Giovanni Paolo II: la Croce e l’Eucaristia sempre nel suo cuore di mons. Marco Frisina N · 2011....

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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 3-2005 1 N el cuore di Giovanni Paolo II la Croce e l’Eucaristia hanno avuto un posto privilegiato. Il suo amore grande verso il mistero della Redenzione lo ha portato a vi- vere in modo autentico e profondo la sua fede nella potenza del sacrificio di Cristo, identificandovisi e plasman- do la sua vita ad immagine del Re- dentore amato. In questi anni di grazia per la no- stra Chiesa di Roma il Papa ha risve- gliato in noi l’amore per Cristo Sal- vatore e l’ha fatto rivitalizzando quei momenti tradizionali e popola- ri, come la Via Crucis e la processio- ne eucaristica nella solennità del Corpus Domini, capaci di dare espressività alla nostra fede ed entu- siasmo alle nostre comunità cristia- ne. Tante volte, nelle sue visite alle parrocchie romane, incontrando uo- mini, donne, bambini, ha instillato in loro, con la sua stessa presenza, la fiducia nella potenza dell’amore di Cristo. In ogni suo gesto e parola ci ha insegnato a porre l’Eucaristia al centro della nostra vita e a guardare al Crocifisso come a colui che dà si- gnificato e valore a tutta la vita. Ogni Via Crucis celebrata al Colosseo è stata un richiamo deciso a questa verità con l’entusiasmo e la passione di sempre, con quell’energia a cui Giovanni Paolo II ci ha abituato. Una fede contagiosa e catalizzante, ca- pace di scuotere anche i più pigri e di toccare il cuore anche dei più lon- tani. Quella «Via dell’Uomo» che tante volte ha annunciato si invera in mo- do sublime nella «Via della Croce» in cui l’umanità scorge il senso del suo cammino e celebra il parto doloroso dell’uomo nuovo. Negli ultimi mesi il Papa lo ha mo- strato con la sua stessa vita, trasfor- mando la sua sofferenza nel com- Giovanni Paolo II: la Croce e l’Eucaristia sempre nel suo cuore di mons. Marco Frisina Giovanni Paolo II, Via Crucis, 18-04-2003 Colosseo Roma

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N el cuore di Giovanni Paolo IIla Croce e l’Eucaristia hannoavuto un posto privilegiato. Il

suo amore grande verso il misterodella Redenzione lo ha portato a vi-vere in modo autentico e profondo lasua fede nella potenza del sacrificiodi Cristo, identificandovisi e plasman-do la sua vita ad immagine del Re-dentore amato.

In questi anni di grazia per la no-stra Chiesa di Roma il Papa ha risve-gliato in noi l’amore per Cristo Sal-vatore e l’ha fatto rivitalizzandoquei momenti tradizionali e popola-ri, come la Via Crucis e la processio-ne eucaristica nella solennità delCorpus Domini , capaci di dareespressività alla nostra fede ed entu-siasmo alle nostre comunità cristia-ne. Tante volte, nelle sue visite alleparrocchie romane, incontrando uo-mini, donne, bambini, ha instillatoin loro, con la sua stessa presenza, lafiducia nella potenza dell’amore diCristo. In ogni suo gesto e parola ciha insegnato a porre l’Eucaristia alcentro della nostra vita e a guardareal Crocifisso come a colui che dà si-gnificato e valore a tutta la vita.Ogni Via Crucis celebrata al Colosseoè stata un richiamo deciso a questaverità con l’entusiasmo e la passionedi sempre, con quell’energia a cuiGiovanni Paolo II ci ha abituato. Unafede contagiosa e catalizzante, ca-pace di scuotere anche i più pigri e

di toccare il cuore anche dei più lon-tani.

Quella «Via dell’Uomo» che tantevolte ha annunciato si invera in mo-do sublime nella «Via della Croce» incui l’umanità scorge il senso del suocammino e celebra il parto dolorosodell’uomo nuovo.

Negli ultimi mesi il Papa lo ha mo-strato con la sua stessa vita, trasfor-mando la sua sofferenza nel com-

Giovanni Paolo II: la Croce e l’Eucaristiasempre nel suo cuore di mons. Marco Frisina

Giovanni Paolo II, Via Crucis, 18-04-2003Colosseo Roma

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mento più alto mai composto per lestazioni della Via Crucis.

