Giuseppe Lozer

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GIUSEPPE LOZER Starò sempre in guardia, come il dovere mi impone, contro ogni errore che possa offuscare, menomare l’integrità della fede, massimo dei doni da Dio elargito. LETTERA A GIOVANNI MARIA CONCINA , PARROCO DI PRATA DI PORDENONE, 20 SETTEMBRE 1906 a cura di Paola Barigelli-Calcari

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GIUSEPPE LOZER

Starò sempre in guardia,

come il dovere mi impone,

contro ogni errore che possa offuscare,

menomare l’integrità della fede,

massimo dei doni da Dio elargito.

LETTERA A GIOVANNI MARIA CONCINA , PARROCO DI PRATA DI PORDENONE, 20 SETTEMBRE 1906

a cura di Paola Barigelli-Calcari

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Nato a Budoia il 24 luglio 1880, da Bortolo e Lucia Fort, Lozer terminò gli studi nel Seminario di Portogruaro nel 1901, ma venne ordinato sacerdote solo il 1 febbraio 1903, in quanto doveva attendere il compimento del ventiduesimo anno e mezzo di età. Il 13 febbraio dello stesso anno fu subito nominato economo spirituale della parrocchia di Torre, e parroco nel settembre 1904. Dal 1926 fu Canonico della cattedrale di Concordia e insegnante del ginnasio-liceo Marconi fino al 1944, nonché vicario foraneo di Portogruaro fino alla medesima data. Nel 1945 divenne arciprete di Lorenzaga. Nel 1947 fu di nuovo parroco a Torre, su richiesta dei paesani, fino al 1957, quando chiese di diventare ospite della Casa di riposo Umberto I di Pordenone. Morì il 4 maggio 1974.

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«Figura singolare quella di don Lozer. Nella Destra Tagliamento egli fece parlare,con don G. M. Concina a Prata e con Annibale Giordani nello spilimberghese,

di una triade di sacerdoti che, come si è detto, nel pordenonese affrontarono laquestione sociale facendo leva sulle masse contadine, contemporaneamente impegnandosi nella

costruzione di cooperative di vario tipo. Abilissimi oratori dalle vocipossenti, sfiorati dal modernismo, questi sacerdoti ci appaiono ispirati da un modernismo

politico diverso da quello che, in altre parti d’Italia, vagheggiava “la conciliazione con la democrazia” e, se possibile, con il socialismo»

T. DEGAN, La casa del popolo di Torre, Euro 92 editoriale, Pordenone 2003, p. 59.

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Le memorie di don Lozer sono la testimonianza di una vita quanto mai attiva, se pensiamo al suo lavoro ecclesiale e soprattutto

di organizzatore politico, sindacale e cooperativistico dei cattolici di Torre, di

Pordenone e della diocesi; alla Cassa operaia di credito volta soprattutto alla realizzazione di case operaie (poi Banca cooperativa operativa

di Torre, ora dissolta nel gruppo Intesa); all’Unione cooperativa di consumo (oggi parte

delle Cooperative Operaie di Trieste); al Mulino ed al Forno cooperativo; alla Tipografia sociale cooperativa di Portogruaro; alla Società

di assicurazione bovini, alla Cooperativa dell’ago, ed alle tante altre idee concepite e

non realizzate dal vulcanico sacerdote, come la Cooperativa case popolari e la farmacia

cooperativa.

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In seminario ottenne dieci in tutte le materia tranne in Liturgia, la più facile delle scienze sacre, in cui ottenne otto.Durante l’anno scolastico era stato alquanto insubordinato e vivace, e anche molesto con obbiezioni. Ricordo fra l’altro che aveva criticato la prassi allora vigente di interrogare in latino i padrini del Battesimo, l’uso della stessa lingua nelle preci del Matrimonio, nel quale, essendo gli sposi ministri, avrebbero avuto il diritto di capire l’intero sacro rito…Secondo Lozer «è razionale e conveniente che il fedele abbia a comprendere le domande rivoltegli e le preci tanto belle che lo riguardano e che la sacra sinassi venga facilitata».

