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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 AGOSTO 2012 NUMERO 389 CULT La copertina BARTEZZAGHI E ROSENTHAL Fuori di test perché in Italia i quiz sono spesso incomprensibili La recensione ANTONIO GNOLI Messico e fiamme alla scoperta del feroce Juan Rulfo All’interno La lettura JULIAN BARNES Vita da bibliofilo che ha scoperto se stesso attraverso l’odore dei volumi La mostra FABRIZIO D’AMICO La “Corrente” degli artisti che seppe sfidare il fascismo L’opera ANGELO FOLETTO Placido Domingo sale sul podio e illumina le notti di Verona Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “Il maestro delle nuvole” Il papà di Bambi, un cerbiatto per fermare Hitler Spettacoli MARIO SERENELLINI e FRANK THOMAS Dal Mediterraneo al Grande Nord geopolitica del noir Le storie MASSIMO VINCENZI S ono templi cristiani e insieme pagani. Celebrano tradi- zione religiosa e ricerca di fortuna, omaggio ai defunti e invocazione alla sorte. Sono le edicole votive di Na- poli, le più belle del mondo. Nate nei secoli senza chie- dere permesso: una grazia ricevuta o un omaggio alla Madonna erano sufficienti. La più bella di tutte, per quanto mi riguarda, è quella di Porta San Gennaro dipinta da Mat- tia Preti. Ma una delle più fotografate dai turisti è quella di Piazza Nilo dedicata a Diego Armando Maradona con il suo capello rigo- rosamente considerato “originale”. Chi è cresciuto nei vicoli na- poletani è abituato a vedere questa sorta di piccole grotte o di pic- coli altari che accolgono delle statuine, i “gessetti” — così vengono chiamati — come se fossero pastori da presepe, per metà avvolti si- no alla vita nelle fiamme. Sono le anime del purgatorio. Accanto si mettono le foto delle persone morte, più raramente le foto di qual- cuno che aveva chiesto la grazia ed era stato accontentato. Napoli ha sempre avuto una particolare passione per il purga- torio, lo ha sempre preferito agli inferni e ai paradisi. Il purgatorio ROBERTO SAVIANO è un luogo di transizione dove il peccatore può essere aiutato e il peccato può essere “risolto”. Se un’anima è all’inferno o in paradi- so non c’è più niente da fare. Se è in purgatorio, chi è rimasto sulla terra può dare una mano: le preghiere, il ricordo, i comportamen- ti umani possono contribuire a mandare un’anima in paradiso. E soprattutto, una volta che si è data una mano, l’anima che sale al cielo può ridare una mano giù sulla terra a chi l’ha aiutata. Le ani- me del purgatorio sono anime che vanno aiutate e che aiutano. E le edicole votive sono la loro celebrazione. Da un po’ di tempo, Napoli e la provincia iniziano a disseminar- si di edicole votive abusive che hanno perso l’eleganza del passa- to. Sono degli altari di marmo pesante, con pesanti immagini di Madonne o del Volto Santo di Cristo, e pesanti crocifissi d’argento. Sembrano lapidi, cappelle cimiteriali. Sono costruite in alluminio e vetro, come verande, come stanze ricavate nel muro, tra un ne- gozio e l’altro, tra un portone e l’altro. (segue nelle pagine successive) Santi I Gomorra Morti ammazzati, morti per droga, morti per caso, morti a Napoli Celebrati accanto a Cristo e Madonne Il viaggio di Saviano nella memoria condivisa delle edicole votive di

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 12AGOSTO 2012

NUMERO 389

CULT

La copertina

BARTEZZAGHI E ROSENTHAL

Fuori di testperché in Italiai quiz sono spessoincomprensibili

La recensione

ANTONIO GNOLI

Messico e fiammealla scopertadel feroceJuan Rulfo

All’interno

La lettura

JULIAN BARNES

Vita da bibliofiloche ha scopertose stesso attraversol’odore dei volumi

La mostra

FABRIZIO D’AMICO

La “Corrente”degli artistiche seppe sfidareil fascismo

L’opera

ANGELO FOLETTO

Placido Domingosale sul podioe illumina le nottidi Verona

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certaidea di mondo:“Il maestrodelle nuvole”

Il papà di Bambi,un cerbiattoper fermare Hitler

Spettacoli

MARIO SERENELLINIe FRANK THOMAS

Dal Mediterraneoal Grande Nordgeopolitica del noir

Le storie

MASSIMO VINCENZI Sonotempli cristiani e insieme pagani. Celebrano tradi-zione religiosa e ricerca di fortuna, omaggio ai defuntie invocazione alla sorte. Sono le edicole votive di Na-poli, le più belle del mondo. Nate nei secoli senza chie-dere permesso: una grazia ricevuta o un omaggio allaMadonna erano sufficienti. La più bella di tutte, per

quanto mi riguarda, è quella di Porta San Gennaro dipinta da Mat-tia Preti. Ma una delle più fotografate dai turisti è quella di PiazzaNilo dedicata a Diego Armando Maradona con il suo capello rigo-rosamente considerato “originale”. Chi è cresciuto nei vicoli na-poletani è abituato a vedere questa sorta di piccole grotte o di pic-coli altari che accolgono delle statuine, i “gessetti” — così vengonochiamati — come se fossero pastori da presepe, per metà avvolti si-no alla vita nelle fiamme. Sono le anime del purgatorio. Accanto simettono le foto delle persone morte, più raramente le foto di qual-cuno che aveva chiesto la grazia ed era stato accontentato.

Napoli ha sempre avuto una particolare passione per il purga-torio, lo ha sempre preferito agli inferni e ai paradisi. Il purgatorio

ROBERTO SAVIANO

è un luogo di transizione dove il peccatore può essere aiutato e ilpeccato può essere “risolto”. Se un’anima è all’inferno o in paradi-so non c’è più niente da fare. Se è in purgatorio, chi è rimasto sullaterra può dare una mano: le preghiere, il ricordo, i comportamen-ti umani possono contribuire a mandare un’anima in paradiso. Esoprattutto, una volta che si è data una mano, l’anima che sale alcielo può ridare una mano giù sulla terra a chi l’ha aiutata. Le ani-me del purgatorio sono anime che vanno aiutate e che aiutano. Ele edicole votive sono la loro celebrazione.

Da un po’ di tempo, Napoli e la provincia iniziano a disseminar-si di edicole votive abusive che hanno perso l’eleganza del passa-to. Sono degli altari di marmo pesante, con pesanti immagini diMadonne o del Volto Santo di Cristo, e pesanti crocifissi d’argento.Sembrano lapidi, cappelle cimiteriali. Sono costruite in alluminioe vetro, come verande, come stanze ricavate nel muro, tra un ne-gozio e l’altro, tra un portone e l’altro.

(segue nelle pagine successive)

SantiI

GomorraMorti ammazzati,

morti per droga,morti per caso,morti a Napoli

Celebrati accantoa Cristo e Madonne

Il viaggiodi Saviano

nella memoriacondivisa

delle edicolevotive

di

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(segue dalla copertina)

u quasi tutti gli altari, in cornici sempre pesantissime, fotografie di defunti. Ancoraanime, ma stavolta anime di morti ammazzati e spesso ammazzati dalla camorra.E così queste edicole diventano una sorta di memoria dei caduti di guerra, dellaguerra tra clan. I quartieri in cui fioriscono queste edicole hanno la necessità di te-nere in vita il defunto in una forma più forte che con una messa o un semplice ri-cordo dei familiari. Il cimitero è troppo lontano, è troppo privato, il ricordo è trop-po circoscritto al dolore di chi conosceva il morto. L’edicola, invece, vuole far pre-sente e vuole mettere nel presente la memoria del defunto e condividerla con altridefunti: infatti non c’è quasi mai un solo morto, si accumulano uno sull’altro ungruppo di persone che hanno lo stesso destino, lo stesso movente. Tutte uccise otutte morte giovani. O semplicemente parenti e vicini di casa. Quindi, l’edicola di-venta un modo per conservare memoria e monito, ricordo e insegnamento.

La camorra è un’organizzazione con molti affiliati giovani. Le organizzazioni cri-minali, a differenza delle aziende, investono e affiliano soprattutto tra le nuove ge-nerazioni. A morire di più quindi sono giovanissimi. Ai Quartieri Spagnoli, a For-cella, alla Sanità, al Cavone, i visi, i ritratti in primo piano degli affiliati ammazzativengono messi dinanzi alla Madonna dell’Arco, alla Madonna di Pompei, al VoltoSanto e a Padre Pio. Più raramente a San Gennaro.

Può sembrare strano, potrebbe persinosembrare un’istigazione a delinquere. Mabisogna andare più a fondo. L’esempio di uncamorrista, di un ragazzo morto in una fai-da, ha un doppio monito: da un lato, il suoessersi immolato per far guadagnare la suafamiglia e se stesso dimostrando di preferi-re una morte animosa a una vita ferma e di-soccupata. Dall’altro, c’è però anche il “nonlo fare” o “se lo fai, finirai così”. Non c’è giu-dizio né in un senso né nell’altro. È davveroun misto drammatico il rapporto che i citta-dini hanno con le edicole votive dei camor-risti. Sono lì a ricordare i caduti. Non ne ne-gano l’aspetto negativo o l’elemento crude-le, anzi lo rivendicano in molti casi. È comese dicessero: ha sbagliato una scelta, ma unascelta l’ha fatta; era una scelta importanteche l’ha fatto diventare qualcuno. Però hapagato morendo giovane. Un’ambiguitàmorale che appare però chiara: puoi deci-dere di entrare nei clan e nessuno qui ti giu-dicherà male, ma se lo fai sappi che avrai unavita feroce. E morirai.

