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L’insufficienza del potere statale La maggior parte degli storici fa iniziare il Medioevo con la crisi e il collasso finale dell’impero romano d’Occidente. Dunque, uno dei dati più tipici del mondo medievale è il vuoto di potere, che a lungo non fu più riempito da un’autorità paragonabile a quella dello Stato ro- mano. Ma, in questo caso, non ci riferiamo tanto al fatto che l’unica e universale autorità del- l’imperatore fu sostituita da una serie di regni di varia grandezza, guidati da sovrani bar- barici e abitati da una popolazione mista, in parte romana e in parte germanica. L’atten- zione dello storico del diritto è colpita soprattutto dal fatto che, in tutte le nuove entità politiche nate dalla frammentazione dell’impero romano (e, più tardi, anche all’interno dell’impero carolingio, nel regno di Francia o perfino nei comuni italiani), lo Stato e il suo potere erano debolissimi. Se confrontiamo il Medioevo con l’epoca romana (e, a maggior ragione, con il tempo mo- derno), ci accorgiamo che l’autorità centrale si disinteressava di tantissime questioni che invece, a nostro giudizio, sarebbero di sua competenza: interi settori della vita sociale che siamo abituati a pensare come rigidamente regolamentati dalle norme statali non lo erano. Più precisamente, possiamo dire che, per tutta l’età medievale, diversi campi del- l’esperienza umana furono sostanzialmente autonomi, nel senso più letterale del termine. Infatti, se teniamo conto della radice (greca) della parola, definire un soggetto come autonomo significa affermare che si dà da solo gli ordinamenti (cioè le norme e le re- gole: le leggi, in linguaggio più giuridico) del proprio agire e del proprio funzionamento. Volendo utilizzare una metafora, potremmo dire che lo Stato moderno (quello che noi conosciamo e sperimentiamo) assomiglia a una rete avvolgente, dalle maglie fittissime, 1 UNITÀ 2 L’esperienza giuridica medievale L’esperienza giuridica medievale F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 APPROFONDIMENTO C Una copia delle Leges Longobardorum, la legislazione giuridica emanata dal sovrano longobardo Liutprando (che fu re dal 712 al 744). Nei regni romani- germanici spesso vi erano norme differenti per i romani e per i germani. DIRITTO, CITTADINANZA E COSTITUZIONE La debolezza dello Stato Lo Stato non è l’unica fonte del diritto

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L’insufficienza del potere stataleLa maggior parte degli storici fa iniziare il Medioevo con la crisi e il collasso finale dell’imperoromano d’Occidente. Dunque, uno dei dati più tipici del mondo medievale è il vuoto dipotere, che a lungo non fu più riempito da un’autorità paragonabile a quella dello Stato ro-mano.Ma, in questo caso, non ci riferiamo tanto al fatto che l’unica e universale autorità del-l’imperatore fu sostituita da una serie di regni di varia grandezza, guidati da sovrani bar-barici e abitati da una popolazione mista, in parte romana e in parte germanica. L’atten-zione dello storico del diritto è colpita soprattutto dal fatto che, in tutte le nuove entitàpolitiche nate dalla frammentazione dell’impero romano (e, più tardi, anche all’internodell’impero carolingio, nel regno di Francia o perfino nei comuni italiani), lo Stato e ilsuo potere erano debolissimi. Se confrontiamo il Medioevo con l’epoca romana (e, a maggior ragione, con il tempo mo-derno), ci accorgiamo che l’autorità centrale si disinteressava di tantissime questioni cheinvece, a nostro giudizio, sarebbero di sua competenza: interi settori della vita socialeche siamo abituati a pensare come rigidamente regolamentati dalle norme statali non loerano. Più precisamente, possiamo dire che, per tutta l’età medievale, diversi campi del-l’esperienza umana furono sostanzialmente autonomi, nel senso più letterale del termine.Infatti, se teniamo conto della radice (greca) della parola, definire un soggetto comeautonomo significa affermare che si dà da solo gli ordinamenti (cioè le norme e le re-gole: le leggi, in linguaggio più giuridico) del proprio agire e del proprio funzionamento.Volendo utilizzare una metafora, potremmo dire che lo Stato moderno (quello che noiconosciamo e sperimentiamo) assomiglia a una rete avvolgente, dalle maglie fittissime,

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L’esperienzagiuridica medievale

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Una copia delle LegesLongobardorum, lalegislazione giuridicaemanata dal sovranolongobardo Liutprando(che fu re dal 712 al744). Nei regni romani-germanici spesso vi eranonorme differenti per iromani e per i germani.

DIRITTO, CITTADINANZA

E COSTITUZIONE

La debolezzadello Stato

Lo Stato non èl’unica fontedel diritto

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che regola un numero elevatissimo delle nostre azioni e attività; nel Medioevo, invece,quella medesima rete era piena di strappi, cosicché gran parte di ciò che oggi è conte-nuto al suo interno allora sfuggiva e non era per nulla coperto; e questo non creava al-cun problema, né alle autorità né alle persone.Come ha scritto P. Grossi, «la chiave interpretativa essenziale di tutto l’ordine giuridicomedievale è che i detentori del potere costituiscono una fonte fra le molte chiamate al-l’edificazione di quell’ordine; senza dubbio, non la sola, e nemmeno la prevalente. La pro-duzione del diritto risiede soprattutto in altre mani, l’esperienza scorre in altri canali».