Così è anche bello ricordarlo ado-rante e felice dinanzi all’Eucaristiamentre la portava per le vie di Romanella solennità del Corpus Domini.Quella della processione solenne perle vie della città era una consuetudi-ne quasi dimenticata, un gesto chesembrava difficile da riproporre inquesti ultimi decenni. Nel tempodello scetticismo e della diffidenzanei confronti di ogni manifestazionedi fede esteriore, il Papa ha avuto ilcoraggio di esprimere la fede euca-ristica in modo quasi provocatorio,come un grido d’amore da innalzarecon forza nel cuore del la c ittà, per risvegliare i cuori assopiti e ri-chiamarli all’amore di Cristo che sifa Pane di vita e cammina nelle no-stre strade.

L’Eucaristia è stata per il Papa il se-gno distintivo della sua passione perla Chiesa, il suo modo quotidiano perannunciare al mondo la bellezza delCorpo di Cristo vivo e palpitante nelcorpo della Chiesa, in ogni cristiano,in ogni cuore cercato e amato infini-tamente da Dio.

Abbiamo conosciuto il desideriodel Papa di essere Eucaristia per ilmondo, pane spezzato per tutti, ilsuo desiderio di toccare ogni uomoper fargli conoscere l’amore di Cri-sto e portargli, attraverso il suo cor-po di sacerdote, quello di Cristo Sal-vatore. Essere in persona Christi eraper lui celebrare l’Eucaristia per laChiesa e con la Chiesa, conformandola sua vita a quella pasquale del Si-gnore. Così ha insegnato l’amoreper il Corpus Domini alla sua dioce-

si. Negli ultimi giorni la sua Via Cru-cis e la sua vita eucaristica si sonocongiunte. Il fiume inarrestabile dipersone per l’omaggio a Giovanni-Paolo II è la conferma di quantoGiovanni ci dice nel suo Vangelo:«Quando sarò elevato da terra atti-rerò tutti a me». L’attrazione dellaCroce è potente. Il Papa ha convintoil mondo che l’amore di Dio vissutoe testimoniato supera ogni confineed è l’unica speranza per il cuoredell’uomo. Per l’uomo stanco e af-fannato, che cerca la pace e l’ab-braccio del Padre che Giovanni Pao-lo II ci ha mostrato.

Giovanni Paolo II, Corpus Domini, 22-06-2000Roma

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P ietro è vivo nella sua Chiesa, loabbiamo visto in questi giorni incui il dolore e la gioia si sono al-

ternati in modo inaspettato e turbino-so. La morte di Giovanni Paolo II, lapreghiera per il Conclave e l’elezionedel papa Benedetto XVI, una successio-ne di emozioni spirituali che hannotoccato il cuore della Chiesa e ci hannointerpellato circa la nostra fede nel mi-stero di Cristo e della vocazione dellaChiesa a seguirlo e a servirlo ogni gior-no. I giorni dell’assenza del papa li ab-biamo vissuti tutti come quando l’eclis-se del sole rabbuia l’orizzonte. Ci siamosentiti orfani, più soli, abbandonati dauna persona amata. Giovanni Paolo IIha amato tanto la sua Chiesa e lo hadimostrato con la sua calorosa presen-za, con quella capacità di raggiungereogni uomo con un gesto o un sorriso.

Ma al di là delle sue qualità umane noiintravedevamo Pietro in quei gesti e inquelle parole e quando è venuto amancare abbiamo sentito tutti la ne-cessità di colui che potesse confermarcinella fede, consigliarci nel dubbio enello sconforto, quel padre che potessecon dolcezza e fermezza condurci ver-so Cristo. Lo Spirito Santo non ha tar-dato a soccorrere la sua Chiesa e adesaudire tutte le sue preghiere e ci hadonato presto un nuovo Papa rivelan-do che Pietro è sempre vivo e continuaa gridare al mondo: “Tu sei il Cristo!”

