbe a sparire. Dato che la creazio-ne di una sola categoria fino a 100 non determina significativi salti di-mensionali nell’organizzazione della farmacia, si può desumere che il numero di ricette lavorate non influenza la natura dei tre sottogruppi.

La figura 3.24 sintetizza l’analisi sin qui condotta in merito al profilo dei sottogruppi, a seconda degli elementi oggettivi analizzati.

Gli elementi oggettivi assoluti -cioè quelli che si riferiscono alla farmacia indipendentemente che abbia deciso di fare o non fare ser-vizi di assistenza- non sembrano aiutare a delineneare in modo netto la “carta d’intentità” dei tre gruppi. Tutti e tre, infatti, beneficiano in maniera non ordinata delle variabili qui analizzate. Nella figura 3.24, la presenza di frequenze rilevanti (=forti) verrebbe infatti evidenziata con la colorazione in azzurro della casella indagata, che testimonie-rebbe la presenza per quel determinato elemento di una differenza di frequenze superiore a 20 punti percentuali fra il valore maggiore e minore. Se la differenza di frequenze è inferiore a 20 punti, ma maggiore a 10, allora la colorazione sarebbe verde. Si prenda per esempio il dato di distribuzione territoriale rappresentato in figura 3.16. Abbiamo detto che mentre i ServiziSpot hanno una presenza del 50% nel nord-ovest, i Dispensatori invece hanno una presenza del 36%. Esiste, quindi, un differenziale di 14 punti percentuali a favore dei ServiziSpot, quindi una colorazione verde per questa area (cfr. 3.24). Infine, se le differenze si approssimano, pur rimanendo inferiori a 10 punti, allora la colorazione della casella sarebbe gialla.

L’assenza assoluta della colorazione azzurra nella tabella di figura

Fig. 3.23 - Connotazione per numero di ricette medie giornaliere

118

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

Fig. 3.24 – Sintesi del profilo definito su elementi oggettivi

3.24, conferma nei fatti la non sussistenza di specificità oggettive nel profilo dei tre gruppi. Esistono differenze di profilo, ma non così mar-cate (colorazione verde), tali da caratterizzare in modo netto quando si pensa ai servizi e al PhC. Ciò detto, non è possibile definire un profilo oggettivo e assoluto dei tre cluster, capace di renderli ricono-scibili a priori. Per esempio, si può affermare che il sottogruppo dei ServiziSpot presenta una maggiore frequenza nell’area nord-ovest, ma tale differenza non è così forte da poter asserire che le farmacie del nord-ovest preferiscono questo modello. Così, per esempio, nel gruppo delle farmacie “Dispensatrici” si evidenzia un maggiore peso delle farmacie individuali rispetto ai gruppi (società fino a 4 farmacie), ma questo non consente di ipotizzare che le farmacie individuali ab-biano una predisposizione per il modello “Dispensatore”, dato che tale attributo non è così marcato (è inferiore ai 20 punti percentuali).

Da qui emerge una considerazione generale. Il processo evolutivo

Carattere Dispensatori PharmaCare ServiziSpot

Distribuzioneterritoriale

Maggiorepresenza in areaNORD-OVEST

UbicazioneMaggiore peso

farmacie urbane di zona periferica

Maggiore pesofarmacie urbane di

zona periferica

TIpologia gestionaleMaggiore peso

farmacie individuali

Differenze di genereMaggiore pesotitolari maschi

Esperienza del titolareMaggiore pesotitolari giovani

Farmacisti in farmaciaMinore peso delle farmacie piccole

Addetti alla vendita Nessuna differenza sostanziale

Ricette medie al giorno Nessuna differenza sostanziale

Legenda Differenze fra i valori < 10 p.ti % = debole

Differenze fra i valori > 10 p.ti % = media

Differenze fra i valori > 20 p.ti % = forte

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da un modello all’altro, e all’altro ancora, non è subordinato a nes-suna precisa variabile oggettiva e assoluta, misurata in questo piano di ricerca. Non è detto che non esistano una o più variabili capaci di spiegare il processo di evoluzione verso i tre modelli, ma è pro-babile che allo stato dell’arte, a distanza di circa 5 anni dall’entrata in vigore della legge sui servizi, non si possano rintracciare elementi univoci, forti e capaci di spiegare la collocazione delle farmacie nei tre modelli. Queste valutazioni hanno un corollario importante. Tutte le farmacie possono realizzare con successo iniziative di evoluzione verso i servizi, indipendentemente che siano grandi o piccole, che siano al nord o al sud, che siano gestite da titolari giovani (magari di seconda o terza generazione) piuttosto che da titolari con alle spalle l’esperienza di una farmacia diversa dalla attuale.

Veniamo ora alla qualificazione del profilo dei tre sottogruppi in base ad elementi che sono oggettivi, ma che comunque presentano una evidente correlazione con la pratica dell’attività di assistenza al paziente. Gli elementi che verranno qui presi in esame sono i seguenti:• la presenza dell’area dedicata al consulto, • la presenza di software di supporto alla gestione della relazione

con il paziente,• la partecipazione di personale della farmacia a incontri

multidisciplinari nel bacino d’utenza. La figura 3.25 mette a confronto i tre sottogruppi in ragione della

disponibilità o meno di una area dedicata in farmacia dove incontrare il paziente. Il grafico evidenzia in maniera netta una forte correlazione tra l’essenza dei gruppi e la presenza di un’area dedicata all’incontro

Fig. 3.25 – Presenza di area dedicata al consulto

120

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

con il paziente. Per i PharmaCare la presenza dell’area è rintracciabile nell’83% dei casi, mentre per i Dispensatori soltanto nel 60%. In via intermedia si posiziona il cluster dei ServiziSpot (72% di presenza).

La figura 3.26 presenta la fotografia legata alla presenza di softwa-re per la gestione dei dati clinici del paziente. Sebbene la presenza in farmacia di sw apposito per la gestione del profilo clinico del pa-ziente sia sostanzialmente residuale, emerge come siano soprattutto le farmacie PharmaCare ad averlo (17% contro 4%).

Per quanto riguarda, invece, la presenza in farmacia di sw per la gestione delle interazioni farmaco su farmaco (figura 3.27) e per le controindicazioni farmacologiche (figura 3.28), si conferma la corre-lazione tra tipologia di farmacie e presenza di dotazione informatica.

