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GREEN ENERGY S.r.l. VICOLO DEL DIVINO AMORE, 2/C 00047 MARINO (RM) PROGETTO DI UN NUOVO IMPIANTO IDROELETTRICO DENOMINATO “ELVELLA SUD” SULLA DIGA DELL’ELVELLA DOCUMENTAZIONE PROCEDURA DI VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ A V.I.A. IMPIANTO MINI IDROELETTRICO “ELVELLA SUD” ALLEGATO 2 RELAZIONE DI CONFORMITA’ DEL PROGETTO CON LE NORME AMBIENTALI E SULLE PAESAGGISTICHE Aprile 2015

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GREEN ENERGY S.r.l. VICOLO DEL DIVINO AMORE, 2/C

00047 MARINO (RM)

PROGETTO DI UN NUOVO IMPIANTO IDROELETTRICO DENOMINATO “ELVELLA SUD” SULLA DIGA DELL’ELVELLA

DOCUMENTAZIONE PROCEDURA DI VERIFICA DI ASSOGGETTABILITA’ A V.I.A.

IMPIANTO MINI IDROELETTRICO “ELVELLA SUD”

ALLEGATO 2 RELAZIONE DI CONFORMITA’ DEL PROGETTO CON LE

NORME AMBIENTALI E SULLE PAESAGGISTICHE

Aprile 2015

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00047 MARINO (RM)

IMPIANTO MINI IDROELETTRICO “ELVELLA SUD” SULLA DIGA DELL’ELVELLA

INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................................................................................ 3 

1.  LIVELLO REGIONALE ....................................................................................................................................... 4 

1.1.  REGIONE LAZIO 4 1.1.1.  Aree Protette 4 1.1.2.  Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) 6 1.1.3.  Piano Ambientale ed Energetico Regionale (PAER) 17 1.1.4.  Piano di Tutela delle Acque Regionale (PTAR) 20 

1.2.  REGIONE TOSCANA 25 1.2.1.  Aree Protette e L.R. 11/2011 25 1.2.2.  Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) 28 1.2.3.  Piano Ambientale ed Energetico Regionale (PAER) 33 

2.  LIVELLO PROVINCIALE ................................................................................................................................. 34 

2.1.  PROVINCIA DI VITERBO 34 2.1.1.  Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG) 34 

2.2.  PROVINCIA DI SIENA 44 2.2.1.  Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) 44 2.2.2.  Piano Energetico e Ambientale Provinciale (PEAP) 49 

3.  LIVELLO COMUNALE ...................................................................................................................................... 55 

3.1.  COMUNE DI SAN CASCIANO DEI BAGNI 55 3.1.1.  Regolamento Urbanistico (RU) e Piano Strutturale (PS) 55 

4.  LIVELLO DI BACINO IDROGRAFICO .......................................................................................................... 61 

4.1.  PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO (PAI) 61 4.1.1.  Rischio geologico 61 4.1.2.  Rischio idraulico 64 

5.  CONCLUSIONI .................................................................................................................................................... 67 

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INTRODUZIONE Localizzazione del progetto Provincia di Siena Comune di San Casciano dei Bagni Corso d’acqua: Torrente Elvella Sbarramenti: Diga dell’Elvella Natura dell’operazione Creazione di un impianto mini idroelettrico con tratto sotteso Contesto regolamentare Lo studio preliminare ambientale sulla conformità del progetto con i programmi territoriali è stato eseguito ai sensi del D.Lgs 152/2006.

In questo documento è stata effettuata la verifica della compatibilità del progetto proposto con la normativa vigente a livello comunitario, ministeriale, regionale, provinciale, comunale ed infine con le normative ed i regolamenti previsti dall’Autorità di Bacino competente.

Ai sensi dell’art.142, comma c), del D. Lgs. 42/2004 (Codice Urbani), sono

assoggettati per legge a vincolo paesaggistico "i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933, n.1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna". L’inclusione dei corsi d’acqua nelle categorie di beni vincolati per legge a prescindere dalla loro effettiva rilevanza paesaggistica, già prevista dalla Legge Galasso, comporta che le eventuali trasformazioni territoriali relative ai corsi d’acqua - o alle relative fasce di tutela - rientranti nei sopracitati elenchi siano subordinate all’applicazione della procedura di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

L’area interessata dall’intervento rientra in questo vincolo, ma come ulteriore screening si è provveduto a verificare la presenza nell’area anche di eventuali condizionamenti indotti dalla presenza di:

a) aree naturali protette (e relative aree contigue) istituite ai sensi della L.R. n. 29/1997 "Norme in materia di aree naturali protette regionali" e s.m.i.(Regione Lazio);

b) aree naturali protette istituite ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n.394 e della L.R. 11 aprile 1995, n.49 e delle relative aree contigue (Regione Toscana);

c) siti individuati ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE come siti di importanza comunitaria (SIC) o zone speciali di conservazione (ZSC);

d) aree a tutela speciale identificate ai sensi del D.lgs. 152/99. e) aree interessate da elementi di tutela delle risorse essenziali così come definiti,

commi 1 e 2 dell’art. 2 della L.R. n 5/1995, individuate dagli strumenti di pianificazione di ogni livello (Regione Toscana).

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1. LIVELLO REGIONALE

1.1. REGIONE LAZIO

1.1.1. Aree Protette

Per quanto riguarda la costruzione di nuovi impianti a fonti rinnovabili lo Stato ha il compito di disciplinare i principi fondamentali ma, sulla base del Titolo V della Costituzione, anche le Regioni concorrono nell’elaborazione della normativa di riferimento. Nell’ultimo decennio un vasto complesso di funzioni amministrative è stato conferito alle Regioni, le quali in molti casi le hanno delegate alle Province. Le Regioni e le Province legiferano quindi in autonomia sull’energia ma sempre nel rispetto degli indirizzi statali. Già queste premesse lasciano intuire che essendo le norme nazionali già piuttosto complesse non sia affatto facile muoversi nel ginepraio di norme regionali e provinciali, norme che vengono recepite ed applicate in maniera dissimile nelle varie parti del Paese, per aiutare a districare la matassa è stato pubblicato dal GSE (Gestore Servizi Energetici) un utilissimo rapporto dal titolo “Regolazione regionale della generazione elettrica da fonti rinnovabili” che, in chiave comparativa, riesce nel complesso compito di fornire il quadro attuale (al 30 giugno 2013, ma il rapporto sarà periodicamente aggiornato) degli interventi compiuti dalle Regioni per attuare, modificare o integrare le norme nazionali in materia di autorizzazioni per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una Autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o altro soggetto istituzionale delegato dalla Regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 avente ad oggetto "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità ").

La Regione Lazio, (legge 23 novembre 2006, n. 18) ha delegato alle Province il rilascio dell'Autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 a seguito di un Procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

Le Linee Guida per il procedimento autorizzativo unico prevedono che le Regioni

possano individuare aree non idonee alla installazione di specifiche tipologie di impianti in base a criteri il più possibile oggettivi che però possono sempre lasciare spazio ad interpretazioni.

Relativamente agli impianti idroelettrici, solo quattro Regioni (Emilia-Romagna, Umbria, Veneto e Molise) hanno individuato zone non idonee (Figura 1).

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Figura 1: Regioni con zone non idonee per gli impianti idroelettrici (assetto al 30/06/2013).

Per quanto concerne gli interventi ubicati in Aree Protette Regionali, si precisa

inoltre che questi sono sottoposti a nulla osta preventivo del solo Ente Gestore dell’Area Protetta, il quale provvede a verificare la conformità degli interventi con le norme di salvaguardia o con il Piano di gestione dell’Area Protetta.

Si sottolinea comunque, come specificato dal protocollo 44302 del 24/01/2014 della Regione Lazio relativo alle derivazioni di acqua all’interno di aree facenti parte della RETE NATURA 2000, che all’interno della Regione Lazio non esiste una distinzione territoriale in aree “idonee” o “non idonee” per interventi che possano avere incidenza sui siti della RETE NATURA 2000. Pertanto tutti i progetti che possano avere incidenze significative sui siti della RETE NATURA 2000 dovranno essere sottoposti a procedura di incidenza ai sensi delle normative vigenti.

Dall’analisi effettuata tramite il Sistema Informativo Territoriale delle Aree Protette del Lazio, si evince dunque che il sito in oggetto è esterno ad Aree Naturali Protette, ZPS (Zona Protezione Speciale) e SIC (Sito di Importanza Comunitaria). Nelle vicinanze si segnala la presenza del SIC Monte Rufeno, identificato con la sigla IT6010004, come mostrato in Figura 2.

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Figura 2: Aree protette - SITAP Lazio

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, il progetto proposto risulta compatibile con la leggi regionali vigenti.

1.1.2. Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR)

Il nuovo Piano Territoriale Paesaggistico Regionale (PTPR) è stato adottato dalla Giunta Regionale con atti n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007, ai sensi degli artt. n. 21, 22, 23 della legge regionale sul paesaggio n. 24/98.

Esso costituisce un unico Piano paesaggistico per l’intero ambito regionale; è stato predisposto dalla struttura amministrativa regionale competente in materia di pianificazione paesistica ed ha come obiettivo l’omogeneità delle norme e dei riferimenti cartografici. Dopo la sua definitiva approvazione, sostituirà tutti i Piani Territoriali Paesistici attualmente vigenti.

L’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 ha imposto alle Regioni una verifica e adeguamento dei piani paesaggistici vigenti entro il 1 maggio del 2008, pena l’applicazione dei poteri sostitutivi da parte del Ministero. La redazione del PTPR ha dunque comportato la complessiva revisione dei piani paesistici vigenti che avevano come riferimento la legge “Galasso” per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale in quanto successivamente alla legge Galasso sono state introdotte nel nostro ordinamento innumerevoli disposizioni regionali, nazionali e comunitarie che hanno modificato il campo d’azione del piano paesaggistico e ne hanno specializzato e ampliato le finalità.

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Il PTPR, pertanto, intende per paesaggio le parti del territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni nelle quali la tutela e valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili come indicato nell'art. n.131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio D.Lgs. n. 42/2004. Assume inoltre come riferimento la definizione di "Paesaggio" contenuta nella Convenzione Europea del Paesaggio, legge 14/2006, in base alla quale esso designa una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

Il paesaggio risulta la parte del territorio che comprende l'insieme dei beni costituenti l'identità della comunità locale sotto il profilo storico-culturale e geografico-naturale, garantendone la permanenza e il riconoscimento; è un componente essenziale del contesto di vita della collettività di cui occorre promuovere la fruizione secondo principi e metodi che assicurino il concorso degli enti locali e l'autonomo apporto delle formazioni sociali, sulla base del principio di sussidiarietà.