Il Papa è come Pietro il primo testi-mone della risurrezione, è come lui ilportatore della sua presenza. Quandovenne a Roma, lui povero Pescatore diGalilea, sarà rimasto intimidito e sor-preso della grande Città, della “Babilo-nia” come lui stesso dice nelle sue let-

Pietro è vivo nella sua Chiesa di mons. Marco Frisina

Papa Benedetto XVI, Piazza San Pietro 19-04-2005, Roma

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tere. Come poter parlare a uomini ditale levatura culturale e di tali tradizio-ni, come poteva un pescatore illettera-to misurarsi con i figli di Cicerone e Vir-gilio? Ma la grandezza di Pietro eraproprio nella sua intimità a Cristo, nel-la capacità di riconoscere nel suo voltoquello del Messia Salvatore, del Figliodi Dio. Fu proprio quella semplicità afare di Pietro il glorioso “Principe dellaChiesa”, le mani callose del pescatoredivennero mani sicure per guidare il ti-mone della Chiesa e il suo cuore sem-plice e generoso la garanzia più gran-de per affidargli le pecorelle di Dio.

Il Papa Benedetto XVI ci ha rivelatonuovamente la costante forza delloSpirito, già dalle sue prime parole rivol-te alla Chiesa ha svelato un poco delsuo cuore di Pastore universale, atten-to al suo ministero di guida e di custo-dia. La sua elezione ci ha mostrato co-me la provvidenza muove la storia e gliuomini conducendoli verso la meta cheè Cristo scegliendo gli uomini che pos-sano, pur attraverso mille difficoltà,raccogliere in unità la Comunità dei re-denti sostenendola e rafforzandolacon la grazia e l’amore.

Il nostro cuore di cristiani non puònon essere felice nel vedere la bellezzadella Chiesa che ogni giorno nasce rin-novata e splendida dalle mani del suoSposo e Signore. La Chiesa che pur sof-frendo della debolezza e della povertàdei suoi membri non può vacillare per-ché fondata su Cristo e sulla roccia diPietro. Proprio il legame stretto cheunisce Pietro al suo Signore fa sì chenessuna tempesta possa far affondarela barca del Pescatore di uomini, nessu-na difficoltà potrà mai scoraggiare ilcuore dei battezzati perché il dono

dello Spirito Santo ci rende partecipidella vittoria del Risorto sulla morte esul peccato e rende salde le fondamen-ta della Città di Dio.

Per noi romani questo motivo digioia si accresce sapendo di avere nuo-vamente con noi il nuovo vescovo e pa-dre, l’entusiasmo aumenta sapendo dipoterci nuovamente porre al serviziodel Vangelo con la guida forte e sicuradel Papa, il coraggio s’accresce perchésperimentiamo l’efficacia della graziache lo Spirito effonde potentementesulla sua Chiesa.

Poniamoci quindi tutti in ascolto conamore e obbedienza a ciò che lo Spiritoci dirà attraverso il nostro Papa Bene-detto XVI, sentiamoci infiammati delsuo stesso amore per la verità e intra-prendenti del suo stesso amore per laChiesa per poter vivere autenticamenteil nostro servizio a Cristo Redentore.

Papa Benedetto XVI, 19-04-2005, Roma

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Cari fratelli e sorelle!

La liturgia ci offre nell’orazionedella colletta e nell’orazione do-po la comunione un’interpreta-

zione del ministero petrino, che appareanche come ritratto spirituale dei duepapi Paolo VI e Giovanni Paolo I, per lacui commemorazione celebriamo que-sta messa. La colletta dice che i papihanno «nell’amore di Cristo… presiedu-to la tua Chiesa» e l’orazione dopo lacomunione prega il Signore di concede-re ai sommi pontefici, i suoi servi, di«entrare … nel pieno possesso della ve-rità, nella quale, con coraggio apostoli-co, confermarono i loro fratelli». Amoree verità appaiono così come i due polidella missione affidata ai successori disan Pietro.

