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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’ambiente ed il territorio CORSO DI FRANE Anno accademico 2013- 2014 RELAZIONE CASO STUDIO GPS e fotogrammetria digitale per il monitoraggio dei movimenti di massa: applicazione alla frana di Ca’ di Malta (Appennino Settentrionale, Italia) DOCENTE: Prof. Ing. Michele Calvelllo STUDENTE: Anna Sara Amabile

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’ambiente ed il territorio

CORSO DI FRANE

Anno accademico 2013- 2014

RELAZIONE CASO STUDIO

GPS e fotogrammetria digitale per il monitoraggio dei movimenti di massa:

applicazione alla frana di Ca’ di Malta (Appennino Settentrionale, Italia)

DOCENTE:

Prof. Ing. Michele Calvelllo

STUDENTE:

Anna Sara Amabile

Introduzione 1. Inquadramento territoriale

1.1. Le formazioni argillitiche

2. Caso studio

2.1. Contesto litologico ed ambientale 2.2. Analisi stratigrafica 2.3. Inquadramento vegetazionale ambientale

2.4. Cronostoria della frana

2.5. Cinematismi di attivazione

3. Monitoraggio

3.1. Misure inclinometriche e piezometriche 3.2. Fotogrammetria digitale 3.3. Il GPS per il monitoraggio di movimenti di massa 3.4. Analisi dei risultati

4. Proposte di intervento

4.1. Interventi di consolidamento 4.2. Difesa spondale 4.3. Sistemazioni idraulico-forestali

Bibliografia

Introduzione La frana di Ca’ di Malta, localizzata nell’Appennino settentrionale, a circa 30 km a sud di Bologna, nella Valle del Fiume Reno, nei pressi del centro abitato di Vergato, per i suoi lenti cinematismi e per il volume limitato di materiale coinvolto nel franamento, non costituisce un fenomeno a rischio molto elevato, secondo i canoni della L. 267/98, ma si presta molto bene allo studio di dettaglio dei meccanismi che regolano il franamento di argilloscisti fessurati. I campi di sperimentazione affrontati in questo caso sono il rilevamento topografico con tecniche innovative, il monitoraggio delle pressioni interstiziali nei materiali alterati di superficie e nel substrato, nonché alcune proposte di interventi di stabilizzazione.

1. Inquadramento territoriale L’Emilia-Romagna è una regione caratterizzata da una intensa pericolosità idrogeologica. Essa, periodicamente, viene colpita da grandi eventi alluvionali e da rilevanti dissesti franosi sui versanti, in cui più che frane di neo-formazione, comunque sempre presenti, si riattivano grandi frane quiescenti. Con circa 70 000 frane è una delle poche regioni ad avere oltre il 20% di territorio collinare e montano occupato da frane per un’area complessiva di 2 520.7 km2, di cui circa il 27% attive.

Figura 1.1 - Distribuzione delle Frane in Emilia-Romagna

Le tipologie di frana più comuni sul territorio regionale sono indicate in Figura 1.2, da cui si evidenzia che le tre tipologie, scivolamento, colamento e complesse, rappresentano la maggioranza dei tipi presenti, secondo la classificazione di Cruden e Varnes (1996). A scala regionale, un numero così elevato di grandi frane periodicamente riattivate dipende principalmente da fattori geologici, vale a dire qualità dei terreni, e da fattori climatici. Un significativo contributo alla franosità è fornito dal complesso assetto strutturale delle unità tettoniche

Figura 1.2 – Ripartizione numero di frane per tipo di movimento

appenniniche in cui l’impilamento delle falde e le deformazioni associate hanno spesso portato unità rocciose deboli (flysch calcareo-marnoso-pelitici). L’Appenino emiliano-romagnolo, oltre ad essere caratterizzato da questa complessa natura litico-strutturale, è “indebolito” dall’abbondanza delle coltri detritiche che coprono i versanti con spessori ed estensioni variabili. La distribuzione delle unità litologiche nel territorio regionale, come sintetizzato in Figura 1.3, evidenzia l’abbondanza di litologie argillose e marnose, ad alternanze litologiche, in cui la componente argillosa diventa significativa ai fini della stabilità. Infine, è opportuno ricordare che la riattivazione di una frana si verifica spesso a seguito di eventi meteorici intensi e/o prolungati, processi di disgelo e terremoti, come dimostrano molti casi (Carboni et al., 2001; Basenghi et al., 2001).

