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KATE JACOBS GLI INGREDIENTI DELL’AMORE PERFETTO PIEMME

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KATE JACOBS

GLI INGREDIENTIDELL’AMORE

PERFETTO

PIEMME

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Titolo originale dell’opera: Comfort Food© 2008 by Kathleen JacobsAll rights reserved

Questo romanzo è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni del-l’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione e sono quindi uti-lizzati in modo fittizio. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive oscomparse, è puramente casuale.

Traduzione di Valentina Daniele

Realizzazione editoriale: Elàstico, Milano

I Edizione 2010

© 2010 - EDIZIONI PIEMME Spa20145 Milano - Via Tiziano, 32www.edizpiemme.it - [email protected]

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Parte Prima

PANE E BURRO

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Febbraio 2006

Gus Simpson adorava le torte di compleanno.Cioccolato, cocco, limone, fragola, vaniglia: i classici

erano la sua passione. Anche se sperimentava semprenuovi gusti e glasse, spruzzava sciroppi e inventavadecorazioni elaborate con petali di ibisco, di solito pre-feriva la via della tradizione: fiori disegnati con la sac àpoche e pezzetti di frutta candita. Perché una torta dicompleanno – Gus ne era convinta – parla la linguadella nostalgia, è un perfetto ricordo dell’infanzia fattorivivere dai sensi.

Dopo dodici anni come conduttrice di Cooking-Channel e con tre programmi di successo all’attivo, Gusaveva preparato mille dessert nella sua cucina trasfor-mata in studio televisivo, dalla soffice mousse di ciocco-lato bianco alla golosa torta alle pesche, dalla dolcissimacrostata di mele al caramello alla classica torta alla vani-glia e noci pecan. Era una cuoca autodidatta, mai passataper le scuole di cucina; il suo obiettivo era comunicareuna calda eleganza senza scadere nel rustico: voleva chei suoi piatti fossero completi senza essere difficili.

Ma le torte di compleanno erano una cosa assoluta-

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mente diversa: ogni fetta nutriva lo spirito tanto quantoil corpo. Gus adorava quel trionfo assoluto.

Le piacevano così tanto che dava feste di compleannoper le sue figlie Aimee e Sabrina, ormai adulte, per la suavicina e amica Hannah, per Porter, il suo produttoreesecutivo (nonché vicepresidente di CookingChannel),e per la sua storica assistente in cucina, che però, dopoanni di collaborazione, era andata in pensione e si eratrasferita in California.

Gus tuttavia non si limitava a questo. Organizzavafeste meravigliose anche per il Quattro luglio, cosa noninsolita per un’americana, e per Natale, cosa non inso-lita considerando la sua educazione cattolica. Poi però siscatenava anche per San Valentino e San Patrizio, inoccasione del compleanno di Lincoln (12 febbraio), diJulia Child (genio dell’arte culinaria, 15 agosto), diHenry Fowle Durant (fondatore di Wellesley, l’universitàdi Gus, 22 febbraio) e di Isabella Mary Beeton (autricedel celebre Mrs Beeton’s Book of Household Manage-ment, un manuale di economia domestica, 12 marzo). Ilfatto che gli ospiti d’onore non potessero essere presentiperché defunti non era affatto un problema.

Alcuni amano dare feste perché amano stare al centrodell’attenzione. Gus, invece, trovava il suo piacere mas-simo nel creare un piccolo mondo in cui ci fosse posto pertutti, un mondo in cui ognuno si sarebbe sentito speciale.

«Ti preparo qualcosina» diceva alle figlie, agli amici,ai colleghi, agli spettatori. Amava davvero l’idea dinutrire, di accudire. Specialmente quegli ospiti che sem-bravano avere qualche difficoltà a inserirsi: per loro Gusaveva un occhio di riguardo.

C’era solo un compleanno che Gus si era stancata difesteggiare: il suo. Perché di lì a poco, il 25 marzo, Augu-sta Adelaide Simpson avrebbe compiuto cinquant’anni.

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Il problema, naturalmente, era che non si sentivaaffatto quell’età. Per niente. Semmai, si sentiva una ven-ticinquenne (ignorando, come faceva spesso, un piccoloparticolare: l’età delle sue figlie. Aimee, la maggiore,aveva ventisette anni, mentre Sabrina, la minore, venti-cinque). Per questo era stata colta del tutto alla sprov-vista, sorpresa che gli anni si fossero accumulati fino alfatidico traguardo del mezzo secolo.

Mezzo secolo di Gus.«Usate lo sherry migliore che potete permettervi per

fare la vinaigrette» aveva consigliato di recente duranteuna puntata, prima di rendersi conto che quel liquoreaveva quasi la sua età.

“Potrei essere imbottigliata e messa su uno scaffale”aveva poi scherzato fra sé e sé.

Intanto, però, nella sua testa aveva cominciato a farsistrada un fastidioso tarlo. Quarantasei, quarantasette,quarantotto, quarantanove... tutte feste favolose. Quandol’anno prima aveva spento le candeline sulla torta (carotae zenzero, con glassa alla cannella), e il suo produttore,Porter, aveva gridato: «Meno uno al giro di boa!», Gusaveva riso insieme agli altri. E si era sentita benissimo. No,davvero, proprio bene. Non aveva prenotato nessunaapplicazione di botox, non portava ancora sciarpe pernascondere il collo. Cinquant’anni, si diceva, non eranoniente di speciale. Finché, svegliandosi un giorno, si eraresa conto di non aver organizzato nulla. Lei, che nonperdeva occasione per festeggiare. E allora aveva capitoche non aveva nessuna voglia di farlo.