Presiedere la Chiesa nell’amore diCristo: chi non penserebbe nel contestodi queste parole alla lettera di sant’I-gnazio alla Chiesa di Roma, alla quale ilsanto martire, che venne da Antiochia,prima sede di san Pietro, riconosce la«presidenza nell’amore»; la sua letteracontinua dicendo che la Chiesa di Roma«sta nella legge di Cristo»; qui accennaalle parole di san Paolo nella Lettera aiGalati: «Portate i pesi gli uni degli altri,così adempirete la legge di Cristo». (6,2)Presiedere nella carità è innanzitutto

precedere «nell’amore di Cristo». Ricor-diamoci a questo punto il fatto che ilconferimento definitivo del primato aPietro dopo la Risurrezione è legato alladomanda tre volte ripetuta dal Signore:«Simone di Giovanni, mi ami tu più dicostoro? » (Gv 21, 15ss). Pascere il greg-ge di Cristo e amare il Signore sono lastessa cosa. E’ l’amore di Cristo che gui-da le pecore sulla retta strada e costrui-sce la Chiesa. A questo punto non pos-siamo non pensare al grande discorsocol quale Paolo VI ha inaugurato la se-conda sessione del Concilio Vaticano II.«Te, Coriste, solum novimus» furono leparole determinanti di questo sermone.Il Papa parlò del mosaico di San Paolofuori le Mura, con la grandiosa figuradel Pantocratore e, prostrato dinanzi aisuoi piedi, il papa Onorio III, piccolo distatura e quasi insignificante davanti al-la grandezza di Cristo. Il Papa continuò:questa scena si ripete qui in piena realtànella nostra adunanza. Questa fu la suavisione del Concilio, la sua visione anchedel primato: noi tutti ai piedi di Cristo,per essere servi di Cristo, per servire ilVangelo. L’essenza del cristianesimo èCristo – non una dottrina, ma una per-sona – ed evangelizzare è guidare all’a-micizia con Cristo, alla comunione d’a-more col Signore, che è la vera luce del-la nostra vita.

Il nostro redentore vive, ha un voltoe un nome: Gesù Cristo Omelia del cardinale Joseph Ratzinger

Il 28 settembre 2004 l’allora Cardinale Joseph Ratzinger fu chiamato da Papa GiovanniPaolo II a presiedere in sua vece la Santa Messa in suffragio dei defunti pontefici Paolo VI eGiovanni Paolo I, nella Basilica di san Pietro. In quell’occasione, colui che oggi è il nostro Pa-pa Benedetto XVI, condusse una profonda riflessione sul servizio del successore di Pietro, chevogliamo offrire alla meditazione dei nostri lettori.

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Presiedere nella carità significa – ri-petiamolo – precedere nell’amore diCristo. Ma l’amore di Cristo implica laconoscenza di Cristo – la fede – e im-plica partecipazione all’amore di Cri-sto: portare i pesi gli uni degli altri,come dice san Paolo. Il primato nellasua intima essenza non è un eserciziodi potere, ma è «portare il peso deglialtri», è responsabilità dell’amore. L’a-more è proprio il contrario dell’indif-ferenza nei confronti dell’altro, nonpuò ammettere che nell’altro si spen-ga l’amore di Cristo, che l’amicizia e laconoscenza del Signore si attenuino,che la « preoccupazione del mondo el’inganno della ricchezza soffochino laparola» (Mt 13,22). E finalmente: l’a-more di Cristo è amore per i poveri,per i sofferenti. Sappiamo bene comei nostri papi erano impegnati con for-za contro l’ingiustizia, per i diritti de-gli oppressi, quelli senza potere: l’a-more di Cristo non è una cosa indivi-dualistica, soltanto spirituale; concer-ne la carne, concerne il mondo e devetrasformare il mondo.

Presiedere nella carità concerne fi-nalmente l’eucaristia, che è la presenzareale dell’amore incarnato, presenzadel corpo di Cristo offerto per noi. L’eu-caristia crea la Chiesa, crea questa gran-de rete di comunione, che è il Corpo diCristo, e crea così la carità. In questospirito celebriamo con i vivi e i defuntila santa messa, il sacrificio di Cristo, dalquale scaturisce il dono della carità.