Figura 1.3 - Carta Litotecnica. A: rocce lapidee; As: rocce lapidee stratificate; Bl: alternanze lapidee/pelitiche con L/P>3; Blp: alternanze lapidee/pelitiche con 0,3<L/P<3; Bp: alternanze lapidee/pelitiche con L/P< 0,3; Cc: conglomerati clasto-sostenuti ; Cm: conglomerati matrice sostenuti; Cs: sabbie debolmente cementate; Da: argille consolidate; Dm: Marne; Dol: Argille olistostromiche; Dsc: Argille tettonizzate e argilliti; G: Gessi; Gc: Gessi in giacitura caotica.

1.1. Le formazioni argillitiche

La formazione delle Argille a Palombini, litotipo predominante nella Valle del Reno, è composta da unità fortemente deformate o completamente scompaginate in cui non è più possibile il riconoscimento di strati. Tale formazione è nota in bibliografia anche con il nome “storico” di Argille Scagliose (Pini et al., 1999). Dal punto di vista composizionale si tratta di depositi argillitici grigio-scuri, fissili, con intercalazioni di calcari micritici grigi e biancastri in strati medi e sottili e di livelli di arenarie fini laminate, talora con presenza di blocchi ofiolitici (Regione Emilia- Romagna, 1994). La composizione dei terreni ha, inoltre, un forte riflesso sull’assetto idrogeologico dei versanti nei quali spesso si alternano parti detritiche dalla permeabilità varia, parti identificabili come ammassi rocciosi fratturati permeabili e porzioni argillose pressochè impermeabili.

2. Caso studio

2.1. Contesto litologico ed ambientale

In questo lavoro viene presentata l’attività svolta nell’ambito del controllo dell’area di frana di Cà di Malta. Si tratta di una frana complessa di riattivazione la cui coltre di alterazione appartiene alle “argille scagliose”. Nota fin dal 1914 per i danneggiamenti causati alla riva del fiume Reno, nel 1996, in seguito ad un lungo periodo di riposo, ne ostruì quasi completamente il corso creando una situazione di emergenza: da qui la necessità di interventi di consolidamento e di controllo. Il substrato dell’area di frana è rappresentato dalla Formazione delle Argille a Palombini e dalla Formazione delle Argille Varicolori, appartenenti all’unità strutturale più alta della catena nord-appenninica (Liguridi) (Regione Emilia-Romagna, 1994). Tali formazioni affiorano estesamente, quasi sempre con morfologie calanchive, nel versante destro di questo tratto della valle del Reno e sono in contatto tettonico con lembi epiliguri delle Formazioni di Cigarello, di Pantano e delle Marne di Antognola che affiorano sul crinale presso l’abitato di Grizzana Moranti. I dislocamenti tettonici si estendono anche all’interno delle stesse formazioni argillitiche (Argille Varicolori e a Palombini) e, come già accennato, influenzano alcune importanti frane del versante in oggetto. Lo stralcio della carta geologica di Figura 2.2 evidenzia un lineamento, di tracciato incerto, che delimita la frana di Ca’ di Malta. Negli strati più superficiali dei versanti argillitici si ritrovano materiali a componente argillosa alterata, o veri e propri depositi di frana.

Figura 2.1 – Collocazione

geografica della frana di Ca’ di Malta

Figura 2.2 – Carta

geologica dell’area di Ca’ di Malta

(Regione Emilia-Romagna, 1994,

modificata)

2.2. Analisi stratigrafica

Il dettaglio stratigrafico è stato ottenuto grazie a due fori di sondaggio (Punti 1 e 3 in Figura 2.3, Tabella2.1). La ricostruzione delle colonne stratigrafiche unitamente a misure inclinometriche, indagini sismiche e geoelettriche (Merni et al., 2002) ha portato alla conclusione che lo scorrimento interessa uno strato spesso 4-6 m, composto da argilla rimaneggiata, mentre la transizione tra la copertura (costituita ancora una volta da argilla, ma non rimaneggiata) e il substrato roccioso è situata a 12-16 m di profondità.

Il presente caso non risulta affatto semplice poiché un singolo litotipo presenta svariati livelli di plasticizzazione e rimaneggiamento (S. Castellano et al., 2005). Infatti le indagini evidenziano che le

deformazioni del corpo instabile

avvengono nel materiale alterato argilloso

(già descritto in precedenza), ricco di

frammenti di roccia calcarea (derivanti

dalle formazioni di calcare a palombini,

calcare mitrico) e sede di inclusioni di

formazioni di argilla varicolori, mentre lo

strato sottostante è costituito da una

formazione di argilla a palombini e argilla

varicolori.