Le farmacie PharmaCare dichiarano di possedere strumentazione informatica nel 67% dei casi, mentre tale percentuale scende al 56% per la famiglia dei ServiziSpot e, infine, al 48% per i Dispensatori.

Da ultimo, la frequenza di partecipazione a eventi di confronto multidisciplinare è riportata nella figura 3.29. Viene anche qui con-fermata una maggiore risposta positiva proprio in quei gruppi ove superiore è l’attività di assistenza. Per il cluster dei PharmaCare la partecipazione a eventi è pari al 53% dei casi, mentre il gruppo dei ServiziSpot afferma di partecipare a simili incontri soltanto nel 35% dei casi, e infine la partecipazione dei Dispensatori si abbassa al 22%.

In sintesi, è possibile ricapitolare il profilo differenziale fra i tre sot-togruppi per quanto attiene agli elementi oggettivi, ma relativi alla pratica dei servizi a partire dallo schema proposto in figura 3.30.

Fig. 3.26 – Presenza di software sui dati clinici del paziente

121

Fig 3.27 – Presenza di software per interazione farmaco su farmaco

Fig 3.28 – Presenza di software su controindicazioni farmacologiche

Fig. 3.29 – Partecipazione ad incontri multidisciplinari

122

Approcci diversi al Pharmaceutical Care

La rilettura degli elementi oggettivi, ma correlati alla strutturazione di un’offerta assistenziale (per esempio, l’esistenza di area dedicata al consulto, la dotazione software, la partecipazione a incontri multi-sciplinari, cfr fig. 3.30) presenta, diversamente dagli elementi ogget-tivi assoluti analizzati in figura 3.24, una marcata correlazione con le tipologie di farmacia identificate (modello Dispensa, PharmaCare e ServiziSpot). Per esempio, emerge chiaro che quanti appartengono al sottogruppo dei PharmaCare hanno un’area dedicata agli incontri: il differenziale tra PharmaCare e Dispensatori qui è pari o superiore a 20 punti percentuali (area colorata di azzurro).

Così accade (cioè esistenza di correlazione maggiore a 20 pun-ti percentuali) anche per la disponibilità in farmacia di un software per gestire le controindicazioni farmacologiche e per la disponibilità a partecipare a incontri multidisciplinari; cioè per le altre due aree azzurre di figura 3.30. Il software per la gestione dei dati clinici dei pazienti, invece, prevede una marcata presenza presso i PharmaCare, ma in valore assoluto è presente in poche farmacie (poco meno di una settantina circa nel nostro campione di 822 farmacie). Pertanto, qui non si può affermare l’esistenza di una correlazione forte.

Fig. 3.30 – Sintesi della profilazione per elementi oggettivi,ma relativi all’erogazione dei servizi di assistenza

Carattere Dispensatori PharmaCare ServiziSpot

Area dedicata consulto Bassa presenza Alta presenza Media presenza

Sw dati clinici paziente Bassa presenza Alta presenza Bassa presenza

Sw interazione farmaco su farmaco

Bassa presenza Alta presenza Media presenza

Sw controindicazionifarmacologiche

Bassa presenza Alta presenza Media presenza

Partecipazione incontri multidisciplinari

Bassa presenza Alta presenza Media presenza

Legenda Differenze tra i valori < 10 p.ti % = debole

Differenze tra i valori > 10 p.ti % = media

Differenze tra i valori > 20 p.ti % = forte

123

L’EVOLUZIONE DELPHARMACEUTICAL CARE IN EUROPA

Numerosi i progetti elaborati

La disciplina del PhC è oggetto di studio e di approfondimento da parte di uno specifico centro di ricerca internazionale, denominato Pharmaceutical Care Network Europe (PCNE.org), da ormai un ven-tennio. Esso è formato da accademici, ricercatori, studiosi della ma-teria, professionisti di farmacia, tutti animati dal medesimo intento di vedere evolvere la farmacia europea verso i servizi di assistenza al cittadino, oltre alla dispensazione del farmaco. Nel tempo sono stati messi in funzione svariati progetti, tesi a implementare nei vari Paesi la disciplina del PhC. Cito a titolo di esempio i seguenti progetti:• Therapeutic Outcome Monitoring (TOM) – ricerca e soluzione di

problemi farmaco-correlati per patologie asmatiche• Elderly Medication Analysis (OMA) - linea di intervento per per-

sone anziane finalizzata ad assicurare un servizio di assistenza per la corretta assunzione delle terapie farmacologiche

• Self-care, self medication – progetti finalizzati a garantire e sup-portare lo sviluppo da parte del paziente nella gestione dei far-maci (empowerment terapeutico)

• Behavioural Pharmaceutical Care Scale (BPCS) – progetto finaliz-zato a valutare l’applicazione della disciplina del PhC in Europa

• Medication Review - è una parte essenziale del PhC, perché teso a delineare come il farmacista possa assistere il paziente per la revisione della terapia. Un tema importante, inoltre, è la collabo-razione del farmacista con le altre figure del mondo sanitario che interagiscono con il paziente.

• Drug-related problems - studio e ricerca delle cause e delle solu-zioni dei Problemi farmaco-correlati, che nel tempo ha generato proprie metriche e scale interpretative.

• Standards e Linee Guida - lo sviluppo del PhC e dei servizi è strettamente legato alla definizione e applicazione di prassi e

124

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

L’EVOLUZIONE DELPHARMACEUTICAL CARE IN EUROPA

metodologie condivise su come fare servizi in farmacia, persona-lizzati al paziente e integrati perfettamente con l’attività dispen-satrice della farmacia.

Ogni singolo Paese lancia propri programmi di ricerca e appro-fondimento, che poi condivide con altri in sede di riunione annuale del PCNE, e durante sessioni d’incontro intermedie. Per esempio, la Svizzera ha lanciato una serie di programmi di ricera in tema di: clas-sificazione DRP, screening del diabete in farmacia, specializzazione PhC in Università, e così via.