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Il 13 febbraio 1903 venerdì pomeriggio arrivava a Torre.«La prima visita, alla chiesa; la trovai spoglia, di un biancore glaciale, col solo altare della Madonna, con un pavimento di ghiaia cementata. Pregai e lacrimai insieme; furono le prime ma non le ultime lacrime versate in quella chiesa e in quella parrocchia…Non si doveva mandare in una parrocchia simile un giovane prete, solo, senza alcuna esperienza pastorale. È duro imparare la vita di ministero parrocchiale da se stessi, a proprie spese…A Pasqua visitai tutte le case per la benedizione…Riferii in predica la mia impressione, rivolsi alcune raccomandazioni. Si meravigliarono che m’interessassi di igiene, di pulizia, di stampa, di camere.

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Le mie condizioni finanziarie erano critiche. Parecchi mi domandavano due, cinque lire a prestito fino alla quindicina che non mi restituivano….Con una lire si comprava un chilo di carne, o un litro di olio, o tre di vino. Ero sempre al verde, stentavo davvero; il vescovo mi

aveva fatto la carità di cento lire. Non essendo parroco non ricevevo benefici dai terreni della prebenda parrocchiale. Disponevo dell’elemosina di una lira e mezza o due e di 60 centesimi

dal Fondo Culti quale economo spirituale. Dovetti accendere qualche debito per vivere e firmare la prima cambiale di mia vita. Ho passato due anni assai difficili sotto ogni rapporto.

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Quando raggiunsi l’età canonica richiesta di 24 anni ottenni pieni voti degli esaminatori e

divenni parroco.Allora il lavoro in Cotonificio era di undici ore e

mezza, orario inumano, schiavista, anti igienico.Appena nominato parroco scrissi una lettera

alla direzione supplicando, con chiari motivi, la riduzione di un’ora di lavoro perché gli operai

potessero consumare senza fretta e furia il magro desinare, assicurando che la produzione

non ne avrebbe risentito specialmente nella qualità. Fu concessa la riduzione ma soltanto di

mezz’ora. La incomprensione, l’avidità di guadagno, la

sfrenata concorrenza, la mancanza di provvedimenti legislativi, furono causa di

marasma sociale, per cui la massa divenne irritata, rivoltosa, cattiva.

Infatti S. Tommaso d’Aquino

insegnava: «Una certa quantità di beni materiali è necessaria all’uomo

per essere virtuoso».

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«La chiesa è poco frequentata nonostante che le funzioni si facciano brevi e solenni. La Dottrina cristiana è poco frequentata in proporzione dei tanti ragazzi. La moralità è decadente per il lavoro promiscuo e per la leggerezza femminile; si ama troppo il lusso. I ragazzi fino al dodicesimo anno stanno a contato col parroco che ha influenza su di loro; poi vanno a lavorare e pochi sono quelli che poi frequentano la chiesa e le funzioni. Tutto è stato tentato; anche il cine attrae ben pochi; preferisconorecarsi a Pordenone. La massima parte dei genitori sono bestemmiatori».

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«Lo scopo della vostra vita non è quello di aumentare il numero delle pezze dicotone. Solo la fede vi impedisce di inaridire i vostri sentimenti umani. Quando siè indifferenti o si perde la fede, quando si è materializzati, si avvera quello che dicela Bibbia: l’uomo animale non percepisce più le cose dello spirito di Dio; l’animadiventa una pietraia dove non germina il seme della scienza divina»

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L’elenco delle iniziative che lo vedono in prima linea a Torre è infinito: dalla fondazione della Cassa operaia sant’Ilario alla Cooperativa di Consumo, dalla costruzione della nuova Casa canonica e tanti lavori realizzati in Chiesa, compreso il muraglione di sostegno verso il fiume Noncello, all’avvio del Mulino, dalla redazione del mensile “L’amico di Casa” alla costruzione dell’Asilo, dalla cooperativa dell’Ago, per ragazze rimaste senza lavoro, alla costituzione della Biblioteca Popolare, allo sviluppo del Dopolavoro a cui fornisce un apparecchio radio, il primo sentito a Torre, e molto altro ancora. Nella sua seconda permanenza a Tore promuove l’Acli (Associazione Cristiana deli lavoratori). E’ conosciuta anche la sua lotta alla bestemmia fino a fondare la sezione pordenonese del Comitato civile contro la bestemmia, iniziativa che ci porta a non sottovalutare, quando si cerca di decifrare una personalità così poliedrica e viva, che tutto quello che faceva, certamente a modo suo, egli lo faceva in quanto prete.