In secondo luogo, lo storico delle esperienze giuridiche è colpito dal fatto che a lungo, nelMedioevo, funzionò il criterio della personalità del diritto. Nella nostra realtà odierna,il principio di base è quello della territorialità: nello spazio che rientra sotto la sovranitàdella Repubblica italiana (ma, allo stesso modo, il discorso vale per la Francia, la Germania,gli Stati Uniti ecc.), tutti senza eccezioni sono tenuti a osservarne le norme, compresi ilturista o lo straniero che solo temporaneamente risiede nel nostro paese per lavoro. I re-gni romano-germanici, invece, funzionavano secondo un principio di base affatto oppo-sto: all’interno del medesimo territorio, per i romani valevano certe norme, mentre i ger-mani erano sottomessi a regole differenti. Questo criterio giuridico secondo cui un individuo è subordinato a un tipo particola-re e specifico di normativa, valido solo per la comunità in cui il soggetto è inserito(e diverso, quindi, da gruppo a gruppo, anche se tutte queste collettività vivono fianco afianco sullo stesso territorio) resterà attivo perfino dopo vari secoli, quando romani e ger-mani erano da tempo arrivati a fondersi in un popolo solo. Per tutto il Medioevo, infat-ti, diversi soggetti furono spesso subordinati a differenti forme di diritto, e solo raramentetali ordinamenti erano stati elaborati dall’autorità politica. I religiosi, ad esempio, furo-no per moltissimo tempo giudicati secondo un diritto speciale, elaborato dalla Chiesa evalido solo per i sacerdoti, mentre oggi, invece, se un prete commettesse un reato o un’in-frazione, verrebbe punito con quelle stesse sanzioni che, valide per tutti i cittadini, lo Sta-to ha deciso e fissato nei propri codici.

La forza del gruppo e della consuetudineIl principio della personalità del diritto permette di cogliere un aspetto essenziale della realtàmedievale: anzi, ci aiuta a capire che quel mondo era organizzato secondo modalità to-talmente differenti, rispetto a quelle che ci sono familiari. La società moderna poggia sulconcetto di individuo, chiamato all’adempimento di determinati doveri, ma anche por-tatore di diritti, tutelati dallo Stato. Nel Medioevo, al contrario, il soggetto isolato di fat-to non esisteva, poiché il singolo era sempre parte integrante di un gruppo (la fami-glia, il clan, il villaggio, la parrocchia, la corporazione ecc.). Ben più che dallo Stato, l’in-dividuo si aspettava protezione e tutela dalla collettività in cui era inserito; era quindi inultima analisi a essa, prim’ancora che al re, al signore o a un’entità ancora più vaga comela patria o la nazione, che l’uomo medievale giurava obbedienza o restava fedele.Si pensi, per esempio, alla coltivazione di un campo. Oggi, un podere è proprietà di unsingolo imprenditore agricolo, libero di venderlo, oppure di introdurre sul fondo tutte lemigliorie che vuole: l’agricoltore proprietario, per esempio, può decidere in assoluta li-bertà quali prodotti coltivare o non coltivare. Nel Medioevo, al contrario, il campo erain genere gestito in comune dalla comunità di villaggio: solo dal lavoro comune e collet-tivo, mettendo insieme terra, attrezzi e animali si poteva sperare di sopravvivere.

In un contesto collettivo di questo genere, introdurre novità era molto difficile, per nondire impossibile: anzi, di solito era perfino ritenuto pericoloso e assurdo. Il rispetto del-la tradizione, infatti, aveva nel Medioevo un potere e una forza eccezionali, al punto daessere universalmente considerato come uno dei pilastri dell’ordine giuridico. La con-suetudine era uno dei criteri normativi essenziali, che regolavano sia i rapporti tra levarie famiglie o i singoli soggetti, sia le relazioni tra il signore e la comunità di villaggio.

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La personalitàdel diritto

Il valore dellatradizione

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L’entità dei contributi da versare, per esempio, era fissata da tempo immemorabile, e ilnobile che avesse osato esigere più del solito importo si attirava subito l’accusa di aver vio-lato la legge. Si trattava, in verità, di un diritto non scritto; inoltre, era valido non per-ché fissato dall’autorità del potere politico, bensì dalla tradizione. Eppure, quel dirit-to era universalmente noto e impegnativo per entrambe le parti: come i contadini nonpotevano versare meno del pattuito, senza incorrere nelle ire e nelle rappresaglie del si-gnore, così questo avrebbe rischiato di scatenare la rivolta del gruppo di quanti lavora-vano per lui, se fosse andato contro la consuetudine. Anche la protesta armata dei con-tadini è emblematica della particolare situazione giuridica medievale: lo Stato e i suoi tri-bunali, infatti, non c’entravano, in una controversia di questo genere tra contadini e si-gnore; poiché a essere violata era stata la tradizione, e non una legge emanata dall’auto-rità politica, quest’ultima era sostanzialmente estranea alla partita, e la questione dovevaessere risolta direttamente tra i diretti interessati.Per tutto il Medioevo, il concetto stesso di novità, l’apertura in direzione del mutamentoe la disponibilità mentale a introdurre cambiamenti in qualsiasi ambito della realtà (neicostumi, nelle tecniche militari, nella liturgia ecc.) non vennero giudicati valori positivi,ma atti pericolosi, che mettevano in discussione l’ordine stesso del mondo, immu-tabile perché fissato fin dai tempi della creazione. È su questo sfondo che, nella maggio-ranza dei casi, dobbiamo interpretare l’espressione legge (lex, in latino): non tanto un prov-vedimento nuovo, vincolante perché emanato da un’autorità, bensì un’antica usanza, sag-gia, equilibrata e razionale, che gli uomini (tutti gli uomini, compresi i sovrani) dovevanoosservare e rispettare, perché rispondente all’ordine naturale creato da Dio. «In questa vi-sione – scrive ancora Grossi – la legge umana è scoperta razionale di regole ragionevoli; re-gole preesistenti perché l’ordine preesiste dal principio dei secoli a disposizione di chi ab-bia l’umiltà di ricercarlo. Ed è altrettanto ovvio che il principe, monarca o preposto a unacomunità, sia un personaggio dai poteri limitati, che è chiamato unicamente a conferirela sanzione della sua autorità. Un modesto concorso da parte del detentore del potere, conuna modesta funzione che resta esterna al processo di formazione della lex».