Il problema, pensò una mattina mentre si lavava icapelli castano dorati con uno shampoo riflessante, eraspuntato tra le varie riunioni per definire il palinsestodella stagione e la notizia che CookingChannel stava

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tagliando il budget, commissionando meno puntate delsolito del suo programma.

«Tutti i canali via cavo stanno perdendo quote dimercato» le aveva spiegato Porter. «Dobbiamo superarela crisi.» Lui lavorava in televisione da molto tempo, daprima di Gus, e il suo successo era davvero invidiabile:era uno dei pochi afroamericani nel mondo dei pro-grammi di cucina, dominato dai bianchi. Girava anchevoce che sarebbe stato promosso direttore del palinse-sto. Gus si fidava di lui ciecamente.

Di recente CookingChannel aveva assunto una con-sulente d’immagine, la quale aveva informato Gus che“dopo una certa età” alcune donne devono prenderequalche chilo per distendere il viso («Sei meravigliosa-mente snella, ma riempire un po’ le rughe non farebbemale, sai» le aveva detto, senza troppa cattiveria. «Leluci aiutano, ma fino a un certo punto.»).

Una sera, mentre era a cena con Sabrina, Gus presea scrutare due donne al tavolo di fronte: una splendidaragazza dai capelli neri con un abito rosa confetto e lasua arcigna accompagnatrice, più vecchia, con uncaschetto color mou e un tailleur pantaloni di lino beige.Ebbe un sussulto quando si rese conto che nella parete difronte c’era uno specchio e che quella commensale acci-gliata era lei stessa. «Tutto bene, mamma?» le chieseSabrina, facendo cenno al cameriere di portare altraacqua. «Sembri un po’ pallida.»

Gus non era più giovane.Sulle prime aveva messo da parte questa nuova con-

sapevolezza insieme alle scarpe bianche alla fine del-l’estate. Ma la verità non ne voleva sapere di starsenenascosta: faceva capolino a ogni nuova ruga, si presen-tava ogni volta che le sue ginocchia facevano cracquando si piegava a tirare fuori una padella. O quando

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la sua storica vicechef, dopo anni di collaborazione,aveva annunciato che andava in pensione. Un fulmine aciel sereno. Effettivamente aveva l’età per farlo! Dav-vero allarmante. Significava che erano passati dodicilunghi anni da quando Gus aveva condotto il suo primoprogramma su CookingChannel, Pausa pranzo, nel1994. La giovane mamma con i riccioli color caramelloraccolti in una crocchia morbida, rigorosamente senzagrembiule, che scodellava piatti semplici e gustosi, oraaveva due figlie grandi, con un lavoro, una vita e unacucina propria. Ormai Aimee e Sabrina erano diventatedonne.

Più o meno.Non erano adulte, non nel vero senso della parola.

Dopotutto però, all’età di Sabrina, Gus aveva già duefiglie e un marito. Per non parlare dell’avventura comevolontaria per un anno nei Corpi di pace. Le ragazze,invece, erano ben lontane dall’autosufficienza. Aimeenon aveva mai nessuna relazione importante; Sabrinacambiava i fidanzati con le stagioni. Buffo: le dodicennidi oggi sembravano molto più sofisticate che ai tempi diGus, mentre le venticinquenni vivevano in uno stato diadolescenza sospesa. Gus passava più tempo a preoccu-parsi per le sue figlie adesso di quando erano bambine.

Insomma, era facile stare al passo con la vita quoti-diana e non pensare alla vecchiaia come a qualcosa chepotesse riguardarla direttamente. Poi, però, anche lepiccole cose (il commento di un estraneo, un’occhiataallo specchio) turbavano l’immagine che Gus si eracostruita. All’improvviso, suo malgrado, la realtà venivaa galla.

Gus Simpson stava per compiere cinquant’anni.Non che fosse un fatto rilevante in se stesso. Succede

a tutti prima o poi. Eppure Gus aveva tranquillamente

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dato per scontato che a lei, invece, non sarebbe maicapitato. In fondo era magra (be’, non proprio una fandella palestra), aveva una brillante carriera, un bel gruz-zolo in banca (ben amministrato da David Fazio, unconsulente finanziario che le aveva raccomandatotempo prima Alan Holt, il presidente del network), unarmadio pieno di abiti costosi (il suo tipico look preve-deva uno spolverino di seta senza collo, comodo ed ele-gante, portato sopra un top morbido e pantaloni larghiin georgette di seta), e una decappottabile nel garage.Cavoli. E poi ascoltava la “Top 40”, usava una fotoca-mera digitale, aveva un cellulare minuscolo, sapevamandare SMS e a Halloween si travestiva ancora perdistribuire dolcetti. Tutto questo non bastava per tenerealla larga la mezza età?

I quarantanove avevano un certo brio; i cinquanta lefacevano venire il dubbio di dover correre a comprareun paio di scarpe ortopediche.

«Di questi tempi non si capisce mai come ci si devecomportare» aveva detto a Porter, più vecchio di lei diparecchi anni. «Alla mia età mia madre era già nonna.Oggi, però, ci sono donne che rimangono incinte a cin-quant’anni. Ti rendi conto?»

«Vuoi un bambino, Gus?» aveva chiesto lui prenden-dola in giro.

«No! Voglio solo capire la differenza tra un numeroe come mi sento. Ma lo sai che le ex trentenni rampantiadesso hanno cinquant’anni? E non li dimostrano, oltre-tutto. Pensa a Michelle Pfeiffer, a Meryl Streep. E JaneSeymour? E Oprah? Dicono che i cinquanta sono inuovi trenta.»

«Allora che problema c’è? Stai benissimo.»«E invece no, un problema c’è. Sono piena di rughe.