Tabella 2.1 – Risultati dei sondaggi (Passive Seismic Stratigraphy: A new efficient, fast and economic technique, S. Castellano et al., 2005)

Risultati del sondaggio a carotaggio continuo effettuato nel

punto 1 punto 3

Profondità [m] Descrizione stratigrafica Profondità [m] Descrizione stratigrafica

Fino a 5.30 Argilla limosa grigio nocciola con ghiaia e ciottoli di natura calcarea

Fino a 5.50 Argilla limosa nocciola con trovanti decimetrici di natura calcarea

Fino a 12 Argilla debolmente limosa grigia con trovanti decimetrici di natura calcarea

Fino a 12 Argilla debolmente limosa grigia con trovanti decimetrici di natura calcarea

Figura 2.3 - In alto: localizzazione della frana di Ca’ di Malta e della strumentazione installata per il suo monitoraggio. In basso: profili schematici della frana in anni diversi

2.3. Inquadramento vegetazionale ambientale

L’area in esame interessa una porzione di versante immediatamente sovrastante il corso del Fiume Reno, in destra idraulica, all’interno del Comune di Grizzana Morandi, con altitudini comprese tra 180 e 300 m s.l.m. ed esposizione prevalente ad ovest. I fattori climatici sono caratterizzati da un regime termico di tipo temperato subcontinentale, con temperature medie annue comprese tra 10° e 12° C e forti escursioni termiche tra il periodo freddo (media di gennaio 1,5 °C) e quello più caldo (media di luglio 24 °C). La pluviometria risulta di tipo submediterraneo, con piogge distribuite nei mesi autunno-invernali e un periodo siccitoso estivo. La zona boscata ripariale risulta limitata ad una ristretta fascia sovrastante l’alveo fluviale ed è caratterizzata dalla presenza di specie igrofile arboree ed arbustive, appartenenti prevalentemente ai generi Salix e Populus, oltre ai più sporadici ligustro, rosa canina, robinia ed olmo.

2.4. Cronostoria della frana

Le prime informazioni riguardanti la storia del versante dissestato di Ca’ di Malta risalgono al 30 maggio 1914 (Archivio di Stato, 1914; Autorità di Bacino del Reno, 1998). Si riportava, infatti, della distruzione di parte della strada per Vergato a Carviano, in località Ca’ di Malta. Da allora la frana è rimasta presumibilmente quiescente o, quanto meno, i movimenti sono sempre rimasti entro una soglia accettabile fino al 1996 quando, nel mese di ottobre, si verifica un’intensa fase di attività che porta alla parziale distruzione della difesa spondale in gabbioni posta alla base del versante, alla quasi totale occlusione dell’alveo del Fiume Reno e alla distruzione completa del tratto di strada comunale. Il fianco destro ha inoltre lambito l’edificio posto sotto strada in località Ca’ di Malta. A seguito del preoccupante franamento, il Comune di Grizzana Morandi esegue un intervento di emergenza consistente essenzialmente in una sistemazione del versante mediante l’escavazione e allontanamento dell’ammasso di frana che occludeva parzialmente l’alveo del fiume, senza però predisporre un’adeguata rete di drenaggio superficiale. Inevitabile conseguenza della mancanza di un corretto drenaggio fu la mobilizzazione della parte mediana della frana successivamente ad un’intensa piovosità nell’ottobre 1998. Il monitoraggio degli spostamenti ha consentito la definizione di un modello geologico dal quale è derivato un progetto esecutivo di intervento, a cui viene affiancato un programma di monitoraggio degli spostamenti e delle pressioni interstiziali in continuo nella zona di nicchia. Nell’inverno del 2003, quando le opere di consolidamento non erano ancora state completate (in particolare non era stato terminato il reticolo di scolo superficiale), a seguito di abbondanti nevicate e di un repentino scioglimento della coltre nevosa che aveva gravato sul corpo di frana, si sono verificati alcuni fenomeni localizzati di riattivazione.

