Gli Artisti al tempo della pandemia: COVID-19 (parte terza) · 2020. 4. 18. · Gli Artisti al...
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Appunti d'Arte di Tamara Follesa- Arte Contemporanea
18 Aprile 2020
Gli Artisti al tempo della pandemia: COVID-19
(parte terza)
a cura di Tamara Follesa
Cinquantasei giorni dall’inizio dell’epidemia in Italia.
Parafrasando il titolo del celebre romanzo di Gabriel García Márquez “L'amore ai tempi
del colera”, ogni aspetto delle nostre esistenze è diventato un “al tempo del Covid-19”,
qualcuno forse taccerà di essere poco originali, ma all’interno di quel “tempo” non ben
quantificato sono riversati gli spettri delle nostre preoccupazioni: se da sempre il tempo
è stato la misura con cui è possibile misurare gli eventi, improvvisamente questa
dimensione non è più tangibile, un tempo che ha una data di inizio ben precisa, ma che
ancora non ha una fine, diventando così un tempo di incertezza, un tempo di attesa, un
tempo indefinito, in cui in un quotidiano paradosso questo stesso tempo scorre senza
poter essere ancora misurato, intrappolati in un loop temporale che ha modificato la
percezione delle nostre giornate, e in cui, restando a casa, non ci resta che aspettare.
Questo viaggio è iniziato partendo da lontano,
approfondendo (sotto il profilo artistico) i
tempi della prima devastante pandemia
mondiale, quella dell’Influenza Spagnola. [“Gli
artisti al tempo della Pandemia: l’Influenza
Spagnola” (parte prima); “Gli artisti al tempo
della Pandemia: l’Influenza Spagnola” (parte
seconda)] Sono passati circa 100 anni da
allora, eppure le testimonianze storiche
dimostrano che gli stati d’animo provati
dall’essere umano con le sue svariate
manifestazioni emozionali, rimangono
immutati: i progressi della scienza e della
tecnologia certamente permetteranno un
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controllo maggiore dell’epidemia, ma la scia di danni, umani ed economici, che il virus
lascerà al suo passaggio, lasceranno un solco profondissimo.
Ricostruiremo dalle macerie.
Ogni evento di portata così significativa impatta, non solo sul nostro vivere quotidiano,
ma in tutte le forme di espressione visiva e comunicativa, le sensibilità artistiche di
tutte le culture, da sempre, hanno interpretato e vissuto, attraverso linguaggi
differenti, le tragedie del proprio tempo. Il Novecento è stato un secolo in cui
l’affermarsi delle Avanguardie Artistiche ha generato movimenti, correnti e artisti di
unica grandezza e negli anni in cui si manifestò l’Influenza Spagnola (1918-1920), molti
di questi hanno convissuto con l’isolamento, il distanziamento sociale e l’utilizzo delle
mascherine, esattamente come noi oggi. Qualcuno si è ammalato, qualcuno è deceduto,
qualcun altro è riuscito a non contagiarsi. Molti di questi hanno lasciato nelle proprie
opere, traccia di quello storico passaggio.
Allo stesso modo gli artisti di oggi, immortalano il tempo del Covid-19.
In queste settimane c’è stato un flusso creativo continuo, che favorito dalla morsa del
lock-down, sta producendo un incremento notevole del corpus artistico di moltissimi
artisti contemporanei, che interpretano, veicolano e diffondono, attraverso la propria
personale visione, la realtà attuale, ponendo l’accento sulle problematiche intrinseche o
proiettandosi verso il cambiamento, inevitabile, che conseguirà da questo marasma.
All’interno del copioso fluire di dati riversati in rete, tra le tante proposte, ha catturato
la mia attenzione in particolar modo l’operato di Alessandro Pinna, pittore per passione,
originario della Sardegna e naturalizzato in Lombardia, che, a mio avviso, più di tutti, è
il rappresentante artistico dell’epoca del Covid-19.
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Alessandro ha immortalato
quei volti la cui identità è
celata, nascosta e protetta dai
dispositivi di sicurezza,
diventati oggetto di dibattito
nel corso dell’emergenza
sanitaria, rendendo così quegli
occhi eterni.