Come detto nell’introduzione, l’Italia è entrata a far parte del PCNE nel 2012, proprio per contribuire apportando le esperienze italiane e per beneficiare delle competenze maturate negli anni dal Centro. In particolar modo, il primo progetto operativo che ha visto coinvolta l’Italia è il BPCS (Behavioural Pharmaceutical Care Score). Un programma di ricerca volto a rilevare lo stato di avanzamento dei servizi d’assistenza che le farmacie offrono all’assunzione della tera-pia farmacologica da parte dei pazienti cronici.

A una prima edizione svoltasi nel 2006 ne è seguita una più este-sa, nella quale l’Italia è stata presente a partire dalla progettazione iniziata nel 2012. In Italia la ricerca è curata dall’Università Cattolica nella persona dell’estensore del presente manuale, unitamente a FE-DERFARMA e GSK, nell’ambito del protocollo d’intesa che le vede collaborare “insieme per la salute del cittadino”, appunto così come recita il payoff del protocollo stesso.

La prima ricerca di BPCS è stata lanciata nel 2006 e ha visto coin-volti i seguenti Paesi: Danimarca, Germania, Gran Bretagna (separa-tamente Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del nord), Malta, Porto-gallo, Svezia, Svizzera, Belgio e Irlanda.

La seconda edizione della ricerca, fatta sempre sugli stessi pre-supposti della prima, è stata lanciata nel 2012 ed è stata realizzata nel corso del 2013, e ha coinvolto i seguenti Paesi: Danimarca, Ger-mania, Gran Bretagna (separatamente Inghilterra e Irlanda del nord), Malta, Portogallo, Svezia, Svizzera, Bosnia, Italia, Lituania, Moldavia, Paesi Bassi, Norvegia, Serbia e Spagna.

125

Il profilo dei rispondenti a confronto

La seconda edizione della ricerca ha visto coinvolte complessiva-mente quasi 5 mila farmacie operanti nei Paesi europei indicati e il peso dell’Italia sul campione è stato pari al 16%, grazie agli 822 tito-lari di farmacia che hanno risposto.

Dato che lo scopo ultimo della presentazione dei dati internazio-nali sta nella possibilità di raffrontarli tra di loro, così da comprendere la posizione dell’Italia e da individuare le prassi operative d’interes-se a cui confrontarci, è necessario produrre termini di confronto tra la farmacia italiana e quella europea, almeno per quanto riguarda quelle che hanno partecipato alla ricerca, e per le quali esistono dati raffrontabili. La figura 4.1 mette a confronto le farmacie italiane ri-spondenti e quelle europee, per quanto attiene la composizione di genere e di esperienza del titolare.

Fig. 4.1 – Composizione del campione per genere ed esperienza

Appare evidente la sostanziale diversità di composizione del cam-pione rispetto al genere: nel campione italiano prevale la componen-te maschile, in quello europeo la componente femminile. Risulta an-che rilevante la differenza in base all’esperienza del titolare: in Italia i rispondenti sono sostanzialmente più anziani dei colleghi europei; l’anzianità media da noi si aggira sui 18 anni, mentre in Europa sui 14.

Italia Totale

822 4.956

16% 100%

Genere % %

Maschio 62,9 34,4

Femmina 37,1 65,6

Anni di esperienza del titolare in farmacia % %

≤ 5 anni 2,0 17,8

6-10 5,6 16,8

11-20 21,9 26,4

> 20 70,5 39,1

126

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

L’EVOLUZIONE DELPHARMACEUTICAL CARE IN EUROPA

La figura 4.2 mette a confronto il dato italiano e quello europeo per quanto attiene la tipologia di farmacia e la sede. Mentre in Italia pre-domina il modello della farmacia individuale, il totale del campione europeo si compone anche di farmacie appartenenti a catene (38% dei rispondenti). In Italia, inoltre, predomina la farmacia rurale, mentre il campione totale prevede una distribuzione più equa e capillare.

Fig. 4.2 - Rispondenti a confronto: tipologia di farmacia e sede

La figura 4.3 mostra poi il dimensionamento delle farmacie rispon-denti. Non vi sono significative differenze per quanto attiene al nu-mero di farmacisti che operano in farmacia: in media il campione italiano conta 2,7 farmacisti, mentre la media del campione UE è 2,4. Le farmacie con più di 4 farmacisti presentano una decina di punti percentuali più del campione europeo, perché in Italia, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei, soltanto professionisti lau-reati possono operare al banco. Per contro, la metà del campione italiano non prevede personale non farmacista in farmacia, mentre il totale campione UE usufruisce molto di collaboratori non laureati, come si evince dalla tabella (in Italia il personale non laureato non arriva nemmeno all’unità, mentre all’estero è in media quasi 2 per-sone). Scarsa è poi la percentuale di qualifiche post-laurea in Italia, mentre nel resto d’Europa ha un peso pari al 22%.

È predominante in Italia la farmacia con un traffico più ridotto di prescrizioni rispetto al totale campione europeo: solamente il 2% evade più di 300 prescrizioni al giorno, contro una media del 19%

Italia Totale

Tipologia di farmacia % %

Indipendenti 76,7 49,6

Gruppo familiare 23,3 12,4

Grandi gruppi (>10 farmacie) 0 38,0

Sede della farmacia % %

Rurale 44,2 25,2

Suburbana 23,9 21,9

Centro città 31,8 39,5

Health Centre 0 8,3

mancante (Norvegia) 0 6,2

127

nel resto del campione (in media la farmacia italiana gestisce circa 120 prescrizioni al giorno, mentre il campione europeo evade circa 190-200 prescrizioni).

Vediamo ora le differenze di comportamento dei rispondenti ri-spetto ad alcune attività e ad alcuni presupposti operativi utili per l’erogazione di servizi ai pazienti, come esposto in figura 4.4.

I farmacisti italiani sono più inclini dei colleghi europei per quanto riguarda la partecipazione a incontri interdisciplinari con altri opera-tori della sanità. La presenza poi di un’area dedicata per il consulto con il paziente prevede una presenza elevata, superiore ai due terzi dei rispondenti in Europa. In Italia il dato è migliorativo, tenuto conto che più del 70% delle farmacie afferma di possedere un’area dedica-ta agli incontri con i pazienti.