Rughe vere, non quelle pieghine di cui mi lamentavo a

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quarant’anni. Porter, ho una nostalgia tremenda deiquaranta! Non riesco a smettere di chiedermi comesono arrivata fino a qui.»

«Dov’è scappato il tempo?»«Esatto. Dove?» ripeté Gus. «E dov’è il tasto

“pausa”?»E così, rifletté Gus quella mattina, non era poi tanto

strano che avesse sorvolato sulla sua festa di comple-anno. Rinviare era stato facile.

Era sua abitudine cominciare i preparativi subitodopo il giorno del Ringraziamento, decidendo perprima cosa la torta, poi il menu, quindi gli inviti da spe-dire per posta (a Gus Simpson non piacevano gli invitivia e-mail, così informali. No, grazie. Erano dettaglicome quelli che facevano sentire gli ospiti più a loroagio). Poi sceglieva un tema (la melagrana, l’orchidea, ilcolor prugna) attorno al quale costruire tutta la festa.Era così brava a intrattenere e decorare da essere con-vinta che, come lei, chiunque potesse spargere del prez-zemolo tritato facendolo sembrare una decorazioneartistica.

Ma questa volta no. Non quest’anno. All’improvvisole appariva tutto troppo faticoso: Gus Simpson, unadelle più celebri icone di stile della televisione, nonaveva voglia di dare una festa. Anzi, avrebbe preferitocancellare del tutto quella data.

Versò il caffè alla nocciola in una grossa tazza a righebianche e blu, poi si spostò al bancone di granito grigioe nero, e si mise a sedere sullo sgabello. Bevve un pic-colo sorso facendo un po’ di rumore (tanto non c’eranessuno in casa) per non scottarsi la lingua, e cominciòa sfogliare il «New York Times». Cercava di risollevarsidal suo umore cupo. Ma l’abitudine (era lunedì, giornodel supplemento «Media», e lei amava essere informata

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sul suo mondo) le fece posare lo sguardo su un lungoarticolo appena sopra la metà del giornale. I VOLTI

NUOVI DEI PROGRAMMI DI CUCINA lesse Gus, con unastretta di ansia al petto. LA CUCINA È DI MODA E I NUOVI

CONDUTTORI SONO APPETITOSI QUANTO I LORO PIATTI.Digrignò i denti, come faceva sempre quando era

nervosa, ed esaminò la grande foto con tutte le nuoveleve: c’erano quel giovane chef surfista, sempre in cal-zoni corti e con una perenne aria da liceale, la giovanecasalinga del Midwest che cucinava solo piatti con almassimo sei ingredienti, e la giovane Miss Spagna cheaveva trasformato uno spot per le olive del suo paese inun video di culto che spopolava su YouTube. Gusapprese che, grazie a quella pubblicità, Miss Spagna siera guadagnata un programma di dieci minuti, Un saltoin cucina, e che, qualche settimana prima, aveva pubbli-cato un libro di ricette già campione di vendite on-line.

L’articolo continuava a pagina due del supplemento;si apriva con una foto della stupenda Miss Spagna, conla corona sui capelli neri e decisamente troppo mascara,commentata da una grande didascalia. CARMEN VEGA:DA REGINETTA DI BELLEZZA A REGINA DEI FORNELLI.

«Scommetto che non sa nemmeno cucinare» annun-ciò Gus alla tazza di caffè, pronta a chiudere il giornaledisgustata. Poi le cadde l’occhio su qualcosa di familiaree ricominciò a leggere con attenzione.

«“Immaginiamo di avere a disposizione solo un certonumero di ingredienti e nient’altro” dice Gus Simpson,famosa conduttrice di CookingChannel e star del notoCucina con gusto!, in una recente intervista con RachaelRay. “Bene, nessuno di noi creerà la stessa ricetta. Per-ciò non si tratta di cosa metti nel piatto, quanto delsapore che ottieni. Non ha importanza il procedimento,ma la sensazione che il cibo ti trasmette. La cucina,

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come la vita, è interessante se puoi sperimentare semprenuove cose.” I nuovi conduttori sembrano gli ingre-dienti a cui le tv via cavo intendono ricorrere per tratte-nere gli spettatori, visto il calo di ascolti su tutti icanali...»

Bla bla bla. L’articolo si dilungava ancora su questinuovi nomi del panorama dei programmi di cucina, tuttiapparentemente approvati (grazie a un uso accortodelle citazioni) da Gus Simpson in persona. Oh, quantoodiava i giornalisti! Rilasciavi un’intervista e dopo unanno ritrovavi le tue stesse parole in ogni articolo sullacucina. Ormai aveva imparato la lezione: mai dire nulla,né di gentile né di sgarbato, a meno che tu non vogliasentirtelo rinfacciare per il resto della vita.

Pensò di accartocciare il quotidiano e di buttarlo nelcestino, ma tanto non c’era nessuno spettatore. Era con-vinta che non valesse la pena sprecare energie in un gestoteatrale che nessuno avrebbe visto. La televisione erastata un’ottima scuola in questo senso. Sospirò e lasciòlo sgabello per una postazione più comoda. Cacciò viaSale, la sua gatta bianca, da una poltrona enorme nelbovindo e la guardò accomodarsi in uno spicchio di soleinsieme a Pepe, che era nero e aveva un bel caratterino.

