GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le...

21
1 GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO: QUESTIONI VECCHIE E NUOVE, COMPRESA QUELLA DELLE SPESE E DEL COMMISSARIO AD ACTA. (Nota a sentenza 9 luglio 2014, n. 279, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, sede di Trento) SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”, come strumento attuativo delle decisioni della Corte EDU. - 3. Le novità apportate dall’art. 55 del d.l. n. 83 del 2012. - 4. Il giudizio d’ottemperanza ex art. 112 c.p.a. e le domande connesse. - 4.1. Segue: la condanna alle spese, agli interessi e alla rivalutazione . - 5. La condanna all’«astreinte». - 6. La procedura del pagamento in conto sospeso e l’inescusabilità dell’inadempimento. – 6.1 Conto sospeso e responsabilità del dirigente. - 6.2 La situazione reale che emerge dalle statistiche giudiziarie. - 7. Il tema delle spese del giudizio di ottemperanza. - 8. La soluzione creativa del T.R.G.A. Trento. - 9. Conclusioni. 1. Premessa. Con sentenza 9 luglio 2014, n. 279, il T.R.G.A. di Trento, in sede di giudizio di ottemperanza, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di una somma di denaro per l’esecuzione di un decreto della Corte d’Appello ex legge Pinto, nominando come commissario ad acta, per il caso di mancata esecuzione, il Ragioniere Generale dello Stato, senza tuttavia concedere la facoltà di subdelegare gli atti esecutivi ad altro funzionario, come invece solitamente usano fare i giudici dell’ottemperanza. Tale decisione non è isolata, ma frutto di una risalente (all’insediamento del Presidente Pozzi nel 2010) «strategia processuale» complessiva dei giudici del T.R.G.A. Trentino, i quali, mossi dallo «spirito di leale collaborazione istituzionale tra Organi dello Stato», si pongono da tempo – come meglio si vedrà SUB § 8 e 9 - l’obiettivo di «sensibilizzare i vertici dello Stato-Apparato» (tramite l’investitura, in via esclusiva, della figura di apice dell’Amministrazione finanziaria), sui «gravissimi problemi di ordine patrimoniale, funzionale e di immagine connessi alla lentezza dei processi e alla inesecuzione dei decreti delle Corti d’Appello»; tutto ciò al dichiarato fine di «migliorare il servizio giustizia». 2. La legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”, come strumento attuativo delle decisioni della Corte EDU. Per meglio comprendere la predetta strategia processuale vale ricordare, brevemente, che la c.d. legge Pinto, n. 89 del 2001, , ha introdotto nel nostro ordinamento lo strumento per ottenere un’equa riparazione a favore di chi sia stato parte di procedimenti giudiziari che abbiano superato il «termine ragionevole di durata del processo»: diritto garantito dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e dall’art. 111, secondo comma, della Costituzione. La legge ha così disciplinato un meccanismo in base al quale il

Transcript of GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le...

Page 1: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

1

GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO: QUESTIONI VECCHIE E NUOVE,

COMPRESA QUELLA DELLE SPESE E DEL COMMISSARIO AD ACTA.

(Nota a sentenza 9 luglio 2014, n. 279, T.R.G.A. Trentino Alto Adige, sede di Trento)

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”, come strumento attuativo delle decisioni della Corte EDU. - 3. Le novità apportate dall’art. 55 del d.l. n. 83 del 2012. - 4. Il giudizio d’ottemperanza ex art. 112 c.p.a. e le domande connesse. - 4.1. Segue: la condanna alle spese, agli interessi e alla rivalutazione . - 5. La condanna all’«astreinte». - 6. La procedura del pagamento in conto sospeso e l’inescusabilità dell’inadempimento. – 6.1 Conto sospeso e responsabilità del dirigente. - 6.2 La situazione reale che emerge dalle statistiche giudiziarie. - 7. Il tema delle spese del giudizio di ottemperanza. - 8. La soluzione creativa del T.R.G.A. Trento. - 9. Conclusioni.

1. Premessa.

Con sentenza 9 luglio 2014, n. 279, il T.R.G.A. di Trento, in sede di giudizio di ottemperanza,

ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di una somma di denaro per l’esecuzione

di un decreto della Corte d’Appello ex legge Pinto, nominando come commissario ad acta, per il

caso di mancata esecuzione, il Ragioniere Generale dello Stato, senza tuttavia concedere la facoltà

di subdelegare gli atti esecutivi ad altro funzionario, come invece solitamente usano fare i giudici

dell’ottemperanza.

Tale decisione non è isolata, ma frutto di una risalente (all’insediamento del Presidente Pozzi nel

2010) «strategia processuale» complessiva dei giudici del T.R.G.A. Trentino, i quali, mossi dallo

«spirito di leale collaborazione istituzionale tra Organi dello Stato», si pongono da tempo – come

meglio si vedrà SUB § 8 e 9 - l’obiettivo di «sensibilizzare i vertici dello Stato-Apparato» (tramite

l’investitura, in via esclusiva, della figura di apice dell’Amministrazione finanziaria), sui «gravissimi

problemi di ordine patrimoniale, funzionale e di immagine connessi alla lentezza dei processi e alla

inesecuzione dei decreti delle Corti d’Appello»; tutto ciò al dichiarato fine di «migliorare il servizio

giustizia».

2. La legge n. 89 del 2001, c.d. “legge Pinto”, come strumento attuativo delle decisioni

della Corte EDU.

Per meglio comprendere la predetta strategia processuale vale ricordare, brevemente, che

la c.d. legge Pinto, n. 89 del 2001, , ha introdotto nel nostro ordinamento lo strumento per

ottenere un’equa riparazione a favore di chi sia stato parte di procedimenti giudiziari che abbiano

superato il «termine ragionevole di durata del processo»: diritto garantito dall’art. 6 della

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e dall’art. 111, secondo

comma, della Costituzione. La legge ha così disciplinato un meccanismo in base al quale il

Page 2: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

2

superamento del termine di ragionevole durata del processo rivela un «inadempimento dello Stato

nei confronti del cittadino»1, dal quale emerge non tanto un diritto al risarcimento del danno

ingiusto, quanto, piuttosto, il potere di agire in giudizio per vedersi riconosciuto un indennizzo a

parziale compensazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla durata del

processo.

L’adozione di tale strumento normativo è stato imposto dalla Corte Europea dei Diritti

dell’Uomo, la quale ha obbligato lo Stato italiano ad adottare un sistema interno idoneo a fornire

ai privati misure riparatorie necessarie per il caso dei ritardi irragionevoli nella definizione dei

giudizi2.

È noto come il percorso storico della vincolatività delle pronunce della Corte EDU3 sia stato

caratterizzato da un sempre più importante e penetrante riconoscimento anche da parte delle

Corti interne, culminato negli ultimi anni - dopo la modifica del titolo V della Costituzione4 - in un

riconoscimento diffuso delle decisioni dei giudici europei, la cui opera interpretativa e applicativa

dei precetti della Convenzione ha avuto ed ha un ruolo fondamentale nel caratterizzare

precisamente le norme della stessa Convenzione espressamente qualificate dalla Corte come

«norme interposte di valore sub-costituzionale»5.

L’art. 117, comma 1, Cost., nella formulazione successiva alla riforma costituzionale del

2001, condiziona infatti l’esercizio della potestà legislativa, tanto dello Stato quanto delle Regioni,

al rispetto degli obblighi internazionali, facendo si che si debbano considerare “interposti” nei

giudizi di costituzionalità delle leggi tutti i trattati internazionali, tra cui la CEDU.

L’art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di conformarsi

«alle sentenze definitive della Corte».

1 CONSOLO C., NEGRI M., Ipoteche di costituzionalità sulle ultime modifiche alla legge Pinto: varie aporie dell’indennizzo

municipale per durata irragionevole del processo (all’epoca della – supposta – spending review), in Corriere giuridico, vol. 11, 2013, p. 1420.

2 PELLEGRINELLI P., Giusto processo (civile), in Digesto civ., UTET, Torino, tomo I, 2007, p. 644

3 Per un approfondimento si veda: TEGA D., L’ordinamento costituzionale italiano e il “sistema” CEDU: accordi e

disaccordi, in MANES V., ZAGREBELSKY V. (a cura di), La convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 201 e 202; SIMEOLI D., La tutela dei diritti e delle libertà nella cedu, Giuffrè, Milano, 2008, p. 16 e s.; ancora VILLANI U., Sull’efficacia della convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano dopo il trattato di Lisbona, in L. PANNELLA, E. SPATAFORA (a cura di), Studi in onore di Claudio Zanghì, Vol. II, Diritti umani, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 661 e ss.; CONTI R., La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Aracne, Roma, 2011, p. 96; PARODI G., “Le sentenze della corte edu come fonte di diritto”. La giurisprudenza costituzionale successiva alle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, in Diritto pubblico comparato ed europeo, vol. IV, 2012; DE SIERVO U., Recenti sviluppi della giurisprudenza della Corte costituzionale in relazione alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, intervento in incontro di studio «Problemi per le Corti nazionali a seguito degli ulteriori sviluppi dell'Unione Europea ed in relazione alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo», atti di convegno, Karlsruhe, 19 - 21 novembre 2009, in cortecostituzionale.it.

4 Per un approfondimento si veda: BUTTURINI D., I differenti livelli di garanzia (tra Costituzione e CEDU) dei diritti

fondamentali, in PEDRAZZA GORLERO M. (a cura di), Corti Costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2010.