La presenza di strumentazione informatica in farmacia per ausilio dell’attività di servizio al paziente rivela, invece, grandi lacune in Ita-lia rispetto al dato europeo. Soltanto l’8% dei rispondenti afferma

Fig. 4.3 - Rispondenti a confronto: dimensionamentoper numero di professionisti e per prescrizioni evase al giorno

Italia Totale

N° farmacisti che lavorano in farmacia % %

1 17,1 22,6

2 29,5 33,4

3 20,9 22,7

≥ 4 32,5 21,3

Qualifica post universitaria % %

% presenza in farmacia 5,5 22,8

N° personale di supporto (non farmacisti) % %

0 46,8 22,9

1 32,1 23,8

2 16,9 23,5

3 2,9 13,2

≥ 4 1,4 16,5

N° ricette evase in una giornata “Tipo” % %

0-99 38,8 29,0

100-199 45,8 34,1

200-299 13,1 17,8

≥ 300 2,2 19,1

128

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

Fig. 4.4 - Rispondenti a confronto: attività e strumenti per l’erogazione di servizi

di possedere database per la gestione dei dati clinici del paziente, contro il 35% della media europea. Per quanto attiene poi all’utilizzo di supporti informatici per il controllo dell’interazione farmaco su far-maco, la differenza con i colleghi europei, pur rimanendo rilevante, si riduce. Il software per il controllo delle controindicazioni farmacolo-giche sembra, infine, essere presente nelle farmacie italiane quanto in quelle europee. L’accesso poi della farmacia ai dati clinici prove-nienti dalle interazioni del paziente con il Sistema sanitario nazionale risulta molto basso anche Oltralpe.

Veniamo ora ad analizzare alcuni aspetti propri della farmacia del territorio ovvero le attività che le farmacie compiono oltre la dispen-sazione del farmaco (figura 4.5).

Si conferma quanto detto in precedenza in tema di sviluppo di atti-vità territoriali per la salute e il benessere della collettività. Massimo è l’impegno per attività di screening e promozione della salute: il dato medio di adesione per queste attività è addirittura superiore al dato medio europeo. Viceversa, il dato nazionale è sensibilmente inferiore per quanto attiene alle attività tese a garantire al paziente un servi-zio continuativo di monitoraggio o di assistenza all’assunzione della terapia farmacologica.

Italia Totale

% %

Partecipazione continuativa ad incontri interdisciplinari con operatori sanità

35,4 23,3

Presenza nella farmacia di area dedicata al consulto con il paziente

71,1 67,1

Utilizzo di applicativi per il controllo dei dati clinici del paziente

7,9 35,1

Utilizzo di applicativi per il controllo dell’in-terazione farmaco su farmaco

56,4 71,2

Utilizzo di applicativi per il controllo delle controindicazioni farmacologiche

56,1 63,6

Possibilità di accesso digitale ai dati del paziente provenienti da altri operatori

0 6,8

Possibilità di conoscenza dei dati del pazien-te provenienti da altri operatori

56,6 39,1

129

Comportamento in tema diPharmaceutical Care

Il confronto fra il comportamento delle farmacie italiane e quelle europee in tema di prassi adottate per il PhC è delineato con la figura 3.1, cioè il modello d’insieme che vede il PhC composto dai seguenti blocchi di analisi: Gestione dei problemi farmaco-correlati, Gestione dei nuovi pazienti, Gestione dei pazienti ripetuti, Atteggiamenti e comportamenti, Collaborazione interdisciplinare e, infine, Struttura e organizzazione di servizio.

La figura 4.6 mostra in sintesi i valori comparati fra Italia e cam-pione UE, per ciascuno dei sei elementi del modello PhC. Da una prima osservazione generale emerge chiaro che la performance ita-liana (vedi valutazioni in rosso) è sempre inferiore a quella della me-dia europea. La spiegazione non è da ricercare nella “qualità” della farmacia, quanto nell’indirizzo “top down” che il sistema sanitario induce negli operatori della sanità e, quindi, anche nella farmacia.

Tra quanti hanno preso parte alla ricerca vi sono Paesi che sono virtuosi in termini di PhC e che, quindi, presentano prassi applicative ben superiori a quelle rilevate in Italia da questa ricerca. Due esempi: Regno Unito e Olanda, due realtà diverse, due modi di applicazione del PhC d’eccellenza. Abbiamo già parlato del Regno Unito nel Cap. 3, a proposito della spinta che la collaborazione offre alla gestione dei nuovi pazienti per una farmacia (vedi figura 3.5). Il servizio sanita-rio (NHS) guida un riordino efficiente ed efficace delle cure primarie:

Fig. 4.5 – Rispondenti a confronto: partecipazione ad attività di servizio territoriale

Partecipazione della farmacia alle seguenti attività (% risposte affermative) Italia Totale

Campagne di screening 75 47,9

Monitoraggio terapeutico del paziente 19,6 32,7

Revisione della terapia farmacologica(medication review)

12,2 38,7

Iniziative di promozione/educazionedella salute

79,3 61,2

130

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

Fig. 4.6 - Confronto tra Italia e Ue: una visione di sintesi

la farmacia adotta programmi di MUR (Medicines use review) per assistere i pazienti cronici e migliorare il loro di livello di aderenza alle terapie, nel contempo al farmacista viene offerta la possibilità di diventare “prescriber”, ovvero provvedere direttamente a ordinare la terapia ripetuta per pazienti cronici che ha in carico. Tutto ciò ha evidenti riflessi non soltanto sul medico, che è sgravato di un onere sostanzialmente “amministrativo” (ripetizione di ricette), ma anche sulla farmacia, che è inserita a pieno titolo nel processo delle cure primarie. È evidente che la ricaduta di questo approccio di lavoro integrato tra medicina, farmacia e servizio sanitario, non può che ge-nerare valori più elevati negli indicatori di PhC.