La camorra non si ritiene affatto in con-traddizione con la vita cristiana. Il boss con-

sidera il proprio agire identico al calvario di Cristo, il suo assumersi sulla propria co-scienza il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui coman-da. Il bene cristiano è ottenuto quando l’agire del boss è a vantaggio di tutti gli affi-liati del territorio che comanda. Mentre il potere del boss è visto come espressionedi un ordine provvidenziale, per cui anche ammazzare qualcuno diventa un attogiusto e necessario, che Dio perdonerà, se la persona ammazzata metteva a rischiola tranquillità, la pace, gli affari.

Ma non ci sono solo camorristi in queste edicole. Ci sono anche giovani uccisi omorti in incidenti. Per esempio, c’è l’edicola di Emiliana, una ragazza venticin-quenne ammazzata con sessantasei coltellate dal suo ex fidanzato. C’è la sua fotopiù bella: il suo viso abbronzato, un sorriso, le labbra con il rossetto porpora. Tuttiquando passano dinanzi a questa edicola le sorridono o si tolgono il cappello. So-pra la foto di Emiliana c’è il Santo Moscati, il santo medico. A fianco, altre foto dimorti. Ma l’edicola è dedicata a lei, si vuole prolungare la sua presenza nel quartie-re, non la si vuole abbandonare. Ci sono edicole con statue di Padre Pio a grandez-za naturale, fiori, piante, ma è la disposizione delle foto la logica segreta che tiene

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Le edicole dedicate ai santi di Napoli sono le più belledel mondo. Ma ora, accanto alle statue delle animedei defunti, compaiono decine di foto. Sono i mortidi camorra, affiliati o “sparati” per sbaglio, uccisi dalla drogao dalla guerra dei clan. Sacro e profano, colpevolie innocenti: tutti uniti nella stessa memoria

La copertinaGomorra

Un votoper disgraziaricevuta

COCAINADa sinistra: Gennaro Testa, ’O Cumbra per il colore della pelle, ucciso perchéaveva una relazione con la moglie di un boss dei Ricciardi; ’O Cerill e RenatoAscanio, ’O Luong per la sua altezza, morti per un infarto dovuto alla cocaina

FIORINella foto sopra, i fiori davanti all’edicola dedicata ad Annalisa Durante,la bambina innocente uccisa per sbaglio dalla camorra il 27 marzo 2004:il vero obiettivo dell’agguato era il boss Salvatore Giuliano

FORCELLASopra un’edicola votiva nel quartiere Forcella di Napoli:è dedicata a Raffaele Ivone, un giovane di diciannove anni,ucciso in un agguato di chiaro stampo camorristico

ROBERTO SAVIANO

Il purgatorioQuesta città ha una passioneper il purgatorio, lo ha sempre preferitoa inferni e paradisi. Perché è luogotransitorio, dove il peccatorepuò essere aiutato e il peccato “risolto”

‘‘Il destinoIl cimitero è troppo lontano, troppoprivato. Questi altari, invece, voglionofar presente e mettere nel presenteil passato e condividerlocon chi ha avuto lo stesso destino

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insieme il ricordo e la sua forza simbolica. Ce n’è una più grande per la famiglia chemagari ha pagato la costruzione dell’altare. Poi, più piccole, le foto di altri defuntiche sono spesso parenti, amici, o semplici vicini di casa della persona a cui l’edico-la è dedicata. Osservare le edicole della città è come attraversare una memoria uma-na e collettiva. La Spoon River di Napoli è in queste edicole. Vicino ai bassi, lungo lestrade, le salite. Quelle più pacchiane, quelle che cercano a stento un’eleganza im-possibile, quelle terribili perché piene di visi giovani. In un’edicola condividono lamemoria e lo spazio tre foto: quella di Gennaro, ammazzato esattamente in questopunto perché era l’amante della moglie di un boss. Al suo fianco c’è ’O Cerill, mor-to di cocaina. E poi c’è un cugino morto d’infarto anche lui a causa della cocaina.Un’edicola, che è un intero capitolo, un racconto di cuori esplosi per troppa coca.A Forcella c’è l’edicola dedicata ad Annalisa Durante, la bambina uccisa nel corsodi un conflitto a fuoco, con l’unica colpa di essere per strada. Non molto distante,c’è quella del braccio armato di Luigino Giuliano, ucciso negli anni Novanta. Ep-pure la sua foto è sempre circondata da fiori freschi, una memoria continua.

Le foto intorno a queste figure aumentano sempre di più. Edicole dedicate a unmorto ospitano altri morti. Il defunto più giovane o ucciso in maniera più tragica hala foto più grande come se si chiedesse al passante di concedere un ricordo mag-giore e in grado di compensare la sfortuna in vita del morto. Per esempio, la storiadi Vincenzo, detenuto a Torino che si ammazza mentre è in attesa del processo pertraffico di droga. Oppure quella di Raffaele,ammazzato a Napoli a diciannove anni. Unritratto gigantesco campeggia al centro del-l’edicola. Una faccia di bambino, un bam-bino cicciottello che a guardarlo non pen-seresti mai a un morto in una faida di ca-morra. A celebrarlo, pergamene in argento,fiori, vasi, ceramiche, volti di Madonne diogni epoca, rose. Il ricordo barocco.

Difficile scovare un singolo motivo chespinge una città a conservare in questo mo-do la memoria e spesso la memoria dellasua parte peggiore. In altre città esistono la-pidi che ricordano i morti del terrorismo, la-pidi che ricordano eventi storici, Napolistessa ne è disseminata. Ma sono come ri-cordi imposti. Invece queste lapidi sceltedalle persone, nate nei luoghi di qualche in-cidente o dove sono morti ragazzi e ragaz-ze, queste edicole popolari che deturpanospesso i vicoli e aggrediscono le pareti abu-sivamente, fanno parte di un’altra catego-ria, quella del ricordo non istituzionale, au-togestito. Non riesco, pur capendone spes-so lo scempio e persino la pericolosità, adaverne un’impressione soltanto negativa. Ècomunque una presenza. Una traccia. Una memoria. Queste foto sembrano volerdire qualcos’altro oltre il ricordo di un nome. Questa continua relazione con l’aldilànella quotidianità di Napoli è qualcosa di profondo e complesso, è il non essere maiin pace.

La morte, soprattutto se violenta, è una presenza quasi normale nella quotidia-nità di questa parte di mondo. Una città che si riempie di edicole a ricordo di giova-ni morti, una città piena di morti ammazzati, è una città dolente, è una città che nonsi vuole liberare e non riesce a liberarsi dal dolore inevitabile, dalla tragedia neces-saria, dal fatalismo della morte. C’è una frase in dialetto del rapper Lucariello nelpezzo ’O Spuorc cantato con i Co Sang che tradotta in italiano sintetizza bene que-ste edicole: «Per chi ha giocato sporco e neanche dopo morto riposa». A volte que-ste edicole sembrano — più che ricordare — costringere a non riposare. Non far ri-posare i parenti che soffrono. Non far riposare chi è morto. Non far riposare unacittà che continua ad avere un quotidiano che è sempre meno purgatorio. Semprepiù inferno.

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FIDANZATIIn alto, un altare dedicato a Emiliana Femiano, la giovane di venticinque anniuccisa con 66 coltellate dall’ex fidanzato Luigi Faccetti, il 22 novembre 2010Nel 2011 l’uomo è stato condannato a trent’anni di reclusione

SUICIDAIn alto, Vincenzo Lemmo, quarantotto anni, di Napoli, suicida nel carcere di TorinoEra in attesa del processo di appello per condanne per traffico e spacciodi sostanze stupefacenti; in basso a destra Sasà, ’O Cinese, morto per un tumore

IN MEMORIAMNell’immagine qui sopra: a sinistra la foto di Raffaele Storto, morto per un infarto;al centro, nella foto più grande, Ciccillo, ’O Cuzzecar, morto di vecchiaia;a destra, Alberto Lippa, morto per tumore

BOSSL’uomo al centro dell’immagine qui sopra è Tonino Capuano,considerato il braccio armato del boss del quartiere Sanità, Luigi Giuliano;viene ucciso a Napoli, nel rione Forcella, il 4 gennaio 1991

Il monitoL’esempio di un ragazzo caduto

in una faida ha un doppio monito:il suo essersi immolato per la famiglia

e il “non lo fare o finirai così”Ma non c’è giudizio morale

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘L’aldilà

Queste lapidi sembrano voler direqualcos’altro oltre il ricordo

Questa continua relazione napoletanacon l’aldilà è qualcosa di profondo,

è il non essere mai in pace

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LA DOMENICA■ 30DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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“Spiaggia incantevole, aree villini nel pineto”. Così recitavala pubblicità della Società Anonima Milano Marittima il 14 agostodi cent’anni fa. L’idea era lottizzare l’area vicino a Cerviae trasformarla nella città giardino “dei poveri diseredati” lombardiAndò in un altro modo. Dal Duce al Boom agli sceicchidi oggi, storia e leggende della Versilia di Romagna