5 GRECO G., Argomenti di diritto amministrativo, Giuffrè, 2008, p. 271.

Page 3: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

3

La Corte Costituzionale, con le famose sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007,

è intervenuta su questo punto, affermando che la Convenzione costituisce fonte di rango «sub-

costituzionale», subordinata quindi alla Costituzione, ma allo stesso tempo sovraordinata alla

legge; ha poi puntualizzato che le stesse norme si devono leggere alla luce dell’interpretazione

data dalla Corte di Strasburgo, in quanto la Convenzione stessa vive di tale interpretazione. La

Corte EDU, infatti, applica la Convenzione attraverso una «interpretazione dinamica ed evolutiva»,

con il risultato che quest’opera di interpretazione si esplicita in un arricchimento del contenuto

della Convenzione stessa e degli obblighi assunti dagli Stati.

Quindi, per effetto della vincolatività delle pronunce della Corte EDU il legislatore italiano si

è visto costretto a dare esecuzione alle molteplici pronunce che impegnavano lo Stato a porre in

essere strumenti per risarcire coloro che avessero affrontato processi con una durata protrattasi

oltre il termine ragionevole, individuando inoltre un sistema che prevedesse la possibilità di

richiedere la tutela del diritto fondamentale riconosciuto dalla Convenzione, all’art 6, § 1,

direttamente innanzi alle Corti nazionali senza la necessità di adire la Corte di Strasburgo6.

Il legislatore nazionale è, così, dovuto intervenire con la legge 24 marzo 2001, n. 89, c.d.

«legge Pinto».

3. Le novità apportate dall’art. 55 del d.l. n. 83 del 2012.

La disciplina della legge Pinto – forse anche per effetto dei martellanti messaggi di

attenzione rivolti dal TRGA di Trento alle massime cariche dello Stato cui ha ripetutamente inviato

le proprie sentenze di ottemperanza - è stata recentemente oggetto di una significativa (seppur

non radicale) revisione in base alla quale7: a) la domanda di equa riparazione deve essere

proposta, ai sensi dell’art. 3, comma 1, mediante ricorso al Presidente della Corte d’Appello,

individuata ai sensi del combinato disposto dell’art. 11 c.p.p. e della “tabella A” allegata alle norme

di attuazione al c.p.p., di cui al d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271; b) il ricorso va promosso contro il

Ministero della Giustizia quando il processo a quo si è svolto davanti al giudice ordinario; contro il

Ministero della Difesa nel caso di giudizio svolto innanzi al giudice militare; contro il Ministero

dell’Economia negli altri casi (giudice tributario, T.A.R., ecc.); c) la notifica del ricorso deve essere

effettuata presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede il giudice

dell’ottemperanza, nella persona del Ministro competente, come individuato nel decreto della

Corte di Appello (art. 11, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, così come modificato dall'art. 1, L. 25

marzo 1958, n. 260)8.

6 Cfr. Corte EDU, 25.6.1987 Capuano c. Italia; 26.11.1992 Francesco Lombardo c. Italia; 2.9.1997, Nicodemo c. Italia;

5.10.2000, Mennito c. Italia. 7 Art. 55, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

8 C.d.S., sez. IV, 14.4.2014, n. 1804.

Page 4: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

4

Si è detto che si tratta di novella non radicalmente innovativa: le modifiche più interessanti,

infatti, hanno solo recepito in buona parte le indicazioni giurisprudenziali, tanto della Corte di

Cassazione quanto della Corte di Strasburgo9. In particolare, si è introdotta la definizione di

ragionevolezza, stabilendo al novellato art. 2, comma 2-bis, che sia “ragionevole” la durata del

processo che si concluda entro un triennio per il primo grado di giudizio, entro un biennio per

l’eventuale grado di appello ed in un anno per il giudizio di legittimità. Inoltre, al successivo

comma 2-ter si è introdotta una norma di chiusura la quale dispone che si deve considerare

comunque rispettato il termine ragionevole quando il giudizio si concluda nel termine di sei anni.

Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità tale disposto va interpretato alla luce dei

principi affermati dalla giurisprudenza della Corte EDU ed in continuità con le norme precedenti,

nel senso che la norma, «lungi dall’allungare a sei anni il periodo di definizione di un processo che

si sia esaurito in un unico grado di giudizio», si limita ad escludere la configurabilità del

superamento del termine di durata ragionevole quando la durata dell’intero giudizio, nei suoi tre

gradi, sia contenuta nel parametro complessivo di sei anni «trascurandone il superamento in un

grado quando esso sia compensato da un iter più celere rispetto allo standard nel grado

precedente o successivo»10. Perciò, laddove il processo si sia definito in un unico grado resta salvo

il limite triennale di ragionevolezza del termine, così come previsto dal novellato art. 2, comma 2-

bis.

Il d.l. n. 83/2012 ha inoltre stabilito la misura dell’indennizzo, compreso tra i 500 ed i 1.500

euro per ogni anno o frazione di anno superiore al semestre di ritardo, il quale dovrà essere

liquidato ai sensi dell’art. 2056 cod. civ., tenendo conto dell’esito del giudizio, del comportamento

processuale delle parti, del valore della causa e della natura degli interessi coinvolti11.

La novella ha anche provveduto alla modifica dell’art. 4, escludendo ora la possibilità

(prima riconosciuta) di richiedere il risarcimento per giudizi non ancora conclusi.

Su tale modifica legislativa è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale, adita da un giudice

remittente secondo cui il divieto di proponibilità della domanda di equa riparazione prima

dell’esito definitivo del giudizio avrebbe costituito un’ingiustificata discriminazione di colui che stia

tutt’ora subendo la durata eccessiva di un processo non concluso12.

La Corte, con la sentenza n. 30 del 2014, ha tuttavia dichiarato l’inammissibilità della questione in

quanto, da una lettura combinata dei disposti normativi, si evince che non si possa prescindere

dalla conclusione della controversia per la richiesta di risarcimento. Ciò in funzione di molteplici

indicatori: in primo luogo la legge medesima, all’art. 2, comma 2-bis, prevede che si consideri

comunque rispettato il termine ragionevole qualora il processo si concluda entro un termine di 6

anni; questo fa si che la conclusione del procedimento sia un presupposto imprescindibile per la

9 Ex multis: Corte EDU, Grande Camera, 29 marzo 2006, Cocchiarello c. Italia.

10 Così Corte Cass., sez. II, 6.11.2014, n. 23745.

11 OCCHIPINTI E., Il danno da irragionevole durata del processo, in Danno e Resp., vol. 12, 2013, p. 1214.

12 Corte d’Appello, Bari, sez. I, ordinanza 18.3.2013; VANZ C., Equo indennizzo per irragionevole durata del processo: un

faticoso dialogo tra Corti, in Giur. It., n. 7, 2014, p. 1631.

Page 5: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

5

valutazione dell’entità del danno. Ancora, l’art. 2, comma 2-quinquies, prevede che non sia

riconoscibile alcun indennizzo qualora: il soccombente sia stato condannato ex art. 96 c.p.c., per

“lite temeraria”; nel caso in cui la domanda sia stata accolta nella misura non superiore alla

proposta conciliativa; ancora, nel caso in cui il provvedimento definitorio corrisponda interamente

al contenuto della proposta di mediazione. Inoltre, l’art. 2-bis, comma 2, lett. a), prevede che nella

liquidazione dell’indennizzo il giudice debba tenere in considerazione l’esito del processo e, in ogni

caso, che l’entità dell’indennizzo non possa mai essere superiore al valore della causa o al diritto

accertato dal giudice.

In definitiva, l’insieme di queste nuove disposizioni fa sì che si debba considerare imprescindibile

la previa conclusione del processo per la proposizione della domanda indennitaria13.

Ancora è da ricordare, sul piano della novella normativa, che il Presidente della Corte

d’Appello, od un magistrato delegato, provvede sulla domanda entro trenta giorni dal deposito del

ricorso. Il decreto di condanna può essere opposto entro trenta giorni dalla sua comunicazione

mediante ricorso alla medesima Corte d’Appello, la quale si pronuncia collegialmente in camera di

consiglio entro quattro mesi. La decisione può essere comunque impugnata in Cassazione per

motivi di legittimità.

Il nuovo art. 5-quater ha inserito una norma volta a scoraggiare domande pretestuose,

prevedendo la possibilità per il giudice di condannare la parte ricorrente al pagamento di una

somma da euro 1.000 a euro 10.000, ove la domanda sia inammissibile o manifestamente

infondata.

Una volta ottenuto il decreto di condanna della Corte d’Appello, questo, unitamente al

ricorso, deve essere notificato, entro trenta giorni, presso la sede dell’Amministrazione nei

confronti della quale è stato instaurato il giudizio. Tale adempimento è previsto dall’art. 5, comma

1, quale presupposto per adire il giudice dell’ottemperanza, necessario ai sensi dell’art. 14, d.l. 31

dicembre 1996, n. 669, convertito con legge 28 febbraio 1997, n. 30.

La notifica del decreto potrà, e non dovrà, essere effettuata anche presso l'ufficio dell'Avvocatura

dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria che lo ha emanato14. In questo caso, la

notifica rileva ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione15.

