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L.-J. Suenens (1904-1995) G. Lercaro (1891-1976) Gli “animatori” del Concilio

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L.-J. Suenens

(1904-1995)

G. Lercaro

(1891-1976)

Gli “animatori” del Concilio

Nato il 16 luglio 1904 a Ixelles (Bruxelles), il piccolo Lèon Joseph a soli

quattro anni perde il padre e viene cresciuto con grandi sacrifici dalla

madre, aiutata dallo zio sacerdote.

Frequentata la scuola dei Padri Maristi di Schaerbeek, nel 1929 entra nel

seminario di Malines dal quale è inviato per gli studi a Roma, come

alunno del Collegio Belga e dell’Università Gregoriana, dove ottiene il

dottorato in filosofia e in teologia (1927) e il diploma in diritto canonico

(1929).

Tra i suoi maestri si contano almeno tre figure che segnano la storia della

Chiesa belga (e non solo) del XX secolo:

a) il card. Mercier, pioniere dell’ecumenismo e animatore delle

«conversazioni di Malines» durante le quali dal 1921 al 1926 si

incontrarono teologi cattolici e anglicani;

b) dom Beauduin, fondatore dell’abbazia di Chevetogne e figura di spicco

del movimento liturgico;

c) padre Lebbe, delle Missioni Estere di Parigi, tra i primi a far conoscere

all’Europa cristiana del XX secolo la complessa realtà cinese.

Il 4 settembre 1927, Suenens è ordinato prete dal

card. van Roey e destinato all’insegnamento di

filosofia morale e di epistemologia al seminario di

Malines, dove rimane fino al 1940, anno in cui la

guerra coinvolge anche il Belgio.

Per tre mesi è cappellano militare nel sud della

Francia, finché non diventa vice-rettore

dell’Università di Lovanio, dalla quale proverranno

molti protagonisti del Concilio.

Qui durante la guerra fonda un circolo di scambi

teologici al quale partecipano, tra gli altri, Cerfaux,

Moeller, e Philips.

In questo periodo pubblica vari articoli sul

rinnovamento ecclesiale, liturgico ed ecumenico.

Nel 1943 subentra al rettore dell’università,

arrestato dai nazisti; anche il suo nome viene

incluso in un elenco di 30 soggetti da eliminare, ma

le forze alleate giungono prima che questo accada.

Il 16 dicembre 1945, monsignor Suenens viene

consacrato vescovo ausiliare di Malines, dove ha

esercita per 15 anni l’incarico di vicario generale.

Una delle sue opere edite in questi anni, L’Église in

état de mission, è tradotta in italiano con la prefazione

di mons. Montini.

Nel 1961 è nominato arcivescovo di Malines, che

ridefinisce i suoi confini e diventa Malines-Bruxelles;

come motto episcopale sceglie: «Nello Spirito Santo e

in Maria»:

«Il mio motto – “Nello Spirito santo e in Maria” –

acquistava crescente importanza. Nel cuore del Credo

professiamo che Gesù “è nato dallo Spirito Santo e da

Maria”. Non è un passato che ormai non ci appartiene

più: dobbiamo perpetuare il mistero nella Chiesa, in

ogni tempo, e non dissociare mai la Chiesa

istituzionale dalla Chiesa carismatica, due aspetti

della medesima realtà».

La “squadra belga”

al Concilio

I vescovi e i teologi belgi hanno esercitato un influsso decisivo nell’impostazione del

Concilio, tanto che per scherzo ci si riferiva a loro chiamandoli quelli del “Lovaniense

secundum”. Suenens ne parla così:

«Nessuno ha mai dubitato della fedeltà a Roma della Chiesa del Belgio, fedeltà che fu

perfino leggendaria al tempo dello scisma d’Occidente. Essa andava di pari passo, sul

piano teologico, con la piena consapevolezza della responsabilità episcopale. A

spiegare l’accordo unanime dei vescovi e dei teologi belgi su questo piano concorrono

diversi fattori. La nostra generazione era stata contrassegnata dalle “Conversazioni di

Malines” nel corso delle quali il card. Mercier leggeva il celebre Memorandum del

benedettino dom Beauduin sulla “Chiesa anglicana, annessa ma non assimilata”.

La tesi collegiale era stata avvalorata da un importante Rendiconto dell’episcopato,

opera di mons. Van Roey, certamente non un progressista, che allora era vicario

generale del card. Mercier. Inoltre la Facoltà di Teologia di Lovanio e i lavori

ecumenici al monastero di Chèvetogne avevano ben disposto gli animi a sostenere con

forza la tesi collegiale. Non bisogna trascurare il ruolo giocato da dom Beauduin nella

decisione di convocare un concilio. Egli ci aveva infatti parlato a più riprese della

necessità di completare il Vaticano I e di meglio equilibrare primato e collegialità.