Con una prospettiva diversa si giunge alla stessa conclusione an-che in Olanda, Paese nel quale la sanità pubblica non ha mai avuto un ruolo fondamentale. Invece di seguire il modello universalistico, l’O-landa ha lasciato spazio al cosiddetto “laissez-faire” del mercato. Qui il privato paga le spese sanitarie, ma è coperto da assicurazione sani-taria privata. Le Compagnie di assicurazione hanno, quindi, interesse a ottimizzare le spese sanitarie. Investire in prevenzione in Olanda vuol quindi dire fare risparmio e salvaguardare il conto economico; in particolare quello delle Compagnie di assicurazione. Per questo motivo loro per prime lanciano programmi di collaborazione, dove la farmacia e il medico sono chiamati a confrontarsi, per attuare piani

131

d’assistenza personalizzati ai pazienti cronici, per garantire la stabi-lizzazione e compensazione della patologia. Questi interventi sono vere e proprie misure preventive atte a evitare che il peggioramento del paziente generi un aggravamento della patologia e, quindi, un’e-scalation dei costi; cioè delle spese coperte dalle Compagnie. Ecco perché le farmacie che operano in questo Paese hanno performance PhC ben superiori a quelle italiane.

Va sottolineato che, in entrambi i casi, le istituzioni payer del servi-zio sanitario (NHS da un lato e Compagnie di assicurazione dall’altro) fagocitano il coinvolgimento della farmacia e la collaborazione con le altri professioni sanitarie, riconoscendo tariffe per il tempo che gli operatori dedicano nei servizi a tutela dei pazienti.

Evoluzione del Pharmaceutical Carenel corso del tempo

Sebbene l’Italia non abbia partecipato alla prima edizione della ri-cerca, credo sia interessante osservare come nel tempo sia cambiato in Europa l’indice di applicazione del PhC. Esso, ai fini della ricerca internazionale, è stato calcolato a partire da tre elementi costituenti, come riportato nella figura 4.7.

Il calcolo tiene conto innanzitutto del blocco relativo all’”Assisten-za al paziente” (figura 4.7 a sinistra). Esso consta di 15 domande per un totale di 60 punti (ogni domanda ha un massimo di 5 punti) e so-stanzialmente viene a coincidere con la somma di: Gestione problemi

Fig. 4.7 – La struttura del BPCS e il punteggio massimo

132

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

L’EVOLUZIONE DELPHARMACEUTICAL CARE IN EUROPA

farmaco-correlati, Gestione nuovi pazienti, Gestione pazienti ripetuti e atteggiamenti di figura 4.6. Esiste poi un blocco relativo alla Col-laborazione disciplinare che vale 32 punti, essendo composta da 8 domande da 4 punti. Tale blocco viene a coincidere nell’elemento omonimo del modello analizzato in figura 4.6. Infine, vi è il blocco relativo a “Struttura e processi” che vale 28 punti, essendo composto da 7 domande da 4 punti. Esso coincide con l’elemento omonimo del modello di figura 4.6.

L’indice di BPCS, somma dei tre blocchi analizzati, non è deter-minato quale media dei fattori, differentemente dal computo del modello di figura 4.6, ma dalla somma dei valori assoluti. Il valore massimo che può, quindi, essere raggiunto da questo indicatore è 120 punti (cfr. figura 4.7).

Fatta questa premessa di metodo sul calcolo internazionale del va-lore di PhC, ci si aspetterebbe che nei cinque anni intercorsi tra la pri-ma e la seconda edizione questo valore andasse aumentando, tenuto conto, in generale e per tutta Europa, degli sforzi divulgativi operati in questi anni, degli investimenti fatti e dell’impegno profuso da ciascuna farmacia per mettere in atto nella propria realtà le logiche di PhC.

La figura 4.8 riporta i valori dell’indicatore di BPCS (Behavioural Pharmaceutical Care Score) relativi ai tre blocchi considerati. Per que-stioni di confidenzialità dei dati, che non sono stati ancora pubblicati a livello internazionale, non è possibile evidenziare in dettaglio le performance separate per Paese, fatta eccezione per il dato italiano.

In generale si evidenzia, dall’osservazione della penultima riga (fig. 4.8), che l’indicatore di BPCS della prima edizione comparato con quello della seconda registra una riduzione, seppur lieve, passando da 70 a 68 punti su un totale potenziale di 120. Sostanzialmente, nei

Fig. 4.8 – Performance dell’indicatore di BPCS nella prima e seconda edizione

BPCS 1 (2006)

Paese PesoAssistenza al paziente

Collabor. Interdisc.

Struttura e processi

BPCS 1

Sottoinsieme continuativo

68% 26 18 23 68

Sottoinsieme non continuativo

32% 30 19 25 75

Nuovi entranti

totale EU 100% 27 19 24 70

di cui Italia

BPCS 2 (2013)

PesoAssistenza al paziente

Collabor. Interdisc.

Struttura e processi

BPCS 2

53% 31 19 25 76

47% 22 15 22 59

100% 27 17 24 68

16% 19 9 14 42

133

tre blocchi costituenti l’indice la riduzione si concentra nella “Colla-borazione interdisciplinare”, dove si passa da un valore di 19 a un valore di 17 su un massimo di 32. Gli altri due blocchi rimangono invariati nelle due edizioni della ricerca. Sembrerebbe, quindi, che nell’intervallo intercorso nulla sia accaduto in termini di miglioramen-to, semmai si registrerebbe una riduzione nell’indicatore della colla-borazione.

Questa considerazione, se è valida nel totale del campione, deve essere rivista però alla luce dei Paesi componenti le due indagini. A tal fine il campione totale viene suddiviso tra Paesi che hanno partecipato a entrambe le edizioni della ricerca (Danimarca, Germa-nia, Inghilterra, Irlanda del nord, Malta, Svezia e Svizzera), Paesi che hanno partecipato solo alla prima edizione (Belgio, Galles, Irlanda e Scozia) e, infine, nuovi Paesi che hanno aderito alla seconda edizione (Lituania, Moldavia, Olanda, Norvegia, Italia, Serbia e Spagna).

Con questo stratagemma possiamo trarre considerazioni più mi-rate in tema di confronto tra le due edizioni. Infatti, al posto di con-trapporre i valori totali delle due edizioni ci si limiterà a verificare il confronto soltanto fra coloro che hanno partecipato a entrambe le edizioni (vedi prima riga della tabella 4.8). Il confronto omogeneo fra medesimi Paesi che hanno preso parte alla prima e seconda edizione della indagine mostra, infatti, che l’indicatore di BPCS è passato da 68 a 76, rivelando così un incremento interessante nei 7 anni intercor-si fra la prima (2006) e la seconda edizione (2013).