L’agire del re e quello della ChiesaQuando descrivono l’istituzione regale nel Medioevo, gli storici più avvertiti vanno mol-to cauti nell’utilizzare l’espressione «potere assoluto». Il re infatti, anche in tutti quei casiin cui non aveva un’istituzione precisa con cui doveva discutere o negoziare il proprio agi-re, non era affatto libero di comportarsi come voleva; per quanto non scritta, la consuetudineera ugualmente vincolante e obbligante per il re: il sovrano non era assolutamente sciol-to dal rispetto di tali norme tradizionali, che non potevano essere né violate né aggirate,senza incorrere nell’accusa di comportamento illegale.

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Caratteri tipici dell’esperienzagiuridica medievale

Caratteri tipici dell’esperienzagiuridica moderna

Principio della personalità del diritto Principio della territorialità del diritto

Pluralità di soggetti creatori del diritto(il potere politico è solo uno di questi soggetti,e spesso non il più importante)

Primato assoluto dello Stato come soggettocreatore del diritto

Forza vincolante dell’ordine creato da Dioe della tradizione, da cui si traggono leggie consuetudini che vincolano fortementel’azione dei sovrani

Possibilità per il sovrano (vera e prevalentefonte del diritto) di creare leggi sempre nuove,capaci di contrastare la consuetudine e latradizione

Prevalenza della comunità sul singolo Centralità dell’individuo e della sua libertàd’azione, nell’ambito della comunità

ESPERIENZA GIURIDICA MEDIEVALE ED ESPERIENZA GIURIDICAMODERNA A CONFRONTO

Il re e il rispettodella consuetudine

Paura della novità

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Per lo stesso motivo, quando un sovrano (si pensi, ad esempio, a Carlo Magno) si trovavaa capo di più regni e di più popoli (franchi, longobardi, bavari ecc.), non ci si aspettava af-fatto che armonizzasse le diverse legislazioni ed emanasse un unico codice di norme valideda un capo all’altro dell’impero, bensì che rispettasse le leggi tradizionali, tipiche di ciascunpopolo e di ciascuna regione. Il re non era concepito in primo luogo come fonte del dirit-to, bensì come interprete del diritto stesso: il compito primario che gli veniva affidato nonera di creare le leggi, ma semmai di renderle note tramite un editto, di far sì che tutti le co-noscessero e, ovviamente, di farle rispettare e di punire equamente i trasgressori.La Chiesa, che per molti versi, nel Medioevo, ci appare come l’istituzione più influente,decisamente più importante dell’autorità politica, si mosse al tempo stesso su binari simi-li e diversi. Da un lato, i presupposti del suo agire sono quelli che abbiamo già più voltericordato come tipici dell’età di mezzo: autonomia dallo Stato nell’elaborazione di propriordinamenti, superiorità del gruppo rispetto al singolo e forza vincolante della tradizione.L’XI secolo ebbe un ruolo decisivo nel sanzionare l’autonomia della Chiesa di Roma dalpotere imperiale; agli occhi dello storico, però, questo momento di svolta appare decisa-mente atipico, nel panorama giuridico e mentale medievale, in quanto si trattò di una verarivoluzione. Andando contro al più tipico degli atteggiamenti cari al Medioevo, la Chie-sa assunse un atteggiamento nuovo, nel momento in cui proclamò che l’imperatoree tutti i vescovi della cristianità dovevano essere rigorosamente subordinati al papa.Allo stesso modo, fino all’XI secolo anche la Chiesa (come l’impero) aveva ampiamentetollerato che le varie regioni avessero usanze e abitudini differenti; nel Basso Medioevo,

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Carlo Magno amministrala giustizia, miniatura

tratta da un codicedel XV secolo.

Il nuovoatteggiamento dellaChiesa dell’XI secolo

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DOCUMENT II tre ordini della societàAdalberone vescovo di Laon (1027-1031) espose nel modo più chiaro ed efficace le linee fondamentali

del modello sociale secondo cui la società cristiana (a imitazione della natura divina) doveva essere tri-nitaria, cioè strutturata in tre ordini. Per quanto organizzati in maniera gerarchica, i tre gruppi risulta-vano, almeno in teoria, complementari, in quanto ognuno di essi era chiamato a svolgere un’attività uti-le anche agli altri due: la mediazione nei confronti del mondo ultraterreno, la protezione militare e laproduzione dei beni necessari al sostentamento. All’atto pratico, questo modello sanzionava l’inevita-bilità del duro lavoro manuale per la maggior parte dell’umanità. Con il loro pesante faticare, infatti, icontadini dovevano mantenere i cavalieri (professionisti della guerra) e permettere agli ecclesiastici (co-loro che pregano) di restare puri, cioè lontani da ogni attività che potesse contaminare l’esercizio deiriti che, in virtù della loro funzione, erano chiamati a celebrare.

[La casa di Dio è retta da] due leggi diverse, entrambe definite dalla sapienza, che è lamadre di ogni virtù. L’una è la legge divina: essa non fa differenze tra i suoi ministri; li formatutti di uguale condizione, per quanto la nascita o il ceto sociale li stabiliscano diversi tra diloro; il figlio di un artigiano non è inferiore al figlio di un re.