In definitiva, il Piano Territoriale Paesistico Regionale: è un piano urbanistico-territoriale avente finalità di salvaguardia dei valori

paesistici e ambientali ai sensi dell’art. n.135 del D.Lgs. n.42 del 22/2/2004, in attuazione dell’art. n.22, comma 1 della LR n.24 del 6 luglio 1998 nel testo in vigore.

si configura quale strumento di pianificazione territoriale di settore, con specifica considerazione dei valori e dei beni del patrimonio paesaggistico naturale e culturale del Lazio ai sensi e per gli effetti degli artt. n.12, 13 e 14 della LR n.38/99 “Norme sul Governo del territorio” ed in tal senso costituisce integrazione, completamento e aggiornamento del Piano territoriale generale regionale (PTGR).

ottempera agli obblighi previsti dall’art. n.156 del D.Lgs n.42/2004, in ordine alla verifica e adeguamento dei Piani Paesistici vigenti; applica i principi, i criteri e le modalità contenuti nell’art. n.143 e più in generale della parte III del Codice dei Beni culturali e del paesaggio.

accoglie e trasferisce in ambito regionale gli obiettivi e le opzioni politiche per il territorio europeo relative ai beni del patrimonio naturale e culturale contenuto nello “Schema di sviluppo dello spazio Europeo” (Ssse), approvato dal Consiglio informale dei Ministri responsabili dell’assetto del territorio degli Stati membri dell’Unione europea, a Postdam il 10 e l’11 maggio del 1999 nel testo in vigore.

applica i principi contenuti nella “Convenzione europea del paesaggio” adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000, sottoscritta dallo Stato e ratificata con L. n.14 del 9/1/2006.

individua gli obiettivi di qualità paesaggistica che riguardano: mantenimento delle caratteristiche dei paesaggi; valori costitutivi; morfologie; tipologie architettoniche; tecniche e materiali costruttivi tradizionali; linee di sviluppo compatibili con i diversi livelli di valore riconosciuti

senza diminuire pregio paesistico; salvaguardia delle aree agricole; riqualificazioni parti compromesse o degradate; recupero dei valori preesistenti;

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creazione di nuovi valori paesistici coerenti ed integrati.

Il perseguimento dei suddetti obiettivi avviene, in coerenza con le azioni e gli investimenti di sviluppo economico e produttivo delle aree interessate, attraverso:

progetti mirati; misure incentivanti di sostegno per il recupero, la valorizzazione e la gestione finalizzata al mantenimento dei paesaggi; indicazione di idonei strumenti di attuazione.

I “paesaggi” sono distinti in relazione alle caratteristiche geografiche del Lazio e alle configurazioni antropiche e ambientali del paesaggio; si riconducono ad unità, secondo le suddette categorie, delle classificazioni delle aree ai fini della tutela disciplinate dai 27 piani territoriali attualmente vigenti.

La metodologia per la definizione e individuazione dell’impianto cartografico dei “paesaggi” si basa sul confronto tra le analisi delle caratteristiche geografiche del Lazio e le sue configurazioni paesaggistiche. Il confronto è determinato dal complesso di sistemi interagenti sia di tipo geografico (i sistemi strutturanti il territorio del Lazio a carattere fisico e idrico), sia paesaggistici (i sistemi di configurazione del paesaggio a carattere naturalistico-ambientale e storico-antropico della regione.

Il metodo è finalizzato alla ricomposizione, quanto più possibile, di tutti gli elementi che concorrono alla definizione del complesso concetto di paesaggio e delle sue molteplici componenti e letture. A tal fine è stata operata l’analisi e l’individuazione da un lato dei sistemi strutturanti il territorio e dei corrispondenti AMBITI GEOGRAFICI DEL LAZIO, dall’altro dei sistemi delle configurazioni del paesaggio e delle corrispondenti CATEGORIE DI PAESAGGIO DEL PTPR.

Tabella 1: Sistemi strutturali ed unità geografiche del paesaggio.

Il PTPR ha declinato la valutazione e l’attribuzione dei valori del paesaggio al riconoscimento di prevalenti categorie di paesaggio, individuate secondo canoni

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convenzionali ma di semplice e diretta comprensione, a cui attribuire gli usi compatibili e cogrui con i beni paesaggistici da salvaguardare.

La individuazione delle cosiddette categorie dei “paesaggi” deriva dall’ipotesi che la rappresentazione del paesaggio sia riconducibile a due configurazioni fondamentali, quella del paesaggio naturale, che concerne i fattori biologici e fisiografici, e quella del paesaggio antropico, che concerne i fattori agroforestali e insediativi, a sua volta suddividibile ulteriormente in Paesaggio agricolo e Paesaggio dell’insediamento umano o insediativo.

Visto che tali configurazioni generali del paesaggio sono costituite da complesse tipologie di paesaggio interagenti, per ciascuna configurazione è stato più opportunamente adottato il termine “Sistema dei paesaggi”.

Figura 3: Sistemi strutturali ed unità geografiche

Dall’analisi dell’estratto dalla Relazione del PTPR riportato in Figura 3, si vede che la zona di interesse fa parte del Sistema Strutturale “Complesso vulcanico Laziale e della Tuscia” e dell’Unità Geografica “Monti Vulsini”.

Analizzando la Tav.A - Sistemi ed ambiti del paesaggio (Figura 4) si osserva che l’area di progetto appartiene al Sistema del Paesaggio Naturale. Per esso il PTPR fornisce la seguente descrizione:

“Paesaggi caratterizzati da un elevato valore di naturalità e seminaturalità in relazione a specificità geologiche, geomorfologiche e vegetazionali. Tale categoria riguarda principalmente aree interessate dalla presenza di beni elencati nella L.431/85, aventi tali caratteristiche di naturalità, o territori più vasti che li ricomprendono”.

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Figura 4: Estratto dalla tavola A - Sistemi ed ambiti del paesaggio (PTPR Lazio)

Presa

centrale

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In particolare, l’area ove si prevede di realizzare l’impianto è classificata come

“Paesaggio agrario di valore” e “Paesaggio naturale”. Si riporta di seguito quanto descritto in proposito all’interno del piano:

“PAV - PAESAGGIO AGRARIO DI VALORE DEFINIZIONE - Aree di uso agricolo caratterizzate da qualità paesistica. Sono

territori aventi una prevalente funzione agricola-produttiva con colture a carattere permanente o colture a seminativi di grande estensione, profondità e omogeneità.

CONFIGURAZIONE - Tale paesaggio configura prevalentemente i territori a produzione agricola tipica quali quelli della Tuscia (noccioleti), della Sabina e del bacino del Fiora (oliveti)e dei Colli Albani (vigneti) nonché le grandi estensioni seminative delle maremme tirreniche e della valle fluviale del Liri-Garigliano

OBIETTIVO DI QUALITA’ PAESISTICA - L’obiettivo di qualità paesistica è il mantenimento del carattere rurale e della funzione agricola e produttiva compatibile.

“PN – PAESAGGIO NATURALE DEFINIZIONE - Territori caratterizzati dal maggiore valore di naturalità e

seminaturalità in relazione alla totale presenza di specifici beni di interesse vegetazionale e geomorfologico o rappresentativi di particolari nicchie ecologiche.

CONFIGURAZIONE - Tali paesaggi si configurano prevalentemente nell’ Appennino centrale nei rilievi preappenninici e vulcanici nonché nelle fasce costiere delle acque superficiali. OBIETTIVO DI QUALITA’ PAESISTICA - Mantenimento e conservazione del patrimonio naturale. La tutela è volta alla valorizzazione dei beni ed alla conservazione del loro valore anche mediante l’inibizione di iniziative di trasformazione territoriale pregiudizievoli alla salvaguardia.”

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La Tav.B - Beni paesaggistici (Figura 5) mostra che l’area oggetto di verifica è caratterizzata (art. n.134, comma 1 e art. n.142 D.Lgs. 42/04) da aree boscate (lettera g) ed appartiene ad aree tutelate per legge del tipo “corsi delle acque pubbliche” (lettera c) e relativa fascia di rispetto; si citano infatti i seguenti c056_0485 Fiume Paglia, c056_0504 e c056_0504A Torrente Elvella come facenti parte del repertorio Regionale dei corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al R.D 11/12/1933 n°1775.

Figura 5: Estratto tavola B - Beni paesaggistici (PTPR Lazio)

Presa

centrale

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La Tav.C - Beni del patrimonio naturale e culturale contiene: la descrizione del quadro conoscitivo dei beni che, pur non appartenendo a

termine di legge ai beni paesaggistici, costituiscono la loro organica e sostanziale integrazione.

l’individuazione puntuale dei punti di vista e dei percorsi panoramici. l’individuazione delle aree in cui realizzare progetti prioritari per la

valorizzazione e la gestione del paesaggio di cui all’articolo 143 del Codice con riferimento agli strumenti di attuazione del PTPR di cui all’articolo 31.1 della L.R. 24/98. quali:

i programmi di intervento per il paesaggio;

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programmi di intervento per la tutela e la valorizzazione delle architetture rurali;

i parchi culturali ed archeologici; i piani attuativi comunali con valenza paesistica.

Nel presente caso in esame, la Tavola C (Figura 6) indica che la zona della presa è interessata dalla presenza di un sistema agrario a carattere permanente. La zona della centrale, così come il percorso della condotta, non hanno una particolare caratterizzazione.

Figura 6: Estratto tavola C - Beni del patrimonio naturale e culturale (PTPR Lazio)

Presa

centrale

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La Tavola C (Figura 7) chiarisce anche l’appartenenza del sito di progetto al

Sistema Strutturale “Complesso vulcanico Laziale e della Tuscia”, Unità geografica 7 - “Monti Vulsini”.

Figura 7: Estratto Legenda Tav.C-Beni del patrimonio naturale e culturale (PTPR Lazio).

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1.1.3. Piano Ambientale ed Energetico Regionale (PAER)

Il Piano Ambientale Energetico della Regione Lazio (PAER) è stato approvato con Delibera del Consiglio Regionale n.45 del 14 febbraio 2001 con la finalità di perseguire, in linea con gli obiettivi generali delle politiche energetiche internazionali, comunitarie e nazionali allora in atto, la competitività, flessibilità e sicurezza del sistema energetico e produttivo regionale e l’uso razionale e sostenibile delle risorse. Nell’ambito di tali obiettivi generali si inquadrano gli obiettivi specifici e settoriali di tutela dell’ambiente, di sviluppo delle fonti rinnovabili e di uso efficiente dell’energia in quanto, con l’approvazione del PER, la Regione ha inteso dotarsi di uno strumento idoneo alla programmazione di interventi mirati a conseguire livelli più elevati di efficienza, competitività, flessibilità e sicurezza del sistema energetico regionale, nell’ambito delle azioni a sostegno del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili, ritenute chiavi risolutive verso uno sviluppo economico sostenibile.

Il Piano si pone infatti due obiettivi generali:

Contribuire agli obiettivi UE al 2020 in tema di produzione da fonti rinnovabili, riduzione dei consumi energetici e riduzione della CO2 per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici;

Favorire lo sviluppo economico senza aumentare indiscriminatamente la crescita dei consumi di energia.

Gli obiettivi previsti si riconducono dunque ad una strategia generale che vede nell’uso efficiente dell’energia lo strumento più rapido ed incisivo d’intervento nel breve-medio periodo, in attesa che abbiano efficacia anche le azioni di ricerca e sviluppo, che dovranno essere comunque attuate da subito, che consentano di incrementare nel lungo periodo il contributo delle fonti rinnovabili.

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La Regione quantifica nel 20%, in accordo con gli obiettivi fissati dall’Unione Europea, la riduzione attesa per il 2020 della CO2, il risparmio energetico e la copertura del fabbisogno tramite fonti rinnovabili di energia. A tal proposito si stabiliscono gli obiettivi di riduzione della CO2 e degli altri gas serra e di produzione da fonti rinnovabili che il PER dovrà conseguire entro il 2012 ed i criteri a cui dovranno ispirarsi le azioni da attuare. Occorrerà integrare il PER con tutti gli altri Piani di settore (Rifiuti, Acqua, Aria, Mobilità, Traffico, ecc.) per tenere conto delle azioni e dei programmi già in essere.

Si evidenzia la necessità di effettuare anche un censimento dei consumi aggregati (nei distretti industriali, negli ospedali, nelle scuole, ecc.) in modo tale da poter programmare più efficacemente gli interventi.