Il calo, quindi, del valore assoluto del campione europeo della seconda edizione è imputabile all’ingresso nel paniere di Paesi che presentano un profilo PhC decisamente più basso, rispetto a quello delle nazioni della prima edizione e da cui è partito il programma di ricerca. L’italia è appunto uno di questi (vedi indicazione precisa dei valori nell’ultima riga di figura 4.8). Il valore assoluto della performan-ce di BPCS è 42 punti (vedi area gialla). Dato, questo, minore rispet-to alla media dei Paesi entrati nella seconda edizione, pari a 59. La figura 4.9 aiuta a comprendere quali siano i punti deboli del sistema italiano nell’applicazione della disciplina PhC.

Come abbiamo visto, l’indicatore di BPCS si compone di tre fatto-ri: l’assistenza al paziente, la collaborazione interdisciplinare e la do-tazione organizzativa e strutturale della farmacia che eroga i servizi.

134

L’evoluzione del Pharmaceutical Care in Europa

Fig. 4.9 – L’indice Italia raffrontato al dato europeo della seconda edizione

Ovviamente tutte e tre le aree presentano valori decisamente sotto la media, che segnano significativi spazi di miglioramento. Ma se, come proposto in figura 4.9, si volesse analizzare l’incidenza relativa si scoprirebbe che il fattore sul quale siamo maggiormente deficitari è la Collaborazione interdisciplinare. Infatti, mentre sul totale cam-pione UE questo fattore ha un peso di importanza pari al 25% (cer-chio rosso di figura 4.9), nella costruzione dell’indice di BPCS pesa in Italia soltanto il 21%. Esisistono, quindi, 4 punti percentuali di diffe-renza con gli altri Paesi europei in tema di presidio e sviluppo delle relazioni con gli altri operatori della sanità coinvolti nella gestione dei pazienti cronici.

Da ultimo, la figura 4.10 propone un raffronto grafico fra i valori di BPCS nei suoi tre addendi, aggiungendo alla comparazione dell’indi-ce italiano ed europeo anche l’indice di BPCS per il sottogruppo del-le farmacie classificate con il termine “PharmaCare”, come descritte nel capitolo 3. Si è infatti scelto di eseguire questa comparazione dal momento che questo sottogruppo si è dimostrato molto incline ad adottare un approccio di servizio in ottica PhC.

Emerge chiaro, anche visivamente, che questo sottogruppo (Phar-maCare) presenti caratteristiche molto più simili alla media UE ri-spetto al profilo medio delle farmacie italiane. Infatti, l’indicatore di BPCS2 si approssima maggiormente al dato medio UE, sia grazie a standard più elevati di assistenza al paziente, sia in ragione di una maggiore collaborazione interdisciplinare, che assume un valore pari a 12 punti (vedi freccia blu di figura 4.10), contro i 17 della media UE e i 9 della media IT (vedi figura 4.9). Valutazione questa che è molto promettente. Sappiamo che il campione dei PharmaCare pesa per

BPCS2 (2013)

pesoassistenzaal paziente

Collabor. Interdisc.

Struttura e processi

BPCS2

Italia 16% 19 9 14 42

45% 21% 33% 100%

Totale EU 100% 27 17 24 68

40% 25% 35% 100%

135

42 68 55

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Italia totale UE PharmaCare

18 28 269 17 13

14 24 1717

0

5

10

15

20

25

30

Italia totale UE PharmaCare

Assistenza al paziente Collabor. Interdisc.Struttura e processi

circa il 23%. Aspetto, questo, da non sottovalutare in una prospettiva di evoluzione per induzione e per adeguamento di quella parte degli operatori che prima di partire con iniziative d’innovazione rimango-no in attesa, per verificare quanti già puntano al cambiamento e gli effetti che questo genera. Inoltre, il posizionamento delle farmacie PharmaCare è ancora più rilevante se si considera che questo model-lo è stato adottato in assenza di alcuna spinta di terze parti (sia moti-vazionale, sia economica), ma solamente su base volontaria, guidata dalla voglia personale di rinnovarsi, di rivedere il ruolo della propria farmacia, di prepararsi alle future evoluzione della professione.

Fig. 4.10 – Raffronto fra UE, Italia e Gruppo dei “PharmaCare”per gli indicatori di BPCS2

 

Indicatori BPCS2

136

Considerazioni conclusive e uno sguardo al futuro della farmacia

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVEE UNO SGUARDO AL FUTURO DELLA FARMACIA

Riflessioni in temadi Pharmaceutical Care

La farmacia sta vivendo un periodo di profondo rinnovamento. Sono cambiate le condizioni del mercato; per esempio, si è assistito a uno spostamento dalla spesa pubblica alla spesa privata. In passato le farmacie vivevano al 60%-70% di “ricette rosse”. Oggi il valore di una farmacia è determinato sulla base degli scontrini che emette, il cui valore è ormai superiore al 50%-60%. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento negli equilibri di mercato ed economici. È cambiata rad-icalmente la marginalità della farmacia: vuoi per l’aumento dei farmaci generici, che, a parità di quantità movimentate, ha determinato la riduzione secca dei prezzi e quindi dei margini, vuoi per la liberaliz-zazione dei prezzi sui farmaci da automedicazione, che ha scatenato una guerra dei prezzi a spirale, preconfigurando quello che alcuni chi-amano circolo del diavolo e rappresentato nella figura 5.1.

La rotazione dello stock è un elemento centrale di gestione della farmacia che vive, come abbiamo detto, non di prestazioni, ma di margini sull’intermediato. Per favorire il giro di articoli talvolta a len-ta movimentazione, vengono applicati sconti. La politica di gestione dello sconto in farmacia è cosa abbastanza recente, tenuto conto che fino a circa una decina di anni fa il settore prevedeva la vendita a prezzi imposti. Ciò determina in molti casi una certa inesperienza nella fissazione non generalizzata e trasversale degli sconti. Gli sconti in un mercato indifferenziato, dove, cioè, agli occhi del cliente non sussistono differenze di posizionamento degli operatori, generano con effetto diretto un aumento di concorrenza. La concorrenza de-termina l’aumento di invenduto e la spirale del diavolo si accende...