Ad essi [ai ministri di Dio, cioè ai sacerdoti, n.d.r.], questa legge clemente interdice ognivile occupazione mondana. Non fendono la terra; non camminano dietro la groppa dei gio-venchi; appena si occupano delle viti, degli alberi, dei giardini. Non sono né macellai né lo-candieri, e neppure porcai, guardiani di capri o pastori; non vagliano il grano, ignorano il ca-lore cocente di una marmitta unta; non fanno dimenare dei porci sul dorso dei buoi; non sonolavandai, e disdegnano di far bollire la biancheria. Ma devono purificare la loro anima e il lorocorpo, onorarsi con i loro costumi e vegliare su quegli degli altri. La legge eterna di Dio pre-scrive loro di essere così senza macchia; essa li dichiara liberi da ogni condizione servile.[…] Egli ordina loro d’insegnare a conservare la vera fede, e di immergere quelli che hannoistruito nel fonte del santo battesimo […]. Questi ministri andranno a sedere ai primi postinei cieli. Devono dunque vegliare, astenersi da molti alimenti, pregare continuamente per lemiserie del popolo e per le loro. […]

La legge umana distingue altre due classi: nobili e servi, infatti, non sono retti dallo stessoregolamento. Due personaggi occupano il primo posto: uno è il re, l’altro l’imperatore; dalloro governo vediamo assicurata la solidità dello Stato; il resto dei nobili ha il privilegio di nonessere soggetto ad alcun potere, purché si astenga dai crimini che reprime la giustizia re-gale. Essi sono i guerrieri, protettori delle chiese; sono i difensori del popolo, dei grandi comedei piccoli, di tutti, insomma, e garantiscono al tempo stesso la propria sicurezza. L’altraclasse è quella dei servi: questa razza infelice non possiede nulla se non al prezzo della pro-pria fatica. Chi potrebbe con i segni dell’abaco fare il conto delle occupazioni che assorbonoi servi, delle loro lunghe marce, dei duri lavori? Denaro, vesti, cibo, i servi forniscono tuttoa tutti; non un uomo libero potrebbe vivere senza i servi.

La casa di Dio, che si crede una, è dunque divisa in tre: gli uni pregano, gli altri com-battono, gli altri infine lavorano. Queste tre parti coesistono e non sopportano di essere di-sgiunte; i servizi resi dall’una sono la condizione delle opere delle altre due; e ciascuna a suavolta s’incarica di soccorrere l’insieme. Perciò questo legame triplice è nondimeno uno; cosìla legge ha potuto trionfare, e il mondo godere della pace.

G. DUBY, L’anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva, Einaudi,Torino 1976, pp. 57-58, trad. it. L. ZELLA

Quali mestieri(ritenuti indegni)sono vietati aiministri di Dio?

I membri del clerosono su un piano diparità rispetto acoloro che non sonosacerdoti? Motiva latua risposta.

invece, si mise in moto un processo di graduale livellamento, finalizzato a far sì che in tut-te le regioni la Chiesa avesse identiche formule liturgiche e norme di comportamento.

Malgrado questo strappo del secolo XI, la mentalità del papato e di quanti ne sosten-nero l’azione non era veramente diversa da quella che abbiamo tentato di ricostruire.Innanzi tutto vi è l’idea dell’assoluta superiorità della comunità rispetto al singolo; se-condo la concezione cattolica, la religione è una faccenda collettiva, non individua-le: sarà questa, nel XVI secolo, la radicale divergenza che contrapporrà Lutero, la Rifor-ma e la concezione protestante al modello romano. Secondo la visione cattolica, l’uo-mo non si salva da solo, ma insieme agli altri fedeli, nella Chiesa, cioè in una società

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La religione comequestione collettiva

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ordinata (e, quindi, bisognosa sia di regole che di una precisa gerarchia), che gli forni-sce gli strumenti essenziali della salvezza, cioè la vera fede e i sacramenti. Fuori da que-sta comunità, secondo la concezione medievale, non c’è e non ci può essere salvez-za. Questo monito non valeva solo per gli infedeli, gli eretici o gli scismatici (come icristiani d’Oriente, che non riconoscevano l’autorità del papa), ma anche per gli ere-miti, per i mistici e per tutti coloro che cercavano un contatto diretto e personale conDio, saltando la mediazione della Chiesa.Nel medesimo tempo, anche quando – almeno ai nostri occhi – il papato e la Chiesa di Romasono andati contro la tradizione, i difensori del nuovo ordinamento si richiamavano alla con-suetudine. Per l’esattezza, facevano appello a una tradizione ancora più antica, quella apo-stolica, e quindi ancora più vincolante. Rilanciando l’autorità del successore di Pietro, Gre-gorio VII e gli altri pontefici si presentavano in realtà non come innovatori, bensì come irestauratori dell’ordine, che risaliva alla Chiesa delle origini, a Cristo o addirittura alle in-tenzioni stesse di Dio. Dire che, nei loro rapporti reciproci, il papa e l’imperatore si trova-vano nella stessa situazione del sole e della luna, per l’uomo del Medioevo non significavapresentare un’efficace metafora, bensì cogliere l’essenza stessa del mondo, il suo ordine, lasua logica, che doveva funzionare sulla terra proprio perché attivo ed evidente in natura. Lasocietà umana doveva essere lo specchio del cosmo creato, oppure dell’essenza stessa di Dio:solo muovendo da questa logica poté nascere la teoria secondo cui l’umanità è divisa in treordini (coloro che pregano, coloro che combattono e coloro che lavorano), e quindi si con-figura come trinitaria, proprio come è articolata al suo interno la divinità.