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I liberali di destra e di sinistra che governavano l’Italia fino ad allora avevano

lasciato la classe operaia in balia di sfruttatori; salari più bassi d’Europa,

nessuna assicurazione sociale per pensione o per malattia, nessuna

ispezione sanitaria nelle fabbriche, non cassa per la maternità, per la

disoccupazione, non facilitazioni per la costruzione di case popolari, non agevolazioni per creditizie per la

cooperazione, per la piccola proprietà terriera, per gli artigiani, non tutela e protezione degli emigranti. La classe

operaia, come ben disse il papa Leone XIII, era ridotta in una condizione poco

inferiore alla schiavitù. Per forza le masse diventavano rivoluzionarie.

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Non si voleva, non si permetteva che il prete avesse a cuore le condizioni degli operai e dei lavoratori della terra.Testimone vivente del preconcetto antireligioso Lozer ha sperimentato a Torre l’evoluzione di chi denigrava i preti e la Chiesa: prima i socialisti, poi i fascisti ed infine i comunisti.«Il prete faccia il prete e tenda alla sua chiesa».Lui rispondeva: « Ho atteso alla mia chiesa e vedete come l’ho ridotta bella dentro e fuori, ho fatto da prete, ho insegnato due volte al giorno la dottrina ai piccoli, ho sempre assistito, visitato i malati, aiutato i poveri. Ma nello stesso tempo ho obbedito al mio Capo, al Papa, il quale ha comandato ai preti di uscire di sacrestia, di vivere col popolo e per il popolo e di promuovere tutto quello che nell’ordine umano, civile, sociale, religioso lo può migliorare».

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Per aver espresso la sua opinione il primo maggio 1915 al Console germanico di Venezia, Lozer è stato carcerato dal 24 giugno al 15 luglio 1915.Come Presidente del Segretariato di emigrazione informa che «i rimpatriati riferiscono di essere stati offesi, disprezzati nelle stazioni di Germania ed Austria; si è rifiutato ad essi persino il pane. Vi prego a far inserire sui vostri giornali che il popolo italiano non vuole la guerra. Sono a contatto quotidiano non solo con emigranti ma anche con operai delle industrie e coi contadini; nessuno condivide il pensiero dei giornali guerrafondai. Se domani per nostra sventura si apriranno le ostilità, non si dimentichi che il popolo italiano nella sua grande maggioranza ne è contrario e che esse saranno volute dalla massoneria, dalla stampa prezzolata, da un ministro ebreo inglese, da un governo debole e ambizioso e da un re che non ha saputo mostrarsi provvido, né previdente, né galantuomo».

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Il 24 maggio 1915 on. Salandra dichiarò guerra all’Austria. Lozer scriveva sul Bollettino parrocchiale «L’amico di Casa»: «E se fino a ieri fummo neutralisti e con noi l’intera parrocchia e abbiamo sperato

abbiamo voluto che le rivendicazioni e le integrazioni delle terre irredente si compissero con le armi del diritto e della giustizia…oggi non discutiamo più…oggi non è tempo di critica, ma di azione e di sacrificio….Qualunque cosa si richiederà da noi, la daremo; in qualsiasi piccolo campo di attività

verremmo chiamati, risponderemo all’appello, divideremo alle vedove e agli orfani il pane, divideremo le vesti, offriremo la nostra modesta suppellettile se necessario, venderemo anche quanto ci è caro e ci serve agli usi della vita e la vita stessa daremo per i nostri fratelli, per la nostra Patria quando ci fosse

richiesta».

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Dopo lo scandalo del carcere fu trasferito a Roma, poi a Firenze ed infine confinato come internato in Sardegna. Le umiliazioni, il viaggio faticoso, ipatimenti, la fame, le ingiustizie, il divieto di celebrare la messa, lo fecero ammalare gravemente. «Feci un voto al Santo curato d’Ars che se fossi guarito e avessi riacquistato la libertà, sarei andato pellegrino a ringraziarlo ad Ars, dove potei recarmi soltanto nel luglio 1926 tre giorni a gustare le intime superbe gioie dello spirito». Il 30 aprile 1916 depose la veste da prete per indossare la divisa militare. Destinato alla VIII compagnia di Sanità fu assegnato poi al Reparto Segregazione dov’erano ricoverati gli anormali, i neuropsicopatici come aiutante del maggiore Sergio Sergi.