Per il periodo successivo al 2012, il PER individua i percorsi e le azioni più favorevoli al conseguimento degli obiettivi finali stabiliti valutando le variazioni prevedibili, in particolare nell’area metropolitana di Roma, a seguito dell’introduzione di nuove tecnologie e di diverse condizioni del mercato dell’energia. Indica inoltre gli strumenti tecnici, normativi e finanziari che consentano il passaggio da un modello di produzione e consumo di energia ad alta densità verso modelli di generazione distribuita dell’energia elettrica, termica e frigorifera ad alto grado di integrazione con l’utenza. Vengono altresì individuati i percorsi d’innovazione tecnologica prevedibili nel campo del risparmio energetico, delle fonti rinnovabili, della microcogenerazione e dell’idrogeno, con l’obiettivo di definire le sinergie tra centri di ricerca, poli tecnologici, imprese e centri di eccellenza, già presenti nella Regione o da istituire; si ritrovano ipotesi di attività di ricerca e sviluppo nel campo dell’idrogeno, della mobilità sostenibile e delle fonti rinnovabili, che prevedano anche l’insediamento di imprese e/o la costituzione di poli tecnologici.

Si delineano poi, anche sulla base di esperienze e proposte già avanzate dal governo regionale, gli elementi per strategie di informazione, formazione e di education ed infine, in rapporto allo sviluppo delle tecnologie “pulite” innovative, in particolare quelle legate all’energia solare, si disegna il possibile ruolo della Regione ed individuano i progetti di cooperazione con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

In merito alle fonti rinnovabili, il loro utilizzo costituisce un passo di fatto obbligato per il conseguimento degli obiettivi strategici e settoriali che la Regione si è posta in un’ottica di sviluppo più sostenibile. Sin dai primissimi anni 2000 la Regione Lazio ha approvato e avviato un insieme di provvedimenti di breve e lungo respiro, rivolti sia alla diffusione sul territorio di sistemi alimentati da fonte rinnovabile, sia all’aggregazione e crescita delle competenze in un’ottica di rafforzamento del comparto produttivo.

Si ritiene che al fine degli obiettivi regionali di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia sia tecnicamente possibile incrementare dal 4,6% del 2006 fino al 20% al 2020, l’incidenza della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sull’energia elettrica richiesta e di circa l’8% quella al 2012. In termini di produzione questo obiettivo corrisponde ad un aumento percentuale relativo di circa il 400% (da 1,15 TWh del 2006 a 5,7 TWh circa al 2020). A tale scopo occorre incrementare di circa 2.100 MWe l’attuale parco di produzione da fonti rinnovabili, principalmente da solare, fotovoltaico (770 MWp) e termodinamico (60 MWe), da eolico (fino a 850 MWe) e biomasse (vegetali, CDR, biogas, reflui zootecnici e colture dedicate) per circa 250 MWe; dovrà essere inoltre utilizzato anche il potenziale geotermoelettrico che si ritiene ancora sfruttabile nel Lazio (40 MWe).

Dovrà anche essere perseguito l’obiettivo di incrementare la produzione di calore da fonti rinnovabili favorendo lo sviluppo dell’impiego delle biomasse per riscaldamento, del solare termico, del geotermico e dei biocombustibili per trazione, in modo tale da incrementare l’incidenza totale delle fonti rinnovabili dall’attuale 1,2% al 13% al 2020 ed al

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3% al 2012. In termini quantitativi questo obiettivo comporta una produzione di calore al 2020 per complessivi 1.000 ktep e di circa 300 ktep al 2012.

Nello specifico, per accelerare lo sviluppo e la diffusione delle fonti rinnovabili si

ritiene che, oltre alla ricerca e all’innovazione tecnologica:

vadano impiegate tutte le tecnologie e le fonti rinnovabili, affinché possano contribuire, nei limiti dei loro potenziali e compatibilmente con i costi, al mix energetico regionale e nazionale;

siano individuate, applicate e monitorate le politiche e le misure più efficaci;

siano incentivate le iniziative che consentano la realizzazione di progetti di filiera e che favoriscano lo sviluppo dell’industria regionale delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, con possibili ricadute positive anche in termini occupazionali.

In particolare, l’attuale stato di impiego dell’idroelettrico per la produzione di energia nel Lazio è tale che l’effettivo potenziale accessibile sia, oggi, di scarso rilievo, come si riscontra anche a livello nazionale. Secondo il Position Paper sull’energia, infatti, la producibilità energetica viene stimata al 2020 in poco più di 43 TWh/anno complessivi, rispetto ai circa 43 TWh prodotti nel 2006 ed inoltre la nuova potenza installata riguarderà essenzialmente il mini e piccolo idroelettrico mentre il contenuto incremento atteso per il grande idroelettrico dovrebbe essere dovuto quasi esclusivamente a interventi di ripotenziamento dell’attuale parco di produzione.

Per quanto riguarda la Regione Lazio, la producibilità netta degli impianti esistenti è

stata nel 2006 pari a circa 1,12 TWh ed è ragionevole prevedere un incremento al 2020 di 0,33 TWh/anno, prevalentemente dovuto a nuovi impianti mini e micro idroelettrico.

Volendo fare un paragone tra le diverse fonti rinnovabili si osservano le potenzialità riportate nella seguente Tabella 2Tabella 2.

Tabella 2: Potenzialità fonti rinnovabili Regione Lazio.

Alla luce delle valutazioni e delle considerazioni fatte, emerge pertanto chiaramente come il progetto di realizzazione dell’impianto mini-idroelettrico si inserisca perfettamente nei dettami tracciati dal nuovo PAER per la promozione e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Esso infatti si allinea alla necessità, riconosciuta dal piano, di sviluppare, laddove possibile, le fonti energetiche alternative.

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1.1.4. Piano di Tutela delle Acque Regionale (PTAR)

Il Piano di Tutela delle Acque Regionale è stato adottato con Deliberazione di Giunta Regionale n. 266 del 2 maggio 2006 e approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 42 del 27 settembre 2007 (Supplemento ordinario al "Bollettino Ufficiale" n. 3 n. 34 del 10 dicembre 2007).

Essendo stato redatto ai sensi della precedente normativa, D.Lgs 152/1999 e s.m.i., in vigore al momento della raccolta, elaborazione e valutazione dei dati, sarà oggetto di successive revisioni, in coerenza con gli indirizzi generali e gli atti di coordinamento emanati dallo Stato e dalle Autorità di bacino distrettuali, e sulla base della verifica dell'efficacia delle misure adottate. Il D.Lgs. n.152 ss.mm.ii. (art. n.121 comma 5) del 3 aprile 2006 prevede infatti che il PTAR sia aggiornato dalle Regioni ogni sei anni. Tale aggiornamento è finalizzato a:

migliorare l'attuazione della normativa vigente;

integrare le tematiche ambientali in altre politiche settoriali (quali ad esempio quella agricola e industriale) nelle decisioni in materia di pianificazione locale e di utilizzo del suolo;

assicurare una migliore informazione ambientale ai cittadini.

La Giunta Regionale con deliberazione 4 febbraio 2014, n.47 ha approvato le “Linee guida per l'aggiornamento del PTAR” approvato con DCR n.42 del 27 settembre 2007 della Regione Lazio". Nel mese di luglio 2014 la Regione ha stipulato una convenzione con l'ARPA Lazio per il supporto tecnico per l'aggiornamento del PTAR.

Il PTAR costituisce un piano stralcio di settore di Bacino e rappresenta lo strumento dinamico attraverso il quale ciascuna Regione, avvalendosi di una costante attività di monitoraggio, programma e realizza, a livello territoriale, gli interventi volti a garantire la tutela delle risorse idriche e la sostenibilità del loro sfruttamento, compatibilmente con gli usi della risorsa stessa e delle attività socio-economiche presenti sul proprio territorio - per il conseguimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva 2000/60/CE, tra i quali il raggiungimento dello stato di buona qualità di ciascun corpo idrico e di condizioni di utilizzo della risorsa, entro il 2015.

Contiene in particolare:

i risultati dell'attività conoscitiva;

l'individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione;

l'elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall'inquinamento e di risanamento;

le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;

l'indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità;

il programma di verifica dell'efficacia degli interventi previsti;

gli interventi di bonifica dei corpi idrici;

i dati in possesso delle autorità e agenzie competenti rispetto al monitoraggio delle acque di falda delle aree interessate e delle acque potabili dei comuni interessati, rilevati e periodicamente aggiornati presso la rete di monitoraggio esistente, da pubblicare in modo da renderli disponibili per i cittadini;

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l'analisi economica al fine di prendere in considerazione il recupero dei costi dei servizi idrici e definire il programma di misure;

le risorse finanziarie previste. L’area ove si prevede d’intervenire risulta appartenere al Bacino idrografico 11 -

Paglia:

Figura 8: Estratto tavola 1 - Bacini Idrografici (PTAR)

1.1.4.1. Aree sensibili

Ai sensi del D.lgs. 152/99 con D.G.R. n. 317 dell’11 aprile 2003 sono state individuate le aree sensibili della Regione Lazio che comprendono i principali bacini lacustri regionali e le zone Ramsar. Dalla Tav.5 - Tutela del PTAR (Figura 9) risulta che il

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sito di progetto interessa marginalmente un’area vulnerabile e ad elevata infiltrazione di Classe 1: “Vulnerabilità elevata”:

Figura 9: Estratto tavola 5 Tutela - PTAR

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1.1.4.2. Vulnerabilità degli acquiferi

Dalla Tav.3 - Carta della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi (Figura 10) emerge l’appartenenza dell’area di progetto alla classe molto bassa, con interessamento marginale di aree ad elevata vulnerabilità (localizzate in corrispondenza dell’alveo del torrente Elvella):

Figura 10: Estratto dalla tavola 3 Vulnerabilità intrinseca degli acquiferi (PTAR)

All’interno delle 6 classi di vulnerabilità identificate sono state raggruppati i

complessi idrogeologici presentati nella carta idrogeologica. In particolare, uno dei complessi appartenenti alla classe di vulnerabilità elevata è il seguente:

Il complesso caratterizzante la zona a vulnerabilità molto bassa è invece il seguente:

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Questo conferma quanto emerso dall’analisi della carta idrogeologica (Allegato 1 - § 1.1.1.), ossia che l’area di progetto è caratterizzata da depositi alluvionali recenti in corrispondenza degli alvei dei corsi d’acqua, e da argille per quanto riguarda il territorio circostante.

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1.2. REGIONE TOSCANA

1.2.1. Aree Protette e L.R. 11/2011

Dall’analisi effettuata tramite il Sistema Informativo Regionale, si evince che il sito in oggetto non rientra in nessuna area protetta, né a carattere nazionale né a carattere regionale (Figura 11).

Figura 11: Aree Protette SIR Toscana

Per quanto riguarda la legge L.R. 11/2011 - Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia, in riferimento all’Art.7-Perimetrazione, è stato verificato che l’area di intervento si colloca in una zona non sottoposta ad alcun tipo di classificazione.

Presa

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La zona di presa verrà realizzato in destra idrografica del canale di scarico del troppo pieno della diga dell’Elvella, in corrispondenza della vasca di scarico dell’impianto idroelettrico “Elvella”, in un’area interna a “coni visivi e panoramici” (Figura 12), non classificata agricola di particolare pregio (Figura 13) e rientrante all’interno delle aree DOP e/o IGP (Figura 14). Tali classificazioni si riferiscono tuttavia in modo particolare agli impianti fotovoltaici a terra e pertanto nel presente caso non costituiscono alcun vincolo.