Si sistemò sulla poltrona foderata di robusto tessutospigato bianco (aveva una fiducia incrollabile nella pro-pria capacità di non rovesciare il caffè e... nello smac-chiatore). La grande cucina era il luogo in cui si sentivapiù a suo agio; era lì che rifletteva sulle cose più impor-tanti, per esempio una nuova ricetta, o come venire acapo della vita infinitamente complicata delle figlie. Daquella poltrona, che Aimee aveva soprannominatomolto tempo prima “il pensatoio”, Gus poteva godersii colori del suo splendido giardino pronto per la prima-vera (al momento qualche residuo di neve e fanghiglia

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ricordava ancora l’inverno di Westchester), e la vistadella sua cucina scintillante. La posizione della poltronale dava quella che lei definiva sempre “la prospettivadello spettatore”, perché era così che la sua casa com-pariva in televisione.

La sua era davvero una cucina da sogno: una stufa inghisa blu scuro marca Aga, un piano di lavoro dimarmo, ripiani in granito, un grande lavello bianco adue vasche, i pensili scompagnati ad arte e disposti inmodo da sembrare aggiunti uno dopo l’altro nel tempo(ammesso che si potesse credere che ogni mercatinodelle pulci o negozio d’antiquariato avesse miracolosa-mente a disposizione mobili di legno della stessa altezzae con le stesse rifiniture) e, lungo una parete, una seriedi frigoriferi e congelatori. Il pezzo forte? L’isola rettan-golare con piano cottura a otto fornelli e paraschizzi rial-zato, ampio piano d’appoggio e un’appendice lateraleda usare come tavolo per la colazione (un po’ spostatarispetto al piano cottura, naturalmente, in modo da nonrovinare l’inquadratura). L’isola era la parte della cucinapiù familiare agli spettatori di Gus.

L’idea di registrare in casa sua le puntate di Cucinacon gusto!, la sua terza trasmissione per CookingChan-nel, del 1999, era stata davvero geniale. Anzitutto avevaazzerato i tempi per gli spostamenti e, soprattutto, Gusaveva potuto detrarre dalle tasse i costi di ristruttura-zione della casa. Nonostante la sua brillante carriera, erauna risparmiatrice coscienziosa. Non si poteva maisapere. Difficoltà improvvise, la pensione... malgrado lefosse sempre sembrata un’eventualità molto, moltoremota, perché lei era terribilmente, eternamente, divi-namente giovane. Insomma, la vecchiaia poteva essereuna cosa a cui pensare in prospettiva, non certo subito.Era troppo occupata, lei.

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Nei primi anni in cui lavorava in televisione, moltoprima degli assegni sostanziosi e del merchandising, Gusaveva condotto un programma di mezz’ora intitolatoPausa pranzo, basato sulle specialità che serviva nel suopiccolo ristorante, il Luncheonette. La trasmissioneveniva registrata a Manhattan, in uno studio che lei rag-giungeva in treno dalla villetta con due camere da lettoin cui viveva con Aimee e Sabrina. Era la stessa casa diWestchester in cui si era trasferita con Christopher,subito dopo essere tornati dal loro anno nei Corpi dipace, quando, appena sposati, avevano deciso di nonvivere in città. Quando lui si arrabbiava ogni volta cheGus bruciava la cena; quando lei gli preparava il pranzoin sacchetti di carta marrone, in cui nascondeva bigliet-tini piccanti. Quando erano troppo ingenui per capireche le cose brutte accadono. Che sarebbero accadute.

In quella stessa casa erano nate le bambine. Gusaveva provato un’infinità di lavori diversi: fotografa perun giornale di provincia, operatrice part-time per una tvlocale, produttrice di candele artigianali. Intanto sfor-nava dolci per le merende delle bambine e scarrozzavai figli dei vicini, permettendosi ancora il lusso di pensarea ciò che avrebbe voluto fare.

L’incidente di Christopher aveva cambiato tutto,spronandola a fare qualcosa. Così aveva aperto il Lun-cheonette, e attirato l’attenzione di Alan Holt e della suarete. Il piccolo locale di Gus nella contea di Westchester,poco a nord di New York, era specializzato in spuntiniveloci e tè pomeridiani. Era abbastanza vicino alla sta-zione perché i pendolari facessero un salto per unabibita o qualcosa da mangiare prima di prendere iltreno. L’arredamento, chiaro e vivace con tavoli anticatibianco sporco e poltroncine imbottite a strisce bianchee rosse, era stato pensato per attirare le supermamme

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durante le pause tra le mille attività extrascolastiche deifigli. La piccola ma accurata selezione di specialità,invece, doveva servire ad attrarre le cuoche più avven-turose, una tipologia trasversale sia alla categoria deipendolari sia a quella delle supermamme.

Aprirlo era stato una scommessa, con due figlie pic-cole e la polizza sulla vita di Christopher che si estin-gueva in un conto in banca. Eppure le era sembrato cheavviare un’attività propria le avrebbe garantito il generedi flessibilità necessaria per crescere le bambine. E poile era sempre piaciuto cucinare. Amava sperimentaresapori e cucine del mondo, e presentare i suoi piatti inmodo perfetto. Gli amici, anche se con le migliori inten-zioni, avevano disapprovato la scelta, incoraggiandolainvece a investire il denaro e a vivere di rendita. In realtài soldi non sarebbero mai bastati. E poi Gus in quelmomento aveva voglia di rischiare. Dare una scossa allasua vita.

Il rischio non l’aveva resa meno prudente. No davvero.L’incontro con Alan Holt si era rivelato una straordinariaopportunità che non poteva permettersi di mandareall’aria. Gli aveva già servito dolci e tramezzini un’infinitàdi volte, senza mai sospettare che fosse qualcosa di più diun semplice cliente abituale. Finché un giorno lui le avevadato il suo biglietto da visita dicendole che non glisarebbe dispiaciuta una cena casalinga per discutere unaproposta d’affari. Gus aveva sperato ardentemente chepotesse fare pubblicità al ristorante.