La necessità del dirittoA partire dalla fine dell’XI secolo, l’incremento demografico, la rinascita delle città e lo svi-luppo dei traffici commerciali obbligarono l’Occidente europeo ad affrontare numerosiproblemi giuridici nuovi, cioè a dare normative a una realtà molto più articolata e com-plessa di quella dell’Alto Medioevo, sostanzialmente statico, perché povero e dedito esclu-sivamente all’agricoltura. Nei secoli XII e XIII, lo Stato era una realtà ancora assai debolee immatura; pertanto, il compito immane di dare valide risposte normative a una societàin cambiamento fu assolto dai giuristi e dalla scienza giuridica.

Le idee di fondo erano ancora quelle delpassato, con la sua diffidenza verso le no-vità e il suo culto dell’antichità e della tra-dizione. Pertanto, ci si trovò a dover gesti-re simultaneamente due esigenze con-trastanti: rispetto e ammirazione per laconsuetudine e bisogno di gestire unarealtà in rapido mutamento. La rispostafu trovata nella riscoperta del diritto romanoantico, nella forma che gli aveva datol’imperatore Giustiniano, il quale, nel VI se-colo, aveva promosso la raccolta e la com-pleta risistemazione delle leggi in un codi-ce noto come Corpus iuris civilis (o Codi-ce giustinianeo).Dante, all’inizio del Trecento, celebrò la gi-gantesca operazione compiuta dai giuristi bi-zantini: così facendo avevano consegnato aiposteri uno strumento giuridico di ecce-

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La società umana,specchio del creato

La riscopertadel diritto romano

L’imperatore Giustiniano e il suo seguito(particolare), mosaico del 540 ca. (Ravenna,Basilica di San Vitale).

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zionale potenza, una vera miniera di norme autorevoli che, debitamente adattate al nuo-vo contesto, potevano offrire un validissimo punto di partenza giuridico. Tra i primi com-mentatori medievali del Corpus iuris civilis, dev’essere ricordato il bolognese Irnerio, chevisse nella seconda metà dell’XI secolo. Grazie al suo lavoro, nel giro di breve tempo Bo-logna divenne il centro giuridico più prestigioso dell’intera Europa cristiana.

Nel Basso Medioevo la situazione dei giuristi non era semplice. Da un lato, essi ricono-scevano la grandezza dei loro predecessori romani e bizantini; dall’altro, si proponevanodi trovare nel Corpus giustinianeo una serie di norme autorevoli, di spunti e di criteri, chepermettessero di ordinare la società in cui loro stessi vivevano. Rispetto per il glorioso pas-sato e sforzo di offrire efficaci soluzioni al presente, per così dire, si intrecciavano e si fon-devano, nel raffinato lavoro dei giuristi dei secoli XII-XIV. In tutti i casi nuovi, non esplicitamente presenti nei testi romani, i giuristi medievali adot-tarono il criterio dell’analogia. In tali circostanze, si impose il principio secondo cui l’espertoin scienza giuridica non doveva attenersi alle parole del Codice giustinianeo, ma all’inten-zione ultima della legge. Quello che contava davvero non era la lettera morta del testo anti-co, ma lo spirito che aveva mosso il legislatore a emanare quella particolare legge; inapparenza, il giurista medievale continuava a presentarsi solo come un umile interprete deltesto, come uno studioso a esso subordinato: nella pratica, però, l’esperto di fatto si libera-va dal Codice romano, assumeva un vero ruolo creativo e si trasformava di fatto in legi-slatore, prescindendo dall’azione del principe che, in genere (e non sempre), solo in un se-condo tempo sanzionava con un suo provvedimento quanto già decretato dai giuristi.

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Raffaello Sanzio, Gregorio IX approvale decretali, particolare dell’affrescoLe Virtù e la Legge, 1511 ca.(Città del Vaticano, Palazzi Vaticani,Stanza della Segnatura).

La nascita di unnuovo diritto

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Nei secoli XII e XIII, sia in Italia che in altre regioni d’Europa, nella pratica giudiziaria or-dinaria, cioè quando erano chiamati a emettere una sentenza, i giudici non partivano daun codice ordinato di leggi emanate dal sovrano, ma tenevano conto del parere di questiscienziati del diritto, veri legislatori, assai più che interpreti e semplici studiosi di legge.Seguendo le indicazioni e il metodo adottato dai giuristi bolognesi, anche la Chiesa si sforzònel Basso Medioevo di elaborare e strutturare un proprio sistema normativo, che ricevet-te il nome di diritto canonico. Alla fine dell’XI secolo, Ivo vescovo di Chartres compìuna prima vasta collezione di decreti emanati dalla Chiesa nel primo millennio della sua sto-ria. Nello stesso tempo, si sforzò di conciliare le principali discordanze tra i testi (o cano-ni) che riportavano le decisioni più importanti prese dai papi o dai concili, sia a livello lo-cale, sia per tutta la cristianità. Questa pionieristica opera di Ivo trovò il pieno sostegno delpapato, nel momento in cui la Chiesa si accorse che l’impero stava traendo grandi bene-fici, in termini di efficienza e di prestigio, dal fatto di presentarsi come l’erede del grandediritto romano. In questo clima, intorno al 1140, iniziò a operare Graziano, che costruì una grandiosa rac-colta intitolata Concordia discordantium canonum (Armonizzazione delle regole canonichediscordanti); della sua vita si conosce pochissimo: forse era un monaco originario dell’I-talia centrale; per certo, però, sappiamo che operò per diversi anni a Bologna, dove re-cepì il metodo di Irnerio e dei suoi discepoli. La Chiesa non aveva un codice tradizionale,antico e ben strutturato, paragonabile al Corpus giustinianeo; il lavoro di raccolta diGraziano (che ben presto fu chiamato Decretum) si sforzò di fornirglielo, in mododa offrire agli interpreti ecclesiastici un patrimonio di riferimento, da cui attingere prin-cipi e criteri per legiferare nella nuova realtà del loro tempo. Il dato più sorprendente è che la raccolta di Graziano non era stata ordinata dall’autorità,ma la Chiesa, riconoscendone l’importanza, l’assunse come testo giuridico. Nei secoli se-guenti l’attività normativa si espresse attraverso le decretali, lettere emanate dal sommopontefice, che grazie a esse rendeva nota le proprie decisioni o le proprie sentenze. Benpiù rapidamente dello Stato, infatti, la Chiesa romana concentrò nel papa tutta l’atti-vità legislativa, trasformandolo di fatto nell’unica e autorevole fonte del diritto.