Figura 12: Coni visivi e panoramici - SIR Toscana

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Figura 13: Aree agricole di particolare pregio - SIR Toscana

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Figura 14: Aree DOP e IGP - SIR Toscana

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, il progetto proposto risulta compatibile con la L.R. 11/2011.

1.2.2. Piano di Indirizzo Territoriale (PIT)

Il P.I.T. della Regione Toscana colloca il sito dell’intervento (così come l’intero comune di San Casciano dei Bagni) nell’ambit0 di paesaggio 15 - Piana di Arezzo e Val di Chiana. Di seguito è riportata una breve descrizione dell’ambito di paesaggio 15 - Piana di Arezzo e Val di Chiana.

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Figura 15: PIT Regione Toscana estratto dalla crtografia di identificazione ambiti

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Figura 16: PIT Regione Toscana, ambito Piana di Arezzo e Val di Chiana

L’ambito Piana di Arezzo e Val di Chiana, strutturato sulla Val di Chiana e sul territorio della bonifica leopoldina (straordinario sistema di organizzazione idraulica, agricola e insediativa ancora oggi leggibile), è circondato - a ovest, da una compagine collinare con vigneti e oliveti, all’estremo sud, dalla catena Rapolano-Monte Cetona - condivisa con l’ambito della Val d’Orcia e caratterizzata dalla predominanza del manto forestale (querceti di roverella, cerrete, latifoglie, castagneti), a est, dai ripidi rilievi montani dell’Alpe di Poti, con un breve tratto di collina dove prevalgono oliveti con sistemazioni a traverso (spesso terrazzate) di grande importanza paesaggistica e scenica. A nord, la piana d’Arezzo collegata alla Val di Chiana dal sistema insediativo e dalla rete idraulica centrata sull’asse del Canale Maestro. Al denso reticolo idrografico della Valdichiana è associata la presenza di numerose aree umide, naturali e artificiali, alcune delle quali di elevato interesse conservazionistico e paesaggistico (Lago di Montepulciano, Lago di Chiusi). Il sistema insediativo dell’ambito è organizzato attorno ad una rete radiocentrica che fa capo ad Arezzo (nodo strategico del sistema di comunicazioni stradali, ferroviarie e fluviali), mentre lungo la Val di Chiana è strutturato su tre direttrici in direzione nord-sud: due pedecollinari “geologicamente” favorevoli agli insediamenti e all’agricoltura (in particolare, alle colture arboree e permanenti) e una di fondovalle, parallela al Canale

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Maestro. Lungo le due strade pedecollinari si trovano le maggiori criticità conseguenti ad un’urbanizzazione tendenzialmente continua che si irradia verso la viabilità ortogonale, intensificandosi attorno ai centri principali (Castiglion Fiorentino e Camucia a est, Sinalunga, Bettolle e Torrita di Siena a sud-ovest). Negli insediamenti collinari (Montepulciano, Chianciano Terme, Sarteano, Cetona, ecc.) le espansioni intorno ai centri maggiori e alle frazioni hanno dimensioni spesso prevalenti rispetto ai nuclei storici, con fenomeni di dispersione urbana. I processi di espansione da una parte, le dinamiche di abbandono dei suoli agricoli (soprattutto nelle aree a maggiore pendenza o terrazzate) dall’altra, tendono a mettere in crisi il rapporto strutturale e di lunga durata fra i centri abitati e il loro intorno rurale. L’intero ambito si differenzia, infine, per una marcata dipendenza ambientale e funzionale dalla risorsa acqua, sia per le potenziali criticità del reticolo idraulico e del sistema di bonifica, sia per la vulnerabilità degli acquiferi sottostanti. Strutturazione geologica e geomorfologica Il territorio dell’ambito è costituito dal sistema di pianura intermontana di Arezzo e della Val di Chiana, fino a comprendere la dorsale di Rapolano-Monte Cetona. Durante l’orogenesi dell’Appennino si formano i due alti strutturali, corrispondenti ad anticlinali, che delimitano il bacino: la dorsale Alpe di Poti - M. Murlo – Pratomagno, a est, e che continua fino ai rilievi di Cortona (Monte Castel Giudeo e Alta S.Egidio), ed i Monti del Chianti, a ovest, e Di Rapolano-Cetona a sud ovest. Gli elementi strutturali che caratterizzano le due dorsali sono la Falda Toscana e l’Unità Cervarola - Falterona, entrambe differenziatesi durante le fasi mioceniche del corrugamento appenninico dove affiorano in prevalenza di unità torbiditico-arenacee e subordinatamente argilloso-marnose. L’elemento strutturale più importante della zona meridionale della Val di Chiana è rappresentato dalla dorsale Rapolano - Monte Cetona, che separa il bacino neoautoctono Siena-Radicofani da quello della Val di Chiana. In questa dorsale allungata in direzione nord – sud, di notevole interesse geologico e morfologico, affiorano le formazioni mesozoiche sormontate dalle successioni toscana e ligure s.l.. Dopo le fasi compressive, che hanno portato alla messa in posto delle dorsali, si instaura una fase tettonica di tipo rigido che induce la frammentazione della catena e da origine a depressioni tettoniche a graben o semi-graben, allineate secondo la direttrice appenninica. La subsidenza differenziale che ne consegue porta all’ingressione marina, e nel Pliocene la valle è occupata da un grande golfo con isole sparse, contornato dai rilievi che attualmente sono disposti ai bordi della pianura. Nel tardo Pliocene l’ambiente diviene salmastro, a causa dell’ingresso delle acque del paleo - Arno casentinese. In questa fase la val di Chiana costituiva un unico bacino con la conca di Arezzo e, probabilmente, anche con il Casentino. Nel Quaternario inferiore, sollevamenti a blocchi e bascula menti verso est provocano la regressione marina che trasforma la Val di Chiana in un grande lago, con la parte più profonda verso est. I movimenti differenziali esumano, quindi, la soglia di Chiani e contribuiscono alla deviazione del paleo - Arno verso nord-ovest e al riempimento del bacino di Arezzo; la riduzione di portata idrica ed il forte apporto di sedimenti dai torrenti minori portano alla progressiva estinzione del lago, con la presumibile eccezione della parte più profonda, corrispondente all’attuale Lago Trasimeno. La riorganizzazione dell’idrografia procede con l’instaurarsi del moderno Arno che, per erosione e subsidenza, si abbassa rispetto alla Val di Chiana, con l’incisione dei depositi del bacino di Arezzo. L’alto tasso di sedimentazione nella Val di Chiana e la soglia di Chiani mantengono la valle sospesa rispetto al Valdarno, mentre la sua relativa subsidenza ostacola lo sviluppo di un reticolo diretto verso il Tevere. Gli elevati deflussi idrici nel bacino della Val di Chiana determinano vaste aree paludose, come testimoniate

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in particolare nella documentazione relativa al’alto Medioevo, e rimane in questa condizione fino allo sviluppo del metodo di bonifica per colmata e alla scelta definitiva di invertire l’idrografia, facendo defluire il grosso delle acque verso l’Arno, alla fine del XVIII secolo. È opportuno inoltre verificare se l’opera proposta vada ad inserirsi in contesti ambientali sottoposti a particolari forme di tutela, quali i vincoli paesaggistico, architettonico ed archeologico. Si è quindi proceduto con l’interrogazione del Sistema Informativo Territoriale per i Beni culturali e paesaggistici della regione Toscana.

Figura 17: SIT Toscana Vincolo Paesaggistico

Figura 18:SIT Toscana Vincolo Archeologico

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Figura 19: SIT Toscana Vincolo Architettonico

Dall’analisi dei dati disponibili emerge che l’area d’intervento con particolare riferimento alla zona di presa, non rientra all’interno di vincolo paesaggistico, né archeologico, né architettonico.

1.2.3. Piano Ambientale ed Energetico Regionale (PAER)

Il progetto di cui al presente studio va nella direzione tracciata dal nuovo Piano Ambientale Energetico Regionale (PAER), ovvero verso la promozione e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Il Piano delinea infatti la necessità e la volontà di sviluppare laddove possibile le fonti alternative. Non vengono citate zone non idonee in riferimento alla fonte idraulica. Per quanto riguarda gli impianti idroelettrici, sul territorio regionale a fine 2011 risultavano 125 impianti che totalizzavano 343,1 MW di potenza lorda installata ed una produzione nel 2011 di 576,2 GWh. Attualmente mancano ancora circa 357 GWh ai 933 GWh imposti alla regione dal Burden Sharing ma, occorrendo tener conto della forte variabilità della producibilità degli impianti idroelettrici legata alla variabilità annuale delle piogge (la produzione 2010 ad esempio si attestava a oltre mille GWh), la verifica del raggiungimento dei sopra citati obiettivi il dato verrà normalizzato sui dati un certo numero di anni: secondo il GSE (Simerì) il dato 2011 normalizzato per la Toscana è di 64 ktep, con un gap rispetto all’obbiettivo BS di 16 ktep circa. Il progetto di realizzazione dell’impianto mini-idroelettrico si inserisce perfettamente nei dettami tracciati dal nuovo PAER per la promozione e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Esso infatti si allinea alla necessità, riconosciuta dal piano, di sviluppare, laddove possibile, le fonti energetiche alternative.

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2. LIVELLO PROVINCIALE

2.1. PROVINCIA DI VITERBO

2.1.1. Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG)

La Provincia di Viterbo ha avviato il processo di formazione del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), ora denominato Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG) ai sensi della L.R. 38/99, nel 1997 attraverso una approfondita fase conoscitiva che ha portato all’approvazione (delib. 3/2000) della 1° Fase di Analisi Territoriale. Un ulteriore sviluppo del lavoro, più prettamente propositivo, si è avuto con la redazione del Documento preliminare di indirizzo del PTPG (previsto dall’art. 20bis L.R. 38/99) approvato dalla Provincia con delib. C.P. 96/2002. Nel frattempo sono stati individuati, con delib. G.P. 311/2001, gli Ambiti Territoriali sub-provinciali di riferimento per le attività di pianificazione territoriale e programmazione economica, intesi come insieme di Comuni appartenenti ad aree geografiche ed amministrative intercomunali aventi caratteristiche affini riguardo la collocazione territoriale, rapporti istituzionali, culturali e sociali consolidati, che possono far ritenere opportuno il ricorso a politiche comuni di organizzazione e sviluppo del territorio. Avendo altresì posto alla base del processo di formazione del Piano il metodo della co-pianificazione, attraverso il quale si concretizza la rappresentanza degli interessi locali ed una corretta gestione dei flussi di comunicazione tra gli Enti, subito dopo la conclusione della Conferenza di Pianificazione con la Regione che ha sancito la compatibilità del Documento provinciale con gli strumenti regionali, si è svolta la Conferenza degli Enti Locali, allargata ai soggetti individuati dalla L.U.R., allo scopo di sostanziare e completare i contenuti già delineati nel Documento preliminare, nonché fornire quelle indicazioni utili per la stesura del Piano. Il ruolo di coordinamento, in particolare rispetto i Comuni, della pianificazione territoriale provinciale, consiste nella capacità di fornire quadri conoscitivi integrati su cui fondare le scelte di piano da proporre ai soggetti sia pubblici che privati che intervengono nei processi pianificatori. Individuazione Ambiti Sub-provinciali Con delib. G.P. 311/2001 sono stati individuati gli Ambiti territoriali sub-provinciali di riferimento per le attività di pianificazione territoriale e programmazione economica, tenendo conto delle caratteristiche geomorfologiche, del sistema produttivo e dei servizi, della rete infrastrutturale, nonché dei beni culturali e ambientali che ne costituiscono la risorsa potenziale da tutelare e valorizzare. Questi ambiti vanno intesi come insieme di Comuni appartenenti ad aree geografiche ed amministrative intercomunali aventi caratteristiche affini riguardo la collocazione territoriale, rapporti istituzionali, culturali e sociali consolidati, che fanno ritenere opportuno in ricorso a politiche comuni di organizzazione e sviluppo del territorio. Tutto questo tende a creare un sistema di co-pianificazione comprendente i comuni interessati e gli operatori dei vari settori in cui la Provincia svolge il ruolo propositivo e programmatorio, oltre che di coordinamento che le competono. Ai fini della localizzazione è fondamentale la questione del sistema della mobilità in grado di consentire la connessione tra le diverse funzioni, i grandi servizi direzionali e finanziari. Connessa ai fattori localizzativi è anche la questione della qualità dell’ambiente intesa sia coma qualità del paesaggio che dell’aria, dell’acqua e del suolo.