Si era intrattenuto in lunghe discussioni con mons. Roncalli allora delegato apostolico

nei Balcani […]. Giovanni XXIII mi disse, poco dopo l’annuncio della morte di

Beauduin: “Ora dall’alto del cielo vedrà tutto ciò che aveva sognato quaggiù”.

D’altra parte, Beauduin aveva confidato a un amico intimo: “Se Roncalli diventa papa,

ci sarà un concilio”».

Delegato di

Giovanni XXIII

all’ONU

Giovanni XXIII lo crea cardinale nel concistoro del 19 marzo 1962,

nominandolo nella Commissione centrale preparatoria del Concilio; la

stima che il Papa nutre per il cardinale belga è notevole, tanto da

affidargli, tra l’altro, la presentazione dell’enciclica Pacem in terris

all’assemblea dell’ONU:

«Il papa si augurava che il messaggio della Pacem in terris - il suo

testamento spirituale – fosse diffuso ampiamente nel mondo e

acconsentì con gioia a esaudire il desiderio degli ambienti dell’Onu a

New York, affinché un prelato del Vaticano presentasse l’enciclica. Un

bel mattino Giovanni XXIII mi fece telefonare per chiedermi di essere

suo messaggero e portavoce a un’assemblea delle Nazioni Unite e di

consegnare a U Thant, segretario generale della organizzazione, una

copia con dedica della Pacem in terris».

Alla ripresa della 2ª

sessione del Concilio,

Paolo VI gli affida il

compito di tenere il

discorso commemorativo

di Giovanni XXIII, visto

il particolare legame di

amicizia tra i due.

Nella lettera inviata a

Suenens dal Segretario

di Stato card. Cicognani

il 7 settembre 1963 si

legge:

«[…] Sua santità ha ritenuto che nessuno più di Sua Eminenza sia in grado

di rievocare papa Giovanni XXIII dinanzi all’illustre assemblea nella

stessa aula che ospita il concilio per il quale egli ha offerto le sue

sofferenze e la sua vita.

È papa Giovanni XXIII che dopo averle affidato la sede arcivescovile di

Malines-Bruxelles, l’ha elevata alla porpora cardinalizia e subito dopo l’ha

associata strettamente ai lavori del concilio ecumenico, dapprima nella

fase di preparazione, quindi nel suo svolgimento.

Ed è ancora a lei che diede l’incarico di presentare la sua enciclica Pacem

in terris dianzi a un pubblico d’élite quale l’assemblea della Nazioni Unite

di New York.

Il Santo Padre – di cui conosce bene la profonda stima e il vivo affetto nei

suoi riguardi – mi ha inoltre incaricato di affidarle a suo nome la cura di

pronunciare in sua presenza il discorso di commemorazione in onore del

suo predecessore, che resta per tutti il papa della pace e del concilio».

(Lettera a Suenens del Segretario di Stato card. Cicognani il 07.09.1963)

Suenens rimane alla guida della

sua diocesi per 17 anni, fino

all’ottobre del 1979, ricoprendo

anche l’incarico di presidente di

Pax Christi e della Conferenza

episcopale belga.

È tra gli elettori dei papi

Giovanni Paolo I e Giovanni

Paolo II.

Dedica gli anni conclusivi a

sostenere e far conoscere il

movimento del Rinnovamento

dello Spirito.

Muore a Bruxelles il 6 maggio

1996, all’età di 92 anni, e viene

sepolto nella cattedrale di St.

Rumbolds.

«Contrariamente a quanto avveniva solitamente,

Giovanni XXIII mi creò cardinale subito dopo la

mia elezione ad arcivescovo. Voleva in tal modo

darmi la possibilità di collaborare all’allestimento

del concilio, in qualità di membro della

commissione centrale preconciliare. Al momento

della mia nomina, la commissione era a metà dei

lavori. Scoprii con sorpresa che i documenti e i

progetti da sottoporre al concilio non riflettevano

affatto le speranze scaturite dall’annuncio di questo

concilio: mancavano d’ispirazione e di grandi

vedute. Era un’impressione condivisa da alcuni

cardinali europei che facevano parte della

commissione prima di me. Senza accordo

preventivo, le nostre reazioni erano identiche. I

cardinali Döpfner, König e Alfrink avevano già

reagito, ma senza successo. Abbiamo perfino

inviato una lettera collettiva a Giovanni XXIII,

lettera firmata da un dozzina di noi, dove dicevamo

al papa che gli schemi preparati dalla Curia erano

insufficienti e che il concilio li avrebbe di

scuramente scartati».