Le farmacie hanno perso negli ultimi anni qualche punto di mar-ginalità e hanno visto crollare il valore del mercato (in occasione di proposte di vendita) proprio per questi motivi. Si assiste a un aumen-

137

to, anche preoccupante, di casi di défaillance finanziaria ed economi-ca della farmacia; si stima che una parte crescente -circa il 5-10%- sia entrata in una fase di crisi finanziaria.

È possibile invertire questo fenomeno? Vi possono essere soluzi-oni decisive? Non credo vi possano essere misure radicali, ma credo che il fenomeno possa essere perlomeno arginato, a partire proprio dalla rottura della spirale del diavolo esposta nella figura 5.1. Credo che il punto di rottura di questa spirale perversa stia nella lettura del ruolo della farmacia nel sistema sanitario.

Quando affermo che il mercato è indifferenziato, faccio riferimento al fatto che le farmacie, in virtù della croce verde che le contraddistingue, assicurano tutte, da nord a sud, da est a ovest, un servizio comune. Questo è un aspetto di importanza capitale, ma, se viene interpretato come un denominatore comune “massimo” e non “minimo”, allora si genera il fenomeno di indifferenziazione dell’offerta. Si è assistito negli ultimi anni al tentativo di superamento di questo fenomeno di appiattimento attraverso l’introduzione di nuove formule: per esempio, la dermocosmesi in farmacia. Si sostiene che questo percorso, che in parte ha preso una deriva marcatemente commerciale, possa essere perseguito anche nella dimensione professionale in ambito sanitario. La farmacia dei servizi, strutturata in ottica PhC, credo proprio possa essere un esempio.

Si assiste a casi di successo di farmacie che, oltre a garantire il servizio tradizionale di dispensazione, hanno adottato percorsi di politiche di servizio personalizzato (a partire, per esempio, dalla ap-plicazione delle logiche di PhC), attivando forti ambiti di presidio

Fig. 5.1 - La spirale negativa dei prezzi e il “circolo del diavolo”

138

Considerazioni conclusive e uno sguardo al futuro della farmacia

specialistico. Il presidio specialistico, che non nega la farmacia dei servizi polifunzionale, enfatizza ed esalta la farmacia come centro di eccellenza per talune specificità, siano di natura patologica (special-izzazione in problematiche dell’area bronco-respiratoria, per esem-pio) o di soluzione (come specializzazione in medicina del turismo o sportiva). Ambiti di specializzazione che emergono dalle competen-ze e dalla vocazione -innazitutto del titolare di farmacia, ma anche dei farmacisti collaboratori- configurando quella che potrebbe es-sere chiamata la farmacia “plurispecializzata”.

Esiste traccia di tutto ciò? Certamente sì. E le conferme possono essere ritrovate dall’osservazione di casi di successo nel mercato. Ma ancora una volta alcune indicazioni provengono proprio dalla ricerca condotta sul PhC.

Abbiamo chiesto ai titolari di farmacia di indicare la presenza di aree di specializzazione disciplinari presenti in farmacia. Le special-izzazioni più gettonate nell’ambito di servizi a supporto di patologie sono: il cardiocircolatorio (29%), il diabete (28%), il broncorespirato-rio (11%). Che tipo di farmacia ha adottato questo genere di svilup-po per differenziazione di offerta rispetto al mercato? Il grafico della figura 5.2 relativo alla specializzazione nell’ambito cardiocircolatorio ci informa che, fra le tre tipologie di farmacia investigate, proprio il segmento delle farmacie PharmaCare è quello che maggiormente sente la necessità di percorrere sentieri di specializzazione.

Fig. 5.2 – Specializzazione nel cardiocircolatorio e segmentazione delle farmacie

29 23 26 44

05

101520253035404550

totale dispensatori ServiziSpot PharmaCare

50%

45%

40%

35%

30%

25%

20%

15%

10%

5%

0%

29%

44%

23%26%

Monitoraggio cardio-circolatorio

139

Quindi, mentre nel 29% delle farmacie si è attivato un servizio ap-posito di assistenza alle problematiche cardiocircolatorie, nel 44% delle farmacie PharmaCare si assiste all’attivazione di questa linea di servizi. Medesime indicazioni provengono dall’osservazione dei dati circa il diabete e le patologie broncorespiratorie prima citate.

È forse giunto il momento per prevedere un nuovo modello evolu-tivo per la farmacia? La figura 5.3 prova a darne una interpretazione.

Nella prospettiva qui evocata, la farmacia adotta modelli di spe-cializzazione e plurispecializzazione a partire da un forte radicamento con il territorio e le cure primarie. Il modello di servizio e dell’assis-tenza personalizzata al paziente come l’abbiamo visto declinato nel PhC diventa, quindi, un nodo fondamentale.

Traiettoria evolutivaper una farmacia dei servizi

Quale può essere quindi il progresso possibile per la farmacia italiana nell’ambito dei servizi al paziente? Uno sguardo al contes-to europeo da questo punto di vista potrebbe essere illuminante. I confronti dell’indicatore di BPCS in Italia (cfr. figura 4.8) con quelli degli altri Paesi europei che hanno partecipato alla ricerca offrono uno spunto di riflessione su quello che potrebbe essere definito un percorso di miglioramento della PhC in Italia.

Come abbiamo visto, la media europea si aggira su un punteggio che oscilla intorno a 70-80 punti su 120 totali, che possono essere conseguiti se tutte le attività rientranti nella logica PhC venissero real-izzate. Nel lungo periodo è auspicabile che l’Italia possa migliorare in modo tale da consentirle di accostarsi alla media dei restanti Paesi ed è per questo opportuno ipotizzare un percorso evolutivo per tappe.

Fig. 5.3 – Il percorso di evoluzione della farmacia

140

Considerazioni conclusive e uno sguardo al futuro della farmacia

La figura 5.4 propone un obiettivo che dovrebbe consentire al “Sistema-Paese” di conseguire, come risultato, un indicatore paragonabile a quello che nella ricerca del 2013 è stato ottenuto nel sottogruppo dei PharmaCare.

In sostanza, si tratta di attivare misure affinché si possano conse-guire miglioramenti su tutte e tre le aree afferenti al PhC. Gli obiettivi

Fig. 5.4 – Obiettivi di massima di miglioramento al 2017

da raggiungere potrebbero essere ispirati a partire dai livelli attual-mente misurati con la ricerca, dallo stato dell’arte dei Paesi euro-pei e tenendo conto delle performance conseguite dal gruppo dei PharmaCare.

