Giulia Rodano: Sanità del Lazio, un sistema che non solo salvi la vita ma che aiuti anche a vivere...

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Giulia Rodano - Assessore alla Cultura, Spettacolo e Sport della Regione Lazio - http://www.giuliarodanocontroigiganti.com/ SANITA’ DEL LAZIO: UN SISTEMA CHE NON SOLO SALVI LA VITA, MA CHE AIUTI ANCHE A VIVERE MEGLIO Tra i giornali di proprietà degli Angelucci, in prima fila nell’ attacco a Emma Bonino, il suo “patriarca” Antonio che denuncia, secondo il più puro stile berlusconiano, una campagna di “persecuzione politica” delle sue cliniche da parte della Regione Lazio e le sortite di Renata Polverini in materia di sanità, la destra romana e laziale non sembra avere molte idee riguardo alla salute dei cittadini e alla riorganizzazione del sistema sanitario regionale. Di ciò, ovviamente, non ci si può sorprendere: alla prova del Governo, sotto la presidenza Storace, le uniche cose di cui è stata capace la destra sono state quelle di portare ad un livello stratosferico il debito della sanità laziale e di spartirsi brutalmente, fuori da ogni logica di competenza e di professionalità, tutti i pagina 1

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Rispondiamo in modo adeguato a bisogni primari dei cittadini? Rispondiamo efficacemente al bisogno primario della sicurezza, alle necessità della prevenzione, al bisogno e alla solitudine di chi si trova di fronte a una malattia cronica?

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Giulia Rodano - Assessore alla Cultura, Spettacolo e Sport della Regione Lazio - http://www.giuliarodanocontroigiganti.com/

SANITA’ DEL LAZIO: UN SISTEMA CHE NON SOLO SALVI LA VITA, MA CHE AIUTI ANCHE A VIVERE

MEGLIO

Tra i giornali di proprietà degli Angelucci, in prima fila nell’ attacco a Emma Bonino, il suo “patriarca” Antonio che denuncia, secondo il più puro stile berlusconiano, una campagna di “persecuzione politica” delle sue cliniche da parte della Regione Lazio e le sortite di Renata Polverini in materia di sanità, la destra romana e laziale non sembra avere molte idee riguardo alla salute dei cittadini e alla riorganizzazione del sistema sanitario regionale.

Di ciò, ovviamente, non ci si può sorprendere: alla prova del Governo, sotto la presidenza Storace, le uniche cose di cui è stata capace la destra sono state quelle di portare ad un livello stratosferico il debito della sanità laziale e di spartirsi brutalmente, fuori da ogni logica di competenza e di professionalità, tutti i livelli di decisione delle strutture sanitarie.

In occasione della campagna elettorale la candidata del centro-destra, del cui entourage sono parte integrante gli stessi uomini del passato, sembra essere interessata soltanto al tema dell’assetto di potere delle ASL.

Io penso, invece, che il problema, oggi, non è la forma o il numero delle ASL o il dare più potere a questa o quella categoria.

La giunta di centrosinistra, stretta tra la necessità di fare fronte al debito ereditato e i vincoli crescenti dei patti di

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stabilità e dei piani di rientro imposti dal Governo nazionale, in questi anni si è concentrata nello sforzo di risalire la china. Così ha posto le condizioni per cambiare finalmente il volto della sanità del Lazio.

Ma il sistema sanitario va anche cambiato. E per cambiarlo sono necessarie politiche pubbliche autorevoli e investimenti. Investimenti e non tagli.

La destra parla genericamente di lotta agli sprechi ma non dice mai di quali sprechi si tratta. Le uniche proposte che avanza sono quelle della reintroduzione dei ticket sui farmaci e perfino sul pronto soccorso, individuando evidentemente nei cittadini i responsabili degli sprechi.

L’esperienza insegna invece che il taglio indiscriminato produce spreco e non rimuove le cause strutturali del disavanzo.

Solo un sistema pubblico forte, competitivo, fortemente rivolto alla appropriatezza delle prestazioni e degli interventi, può essere in grado di imporre all’intero sistema – accreditato, universitario, ecc. – costi contenuti, appropriatezza e correttezza di comportamenti. Per ottenere questi risultati occorre essere in grado di investire sul miglioramento del sistema pubblico, in termini di nuova edilizia sanitaria, di tecnologie, di personale, di competenze sanitarie e organizzative. Anche Barak Obama si sta muovendo negli Usa in questa direzione.

Il problema più importante ora è leggere le tendenze nei bisogni di salute e concentrare su queste gli sforzi di sollecitazione, incentivazione e indirizzo della regione.

Il SSN è spesso iniquo, concentra le prestazioni su coloro che sono in grado di chiederle e sono in grado di usarlo,

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mentre settori della popolazione non sono in grado, se non prese in carico, di riconoscere i propri bisogni e rivendicare i propri diritti. E contemporaneamente, anche grazie alla rigidità della sua struttura, il sistema sanitario del Lazio, in tutte le sue componenti – regionali, nazionali, universitarie, private – è in grado di salvare la vita, ma non è in grado di aiutare a vivere chi è fragile e bisognoso. E così rischia di diventare ancora più ingiusto.

Rispondiamo in modo adeguato a bisogni primari dei cittadini? Rispondiamo efficacemente al bisogno primario della sicurezza, alle necessità della prevenzione, al bisogno e alla solitudine di chi si trova di fronte a una malattia cronica?