Nel 1234, papa Gregorio IX ordinò che leprincipali decretali fossero ordinate e cata-logate; ne emerse una vasta opera giuridi-ca, organizzata in cinque libri, proprio comeil Codice giustinianeo. Periodicamente, neisecoli seguenti, i papi ordinarono di effet-tuare raccolte e collezioni simili (nel 1298,ad esempio, Bonifacio VIII promulgò il co-siddetto Libro sesto delle decretali). Su que-ste solide basi, nel 1917, sarebbe stato in-fine elaborato il moderno Codice di dirit-to canonico.

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Miniatura raffigurante una lezione di dirittoall’università di Bologna, XV secolo (Bologna,Museo Civico Archeologico).

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R i fe r i me n t i s t o r i o g r af i c i

Il re, la legge e la consuetudineLa mentalità giuridica medievale era molto diversa dalla nostra. Nella realtà moderna, infatti, la leg-

ge viene pensata, elaborata ed emanata da uno o più soggetti dotati di potere legislativo. Nel Medioe-vo, invece, la legge viene scoperta nell’ordine delle cose creato da Dio; la legge quindi, a rigore, esisteprima che il re o un altro soggetto la promulghi. Il sovrano non elabora la legge, si limita a proclamar-la, a renderla pubblica.

Nessuno – né l’imperatore né altro sovrano né una qualche assemblea di corpi [di gruppisociali, n.d.r.] o un qualche parlamento – elabora nuove leggi. Poiché Dio era consideratola fonte del diritto ne derivava che il diritto non può essere ingiusto o cattivo; esso è buono,è per sua essenza il bene. Diritto e giustizia sono sinonimi. Male può essere solo l’offesa aldiritto, la sua violazione o la sua omissione. Come il male nel mondo era considerato man-canza di bene, così anche l’ingiustizia era originata dalla mancata applicazione del diritto.Il diritto è giusto, poiché è saggio e corrisponde alla natura dell’uomo. Tommaso d’Aquinodefiniva il diritto come una «disposizione della ragione per il bene comune, proclamata dachi si preoccupa della comunità». Essenziale era perciò il rispetto di tutti i suoi attributi: il di-ritto deve essere razionale, servire al bene di tutti e far riferimento alla competenza del po-tere che lo proclama nel modo dovuto. Elemento altrettanto imprescindibile del diritto eraconsiderato la sua antichità. Il diritto non può essere qualcosa di nuovo; esso esiste da sem-pre così come esiste l’eterna giustizia. Ciò non significa che il diritto sia interamente codifi-cato nei codici e non abbia bisogno dell’opera ulteriore degli uomini. Nella sua pienezza,come idea, il diritto è scolpito nella coscienza morale, e da esso attingono queste o quellenorme giuridiche, anche se per qualche ragione ancora ignote agli uomini. Il diritto non sirielabora, lo si cerca e lo si trova. Ma l’antichità del diritto non consiste tanto nel momentodella sua origine, quanto è indice della sua irrefutabilità [indiscutibilità, n.d.r.], della sua bontà.Diritto antico significava diritto buono, giusto. I grandi legislatori del Medioevo non erano crea-tori di leggi, essi non facevano che ritrovarvi il vecchio diritto, lo ripristinavano nello splen-dore della sua giustizia; perciò il diritto precedentemente vigente non veniva abrogato maintegrato, e potevano perdere vigore solo le alterazioni del diritto causate dagli uomini. […]

Il diritto del paese si poteva integrare e migliorare, in altre parole sipotevano trovare quelle norme che in precedenza non erano inclusenelle leggi, ma si conservavano nella coscienza morale del popolo comefonte ideale della giustizia. Altra fonte del diritto, accanto alla sua ori-gine divina, veniva dunque considerata la coscienza giuridica del po-polo. Il diritto si conserva innanzi tutto nella memoria degli uomini piùsaggi e competenti; gli esperti del diritto (lagmenn, coloro che espri-mono il diritto nei paesi scandinavi, i rachingurgi in Francia, i whitan ei liberi et legales homines in Inghilterra) non creavano nuove norme giu-ridiche. Essi conoscevano i «tempi antichi», l’antica consuetudine. Così,per lo meno, intendevano la loro missione creatrice del diritto. Tutti era-no soggetti al costume e alla legge, e in primo luogo il sovrano. La suafunzione più importante consiste nella tutela e nella salvaguardia deldiritto. L’idea che chi governa debba preoccuparsi della tutela del di-ritto vigente, essere clemente e giusto, caratterizza numerosi specu-la reali [“specchi”, ossia trattati per insegnare al sovrano l’arte del go-verno: dinnanzi alla figura di un sovrano ideale il giovane principe di“specchiava”, assumendola come modello, n.d.r.] medievali, che con-tengono istruzioni ai monarchi e fanno leva sulle loro qualità individuali.Ciò è del resto naturale in un’epoca in cui il potere reale s’identificavacon la personalità del sovrano.