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Per arrivare alla delimitazione degli ambiti sub-provinciali è stata effettuata un’analisi comparata delle diverse caratteristiche territoriali, tenendo conto dell’obiettivo di riequilibrio territoriale della provincia. Un ruolo importante è stato svolto dalle considerazioni di tipo geografico, fitoclimatico e di mantenimento delle aggregazioni esistenti, come ad esempio delle 2 Comunità Montane. Come detto in precedenza è stata effettuata una ripartizione del territorio provinciale, composto da 60 comuni, in 7 ambiti più il comune capoluogo (delib. G.P. n. 311 del 28/08/2001). Gli otto Ambiti individuati sono cosi’ denominati: Ambito territoriale 1: Alta Tuscia e Lago di Bolsena (12 Comuni: Comunità Montana Alta Tuscia Laziale composta dai comuni di Acquapendente , Latera, Onano Valentano Proceno, Gradoli, Grotte di Castro, S.Lorenzo Nuovo; insieme ai comuni di Ischia di Castro, Bolsena, Marta, Montefiascone, Capodimonte) Ambito territoriale 2: Cimini e Lago di Vico (10 Comuni: Comunità Montana dei Cimini composta dai comuni di Canepina, Caprarola, Ronciglione, Soriano nel Cimino, Vallerano, Vetralla, Vitorchiano, Capranica , Vignanello.; insieme a Carbognano) Ambito territoriale 3: Valle del Tevere e Calanchi (7 Comuni: Bomarzo, Castiglione in Tev., Celleno, Civitella d’Agliano, Graffignano, Bagnoregio, Lubriano) Ambito territoriale 4: Industriale Viterbese (11 Comuni: Calcata, Castel S.Elia, Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Bassano in Tev., Vasanello) Ambito territoriale 5: Bassa Tuscia (8 Comuni: Barbarano Romano, Bassano Romano, Blera, Monterosi, Oriolo Romano, Sutri, Vejano, Villa S.Giovanni in T.) Ambito territoriale 6: Viterbese interno (8 Comuni: Arlena di C., Canino, Cellere, Farnese, Ischia di C., Piansano, Tessennano, Tuscania) Ambito territoriale 7: Costa e Maremma (3 Comuni: Tarquinia, Montalto di Castro.) Ambito territoriale 8: Capoluogo (Viterbo) Il Piano della qualità e dello sviluppo sostenibile I più recenti studi condotti in tema di pianificazione territoriale provinciale insieme a quanto emerge dalle esperienze maturate in quelle regioni che per prime si sono attivate nel primo decennio di applicazione delle L. 142/90, vanno nella direzione di un modello che tende, sostanzialmente, a scindere la pianificazione territoriale in due componenti: strategica ed operativa, e che sembra essere quello più idoneo a livello provinciale, configurando questo strumento come un Piano veramente utile evitando di costituire un ulteriore elemento di complicazione di un sistema di pianificazione già troppo complesso e, a volte, disarticolato. Il Piano tende inoltre ad individuare e pianificare le scelte strutturali essenziali che hanno rilevanza sovracomunale, incrociando la componente ambientale (vincoli atemporali e non indennizzabili che derivano dalla legislazione paesistica) che rappresenta la cosiddetta invariante del piano ai fini della tutela dell’integrità fisica, con la componente programmatica (anch’essa di carattere strategico) che riguarda essenzialmente il sistema infrastrutturale, le attrezzature di rilevanza territoriale ed il sistema insediativo. Risulta evidente che sia le finalità che i contenuti del Piano Provinciale hanno subito profonde modifiche rispetto alla classica tipologia degli strumenti urbanistici tradizionali. Innanzitutto, come già accennato, il Piano non ha più soltanto valenza per quanto riguarda la disciplina che detta ai comuni regole e indirizzi a cui essi si devono conformare nella redazione degli strumenti urbanistici, così come non è più una tappa della procedura “a cascata” di disposizioni che dal livello nazionale (ed europeo) scendono fino a quello comunale.

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Applicando i principi della sussidiarietà, della co-pianificazione e della partecipazione, il Piano assume una propria autonomia ed è in grado di ricondurre ad unità e coerenza i piani di settore ai vari livelli. Ma soprattutto esso acquista efficacia anche in termini di programmazione degli interventi di trasformazione del territorio, nel rispetto di finalità ben definite quali: lo sviluppo sostenibile, la qualità della aree urbane e del territorio, l’uso creativo ed attento dei beni culturali ed ambientali, anche all’interno dei programmi della U.E. . Il Piano costituisce lo strumento di riferimento per il corretto uso ed organizzazione del territorio attraverso l’indicazione degli indirizzi provinciali, in conformità con quelli regionali. Sviluppo sostenibile Il Piano Provinciale si pone il problema di orientare le proprie scelte verso un orizzonte strategico in grado di prefigurare soluzioni corrispondenti ad una ipotesi di sviluppo sostenibile per la provincia di Viterbo. Questo concetto dello “sviluppo sostenibile”, negli ultimi anni, a seguito della crescente attenzione alla questione ambientale, è stato posto alla base delle strategie globali del nuovo millennio (Earth summit di Rio del 1992). Sul piano operativo la sostenibilità significa affermare che l’ambiente possa essere considerato come una variabile regolamentativa all’interno dei piani territoriali, essendo superata la dicotomia tra sviluppo economico e protezione naturalistica. Tutto ciò trova conforto all’interno della programmazione che va dalla Unione Europea ai singoli ministeri, che sancisce l’avvenuta acquisizione nella cultura nazionale del principio della sostenibilità come orientamento alle diverse scale di intervento. Questo concetto si sostanzia misurando i progetti ammissibili per realizzare crescita sociale ed economica senza esaurire le risorse capaci di garantire uguale crescita alle generazioni future. La politica ambientale della Provincia di Viterbo In sintonia con quanto è emerso ai vari livelli istituzionali europei, nazionale e regionale, anche l’Amministrazione Provinciale di Viterbo ha espresso la sua politica ambientale attraverso una Dichiarazione Ambientale stilata a seguito di una serie di impegni assunti in merito alla gestione del territorio e della qualità della vita, presente e futura, dei cittadini. In sostanza la Dichiarazione Ambientale vuole rappresentare l’attuazione concreta di un nuovo modo di concepire l’ambiente, non come oggetto di tutela passiva ma da intendersi come vantaggio competitivo per gli utenti e cittadini, che esigono sempre maggiori garanzie sulla qualità ambientale. La Politica Ambientale approvata dal Consiglio Provinciale è basata su due principi ispiratori: lo sviluppo sostenibile e la prevenzione dall’inquinamento, al fine, tra l’alto, di tutelare le risorse naturali ed energetiche; utilizzare il territorio in maniera sostenibile, coniugando lo sviluppo economico con la compatibilità ambientale; migliorare la conoscenza del contesto ambientale del territorio provinciale; favorire possibili scelte strategiche alternative nella politica di gestione del territorio. Ruolo del Piano Territoriale Provinciale Il PTPG è lo strumento di esplicazione e di raccordo delle politiche territoriali di competenza provinciale, nonché d’indirizzo e di coordinamento della pianificazione urbanistica comunale. Definisce criteri d’indirizzo sugli aspetti pianificatori di livello sovracomunale e fornisce indicazioni sui temi paesistici, ambientali e di tutela, coniugando gli aspetti riguardanti l’evoluzione del territorio nelle sue diverse componenti con obiettivi di sviluppo sostenibile sul piano ambientale e di competitività dell’intero contesto socioeconomico.

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Il Piano della Provincia assume come obiettivi generali la sostenibilità ambientale dello sviluppo e la valorizzazione dei caratteri paesistici locali e delle risorse territoriali, ambientali, sociali ed economiche. Al fine di coordinare l’azione dei singoli Comuni e favorirne la più ampia partecipazione alla pianificazione provinciale, il PTPG ha adottato il metodo di concertazione tra Provincia e Comuni come strumento di condivisione delle scelte pianificatorie con effetti sovracomunali. I contenuti proposti nel Piano sono stati sviluppati in cinque sistemi: questa scomposizione in sistemi, ha permesso di discernere meglio quali sono le caratteristiche e le relative esigenze dei vari aspetti che caratterizzano la realtà provinciale. Per ognuno di essi si sono individuati degli obiettivi specifici ai quali corrispondono le principali azioni di Piano. SISTEMA AMBIENTALE Principali azioni di Piano

Difesa e tutela del suolo e prevenzione dei rischi idrogeologici Tutela e Valorizzazione dei bacini termali Valorizzazione delle aree naturali protette e altre aree di particolare interesse

naturalistico Conservazione degli Habitat di interesse naturalistico ed ambientale

SISTEMA AMBIENTALE STORICO PAESISTICO Principali azioni di Piano

Valorizzazione della fruizione Ambientale, attraverso la individuazione dei sistemi di fruizione ambientale e provinciale

Parchi Archeologici Tarquinia – Vulci– via Clodia – via Amerina SISTEMA INSEDIATIVO Principali azioni di Piano

Valorizzazione del Polo Universitario Viterbese Migliorare e razionalizzare la distribuzione delle sedi scolastiche per l’istruzione

secondaria Potenziamento del servizio Sanitario Rivitalizzazione e recupero dei centri storici Riqualificazione e riordino delle periferie urbane Recupero edilizia rurale esistente Migliorare la grande distribuzione commerciale all’ingrosso e al dettaglio e renderla

compatibile con le diverse forme di vendita SISTEMA RELAZIONALE Principali azioni di Piano

Potenziamento e ripristino di reti ferroviarie esistenti Valorizzazione dell’Aeroporto di Viterbo Potenziamento ed ammodernamento delle reti stradali interregionali, regionali e

locali SISTEMA PRODUTTIVO Principali azioni di Piano

Individuazione, Riorganizzazione e aggregazione dei comprensori produttivi Decentramento sul territorio di attività produttive prevalentemente a carattere

artigianale e di interesse locale Valorizzazione dei centri di produzione agricola locale

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Razionalizzazione dell’attività estrattiva della Provincia Valorizzazione turistica del territorio storico – ambientale della Provincia

Figura 20: Estratto dalla tavola 3.1.1 del PTPG Viterbo - Ambiti sub-provinciali Come illustrato in Figura 20 l’area di intervento ricade nell’ambito sub provinciale 1 “Alta Tuscia e Lago di Bolsena”.