Troppi cittadini si trovano soli di fronte alla malattia, o anche soltanto alla paura della malattia e della morte. Basta pensare alle persone anziane che passano da sole l’estate nelle città. Non devono essere sempre i cittadini a cercare la risposta ai loro problemi. Deve essere il SSR e gli operatori che ne sono i protagonisti e sono pagati per questo a farlo. Ogni medico di famiglia avrà tra i propri pazienti non più di 50 persone fragili, anziane o malate. Deve poter farsene carico in modo permanente. Occorre offrire servizi di consulenza, tenere sotto controllo le persone fragili, non solo attendere la loro richiesta di aiuto e magari non esserci quando serve. Altrimenti la risposta al bisogno di sicurezza, alla paura, alla solitudine sarà l’ospedale, con il corollario di spesa eccessiva, segregazione solitudine del paziente, perdita di giornate di lavoro.

Abbiamo per fortuna ancora un sistema di emergenza in mano pubblica, forte, imparziale, fortemente professionalizzato e “ricco” di risorse tecnologiche e di personale. Ma continuare a pretendere di bloccare le

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assunzioni o tagliare gli investimenti al sistema di emergenza vuol dire accrescere il pericolo per i cittadini e i costi per il sistema. Un sistema di emergenza debole è fonte di spreco e di ingiustizia. Metterlo a rischio non è risparmio, è spreco.

Dal sistema sanitario dipende promuovere politiche di prevenzione del rischio delle malattie la cui prevenzione è possibile o la cui diagnosi precoce può favorire la guarigione o evitare gravi invalidità. Oggi vi sono cittadini che usufruiscono dell’offerta pubblica di politiche di prevenzione persino in forma sovrabbondante rispetto alle loro reali necessità, mentre ci sono cittadini che ne sono completamente esclusi perché a volte non conoscono neppure la necessità della prevenzione e non ne sentono il bisogno. Il SSR deve favorire la consapevolezza della necessità della prevenzione e deve prendere in carico gli uomini e le donne a rischio per favorirne l’accesso alla prevenzione. Ma come lo può fare se i servizi di prevenzione vengono sguarniti, se non è possibile rafforzarli, dotarli delle tecnologie necessarie, renderli insomma efficaci? Anche in questo caso chi risparmia senza criterio, finisce per spendere di più, finisce per sprecare.

Il sistema sanitario non riesce ancora ad aiutare a convivere con la malattia e la fragilità. Eppure questa è una condizione con la quale sempre più cittadini, magari affannati dagli anni e dall’età, si trovano a dover fare i conti. Ormai è sempre più frequente che si lasci l’ospedale senza essere guariti. Ci si salva la vita, ma sempre più spesso si deve continuare ad essere curati, riabilitati, assistiti, per lunghi periodi o per tutta la vita. Oggi la possibilità di proseguire il proprio percorso di assistenza in modo accettabile e positivo dipende troppo spesso dal reddito, dal livello culturale, dalle conoscenze e dalle relazioni. Chi può, chi ha soldi, potere,

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famiglia, sarà assistito; chi non può, chi non ha, rischia di non farcela. Oggi, la mancata presa in carico delle persone che hanno bisogno di cure e assistenza prolungate è causa di ingiustizia, di lesione di diritti fondamentali. E nello stesso tempo è una grande fonte di inappropriatezza del sistema, di spreco di risorse, perché provoca ripetizione di analisi e ricoveri evitabili, fa vagare i pazienti da una struttura per acuti ad una di riabilitazione, da una lungodegenza ad una RSA. Occorre definire e stabilire, come livello essenziale di assistenza, il diritto alla continuità assistenziale, con tariffe appositamente studiate e modalità di funzionamento stabilite e incentivate. Nessuno si deve trovare a lasciare un ospedale senza sapere dove andare per essere assistito.

Affrontare questi nodi significa avviare quella ristrutturazione del sistema, quella incentivazione di comportamenti virtuosi essenziali per affrontare il disavanzo strutturale della sanità del Lazio.

Se sappiamo quali sono i nostri obiettivi possiamo avviare un accreditamento credibile, un sistema tariffario equo e finalizzato a favorire le strutture, le prestazioni, i comportamenti migliori.

Se sappiamo che dobbiamo investire possiamo creare un sistema in cui l’ospedale svolga il suo ruolo e i cittadini trovino risposte al di fuori di esso.

Se sappiamo cosa vogliamo possiamo mettere in opera un sistema di controlli efficace su base non soltanto ispettiva, ma epidemiologica, basata sugli scostamenti dai risultati che è possibile credibilmente attendersi e da un sistema di sanzioni efficace e effettivamente temibile da parte degli erogatori.

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Così potremo uscire da una discussione ideologica, quanto sterile tra la maggior efficienza del privato rispetto al pubblico, della minore disponibilità del privato ad assumersi realtà sanitarie onerose, e così via. Avere chiari gli obiettivi ci consentirebbe di lavorare con serenità, fermezza e trasparenza nel mettere in chiaro le diverse componenti della spesa e non solo delle strutture direttamente gestite. Ciò consentirebbe una azione programmata di razionalizzazione del sistema, di assunzione dei costi indispensabili e di rimozione progressiva di quelli riducibili.

Una seria “operazione verità” che metta in luce i costi aggiuntivi derivanti dal peso della spesa storica, dalla supplenza a difficoltà e carenze sociali, di cui le strutture sanitarie si fanno carico, dalla complessità di cure costosissime ma necessarie, dalle condizioni di morbilità rara od estrema e, naturalmente, invece quelle derivanti dalle inefficienze, dalla cattiva organizzazione, dalla pigrizia di fronte alle novità. E che finalmente non si limiti a gridare allo spreco e finire per negare diritti fondamentali.

Articolo completo di Giulia Rodano, inviato alla redazione dell'Unità

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