È da aggiungere che il novellato comma 7 dell’art. 3 della l. Pinto ha introdotto una barriera

al funzionamento del meccanismo indennitario, prevedendo che «l’erogazione degli indennizzi agli

13

Corte Cost., 25.2.2014, n. 30. 14

Art. 11, periodo secondo, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. 15

Infatti la notifica del decreto presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato è utile ai fini del passaggio in giudicato, ai sensi dell’art. 11, primo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (che si riferisce – come detto – agli atti processuali e, per la decorrenza del termine breve di impugnazione, ai provvedimenti che definiscono il giudizio), mentre il titolo esecutivo ai fini dell’adempimento, quale atto stragiudiziale necessario ai sensi dell’art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con legge 28 febbraio 1997, n. 30, non rientra nell’ambito degli atti soggetti alla disciplina del citato art. 11 e deve pertanto essere notificato all’Amministrazione nella sua sede reale. Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, 21.3.2013, n. 629.

Page 6: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

6

aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili». Tale tranciante disposizione normativa

potrebbe trasformare in lettera morta la tutela indennitaria in oggetto, semplicemente destinando

fondi insufficienti a copertura dei risarcimenti16.

Tuttavia la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, a partire dalla ormai famosa sentenza

Cocchiarella c. Italia, ha più volte sancito il principio secondo il quale la mancanza di risorse

finanziarie non può costituire un pretesto per non onorare un debito riconosciuto

giudizialmente17. Il Consiglio di Stato nell’ottobre 2013 non ha potuto che ribadire il principio

sancito dalla Corte EDU, così pronunciandosi, attraverso una interpretazione “convenzionalmente

orientata”, per la disapplicazione dell’art. 3, comma 7, così come modificato dalla riforma del

2012, osservando che: «deve essere interpretato restrittivamente, e in definitiva disapplicato, l'art.

3 comma 7 della L. n. 89 del 2001 […], che pone il vincolo delle risorse disponibili: l'amministrazione

è in realtà obbligata a operare le necessarie variazioni di bilancio per reperire fondi sufficienti al

pagamento degli indennizzi»18.

4. Il giudizio d’ottemperanza ex art. 112 c.p.a. e le domande connesse.

Attualmente, la gran parte del debito scaturente dai decreti delle Corti d’Appello con i quali

si stabilisce la misura del risarcimento ex l. Pinto non viene tempestivamente liquidato dalle

Amministrazioni condannate, nemmeno entro il termine dilatorio di 120 giorni concesso dall’art.

14, comma 1, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669.

Pertanto, i soggetti interessati si vedono costretti (fors’anche sollecitati da studi

professionali fungenti da centri di raccolta dati) ad adire il giudice amministrativo chiedendo

l’ottemperanza al decreto di Corte d’Appello al fine di vedersi riconosciuto in pieno il diritto

all’indennizzo, il quale rimarrebbe “virtuale” se si permettesse che una decisione irrevocabile ed

esecutiva rimanesse inoperante.

Tanto è vero che la Corte Europea, con l’informalità che le è propria, si è espressa affermando che

anche l’esecuzione delle sentenze del giudice emesse ai sensi della legge Pinto debba essere

considerata parte integrante del procedimento giudiziario di cui all’art. 6 della Convenzione. La

Corte ritiene, infatti, che il giusto processo debba considerarsi concluso non con il mero

16

Il C.d.S., sez. IV, attraverso l’ordinanza 17.2.2014, n. 754, ha sollevato la questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale con riferimento a questo comma per violazione dell’art. 117, comma 1 Cost., per tramite della norma interposta di cui all’art. 6, § 1, CEDU. Il Consiglio di Stato nell’ordinanza di remissione chiede alla Corte Costituzionale di fare chiarezza su un ulteriore punto controverso. Si chiede infatti, nel caso di accoglimento della questione, anche alla luce del valore «sub-costituzionale» assunto dalle norme CEDU, di pronunciarsi sulla compatibilità della norma con riferimento al novellato art. 81 Cost., che ha inserito il vincolo del pareggio di bilancio.

17 Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella c. Italia, § 90; così anche Corte EDU, 21.12.2010, Gaglione c. Italia, § 35.

18 C.d.S., sez. IV, 28.10.2013, n. 5182.

Page 7: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

7

riconoscimento giuridico del diritto, ma con la completa esecuzione del giudicato, a nulla rilevando

il riconoscimento di interessi in caso di ritardo19.

Pure la Corte di Cassazione, in ragione del rango «sub-costituzionale» della predetta

Convenzione e della sua interpretazione a cura dei Giudici della stessa convenzione, in una recente

pronuncia a Sezioni Unite ha fatto proprio il disposto delle pronunce della Corte di Strasburgo,

sancendo che la tutela giurisdizionale non si limita al diritto di accesso al giudice, «ma comprend[e]

qualsiasi attività processuale prevista dall'ordinamento, anche successiva alla proposizione della

domanda, volta a rendere effettiva e concreta, appunto, la tutela giurisdizionale dei diritti…»20. Il

giudice di legittimità ritiene, condivisibilmente, che il procedimento giurisdizionale «ha inizio con

l'accesso al giudice e fine con l'esecuzione della decisione».

Secondo la stessa Corte di Strasburgo, inoltre, il pagamento dell’indennizzo, previsto per

rimediare alle conseguenze dei procedimenti eccessivamente lunghi, «non dovrebbe generalmente

superare i sei mesi» dalla data in cui la decisione diviene esecutiva21.

Per ottenere, quindi, una reale tutela del bene protetto attraverso l’adempimento dell’obbligo

dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato, in termini concreti per ottenere il pagamento,

occorre affidarsi al giudice amministrativo attraverso il giudizio di ottemperanza previsto dagli artt.

112 e ss. cod. proc. amm. Il T.A.R. è legittimato, attraverso tale mezzo, a condannare

l’Amministrazione inadempiente a conformarsi al giudicato e, ove la parte lo richieda, a nominare

un commissario ad acta, il quale si sostituirà all’Amministrazione nell’esecuzione della pronuncia

della Corte di Appello22.

19

Corte EDU, 29 marzo 2006, Cocchiarella c. Italia: «87. [...] la Corte rammenta la propria giurisprudenza secondo la quale il diritto di accesso a un tribunale, garantito dall'articolo 6, p.1, della Convenzione, sarebbe illusorio se l'ordinamento giuridico interno di uno Stato Contraente consentisse a una decisione giudiziaria irrevocabile e vincolante di rimanere inoperante a detrimento di una parte. L'esecuzione della sentenza resa dal giudice deve pertanto essere considerata come parte integrante del processo ai fini dell'articolo 6» Così anche: Corte EDU, 19.03.1997, Hornsby c. Grecia; Corte EDU, 27.05.2004, Metaras c. Grecia.

20 Cass. S.U., 19 marzo 2014, n. 6312: «Il rispetto di tale principio esige che la "tutela giurisdizionale" non si esaurisca

nel diritto di accesso al giudice, a tutti garantito, ma comprenda qualsiasi attività processuale prevista dall'ordinamento, anche successiva alla proposizione della domanda, volta a rendere effettiva e concreta, appunto, la tutela giurisdizionale dei diritti e, più in generale, delle situazioni giuridiche soggettive sostanziali, individuali o collettive, di vantaggio, ed esige perciò che tali situazioni giuridiche soggettive, fatte valere e definitivamente riconosciute in sede giurisdizionale, siano "realizzate" in favore del suo titolare, secondo adeguati strumenti predisposti dall'ordinamento, con l'ottenimento del "bene della vita" che ne costituisce l'oggetto, ovviamente fin dove giuridicamente possibile…(…) secondo una ricostruzione costituzionalmente e "convenzionalmente" orientata, rispettosa cioè sia delle citate norme costituzionali sia dell'art. 6, prf. 1, della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo - per processo "giusto" (art. 111, primo comma, Cost.) ed "equo" (rubrica dell'art. 6 della CEDU) deve anche intendersi il procedimento giurisdizionale considerato come procedimento unico che, cioè, ha inizio con l'accesso al giudice e fine con l'esecuzione della decisione, definitiva ed obbligatoria, dallo stesso pronunciata in favore del soggetto riconosciuto titolare della situazione giuridica soggettiva sostanziale di vantaggio fatta valere nel processo medesimo.».

21 Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella c. Italia, § 89; nello stesso senso anche Corte EDU, 21.12.2010, Gaglione c. Italia,

§ 34. 22

Art. 114, comma 4, lett. d), d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Page 8: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

8

Come detto, il giudizio di ottemperanza si propone con ricorso avverso il Ministero

condannato nel decreto ottemperando23, notificato presso la sede dell’Avvocatura dello Stato

competente territorialmente, e successivamente depositato entro trenta giorni presso il Tribunale

Amministrativo Regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso il

provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza (art. 113, comma 2, c.p.a.). Unitamente al ricorso

deve essere depositata la copia autentica del decreto della Corte d’Appello e la prova del suo

passaggio in giudicato (art. 114, comma 2, c.p.a.).

4.1. Segue: la condanna alle spese, agli interessi e alla rivalutazione.

Ove il suddetto decreto abbia provveduto a liquidare spese nei confronti del difensore

dichiaratosi antistatario, anch’egli dovrà figurare come ricorrente in proprio, pena la

inammissibilità della domanda della parte anche al pagamento di suddette spese. A tale riguardo,

alcuni Tribunali hanno rilevato un difetto di legittimazione attiva in capo alla parte che chiedeva

spese in realtà liquidate al suo difensore, specificando che il meccanismo della distrazione previsto

dall’art. 93 cod. proc. civ. fa sorgere un diritto di credito direttamente in capo al difensore24. Ne

consegue che il distrattario diventa «titolare di un rapporto autonomo e diretto» con la parte

soccombente25.