La memoriaBuon Ferragosto

Nonavevano il mare, i mi-lanesi (cento anni fanon c’era nemmeno l’I-droscalo). E allora, sem-plicemente, se lo com-prarono. «Visitate la pi-

neta baciata dal mare, la Costa Verdeadriatica Cervia Milano Marittima».«Ogni lotto conterrà una villa circonda-ta da quel giardino naturale che è la pi-neta fornita di acqua potabile e dispo-sta in modo che tutte le ville abbiano lavia diretta al mare». «Milano Marittima,spiaggia incantevole, aree villini nel pi-neto». Già allora i milanesi ci sapevanofare, con la pubblicità. La “Costa Verde”fu inventata per fare concorrenza allaprestigiosa Costa Azzurra. Industriali enobili della città della Madonnina an-davano già in vacanza in Francia e so-prattutto sulle spiagge liguri ma lì pote-vano solo costruire ville, non una cittàintera. E così nacque «il sogno di unacittà ideale, di una città giardino dove lapoesia si sposasse alla praticità di vive-re». Trecento chilometri di treno, poicon una carrozza a cavalli o con le pri-me auto i tredici chilometri da Cesena

alla costa. E all’arrivo la soddisfazionedi poter dire: siamo sempre a Milano, ec’è pure il mare. La “Società AnonimaMilano Marittima s. a.”, capitale socia-le centomila lire, nasce nel 1911 ma so-lo il 14 agosto 1912 firma, davanti al no-taio Venturini, il rogito d’accordo conl’amministrazione comunale. Nella so-cietà — racconta il libro Milano al maredi Letizia Magnani — ci sono un sena-tore, tre avvocati, due pittori, un capo-mastro, un commerciante… “Invento-re” della Milano adriatica è uno dei pit-tori, Giuseppe Palanti, illustratore allaScala, architetto, pubblicitario. Capitaa Cervia, sede del Comune, per dipin-gere vele, pescatori e belle ragazze e ve-de che al di là del porto canale c’è sol-tanto «un bosco meravigliosamenteselvaggio». I salinari di Cervia chiama-

no questo bosco con le dune intatte «lamarena di fre», la marina dei frati, per-ché poco lontano c’è un convento difrancescani. I cervesi entrano in pinetasolo per raccogliere legna e pinoli. Sto-ria e leggenda si mescolano nel raccon-to della nascita della città giardino. Unfatto è certo: il pittore Palanti è bravissi-mo in quella che oggi si chiamerebbe lapromozione di un evento. Ai concitta-dini milanesi, invitati a costruire stradee ville nel bosco intatto, racconta chetanto la foresta sarebbe comunque inpericolo. «Già si è iniziato l’abbatti-mento, per farne campi di riso o barba-bietole [...] non per mancanza di buongusto, ma per creare mezzi di sussisten-za alla comunità». Ecologista ante litte-ram, assicura che saranno tagliati solopochi pini, negli spazi necessari per co-

struire «villini, parchi e giardini atti adattirare su questa spiaggia una nume-rosa colonia balneare». Al Comune diCervia — cui chiede la pineta in conces-sione gratuita — promette lavoro pertutti: per costruire la nuova Milano e poiper gestire questa «città nel pineto».

Turismo, in quegli anni, era a Cerviaparola quasi sconosciuta. Rimini e altrecittà della riviera romagnola erano giàfamose, con i loro kursaal e stabilimen-ti balneari. La città del sale aveva prova-to a mettersi fra «le fortunate sorelle ba-gnate dalle salse onde dell’Adriatico»,ma non aveva avuto fortuna. E dire che— correva l’anno 1873 — si era presen-tata sul mercato con molta umiltà.«Non invitiamo i prediletti dalla fortu-na — questo il manifesto preparato dalComune — che hanno il beneficio diuna rendita giornaliera dalle L.20 in su,invitiamo invece il povero impiegatuc-cio dallo stipendio mensile delle L.60 fi-no alle L.80 perché possa mandare aibagni la malaticcia consorte, o qualchefigliuolo. Invitiamo in una parola tutti ipoveri diseredati». Ma ben pochi ave-vano scritto al sindaco per prenotare«stanze disposte e preparate». Come di-re no, allora, a questi milanesi non cer-to diseredati e pieni di progetti?

«I milanesi al mare — scrive il sinda-co Giuliano Pisapia nella prefazione allibro di Letizia Magnani — hanno por-

tato sviluppo, apertura internazionale,cultura e tanti esempi di urbanistica earchitettura di qualità. Hanno portatoun turismo di élite che però ha aperto lastrada alla vacanza per tutti». I primi an-ni non sono però facili — cinque in tut-to le ville costruite — e poco dopo arri-va la Grande guerra. Tacciono i canno-ni, i cantieri riaprono e l’idea della cittàgiardino comincia a farsi conoscere. Siaprono i viali che permettono di arriva-re al mare e le rotonde che fino ad allo-

JENNER MELETTI

Quando Milano si comprò il mare

LE IMMAGINISopra e a destra, manifesti d’epoca della riviera;a destra qui accanto, il Mare e Pineta, primo hotel di lussonato nel 1928; a fianco, una delle prime spiaggeNella pagina accanto, la pensione Medusa; la copertina(dal manifesto di Giuseppe Palanti) del libro Milano al mare.Milano marittima: 100 anni e il racconto di un sognodi Letizia Magnani (Sbc Edizioni, 244 pagine, 7,99 euro);la riviera oggi (www.cerviaunavolta.com)

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ra si erano viste solo a Parigi. Non tanti milanesi si possono per-

mettere una villa e allora, nel 1924, na-sce la Civam, “Cooperativa italiana vil-lini e alloggi al mare e al monte”, presie-duta da Gerolamo Pirinoli, direttoredella Banca depositi e sconti di Milano.Prezzi modici, pagamento a rate. Si vuoldare un posto al sole «ai lavoratori di ta-volino, alla classe media emergente,gravata dal nuovo lavoro intellettuale eimpiegatizio». Nascono ville e villini, e

nelle prime il soggiorno parte a metàgiugno per arrivare alla fine di settem-bre. Per permettere ai futuri padroni dicasa di seguire i lavori da vicino, nel1928 si costruisce il Mare e Pineta, hoteldi lusso. Ha anche una grande terrazzaper le feste danzanti. La nuova cittàgiardino cresce però troppo lentamen-te, e il podestà si lamenta con «questabrava gente arrivata da Milano» cheperò, quando si tratta di tirare fuori ilportafogli, è un poco pigra. La SocietàAnonima Milano Marittima, a sua vol-ta, protesta perché le tariffe di muratorie operai «sono troppo alte, in media ildoppio o il triplo di quelle vigenti a Mi-lano, dove il costo della vita non è certoinferiore a quello di Cervia».

Si litiga, si minaccia di rompere laconvenzione e poi si va avanti. Il Comu-ne sa bene che se si cancellasse il pattola pineta tornerebbe a produrre solo le-gna e pinoli. Lo stesso Duce sostienequesta Milano al mare, arrivando in vi-sita nel 1937 per inaugurare un viale de-dicato al fratello Arnaldo Mussolini. LaFederazione dei fasci di Varese chiededi costruire una colonia marina, poi ar-riva anche la colonia della Montecatini.La risposta del podestà è sempre ugua-le: costruite pure ma limitate al massi-mo l’abbattimento dei pini e soprattut-to assumete manodopera locale. È undiscorso che non cambia nemmeno

dopo la Seconda guerra, quando al po-sto del podestà si susseguono sindacidel Pci. «Sì, potete costruire un gratta-cielo (a Milano Marittima ce ne sonodue, e il primo nasce nel 1958, in antici-po di due anni rispetto al Pirellone mi-lanese, ndr) ma imprese e operai deb-bono essere nostrani».

Milano Marittima diventa un pezzodi Versilia in terra di Romagna. Festecon signore in abito lungo e uomini insmoking. I milanesi continuano a co-struire ville e a comprare appartamen-ti. Concerti di Mina, Gino Paoli e Ornel-la Vanoni. Poi, come in tante località“mitiche”, tutto cambia. Il mini appar-tamento prende il posto della villa, icondomini oscurano i villini degli anniVenti. Cercarli adesso è come andare afunghi. Renato Lombardi, storico, ex

dirigente del Comune, è una guida pre-ziosa. «Ecco, questa era la villa di Giu-seppe Palanti. Bellissima». Ma di villaEgle sono rimaste solo le due colonneche reggevano il cancello, e dietro c’è unbrutto hotel, già abbandonato. «I vialihanno cambiato nome. Viale Mussoli-ni è diventato viale Matteotti. Ma lapianta della città è sempre quella, sicammina sotto i pini». «Questa è la co-lonia dei Monopoli di Stato. C’è un pro-getto per costruire un altro albergo grat-tacielo, cinquecento posti letto, concentro benessere». Si litigherà molto, suquesto progetto. Ma se si proporrà l’u-so di manodopera e imprese locali, co-me sempre tutto sarà risolto. Negli anniVenti i villini costavano dalle 10.500 al-le 15.500 lire l’uno. «Oggi un apparta-mento al metro quadro — dice il sinda-

co di Cervia, Roberto Zoffoli — nel ca-poluogo costa sui 4.000 euro, a MilanoMarittima fra i 7.000 e i 9.000 euro. ConMilano il legame è ancora stretto. Cihanno promesso che noi e la riviera ro-magnola saremo la spiaggia dell’Expo2015. Si immagini, venticinque milionidi visitatori…».

Nelle serate del weekend la “cittàgiardino” mostra due facce. Ragazziche fanno l’aperitivo a dieci euro a bic-chiere e poi vanno a dormire nei cam-peggi o in macchina. Feste e musica, in-vece, negli hotel di lusso. Ci sono tre 5stelle, otto 4 stelle superiori e quaranta-due 4 stelle. Antonio Batani — proprie-tario del Grand Hotel di Rimini — qui hacostruito il Select e sta ristrutturando ilMare e Pineta, per portare anche il vec-chio hotel del 1928 alle 5 stelle. Russi, in-glesi e svizzeri fra i clienti. Quest’anno èarrivato anche il principe Salman alSaud, dall’Arabia Saudita. Trentasettepersone per diciassette giorni. Unamanna per le boutique. «Hanno com-prato il mondo», dice il direttore del Se-lect, Alessandro Orzes. I milanesi,cent’anni fa, si accontentarono di com-

prare il mare.