Creato cardinale

(19 marzo 1962)

Nel dicembre 1961, qualche

settimana dopo la sua nomina ad

arcivescovo di Malines-

Bruxelles, Suenens attirò

l’attenzione di Giovanni XXIII

dedicando la sua prima Lettera

pastorale a una visione dinamica

della funzione episcopale. La

Lettera di quaresima, che seguì

da vicino il primo testo, era una

riflessione assai originale per il

tempo, totalmente finalizzata al

particolare significato del

Concilio convocato da papa

Giovanni. Il pontefice fu subito

conquistato da quelle riflessioni e

lo chiamò a lavorare in una delle

Commissioni preparatorie

Progetto esposto

a Papa Giovanni

«Abbiamo lavorato con accanimento per gettare

le basi per uno schema De episcopis incentrato

sulle grandi questioni pastorali […].

Alla fine riuscimmo ad affidare l’elaborazione

dello schema a mons. Morcillo di Saragozza,

futuro vescovo di Madrid, che fece un ottimo

lavoro.

Durante le riunioni della commissione, sedeva di

fronte a noi un temibile difensore dello Status

quo: il caro e santo padre gesuita Cappello. Era

stato nostro professore di diritto canonico – che

conosceva letteralmente a memoria – e ci

schiacciava con la sua scienza. La sua presenza

suscitava in noi un discreto complesso

d’inferiorità ma la sua santità era un

incoraggiamento.

Era famoso a Roma: il suo confessionale nella

chiesa di Sant’Ignazio non era mai vuoto […].

Questi lavori di preparazione al concilio

rappresentarono un’iniziazione e un

apprendistato preziosi negli anni del concilio a

venire».

Ben prima del Vaticano II, Suenens è già sulla

scena internazionale. Durante la sua

collaborazione alla Legio Mariae, specie dal

1948-1950, si sforza di convincere i vescovi

francesi ad accogliere il movimento irlandese

che fino ad allora ha incontrato grande ostilità in

Francia.

Non senza sorpresa, qualche anno più tardi, il

vescovo ausiliare di Malines, ancora giovane e

poco noto, ottiene un accesso diretto a Pio XII e

lo convince a introdurre nel suo discorso

d’inaugurazione al Congresso mondiale per

l’apostolato dei laici (Roma, ottobre 1957) il

suggerimento di rompere il “monopolio”

attribuito all’Azione Cattolica permettendo così

anche agli altri movimenti una libera espansione.

L’affermazione all’epoca produce l’effetto di

un’esplosione; se ne sente ancora l’eco sette anni

più tardi nell’aula conciliare del Vaticano II.

Apertura ai movimenti laicali già prima del Concilio

«Tra i miei appunti ritrovo la mia

prima impressione di alcuni membri

del gruppo. Cicognani: deludente,

visibilmente più conservatore del papa

e in contraddizione con lui; anche

laddove il papa apre una porta, lui la

chiude. Malgrado ciò, la sua età farà sì

che si possa passarvi sopra e a fianco,

ma non siamo della stessa idea.

Siri: dice sempre no, anche di fronte

alle cose più elementari. Sarà il

maggiore ostacolo da superare.

Döpfner: molto bene, ma poco

brillante nell’uso dell’italiano che è

lingua comune.

Montini: in accordo con Döpfner e

con me, formiamo un trio. Più

interessato all’aspetto “Chiesa ad

extra” che a quello “Chiesa ad intra”».

Impressioni sul consiglio

direttivo del Concilio

«Osservazione generale sugli schemi. Riguardo agli schemi, ecco il

pensiero comune di molti membri stranieri della Commissione Centrale.

Così come furono elaborati, questi schemi erano troppo giuridici e

senz’anima, particolarmente gli schemi elaborati dalla Commissione

dottrinale. Questi schemi portavano troppo l’impronta “Santo Uffizio” e

si presentavano troppo come degli avvertimenti, non come esposizioni

positive, sintetiche e di grande apertura.

Dopo che questi schemi primitivi hanno subito il nutrito fuoco delle

critiche della Commissione Centrale e che essi saranno emendati, si può

sperare che diventeranno più accettabili. […]

Non ci si dovrebbe meravigliare però che i Padri del Concilio non

approvino facilmente questi schemi, anche corretti, e sembra

auspicabile che si possa, se necessario, accettare anche qualche schema

nuovo proposto eventualmente da un certo numero di Padri al Concilio.

Questa eventualità è da prevedere e il regolamento dovrebbe renderla

possibile […]».