Per quanto riguarda le spese di precetto, la giurisprudenza di merito è consolidata nel

ritenere che le stesse riguardino solo il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt.

474 e ss. c.p.c., procedimento liberamente scelto dal creditore, quindi non siano strettamente

funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza e, pertanto, non possano essere

riconosciute dal giudice amministrativo26.

Il ricorrente può richiedere, invece, la liquidazione degli interessi legali maturati

sull’importo liquidato con il decreto della Corte d’Appello. È utile precisare che, trattandosi di un

debito di valuta, tali interessi sono dovuti a titolo corrispettivo, con dies a quo dal momento in cui

il credito diventa liquido, certo ed esigibile27; quindi fin dalla data del passaggio in giudicato del

23

Come ha avuto modo di chiarire recentemente il Consiglio di Stato, sez. IV, 14.4.2014, n. 1804, il fatto che l’art. 1, comma 1225, della l. 27 dicembre 2006, n. 296, abbia previsto che, «al fine di razionalizzare le procedure di spesa ed evitare maggiori oneri finanziari conseguenti alla violazione di obblighi internazionali, al pagamento degli indennizzi procede, comunque, il Ministero dell'economia e delle finanze», unitamente al fatto che la l. 28 febbraio 2012, n. 55, abbia previsto, all’art. 55, comma 2-bis, che: «L'articolo 1, comma 1225, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che il Ministero dell'economia e delle finanze procede comunque ai pagamenti degli indennizzi in caso di pronunce emesse nei suoi confronti e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri», non muta le regole di legittimazione passiva relative al giudizio di ottemperanza, nel quale «la parte pubblica deve ritenersi soggettivamente intesa, secondo l'ordinaria disciplina di rappresentanza in giudizio delle Amministrazioni statali, come parte necessariamente presente nel giudizio di cognizione a quo», pena la lesione del contraddittorio.

24 T.R.G.A. Trento, 8.9.2014, n. 347; Corte Cass., sez. III, 1.10.2009, n. 21070; sez. III, 12.11.2008, n. 27041; sez. III,

21.5.2007, n. 11804 25

BONGIORNO V., Spese giudiziali, in EGT, XXX, Roma, 1993, p. 6. 26

T.R.G.A. Trento, 29.9.2014, n. 332; 12.2.2014, n. 47; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 06.6.2014, n. 874; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 04.4.2014, n. 3735; T.A.R. Basilicata, Potenza, Sez. I, 11.5.2011, n. 295.

27 CARLEO M., Note in tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie e decorrenza degli interessi moratori, in

Rivista di Diritto Civile, 1997, p. 654.

Page 9: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

9

decreto. Come la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte avuto modo di precisare,

laddove vi sia stata formale messa in mora da parte del creditore ex art. 1219 cod. civ., gli interessi

corrispettivi tramutano la loro qualifica giuridica in interessi moratori28.

Altre considerazioni devono essere fatte, invece, per la domanda di rivalutazione

monetaria degli importi liquidati dal giudice nel decreto di condanna. Trattandosi di un debito di

valuta, la rivalutazione può rilevare, ai sensi del comma 2 dell’art. 1224, cod. civ., solo sotto

l’eventuale profilo del “maggior danno”, quindi nella sola eventualità che la somma rivalutata

ecceda la somma comprensiva di interessi legali, senza possibilità di cumulo29: la liquidazione

infatti, può tradursi esclusivamente nel «differenziale» tra la prima e la seconda misura, poiché la

rivalutazione è volta al ristoro del danno in eccesso rispetto a quello già coperto dall’interesse

legale30. La giurisprudenza della Cassazione è, inoltre, intervenuta sul tutt’altro che secondario

tema della prova del c.d. “maggior danno”, statuendo che la parte che lo richiede debba darne

specifica prova attraverso idonea produzione documentale31.

5. La condanna all’«astreinte».

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 25 giugno 2014, n. 15, sembra

aver risolto il contrasto giurisprudenziale circa l’ammissibilità della condanna alla penalità di mora

(c.d. «astreinte»), ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., anche per le sentenze di condanna

aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria32. L’Ad. Plen., infatti, si è pronunciata anche per

tali ipotesi a favore della compatibilità della misura dell’astreinte senza tuttavia nulla dire con

specifico riferimento alle condanne ex l. Pinto: ciò nonostante l’ordinanza di remissione avesse in

tal proposito formulato un distinto quesito33.

28

Corte Cass., 22.12.2011, n. 28204; 5.11.2004, n. 21195; 16.7.2003, n. 11151; 9.2.1993, n. 1561. 29

Non mancano isolate voci della giurisprudenza di merito contrarie a tale orientamento. Ex multis T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 04.9.2014, n. 1409.

30 Corte Cass., Sezioni Unite, 1.12.1989, n. 5299; sez. I, 23.9.2011, n. 19437; sez. II, 3.6.2009, n. 12828; 1.7.1997, n.

5845; 28.3.1997, n. 2780. 31

Corte Cass., Sezioni Unite, 16.7.2008, n. 19499. Nello stesso senso: T.R.G.A. Trento, 29.9.2014, n. 332; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 26.3.2013, n. 1079; Corte Cass., sez. III, 28.3.2012, n. 4959.

32 A favore dell’ammissibilità della misura dell’astreinte: ex multis C.d.S., sez. IV, 29.4.2014, n. 462, sez. V, 15.7.2013, n.

3781; sez. V, 19.6.2013, nn. 3339, 3340, 3341 e 3342; sez. III, 30.5.2013, n. 2933; C.G.A.R.S., 30.4.2013, n. 424; C.d.S., sez. IV, 31.5.2012, n. 3272; sez. V, 14.5.2012, n. 2744; sez. V, 20.12.2011 n. 6688; sez. IV, 21.8.2013, n. 4216; C.G.A.R.S., 22.1.2013, n. 26; C.d.S., sez. VI, 6.8.2012, n. 4523, sez. VI, 4.9.2012, n. 4685; T.A.R. Basilicata, sez. I, 22.4.2014, n. 277; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 2.11.2012, n. 9003;

contra: C.d.S., sez. IV, 13.6.2013 n. 3293; sez. III, 06.12.2013, n. 5819; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 23.7.2014, n. 8091; sez. III, 21.7.2014, n. 7786; sez. II, 4.11.2013, n. 9362; sez. II 23.12.2013, n. 11118; T.R.G.A. Trento, 12.3.2014, n. 79, e 17.3.2014, n. 101.

33 Con l’ordinanza di rimessione (18.4.2014, n. 14) la Sezione IV del Consiglio di Stato aveva chiesto all’Adunanza

Plenaria di dirimere il contrasto giurisprudenziale registrato in merito alle questioni relative alla: «a) alla natura ed all'ammissibilità in generale dell'astreinte di cui all'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. nel caso in cui l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma di denaro; b) alla sua applicabilità, in particolare, all'equa riparazione di cui alla c.d. legge Pinto, per l'indebita "automaticità" della condanna dell'Amministrazione fatta in assenza della previa verifica dei presupposti indicati dal c.p.a.».

Page 10: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

10

In detta pronuncia si precisa, dunque, che la penalità di mora assolve ad una funzione «coercitivo-

sanzionatoria» e non riparatoria, integrando una pena e non un risarcimento in senso tecnico. Non

sussiste, perciò, alcun pericolo di locupletazione, vista la sostanziale diversità di natura tra la

misura risarcitoria dell’indennizzo e quella sanzionatoria della astreinte.

In ogni caso, in base al dettato normativo (che menziona espressamente la «istanza di

parte»), per infliggere la predetta sanzione occorre una domanda espressa dell’interessato

formulata nel ricorso introduttivo, ovvero in un atto successivo dello stesso giudizio. Tale richiesta

assume l’ulteriore funzione di evidenziare all’Amministrazione la persistenza del proprio

inadempimento, il quale «costituisce l’elemento soggettivo, almeno colposo, richiesto per

l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria» ex art. 3, l. 24 novembre 1981, n. 68934.

In base al predetto criterio, l’astreinte va riconosciuta a far tempo dalla notificazione del

ricorso per ottemperanza: ciò comporta il superamento di ogni possibile questione sulla rilevanza

delle condotte della parte creditrice, la quale - tenuto conto che il giudizio di ottemperanza è

soggetto al termine prescrizionale decennale di cui all’art. 114, comma 1, c.p.a. - potrebbe anche

indugiare nell’attivare il rimedio processuale innanzi al T.A.R. per lucrare una penalità di mora

decorrente, in quel caso, da una remota data ben antecedente la proposizione del ricorso

giurisdizionale, “in tal modo slealmente ed iniquamente aggravando la posizione del debitore”35.

Per quanto riguarda invece il dies ad quem, la giurisprudenza ritiene che esso coincida con

il momento in cui l’Amministrazione intimata perde il potere di attivarsi, ovvero quando tale

potere passa, di fatto, nelle mani del commissario ad acta. L’Amministrazione, infatti, è legittimata

ad adempiere anche in un momento successivo alla scadenza del termine fissato dal giudice nella

sentenza di ottemperanza, non perdendo tale potere con la richiesta dell’interessato di intervento

volta al commissario ad acta. Il potere di adempimento decade, invece, nel momento stesso in cui

il commissario dà concreto avvio al «procedimento per l’individuazione delle risorse necessarie al

pagamento», momento che segna il limite ultimo entro il quale l’Amministrazione può

legittimamente adempiere. Ne consegue la nullità degli atti compiuti dall’Amministrazione in un

momento successivo36.