2.5. Cinematismi di attivazione

Osservazioni geomorfologiche e analisi di fotogrammetria aerea (tra il 1976 ed il 2000) hanno evidenziato un’attività caratterizzata dalla successione temporale di diversi meccanismi (Working Party on World Landslide Inventory classification, WP/WLI, 1993a,b). Il cinematismo tipico di innesco, propagazione e coalescenza dei movimenti è stato identificato in una sequenza di movimenti che, come riportato in Figura 2.4, viene descritta brevemente nel seguito. Il meccanismo di innesco è stato identificato come un’attivazione di piccole porzioni del corpo di frana principale (Fig. 2.4 a, b). Gli scorrimenti “minori” iniziali hanno un prevalente carattere roto-traslativo e coinvolgono le zone più ripide della scarpata. Il materiale spostato sovraccarica la zona a valle aumentando gli sforzi di taglio lungo le superfici di debolezza già presenti, mentre la nicchia di neoformazione diminuisce il contributo delle resistenze sulla porzione a monte dell’area riattivata (Fig. 2.4 c) (il deposito subisce un rapido declino delle proprietà meccaniche e, una volta saturo, è soggetto a rammollimento e perdita di consistenza). Per fasi di attività successive l’instabilità si propaga spazialmente sia longitudinalmente (Fig. 2.4 d, e) che lateralmente. La riattivazione globale della frana avviene con un meccanismo in condizioni non drenate a causa di un brusco aumento delle pressioni neutre dovuto al deposito di materiale (Hutchinson et al., 1971; Hutchinson et al., 1988).

Cronostoria della frana di Ca’ di Malta

Data di riattivazione Conseguenze

maggio 1914 Danneggiamento di parte del fiume Reno

ottobre 1946 Ostruzione dell'alveo, interventi di emergenza

novembre 1998 Scivolamenti rotazionali in testa

inverno 2003 Fenomeni di riattivazione

Tabella 2.1 – Riattivazioni registrate

Figura 2.4 – Modello concettuale della riattivazione della frana di Ca’ di Malta

3. Monitoraggio

Al fine di monitorare gli spostamenti della frana con un sistema di misura correlabile ai potenziali meccanismi di innesco, sono stati predisposti strumenti di controllo ad acquisizione continua e discontinua. Il sistema di monitoraggio consta di:

- n. 3 inclinometri con profondità variabili da 18 a 24 m;

- n. 2 piezometri a tubo aperto con profondità variabili da 8 a 15 m finestrati lungo l’intero corpo di frana attraversato (Figura 2.3);

- n. 1 stazione pluviometrica;

- strumentazione topografica GPS: 12 punti monitorati in modalità statica (rapida); 2 stazioni permanenti (con antenna) ad acquisizione continua e innumerevoli punti di rilievo in modalità cinematica;

- strumentazione di acquisizione dati con fotogrammetrica aerea.

3.1. Misure inclinometriche e piezometriche A seguito dell’ultima riattivazione, nel 1999, la pubblica amminisstrazione ha previsto fori di sondaggio e l’instrallazione di inclinometri e piezometri per definire geometria e stratigrafia del sottosuolo, come già illustrato nel paragrafo precedente. Inoltre per stimare i potrenziale allargamento del corpo frana due piezometri e due inclinometri sono stati installati sul confine dello stesso (Figura 2.3). Nel corpo principale della frana l’inclinometro 1, situato in una zona di accumulo, ha segnalato un piano di rottura plastica alla profondità di circa 5,5 m (la ridotta profondità è conseguente anche all’opera di asportazione di materiale effettuata durante i lavori del 1997). Gli inclinometri posti al di fuori dell’area di frana (inclinometri 2 e 3 in Fig. 3.1), tuttavia, non sono rimasti completamente stabili, ma hanno evidenziato un comportamento viscoso dei livelli più superficiali, con una deformazione che si riduce progressivamente dalla superficie in profondità (deformazioni moderate e non localizzate). Tale movimento differenziale è stato comprovato anche dai rilievi GPS (Fig. 3.8, vettori spostamento) che hanno segnalato velocità di spostamento elevate sul corpo di frana e velocità molto basse (ma non nulle) esternamente all’area franosa.

La velocità media, calcolata tra l’ottobre del 1999 e il febbraio del 2000, in testa all’inclinometro 1 è di circa 9 mm/mese. Le misure piezometriche condotte nello stesso periodo individuano la presenza del piano di falda in prossimità della superficie topografica.

Figura 3.1 - Dati inclinometrici La mancanza di informazioni precise rigurdo le riattivazioni dell’ottobre del 1996 e del novembre del 1998 non permettono di formulare una relazione tra le caratteritiche delle precipitazioni e l’attività della frana. La Figura 3.2 presenta la sequenza temporale della velocità media di spostamento. L’inclinometro 1, situato all’interno del corpo frana, registra velocità di circa 10 mm/mese. La velocità media degli spostamenti relativa agli inclinometri 2 e 3, situati in testa, è compresa in un intervallo tra 1,2 e 3 mm/mese. Dunque, la velocità degli spostamenti in testa, in corrispondenza del limite superiore del corpo frana, è di circa un ordine di granzdezza inferiore rispetto a quella registrata all’interno della massa instabile.