Discussione degli schemi conciliari

«Fin da principio fu evidente che lo schema sulla Chiesa non avrebbe messo

d’accordo l’assemblea […]. Si trattava di uno scontro fra due diverse concezioni

della Chiesa. Il sant’Uffizio aveva elaborato uno schema intriso di un’ecclesiologia

contrassegnata dal carattere canonico e strutturale della Chiesa senza la prioritaria

evidenziazione dei suoi aspetti spirituali ed evangelici.

Si trattava, a nostro avviso, di passare da un’ecclesiologia giuridica a

un’ecclesiologia comunitaria incentrata sul profondo mistero della Chiesa, la

Trinità. Per guadagnare tempo, dinanzi al grave scontento del card. Ottaviani che

durante la seduta plenaria denunciò lo “scandalo”, avevo chiesto a mons. Philips di

preparare senza indugio un nuovo schema, ancor prima che venisse scartato lo

schema originario.

Alla fine, poiché come previsto prevalse il voto negativo, si aprì la strada per quella

che sarebbe diventata la costituzione Lumen gentium. Avevo scelto mons. Philips,

laureato in teologia a Roma (con una tesi su sant’Agostino). Insegnava teologia

dogmatica a Lovanio e incarnava nella sua persona una sorta di “via media” che

non impauriva né il card. Ottaviani né il segretario padre Tromp. Per di più,

essendo senatore cooptato in Belgio, oltre a considerevoli doti diplomatiche

possedeva il senso del dibattito parlamentare».

«L’accenno ai carismi nel testo provvisorio della

Lumen gentium scatenò la reazione del card.

Ruffini che ne chiese la soppressione sostenendo

che i carismi erano forse una prerogativa della

Chiesa primitiva ma che considerarli come ancora

attuali poteva generare equivoci. Viceversa, la mia

opinione era che bisognava parlarne e che i carismi

dello Spirito Santo erano parte integrante della vita

cristiana e dell’evangelizzazione. Il concilio scelse

questa prospettiva e le riflessioni sui carismi

vennero integrate nel testo conciliare con tono

sapiente e moderato ma decisamente positivo […].

Reclamando il riconoscimento dei carismi di tutti i

battezzati, tenni a sottolineare prima di concludere

che la parola “battezzato” non faceva distinzione

tra uomini e donne […].

Dovetti intercedere di persona presso Paolo VI

affinché le donne che partecipavano al concilio da

uditrici potessero ricevere la Comunione dalla sua

mano. No riuscii a ottenere che Barbara Ward,

illustre e insigne economista della Columbia

University intervenisse durante un dibattito».

Le donne al Concilio

Giacomo Lercaro nasce il 28 ottobre 1891 a

Quinto al Mare (Genova), da una famiglia di

condizioni modeste.

A 11 anni entra nel seminario di Genova,

dove diventa prete nel 1914, a 23 anni. Dopo

la laurea in Teologia trascorre alcuni mesi a

Roma presso il Pontificio Istituto biblico.

Costretto a rientrare nella Città della Lanterna

per l’entrata in guerra dell’Italia, presta il

servizio militare come soldato di sanità.

Nel 1923 assume l’insegnamento di Sacra

Scrittura e di patrologia, che terrà fino al

1937, quando diventa parroco della basilica

di S. Maria Immacolata, tra le più importanti

della città.

Prepara il VII Congresso eucaristico

nazionale (Genova 1923); contribuisce alla

nascita dell’Apostolato liturgico (1930)

insieme ad altri giovani preti genovesi come

Giuseppe Siri ed Emilio Guano; partecipa al I

congresso liturgico nazionale (Genova,

1934).

Giacomo Lercaro

Nutre speciale interesse per la

catechesi, la liturgia, le questioni

sociali e la condizione giovanile,

ambiti pastorali che gli saranno più

congeniali.

Da parroco incoraggia la

partecipazione dei laici alla liturgia,

la loro valorizzazione in ambito

ecclesiale e la riscoperta delle fonti

bibliche e patristiche.

La sua è una posizione teologica

equilibrata: né cedimenti innovativi

né ostinato tradizionalismo, con la

disponibilità ad affrontare situazioni

oggettivamente difficili.

Anche per questo nel 1947 viene

scelto come vescovo di Ravenna e

poi, nel 1952, di Bologna: diocesi di

“frontiera”, per il tradizionale

anticlericalismo delle Romagne ex

pontificie e per il dominio politico

delle sinistre.