Quanto alla quantificazione della penalità, le prime pronunce dei giudici di merito

sembrano essersi attestate, condivisibilmente, su un parametro percentuale rispetto agli importi

liquidati dal decreto di Corte d’Appello, con riferimento però al solo capitale e spese (escludendo

quindi interessi, I.V.A. e C.N.P.A.)37. Detta percentuale viene calcolata utilizzando il parametro

34

T.R.G.A. Trento, 29.9.2014, n. 331; nello stesso senso anche: T.R.G.A. Trento, 29 .9.2014, n. 332; 29.9.2014, n. 329; 9.10.2014, n. 349.

35 Nello stesso senso si veda: T.R.G.A. Trento, 24.06.2014, n. 249; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 22.7.2013, n. 7473;

22.7.2013, n. 7459; 22.07.2013, n. 7468; 11.07.2013, n. 6886. 36

T.R.G.A. Trento, 29 settembre 2014, n. 332; nello stesso senso: C.d.S., sez. V, 16.4.2014, n. 1975; 27.3.2013, n. 1678; sez. IV, 10.5.2011, n. 2764; sez. V, 21.5.2010, n. 3214.

37 Una minoranza delle pronunce di merito sulla questione quantifica la penalità di mora in una misura fissa per giorno

di ritardo. Per esempio T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 1.9.2014, n. 2281, che quantifica l’entità della penale in €

Page 11: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

11

individuato dalla Corte di Strasburgo, consistente nel tasso d’interesse per le operazioni di

rifinanziamento marginale della Banca Centrale Europea (attualmente pari allo 0,30%), maggiorato

di tre punti percentuali, nella misura vigente al momento della notifica della domanda di

astreinte38. Tale misura rimane invariata fino all’integrale versamento della somma dovuta39.

Nonostante la citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2014, parte della

giurisprudenza di merito, anche recentissima, continua – non irragionevolmente - a rimanere di

parere contrario alla concessione dell’astreinte specificatamente per i giudizi ex l. Pinto. I tribunali

amministrativi che sostengono l’inammissibilità della misura sanzionatoria in esame fanno leva sul

dettato letterale della norma di cui all’art. 114, comma 4, lett. e), il quale esclude l’applicabilità

della penalità quando essa risulti manifestamente iniqua, ovvero sussistano ragioni ostative40. In

tal senso, è stato ritenuto che l’attuale situazione di crisi della finanza pubblica e l’esigenza del

contenimento della spesa costituiscano elementi tali da far ritenere che l’astreinte, laddove

concessa, risulterebbe manifestamente iniqua. Secondo questi giudici, tale interpretazione

troverebbe forza anche in un passaggio della stessa pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2014,

ove si afferma che la particolare situazione del debitore pubblico deve essere oggetto di

considerazione in sede di verifica non astratta, ma concreta, della sussistenza dei presupposti per

l’applicazione della misura de qua41. Pronunce isolate di altri Tribunali hanno sostenuto, invece,

l’inammissibilità della penalità di mora ritenendo che la sua concessione, oltre all’interesse legale,

configurerebbe per il ricorrente un’eccessiva locupletazione42.

6. La procedura del pagamento in conto sospeso e l’inescusabilità dell’inadempimento.

Per assicurare tutela piena ed effettiva al diritto all’indennizzo riconosciuto dalla Corte

d’Appello va esclusa ogni rilevanza all’eventuale mancanza di fondi sull’apposito capitolo di spesa.

30,00 per giorno di ritardo; ancora T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 8.8.2014, n. 1263 che quantifica l’entità della penale in € 200,00 per mese di ritardo.

38 Da ultimo: Corte EDU, 22 luglio 2014, Bifulco e altri c. Italia; Corte EDU, 15 aprile 2014, Stefanetti e altri c. Italia;

Corte EDU, 26 novembre 2013, Maffei e De Nigris c. Italia; Corte EDU, 8 novembre 2012, Ambrosini e altri c. Italia. 39

T.R.G.A. Trento, 29.9.2014, n. 332; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 22.7.2013, n. 7474; 2.11.2012, n. 8998. 40

T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 2.10.2014, n. 5135; 2.10.2014, n. 5134; 18.9.2014, n. 4975; 9.9.2014, n. 4843; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 29.7.2014, n. 426; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 24.7.2014, n. 643; T.A.R. Sicilia, Catania, 25.9.2014, n. 2487; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 22.09.2014, n. 724; 22.09.2014, n. 670.

41 C.d.S., Ad. Pl., 25 giugno 2014, n. 15, § 6.5.1 «Si deve, infine, osservare che la considerazione delle peculiari

condizioni del debitore pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nonché al momento dell'esercizio del potere discrezionale di graduazione dell'importo».

42 T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 24.7.2014, n. 643 «[…] ritiene il Tribunale che la domanda formulata dalla parte

ricorrente, relativamente alla condanna al pagamento della penalità di mora, vada rigettata, risultando sufficienti ragioni ostative al suo accoglimento, anche per evitare locupletazioni eccessive della ricorrente e sanzioni troppo afflittive per l'Amministrazione».

Page 12: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

12

Il già citato art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, disciplina l’istituto dell’“ordine di

pagamento in conto sospeso”. Attraverso tale procedura si permette alle Amministrazioni dello

Stato debitrici di effettuare pagamenti di debiti scaturenti da provvedimenti giurisdizionali (o da

lodi arbitrali), aventi efficacia esecutiva, anche qualora non sussista disponibilità di bilancio nello

stesso capitolo di pertinenza dell’Amministrazione stessa. Questa procedura rappresenta, per i

funzionari preposti al pagamento, un’ulteriore via per dare comunque ossequio al giudicato e

dunque per pagare le somme stabilite nei decreti esecutivi ex l. Pinto anche in assenza

temporanea di fondi.

La procedura viene attuata attraverso un «ordine di pagamento da regolare in conto

sospeso», attraverso il quale il Dirigente responsabile della spesa dispone il pagamento delle

somme dovute emettendo uno speciale ordine di pagamento rivolto all'Istituto tesoriere (Banca

d’Italia), da regolare in conto sospeso con successiva reintegrazione43. Si tratta, quindi, di un

metodo che consente una «forma di anticipazione che la Banca d’Italia fornisce

all’Amministrazione dello Stato»44 per dar seguito ai pagamenti urgenti senza necessità di

individuare una copertura negli stanziamenti di competenza.

Tale procedura deve però essere utilizzata come extrema ratio, da attuarsi solo nel caso in

cui il procedimento ordinario di pagamento dei debiti non sia giunto a buon fine anche a causa di

impedimenti materiali (qual è, per l’appunto, l’assenza di fondi in bilancio).

Per procedere al pagamento l’Amministrazione debitrice – come già ricordato - ha

comunque a disposizione il termine dilatorio di 120 giorni (art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n.

669, cit.). Quando l’Amministrazione si renda conto di non riuscire ad adempiere attraverso il

mezzo ordinario nel predetto termine di 120 giorni, allora dovrebbe immediatamente provvedere

ad adottare la procedura del pagamento in conto sospeso, poiché anch’essa è, comunque, da

intendersi quale strumento generale di pagamento. Essa, infatti, è applicabile - a prescindere da

una specifica richiesta di parte - anche entro il termine ordinario di pagamento.

6.1 Conto sospeso e responsabilità del dirigente.

Il ricorso alla menzionata procedura contabile deve considerarsi come atto dovuto del

Dirigente responsabile. Ove egli non agisse in siffatta maniera, a suo carico potrebbero scaturire

responsabilità, tanto penali ex. art. 328 c.p. per omissione di atti d’ufficio45, quanto contabili46, in

43

Da emettersi con le modalità previste dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, 1 ottobre 2002, pubblicato in G.U., 23 novembre 2002, n. 275 pubblicato in G.U., Serie Generale n. 275 del 23.11.2002 e titolato: «Modalità di emissione, nonché caratteristiche dello speciale ordine di pagamento rivolto al tesoriere per il pagamento di somme dovute in applicazione di provvedimenti giurisdizionali e di lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva»; e secondo quanto previsto dalla Circolare del 4 dicembre 2002 n. 44 del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

44 BUSCEMA A., Gestione contabile del conto sospesi collettivi, in www.corteconti.it.

45 Così anche LA ROCCA S., Il giudizio di ottemperanza alla luce della circolare n. 5/E del 2003 dell'Agenzia delle Entrate

quale concreto strumento di esecuzione delle sentenze di condanna al rimborso dell'Amministrazione finanziaria

Page 13: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

13

relazione ai maggiori oneri dovuti per interessi da ritardo, con relativo obbligo di segnalazione del

fatto al Giudice contabile per l’accertamento dell’eventuale responsabilità amministrativa.

Nello stesso senso si è espresso anche il Ministero della Giustizia il quale, con una nota (di

risposta ad un quesito posto dal Ministero dell’Economia in materia di pagamenti in conto

sospeso) del 16 maggio 2013, facendo proprio quanto affermato nella circolare n. 20, del 6 maggio

2004 del MEF, ha sottolineato che il mancato esperimento della procedura in conto sospeso nel

termine dei 120 giorni «configura una omissione di atti dovuti e determina - oltre ad un

ingiustificato aggravio del procedimento amministrativo - un danno all'Erario riferibile al

dirigente responsabile, per i maggiori oneri dovuti per interessi e spese legali, da segnalare alla

competente procura regionale della Corte dei Conti».