Il pittore sardo manifesta il
suo amore per l’arte sin dalla
più tenera età, le prime
contaminazioni arrivano dal
padre, appassionato paesaggista da cui può apprendere i primi rudimenti della pittura:
le sue notevoli abilità vengono riconosciute e premiate già a 11 anni, quando nel 1986,
vinse il primo premio del concorso indetto dal comune del suo paese di nascita, Carbonia,
in Sardegna. Nonostante la precoce inclinazione artistica la vita poi ha preso altre
strade: per la famiglia dell’allora giovane Pinna l’arte non poteva essere concepita come
possibile sbocco professionale, ma relegata solo ad attività hobbistica, pertanto una
formazione accademica non sarebbe stata plausibile, e così l’artista dopo pochi anni di
studi all’Istituto Tecnico per Geometri, si butta nel mondo del lavoro, rimbalzando nelle
più svariate attività. Mantiene costante l’esercizio del disegno, dedicandosi in particolar
modo al fumetto, ma benché avesse raccolto qualche successo, la vita reale fatta di
sacrifici, interminabili turni di lavoro e bollette da pagare, non gli permetteranno di
coltivare la sua passione. Ma come spesso accade, sono le grandi scosse a generare
cambiamenti: passando attraverso il dolore, la sofferenza, la paura e la malattia, il senso
stesso della vita, acquistano un sapore differente.
Nel 2009 viene
diagnosticata al pittore una
forma di leucemia acuta, che
stravolgeranno la sua
esistenza. E come in un
destino malvagio e beffardo,
nello stesso anno anche il
padre si ammalò, trovandosi
entrambi a lottare contro un
mostro chiamato tumore. Il
padre se ne andrà nel 2010.
Alessandro scese in campo
con tutte le sue forze, in una
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battaglia combattuta nelle lunghe settimane di degenza in ospedale, tra cicli di
chemioterapia e cure, tubi che invasero il suo corpo e mascherine di protezione
indispensabili in una fase così delicata. Durante il lungo calvario, la ferma volontà di
guarire e l’idea che l’estraniamento dai cattivi (inevitabili) pensieri avrebbero potuto
aiutarlo, fanno sì che l’artista si dedicasse totalmente al disegno, scoprendo così in
quell’attività una medicina naturale, capace di rilassare la sua mente e provare sollievo
dalla lunga sofferenza con cui stava convivendo. L’arte diviene un atto di guarigione con
cui esorcizzare il malessere, un processo di elaborazione introspettiva atto alla
rielaborazione del proprio travaglio.
Dopo un calvario lungo un anno, la vita finalmente riprende ma con delle priorità del tutto
differenti: Alessandro incarna nel suo essere la locuzione latina “Vita brevis, Ars longa!”,
la Vita è breve, ma l’Arte è lunga!, decidendo così di inseguire il suo amore per l’arte e
la sua naturale propensione alla pittura, fermando questo tempo sfuggevole, che
percorriamo nell’arco delle nostre vite, attraverso il segno delle sue pennellate.
Nel 2010 approfondisce le
conoscenze tecniche a bottega
dal Maestro peruviano Alejandro
Fernandez Centeno, docente di
disegno, pittura e studio del nudo
presso la Libera Accademia di
Pittura Vittorio Viviani, con cui
emerge la sua abilità di ritrattista
e la propensione verso la
rappresentazione di figure,
accompagnato in tutto il suo
cammino dalla moglie quale musa
principale, in un’incessante
ricerca formale dell’espressione del dolore, dei segni lasciati dalle cicatrici fisiche ed
emotive, ma anche dal valore ineguagliabile della rinascita, come una Fenice, dalle
proprie ceneri.
Il percorso personale di questo artista riflette le sue scelte artistiche, e come tale non
può essere ommesso affinché si possa configurare correttamente il suo posto nel mondo
dell’arte, e come in puzzle da migliaia di pezzi, difficili da individuare singolarmente, ma
capaci di restituire nell’ insieme una composizione perfetta, un altro tassello va messo a
fuoco in quanto indispensabile nella risultante dell’ingegno creativo di quest’ uomo.
Alessandro infatti non è solo un pittore dallo spiccato senso espressivo, ma è un
lavoratore, addetto al lavaggio e alla sterilizzazione di attrezzature e operatore di
camera sterile per un’importante ditta farmaceutica. All’interno dell’azienda, in cui gli
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operatori hanno molteplici ruoli,
vi è l’obbligo e l’addestramento
a produrre in sterilità e
sicurezza, questo viene fatto
mediante l’utilizzo da parte di
tutti i dipendenti, dei
Dispositivi di Protezione
Individuale (DPI).