Pastore “militante”

Eletto cardinale nel 1953, insieme a

Roncalli, guida la diocesi felsina

con piglio militante. Parla di

Bologna come di una “diocesi

malata”; organizza un gruppo di

religiosi (i “frati volanti”) affidando

loro il compito di combattere gli

avversari politici nei comizi

elettorali; tenta di rovesciare il

dominio amministrativo delle

sinistre spingendo G. Dossetti a

candidarsi nel 1956 alla carica di

sindaco del capoluogo; esprime

platealmente il proprio sdegno di

fronte all’invasione sovietica

dell’Ungheria (1956) facendo

suonare a lutto le campane.

Anche a Bologna punta molto sulla

partecipazione dei fedeli alla

liturgia, si impegna nella catechesi;

raccoglie fondi per la costruzione di

nuove chiese nella periferia urbana.

Vescovo di Ravenna

e poi di Bologna

Agli inizi degli anni Sessanta, è noto sul piano

internazionale come esperto di liturgia e

anticomunista. Mentre sembra profilarsi la fase

discendente della sua vita (ha ormai 70 anni),

l’attenuarsi della tensione internazionale, l’aprirsi

della stagione politica italiana del centro-sinistra e

soprattutto l’elezione di Giovanni XXIII lo rimettono

in gioco, dando inizio a una nuova stagione.

Partecipa all’intero Vaticano II, stabilendo contatti

quotidiani con vescovi di tutto il mondo. Relativizza

le questioni italiane e bolognesi. È costretto a

misurarsi con temi nuovi e stimolanti: il ruolo dei

vescovi, la Chiesa dei poveri, la guerra e la pace.

Nel Concilio assume ruoli importanti, presiedendo

varie sedute. Risulta tra i candidati alla successione

di Giovanni XXIII nel conclave del 1963. Figura tra i

“grandi elettori” di Paolo VI. Rimase a lungo

esponente della maggioranza conciliare di

orientamento innovatore, anche se verso la fine del

Concilio verrà un po’ emarginato.

Nella “trasformazione” di Lercaro sembra aver giocato un

ruolo determinante la collaborazione sempre più stretta con

don Dossetti. Qualcuno ha parlato di un “secondo esordio”

dell’episcopato petroniano del Lercaro, dopo il Vaticano II.

Anche i rapporti tra Chiesa e il Comune cambiano

profondamente, tanto che nel 1966 la giunta comunista

conferisce a Lercaro la cittadinanza onoraria.

È soprattutto il tema della pace a offrire l’opportunità di un

cammino comune. Nell’acceso confronto sulla guerra in

Vietnam, l’amministrazione comunale e altri settori

popolari sono ostili all’escalation militare americana. Sul

fronte cattolico le posizioni risultano divaricate tra chi

osteggia la linea americana e chi mantiene una linea di

equidistanza tra i contendenti, in linea con la DC nazionale

e il papa stesso.

Il messaggio di Paolo VI che il 1 gennaio 1968 istituisce la

Giornata mondiale per la pace contribuisce a far

precipitare la situazione bolognese. Lercaro tiene

un’omelia in cattedrale, dove condanna i bombardamenti

americani in Vietnam del Nord. Poche settimane la S. Sede

lo informa che il papa ha accolto le sue dimissioni per

raggiunti limiti di età. Ritiratosi, Lercaro muore nel 1976.

Giuseppe Dossetti

(1913-1996)

Quando inizia il Concilio, Dossetti è nel

pieno della sua maturità umana,

intellettuale e spirituale:

- ha alle spalle un’intensa stagione di studi

canonistici, culminata nella cattedra

universitaria di diritto ecclesiastico;

- una ricca e complessa esperienza politica

ai vertici della Democrazia cristiana negli

anni del 2° dopoguerra e della

ricostruzione;

- un coinvolgimento con ruoli di

primissimo piano nell’Assemblea

costituente;

- un’iniziativa creativa nell’ambito della

ricerca teologica;

- la recente generazione di una «famiglia»

monastica, coeva con l’abbandono della

condizione laicale e l’accesso al

sacerdozio.

- La sua vita è caratterizzato da un

incessante impegno interiore, alimentato da

un’ascesi severa, una fervida preghiera e

una crescente familiarità con la Bibbia.

Sia nella antepreparatoria che in quella

preparatoria del Concilio, affidata alle

Commissioni guidate dal Segretario di Stato

card. Tardini, Dossetti non fu coinvolto.

Egli però non era rimasto inerte né passivo:

accanto all’impegno nelle ricerche per

l’edizione del volume Conciliorum

oecumenicorum decreta (con le decisioni

approvate dai concili lungo i secoli),

promosse una serie di incontri a Bologna con

qualificati teologi europei.