Ricordava ancora benissimo la sera in cui, nella pri-mavera del 1994, Alan era venuto a cena. Aimee eSabrina erano adolescenti, mentre Gus era una mammasingle e indaffarata, che ancora sentiva la mancanza delmarito nonostante fosse scomparso già da sei anni. Eracome se, dopo la morte di Christopher, Gus avesse

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messo la propria vita in stand-by, in attesa di qualcosache neanche lei riusciva a individuare, qualcosa cheavrebbe reso la sua esistenza migliore. E così aveva riem-pito le sue giornate con il lavoro e le ragazze. Non lerestava molta energia, giusto quel tanto che bastava persperare di riuscire a dare alle sue figlie la vita che il loropapà avrebbe voluto.

Il giorno fissato per la cena, Gus non aveva chiestoche di essere lasciata sola in cucina, così aveva speditole ragazze a raccogliere un po’ di fiori. Qualcosa di alle-gro e colorato da mettere in un vaso. La maggiore,Aimee, era prontamente uscita sul retro e si era sedutasu una delle poltrone di vimini a braccia conserte;Sabrina, invece, si era allontanata con un’espressioneche Gus non era riuscita a decifrare, tra l’imbronciato eil pensieroso.

Gus si aspettava che le ragazze tornassero a manivuote e aveva preparato un centrotavola ore prima, lavo-rando alacremente mentre le figlie dormivano tranquillein uno splendido sabato mattina di sole. Aveva messo lasua composizione su un ripiano sopra la lavatrice. Larichiesta di raccogliere fiori era stata solo un trucco perspedirle fuori dai piedi mentre lei trafficava in cucina.

E invece eccolo lì: sette sassi e una piuma.Ecco quello che Sabrina aveva sistemato al centro del

lucido tavolo di palissandro.«Che ne pensi, mamma?» aveva chiesto la tredicenne,

scostandosi dagli occhi la frangia nera e indicando unafila di pietre di fiume lisce, disposte in ordine di gran-dezza, e una bizzarra piuma grigia che da lontano asso-migliava più a una striscia di garza che a qualcosa cheun tempo aveva volato.

Gus Simpson si era morsa il labbro, valutando il con-tributo della figlia; aveva osservato il tavolo, con le tova-

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gliette di lino color avorio, pulite e stirate, le porcellanepreziose (anche quelle spaiate ad arte, raccolte alle astee nei mercatini, e di tanto in tanto nei negozi), i calici divero cristallo e i bicchieri che aveva comprato in Irlandaanni prima. Vino rosso, vino bianco, acqua: una folliacostata più di tre mesi di mutuo. Gus si sentiva allostesso tempo colpevole ed euforica quando li vedeva.Ogni boccone, perfino l’acqua del rubinetto, aveva ungusto migliore con quel servizio.

Quella in Irlanda era stata l’ultima vacanza insieme aChristopher, un viaggio romantico senza le bambine. Lasera tornavano sempre in camera presto, ansiosi direstare soli. Avevano riso guidando lungo la costa moz-zafiato, in difficoltà con il cambio manuale, e per di piùsul lato sbagliato della strada. Però ce l’avevano fatta. Equesto rendeva ancor più incomprensibile l’incidente:Christopher percorreva la Hutchinson Parkway tutti isanti giorni. Ma quella mattina aveva commesso unerrore. Ecco cosa succede quando abbassi la guardia.

Gus non lo faceva mai: sapeva che ogni istante, ognidettaglio aveva importanza. Persino una tavola benapparecchiata.

L’argenteria appena lucidata splendeva sulle tovagliettedi lino: il servizio di posate da sedici era della suabisnonna. Ogni famiglia ha la propria storia (quell’in-verno in cui si è sopravvissuti a stento, la lunga e impos-sibile traversata dal Vecchio Mondo) e anche la famigliadi Gus aveva la sua, naturalmente. Nel suo caso quella sto-ria si intitolava Alla ricerca del Bello. Il servizio d’argento(un po’ fuori moda, forse, perché troppo lavorato) erastato acquistato da Tiffany a prezzo di grandi sacrifici, alritmo di un coperto all’anno. Per questo veniva usatosolo nelle grandi occasioni – Natale, Pasqua e Ringrazia-mento – anche dalle generazioni successive. La leggenda

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narrava che a volte ci si poteva permettere solo un cuc-chiaio, e coltelli e forchette dovevano aspettare tempimigliori. E così il servizio era passato, non senza causaretensione in famiglia, dalla madre alla figlia maggiore, perarrivare fino a Gus. Lei sì che lo aveva messo alla prova.Senza dubbio le sue nonne avrebbero considerato frivoloil compiacimento con cui lei tirava fuori quei piatti e quelleposate, disapprovando un uso così frequente. “Tienilo daparte per il futuro.” Quello era stato il loro motto. “Mettivia le cose belle e usale solo quando ne hai bisogno.” Ilfatto era che Gus sentiva di averne davvero bisogno.

Ma, vista l’occasione, era convinta che anche le suenonne avrebbero approvato quella tavola apparecchiatacon tanto lusso, pronta per la deliziosa cena che ancorabolliva e borbottava in cucina. Vellutata di asparagi,costata di agnello alle erbe, patate novelle al forno, panefatto in casa e cotto nel forno con un mattone bagnatoper creare vapore (un consiglio di Julia Child in unacopia consunta del più famoso manuale di cucina fran-cese, Mastering the Art of French Cooking, volumesecondo). E, per chiudere, una ricca, burrosa financièrecon sorbetto di lampone.

Quella cena doveva essere deliziosa. Casalinga, acco-gliente. Non capitava certo tutti i giorni che il presidentedi CookingChannel venisse a casa tua portando con séla possibilità di un futuro diverso.