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I DOCUMENTIA sinistra,il pianoregolatoredel 1911con il progettodella riviera(www.cerviaunavolta.com)Nella fotograndeal centro,il primostabilimentobalneare

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■ 32DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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I

JOHN REBUSIl poliziotto scozzeseche ama la solitudine,beve molto e si trova a suo agio nelle zonepiù malfamate della città dove risolvei suoi casi(Ian Rankin)

HARRY HOLERude, alcolizzato e talvolta drogato, è il poliziotto alto e biondo, dal forteintuito investigativo e dallo spiccato sensodella giustizia(Jo Nesbø)

KURTWALLANDERIl detective svedeseappare per la primavolta nel 1991 e ha un unico sogno:combattere i criminalipiù violenti(Henning Mankell)

HARRY BOSCH“Tutti contano o nonconta nessuno”è il motto del detectivereduce dal Vietnamprotagonistadi 17 romanzi: l’ultimo uscirà a novembre(Michael Connelly)

EDGAR MENDIETAAmante della tavola e della bottiglia,“El Zurdo”, perchémancino, conduce le sue indagini nel Messico corrotto dal narcotraffico(Elmer Mendoza)

Le storieIndizi

globalizzazione, l’esplodere delle diseguaglianze e della criminalitàsu scala industriale, a mettere un po’ d’ordine tra l’apparenza legalee la sporca trama sotterranea ci hanno pensato i giallisti. L’Italia ne èlo specchio evidente: per capire a fondo gli incubi dopati del Norde-st bisogna leggere Massimo Carlotto, per farsi catturare da quella mi-steriosa megalopoli popolata da mafie e serial killer che va da Mode-na al mare passando per Bologna bisogna affidarsi a Carlo Lucarelli.

Per fare il giro del mondo non bastano ottanta noir: dentro un im-maginario senza confini (grazie anche a cinema e televisione) dovegli autori quasi svaniscono per lasciare spazio ai loro personaggi. Chediventano compagni di avventure, come solo in rari casi (gli eroi diEmilio Salgari per capirci) è accaduto: dalla carta passano alla vita,quasi riconoscibili dal punto di vista fisico e psicologico. La mappaha nel Mediterraneo il suo epicentro: Pepe Carvalho, il detectivecreato da Manuel Vázquez Montalbán ci ha fatto innamorare di Bar-cellona. I sogni scheggiati di Fabio Montale, il poliziotto del france-se Jean-Claude Izzo, ci portano al centro di una Marsiglia in bilico traun sole accecante e l’ombra della violenza. Poi appunto Camillericon Montalbano e Petros Markaris con Kostas Charitos. Un filo li le-ga assieme: c’è molta analisi sociale, c’è un passato pesante, le ditta-ture (in Italia, Spagna e Grecia) che incidono sui destini personali, la

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del

Dal Mediterraneo all’AsiaDa Boston a GerusalemmeGiro del mondoattraverso il generepiù letto. E più antico

N PRINCIPIO fu Sofocle, nell’Edipo re l’ispettore è anche l’assassino,pur non sapendolo. Alle origini del noir, per dirla con le parole, forseun po’ di parte, di Petros Markaris (il Camilleri greco o viceversa) c’èil drammaturgo da Colono. E poi, come spesso è avvenuto ai pensieriellenici, con buona pace degli euroscettici, il vento si è gonfiato sof-fiando su tutto il mondo. Tanto che, dopo qualche millennio e alcu-ne variazioni sul tema, il genere si è mangiato le classifiche con il 48per cento dei libri venduti (nel 2011) e sta convincendo anche i criti-ci, solitamente titubanti ad assegnare la patente di vera (?) letteratu-ra ai creatori delle crime story.

Dal passato (per Markaris anche l’Emile Zola di Teresa Raquin«scriveva noir e ora ne sarebbe un maestro») a oggi un fiume carsicoche ha attraversato epoche, mode, gusti, superato crisi senza mai ve-nire eliminato, sempre rinascendo uguale a se stesso, eppure diver-so. Capace di adattarsi, di plasmarsi a seconda delle esigenze. Comesolo i classici, appunto, sanno fare. Con la letteratura che, dalla se-conda metà del Novecento, ha scommesso sul personale perdendola voglia di occuparsi della realtà, il noir si è trovato - quasi per caso -da solo a raccontarla. Caduti i muri delle ideologie, con l’arrivo della

PATRICK KENZIEE ANGELA GENNARO La coppia di detective,lui irlandese lei italiana,che indaga nei bassifondinasce nel 1994con il romanzo Un drinkprima di uccidere(Denis Lehane)

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La globalizzazione è una storia noir

LA DOMENICA

JOE LEAPHORNE JIM CHEESi svolgononella riserva Navajo i diciotto romanzi con protagonisti i due agenti della polizia indiana (Tony Hillerman)

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HAP COLLINSE LEONARD PINEUn omosessuale di colore e un biancoun po’ triste: sono i due detective antieroi, protagonistidi una fortunata serie(Joe R. Lansdale)

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MARIO CONDEDisincantato e spesso ubriaco, il tenente di polizia che avrebbe voluto fare lo scrittore nascenel 1989 protagonistadi una tetralogia(Leonardo Padura)

2MASSIMO VINCENZI

DAVEROBICHEAUXSoprannominato“Streak”, lo sceriffoveterano del Vietnamche lotta contropovertà, violenza e l’uragano Katrina(James Lee Burke)

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crimine

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■ 33DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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JEAN-BAPTISTEADAMSBERG Si affida più all’intuitoche al ragionamentoil commissarioparigino “spalatore di nuvole”, sognatore e disordinato(Fred Vargas)

KOSTASCHARITOS“Non sono un Ramboma un grecocomplessato”: è cosìche si definisce il brusco commissario amante dei vocabolari(Petros Markaris)

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PEPE CARVALHOEx militante comunistae agente della Cia,è un intellettualedeluso che usa i libriper accendereil caminetto(Manuel VázquezMontalbán)

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BERNIE GUNTHERSi svolgono nella Germania degli anni Trenta le vicende dell’expoliziotto diventatodetective perchéinviso ai nazisti (Philip Kerr)

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MICHAEL OHAYONHa una vita personaledifficile, all’apparenzaduro ma nel profondosensibile: prima di entrare in polizia si laurea in letteraturacontemporanea(Batya Gur)

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GRAZIA NEGROEnergica e ostinata, l’ispettore di polizia che riesce a incastrarei killer più violentifa la sua comparsanel 1994con Lupo Mannaro(Carlo Lucarelli)

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SALVOMONTALBANOIl commissariobuongustaio prestail suo serviziosulla costa siciliana,nella città immaginaria di Vigata (Andrea Camilleri)

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BRAHIM LLOBÈ l’incorruttibilecommissarioche spesso finisceper farsi giustiziada sé perché nessuno lo asseconda nelle sue inchieste(Yasmira Khandra)

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FABIO MONTALEIl protagonista della “trilogiamarsigliese” che ha dato vita al noir mediterraneo:ama la poesia, il jazz, il mare e il buon cibo(Jean-Claude Izzo)

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CHEN CAOIn una Shanghaidivisa tra passato e presente, indaga tra i misteri della mafia cinese e inchioda i funzionaricorrotti del regime(Qui Xiaolong)

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politica gioca da protagonista. Ci sono ambienti intrasformazione, dove i cicli dell’economia, con im-provvise ricchezze e repentine cadute, stravolgonogli assetti sino ad allora immobili e immutabili di ci-viltà contadine. L’immigrazione, come nella Fran-cia di Montale, che sposta altri equilibri, che scom-pagina ancora di più le carte sul tavolo. E dentroquesto caos tutto si colora di nero. Poca azione, an-cor meno pulp, molta cucina innaffiata da ottimivini (sono tutti gourmet) e una massiccia dose diironia: forse il vero marchio di fabbrica.

Ma le cose cambiano, l’asse si sposta al Nord. Pri-ma nella fredda Parigi immaginata da Fred Vargasper il suo sbilenco Adamsberg, poi ancora più su, si-no al ghiaccio screpolato degli scandinavi. Il padredi tutti (non riconosciuto quasi da nessuno) StiegLarsson ma ora e sempre di più con Jo Nesbø e il suoHarry Hole, l’ex poliziotto dalla disperata intelli-genza, che ha ormai superato in preferenze il rivalevirtuale, il detective svedese Kurt Wallander di Han-ning Mankell. Il quadro qui cambia: tanto sangue,

tanta violenza. Delitti frutto di una società malata, in crisi di identitàma anche molta più voglia di scavare dentro l’anima. Riflessioni si-lenziose ritmate dalla pioggia che scende incessante, segreti incon-fessabili sepolti sotto metri di neve. Poco spazio alla cucina, ancorameno all’ironia ma forse un po’ di sesso in più.

E il tour non si ferma e, anche se il noir fa i suoi giri portato dal ven-to (vola da Cuba alla Cina), deve per forza approdare negli Stati Uni-ti. Qui, non c’è Sofocle a tenerlo a battesimo, ma Chandler e Ham-met possono bastare. Atmosfere dark, pistole e mitra a non finire,tanti morti ammazzati, ampie dosi di whisky, spruzzate di cocaina equella immancabile patina glamour d’obbligo a casa Hollywood. Ècosì che dopo i due maestri il giallo colora ampia parte della lettera-tura americana, dove proprio in questi mesi Joe Lansdale festeggia ilsuo ingresso nei classici senza altri aggettivi: parola dei severi criticidel New York Times che hanno consacrato il suo ultimo Acqua buia.Poi la regina Patricia Cornwell, Don Winslow, Michael Connelly e viaelencando. Impossibile tenere aggiornato lo schedario del crimine,ma con la certezza che ci sarà sempre un detective alcolista o un po-liziotto stralunato pronti a vigilare sulle nostre vite di lettori spaven-tati ma felici.