Salendo al trono, il re presta giuramento alla legge. Il Medioevo nonconosce alcun diritto pubblico particolare. Chi governa deve rispetta-re il costume e governare in conformità. Se viola la legge, i sudditi nondebbono assoggettarsi all’ingiustizia. «L’uomo deve opporsi al propriore e al suo giudice non appena costui compia il male, e deve ostaco-larlo con tutti i mezzi, anche se è suo familiare o signore. Con ciò eglinon trasgredisce il suo giuramento di fedeltà»: così suona il Sach-

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Il vescovo e il re,miniatura tratta da uncodice del XIII secolo.Nel Medioevo si eradiffusa l’idea che ilsovrano non elabora lalegge, ma si limita aproclamarla.

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senspiegel [redatto tra il 1220 e il 1230 circa, lo Specchio sassone è la più importante rac-colta normativa del Medioevo tedesco, n.d.r.]. Isidoro di Siviglia riecheggia le parole di Ora-zio per sostenere che il re è colui che agisce secondo giustizia, altrimenti egli non è re. Latrasgressione fraudolenta del diritto da parte del sovrano lo priva delle basi legittime del po-tere e scioglie i sudditi dal giuramento che gli hanno prestato. Anche i sudditi hanno l’obbli-go di difendere il diritto, anche contro il sovrano che lo trasgredisce. L’obbligo di salvaguar-dare il diritto scaturisce non da un contratto, ma dall’idea della forza universale del diritto alquale tutti sono soggetti. Di conseguenza, il diritto lega tutti, esso è propriamente il legameuniversale degli uomini. Tale principio contraddice radicalmente la concezione teocratica se-condo cui il re è al di sopra della legge ed è soggetto solo a Dio. […]

Il nuovo ispirava sfiducia, l’innovazione veniva recepita come sacrilegio e immoralità. «Nonrimuovere le pietre che ha posto tuo padre… – insegnava il monaco del V secolo VincenzoLerinense – poiché se si debbono sfuggire le innovazioni, bisogna conservare l’antico; se ilnuovo è impuro, il vecchio precetto è sacro». La staticità è il tratto fondamentale della co-scienza medievale. L’idea dello sviluppo le è estranea. Il mondo non muta né è soggetto asviluppo. Fin dall’origine perfetta creazione di Dio, esso esiste in condizioni immutate. Rap-presenta una gerarchia stratificata, non un processo dinamico. Di conseguenza anche il di-ritto – componente dell’ordine del mondo – è immaginato immobile. Non conosce il tempodella nascita, ma solo quello della fissazione; non conosce neppure il tempo dell’abroga-zione. È fuori del tempo.

A. Ja. Gurevic, Le categorie della cultura medievale, Einaudi,Torino 1983, pp. 174-179, trad. it. C. Castelli

Il ruolo della scienza giuridicanel Basso Medioevo

Nel Basso Medioevo (secoli XI-XII), in Italia, in Francia e in altre regioni d’Europa, la situazione so-ciale si fece più articolata e complessa. Lo Stato, però, continuò a essere soltanto una delle fonti deldiritto, che invece in larga misura veniva elaborato da intellettuali, giuristi e altri esperti, interpretandoe adattando alle nuove realtà sia il diritto romano che altre legislazioni trasmesse dalla tradizione.

Nei secoli XI-XII, la struttura semplice della vecchia società protomedievale [altomedievale,n.d.r.] si fa complessa: al movimento immobile delle campagne si è aggiunto quello conci-tato, sempre più concitato, delle città e dei traffici fra città; alla statica dei rapporti agrari si

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Spiega la seguenteaffermazione:«Il diritto non sirielabora, lo si cercae lo si trova».

Prova a illustrare leprincipali differenzetra la concezionemedievale del dirittoe quella moderna.

Che cosa era laconcezioneteocratica?

Il giurista italiano Cinoda Pistoia (1270-1336)

tiene un corso di diritto,miniatura tratta da uncodice del XIV secolo.

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aggiunge la dinamica dei commerci; compaiono soggetti professionali nuovi, mentre la prassimercantile e quella marittima coniano strumenti economici nuovi. È, insomma, una civiltà chetrova inadeguate le grezze regole consuetudinarie rispettate ed efficienti fino a ieri, o che,almeno, ne chiede di nuove che si affianchino alle vecchie. Sono troppi i vuoti da colmare,i casi non previsti che attendono idonee qualificazioni giuridiche. È una società in attesaquella che vive ed opera alacremente fra l’XI e il XII secolo; in attesa di essere giuridicamenteordinata. È chiaro che lo strumento consuetudinario non basta più; il particolarismo degli usi,prezioso ed efficace in un paesaggio giuridico statico, diventa ora limitante, soffocante. Nellanuova società complessa la consuetudine può mantenere un insostituibile ruolo di stimolo,e lo dimostrano i novissimi diritti del commercio e della navigazione che si originano nellaprassi delle varie piazze mercantili e portuali. Una società complessa ha però bisogno di ge-nerali schemi ordinanti, ha bisogno di un’intelaiatura generale che sorregga e contenga lostraripare dei fatti economici.

In una società complessa una fonte efficace è la legge concepita come volontà gene-rale, astratta, rigida. È la scelta della complessa società moderna, il cui diritto è quasi esclu-sivamente legislativo; ed è una scelta facile, perché è la più congeniale all’ingombrante sog-getto politico Stato che domina questa società, che pretende di monopolizzare la produzionedel giuridico e che trova nel monismo legislativo [lo Stato ha il monopolio assoluto del di-ritto, è l’unico soggetto abilitato a legiferare, n.d.r.] la soluzione a tutti i propri problemi di or-ganizzazione giuridica.