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Inviato al campo di aviazione di Palo «vista la indifferenza, la noncuranza degli ufficiali per i quali i giorni festivi erano uguali agli altri anche per le esercitazioni» chiese di tornare a Roma. Fece 33 mesi di servizio attivo senza licenza; non fu promosso caporale e nemmeno cappellano militare. Prete politicante contrario alle Istituzioni e austriacante: questa la qualifica data dal Comando dei carabinieri di Pordenone inviato alla Direzione di Roma.

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Da Roma stampa il «Bollettino dei profughi e dei soldati di Torre» riportando centinaia

di indirizzi e notizie dei paesani; ne invia copia a tutti quelli di cui conosce la

residenza.«Non disperiamo: il coraggio non ci venga meno giammai. Ricordiamoci che l’essenza della vita sta nel dovere da compiere, nel

sacrificio da sostenere, nel dolore da sopportare. Rendiamoci tutti con onestà di

condotta, con correttezza di parole, con contegno educato, con coscienza pura, meno indegni di affrettare l’ora della

misericordia e di rivederci a Torre. Dio vi benedica. Il vostro parroco soldato»

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Il 31 dicembre 1918 torna a Torre dove trova una miseria desolante.Riorganizza la Gioventù cattolica e si impegna per l’Azione cattolica. Nel 1919 viene eletto nel consiglio direttivo dell’Unione cooperativa provinciale di Produzione e di consumo.Partecipa il 12 maggio 1920 alla grande manifestazione a Pordenone dei contadini riuniti nelle leghe. Ci furono due cortei autorizzati: uno cattolico organizzato dall’Unione del lavoro, l’altro socialista organizzato dalla Camera del Lavoro. Quando tiene un discorso dalla balaustra del Duomo in piazzetta San Marco sulla necessità di riformare il patto colonico fu preso a sassate.

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Il 30 giugno 1926 lascia Torre dove tornerà come parroco il 15 maggio 1947.Dal 1933 al 1944 è stato direttore dell’Ufficio Catechistico diocesano.Nel settembre del 1943 partecipa alla costituzione di un comitato di resistenza nelle zone di Portogruaro Concordia, Sesto al Reghena. Il 1 marzo 1944 viene arrestato dall’autorità nazifascista di Portogruaro e condotto in carcere da Venezia con l’accusa di atteggiamento antifascista. Rilasciato dopo due settimane gli viene ordinato di risiedere in seminario a Pordenone. Anche qui da il suo contributo alla Resistenza locale in qualità di partigiano militante nella brigata «Furlan» con compiti di informatore.

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Nel 1947 introduce la novità di ripetere in italiano, durante l’amministrazione dei sacramenti, le preghiere della liturgia fino ad allora recitate solo in latino.

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Il 16 novembre del 1957 si ritira nella casa di riposo Umberto di piazza della Motta a Pordenone. Fonda il Segretariato del popolo. Tra il 1960 e il 1967 pubblica diversi volumi.All’età di 84 anni nel 1964 pubblica «Diocesi di Pordenone, sintesi storica, documenti inediti raccolti da un pubblicista dell’albo dei giornalisti». Il vescovo Vittorio De Zanche inserirà sul settimanale diocesano Il Popolo un comunicato di deplorazione e riprovazione dell’opera giudicata inopportuna, offensiva e irriverente.

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Il 4 maggio 1974 si spegne all’età di quasi 94 anni.

Viene sepolto nel cimitero di Torre.La lapide riporta scolpito l’epitaffio

scritto di suo pugno nei mesi precedenti.

OSSA E POLVEREDI MONS. GIUSEPPE LOZER

HA AMATO I POVERI E GLI OPERAICON ATTIVITÁ CARITATIVA

E SCIALE MULTIFORMEPER LA LIBERTÁ

E PER LA GIUSTIZIASOFFRÌ IL CARCERE E IL CONFINO

21.7.1980 - 4.5.1974

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