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L’INIZIATIVADalla Vigata di Camilleri alla Shanghai di Xialong, fino al Botswana di McCall Smith:con Repubblica e L’Espressoviaggio intorno al mondo con i maestri del noirUn volume ogni settimana fino al 17 settembre a 7,90 europiù il prezzo del giornale

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LA DOMENICA■ 34DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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SpettacoliClassici

Gli occhioni spalancatidallo stupore, le lunghegambe ancora fragili emaldestre, Bambi è ilnuovo nato, settant’an-ni fa, della grande fami-

glia Disney, quarto, tenerissimo arrivonell’universo di cartoon che contavagià Biancaneve, Pinocchio, Dumbo. Lealtre creature del bosco sono in festa, inparticolare gli altri cuccioli che gli di-venteranno subito amici, il conigliettoTamburino e la puzzola Fiore. Un’oasid’armonia nel pieno della Secondaguerra mondale, dove la voce tranquil-la e dolce del timido cerbiatto esprimeuna totale innocenza davanti al mon-do che lo circonda. Nessuno sospettache il primo Bambi, quello del libro dacui Walt Disney ha tratto nel 1942 ilfilm, sia stato all’origine, vent’anni pri-ma, non solo dello straordinario suc-cesso editoriale dell’autore ma anchedi una accanita persecuzione nazista.

Al confronto, sono una bazzecola le

controversie sollevate negli Stati Unitidalla prima cinematografica, per la se-quenza shock di cacciatori e cani fero-ci scatenati sulla madre di Bambi in fu-ga, che spinse la permalosa e potenteAmerican Rifleman’s Association apronunciarsi pubblicamente contro ilfilm avanzando la richiesta — da Di-sney respinta — di una premessa pro-caccia all’inizio della storia. I nazisti,più ostinati e definitivi della pregiataassociazione Usa dei detentori d’armi,avevano addirittura proibito e poi con-dannato al rogo, nel 1936, il libro, Bam-bi, Eine Lebensgeschichte aus dem Wal-de (Bambi, storia di una vita nella fore-sta), avendovi riconosciuto una «alle-goria politica» sul modo in cui veniva-no trattati gli ebrei in Europa: le copierimaste delle prime edizioni originalisono da allora una rarità. L’autore, Fe-lix Salten (vero nome Siegmund Salz-mann), ungherese trasferitosi fin dapiccolo in Austria, si era già da temporassegnato all’esilio, stabilendosi a Zu-rigo per sfuggire, in quanto ebreo, allacaccia razzista.

nel 1976, The Shaggy D. A., e un paio diremake, due televisivi, nel 1988 e 1989,e uno cinematografico, Raymond, nel2006. Invece, il seguito dello stesso Sal-ten al bestseller del 1923, Bambis Kin-der, Eine Familie im Walde (I figli diBambi: una famiglia nella foresta),non ha molte parentele con il Bambi 2della Disney del 2006.

Ammesso nell’eletta cerchia dellaVienna intellettuale di Arthur Schnitz-ler, Karl Kraus, Sigmund Freud, conproduttivi scambi d’idee e, anche, dimogli e amanti, unico di estrazioneborghese in mezzo a tanta aristocraziadel pensiero, forse per questo messoun po’ in disparte dalla storia, Salten èstato una specie di Carlo Collodi au-striaco: come l’autore di Pinocchio(scritto anch’esso in età avanzata, acinquantacinque anni, nel 1881), ilpapà letterario di Bambi è, principal-mente, un giornalista che si dedica allefavole a tempo perso, ricavandone ina-spettatamente la gloria a lui negatadalle mille altre attività, tra cui l’idea-zione di opere scollacciate, come I de-

sideri inconfessabili di Joséphine Vizio-sa o di una vera «allegoria politica» an-ti-nazista, Freunde aus aller Welt (Be-stie in cattività, 1931), dove racconta,con chiari riferimenti ai lager, la vita dianimali reclusi in uno zoo, scimmie, gi-raffa, pantera, leone, cui fa da “corrie-re” un topolino. Riedito nel 1944, nel-l’ora della Shoah in Europa, l’ultimocapitolo del libro, Un coro nella notte, èrivelatore dell’acuta percezione cheaveva Salten dei soprusi subiti dagliebrei.

Anche Bambi era stato ispirato alloscrittore da uno sguardo più allargatoal mondo circostante: lo spettacolomozzafiato della natura che ebbe oc-casione di ammirare durante un’e-scursione sulle Alpi. È qui, in Italia, ilprimo germe del libro, la storia d’un ca-priolo chiamato Bambi, dall’italiano“bambino”, che contiene insieme l’i-dea di “bebè” e “figlio”.

Walt Disney rimane folgorato dallalettura del romanzo, nel 1935. Vuolerealizzarlo subito dopo Biancaneve,già in lavorazione. Acquisiti con un fa-

Prolifico drammaturgo, sceneggia-tore, romanziere, di fama planetariaunicamente per Bambi, che avevascritto e pubblicato a Vienna a cin-quantaquattro anni nel 1923, Saltenriuscirà a vedere il film alla prima euro-pea al Cinema Rex di Zurigo nel 1942,tre anni prima della morte. Sarà il co-ronamento di una vita consacrata inbuona parte alla letteratura per ragaz-zi con l’invenzione di storie d’animali,cui l’aveva obbligato, dopo il boom diBambi, tradotto nel 1928 in inglese, l’e-ditore di Zurigo, Albert Müller, spalleg-giato dal quello francese, Delachaux etNiestlé, convinto della «mirabile capa-cità di Salten di capire gli animali e diesprimerne con singolare verità i sen-timenti, prendendone a prestito il lin-guaggio». Gli altri titoli non eguaglie-ranno il primo exploit, ma verrannospesso portati sullo schermo, due an-cora da Disney, nel 1957 e 1959: Die Ju-gend des Eichhörnchens Perri (Le av-venture di Perri lo scoiattolo, 1938) eDer Hund von Florenz (Che vita da ca-ni, 1923), che ha poi avuto un seguito

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L’uomo che usò un cerbiatto per fermare HitlerMARIO SERENELLINI

Settant’anni fa usciva nelle sale il filmche Disney volle fare senza badare a spesePerché era rimasto folgorato dal libro di Felix SaltenOscuro giornalista, amico di Freud e Schnitzler,era stato costretto all’esilio dai nazistiche nella storia del cucciolo avevanovisto una pericolosa “allegoria politica”

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■ 35DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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ticoso negoziato durato anni i dirittiche Salten aveva ceduto per mille dol-lari al regista Sidney Franklin, Disneydà il via, con l’abituale meticolosità eopulenza di mezzi, alla realizzazione.Mentre un’équipe, in tre anni, adatta ilromanzo creando i personaggi e pro-sciugando i dialoghi (ottocento parolein tutto), negli Studios fin dal 1937 vie-ne creata una “unità Bambi”, che nel1939 (data la ressa di nuove produzio-ni: Pinocchio e Fantasia) occuperà inuovi studi appena inaugurati a Bur-

bank. Per l’intera durata della realizza-zione (che richiede due anni di lavorosupplementari), si aggireranno inmezzo agli animatori, come animalidomestici, due cerbiatti veri (daini ros-si della Virginia) regalati alla Disneydalla Development Commission delMaine. Soprannominati Bambi e Féli-ne, faranno da modelli viventi insiemea un granserraglio di uccelli, scoiattoli,conigli e una coppia di puzzole, men-tre un gufo sonnecchiante tra gli scaf-fali si offrirà con degnazione, specie

dopo il tramonto, agli abbozzi a mati-ta. «Ho dovuto rimandare tutti a scuo-la», si vantava scherzoso Disney: «Suanatomia e comportamento degli ani-mali, ho voluto che i miei animatoriperfezionassero al massimo quantoavevano già imparato nei relativi corsidi disegno». Per il piccolo Bambi, tuttosi fa alla grande: i “neoscolari” sonotutti universitari del lapis, gli artisti mi-gliori del momento — quattro degli ec-celsi Nine Old Men — Ollie Johnston,Eric Larson, Milt Kahl e Frank Thomas

(di cui ricorre il 5 settembre il centena-rio della nascita), principale animato-re dell’intera produzione Disney, daBiancaneve in poi, anche impareggia-bile attore, non sulle tavole del palco-scenico ma al tavolo da disegno, so-prannominato per questo dai colleghiil «Laurence Olivier dell’animazione»,nomignolo che gli aveva affibbiatoChuck Jones.

Perché tanta dedizione a un testo disuccesso ma inviso al nazismo, cui —secondo le biografie più maligne — an-

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’abbiamo disegnato come voleva Waltè stato il nostro capolavoro

FRANK THOMAS

Bambi, minuscolo cerbiatto instabile sulle zam-pe ma con un avvenire sicuro di “Grande prin-cipe della foresta”, l’abbiamo disegnato insie-

me, io e Milt Kahl. Abbiamo cominciato con il ripro-durre le caratteristiche naturali del cerbiatto senzaesagerarle. Poi abbiamo reso l’animale più “adorabi-le” e, insieme, più vicino ai cuccioli umani ingran-dendo proporzionalmente la taglia del muso e degliocchi. Abbiamo presentato il risultato agli altri ani-matori il 9 settembre 1939, proponendo l’equivalen-te per gli animali vicini a Bambi. Nel dicembre 1939,incaricato di rendere Bambi il più realistico possibile,ma anche facile da animare, ho dato vita a varie se-quenze, in particolare quella in cui Bambi impara aparlare o la lezione di pattinaggio sullo stagno ghiac-ciato con il coniglio Tamburino. Nel film ritroviamo icodici estetici dell’epoca, i corposi uccelli blu con lealucce, i conigli grassocci e batuffolosi, ma soprattut-to uno stile visivo ispirato all’arte giapponese e all’ab-bondante iconografia — disegni e fotografie — rac-

colta da Maurice Day nel safari a matita di cinque me-si nelle regioni boschive del Maine, che ha dato per ri-sultato 450 scenografie diverse. Si può capire perchéWalt tenesse tanto a questo film. La storia di Bambicontiene tutto quello che Disney ha sempre cercatoper un risultato di grande tenerezza, capace di com-muovere i bambini e i loro genitori. In se stessa, la sto-ria nel film non dura che un attimo: la trasformazionedi Bambi da cerbiatto a cervo. Ma qui Disney dà pro-va di uno sguardo narrativo particolarmente acuto,abbordando temi delicati come la morte, il lutto e ilpassaggio dall’infanzia all’età adulta. Primo annun-cio del Re Leone, Bambi è stato soprattutto uno stru-mento formidabile per noi animatori per sviluppareal meglio doti narrative e riprodurre i movimenti piùcomplessi della natura: in questo, i primi passi del cer-biattino sono stati la nostra prodezza.