Per esempio, ci si potrebbe aspettare un significativo migliora-mento nella parte di struttura, organizzazione e processi. Addirittura un miglioramento ancor più sensibile del livello attuale ottenuto dalle farmacie appartenenti al sottogruppo dei PharmaCare. Per contro, è congruo attendersi un progresso graduale negli aspetti di collabora-zione interprofessionale, tenuto conto che le iniziative migliorative apportate su queste leve possono generare effetti soltanto su un arco temporale più lungo, dovendo rimettere in discussione logiche relazionali e comportamentali con altri operatori della sanità (situ-azioni in cui non sempre è facile ipotizzare e realizzare una piena collaborazione).

Infine, per quanto attiene alla dimensione di assistenza al paziente,

42 55 59

0

10

20

30

40

50

60

70

Italia 2013 PharmaCare Italia 2017

BPCS: obiettivo al 2017

18 26 248 12 13

14 17 20,5

0

5

10

15

20

25

30

Italia 2013 PharmaCare Italia 2017

Assistenza al paziente Collabor. Interdisc.Struttura e processi

141

il miglioramento può essere importante, ma ci si deve attendere che non possa superare certe soglie. Bisogna tenere conto che anche nei Paesi che praticano il Pharmaceutical Care da più tempo esistano comunque difficoltà e resistenze oggettive (almeno nel breve ter-mine) al miglioramento, oltre certi limiti, dei parametri di assistenza al paziente.

A partire da questi macro-obiettivi è possibile definire per conseguenza un percorso di misure da adottare per favorirne il conseguimento. Ma si tratta a questo punto di un capitolo nuovo.

142

Federfarma e GSK hanno siglato un protocollo d’intesa nell’ottica di qualificare ulteriormente il servizio offerto ai cittadini dalle farmacie

italiane e valorizzare il farmaco come bene sociale e, usato correttamente, di contenimento dei costi sanitari. È in questo ambito che sono nate iniziative atte a promuovere le attività di Pharmaceutical Care nelle farmacie, intese come stimolo all’aderenza terapeutica e fornitura ai cittadini di servizi mirati da parte delle farmacie, unitamente ad un programma educazionale per farmacisti promosso da partner di eccezione, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università Bocconi. È sempre in questo ambito che stanno nascendo altre iniziative congiunte, atte a promuovere il ruolo sociale dell’industria e della farmacia a favore della collettività.

Inoltre, a riprova di questa visione prospettica, c’è l’impegno reciproco a favorire la dispensazione tramite le farmacie al pubblico dei medicinali di nuova registrazione. In tal senso GSK e Federfarma concordano sulla neces-sità di una gestione “dinamica” del PHT che deve necessariamente essere il mezzo per consentire l’accesso al territorio dei farmaci innovativi. Infatti, l’esigenza di contenere la spesa pubblica non deve far perdere di vista la necessità di mantenere e anzi valorizzare le tutele assicurate al cittadino dalla filiera del farmaco. Tali tutele sono basate sulla garanzia di qualità dei prodotti e del servizio, sulla professionalità degli operatori, sulla capillarità ed efficienza della rete delle farmacie e sui controlli, resi possibili anche dai dati di monitoraggio rilevati dalle farmacie stesse.

Parte integrante dell’accordo tra Federfarma e GSK è la consapevolezza del fatto che l’assistenza sul territorio si realizza anche con la messa a di-sposizione dei cittadini di servizi d’informazione sanitaria, di gestione e adozione di sistemi di prevenzione, di prenotazione ed effettuazione di prestazioni diagnostiche e assistenza sanitaria a largo raggio. Federfarma e GSK sono impegnate a supportare le farmacie convenzionate con il SSN nell’attivare i nuovi servizi a favore dei cittadini con tempestività, efficienza, economicità, in modo da garantire un’elevata qualità e livello di servizio.

Sono questi in sintesi gli obiettivi di un protocollo d’intesa che si ripro-pone di aiutare il farmacista ad evolvere nel ruolo di “punto di riferimento sanitario”, capillare, affidabile e autorevole, per i cittadini sul territorio.

PROTOCOLLO D’INTESA

Realizzazione: Editoriale Giornalidea S.r.l.

Stampa: Grafiche Milani S.p.A.

La presente pubblicazione è resa possibile grazie all’integrale finanziamentodi GlaxoSmithKline S.p.A.

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2014

...la presa in carico dei pazienti cronici da parte della farmacia,con l’obiettivo di migliorare i risultati terapeutici e garantire la maggiore

aderenza alla terapia, è uno degli strumenti essenziali per garantirela sostenibilità del sistema, valorizzando il ruolo professionale

della farmacia. Il Pharmaceutical Care è la disciplina che si occupa di questo, valorizzando il farmaco e facendo evolvere il Farmacista nel ruolo

di “punto di riferimento sanitario”, capillare, affidabile e autorevole,per i cittadini sul territorio.

Giancarlo Nadin, docente di marketing presso l’Università Cattolica, si occupa di tematiche di marketing e distribuzione nel settore farmaceutico e in altri comparti industriali. All’attività di ricerca e insegnamento affianca, da più di 20 anni, l’attività di consulenza in ambito direzionale e la formazione sulle tematiche dello sviluppo commerciale e la revisione del

rapporto azienda-mercato. Pubblica su riviste nazionali e internazionali saggi sul marketing e sulle modalità per lo sviluppo e il rilancio dell’attività aziendale.E’ membro italiano del Centro di ricerca internazionale sul Pharmaceutical Care, denominato PCNE, che si occupa di studiare e applicare la logica dei servizi in farmacia oltre alla tradizionale attività di dispensazione del farmaco.

PCNE (Pharmaceutical Care Network Europe): è un network di ricerca internazionale nato nel 1994 e con sede in Olanda, che ha lo scopo di studiare e divulgare la disciplina del Pharmaceutical Care. Riunisce ricercatori di tutta Europa, fra cui l’Italia, per diffondere nei singoli Paesi l’applicazione dei servizi di assistenza personalizzata al paziente all’interno delle farmacie di comunità.

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