Figura 3.2 - Precipitazioni giornaliere dal 1° gennaio 1996 al 14 febbraio 2002, sequenze temporali delle velocità di spostamento misurata dagli inclinometri

3.2. Fotogrammetria digitale Le tecniche fotogrammetriche digitali hanno la capacità di derivare in maniera automatica DEM ad alta risoluzione da stereofoto, fornendo una rappresentazione dettagliata della superficie topografica. La fotogrammetria digitale applica gli stessi principi e metodi della tradizionale fotogrammetria analogica (Chandler et al., 1999). Si basa sul concetto di collinearità per cui punto osservato, centro della lente e risultante immagine del punto giacciono su una singola retta nello spazio a 3 dimensioni. Sulla base di questo principio, le coordinate che rappresentano il punto nelle 3 dimensioni possono essere estratte da uno stereogramma di fotografie, a condizione che la geometria interna (orientazione interna) e la posizione e l’orientazione della fotocamera (orientazione esterna) siano noti al momento dell’esposizione. Definiti i rapporti tra le fotografie e la superficie del terreno è possibile estrarre le coordinate di qualsiasi punto del sito per creare un DEM. All’attualità questo processo è completamente automatizzato (Wolf et al., 2000).

Figura 3.3 - Immagine di riferimento (a) dell’area di frana e dintorni ottenuta dalla scansione e digitalizzazione di fotografie aeree a scala di circa 1:4000. Shaded relief (b) della stessa area ottenuta dall’elaborazione (stereoscopica) delle immagini digitali (rilievo ombreggiato): il corpo di frana è

evidenziato dalla linea tratteggiata.

La ricostruzione tridimensionale è ottenuta grazie ad algoritmi basati su diverse tecniche che permettono di ottenere facilmente il modello digitale. La precisione dei risultati dipende strettamente dalla risoluzione e dalla scala delle foto, dalla formulazione dell’algoritmo, dalla qualità dell’immagine, dall’eventuale presenza di ombre e dalla morfologia della superficie topografica (Achilli et al., 1997). La Figura 3.3 illustra il risultato di un’osservazione con fotogrammetria aerea della frana di Ca’ di Malta nell’aprile del 2000. Tre foto in scala 1:4400 sono state scannerizzate utilizzando un sistema di scansione digitale (Helava Digital Scanning Workstation, DSW) ed un software di conversione (LH Systems, LLC, 1999) (Tabella 3.1). L’immagine digitale è stata vincolata a 24 punti superficiali di controllo, univocamente identificati sull’immagine. La posizione dei punti è osservata con accuratezza centimetrica dalle misure GPS. Un sistema di aggiustamento permette la regolazione dell’immagine affinchè le posizioni dei punti nelle immagini siano correlate. Utilizzando il modulo di correlazione automatica è stato generato un gridDEM con celle di 0,5 m per definire la forma della frana con alta risoluzione spaziale e la topografia dell’area circostante. Il DEM è stato rielaborato per rimuovere elementi di disturbo (alberi, costruzioni) e modificare le sponde del fiume Reno e le strade. In Figura 3.3 b linee di discontinuità e bruschi cambiamenti di topografia derivano dalla rimozione delle aree non correttamente correlate nei processi automatici (circa il 15% dell’area di studio).

Tabella 3.1 – Indagini fotogrammetriche, sistemi di acquisizione e analisi dei dati

3.3. Il GPS per il monitoraggio di movimenti di massa

Il GPS è un sistema di posizionamento estremamente efficace che consente di misurare reti geodetiche ed eseguire rilievi di dettaglio con precisioni elevate; l’accuratezza del risultato dipende dalla tecnica di acquisizione dati utilizzata, dalla configurazione satellitare presente al momento della campagna di misura, dalla geometria della rete, e dai fattori atmosferici che intervengono a ritardare la propagazione del segnale nel tragitto satellite-antenna. La tecnologia GPS è stata utilizzata estensivamente, con metodologie di acquisizione Statica, Rapido-Statica e Cinematica, al fine di ottenere un buono ed affidabile sistema di monitoraggio di movimenti di massa. La discriminante, nei metodi citati, è soprattutto il tempo di acquisizione e l’intervallo di campionamento: nella zona di nostro interesse, di limitate dimensioni, dove le linee di base tra le stazioni osservanti sono di lunghezza inferiore al chilometro, i valori dei tempi di misura variano tra 6-12 h per l’acquisizione Statica e tra 8-10 min. per quella Rapido-Statica con intervalli

di 15 s, fatta eccezione per le misure Cinematiche in cui l’intervallo di campionamento è posto a 1 s. La rete, materializzata sulla frana e nell’area esterna ad essa, è costituita da 12 vertici impiantati su grossi massi parzialmente inglobati nella coltre di alterazione (marked points), e da due stazioni di riferimento permanenti, OLISTO e MASTER, poste la prima nell’area di nicchia su un blocco di grandi dimensioni (Figura 3.4) e la seconda su un pilastrino di cemento armato, in una zona esterna ritenuta stabile. Per estendere l’indagine ad un’area più ampia, sono stati anche segnalizzati numerosi punti lungo 3 profili, scelti secondo il criterio di massima pendenza (pegged points, Figura 3.5).