(Dal diario di lavoro per American Animationin Its Golden Age,1976)

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DALLA CARTA ALLO SCHERMOQui sopra, due disegni di Bambi, con la cerbiatta Felinee con il coniglietto Tamburino e la puzzola FioreA destra, la realizzazione cinematografica degli schizziA sinistra, un fotogramma tratto dal film del 1942

LE IMMAGINIA sinistra,Felix Saltenautore di BambiNella paginaaccanto, schizzidi Retta Scott,Eric Larsone Frank Thomas,disegnatoridella Disney

davano le simpatie di Disney? Propriouna delle più impietose, Il principe ne-ro di Hollywooddi Marc Eliot, ne forni-sce involontariamente gli indizi, quan-do evoca i primi anni dolorosi di Walt,con un padre brutale — probabilmen-te adottivo — cui scampava rinchiu-dendosi per ore in uno sgabuzzinosenza luce: «La violenta infanzia nelMissouri gli divorò l’anima per il restodella vita e gli ispirò i personaggi piùmemorabili, Biancaneve, Pinocchio,orfanelli privati degli affetti familiari».Potremmo aggiungere tutti gli altri, daCenerentola a Lilly e il vagabondo e,soprattutto, Bambi. Quel rifugio dibimbo perseguitato, dove aveva na-scosto una lampada a petrolio, con-dusse Walt ai cartoni animati. È lì che ilfuturo papà di Topolino, per passare iltempo, imparò a disegnare, schizzan-do gli animali e i protagonisti di fiabeche erano una sola fiaba, sempre lastessa: un lungo serial di Bambi, riscat-to del bambino che non era stato, tra-smesso agli altri bambini, figli e bebè.

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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Pupazzetti dotati di microchip che si trasformano in personaggi digitali per consoleModellini associati a una app che corrono sullo schermo dell’iPad diventatoun circuito di gara. Animaletti con la testa che è un iPhone da accarezzareEcco come cambia il Paese dei balocchi, unendo sempre di più reale e virtuale

NextIbridi

«Tutti i bambinidisegnano. Io,semplicemen-te, non ho piùsmesso». E ora,grazie a quell’a-

bilità di dar corpo alla fantasia, I-WeiHuang è l’astro nascente nel campodei giocattoli. O meglio, nel campo deigiocattoli 2.0, gli ibridi singolari che

uniscono reale e virtuale. Come gliSkylanders che I-Wei, americano,quarant’anni, ha disegnato e realizza-to per l’americana Toy For Bob. Actionfigure dotate di microchip capaci ditrasformarsi in personaggi digitali davideogame. Basta posizionarle su unabase venduta con il gioco e si animanodentro lo schermo. Il chip conservamemoria di quel che accade nel video-game, dai poteri acquisiti ai tesori sco-vati, e anche se li si usa su una consolediversa mantengono il loro trascorso.Vivono in pratica fuori e dentro il mon-do digitale, ma soprattutto stanno ot-tenendo un successo sul quale in po-chi erano pronti a scommettere quan-do apparvero la prima volta a fine2011. Da allora ne sono stati vendutitrenta milioni di pezzi. Rappresenta-no una nuova frontiera. Anzi no: rap-presentano un nuovo modo di fabbri-care i divertimenti per l’infanzia.

«Nel 2008 ci venne in mente quest’i-dea assurda di portare i giocattoli den-tro i videogame», racconta I-Wei. «Lapresentammo alla Activision, l’edito-re di giochi elettronici, alla quale piac-que». Una fortuna per i ragazzi di ToyFor Bob, l’Activision è fra i pochi nelsettore con i conti non in rosso. Unamosca bianca che decise di puntare suquesta nuova tipologia di baloccocoinvolgendo Alec Sokolow e JoelCohel, gli sceneggiatori di Toy Storydella Pixar, per scrivere trama e dialo-ghi del videogame. Non a caso all’ulti-mo Tokyo Toy Show di giugno, i gio-cattoli 2.0 hanno tenuto banco. Du-rante la fiera sono state mostrate35mila novità, quelle che invaderan-no i negozi nei prossimi mesi. E ad at-tirare l’attenzione sono stati proprio itantissimi ibridi: dagli Smart Pets del-la Bandai, dove la testa degli animali è

La seconda vitadi robote macchinine

JAIME D’ALESSANDRO

Robot della Tomy che si pilotacon controller pieni di sensori

dalla console Wii NintendoBasta agitarlo

per fargli tirare pugni e calci

Battroborg

un iPhone con il suo schermo tattile daaccarezzare, agli Hybrid Grade, actionfigure che sfruttano la realtà aumenta-ta dei cellulari d’ultima generazione.O ancora i BattroBorg, robot che si pi-lotano con il controller pieno di sen-sori dalla console Wii della Nintendo.Basta agitarlo per fargli mollare pugnie calci. L’avvisaglia c’era già stata a feb-braio, durante la Toy Fair di Norim-

giocattoliVideo

Negli Smart Pet prodottida Bandai la testa degli animali

è uno smartphone, con il suo schermo tattile

da accarezzare

GLI ESEMPI

Smart Pets

Skylanders

berga, la fiera del giocattolo più grossaal mondo, dove i prodotti esposti era-no oltre un milione. Vicino ai nuovi setdella Lego o alle eterne Barbie, la Mat-tel aveva presentato una variante del-le macchine Hot Wheels: i modellini,associati a una app, correvano sulloschermo dell’iPad trasformato in cir-cuito di gara. Sistema simile a quellodella AppMates della Disney, usata

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I primi giocattoli rinvenutidagli archeologi in Egitto,Mesopotamia e Asia minore sono miniature: bambolee soldatini. O se si preferisce“action figure” dell’antichità

Giocattolo

La traduzione è modelliniper l’azione, dunque per il giocoIl termine che più si avvicina è pupazzetto. In genere, riduzioniin scala di personaggi dei fumetti,dei videogame, del cinema

Action figure

Il giocattolo più evolutoIl primo, sviluppato in laboratorio,risale al 1958. Mentre l’arrivosul mercato è del 1972quando venne lanciata la consoleOdissey della Magnavox

Videogame

Insieme di tecnologie che attraverso un dispositivo,come la fotocameradi uno smartphone, permettedi aggiungere informazioni digitalia quel che ci circonda

Realtà aumentata

Appartenente al movimentodel do it yourself che ruotaattorno alla rivista MakeÈ il passaggio delle teoriee della pratica del software liberoal mondo degli oggetti reali

Maker

come base per i modellini dei veicoli diCars 2. La Ravensburger, invece, hamostrato un puzzle in realtà aumenta-ta per iPhone, mentre la tedesca Mark-lin e l’austriaca Roco hanno sviluppa-to un’applicazione che permette digestire un plastico ferroviario tramitesmartphone.

Prove tecniche per una rivoluzioneinevitabile, considerando che le pre-

visioni di Idc, uno dei riferimenti piùaffidabili in fatto di andamento delmercato dell’hi-tech, parlano di 102milioni di iPad e simili venduti entro lafine dell’anno. Che diventeranno 198milioni nel 2016, contro i 68 del 2011.Per dare un termine di paragone, laconsole più diffusa della storia, laPlayStation 2 della Sony, in dieci anniè stata venduta in “appena” 153 milio-

ni di pezzi. «Stiamo costruendo un’e-sperienza completamente diversa ri-spetto al passato», spiega Alex Ness, acapo dello staff di Toys For Bob. «È unaspecie di magia che seduce i bambini,sono giocattoli che hanno un’animamolto più complessa, di conseguenzauna vita più longeva». Anima che aqualcuno fa storcere il naso. Oltre alcosto del videogame di Skylanders,circa 60 euro con incluse tre action fi-gure e la base da collegare alla conso-le, per ogni nuovo pupazzetto bisognasborsare nove euro circa. Ma è anchevero che in questo modo il gioco, chepuò esser percorso da cima a fino an-che con una sola action figure, durapiù a lungo nel tempo e non finisce neldimenticatoio dopo un paio di setti-mane. E poi la console si può spegne-re, lasciando che i bambini continui-no a giocare con i pupazzetti metten-doci la loro immaginazione.