L’amore sarebbe cieco senza la ve-rità. E perciò colui che deve precederenell’amore, riceve dal Signore la pro-messa: «Simone, Simone… io ho pre-gato per te, che non venga meno latua fede» (Lc 22,32). Il Signore vedeche satana cerca «per vagliarvi come ilgrano» (Lc 22,31). Mentre questa pro-

va concerne tutti i discepoli, Cristoprega in modo speciale «per te», perla fede di Pietro, e su questa preghie-ra è basata la missione: «conferma ituoi fratelli». La fede di Pietro nonviene dalle sue proprie forze; l’inde-fettibilità della fede di Pietro è basatasulla preghiera di Gesù, il Figlio di Dio:«Ho pregato per te, che non vengameno la tua fede». Questa preghieradi Gesù è il fondamento sicuro dellafunzione di Pietro per tutti i secoli, el’orazione dopo la comunione puògiustamente dire che i sommi pontefi-ci Paolo VI e Giovanni Paolo I hanno«con coraggio apostolico» confermatoi loro fratelli: in un tempo dove vedia-mo come Satana «vaglia come il gra-no» i discepoli di Cristo, la fede imper-turbabile dei papi fu visibilmente laroccia sulla quale sta la Chiesa.

«Io so che il mio Redentore è vivo»,dice nella prima lettura della nostra li-turgia il testo di Giobbe; lo dice in unmomento di un estrema prova; lo dicementre Dio si nasconde e sembra essereil suo avversario. Coperto dal velo dellasofferenza, senza conoscere il suo no-me e il suo volto, Giobbe “sa” che il suoRedentore vive, e questa certezza è lasua grande consolazione nelle tenebredella prova. Gesù Cristo ha tolto il veloche copriva per Giobbe il volto di Dio:sì, il nostro Redentore vive, «e noi tutti,a viso scoperto, riflettendo come in unospecchio la gloria del Signore, veniamotrasformati in quella medesima imma-gine», dice san Paolo (2Cor 3,18). Il no-stro Redentore vive, ha un volto e unnome: Gesù Cristo. I nostri «occhi locontempleranno». Questa certezza cidanno i nostri papi defunti e così ci gui-dano «verso il pieno possesso della ve-rità», confermandoci nella fede del no-stro Redentore. Amen.

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L a rilevanza del tema familiare al-l’interno del messaggio profeti-co è legata anche al fatto che,

soprattutto per alcuni profeti, la vitafamiliare ha avuto notevole importan-za. Conoscere le famiglie dei profetipuò perciò essere una via interessanteper incontrare aspetti significativi delloro messaggio, a partire da quello chepotrebbe essere a buon titolo il centrodel loro annuncio: il dramma della fe-deltà e infedeltà del popolo all’Allean-za con Dio.

L’accostamento in campo biblicotra Famiglia e Alleanza si impone conla forza dei fatti e assume, soprattut-to in ambito profetico una rilevanzanotevole.

La grande scoperta dei profeti è chel’ Alleanza (patto-impegno) tra Dio e ilpopolo e quella tra sposo e sposa chedà origine alla famiglia, sono due mi-steri di amore e di dono di sé che si il-luminano a vicenda: l’uno è l’immagi-ne e la rivelazione della verità dell’al-tro.

Con buona probabilità è Osea cheper primo adopera questa immagine,forse partendo dalla sua personaleesperienza matrimoniale: la prostitu-zione (sacra o meno ha qui poca rile-vanza) della moglie Gomer. Osea “soli-darizza” con Dio, l’amante tradito dalsuo popolo, che ha visto infranta la suaalleanza nuziale con Israele, ma chenel suo amore misericordioso sa perdo-nare. Dio perciò ricondurrà, attraverso“il deserto”, Israele sua sposa alla rin-novazione dell’Alleanza e dell’amore.

A partire da Osea, la connotazionedi Alleanza come legata soprattutto aconcetti quali “patto”, “contratto”,“impegno politico-militare comune”, sisposta verso una connotazione più per-sonalistica. Quella di Dio con il suo po-polo non è una alleanza militare, unaalleanza di guerra, ma di “amore” (He-sed).

Geremia riprende questo tema conl’immagine di Dio-Sposo, tenero e at-tento, e per questo tanto più vigliacca-mente tradito dal suo popolo.

Ezechiele, con la fortissima immagi-ne della giovinetta gettata nel desertoappena nata, che Dio salva e ama, sot-tolinea la totale gratuità dell’amoreper cui Dio stringe un’alleanza matri-moniale con il suo popolo. È l’amore diDio che fa vivere il suo popolo e che lorende capace di rispondere a questostesso amore sponsale.