Figura 3.4 – Stazione GPS fissa di OLISTO situata su un blocco roccioso situato sulla parte superiore della frana

Figura 3.5 – Mappa dei punti di misura GPS (coordinate UTM).

Ripetute campagne di misura hanno fornito set di coordinate dei punti con precisioni sub-centimetriche permettendo di ottenere una accurata stima dei movimenti superficiali (Tabella 3.2). Nel contempo le stazioni di riferimento MASTER e OLISTO hanno lavorato in acquisizione continua trasferendo i dati al centro di elaborazione mediante collegamento modem GSM/PSTM (Figura 3.6). Grazie ad una procedura automatica di processamento del dato, sono state determinate giornalmente le soluzioni ed una stima della velocità del movimento relativo tra le due stazioni, che è risultato mediamente di circa 10 cm/anno. I 2 rilievi cinematici, effettuati sull’intera area di frana, hanno permesso di passare da uno studio puntuale, riferito cioè ai vertici GPS distribuiti lungo profili prestabiliti, ad uno areale più completo. L’operatore, camminando con lo strumento predisposto per acquisire il segnale ogni secondo, descrive tutto il corpo di frana ed il suo perimetro: la densità elevata delle misure, 1 punto per metro

circa, è

sufficiente per l’interpolazione su griglia regolare e per la determinazione di un DEM. La precisione del modello è stata stimata mediante un’analisi di “crossover” (Baldi et al., 2000) applicando una statistica agli scarti in quota calcolati alle intersezioni delle tracce indipendenti. In considerazione dell’elevata precisione del modello è stato possibile effettuare un confronto diretto con un DEM di riferimento ricavato dall’elaborazione di immagini fotogrammetriche digitali relative al volo (precedente le campagne GPS) effettuato nell’aprile 2000 (Figura 3.3).

Figura 3.6 – Incremento della distanza tra le due stazioni GPS MASTER ed OLISTO

Tabella 3.2 – Risultati dell’osservazione Rapido-Statica; coordinate UTM modificate dei Marked points (N = North + 4906000 m; E = East + 668900 m; H= Height)

Tabella 3.3 – Indagini GPS, sistemi di acquisizione e analisi dei dati

Figura 3.7 – Movimenti planimetrici (Nord-Est) ed altimetrici per differenti Marked points e Pegged points, ottenuti in seguito agli aggiustamenti dei dati osservati. Quadrati, triangoli e cerchi rappresentano rispettivamente le componenti degli spostamenti in direzione Nord, Est e verticale

3.4. Analisi dei risultati

La campagna cinematica di indagini eseguita nel Novembre 2000 ha, dunque, consentito di ridurre gli errori di misuri sui marked e pegged points, portando il tempo di misura da 1-2 min. ad 1 s. In questo caso la precisione media delle coordinate dei punti aumenta sia rispetto ai risultati dell’analisi statica (errore di 0,011 m) che rispetto ai corrispondenti valori dei rilievi rapido-statici (errore di 0,004-0,005 m). In Figura 3.7 vengono rappresentati gli spostamenti osservati su una serie di punti; sebbene in molti casi le velocità siano costanti e comprese tra 1 e 2 cm/mese, alcuni pegged points, collocati nella zona centrale del corpo frana, registrano delle accelerazioni probabilmente dovute a spostamenti locali. Il movimento totale è raffigurato in Fig. 3.8; gli spostamenti al piede e nella parte sud in testa sono trascurabili. In corrispondenza del marked point situato in testa al tubo inclinometrico 2 (lato Sud della frana) i risultati GPS sono stati confrontati con le misure inclinometriche (Figura 3.1). La misura degli spostamenti GPS stima una velocità media di 1,63 mm/mese (aprile 2000 – luglio 2001), mentre le letture inclinometriche al piano campagna forniscono una velocità di 1,57 mm/mese (maggio 2000 – aprile 2001), compatibile con la misura del Sistema di Posizionamento Globale.