E pensare che I-Wei ha cominciatocostruendo modelli di treni steam-punk a vapore, fatti a mano pezzo perpezzo. La storia dei giocattoli 2.0 ha lesue radici nel movimento dei makers,quell’universo di persone che dal ma-nipolare software è passato a manipo-lare cose reali. Lui stesso ha scritto piùvolte per Make Magazine di MarkFrauenfelder, fondatore del blog cultBoing Boing. «Imparare a fare le coseda soli dà una sensazione di potere in-credibile», ricorda. «È una frontieracompletamente nuova che grazie allaRete sta diventando sempre più im-portante». Un po’ come i suoi giocat-toli, che stanno diventando semprepiù grandi. Non a caso i protagonistidella nuova versione di Skylanders,uscirà in autunno, si chiamano Giantse sono alti il doppio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Usa come circuito di garalo schermo dell’iPad

e una applicazione specifica,per farci correre i modellini

dei veicoli di Cars 2 dellaDisney

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LA DOMENICA■ 38DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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I saporiCalore & calorie

Dolceestateolosi d’estate: una categoria a rischio. In teoria, la passione per il pianeta torte dovreb-be oscillare in maniera inversamente proporzionale alla colonnina di mercurio, datoche i dolci sono calorici per definizione: dai nutrizionisti che raccomandano i carboi-drati solo nella prima parte della giornata fino agli sportivi che masticano barrette tuttozucchero&miele prima di correre o sciare, il timing salutista di mousse e bomboloniesclude l’estate. Allo stesso modo, le ondate di caldo che i meteorologi continuano a bat-tezzare con nomi diversi mettono a rischio la commestibilità dei dessert più amati, in-dissolubilmente legati alla catena del freddo. Ma se al cuore non si comanda, figurarsialla gola, a maggior ragione quando la depressione da crisi economica trasforma il ciboin consolazione e i dolci nel più classico dei comfort food. Negli ultimi anni, la sfida dicuochi e pasticceri è stata quella di dribblare i guai termici e limare i surplus calorici, an-dando oltre i dessert estivi per definizione, per regalare nuova vita a fine pasto e meren-de. Fin troppo facile, infatti, iscrivere i gelati nella lista dei dolci da spiaggia, dato che, seben fatti — niente chimica, solo ingredienti freschi — nulla può superarli in piacevo-lezza e refrigerio. Ma non di sole creme e sorbetti vive il goloso d’estate, se è vero che lagastrococcola più ambita e popolare è ancora e sempre l’invernalissimo tiramisù, cam-pione di grassi puri: mascarpone battezzato con l’alcol che aromatizza il caffè. Né si di-

staccano dalla prima scelta i sempiterni profiterole e gli abusati tortini di cioccolato dalcuore morbido. Così, il primo mutamento nella pasticceria da alte temperature è pas-sato dall’evoluzione degli ingredienti, con panna di soia, ricotta, siero di mozzarella echiara d’uovo pronti a sostituire panna e mascarpone nelle ricette più amate.

Altro passo avanti decisivo, l’abbinamento con materie prime differenti, a volte per-fino inusuali, dai pomodori di Pachino nelle crostate di Corrado Assenza a zenzero e tèverde trasformati in biscotti e gelatine nei menù dolci-salati di Ernst Knam. Infine, le tec-niche di preparazione, molte delle quali figlie delle ricerche mirabolanti dell’équipe delcatalano Ferran Adrià: sifoni per sostituire la panna montata, lecitina di soia al posto deirossi d’uovo, agar agar per addensare senza supporto di amidi e farine. Risultato: dolcipoco dolci, leggeri, sfiziosi, pensati e realizzati per appassionati sensibili al caldo. Se sie-te golosi quanto pigri, approfittate delle gite d’agosto per raggiungere i tanti, buonissi-mi luoghi dei dolci d’estate, variamente disseminati tra spiagge e passeggiate. Altri-menti, armatevi di centrifuga e gelatiera, ideando ricette zuccherine secondo libere as-sociazioni gastronomiche, dove dolce, amaro, salato e acido giocano a rimpiattino sen-za causare sudori supplementari. A chiudere, una tazzina di caffè e tre cubetti di ghiac-cio assemblati per due minuti al massimo nei giri del frullatore, ovvero brividi e caffei-na, tandem ideale per resistere all’estate di Caligola e Nerone.

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LICIA GRANELLO

Come resistere alla stagione calda del dessert

Gelati e sorbetti, certo. Ma anche cioccolato, cheese cakee tarte tatin che i pasticceri trasformano in versione lightPerché alla gola non si comanda

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■ 39DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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LABORATORIO DI RESISTENZA DOLCIARIAVia P. Ferrero 11Alba (Cn)Tel. 0173-284185

PASTICCERIACOLZANIVia Nazario Sauro 47Cassago Brianza (Lc)Tel. 039-955188

CIOCCOLATERIAGEPILargo Amendola 20Santa Marghertita Ligure (Ge)Tel. 333-4032243

OFFELLERIARIZZATIVia San Romano 25FerraraTel. 0532-711504

GINO FABBRIPASTICCEREVia Cadriano 27BolognaTel. 051-505074

Gli indirizzi

Me lodomando da anni: com’è possibile che nella stagione in cui — per dirla col principedi Salina — in Sicilia «nevica fuoco», in fondo a quel percorso furibondo che è un nor-male pasto palermitano, un itinerario che moltiplica trappole palatali e ordigni ga-

strointestinali, com’è possibile, mi domando, che sotto quella luce zenitale, sotto un sole che so-prattutto tra giugno e agosto si trasforma in qualcosa di solido e aspro (ogni raggio un nerbo dibue, uno staffile che doma e punisce), come si può accettare che al termine di un pranzo figuriancora, come un mostro minuto e ostinato, un dolce di ricotta, una fetta di salame turco, la stri-scia mollemente traslucida di zucca candita a decorare una caleidoscopica cassata?

In altri termini: se in giro per il mondo le cucine tendono a modularsi sulle stagioni facendoesistere una relazione logica e virtuosa tra ingredienti e temperature calde, perché a Palermo(anche) in estate la logica viene meno, la virtù si fa vizio e sulla tavola compare un grumo di glu-cosio? Mangiare è un’azione contraria alla morte, mi dico. Si mangia contro la morte. Mangiaredolci eleva questa azione a esponente. I dolci sfidano la morte. Considerato che si muore anchein estate, mi dico ancora, i dolci sono un antidoto perenne. Un nutrimento apotropaico. Unoscongiuro con la glassa sopra.

Il mese scorso, durante quello che a Palermo viene chiamato “festino”, alla Cala, proprio difronte al mare, c’era una famiglia numerosissima in contemplazione dei fuochi d’artificio. Se-duta nell’afa, sonnambolica, la pelle intorno agli occhi smaltata di sudore, al vertice di questa pi-ramide familiare una ragazzina impugnava uno stecco in cima al quale si arrotondava un dolcecolor rubino simile a un organo interno. Mentre nel cielo nero i fuochi esplodevano a raggieralei — assorta, inconsapevole, il suo appetito serale come lo scudo che difende dalla caducità ge-nitori zie fratelli sorelle — brucava la piccola zolla vermiglia. Ha dato ancora un morso di labbra,piano, a quel cuore tetro. L’ho guardata a lungo: aveva qualcosa di immortale.

A tavola

GIORGIO VASTA

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La cassata sicilianavizio che sfida la morte

PASTICCERIA CARLI Piazza Francesco Berni 20Lamporecchio (Pt)Tel. 0573-82177

KRAPFENDI PAGLIAPiazza Anco Marzio 18Lido di Ostia (Rm)Tel. 06-5623344

PASTICCERIAORCHIDEAVia Cesare Battisti 24Montesano Marcellina (Sa)Tel. 349-5605444

PASTICCERIAAMATIVia Latorre 4Fasano (Br)Tel. 080-4413053

PASTICCERIAALBAViale Regina Margherita 2bMondello (Pa)Tel. 091-6840444

Granitaal caffèSciroppo di acqua e zucchero e caffèristretto: in freezerun’ora, frustaper rompere i cristalliServire con panna

Mousseal limoneSucco di limone e tuorlilavorati con lo zuccheroAddensare la crema a bagnomaria,raffreddare. Aggiungere i bianchi montati a neve

Cremadi yogurtYogurt greco (o normalescolato in una garza per una notte nel frigo),panna montata, anchedi soia, e foglie di mentaper profumare

CheesecakeBiscotti tritati e amalgamati con burrofuso come base. Sopra,un composto di ricottasgocciolata, zucchero,tuorli e bianchi montati

Sorbettodi cioccolatoL’ex sfida impossibiletrasformata in un gusto-culto: acqua e zuccheroper sciogliere cioccolatofondente e cacao da mettere in gelatiera

Budinoai lamponiLatte, zucchero e uovaaddensati con pocafarina, così da alternarestrati di crema e fruttirossi nello stampoRaffreddare in frigo

Tatind’albicoccheAlbicocche a metà sulla pirofila imburrata e inzuccherataDopo la caramellatura, coprire con una briséeIn forno mezz’ora

Gelod’anguriaPer il siciliano “gelo di mellone”, succoaddensato con amido,acqua e zuccheroPoi acqua di gelsomino e gocce di cioccolato

LA RICETTA

Il fiorentino Simone Boniniè uno dei più bravie innovativi gelatieri italianiAi clienti di “Carapina”(nome tecnico dei pozzettidei gelati) offre cremee sorbetti naturalie di stagione,come nella ricetta ideataper i lettori di Repubblica

Nero Assoluto e pere caramellate

Ingredienti 300 g. di acqua naturale100 g. di zucchero70 g. di cioccolato fondente 70%30 g. di cacaofoglie di menta piperitagranella di pistacchio o nocciolasale di Maldon

Sciogliere il cioccolato in un pentolino a bagnomariaMescolare zucchero e cacao (polveri). Versare nella gelatieracon questa sequenza: acqua, polveri e cioccolato già scioltoAttendere che il sorbetto sia mantecato (quenelle) e servirecon foglie di menta fresca. Tagliare a fette e caramellaredelle pere coscie. Comporre il piatto, adagiando le peree appoggiando sopra la quenelle. Rifinire con sale di Maldon,granella di pistacchio o di nocciola e una foglia di menta