«Mamma? Allora?» aveva insistito Sabrina.Ah, sì, la tavola. Quel centrotavola era l’unico ele-

mento dissonante in un insieme altrimenti perfetto. Erachiaramente inaccettabile.

Gus era già sul punto di urlare alla figlia di ripulirequel disastro, correre di sopra a cambiarsi e mettersiqualcosa di decente. E andare a cercare sua sorella edirle di prepararsi.

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Le parole erano pronte a uscire a precipizio. Anchesenza specchiarsi, Gus sentiva di avere un’espressionetruce. Quante volte aveva ripreso Sabrina e Aimee?Cambiati quella maglietta, abbassa la musica, metti inordine la stanza, non lasciare gli asciugamani bagnati ingiro. Come tutte le madri di adolescenti, Gus avevarisentito profondamente del fatto di essere diventata uncliché ambulante: tutte quelle piccole cose che da gio-vane le sembravano stupide e trascurabili erano dive-nute questioni di vitale importanza. Una vedova condue figli, niente di meno. Spegneva la luce ogni volta cheusciva da una stanza, indossava un maglione in piùinvece di alzare il riscaldamento. Usava i sottobicchieriper non macchiare il tavolo, mangiava gli avanzi. Tuttacolpa dei conti da pagare: sono in grado di cambiare laprospettiva di una persona e, all’improvviso, ogni cosadiventa fondamentale. Ogni singola cosa.

Anche una tavola apparecchiata. Gus sentiva didoverla sistemare.

Poi, però, si era accorta dello sguardo carico di aspet-tative della figlia minore. Gli occhi sgranati, la bocca unpo’ aperta da cui si intravedeva il metallo dell’apparec-chio. A Gus era balzato il cuore in gola: aveva dato perscontato che quella triste decorazione fosse il modo incui Sabrina le comunicava che non le interessava il suofuturo professionale. E se invece avesse davvero cercatodi aiutarla?

In quel preciso istante, Aimee era entrata nella stanzatrascinando i piedi; senza dubbio era stata messa inallerta dai radar che avvisano tutti i ragazzi nel momentoin cui un fratello o una sorella sta per cacciarsi nei guai.Cos’è che rende una famiglia una formazione compattadi fronte alle minacce dall’esterno, ma che allo stessotempo permette ai suoi componenti di attaccarsi impu-

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nemente in privato? Più magra e cinque centimetri piùalta di Sabrina, la frangia castana tinta di rosa con ilmascara per capelli, la quindicenne Aimee aveva guar-dato sua madre con un sorriso compiaciuto.

«Davvero carino» aveva detto, incrociando losguardo della sorella e indicando i sassi. «Mamma lobutterà via subito. Non è perfetto. E Gus Simpson nonfa niente che non sia perfetto. Vero?» Poi aveva spostatoil peso del corpo su un fianco, come se stare dritta fossetroppo faticoso. Era in attesa.

E anche Sabrina.Gus esitò: la mamma che era in lei stava facendo a

botte con la donna in carriera.«Secondo me la composizione di Sabrina è un

amore» aveva dichiarato alla fine. «È moderna ed essen-ziale. Resta dov’è.»

Aimee aveva alzato gli occhi al cielo.«Vedi, Aimee, è uno stile molto karma. Quindi pian-

tala» aveva esclamato Sabrina. «Credo che si dica zen, tesoro.» Gus sorrise ricordando la felicità sul volto di Sabrina,

con l’apparecchio che scintillava e i teneri occhi azzurrispalancati e brillanti. Aveva fatto la scelta giusta. Certo,si era sentita stringere lo stomaco quando Holt avevaguardato la tavola con aria interrogativa. Ma non si erascusata; al contrario, aveva lodato la creatività diSabrina, ben sapendo che la figlia pendeva dalle sue lab-bra. «Essere una buona padrona di casa significa far sen-tire a tutti di aver contribuito» gli aveva detto sicura disé, quella primavera di tanti anni prima.

Holt, padre divorziato, aveva annuito perplesso, perpoi annunciare: «Lei è proprio la persona che sto cer-cando».

E alla fine del dolce Gus Simpson, la sconosciuta tito-

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lare di una piccola tavola calda senza nemmeno un librodi ricette al suo attivo, aveva ricevuto la proposta di con-durre alcune puntate di un programma su un canaleappena nato.

La composizione di Sabrina era stata davvero unkarma, in fondo.

Et voilà! Era bastato qualche anno su CookingChan-nel: Gus ebbe un immediato e strepitoso successo. Sì, ilproblema con i successi immediati è che richiedono unlunghissimo lavoro preliminare.

Ed eccola ora, nel 2006, la regina dei programmi dicucina. Aveva venduto il locale ormai da tempo e vivevain una splendida villa a Rye, nella contea di Westchester,poco lontano da New York. Era proprio il genere di casache Christopher avrebbe desiderato: tre piani, biancacon le persiane nere, una grande sala da pranzo a sini-stra dell’ingresso, un giardino d’inverno, un salottinoche Gus aveva trasformato nella sua tana, una bibliotecacon le pareti rivestite di legno, un angolo per la cola-zione circondato da vetrate e un comodo salottino. Piùtutto lo spazio necessario per la troupe. Appena fuoridalla portafinestra della cucina si apriva un ampio patioche dava su un soffice prato bordato di fiori; completa-vano il tutto un laghetto ornamentale e una piccolacascata che gorgogliava dolcemente, tenendole compa-gnia quando era fuori nel roseto.