Infine, è stato possibile ottenere mappe di variazione di quota tramite il confronto tra DEM successivi ottenuti da rilievi GPS cinematici e rilievi fotogrammetrici. Il volume coinvolto nell’attività della frana è stato ottenuto comparando i valori altimetrici dei successivi DEM (Tabella 3.4). Questo confronto conferma che nel periodo d’osservazione non si verificano movimenti sostanziali.

Figura 3.8 –Vettori di spostamento totale dei punti monitorati ottenuti da osservazioni GPS Rapido-statiche (coordinate UTM), ottobre 2000-luglio 2001

Tabella 3.4 – Risultato del confronto tra i DEM, area di accumulo e di deplezione e corrispondenti volumi

La Fig. 3.9 mostra con maggior dettaglio la natura dei piccoli spostamenti: la parte alta del corpo frana è maggiormente interessata da abbassamenti, mentre al piede si registra una prevalenza di sollevamenti; le differenze tra i volumi negativi e positivi è da imputare ai fenomeni di erosione e alle attività antropiche (Zona 1 e 2 in Fig. 3.9, abbassamento topografico dovuto al rimodellamento del pendio per manutenzione stradale e costruzione di canali di drenaggio).

Anche se nel periodo di studio compreso tra l’aprile 2000 e l’ottobre 2001, come confermano i risultati della comparazione dei DEM, non si sono verificati sostanziali movimenti franosi (con l’utilizzo del modello rapido-statico), questo lavoro mette in evidenza la versatilità del metodo GPS. Campagne di misura statiche e rapido-statiche forniscono informazioni con precisioni millimetriche e comunque sub-centimetriche sul movimento dei punti materializzati nel corpo frana. Un sistema di acquisizione continua in punti chiave come la zona di nicchia fornisce un controllo in tempo reale nell’ottica di implementare un sistema di allarme. I rilievi in modalità cinematica consentono, a basso costo e con tempi di esecuzione ridotti (1 giorno di lavoro) di determinare modelli ad alta precisione integrabili con DEM derivanti dall’elaborazione digitale di immagini fotogrammetriche.

Figura 3.9 –Mappe di elevazione differenziale ottenute confrontando DEM successivi (coordinate UTM). Aree di elevazione differenziale anomale sono indicate con delle frecce

4. Proposte di intervento

Lo studio esaminato costituisce un’analisi di monitoraggio molto chiara e completa. Altri autori hanno

ulteriormente approfondito il caso relativo alla frana di Ca’ di Malta proponendo ulteriori analisi di monitoraggio

(laser scanner, Arianna Pesci et al., 2004, HVSR per stratigrafia sismica passiva, Silvia Castellano et al., 2005),

soluzioni per la gestione del rischio (integrazione del monitoraggio GPS in tempo reale e dei sistemi di allarme) e

costruendo un modello del pendio fisicamente basato.

Il modello idrogeologico del sottosuolo della frana di Ca’ di Malta è stato analizzato e approfondito nell’ambito di vari progetti di ricerca (formalizzati in varie forme tra Servizio Tecnico Bacino Reno e Dipartimento di Scienze della Terra e Geo-Ambientali dell’Università di Bologna). Esso è dettagliatamente descritto in Berti et al. (2003), Ghirotti et al. (2004) e Simoni et al. (2004), soprattutto riguardo agli effetti delle variazioni di pressioni interstiziali nella zona di nicchia. La strumentazione piezometrica in nicchia, evidenzia l’esistenza di differenti livelli di circolazione idrica del sottosuolo:

- una circolazione superficiale nella coltre di alterazione, influenzata direttamente dalla piovosità in cui il movimento dell’acqua avviene con moto principalmente verticale e quasi mai parallelo al versante, come suggerirebbero, invece, alcuni modelli di verifica di stabilità dei versanti con pendio indefinito;

- una circolazione più profonda nel substrato argillitico a bassa permeabilità in cui il trasferimento di massa è rallentato rispetto alla piovosità, al contrario delle variazioni delle tensioni neutre che si propagano come onde di pressione;

- una circolazione in discontinuità strutturali, non rilevata con certezza dalla strumentazione, ma testimoniata dai numerosi affioramenti idrici costantemente alimentati anche in stagioni particolarmente secche (es. l’estate 2003).

Ad un modello idrogeologico così strutturato mal si adattano quelle tecniche di consolidamento che hanno il compito di intercettare le acque circolanti parallelamente al versante come: trincee drenanti, dreni suborizzontali ecc. Inoltre il monitoraggio delle deformazioni del versante ha portato alla luce uno stile deformativo variabile da zona a zona.