Peraltro, è lo stesso Ministero della Giustizia, all’interno della sua «Relazione […] per

l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014», a “lamentarsi” per il mancato ricorso da parte delle

Corti d’Appello allo speciale ordine di pagamento in conto sospeso, riconoscendo espressamente

che «l’incapienza del capitolo di bilancio dedicato a tale legge non costituisce motivo per bloccare i

pagamenti»47.

In conclusione, si ritiene che l’ordine di pagamento in conto sospeso, nato come

procedimento residuale ed eccezionale, alla luce della situazione attuale sui pagamenti ex l.

Pinto dovrebbe oggi avere una maggiore diffusione presso le Corti d’Appello.

6.2 La situazione che emerge dalle statistiche giudiziarie.

Dalle statistiche giudiziarie emerge che la situazione reale non rispecchia quella teorica e

che si assiste ad una sorta di gioco delle parti fra le varie Amministrazioni coinvolte dal fenomeno

abnorme della legge Pinto. Infatti, presso il solo T.R.G.A. di Trento, competente all’ottemperanza

ai decreti della Corte d’Appello di Trento (la quale, a sua volta, è competente per i giudizi di

(con accenni all'esecuzione forzata di cui agli artt. 474 e seguenti del codice di procedura civile e al pagamento "in conto sospeso"), in Fisco 2003, vol. 12.

Nello stesso senso: BUSCEMA A. E SANTILLI D., in Diritto & Diritti, giugno 2002. 46

Riguardo alla responsabilità contabile, essa è ritenuta sussistente dallo stesso Ministero dell’Economia e delle finanze il quale, nella circolare 15 dicembre 2006, n. 2/2006/Strategie/UD; Disposizioni sul processo tributario (D. Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), sostiene che: «il dirigente responsabile della spesa può effettuare il pagamento delle somme dovute, emettendo uno speciale ordine di pagamento rivolto all'istituto tesoriere, da regolare in conto sospeso con successiva reintegrazione. In tal modo, si ha una tempestiva esecuzione della sentenza anche in assenza di fondi; il ricorso a tale procedura è da considerarsi un atto dovuto anche al fine di evitare l'insorgere di una responsabilità per danno erariale a carico del dirigente preposto».

47 Si aggiunge nella stessa relazione: «Peraltro, il mancato ricorso allo speciale ordine di pagamento in conto sospeso,

l’alto numero di condanne ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito Pinto ancora da pagare che ad ottobre 2013 ammontava ad oltre 387 mil. di euro.

Dallo scorso anno, grazie anche ad un parere positivo della Ragioneria generale dello Stato sulla possibilità di ricorso allo speciale ordine di pagamento in conto sospeso anche per il debito Pinto, l’incapienza del capitolo di bilancio dedicato a tale legge non costituisce motivo per bloccare i pagamenti» (Relazione del Ministero della Giustizia, inaugurazione dell’anno giudiziario 2014).

Page 14: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

14

eccessiva durata ex legge Pinto promossi nel limitrofo distretto della Corte d’Appello di Venezia)

sono pervenuti, solo per l’anno 2013, 106 ricorsi per l’ottemperanza di decreti ex l. Pinto e,

nell’anno 2014, già più di 250 alla data del 17 dicembre. Ciò evidenzia come la procedura del

pagamento in conto sospeso non sia utilizzata correttamente dalla Corte d’Appello di Trento.

Tale situazione, comunque, è analoga anche presso altre Corti d’Appello (delegate, sin

dall’aprile 2005, al pagamento dei decreti ex l. Pinto), in base alla quale l’ordine di pagamento

giudiziale esecutivo viene disatteso adducendo sia (invero anche comprensibili) carenze di

personale sia, molto spesso, carenza di fondi sul capitolo di spesa previsto per gli indennizzi ex l.

Pinto (prima cap. 282948, ed ora cap. 126449 dello stato di previsione del Ministero della Giustizia);

a tale riguardo rileva che il testo dell’art. 3, comma 7, l. n. 89/2001, così come modificato dal d.l. n.

83/2012, stabilisce che «l’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle

risorse disponibili». Le risorse destinate a tale capitolo di spesa, seppur siano state aumentate

nell’anno 2013 raggiungendo quota 50 milioni di euro, e 55 milioni nell’anno 201450, risultano

ancora di gran lunga insufficienti rispetto all’entità del debito che, per il solo anno 2013,

ammontava a 340 milioni di euro51.

Tali risorse totali vengono distribuite tra le diverse Corti d’Appello con cadenze irregolari.

Alla Corte d’Appello di Trento, per esempio, sono stati assegnati 4,5 milioni di euro per il 2013 e

4,47 milioni per l’anno 2014. Questa cifra è non idonea a fronteggiare l’arretrato che, per la sola

sede trentina, ammonta a 22 milioni di euro.

Conseguentemente, le Corti d’Appello liquidano l’arretrato in ordine cronologico. Alla data

odierna, presso la sede trentina, si è arrivati a pagare i decreti risalenti all’anno 2009 oltre a quelli

oggetto di ricorsi per l’ottemperanza, così introducendo un criterio forzoso per evitare, almeno, il

pagamento delle eventuali spese di lite oltre al compenso per il commissario ad acta.

In realtà, anche se al momento della decisione del ricorso per ottemperanza la domanda

della parte risulta soddisfatta perché nelle more del giudizio è intervenuto l’integrale pagamento,

le spese di lite vengono egualmente liquidate dai Tribunali Amministrativi attualmente, seppure in

misura minima (anzi per il T.R.G.A. Trento quasi simbolica: 300 euro attualmente), in base al

principio della soccombenza virtuale.

Il pagamento ritardato, ma comunque anteriore alla decisione di ottemperanza, consente,

in realtà, di risparmiare il compenso per il commissario ad acta per cui si sono registrati episodi

non proprio commendevoli. A tal proposito un’inchiesta giornalistica ha fatto emergere come

alcuni TT.AA.RR. usavano nominare come commissario ad acta addirittura gli stessi propri

48

Titolato «Fondo da ripartire per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi di equa riparazione» 49

Titolato «Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proporsi dagli aventi diritto ai fini dell’equa riparazione dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo»

50 Risultanti dallo stato di previsione del Ministero della Giustizia al capitolo 1264

(http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit--/Bilancio_di_previsione/Bilancio_finanziario/2014/DisegnodiBilancio/AllegatoaldisegnodiBilancio/05Allegato_tecnico-MG.pdf)

51 Nota 11 luglio 2013, Direttore Generale del Ministero della Giustizia, in www.giustizia.it.

Page 15: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

15

dipendenti, i quali chiedevano laute ricompense per il servizio svolto52. Non mancano, però, anche

casi di buona amministrazione nelle realtà dove i commissari ad acta richiedono compensi

contenuti. Presso il T.R.G.A. Trento, per esempio, dal 2011 è stata liquidata la complessiva cifra di

euro 4.100,00 a titolo di compensi per commissari ad acta, a fronte di oltre 350 ricorsi e più di 4,5

milioni di euro liquidati.

In sede di prima conclusione pare importante ricordare comunque che, a prescindere dalle

modalità attraverso le quali viene effettuato il pagamento, la Corte di Strasburgo si è più volte

pronunciata a garanzia del principio di effettività della tutela giurisdizionale, stabilendo che, per il

pagamento dei decreti ricognitivi dell’indennizzo, non possano intervenire, normalmente, più di 6

mesi e che, in ogni caso, «la carenza di fondi da parte dello stato non può giustificare la violazione

di un diritto fondamentale»53.

È quindi necessario che il pubblico funzionario chiamato a dar corso ad una decisione

giudiziale esecutiva vi adempia spontaneamente e prontamente, dando corso al pagamento

dapprima attraverso il mezzo ordinario, e, in caso di esito negativo, con quello “straordinario”

dell’ordine di pagamento in conto sospeso. Il funzionario non dovrebbe quindi attenersi a direttive

interne, più o meno palesate, volte alla posposizione dei pagamenti, salvo l’attivazione del giudizio

di ottemperanza o dell’esecuzione forzata: il bravo funzionario dovrebbe contrastare tali prassi

ostruzionistiche, facendo valere il proprio diritto-dovere di rimostranza, il quale però a sua volta

richiede una buona dose di coraggio anticonformista.

Rimane quindi il fatto che, allo stato, i cittadini già vittime della violazione del diritto

fondamentale alla ragionevolezza del termine di conclusione di un processo, sono costretti (ma

anche sollecitati da studi legali/centri di raccolta) ad intraprendere un ulteriore processo, quello

amministrativo per l’ottemperanza, che, sebbene sia sprovvisto di costi palesi di accesso (è infatti

esente dal contributo unificato), presenta comunque costi di patrocinio, senza considerare il tema

della tempistica della sua definizione. A favore vi è il fatto che l’azione innanzi al T.A.R. è dotata di

un’aleatorietà quasi nulla. Infatti, il tribunale, ordinariamente, non potrà far altro che accogliere il

ricorso, assegnando un termine all’Amministrazione (presso la Corte d’Appello54) per ottemperare

spontaneamente e, ove richiesto, nominando un commissario ad acta per il caso di persistenza

nell’inadempimento.

7. Il tema delle spese del giudizio di ottemperanza.

52

Corriere della Sera, 3.7.2014, «Commissario ad acta» per eseguire le sentenze? Il TAR nomina il suo autista, di Sergio Rizzo.