Il suo coinvolgimento diretto nel Vaticano II

iniziò nel febbraio 1962, da da Bologna,

mediante scambi con Lercaro sui testi

preparatori del Concilio.

Il 5 novembre 1962, quando il Concilio

lavorava da quasi un mese, Lercaro lo

chiamò a Roma perché lo rappresentasse nei

lavori del «gruppo sulla povertà»,

un’iniziativa informale ai margini del

Concilio. Ben presto Dossetti sarà coinvolto

nella complessa vicenda conciliare.

Oltre che teologo di Lercaro, Dossetti

diventa anche consulente autorevole e

ricercato di alcuni tra i leader

dell’assemblea conciliare.

I nodi tematici sui quali il suo

contributo è specialmente significativo

vanno dalla concezione della Chiesa

alla collegialità episcopale e al rilievo

determinante del battesimo come fonte

dell’appartenenza alla Chiesa.

Ben presto anche i problemi del

funzionamento dell’assemblea attirano

il suo interesse e la sua esperienza di

studioso del diritto canonico e di antico

parlamentare: sarà il principale

ispiratore delle istanze per una revisione

del Regolamento conciliare. Le sue

proposte sfociano nell’istituzione della

Commissione di coordinamento,

preposta a tutta l’attività conciliare.

«I 13 anni trascorsi tra la fine della guerra mondiale e il 1° annunzio del Concilio

hanno implicato anche per la Chiesa cattolica gravi ripercussioni dell’enorme

mutamento globale, che qualcuno forse avvertiva, ma che i più parevano ignorare

ancora negli ultimi anni del pontificato di Pio XII.

Anzi, forse proprio a questa ignoranza complessiva fu provvidenzialmente dovuta

la nomina di papa Giovanni: una figura lungamente emarginata nella Chiesa, solo

molto recentemente accreditata dal successo della sua nunziatura parigina e del

suo episcopato veneziano, e comunque già avanzato in età, sì da essere scelto

intenzionalmente per un pontificato breve e di transizione.

Se i Cardinali avessero lucidamente considerato il complesso di problemi che si

stavano ponendo alla Chiesa e al mondo, non avrebbero probabilmente eletto

Roncalli, ma avrebbero cercato altri.

Del resto, la conferma di questa generale inconsapevolezza è data dalla

pubblicazione delle risposte dei vescovi alla consultazione che di essi fu fatta non

tanti mesi dopo, in preparazione del Concilio: risposte che nella totalità non

lasciano intravedere nessuna visione panoramica dei problemi e nessun approccio

serio ai punti nodali del grande rivolgimento storico in corso, neppure da parte di

coloro che poi nel Concilio emersero pian piano - per un dono dello Spirito

attualizzato dalla vastità mondiale del confronto e del dialogo reciproco - come le

personalità più dotate e capaci di intuizioni vaste e di apporti validi»

(G. Dossetti, Oliveto di Monteveglio, 28 ottobre 1994)

L’impegno

per la pace

Le Lettere dal

Concilio constano di

201 missive che

Lercaro invia, con

una scadenza quasi

quotidiana, ai giovani

ospiti

dell’arcivescovado

bolognese nel corso

dei 4 periodi

conciliari.

All’interno

dell’epistolario, le

notizie sul Concilio

sono disperse in una

miriade di piccole

annotazioni, non

sempre facili da

organizzare in modo

sistematico.

Lettere dal Concilio

Una straordinaria

esperienza di

Chiesa

«Stamane ci fu l’apertura del Concilio; non sto a descrivervi la cerimonia veramente

solenne, perché penso che l’avete seguita per la TV […]. Non mi sono mai sentito

così immerso nella Chiesa di Dio come oggi: la presenza del Papa, di tutto, o quasi,

il S. Collegio, dei Vescovi di tutto il mondo, intorno all’altare che stava al centro e

sul quale prima si celebrò il Sacrificio, poi si collocò in trono il Vangelo; lo sguardo

del mondo intero fisso sull’avvenimento, come si rendeva evidente dalla presenza

delle delegazioni di tante Nazioni e dalla presenza delle Chiese separate…; tutto

questo faceva sentire la vitalità della Chiesa, la sua unità e varietà insieme; la sua

umanità e divinità; e in me, che me ne sentivo membro investito di funzioni e di

poteri qualificati, creava un senso profondo di gioia e di riconoscenza al Signore.

Mi trovavo a sedere nell’aula conciliare tra il card. Wishinsky (applauditissimo

lungo tutto il corteo e oggetto di simpatia della folla) e il card. Mc Intyre; avevo

davanti i cardinali Spellmann, Ruffini e Cagiano (Buenos Ayres); poco distante

erano il Presidente Segni con il suo seguito e il Principe Alberto del Belgio; quasi di

fronte vedevo l’abate e un monaco di Monastero Calvinista di Taizé: erano tutti

questi segni visibili della presenza efficiente della Chiesa nel mondo.