C’erano fin troppe camere da letto per una donnasola (le ragazze stavano facendo i bagagli per il collegedurante la trattativa per l’acquisto, ma lei aveva com-prato lo stesso), e decisamente pochi bagni per una casamoderna. Aveva in programma di ristrutturare i pianisuperiori, ma in tutti questi anni aveva avuto sempretroppo da fare.

Quella casa era la prova del suo successo. Le era pia-

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ciuta subito, soprattutto per i suoi piccoli difetti; era la sualunga storia ad averla, in qualche modo, resa imperfetta.

Gus l’aveva comprata mentre stava preparando Cucinacon gusto!, la sua terza trasmissione, quella di maggiorsuccesso, sia di pubblico sia di critica. Ogni settimanaospitava uno chef famoso nella sua meravigliosa cucina(già ristrutturata due volte), e insieme preparavano unpranzo con i fiocchi, chiacchierando e bevendo buonvino; raccontavano aneddoti sui ristoranti più celebri efacevano del loro meglio per convincere le telespettatriciche anche loro erano in grado di cucinare in quel modo.

Gus Simpson era sempre stata una brava cuoca, manon era una chef, e lo sapeva. Si era diplomata in foto-grafia, sviluppando un occhio infallibile per le inquadra-ture, e con il Luncheonette aveva avuto l’idea giusta almomento giusto. Il suo dono (perché di un dono si trat-tava) era la sua capacità di dare vita a un’esperienza indi-menticabile. Era una padrona di casa eccezionale:faceva sentire importante ogni singolo ospite, anche aldi là di uno schermo televisivo, e la sua joie de vivredonava un gusto particolare a ogni piatto. Il prodottoprincipale di Gus era lei stessa, e si vendeva bene:madre, figlia, migliore amica, anima della festa. E poi erabella. Non tanto da risultare insopportabile al telespet-tatore medio, ma innegabilmente bella, con quei grandiocchi castani e il sorriso aperto.

Insomma, era un piacere guardare Gus Simpson. Ilpubblico e, di conseguenza, i produttori la adoravano.

Gli amici, le figlie, i colleghi: tutti cercavano la suacompagnia. E lei, da parte sua, era felicissima di potersiprendere cura di loro.

Eppure adesso sentiva che l’incantesimo stava perfinire.

Va bene, non aveva voglia di dare una festa per il suo

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compleanno. Dove stava scritto che doveva farlo perforza? Gus cominciò a camminare su e giù per la cucina,contando tutte le persone che sarebbero rimaste delusese non avesse organizzato nulla, a ogni passo più ner-vosa. Sempre a fare, fare, fare.

Forse compiere cinquant’anni significava soltantoche era arrivato il momento di cambiare un po’ di cose.

«Toc toc...» Hannah Levine, sua amica e vicina, aprìla portafinestra. Nei sette anni della loro amicizia, ave-vano sempre condiviso una sorta di intimità disinvolta.Ma non subito. Nell’estate del 1999, la stessa domenicain cui si era trasferita alla villa, Gus aveva bussato a ogniporta del vicinato con una torta di lamponi appena sfor-nata per esprimere tutta la sua gioia di trovarsi lì. Untocco da maestra in puro stile Simpson, ricambiato conuna serie di inviti a cena e l’inizio di molti rapporti cor-diali. Nel giro era inclusa anche Hannah, che abitavaproprio accanto, in una casetta bianca ricavata da quellache un tempo era la rimessa delle carrozze della villa diGus. Hannah aveva aperto con un pigiama grigio sbia-dito e i capelli rossi legati in una coda; aveva la pellechiara e senza trucco, e uno sguardo sospettoso dietrogli occhiali spessi.

«Che torta è?» aveva chiesto, in parte nascosta dallapesante porta di mogano. A quei tempi era ancora piùmagra, clavicole sporgenti e polsi ossuti. E nervosa, moltonervosa. Naturalmente Gus si era intenerita subito: Han-nah sarebbe stata senz’altro aggiunta alla sua collezionedi persone care da accudire e nutrire. Come le sue figlie,i loro amici, i colleghi: erano tutti creta nelle sue mani.Quell’estate Gus fu particolarmente invadente: bussò allaporta di Hannah con dolci e biscotti di ogni tipo. La suadeterminazione a fare amicizia era diventata ancora più

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salda quando si era accorta che la gentile ma diffidentesignorina in pigiama non sembrava ricevere altre visite.Hannah, che all’epoca sfiorava ormai i trenta, era troppovecchia per essere una figlia adottiva, perciò Gus prefe-riva pensare a lei come a una sorella minore.

Alla fine Gus e Hannah avevano scoperto di averemolto in comune: l’amore per il giardinaggio, i ritmi dilavoro non convenzionali, l’impegno nella ricerca delbiscotto al cioccolato perfetto, l’abitudine ad alzarsi pre-sto. Da tutto questo era nata un’amicizia vera.

Quando il corpo si sveglia prima dell’alba, comeaccadeva a Gus, può esistere un lungo lasso di tempo incui sembra che al mondo non ci sia nessun altro. Peralcuni è un momento di pace; per lei no: con la casabuia, le stanze delle ragazze vuote, i gatti che sonnec-chiavano, si sentiva tremendamente sola.

Per fortuna, era molto probabile che verso le setteHannah stesse già attraversando il confine tra le loroproprietà. Appena assodato che Gus non aveva inten-zione di demordere, Hannah aveva accettato la sua ami-cizia in tutta naturalezza. Fin dall’inizio aveva preso labizzarra abitudine di non bussare mai alla porta, ma dichiamare da fuori ed entrare. Fatto da chiunque altro,sarebbe stato un gesto maleducato; con Hannah, invece,sembrava perfettamente normale. E così se ne stavanosedute insieme nel bovindo di Gus, su quelle poltronetroppo imbottite, intingendo biscotti nei cappuccini eparlando delle stesse cose di cui avevano parlato ilgiorno prima. Questo era il bello della loro amicizia:l’importante era stare insieme, non fare qualcosa di par-ticolare. Era un’amicizia poco esigente, insomma.