53 Ex multis: Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella c. Italia.

54 Le Corti d’Appello sono state delegate al pagamento anche delle sentenze per l’ottemperanza relative ai

risarcimenti ex l. 89/2001 con circolare del Ministero della Giustizia dd. 16 settembre 2013, a partire dal 30 settembre 2013.

Page 16: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

16

Oltre a quanto già accennato al § 4.1 sul tema delle spese, vale rimarcare come dal mondo

degli avvocati sono state sollevate alcune critiche in ordine alla misura delle spese di lite

conseguenti al giudizio di ottemperanza dei decreti ex l. Pinto, in quanto i diversi Tribunali

Amministrativi liquidano, in media, circa euro 50055. I giudici amministrativi, infatti, dimostrano di

tenere conto – ai fini della liquidazione - della serialità del contenzioso nella materia e del

conseguente minimo impegno professionale richiesto al professionista, liquidando le spese nella

misura conseguente.

Tale prassi giudiziaria denota una certa sensibilità dell’organo giudicante per la cosa

pubblica, poiché si cerca di fare in modo che le spese a carico dello Stato non lievitino

ulteriormente. I giudici cercano quindi, di contenere il più possibile i costi dell’inefficienza del

sistema giudiziario, coscienti del fatto che essi sono destinati a ripercuotersi sull’intera collettività.

Tuttavia, tale orientamento, pur mosso da finalità coerenti con il principio di parsimonia e

con il già ricordato abuso che gli stessi avvocati spesso fanno della legge Pinto, chiamando a

raccolta folle di ricorrenti altrimenti indifferenti o dimentichi della possibilità di intascare poche

migliaia di euro, sembrerebbe non condivisibile56, se non altro tenendo conto dell’ultimo dettato

normativo.

55

Si va dai € 300 liquidati da T.A.R. come il Lazio (sede di Roma), Trentino Alto Adige (sede di Trento), agli € 500 liquidati dai TT.AA.RR. Campania, Salerno e Piemonte, Torino, agli € 1000 di Catania e Catanzaro, fino agli € 1.500 di Genova.

56 L’uso d’ora in poi della forma dubitativa è d’obbligo alla luce della recente entrata in vigore della nuova disciplina e

del dibatto sviluppatosi sul punto. In generale, infatti, tra gli addetti ai lavori si discute se il D.M. n. 55/2014 (che parrebbe non aver disciplinato esaustivamente tutti i compensi previsti per la professione forense: mancano, ad esempio, disposizioni riguardanti il patrocinio a spese dello Stato, le cause per indennizzo da irragionevole durata del processo, ecc.), abbia implicitamente abrogato il precedente D.M. n. 140/2012 (e, quindi, quelle presunte lacune siano volute, per cui il D.M. 140 resterebbe in vita per tutte le professioni sottoposte alla vigilanza del Ministero della giustizia ad eccezione degli avvocati), oppure se sia tutt’ora in vigore la disposizione fondamentale dettata dall’art. 1 del D.M. n. 140/2012, secondo cui i parametri indicati nelle tabelle non sono vincolanti per il Giudice.

Tuttavia, alcuni Tribunali si sono già pronunciati su questo argomento. Si veda per una primissima decisione favorevole abrogazione implicita dei parametri precedenti ad opera del D.M. n. 55/2014: Tribunale di Milano, 9.4.2014 secondo il quale gli artt. 13, comma 6, e 1, comma 3, della legge n. 247/2012 configurano un sistema biennale di regolamentazione nella materia dei compensi forensi, profilando una ipotesi esplicita di successione normativa in cui i nuovi parametri sono abrogativi dei precedenti. Secondo il Tribunale infatti, «Le nuove tariffe introdotte dal D.M. n. 55/2014 hanno sostituito le precedenti (di cui al D.M. n. 140/2012), che devono intendersi integralmente abrogate in quanto: 1) gli artt. 13 comma VI, I comma III, L. n. 247/2012 configurano un sistema biennale di regolamentazione nella materia dei compensi forensi profilando una ipotesi esplicita di successione normativa in cui i nuovi parametri sono abrogativi dei precedenti; 2) il D.M. n. 55/2014 prevede una specifica disciplina di diritto intertemporale (art. 28) e copre con il sistema dell'applicazione analogica (art. 3) i casi non espressamente regolati, così configurando un regime giuridico "chiuso" che non lascia spazio al D.M. n. 140/2012. Il D.M. n. 140/12, comunque, è da intendersi abrogato in quanto il D.M. n. 55/2014 regolamenta ex novo l'intera materia dei compensi forensi con una disciplina di nuovo conio (cd. abrogazione implicita) e, là dove non conferma disposizioni che erano presenti nel D.M. del 2012, mette mano ad una precisa scelta legislativa che prevale sulla precedente (abrogazione tacita)».

Per una pronuncia contraria si veda: Tribunale di Alessandria, Magistrato di sorveglianza, Decreto 15.5.2014 secondo il quale le disposizioni del nuovo D.M. 55/2014 si vanno semplicemente a sovrapporre con quelle del precedente D.M. 140/2012. In tal senso, le norme che il nuovo D.M. non ha provveduto a revisionare sarebbero

Page 17: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

17

L’art. 13, comma 6, della l. 31 dicembre 2012, n. 247, prevede che l’organo giurisdizionale

liquidi il compenso del professionista con riferimento «ai parametri indicati nel decreto emanato

dal Ministro della Giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni». La norma secondaria in questione

attualmente vigente è il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, rubricato «Regolamento recante la

determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi

dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247», il quale sembrerebbe aver

abrogato tacitamente il precedente D.M. 20 luglio 2012, n. 140.

Il D.M. 55/2014 stabilisce che nella liquidazione delle spese si debba tenere conto della natura

e della complessità della controversia57, ma anche che l’importo liquidato debba essere rapportato

al valore della controversia calcolato ai sensi del c.p.c., e comunque, in caso di risarcimento, in

rapporto alla somma attribuita dal giudice58. È scomparsa la riduzione del compenso prevista dal

precedente D.M. n. 140/2012, il quale disponeva una diminuzione del 50 percento in presenza di

«controversie per l’indennizzo da irragionevole durata del processo» (art. 9, comma 1, D.M. 20

luglio 2012, n. 140)59.

Calcolatrice alla mano e tenendo conto dei parametri ministeriali, pare potersi dire che le

spese di lite per i ricorsi giurisdizionali per l’ottemperanza ex l. Pinto, ai sensi della normativa

vigente, dovrebbero essere liquidate dal giudice, pur tenendo conto della relativa semplicità e

serialità di questo tipo di ricorsi, nella misura minima che segue:

per i ricorsi che liquidano un indennizzo complessivo compreso tra 0 e 1.100 euro, un minimo di euro 435;

per indennizzi compresi tra 1.100 e 5.200 euro, un minimo di euro 1.529;

per indennizzi tra i 5.200 e i 26.000 euro, un minimo di euro 2.676;

per indennizzi compresi tra 26.000 e 52.000 euro, un minimo di euro 4.680.

Oltre a tali importi, andrebbero calcolati compensi per spese forfettarie dall’1% al 15%

dell’importo totale60.

Non è stata riproposta nel D.M. del 2014 la disposizione che prevedeva che tanto le soglie

minime, quanto quelle massime, non costituivano, in nessun caso, limiti vincolanti per il giudice. A

ancora efficaci. Tale ragionamento porta alla opposta conclusione secondo la quale la norma che prevedeva che i limiti non fossero vincolanti per il giudice, sia tutt’ora vigente.

57 Art. 4, comma 1, D.M. 10 marzo 2014, n. 55: «ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle

caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate».

58 Così art. 5, comma 1, D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

59 Scompare, inoltre, la disposizione prevista dal previgente art. 18, comma 2, D.M. 20 luglio 2012, n. 140, il quale

disponeva che «Nel caso in cui la prestazione può essere eseguita in modo spedito e non implica la soluzione di questioni rilevanti, al compenso del professionista può essere applicata una riduzione fino al 50 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile», il quale, si riteneva, potesse andare ulteriormente a ridurre l’importo già ristretto dal precedente art. 9.

60 Secondo il combinato disposto dell’art. 13, comma 10 della L. 31 dicembre 2012, n. 247, e dall’art. 2, comma 2, D.M.

10 marzo 2014, n. 55.

Page 18: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

18

ciò sembra consegua che dall’entrata in vigore del nuovo decreto, sostitutivo del precedente, il

giudice non abbia più la possibilità di disporre una liquidazione per spese legali al di sotto dei

minimi stabiliti dal nuovo D.M. 55/2014.

8. La soluzione creativa del T.R.G.A. Trento.

Già si è accennato al fatto che il T.R.G.A. di Trento, cosciente della gravità della situazione –

sia sotto l’aspetto finanziario che sotto quello dell’ingolfamento della pur gravata Giustizia

Amministrativa - già in tempi non sospetti tentò di accendere un faro sulla questione.