Figura 21: Estratto dalla tavola 1.1.2 del PTPG Viterbo - Aree poste a tutela per rischio idrogeologico

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Figura 22: Estratto dalla tavola 1.1.3 del PTPG Viterbo - Aree poste a tutela per rischio geomorfologico

L’analisi della Figura 21 e della Figura 22 mostrano come la zona di intervento non sia classificata né a rischio idrogeologico né geomorfologico.

Figura 23: Estratto dalla tavola 1.1.4 del PTPG Viterbo - Aree vulnerabili dal punto di vista idrogeologico

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Le zone di presa e di centrale non sono interessate da alcun fenomeno franoso, come mostrati in Figura 23; lungo il percorso della condotta è invece possibile trovare alcuni dissesti gravitativi; si ribadisce che la condotta si svilupperà interrata per la maggior parte sfruttando viabilità esistenti, e ricalcando il percorso dell’esistente condotta del Consorzio di Bonifica.

Figura 24: Estratto dalla tavola 1.2.1 del PTPG Viterbo - Vulnerabilità degli acquiferi vulcanici ai prelievi

L’area di intervento non presenta acquiferi vulcanici vulnerabili ai prelievi (Figura 24).

Figura 25: Estratto dalla tavola 1.4.1 del PTPG Viterbo - Quadro conoscitivo ambientale

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Come visibile dalla Figura 25

Figura 25l’area di intervento è esterna a qualsiasi tipologia di area protetta.

Figura 26: Estratto dalla tavola 2.3.1 del PTPG Viterbo - Vincoli ambientali

Dall’analisi della Figura 26 é possibile vedere che la zona di intervento ricade nelle fasce di tutela dei corsi d’acqua (cosa ovvia per un impianto idroelettrico) senza rientrare in altri vincoli.

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In definitiva, la generazione di energia elettrica tramite impianto mini-idroelettrico rispetta pienamente l’assetto e gli obiettivi del Piano Territoriale Provinciale Generale.

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2.2. PROVINCIA DI SIENA

2.2.1. Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP)

Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale della Provincia di Siena, approvato con Delibera n.124 del Consiglio Provinciale in data 14/12/2011 e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n.11 parte II del 14/03/2012, costituisce l'atto di raccordo fra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale. Tra gli obiettivi più significativi del Piano provinciale ci sono quindi la funzione di raccordo e di integrazione con la programmazione regionale da un lato, e quella di indirizzo e di coordinamento degli strumenti urbanistici comunali dall'altro. Esso rappresenta infatti il riferimento principale di programmazione entro cui delineare e definire le scelte di trasformazione territoriale proprie della pianificazione urbanistica comunale; fornisce ai Comuni conoscenze e strumenti indispensabili per dare valide motivazioni di sistema alle decisioni locali e per effettuare verifiche di sostenibilità delle trasformazioni. Ha tre componenti vitali, di diversi rango ed efficacia:

una base, costituita dal Quadro conoscitivo; una struttura, lo Statuto, nel quale prendono corpo i sistemi territoriali, le unità di

paesaggio, i sistemi funzionali (scenari ove si fissano valori e regole comportamentali);

un programma, costituito dalla Strategia, che apre a un progetto di governo, affidato ad azioni perequative, prassi di governance e politiche coordinate.

Tramite una propria capacità interpretativa e rappresentativa, il presente PTCP assume i Circondari come articolazioni territoriali alle quali affidare, sulla base della coesione politico-istituzionale, il percorso di formazione condivisa delle scelte di livello provinciale aventi effetti sui territori comunali e l’orientamento delle scelte di livello comunale da rendere coerenti rispetto agli obiettivi di governo del piano stesso. L’articolazione in Circondari è base per lo svolgimento delle attività di valutazione, ivi compreso il monitoraggio degli effetti del PTCP, della partecipazione, della consultazione e della concertazione con gli altri enti e soggetti aventi competenza in materia di territorio e ambiente. L’analisi di conformità al PTCP dell’opera in progetto è stata dunque effettuata consultando le disposizioni delle norme di piano e le tavole tematiche sia generali che relative al circondario di interesse. L’area oggetto dell’intervento appartiene all’Unità di paesaggio 14 - Val d’Orcia, come evidenziato dalle Tavv_ST PAES IV.1 e IV.3g: Si riportano alcuni stralci di cartografia con particolare riferimento alla zona di presa.

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Figura 27: Tavola ST_PAES_IV.1 - PTCP Siena - zona di presa

Figura 28: ST_PAES_IV.3g - PTCP Siena - zona di presa

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Figura 29: Tavola dei Sistemi infrastrutturali e tecnologici B.2-S.INF 01 - Val di Chiana - zona di presa

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Figura 30: Tavola dei Vincoli paesaggistici B.5-VINC 01 - Val di Chiana - zona di presa

Figura 31: Estratto della Carta della Vulnerabilità intrinseca - zona di presa

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Figura 32: Estratto della Carta della Vulnerabilità integrata - zona di presa

Dalla carta della vulnerabilità intrinseca l’area di progetto risulta avere classe e grado di vulnerabilità 2 (Medio Alto) per quanto riguarda la zona di presa, subito a valle della diga Elvella; la carta della vulnerabilità integrata, oltre a confermare il grado di vincolo, evidenzia l’assenza nella zona di corpi idrici sotterranei, di potenziali e reali produttori di inquinamento dei corpi idrici sotterranei stessi evidenziando la presenza di elementi soggetti ad inquinamento (acquedotto). Il territorio circostante il lago Elvella presenta classe e grado di vulnerabilità 4 (Basso). In definitiva, la generazione di energia elettrica tramite impianto mini-idroelettrico rispetta pienamente l’assetto e gli obiettivi del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.

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2.2.2. Piano Energetico e Ambientale Provinciale (PEAP)

Il nuovo Piano Energetico Ambientale della Provincia di Siena nasce dalla necessità di adeguare il PEP del 2003 alle mutate condizioni normative, amministrative e tecnologiche in materia di energia ed ambiente. Con D.C.P. n.41 del 21/04/2009 sono state definite le “Linee Guida per la Revisione e l’Aggiornamento del PEP” che contengono gli indirizzi per l’adeguamento alla nuova normativa regionale in materia di energia ed ambiente (Piano Regionale di Azione Ambientale PRAA e Piano di Indirizzo Energetico Regionale PIER) e con delibera della giunta provinciale n.359 del 27/12/2010 ha preso avvio il percorso operativo del PEP 2010-2020, approvato con D.C.P n.146 del 20/12/2012. Gli obiettivi generali del Piano sono:

la promozione degli usi razionali ed efficienti dell’energia; lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile; la diminuzione fino all’azzeramento nel 2015 delle emissioni di CO2 (progetto

Siena Carbon Free). La convergenza dei primi due obiettivi sviluppa il concetto di energia sostenibile che implica coniugare risparmio ed efficienza energetica prodotta da fonti rinnovabili (FER). Le FER assumono un’importanza determinante nel perseguimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti, con effetti di riduzione della domanda nei settori pubblico e privato e di valorizzazione delle risorse locali.

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La natura “locale” delle fonti rinnovabili rende la pianificazione del loro utilizzo particolarmente efficace a scala provinciale, considerato che le potenzialità di sviluppo sono determinate da aspetti geografici e socio-economici. L’obiettivo specifico sulle energie rinnovabili, definito dal PIER in coerenza con le disposizioni comunitarie e nazionali, prevede che al 2020 queste incidano sulla produzione totale di energia per almeno il 20% (ridotto, per l’Italia, al 17%). Prevede altresì che la produzione di energia elettrica attraverso impianti alimentati da FER raggiunga nel 2020 il 39% del fabbisogno stimato (consumi regionali) e che la produzione di energia termica da FER si attesti ad un livello pari al 10% del fabbisogno stimato. Il nuovo PEP si pone tuttavia obiettivi specifici, in termini percentuali, lievemente più ambiziosi di quelli del PIER, definendo inoltre obiettivi intermedi finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo strategico di neutralizzazione delle emissioni climalteranti entro il 2015. In esso l’obiettivo specifico nel 2020 è pari al 40% del fabbisogno stimato (consumi regionali), con un obiettivo intermedio al 2015 pari al 20% del livello dei consumi provinciali registrati nel 2009 e calcolato al netto dell’energia prodotta dagli impianti geotermici in esercizio al 2009. In base ai dati statistici Terna del 2009, i consumi di energia elettrica nella Provincia di Siena si attestano nel 2009 a 1.305,3 GWh. L’obiettivo di produzione di energia termica attraverso impianti alimentati da FER, coerentemente con le previsioni del PIER, prevede il raggiungimento nel 2020 di una quota del 10% del fabbisogno stimato, con un obiettivo intermedio al 2015 pari al 5% del fabbisogno. Nel 2009 i consumi di combustibili registrati riguardano il gas naturale (252 milioni Smc) ed il gasolio (131.000 tonnellate, di cui 9.000 per riscaldamento e 23.000 per uso agricolo, la restante parte per autotrazione). Per quanto riguarda le potenzialità locali delle risorse rinnovabili, sono stati individuati i seguenti settori di sviluppo:

solare fotovoltaico; eolico; idroelettrico (mini Hydro); biomasse e biocarburanti; geotermia (bassa e media entalpia); solare termico.

Sulla scorta di tali valutazioni il PEP propone un possibile scenario di potenza installata e di produzione per le varie tecnologie impiantistiche, facendo riferimento alle linee guida nazionali ed in coerenza con gli indirizzi della Provincia di Siena in merito ai procedimenti autorizzativi per la realizzazione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Volendo porre attenzione nello specifico al settore idroelettrico, la possibilità di costruire impianti idroelettrici di piccola e media taglia è condizionata dalla convenienza economica e dipende da condizioni morfologiche e climatiche dell’area di studio. Lo sfruttamento della risorsa idrica, una delle fonti energetiche tradizionali più diffuse e sfruttate, va inquadrato a scala di bacino e confrontato con la disponibilità e la compatibilità rispetto ad altri usi, in modo da ottimizzarne il vantaggio per la collettività e di non alterare i delicati equilibri ambientali. Gli impianti si distinguono in (classificazione UNIDO - United Nations Industrial Development Organization):

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I vantaggi della mini idraulica risultano:

fonte energetica rinnovabile, disponibile localmente, non inquinante, a impatto ambientale ridotto o comunque controllabile;

possibilità di integrazione con impianti di approvvigionamento idrico (civile, industriale, irriguo) creando recupero energetico;

tecnologie affidabili e costo ridotto; costi personale e di esercizio ridotti.

Rimangono aperte le seguenti problematiche: la convenienza dipende dal prezzo di cessione dell’energia prodotta; modesto contributo quantitativo alla soluzione del problema energetico locale e

nazionale; costo relativamente elevato dei gruppi motore-generatore e delle opere civili,

nonostante la standardizzazione delle apparecchiature; problemi di gestione per impianti molto piccoli; scarsità della risorsa idrica.

Sono soggetti ad attività libera con semplice comunicazione gli impianti di potenza inferiore ai 200 kWe (compatibile con il regime di scambio sul posto) e realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non riguardino le parti strutturali dell'edificio e non comportino modifiche delle destinazioni di uso, aumento del numero delle unità immobiliari ed incremento dei parametri urbanistici. Sono soggetti a DIA/SCIA tutti gli impianti nuovi aventi potenza inferiore ai 100 kWe. La potenza installata ad oggi è di circa 1 MWe e si ipotizzano i seguenti risultati prevedibili:

scenario obiettivo (basato su azioni ragionevolmente praticabili con diversi livelli d’impegno nel periodo considerato): potenza installata al traguardo intermedio del 2015 pari a 2 MWe per una producibilità stimata di circa 6.000 MWh/anno, potenza installata al 2020 pari a 4 MWe per una producibilità stimata di circa 12.000 MWh/anno;

scenario potenziale (potenziale max di riduzione raggiungibile): potenza installata al 2015 pari a 3 MWe per una producibilità stimata di 9.000 MWh/anno, potenza installata al 2020 pari a 8 MWe per una producibilità stimata di 24.000 MWh/anno.