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 12 AGOSTO 2012

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Il suo vero cognome, Dreyfus, è quellodell’antenato reso celebre da ZolaQuello d’arte glielo suggerì PrévertEsordì al cinema a quattordici anniPoi Fellini e Mastroianni, Lelouch

e la Deneuve, Bertoluccie Tognazzi. Ma oggi,a ottant’anni, ricordaancora il personaggioche la rese celebrein guêpière e boa

di struzzo: “Nella leggerezzadi Lola ritrovo il mio mododi essere di allora”

PARIGI

Senza contrastare il tempoche passa, a ottant’annicompiuti da poco AnoukAimée è semplicemente

bellissima. Lo è ancora, bella, cometutti i personaggi che ha interpretatonel corso di una carriera iniziata aquattordici anni, unica attrice al mon-do a potersi permettere — quandoservì — di essere svampita senza esse-re bionda. Il cinema italiano l’ha ama-ta con passione — Fellini, De Sica, Bel-locchio, Bertolucci — forse perché,pur magrissima, era bella come Gina,Sophia, Silvana. Forse perché non era“typée” francese? «Forse» risponde lei,un sorriso appena malizioso sotto igrandi occhiali sfumati. È seduta al bardi un albergo vicino agli Champs-Ély-sées, ed è reduce da tre ore di incontricon la stampa francese, elettrizzatadal ritorno di uno dei film più elegantie sensuali della Nouvelle Vague: Loladi Jacques Demy, appena restaurato.Prima di ritornare nelle sale francesi loscorso 25 luglio, il film ha fatto unabreve tournée nei festival (al Cinemaritrovato di Bologna e al Festival dellaRochelle) e a novembre uscirà in dvdcon il suo sequel americano ModelShop del ’69, sempre Demy-Aimée,per Arte e Ciné-Tamaris.

Lo sa che, annunciato come «il filmche ha scandalizzato la Francia», inItalia Lola fu vietato ai minori di sedici

anni e uscì con il titolo di Donna di vi-ta? «Certo che lo so, frequentavo mol-to l’Italia in quegli anni. Avevo un ap-partamento a Roma, accanto ai Foriimperiali, in via dei Foraggi. Mia figliaera iscritta alla scuola francese e face-vamo avanti e indietro con Parigi».Nell’Italia del 1960 il personaggio del-la entraineuse-cantante-ballerinaLola, in guêpière di pizzo nero e boa distruzzo, le creò problemi? «Non parti-colarmente. Lola è uno dei miei perso-naggi preferiti, l’avrei difeso controventi e maree. La sento ancora moltovicina. In quella sua leggerezza ritrovoun mio modo di essere di allora. Ricor-do che, con Jacques Demy durante leriprese, approfittammo di questa so-miglianza tra me e il personaggio. Lo-la è una donna libera, una che corresempre, ma che, correndo, aspetta unuomo che alla fine tornerà. Tira su unbambino da sola, in apparenza senzatroppa cura, ma il bimbo se la sbriga enon sembra soffrirne. Oltre al rappor-to che Lola ha con gli uomini — il ma-rinaio che somiglia all’uomo cheaspetta, l’amico d’infanzia che si in-namora di lei — anche quello così di-sinvolto tra madre e figlio era moltomoderno per l’epoca».

Come Lola, Anouk Aimée ha alleva-to una figlia da sola, Manuelle, nata nel’52 dal secondo dei quattro mariti, ilregista greco Nikos Papatakis. E comeLola ha fatto impazzire molti uomini.«Non ho mai cercato io un regista. Hobisogno di essere cercata, di essere de-siderata, amata» dice, e non sta par-lando solo di cinema. Era difficile davivere il mondo del cinema negli anniSessanta? «Non più di quello di oggi.Solo che allora c’erano registi sublimie girare con loro era sempre un’emo-zione. Sul set c’era rispetto, ammira-zione, amore. Quando giravamo fuorida una città stavamo tutti insieme, di-ventavamo una famiglia. La mia vita,per esempio, è stata marcata dall’in-contro con Federico e con Marcello.Eravamo molto legati, noi tre». Il pri-mo regista italiano ad accorgersi di leifu proprio Fellini con il quale nel ’60 gi-rerà La dolce vita nella parte dell’ele-gante e volubile Maddalena, amantedi Marcello. Seguirà L’imprevisto diAlberto Lattuada, Il giudizio universa-le di De Sica, Il successo di Mauro Mo-rassi e 8 e 1/2, questa volta come mo-glie di Mastroianni. Poi Corbucci, DeBosio, Blasetti, Festa Campanile (maanche Aldrich, Cukor, Lumet) e, nel

’66, il film che più di ogni altro la rive-lerà al mondo: Un uomo, una donnadiClaude Lelouch accanto a Jean-LouisTrintignant, con il quale vinse Cannese anche l’Oscar, il Golden Globe, il Na-stro d’Argento e il Bafta del migliorfilm straniero. Su quel set AnoukAimée incontra Pierre Barouh, attorenel film e anche tra le voci del celeber-rimo shabadabada della colonna so-nora di Francis Lai: per tre anni fu il suoterzo marito, prima della sua più lun-ga storia d’amore, quella con l’attoreinglese Albert Finney (Tom Jones).

Nel 1970 Anouk Aimée per raggiun-gere Finney si trasferisce a Londra e di-mentica il cinema. Non fu una storiasemplice, tanto che nel ’75 fuggì conRyan O’Neal, di undici anni più giova-ne di lei. Ma a Londra, in quei cinqueanni, decise di fare la moglie e non l’at-trice. Li riassume così: «In Italia ho im-parato a cucinare, a Londra ho cuci-

nato». Tutto qui? «Dicono sempre chesono misteriosa, ma alle volte le per-sone confondono il mistero con il pu-dore». Lola è un personaggio pudico omisterioso? Sembrerebbe dire tuttoquello che pensa... «Forse non dicetutto, forse quello che non dice è piùimportante di quello che dice. Sì, tut-to sommato direi che Lola è una don-na pudica».

Poche attrici possono vantare unacarriera davvero internazionale. Per-ché ha viaggiato così tanto nel cine-ma? «Mi proponevano un film, mi pia-ceva, andavo. Erano registi straordi-nari, sarebbe stato stupido dire di no.Ma i due paesi nei quali ho vissuto dipiù sono stati l’Italia e l’Inghilterra. Le-louch è venuto a prendermi a Londrae mi ha riportata a casa». Nel 1976, conChissà se lo farei ancora accanto aCatherine Deneuve, Anouk Aiméetorna infatti al cinema. Salto nel vuotodi Bellocchio è del 1980 e lei è la sorel-la nevrotica e disperata del giudice Mi-chel Piccoli («Marco è uno dei registiche ho amato di più, è stato bellissimogirare con lui»); l’anno dopo esce Latragedia di un uomo ridicolo di Berto-lucci nel quale è la moglie di Tognazzi(«Eravamo a Parma: prosciutto, par-migiano, Toscanini, Stendhal»). PoiTovoli, Skolimowski, e ancora Lelou-ch in Un uomo, una donna vent’annidopo sempre con Trintignant;trent’anni dopo, Uomini e donne.Istruzioni per l’uso e ancora altri lavo-ri con Lelouch. Nel 1994 è invece unastilista di moda in Prêt-à-porter di Alt-man, lei che per anni è stata la musa diUngaro, il più italiano dei couturier.Ma la moda non sembra interessarle:nella memoria della storia del cinemaresta soprattutto vestita di un ampiotrench e spesso in nero.

Di tutti i misteri della sua vita il piùgrande è legato agli anni della guerra.Soltanto grazie a un film — La petiteprairie aux bouleaux (2003) di Marce-line Loridan, moglie di Joris Ivens, nelquale la Aimée interpreta una donnaebrea che torna ad Auschwitz-Birke-nau dove è stata prigioniera — l’attri-ce parlò di quello che aveva vissutodurante l’Occupazione. Anouk nasceFrançoise Judith Dreyfus, un cogno-me ebreo che dicono discendere di-rettamente dal capitano Alfred delJ’accuse di Zola. Già suo padre, attore,per prudenza lo cambiò in HenryMurray. Quando Françoise ha tredicianni il regista Henri Calef la nota men-

tre, nella rue du Colisée, va al cinemacon la madre. Le offre il suo primo ruo-lo. In La maison sur la mer, da noi Tra-gico incontro. Il suo personaggio sichiama Anouk, e Anouk resterà persempre. È Jacques Prévert che le sug-gerisce un cognome scaramantico:Aimée, amata.

Ha quindici anni quando Prévertscrive per lei la sceneggiatura de Gliamanti di Verona che André Cayattegirerà nel 1949. Durante l’occupazio-ne nazista delle città francesi, dal ’40al ’44, la famiglia Dreyfus si spostacontinuamente. C’è sempre qualcu-no che li ospita, che li nasconde, arri-vano tutti vivi alla Liberazione. Nel’44, sono a Marsiglia. Françoise ha do-dici anni, è insieme alla madre e vedelungo la Canebière, via principale del-la città, la folla che sputa sui prigio-nieri tedeschi, che prova a picchiarli,che tenta un linciaggio. «Erano umi-liati. Avevano addosso decine di per-sone che urlavano contro di loro. Hopensato che non fosse giusto. Troppofacile sputare in centinaia su cinqueuomini che camminano. Bisognavagiudicarli in tribunale e punirli, que-sto sì, ma non sottoporli a un’umilia-zione simile. Sono sempre stata con-tro i linciaggi, contro le giustizie som-marie. Anche la morte di Mussolini miha molto toccata, anche quella diGheddafi». E sua madre? Fu d’accor-do con lei quel giorno a Marsiglia?«Non le dissi nulla, mi sembraronosolo pensieri di bambina».

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Nel lavorocome nella vitanon ho maicercato ioun registaHo bisognodi essere amatae desiderata

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LAURA PUTTI

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