Ed era un’amicizia preziosa: Hannah era la prima veraamica di Gus da quando era diventata un personaggiopubblico. Non esistevano manuali per imparare a gestire

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il passaggio a “quasi VIP” (o, per lo meno, CookingChan-nel non le aveva dato niente del genere). In una societàaffamata di celebrità, non ci vuole molto a trasformareuna madre di famiglia con il pallino dell’ospitalità in unaicona dell’alta cucina. Sul finire degli anni Novanta Gussi era conquistata un certo seguito, grazie anche ai librie alle agende di rito. Fantastico: Sabrina e Aimee ave-vano potuto frequentare ottime scuole. Ma lo status disemicelebrità era diventato un ostacolo nei rapportisociali: la gente la “conosceva” dalla tv, e sarebbe rima-sta terribilmente delusa scoprendo che forse la vera Gusera un po’ diversa dalla sua immagine televisiva. Inparole povere, era difficile fare amicizia. Certo, chiunqueavrebbe fatto carte false per poter dire di essere amicointimo della conduttrice di Cucina con gusto! Molto piùcomplicato era conoscere qualcuno che avesse voglia disapere chi fosse davvero Gus Simpson.

Hannah Levine, però, era completamente diversadagli altri.

Tanto per cominciare non guardava la tv. Be’, nonproprio. Hannah seguiva vari canali di notizie non-stop:CNN, NBC, Fox News. Ma telefilm, sit com, programmidi cucina o di arredamento... quelli assolutamente no. Sirintanava in casa, nel suo studio pieno di libri e con duetelevisori enormi, e scriveva un articolo dopo l’altro perdiverse riviste femminili. A volte in jeans ma più spessoin pigiama, con tanto di pantofole di pelouche ai piedie una ciotola di M&M’s a portata di mano. Hannah erauna giornalista free-lance specializzata in temi legati allasalute, cosa che la rendeva un tantino ossessiva sull’ar-gomento. Però lo era in modo benevolo, altruistico; peresempio si preoccupava molto se un estraneo si schia-riva la gola in modo strano (tosse asinina?), ma non davanessun peso alle proprie potenziali malattie. E avere

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internet come unica compagnia durante la giornata nonfaceva che incoraggiare la sua cybercondria.

L’aria sospettosa con cui Hannah aveva guardato latorta ai lamponi veniva da un articolo che aveva appenascritto su un’epidemia di Escherichia coli provocata daifrutti di bosco. Non sembrava particolarmente impres-sionata dal fatto che Gus fosse famosa. In tutti queglianni, dunque, Hannah non aveva guardato una sola pun-tata dei programmi di Gus. Lei la adorava per questo.

Gus fece cenno a Hannah di entrare, nonostante fossegià a metà strada verso la caffettiera. Gus le aveva lasciatouna tazza sul bancone, con il cucchiaino sul tovagliolo equalche fetta di ciambella alla banana su un piattino.

«Ieri sera ho finito un articolo sui rischi che derivanodal trascurare i piedi doloranti» disse Hannah dopoaver bevuto il primo sorso di caffè caldo. «Tu stai sem-pre in piedi durante la trasmissione? Perché avrei qual-che idea per renderti la vita più semplice...»

«Non ti preoccupare, tanto d’ora in poi condurrò ilprogramma su una sedia a rotelle» rispose Gus, scuo-tendo la testa davanti allo sguardo preoccupato di Han-nah. Le indicò il «New York Times». «A quanto paresono pronta per la pensione.»

Hannah scorse l’articolo. «Be’, almeno ci sei. Lo saicome funziona: se i giornalisti parlano di te significa chesei ancora importante.» Fece una smorfia per farlecapire che stava scherzando.

«Mi sento un po’... così... Hai presente?»«È per questo che non ho ancora ricevuto l’invito per

il tuo compleanno?» chiese Hannah. «Con chiunquealtro avrei pensato di essere fuori dalla lista. Ma vistoche sei tu, ho immaginato che ci fosse qualcosa che nonandava. Il tuo compleanno è tra poche settimane e devoancora decidere cosa mettermi.»

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Ora fu il turno di Gus di sorridere. «Che ne dici delvestito grigio?» suggerì.

Hannah lo indossava ogni anno; lo aveva comprato inuno dei rari pomeriggi di shopping con Gus. Hannahodiava lasciare la sua tana, e odiava indossare abiti chenon fossero comodi e sportivi.

«Credo proprio che metterò quello» risposeannuendo. Non si offendeva mai alle prese in giro del-l’amica.

Rimasero per un po’ in silenzio, in totale relax, man-giando il dolce e sorseggiando il caffè, intenzionate arimandare il più possibile il momento di mettersi allavoro. Lo facevano tutte le mattine.

Squillò il telefono. Erano solo le 7:08.«Chi può essere?» Gus non aveva riunioni in pro-

gramma e la trasmissione si registrava di mercoledì. Chefosse successo qualcosa a Sabrina? Di sicuro Aimee dor-miva ancora.

Prese il cordless e rispose.«Certo, certo, senz’altro» disse, saltando in piedi e

quasi versando il caffè sulla poltrona bianca. Poi riag-ganciò.

«Be’, grazie al cielo» esclamò. «Era il produttore ese-cutivo. La cattiva notizia è che devo essere in città,pronta per la diretta, in meno di due ore; quella buonaè che Gus Simpson non è una minestra riscaldata.»

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