Davvero sentivo il bisogno che lo Spirito Santo guidi questa impresa da cui tutti

attendono tanto; ma la preghiera ripetuta della immensa assemblea, seguita dalla

preghiera di tante anime nel mondo, tutto dava garanzia che lo Spirito del Signore

sarà con noi in questo lavoro» (11.10.1962)

«Il Papa, dopo la lettura del Motu proprio lasciò l’aula e si iniziarono i lavori

aprendo la discussione sul tema della “libertà religiosa”. Erano iscritti a parlare

21 cardinali: parlarono solo 8 perché il tempo mancò: tesi opposte, o almeno

diverse. C’è però tutta la speranza che la Dichiarazione, salvo utili ritocchi, sia

approvata. Sarà un buon passo avanti.

Quando saremo insieme ne parleremo; praticamente il senso è questo: che nessun

uomo possa essere da altri e soprattutto dallo Stato, coartato o comunque limitato

nei suoi diritti civili per motivo della sua professione religiosa, non solo privata,

ma pubblica e non solo personale, ma associata e con diritto di propagare le sue

idee religiose, salvo allo Stato il diritto di intervenire quando fosse leso, non

l’ordine pubblico soltanto, ma il bene comune.

Particolarmente forti furono in favore i cardinali americani Spellmann e

soprattutto Cushing (che parla il latino orribilmente); ottimo tra gli italiani il

card. Urbani a nome e per conto dei Vescovi della Lombardia e Venezie»

(15.09.1965)

Sul decreto de libertate religiosa

«In concilio ancora battaglia aperta sulla

libertà religiosa. Abbiamo avuto alcune voci

particolarmente notevoli: il card. Beran, forte

delle sue esperienze personali, ha confermato

che dal momento in cui nella sua patria fu

menomata e poi negata la libertà religiosa, ne

seguì un male immenso; ma – affermò – era

forse la conseguenza storica dell’ipocrisia

creata dall’intolleranza religiosa dei Cattolici

quando, nei secoli passati, erano al potere.

Il card. Cardijn si rifece ai suoi 60 anni di

esperienza fra i giovani operai di tutto il

mondo (è il fondatore della JOC): la

dichiarazione sulla più ampia libertà religiosa

è attesa tra i giovani di tutto il mondo, come

la premessa per un utile dialogo.

Il Vescovo di Oslo assicurò che sarebbe uno

scandalo per il mondo del Nord Europa una

menomata affermazione della libertà religiosa

ed esaltò la libertà di cui gode in Norvegia la

esigua minoranza cattolica» (20.09.1965)

Paolo VI e il card. Beran

«Una lettera del Papa con cui dissuadeva di portare in Concilio la questione del

sacerdozio uxorato mi sollevò da un lavoro che da giorni continuava e che oggi

avrebbe avuto il suo momento più difficile in un colloquio per il quale avevo chiesto

di far visita al Patriarca Maximos questo pomeriggio […].

Non bisogna fare confusioni; non si è mai dato che uno già sacerdote fosse

autorizzato a sposarsi (se non per dispensa, quando già avesse una famiglia

illegittima e, però, privandolo dell’esercizio di ogni potere sacerdotale e riducendolo

allo stato laicale); ma in Oriente uomini sposati possono accedere al sacerdozio; e

anche in Occidente il celibato entrò presto ma, come legge per tutto il rito latino,

solo nel secolo XII. Ora da un lato gli Orientali (duce Maximos) volevano presentare

la loro tradizione; dall’altro Vescovi occidentali che, come nel Brasile, hanno

pochissimi preti, chiedevano l’introduzione del clero uxorato – cioè di ordinare

sacerdoti uomini sposati – per supplire alla mancanza di clero.