Si fa poi riferimento all’Allegato 7 (ai sensi dell’Allegato 2, lettera L della L.R 10/2010) in cui vengono descritte analiticamente le linee di azione per il raggiungimento degli obiettivi preposti e che in merito allo sviluppo della risorsa idroenergetica riporta quanto segue: Area di intervento: 1 - Sviluppo delle fonti rinnovabili

Settori di intervento: Produzione di energia

Azione 1.5 - Sviluppo della risorsa idroenergetica: micro e mini-idraulica Obiettivi: Analisi delle potenzialità degli impianti micro e mini-idraulici in Provincia di Siena

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Priorità dell’azione: Media Descrizione/Motivazione: Il settore della micro e mini-idraulica può acquistare, grazie all’evoluzione tecnologica (ormai matura ma ancora con margini di miglioramento dell’efficienza) e le potenzialità di sfruttamento, una nuova valenza nell’ambito della produzione energetica per piccole utenze. Inoltre, questi impianti presentano un impatto più contenuto di quelli di dimensioni maggiori, in quanto si inseriscono entro schemi idrici esistenti, e possono inoltre contribuire alla regolazione e regimazione idraulica, specie in aree montane ove esista degrado e dissesto del suolo, contribuendo efficacemente alla difesa e salvaguardia del territorio. Strategia: Valutazione in dettaglio dei siti idonei all'installazione di piccole turbine a partire dalle indicazioni contenute nel nuovo PEP. Individuazione dei possibili casi di intervento. Definizione di linee guida e predisposizione di uno studio di fattibilità tecnica, economica ed ambientale. Organizzazione di incontri tra i soggetti coinvolti e di una campagna informativa. Proposta di iter amministrativo semplificato necessario per ottenere la concessione di derivazione di acqua pubblica e per l'autorizzazione alla realizzazione per i siti individuati nello studio. Verifica dei progetti e della loro attuazione. Monitoraggio e diffusione dei risultati attraverso idoneo materiale didattico ed informativo.

Azione 1.6 - Sviluppo della risorsa idroenergetica: recupero e repowering Obiettivi: Analisi delle potenzialità di recupero degli impianti dismessi e di repowering di quelli esistenti. Priorità dell’azione: Media Descrizione/Motivazione: L'azione è finalizzata a valutare il potenziale energetico del recupero di impianti dismessi e del ripotenziamento degli impianti esistenti. I vantaggi di questa azione sono sia di tipo ambientale che economico. La presenza, infatti, di strutture già esistenti per la captazione e la canalizzazione delle acque consentono impatto ambientale pressoché nullo e costi ridotti. Inoltre, il ripotenziamento di impianti operanti ed ormai ampiamente ammortizzati in termini di costi, consente di aumentare l’efficienza energetica ed aumentare la produzione di energia elettrica senza richiedere la realizzazione di ingenti opere infrastrutturali. Strategia: Censimento di dettaglio delle caratteristiche degli impianti idroelettrici presenti in Provincia di Siena, sia dismessi che funzionanti (a partire dalle indicazioni contenute nel nuovo PEP). Individuazione dei possibili casi di intervento. Analisi del potenziale energetico di recupero o di ripotenziamento degli impianti. Definizione di linee guida e predisposizione di uno studio di fattibilità tecnica, economica ed ambientale. Organizzazione di incontri tra i soggetti coinvolti e di una campagna informativa. Proposta di iter amministrativo semplificato necessario per ottenere la concessione di derivazione di acqua pubblica e per l'autorizzazione alla realizzazione per i siti individuati nello studio. Verifica dei progetti e della loro attuazione. Monitoraggio e diffusione dei risultati attraverso idoneo materiale didattico ed informativo. Azione 1.7 - Sviluppo della risorsa idroenergetica: utilizzo anche a scopo idroenergetico delle acque destinate ad usi diversi. Obiettivi: Analisi delle potenzialità di opere idrauliche destinate ad altri usi per la produzione di energia elettrica. Priorità dell’azione: Media Descrizione/Motivazione: L'azione è finalizzata a valutare il potenziale energetico delle opere idrauliche e delle acque destinate ad usi diversi (idropotabile, depurazione, regimazione idraulica) presenti in Provincia di Siena ed a proporre un approccio integrato ed innovativo sia dal punto di vista della considerazione di problematiche ambientali "concorrenti" (produzione di energia rinnovabile/tutela dei corpi idrici) che dal punto di vista degli strumenti che si adottano (contributo/semplificazione procedure). Strategia: Censimento di dettaglio delle caratteristiche delle opere idrauliche destinate ad usi diversi dalla produzione di energia. Individuazione dei possibili casi di intervento.

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Analisi del potenziale energetico di recupero o di ripotenziamento degli impianti. Definizione di linee guida e predisposizione di uno studio di fattibilità tecnica, economica ed ambientale. Organizzazione di incontri tra i soggetti coinvolti e di una campagna informativa. Proposta di iter amministrativo semplificato necessario per ottenere la concessione di derivazione di acqua pubblica e per l'autorizzazione alla realizzazione per i siti individuati nello studio. Verifica dei progetti e della loro attuazione. Monitoraggio e diffusione dei risultati attraverso idoneo materiale didattico ed informativo. Al Capitolo 5 dello stesso Allegato sono valutati a livello qualitativo i potenziali effetti ambientali significativi generati da suddette azioni sulle componenti ambientali definite dal VI Programma di Azione Ambientale 2002-2012 dell’Unione Europea: Azione 1.5 Azione 1.6 Azione 1.7 Cambiamenti climatici Riduzione delle emissioni climalteranti Atmosfera Effetti non significativi Risorsa idrica Possibili effetti negativi sul deflusso corpi idrici

interessati, potenziali effetti positivi su regimazione di corsi in degrado

Effetti non significativi

Suolo Effetti non significativi Energia Aumento energia prodotta da fonti rinnovabili Rifiuti Effetti non significativi Natura e biodiversità Possibili impatti su ecosistemi fluviali, ridotti o

secondari data le ridotte dimensioni degli impianti

Campi elettromagnetici Effetti non significativi Effetti non significativi Inquinamento acustico Effetti non significativi Effetti non significativi Beni culturali paesaggistici

Da verificare modificazioni del contesto d’inserimento

Effetti non significativi (recupero impianti esistenti) o incerti (repowering

Effetti non significativi

Sviluppo socio-economico

Effetti positivi sull’occupazione locale e lo sviluppo d’impresa

Tabella 3: Tabelle 5.3 e 5.4 Allegato7 Al Capitolo successivo viene delineato un quadro delle misure di mitigazione, riduzione e compensazione degli effetti ambientali potenzialmente significativi, negativi o incerti.

Azioni PEAP 2010-

2020 Effetti ambientali Misure mitigazione e compensazione

1.5

Risorsa idrica Minimizzazione degli impatti sugli alvei fluviali, privilegiando le tecnologie che minimizzano la riduzione del deflusso minimo vitale.

Tutela biodiversità Le aree siR sono ritenute non idonee alla realizzazione di impianti di taglia superiore ai limiti della tabella 1 del D.M. 10 settembre 2010. Per gli impianti di taglia nei limiti della tabella in aree tutelate, verifica della compatibilità con gli obiettivi di tutela.

Tutela beni culturali e del paesaggio

Negli interventi in aree tutelate va verificata la compatibilità con gli obiettivi di tutela.

1.6

Risorsa idrica Minimizzazione degli impatti sugli alvei fluviali, privilegiando le tecnologie che minimizzano la riduzione del deflusso minimo vitale.

Tutela natura e biodiversità in aree protette

Sono assoggettati a Valutazione d’incidenza, qualora ricadano all’interno dei Siti d’importanza comunitaria e/o delle Zone di protezione speciale

Tutela beni culturali e del paesaggio

Negli interventi in aree tutelate va verificata la compatibilità con gli obiettivi di tutela.

Tabella 4: Tabelle 6.1 Allegato7

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Nella stima delle potenzialità di sviluppo delle fonti rinnovabili (solare, eolica, geotermica) e nell’individuazione delle relative aree “vocate”, sono state escluse tutte le aree che rivestono una particolare rilevanza culturale e paesaggistica (elencate in Allegato 7). Con riferimento a tale elenco, la pianificazione delle azioni ha incluso nella stima delle potenzialità di sviluppo soltanto quelle aree per cui è prevista l’idoneità di specifici interventi ai sensi del D.M. 10 Settembre 2010 e della L.R. n.11 21/03/2011. Per quanto riguarda gli effetti e l’incidenza degli interventi previsti dal PEP sulle aree incluse nella Rete Natura 2000 designate in base alla Direttiva 92/43/CEE (Siti di Importanza Comunitaria) ed alla Direttiva 99/409/CE (Zone di Protezione Speciale) e sui Siti di Interesse Regionale (SIR), è stato redatto uno specifico Studio di Incidenza (Allegato 6 PEAP). L’aggiornamento regionale dei SIC e delle ZPS risale al 2009. Per maggiore chiarezza è opportuno precisare che con il termine di Sito di Importanza Regionale (SIR) si intende l’elenco completo dei siti della rete ecologica regionale SIC + ZPS + SIR attualmente costituita da 166 elementi di cui 148 compresi nella Rete Ecologica Europea Natura 2000. La Provincia di Siena è costituita da un totale di 19 SIR (Figura 33).

Figura 33: SIR provincia di Siena

Si osserva che l’impianto in progetto, la cui presa sarà localizzata immediatamente a valle della diga Elvella, verrà a trovarsi in un sito che non rientra tra quelli individuati. Alla luce di tali indicazioni, il progetto proposto risulta coerente con le previsioni e gli indirizzi del Piano Energetico della Provincia di Siena.

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3. LIVELLO COMUNALE

3.1. COMUNE DI SAN CASCIANO DEI BAGNI

3.1.1. Regolamento Urbanistico (RU) e Piano Strutturale (PS) Il Comune di san Casciano dei Bagni è dotato di Piano Strutturale, in vigore dall’aprile 2004 e di regolamento Urbanistico, in vigore dal febbraio 2007 e modificato, in parte, con una variante generale del settembre 2008. La Giunta Comunale, con deliberazione n°65 del 02/07/2013, ha dato avvio al procedimento di revisione del Piano Strutturale, ai sensi dell’art. 15 della L.R. 1/2005 e contestualmente al procedimento di Valutazione Ambientale Strategica, ai sensi dell’art. 23 comma 2 della L.R. 10/2010. Si ritiene opportuno riportare di seguito alcuni estratti dagli strumenti attualmente in vigore, relativamente alla zona di presa.

Figura 34: Estratto dalla tavola A1- "Disciplina del territorio extraurbano, Carta delle risorse

ambientali" del Regolamento Urbanistico del Comune di San Casciano dei Bagni

Il territorio attorno al sito di intervento appare essere sostanzialmente a vocazione agricola e caratterizzato da “tessuto agrario a maglia media seminativi collinari”; si registrano zone classificate come “forme di erosione”.