Questo termine, che oggi è
diventato così familiare per
tutti noi, probabilmente
rimasto sconosciuto sino a poco
più di un mese fa per la stragrande maggioranza dei non addetti ai lavori, indica quei
prodotti (mascherine, guanti, occhiali, tappi orecchie, protezioni per il corpo) utilizzati
in tutti quegli ambiti, non solo in campo medico, in cui sia necessario lavorare in sicurezza,
per salvaguardare la persona e l’ambiente circostante secondo il “principio di
salvaguardia”. Ed ecco il destino incrociato di questo artista: la malattia lo porterà in
quanto immunodepresso a dover adeguare le proprie abitudini avvalendosi della
mascherina, per un anno il suo volto è coperto, il suo sorriso è oscurato da quel lembo
che lo terrà protetto, e poi c’è il lavoro che lo educa all’utilizzo dei Dispositivi di
Protezione, quegli indumenti che oggi sono diventati l’emblema di chi in prima linea sta
combattendo la pandemia, non solo nelle corsie degli ospedali, ma in tutte quelle
professioni che devono andare avanti.
E con l’esplodere dell’emergenza nell’acceso dibattito tra
pareri contrapposti sull’utilizzo di mascherine nel vivere
quotidiano e l’assenza dei dispositivi per gli operatori del
settore, che prende forma il progetto di Alessandro Pinna.
Verso la metà di Marzo realizza la prima opera murale, la
cui immagine è diventata in poco tempo virale (“Amor
Omnia Vincit”, Spray Paint e Acrilici su muro, Abitazione
Privata, Italia, Lombardia, 2020) in cui due colleghi
ricoperti da tute, occhialini, guanti e maschere, si
scambiano un tenero bacio attraverso i dispositivi di
sicurezza, a questa segue la serie “Working Class Hero”,
eroi della classe proletaria, titolo che rievoca la celebre
canzone del 1970 di John Lennon, quelli che non si
fermano, racchiudendo in un fermo immagine quei volti che
stanno scrivendo la storia contemporanea, e di cui
possiamo osservare solo gli occhi, carichi dell’espressività che la destrezza pittorica di
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Pinna ha saputo restituire, con la specifica volontà di sensibilizzare lo spettatore
all’importanza di servirsi dei dispositivi, oggi più che mai.
La rappresentazione di volti
coperti da differenti tipologie di
maschere di protezione inizia
molto prima della pandemia, già
nel 2012, segnato per il suo
vissuto e equipaggiato per il suo
ruolo lavorativo, esegue i primi
ritratti protetti.
La serie dei ritratti “Working
Class Hero” (Olio su plastica, 29
x 36,5 x 4 cm., Italia, Lombardia,
2020) non è stata realizzata sul
solito supporto pittorico, ma
dipinta sul fronte di scatole in plastica per stoccare flaconi di farmaci liofilizzati
destinati alle aziende distributrici farmaceutiche, mantenendo così anche nel concetto
astratto di destinazione d’uso un filo conduttore con l’ambiente medico-farmacologico,
a cui è strettamente legato l’utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale.
Pinna dipinge “alla prima”, tecnica le cui origini derivano dai primi utilizzi del colore a olio
nella pittura fiamminga, caratterizzata dalla stesura delle cromie attraverso velature
eseguite quando lo strato precedentemente dipinto è ancora umido.
Tale procedimento implica una grande rapidità nell’esecuzione tecnica, questi ritratti
infatti vengono eseguiti in circa due ore, e una padronanza notevole del mezzo pittorico
che dimostra di aver acquisito sapientemente, tracciando con grande impeto il segno
delle proprie pennellate con campiture decise, vibranti di colore, in un alternarsi di
movimenti che permettono di intravedere la gestualità plastica che costruisce la forma
a questi volti, conferendogli un grande impatto emotivo, e racchiudendo, in quell’unica
porzione di epidermide scoperta, attraverso cui sono visibili gli sguardi di questi
operatori, l’essenza di questo tempo, quello in cui, per un po’, con profonda amarezza,
non potremo vedere i nostri sorrisi.
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Follesa T. “Gli Artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)”, in “Appunti d’Arte di Tamara Follesa”
del 18 Aprile 2020, http://tamarafollesa.it (consultato il 18 Aprile 2020)
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