Fin dalle sue prime pronunce sulla l. Pinto quel Tribunale cercò di percorrere strade

creative. Nell’anno 2011, infatti, i giudici tentarono la via dell’inoltro delle sentenze

d’ottemperanza alla Procura della Corte dei Conti, al fine dell’accertamento di eventuali

responsabilità da parte dei funzionari della Corte d’Appello che non avevano provveduto a dare

esecuzione ai decreti oggetto di giudizio. L’istruttoria contabile si è conclusa con un giudizio di

disorganizzazione da imputare a «disfunzioni organizzative a livello centrale»61. Nel 2012 gli stessi

giudici trentini provarono la strada della trasmissione delle sentenze di condanna al

Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché ai Capi di Gabinetto del

Ministero della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze, quale contributo istituzionale per la

valutazione di misure idonee ad evitare ulteriori aggravi di spesa per le finanze pubbliche. Non

venne esclusa nemmeno la segnalazione al C.S.M. per i casi in cui fossero emerse violazioni di

diligenza da parte di magistrati che avessero innescato con colpevoli ritardi il meccanismo della

Pinto.

Dal 2013 si sperimentò un’ulteriore strategia processuale: si cominciò a nominare –

conformemente ad altri Organi di giustizia amministrativa - come commissario ad acta il

Ragioniere Generale dello Stato, con la particolarità che il giudice trentino scelse fin da subito di

non concedergli la facoltà di delegare gli adempimenti esecutivi ad altro funzionario. Questa via fu

scelta e poi mantenuta dal Tribunale con il dichiarato intento, nello spirito della collaborazione

istituzionale, di scuotere e sollecitare i massimi organi dello Stato nella presa di coscienza del

problema e che gli stessi potessero arrivare, anche attraverso scelte politiche idonee, ad adottare

soluzioni più consone tenuto conto della gravità e, soprattutto, della rilevanza del diritto in

questione.

L’investitura in via esclusiva dell’Organo di vertice dell’Amministrazione finanziaria dello

Stato-apparato è vista dai giudici amministrativi di Trento come mezzo per dare immediata ed

anche personale contezza della gravità e complessità della situazione legata alla c.d. l. Pinto ed alla

mancata esecuzione dei decreti di Corte d’Appello che ne scaturiscono, per far si che tale Organo

possa agire in maniera propositiva attraverso iniziative anche di carattere legislativo volte a dar

61

Nota del 22 novembre 2012 del Procuratore regionale della Corte dei Conti, Trentino Alto Adige.

Page 19: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

19

corso ai pagamenti, i quali, ricorda il Tribunale, «dovrebbero, invece, essere oggetto di uno

spontaneo e immediato adempimento», così da evitare almeno gli interessi legali, per le spese di

lite e, ora, anche l’astreinte.

Il Tribunale, in tal senso, ritiene che il Ragioniere Generale possa «fattivamente contribuire

a contenere, se non a eliminare, l’ulteriore spendita di denaro pubblico – per interessi moratori,

spese di lite, compensi per commissari ad acta» che derivano dalla mancata liquidazione

tempestiva dei decreti di Corte d’Appello.

Il tema è divenuto più scottante anche alla luce del recente, e già menzionato, intervento

dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato a favore dell’ammissibilità della possibilità di

condanna alla astreinte anche nei giudizi di ottemperanza relativi a pagamenti di somme di

denaro.

A seguito di tale pronuncia, aumenteranno le entità delle somme da liquidare in caso di

mancata esecuzione dei giudicati, causando così non solo ulteriori danni patrimoniali alla

collettività ma, anche e soprattutto, una maggiore e generale sfiducia dei cittadini verso il sistema

giustizia. Il cittadino, infatti, già sfiancato da un processo che ha oltrepassato il termine

ragionevole, pur vedendosi riconoscere giudizialmente il diritto all’indennizzo da un decreto

esecutivo, non trova però soddisfazione spontanea dall’Amministrazione, la quale lo costringe così

ad iniziare un nuovo giudizio per ottemperanza, al fine di vedere, finalmente, soddisfatto con

pienezza il suo diritto.

La suesposta «strategia processuale» sembrerebbe aver già in qualche modo contribuito a

sortire alcuni effetti: in primo luogo dal 2013, per la prima volta, sono stati assegnati 50 milioni di

euro a copertura del fondo dedicato al pagamento dei decreti “Pinto”, che, seppure del tutto

insufficienti a fronte del debito arretrato di 340 milioni di euro, costituiscono una presa d’atto del

problema da parte dell’Amministrazione Centrale e, comunque, un primo punto d’inizio; dal

settembre 2013, per snellire la procedura, il Ministero della Giustizia ha delegato alle Corti

d’Appello anche l’esecuzione in via amministrativa delle sentenze emesse dai TT.AA.RR. per

l’ottemperanza dei provvedimenti decisori; inoltre, il Ragioniere Generale dello Stato, con nota del

6 febbraio 2014, ha invitato fermamente il Dipartimento del Ministero della Giustizia competente

a dare, con urgenza, esecuzione alle sentenze amministrative di condanna in materia di legge

Pinto nei termini prescritti dalle sentenze.

9. Conclusioni.

La linea proposta dal T.R.G.A. Trento dimostra come la concreta sensibilità al problema del

mancato pagamento dei decreti ex l. Pinto possa dare utili risultati. I magistrati, infatti, volendosi

fare carico della questione hanno cercato - attraverso quella che viene definita una «strategia

processuale» scelta nell’ambito dei poteri discrezionali attribuiti dal c.p.a. - di coinvolgere i

Page 20: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

20

massimi organi dello Stato per far si che essi contribuiscano, ciascuno per la propria parte, a

trovare una soluzione per migliorare, ma soprattutto risolvere una situazione che ha oggi

raggiunto livelli non più sostenibili per le casse dello Stato e per l’immagine stessa del nostro

Paese.

È quindi apprezzabile lo sforzo del Tribunale Amministrativo il quale, non volendo rimanere

burocratico spettatore degli accadimenti, dimostra, tentando diverse strade, di voler contribuire a

mitigare gli effetti della situazione. Se non è dato sapere se, ed in quale misura, le diverse tattiche

poste in essere negli anni dal T.R.G.A. di Trento abbiano contribuito alle ultime scelte

dell’Amministrazione Centrale, quale quella, indubbiamente permeata di intenti di semplificazione

e di velocizzazione, di delegare il pagamento alle Cancellerie delle Corti d’Appello, resta comunque

il fatto che non deve essere sottovalutato lo sforzo dei Giudici trentini, che hanno sfruttato tutti gli

strumenti che la legge affida loro per raggiungere il risultato non solo della decisione del caso

specifico ma anche del miglioramento del servizio giustizia in generale attraverso la collaborazione

istituzionale tra organi dello Stato.

Resta il fatto che il sistema introdotto dalla L. Pinto, costituendo una mera misura

indennitaria, non rimuove il problema di fondo della lentezza dei processi, non prevedendo alcuna

misura efficacemente acceleratoria che solo gli ultimi interventi normativi sembrano perseguire (si

vedano in particolare alcuni strumenti di semplificazione previsti dal recente d.l. n. 133 del 12

settembre 2014 in materia di infrastrutture e trasporti, di edilizia, di ambiente, della gestione dei

rifiuti, ecc.). I meccanismi indennitari, infatti, non stimolano gli Apparati a risolvere i problemi

strutturali dei ritardi nel sistema giustizia, non contribuiscono a diminuire i casi di violazione

dell'art. 6 della Convenzione, ma si limitano a riconoscere all'interessato un’equa soddisfazione

pecuniaria la quale, oltre ad essere inidonea alla tutela effettiva del diritto umano del cittadino,

appare irragionevolmente dispendiosa per le finanze pubbliche.

Tutto ciò con l’aggravante che l’aumento incontrollato dei giudizi ex l. Pinto intasa

ulteriormente i già soffocati uffici giudiziari delle Corti d’Appello e dei TT.AA.RR., con la

conseguenza di innescare spirali perverse, come la c.d. «Pinto sulla Pinto». Questo sistema,

dunque, non migliora, anzi aggrava la condizione di violazione dell’art. 6, comma 1 della CEDU.

La questione della tutela dei diritti fondamentali e, in particolare della ragionevolezza del

termine di conclusione del processo ha assunto, dunque, una rilevanza drammaticamente

primaria, tanto che anche il Presidente della Repubblica, in qualità di Presidente del Consiglio

Superiore della Magistratura, ha in più occasioni posto l’attenzione sulla questione. Già dal suo

primo incontro al C.S.M., nel 2006, egli ha sostenuto che: «La eccessiva lunghezza dei processi non

è soltanto un grave problema di collocazione internazionale dell’Italia, ma è, prima di tutto, una

gravissima anomalia del nostro ordinamento interno»62. Nel 2008, tornando sul problema e

dimostrando così una crescente preoccupazione, ha affermato che l’eccessiva lunghezza dei 62

NAPOLITANO G., intervento presso il Consiglio Superiore della Magistratura, 8.6.2006.

Page 21: GIUDIZI DI OTTEMPERANZA EX LEGGE PINTO ...€™art. 46 della Convenzione prevede, inoltre, che le parti abbiano l’onere di onformarsi «alle sentenze definitive della Corte». 1

21

processi «[…]rappresenta la più grave anomalia del nostro ordinamento interno, indebolisce

seriamente la fiducia dei cittadini nella effettiva tutela dei propri diritti, ci espone a censure in sede

europea»63.

In questo quadro, le iniziative giudiziarie del T.R.G.A. di Trento vanno davvero apprezzate e

non lette, come invece qualcuno ha tentato di fare, in chiave di polemica contrapposizione tra

Magistratura, Politica e Amministrazione.

dott. Antonio Fusco

Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali

delle Università di Trento e Verona

63

NAPOLITANO G., discorso ai nuovi magistrati, 12.5.2008.