Ma nel bel mezzo del Medioevo? Quando lo Stato è un futuribile [una struttura che si sa-rebbe rafforzata solo nel tempo futuro, ma che nel Medioevo era ancora decisamente de-

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Copertina miniatadi un manoscrittodi diritto ecclesiastico,fine del XIV secolo.

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bole e incapace di assumersi compiti organizzativi impegnativi, n.d.r.] e il principe, assimi-lando inconsciamente una psicologia collettiva, è parchissimo nel produrre diritto? È ovvioche è impensabile un rimedio di regole sovrane autoritarie, astratte, generali, rigide. Sonoimpensabili leggi nel senso moderno del termine […]. Non restava che la scienza: l’unica chepotesse elaborare quella architettura generale di schemi ordinanti, quel sistema richiesto dallanuova società complessa. E la scienza fu chiamata dalla coscienza collettiva a rimboccarsile maniche e ad avviare l’immane lavoro. E la scienza rispose e corrispose. […]

In una civiltà come quella medievale, il diritto non è mai creato, ma può invece esserecercato, letto, detto, interpretato, trovato, adattato da una intelligenza capace di leggere,interpretare, adattare; si intuisce che lo spazio per la scienza è enorme, ed enorme è il suoruolo. […] Se il principe rinunciò a farsi interprete, o lo fece raramente, frammentariamente,la scienza colmò il vuoto e fu, per eccellenza, la interpretatio [l’interpretazione della norma,n.d.r.] non si trattò di una espropriazione di poteri, si trattò piuttosto di una doverosa sup-plenza. Fu una supplenza costosa, gravida di problemi, fonte di ambiguità e anche di anti-nomie [contraddizioni insolubili, n.d.r.]. Sin da ora si impone però una constatazione: accantoal principato di chi deteneva il potere politico, la scienza giuridica acquistò per tutto il se-condo Medioevo un suo principatus [una sua sovranità, paragonabile a quella di un principe,n.d.r.]; certamente senza territorio e senza milizie, universale, per orbem terrarum [valida intutta le terre abitate da uomini, n.d.r.], fatto di prestigio e di potere, di presenza attiva nellasocietà e di coscienza del proprio ruolo propulsivo. […]

Nel mondo moderno il problema della produzione del diritto è stato risolto in manierasemplice e coerente: il diritto è ricompreso fra gli oggetti rilevanti per lo Stato; è questi adaccollarsene la produzione monopolizzando il sistema delle fonti, cioè gerarchizzandole eriducendole sostanzialmente ad una, la legge, intesa come espressione della volontà su-prema dello Stato. L’itinerario della civiltà giuridica moderna dal Cinquecento in poi ci dà te-stimonianza di un crescente totalitarismo giuridico, che non solo non sarà smentito dalla im-perante borghesia, ma anzi vieppiù [sempre più, n.d.r.] assolutizzato grazie allo strumentoonnivalente del Codice [i Codici di uno Stato moderno si occupano di tutti i settori della vita,e quindi hanno validità in tutti i campi, n.d.r.]. Lo storico del diritto spoglio di prevenzioni ideo-logiche non può non rilevare un sacrificio enorme e costosissimo: la visione ancillare del di-ritto, ridotto a instrumentum regni [strumento di dominio, mezzo di cui i governanti di turnosi servono per conservare e rafforzare il potere, n.d.r.]; il condizionamento del diritto al po-tere e agli interessi della classe che lo detiene. […]

Tutt’altro discorso si deve fare per il diritto medievale, si deve fare soprattutto per il di-ritto chiamato a ordinare la società complessa del secondo Medioevo. […] La scienza è so-stanzialmente sola nel compito immane – cui è chiamata – di dare una veste idonea allanuova società. E qui si inserisce come istanza sentita il problema della validità, l’esigenzadi trovare un momento di validità per il proprio discorso [l’autorevolezza che giustifichi l’ob-bedienza alla norma, n.d.r.]. Problema tutt’altro che semplice e di soluzione non facile, pro-prio perché la situazione è all’opposto di quella che si inventerà il mondo moderno: qui [nelMedioevo, n.d.r.] titolare del potere politico e soggetto produttore sono disgiunti, né l’unopuò avere appoggio e sostegno dall’altro; qui il produttore del diritto è solo nel vuoto che ilpotere lascia intatto ancora per molto tempo. È da questo angolo di osservazione che vavalutata la riscoperta del diritto romano giustinianeo. […] Si trattava di un complesso nor-mativo ammantato di sacralità e venerabilità: sacralità, perché ne è promotore e promulgatoreun principe cattolicissimo, Giustiniano I, il quale ha volutamente impregnato la compilazionedel suo ruolo di difensore della fede e vi ha lasciato tracce vistose della adesione piena alladommatica cristiana; venerabilità, perché si tratta di un complesso normativo risalente adun’antichità avvertita come remota e favolosa e perciò ammantato di quella indiscutibile ri-spettabilità che il sedimentarsi dei secoli conferisce agli occhi dell’osservatore medievale. IlCorpus iuris si presentava, insomma, come auctoritas: era un deposito sapienziale e nor-mativo corroborato non solo dal decorso del tempo (che nel Medioevo è sempre dotato diun’enorme forza incisiva), ma dalla accettazione collettiva; in quanto ricevuto da una lungacatena di generazioni è svincolato dal particolare, è voce di una grande communio, e per-ciò è garanzia sicura e fondazione solida.

P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 152-157

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Spiegal’affermazione:«Il particolarismodegli usi, preziosoed efficace in unpaesaggio giuridicostatico, diventa oralimitante,soffocante».

Qual è la principaledifferenza, da unpunto di vistagiuridico, fra ilmondo moderno equello medievale?