4.1. Interventi di consolidamento Partendo dalle indicazioni fornite dal monitoraggio, puntando verso tecniche di consolidamento che privilegino lo smaltimento degli eccessi di pressioni interstiziali, identificati come i principali meccanismi di innesco negli strati più superficiali, si potrebbe optare per interventi a basso impatto ambientale, con l’intento di restituire un equilibrio il più possibile naturale all’area in frana. Lo scopo di tale intervento sarebbe innanzitutto quello di portare il versante a pendenze compatibili con le caratteristiche meccaniche dei terreni che lo compongono. A tale scopo si dovrebbe provvedere a regolarizzare il pendio, eliminando i dossi e gli avvallamenti causati dalle varie riattivazioni del movimento franoso, che provocavano in alcune aree la formazioni di ristagni di acqua.

4.2. Difesa spondale

Al piede della frana in destra idraulica era già presente una difesa spondale in gabbioni, che risultò danneggiata dalla riattivazione della frana nel 1994. Bisognerebbe, dunque, prevedere la difesa spondale mediante la realizzazione di una gabbionata o di una scogliera in massi ciclopici e/o Filter Unit (la scelta specifica della tipologia di intervento richiede analisi più approfondite). Tali strutture hanno lo scopo di difendere il piede della frana dall’erosione del F. Reno, evitando quindi riattivazioni del movimento franoso causate della mancanza di sostegno alla base del versante.

4.3. Sistemazioni idraulico-forestali

Intervenendo sulla pendenza mediante la creazione di piccole rotture alla continuità del versante, ottenute con la realizzazione manuale di palizzate, graticciate, cordonate, e realizzate a scacchiera ove la pendenza in genere si mantiene più accentuata, si favorisce uno spontaneo e più durevole insediamento di specie pioniere, che spesso rappresentano il primo passo verso una più omogenea copertura del suolo. La realizzazione di brigliette in legno e pietrame reperito in loco lungo i tratti più pendenti dei collettori principali è una tecnica di consolidamento rivelatasi alquanto efficace, soprattutto per ridurre i costi di manutenzione dei

fossi realizzati lungo i corpi di frana, ed in particolare sugli impluvi principali, localizzati lungo le linee di massima pendenza. Il contenimento dell’azione erosiva e del trasporto solido contribuisce a mantenere più a lungo la sezione del fosso in buone condizioni, evitandone il deterioramento e la perdita di funzionalità. L’utilizzo di tecniche che prevedono l’impiego di materiale vegetale vivo (arbusti e talee) accompagnato da opere strutturali in pali di legno e pietrame, garantisce inoltre un buon assorbimento dell’acqua presente negli strati superficiali del suolo. I fossi di scolo da realizzare per la regimazione superficiale dovranno essere presidiati con la posa di piante lungo gli arginelli con il fine di favorire il consolidamento della sezione mediante l’azione meccanica dell’apparato radicale e migliorare l’assorbimento idrico ed il drenaggio continuo dell’acqua presente negli strati interni del terreno. Le palizzate assicurano un buon sostegno meccanico e si realizzano alla base delle scarpate sulla porzione apicale del corpo di frana ed in prossimità di dossi e aree acclivi. I terrazzamenti comunque rinverditi anche artificialmente, favoriscono il reinsediamento della vegetazione spontanea. Sono realizzati con la posa longitudinale e trasversale di pali in legno che ne costituiscono la struttura portante. Infine lungo i fossi e i rii già esistenti nelle aree adiacenti alla colata, eventualmente ostruiti da vegetazione arbustiva ed arborea e da altro materiale vario (rifiuti, massi ecc.) di varie dimensioni all’interno della sezione di deflusso, potrebbero essere realizzati interventi di manutenzione straordinaria finalizzati al ripristino di corrette ed efficienti condizioni di deflusso idrico consistenti in:

- taglio della vegetazione arborea ed arbustiva presente in alveo e sulla parte inferiore delle scarpate interne;

- asportazione e riassetto manuale di materiale lapideo di modeste dimensioni;

- risezionamenti puntuali e asportazione di materiale di medie dimensioni;

- interventi localizzati di ripristino delle opere (briglie, canalette) in cemento armato già presenti e mai oggetto di manutenzione, consistenti in stuccature e rinforzi;

- realizzazione di briglie in legname e pietrame nella porzione più a valle del fosso, finalizzate a contenere lo scavo di fondo del torrente, che innesca instabilità sulle scarpate sovrastanti.

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