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Figura 35: Estratto dalla tavola G05 Carta della vulnerabilità degli acquiferi - Piano Strutturale

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Dalla tavola G05 riportata in Figura 35 è possibile vedere che la zona di presa ricade in una zona classificata come falda libera in materiali alluvionali senza alcuna protezione (1), caratterizzata da grado di vulnerabilità elevato.

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Figura 36: Estratto dalla tavola G08 Carta pericolosità idraulica - Piano Strutturale

Dalla tavola G08 riportata in Figura 36 è possibile vedere che nelle immediate vicinanze della zona di presa si trovano aree classificate come zone a pericolosità idraulica media (3) ed elevata (4).

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Figura 37: Estratto dalla tavola G09 Carta pericolosità - Piano Strutturale

Dalla tavola G09 riportata in Figura 37 è possibile vedere che la parte terminale del canale di scarico della diga Elvella ricade in un’area classificata come zona a pericolosità bassa

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(2g). Subito a valle vi sono zone classificate come “3i - pericolosità media per fattori idraulici” e “4i - pericolosità elevata per esondazione”. In rispetto ai vincoli, tutele, emergenze ambientali, ecc. sopra descritte saranno prese tutte le misure di mitigazione, compensazione e nonché adoperate tutte le più adeguate modalità operative e di cantierizzazione per il miglior inserimento possibile dell’opera nel contesto territoriale di riferimento.

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4. LIVELLO DI BACINO IDROGRAFICO

4.1. PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO (PAI)

Il sito di intervento si trova all’interno del territorio gestito dall’Autorità di Bacino del Fiume Tevere, il cui Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) è stato definitivamente approvato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10/11/2006 ed è entrato in vigore a seguito della pubblicazione di suddetto decreto sulla Gazzetta Ufficiale n.33 del 9 febbraio 2007.

Il percorso per l’approvazione del PAI si è rivelato lungo e complesso, soprattutto a causa del numero delle regioni coinvolte e per le diverse modalità con cui le stesse hanno affrontato l’organizzazione delle Conferenze Programmatiche chiamate ad esprimersi in merito all’integrazione a scala provinciale e comunale dei contenuti del piano.

A valle dell’invio dei “pareri regionali” è poi iniziato il lavoro del Comitato Tecnico dell’Autorità il quale, esaminate le richieste formulate attraverso i pareri delle Conferenze, è passato alle modifiche sia normative che cartografiche necessarie.

Tuttavia, le richieste di aggiungere nuove aree a rischio, così come derivanti dal lavoro svolto dalle Regioni, hanno reso necessaria una procedura di aggiornamento progressivo del Piano che potesse dare luogo a stadi successivi secondo la progressiva conclusione degli ulteriori studi sul reticolo idrografico e sugli ulteriori censimenti di situazioni in frana. Infatti, l’introduzione di vincoli sul territorio su aree diverse e/o più ampie di quelle originariamente contenute nel Progetto di PAI avrebbe comportato ai sensi di legge un nuovo periodo di “pubblicazione” per consentire ai soggetti “interessati” di formulare le proprie osservazioni e l’accoglimento di tali osservazioni avrebbe comportato a sua volta la ripubblicazione dell’intero PAI, con un inaccettabile ulteriore periodo di osservazione.

Il primo aggiornamento del PAI è stato così adottato dal Comitato Istituzionale il 18 luglio 2012 con delibera n. 125.

Uno degli scopi del PAI è la suddivisione del territorio in aree omogenee e di fondamentale importanza è l’individuazione delle aree soggette a pericolosità idraulica e geomorfologica perfezionandone il perimetro in base ad analisi di dettaglio. In tutti gli estratti cartografici riportati è stata cerchiata in verde l’area di intervento.

4.1.1. Rischio geologico

L’inventario dei Fenomeni Franosi costituisce ad oggi il maggiore sforzo conoscitivo sullo stato del dissesto eseguito nel bacino del Tevere negli ultimi anni. Gli studi si sono basati su una interpretazione fotogeologica multiscalare e multitemporale che ha sfruttato i vantaggi della possibilità di confronto tra immagini riprese in tempi, con tecniche e a scale diverse. L’Inventario è stato impostato secondo quanto previsto dal DPCM del 29-09-1998 e comprende sia frane in senso stretto, classificate secondo Varnes, sia alcuni elementi predisponenti (ad esempio orli di scarpate, aree ad erosione diffusa).

L’interpretazione fotogeologica è stata restituita alla scala 1:10.000.

Si sottolinea poi che il primo aggiornamento ha fornito: - Nuove aree a rischio classificate R3 o R4 con la specifica degli interventi coerenti

con le indicazioni provenienti da atti deliberativi regionali; - Aggiornamento dei perimetri riportati nella cartografia inerente la pericolosità (carta

Inventario) rispetto alla quale è necessario comunque, in caso di previsioni di utilizzo del territorio, la redazione di preliminari studi di dettaglio (art. 10 NTA del PAI);

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- Un nuovo strato conoscitivo a disposizione formato da: - Situazioni a livello di rischio minore (R2) - Segnalazioni di ulteriori potenziali situazioni di rischio indifferenziate.

Figura 38: Estratto dalle tavole 191 e 173 dell’Inventario dei fenomeni franosi e situazioni a rischio frana

presa

centrale

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Le aree di centrale e di presa (cerchiate in verde in Figura 38) non sono interessate direttamente da fenomeni franosi; nelle zone circostanti la presa sono presenti aree a franosità diffusa, un’area in erosione a valle della diga, ed una situazione a rischio frana elevato R3. La condotta - sia nell’ipotesi di sfruttare quella esistente, sia nell’ipotesi di posarne una nuova - lambisce nel suo percorso alcune aree interessate da fenomeni franosi.

Meritano una citazione i dissesti individuati dalle attività previste dalla L. 365/2000. Questo gruppo di segnalazioni è caratterizzato da una grande eterogeneità, da un arco temporale di riferimento molto lungo (circa sette anni) e dalla pluralità dei soggetti che hanno segnalato il fenomeno di rischio; generalmente si tratta di segnalazioni con forti carenze documentali sia dal punto di vista della conoscenza delle dinamiche geologiche sia dal punto di vista della precisa individuazione spaziale della frana. Ritenendo utile comunque una ricognizione complessiva ed una loro collocazione geografica, il primo aggiornamento del PAI contiene un’apposita cartografia georeferenziata sebbene ad esse non applichi misure normative.

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Figura 39: Estratto tavola PD1 - Carta delle segnalazioni dei dissesti geomorfologici ex lege 365/2000

Dalla cartografia riportata Figura 39 in è possibile osservare che nell’area di progetto (verde) non sono presenti segnalazioni di dissesto geomorfologico censito ai sensi della legge 365/2000.

4.1.2. Rischio idraulico

Dall’Atlante delle situazioni di rischio idraulico, osservando la “Tavola sinottica delle aree a rischio R4 sul reticolo idrografico secondario, minore e marginale” - riportata in Figura 40 Figura 40-, è possibile vedere che nella zona di intervento non è segnalata nessuna area a rischio idraulico R4.

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Figura 40: Estratto tavola 7 - Tavola sinottica delle aree a rischio R4 sul reticolo idrografico secondario, minore e marginale

Anche in questo caso, nel contesto normativo riconducibile dalla legge 365 dell’11

dicembre 2000 recante “Interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile, nonché a favore di zone colpite da calamità naturali”, è stata realizzata, con il coordinamento dell’Autorità di Bacino, un’attività di ricognizione straordinaria dei dissesti idraulici in atto o potenziali.

L’attività di ricognizione lungo i corsi d’acqua e le relative pertinenze nonché nelle aree demaniali è stata effettuata ad opera delle Comunità Montane che hanno visto il concorso dei vari soggetti competenti quali i Comuni, i Consorzi di Bonifica e di Irrigazione ed altri Enti locali.

Tale attività aveva come obiettivo la realizzazione di un quadro rappresentativo delle situazioni locali che potevano determinare situazioni di pericolo incombente o potenziale per le persone e le cose, al fine di individuare un puntuale sistema di protezione idrogeologica e le priorità per gli interventi di manutenzione più urgenti. E’ evidente che il materiale riferibile a tale attività non è confrontabile in alcun modo con gli standard Pai che d’altronde a quel momento non erano disponibili (attività antecedente l’approvazione del Progetto Pai 2002) e quindi deve costituire solo una base di riferimento di segnalazioni sulla quale riferire semplici operazioni di confronto con eventuali successive attività di studio. Il censimento di tali situazioni di dissesto è poi stato seguito da una prima elaborazione dei dati raccolti.

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Figura 41: Estratto tavola PD2 - Carta delle segnalazioni dei dissesti idraulici ex lege 365/2000

Nell’area di interesse non è segnalata la presenza di situazioni di dissesto idraulico individuate ai sensi della legge 365/2000 (Figura 41).

Il progetto proposto, per sue caratteristiche intrinseche, risulta coerente con previsioni ed indirizzi del PAI dell’AdB del fiume Tevere.

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5. CONCLUSIONI Si riassumono di seguito gli aspetti programmatici con i quali è stata verificata la

conformità del progetto:

Livello Regionale PTP Regione Lazio: L’area è classificata come “Paesaggio naturale” e “Paesaggio

Agrario di valore” ed è caratterizzata dalla presenza di un sistema agricolo permanenre. Ricade nelle aree tutelate nel Decreto Legislativo 42/2004.

PAER Regione Lazio: Il Piano delinea la necessità e la volontà di sviluppare laddove possibile le fonti alternative. Non vengono indicate zone non idonee in riferimento alla fonte idraulica.

PTA Regione Lazio: Il sito di intervento ricade all’interno del bacino idrografico 11 - Paglia. È caratterizzato da una vulnerabilità degli acquiferi di classe molto bassa.

PIT Regione Toscana: L’area ricade nell’Ambito 15 - Piana di Arezzo e Val di Chiana, senza rientrare in alcun tipo di vincolo paesaggistico, archeologico o architettonico (ovviamente essendo l’impianto localizzato lungo il torrente Elvella ricade nel Decreto Legislativo 42/2004).

PEAR Regione Toscana: Il Piano delinea la necessità e la volontà di sviluppare le fonti alternative, laddove possibile. Non vengono citate zone non idonee in riferimento alla fonte idraulica.

Livello Provinciale

PTPG Provincia di Viterbo: L’area appartiene all’Ambito “Alta Tuscia e Lago di Bolsena” ed è compatibile con gli obiettivi del Piano.

PTCP e PEAP Provincia di Siena: All’interno del PTCP della Provincia di Siena, il sito d’intervento ricade nell’Unità di paesaggio 14 - Val d’Orcia. Per quanto riguarda il PEAP la Provincia di Siena ha ribadito l’importanza della fonte idroelettrica nei piani provinciali. Livello Comunale

PS Comune di San Casciano dei Bagni: l’area di presa ricade in zona individuata come “tessuto agrario”; non presenta pericolosità idraulica. Livello di Bacino Idrografico

PAI: L’area di intervento non è classificata né come area a rischio geomorfologico né come area a rischio idraulico.

Da quanto illustrato, l’inquadramento programmatico ha delineato che l’area di progetto non presenta aspetti di particolare “complessità” o fragilità ambientale e strutturale; gli strumenti programmatici vigenti inoltre favoriscono questo tipo di iniziative, con particolare riferimento ai Piani Energetici Regionali.

Si rammenta inoltre che per la realizzazione di tale impianto potranno essere utilizzate opere già esistenti (condotta)lungo il torrente Elvella; il locale di centrale, unica opera da costruire ex novo, sarà completamente interrato.