Tutto questo sarebbe stato per sé legittimo; ma la situazione ormai inderogabile per

cui le discussioni e proposte conciliari dilagano nella stampa, interpretate nei modi

più strani, consigliava di riservare, se mai, il problema all’esame di organi più

ristretti (ad es. il Sinodo dei Vescovi) e quando il problema stesso fosse più maturo

(ad es. con l’esperimento dei diaconi) […]. Ora la gatta è pelata e anche Maximos ha

ritirato il suo intervento» (11.10.1965)

La discussione sul celibato dei preti

«Al mattino una congregazione generale

pesante, che ha visto però passare

finalmente lo schema sull’atteggiamento

della Chiesa di fronte alle religioni non

cristiane (praticamente lo “schema sugli

Ebrei”): è passato, ma con lo stesso

numero di voti contrari (250) che aveva

avuto nelle tappe precedenti: motivi

politici, razziali e anche atteggiamenti

religiosi male intesi hanno determinato

questi voti negativi su un testo che è

cristallino e profondamente cristiano. Ma

forse anche quei 250 “non placet” sono

provvidenziali: i paesi arabi crederanno o

almeno possono credere che i loro

Vescovi e patriarchi cattolici sono rimasti

sensibili alle pressioni esercitate su di

loro e non creeranno loro ulteriori

difficoltà» (15.10.1965)

Schema sugli Ebrei

«Stiamo votando il famoso schema XIII: “la Chiesa nel mondo presente” […].

Così come ora si presenta lo schema è assai migliorato nell’impostazione generale

o, direi meglio, nello spirito e nella presentazione e soluzione dei singoli problemi.

Lo spirito generale è meno razionalistico, più biblico ed evangelico: il Concilio,

dopo avere esaminato alla luce della parola di Dio la complessa situazione del

mondo moderno con il suo progresso e le sue carenze, e averne dato un giudizio

che, pur restando fondamentalmente ottimistico, non nasconde i pericoli che il

progresso tecnico stesso rappresenta, se non c’è un progresso spirituale e morale,

segnala in Cristo, nella parola e nella legge dell’Amore la possibilità di una

soluzione, che sarà completa però oltre la terra, ove è la meta.

Questa è la sintesi brevissima, meglio, il pensiero della prima parte, generale; nella

seconda si esaminano alcuni problemi ritenuti di particolare importanza. È notevole

in questo testo, come ora si presenta, la dignità della forma accompagnata e ispirata

sempre da un profondo senso di interesse alle sorte dell’umanità e dal desiderio di

un colloquio profondo.

Pur essendoci ancora divisioni tra i Padri su alcuni punti e pur restando migliorabili

talune pagine, direi che è prevedibile un voto positivo; sarà così coronata, come

speriamo, la lunga fatica: con la presente, lo schema ha avuto già cinque, anzi, sei

redazioni!» (15.11.1965)

I rapporti tra Chiesa e mondo contemporaneo

Nei suoi discorsi al Concilio, Lercaro propose una

“Chiesa povera e dei poveri”. Egli individuava una

stretta connessione tra la presenza di Cristo

nell’Eucaristia, che fonda e costituisce la Chiesa, e

nei poveri. I poveri un “sacramento” di Cristo

povero che la Chiesa deve riconoscere, onorare e

servire.

Per i cristiani la povertà non è semplice mezzo per

l’ascesi personale, ma chiamata alla conversione

che riguarda l’identità stessa della testimonianza

della Chiesa nel mondo, inviata dal suo Signore e

Maestro, che da ricco si fece povero per arricchire

noi uomini (cfr. 2Cor 8,9), a evangelizzare i poveri

e a condividerne le fatiche e le attese di riscatto e

liberazione, seguendo le sue orme.

Perciò Lercaro chiese che il testo sulla Chiesa

fosse riscritto a partire dal mistero del Cristo

povero e che quello della povertà della Chiesa

fosse “l’unico tema di tutto il Vaticano II”.

Il discorso lercariano ottenne una certa risonanza

sia dentro che fuori dell’assise conciliare, ma non

fu accolto il suggerimento di considerare la povertà

come tema prospettico del Vaticano II.

La Chiesa e i poveri

«Oggi giornata libera da Congregazione, ma

impegnatissima e faticosa. Veramente il

Concilio sta stringendo ogni giorno di più e

gli incontri si susseguono senza posa.

Stamane, su loro invito, ho tenuto una

conversazione sullo schema della Liturgia ai

Vescovi del Brasile: una cosa molto

interessante perché sono aggiornati e aperti.

Ho poi veduto il prof. Alberigo del Centro di

Documentazione di Bologna, che farà ogni

15 giorni circa un programma sul Concilio

alla TV: sarà cosa di rilievo, perché non si

tratterà di cronaca, ma di una visione più

profonda dei lavori del Concilio, resa

accessibile al pubblico attraverso i mezzi di

una accorta trasmissione. Ho avuto la visita

di due giornalisti redattori di “Città Nuova”

che arriva anche a casa: sul numero che esce

domani ci sarà qualcosa. Ho veduto pure P.

Martimort, francese, noto per i suoi studi

liturgici» (19.10.1962)

I rapporti con i giornalisti

Giuseppe Alberigo)

(1926-2007)

Piccola bibliografia