L’immagine familiare-sponsale di-venta poi centrale nel discorso del Se-condo e Terzo Isaia; confrontandosicon le difficoltà dell’esilio e la sofferen-za del difficile ritorno in patria, il po-polo è confortato dal ricordo che ilrapporto con Dio è un’alleanza sponsa-le: Dio è lo sposo che, nonostante tut-to, non potrà abbandonare il suo po-polo.

Questo messaggio profetico, ricca-mente approfondito dall’esegesi e dal-la teologia, che il magistero ha fattosuo in molteplici documenti, porta consé una duplice luce che merita di esserericordata brevemente, prima di adden-trarci in una lettura più attenta delle

La famiglia nei profeti di don Nazzareno Marconi

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parole e delle esperienze dei profeti.Innanzi tutto la scelta profetica di

questa immagine sponsale mostra co-me nel mondo dell’AT la famiglia erasentita come l’Alleanza umana per ec-cellenza. L’alleanza cioè che maggior-mente viveva, almeno nei confronti delpiano politico e militare, i valori dell’a-more e della fedeltà totali. Per parlaredell’amore di Dio verso il suo popolo edella sua assoluta fedeltà, l’immaginefamiliare si prestava evidentementemeglio, pur con tutte le sue miserie einfedeltà, di quella politica o militare.

D’altro canto, l’alleanza di Dio con ilsuo popolo, modello assoluto e inarri-vabile di amore e di fedeltà, si ponevain primis come modello per l’Alleanzasponsale, l’alleanza che fondava la fa-miglia. Lo sposo e la sposa che in Israe-le si proponevano di vivere il loro amo-re matrimoniale al meglio, trovavanonel rapporto Dio-popolo il primo e piùchiaro modello ideale.

Accanto a queste notazioni scopri-remo che il messaggio sull’alleanzamatrimoniale raggiungerà, con i profe-ti del post-esilio, una densità e un’im-portanza notevole per la riflessione delNT. Ma dopo questa panoramica ge-nerale che ha inquadrato i temi e la lo-ro importanza è tempo di andare aipersonaggi concreti, primo fra tutti adOsea.

Osea, un martirio del cuore.Osea è profeta in Israele, cioè nel

Regno del Nord, nel corso dell’VIII se-colo, di poco posteriore ad Amos econtemporaneamente a Isaia e Michea,attivi a Gerusalemme. Il suo libro sisuddivide agevolmente in due parti:nei primi tre capitoli si narrano le vi-

cende matrimoniali e familiari di Oseaassunte a simbolo del rapporto tra Dioe il suo popolo. Nei restanti capitoli (4-14) abbiamo una raccolta di oracoliprofetici che si scagliano con veemen-za, o sottolineano con tristezza gli in-numerevoli peccati del popolo. Anchein questa seconda parte del libro il ma-trimonio è usato come immagine delrapporto tra Dio e Israele.

Il libro si apre in modo sconvolgen-te: “Dio disse ad Osea: - Va’, prenditiin moglie una prostituta, abbi figli ba-stardi, perché il paese si è prostituito,lontano dal Signore. Egli andò e preseGomer...” (Os 1,2-3).

Il matrimonio di Osea è da sempreal centro delle discussioni degli stu-diosi, che difficilmente giungerannoa un punto fermo e sicuro. Ci sonotre posizioni: 1. per alcuni i primi tre capitoli del li-bro sono una pura finzione letteraria.Osea non avrebbe mai vissuto in pri-ma persona ciò che narra, ma sarem-mo di fronte a una parabola creataper dar forza alla condanna dell’infe-deltà del popolo. È una posizione so-stenibile, ma che suona falsa a legge-re la forza e la veemenza espressivacon cui Osea descrive l’amore tradito.Come potrebbe toccare tali vette poe-tiche se non avesse nemmeno lonta-namente sperimentato sulla sua pellei morsi della gelosia e le ferite roventidel tradimento? 2. Altri credono allora che Osea abbiaveramente avuto da Dio il comando, ascopo dimostrativo, di sposare una pro-stituta e di aver figli da essa. Ma anchequi il coinvolgimento di Osea è quellodi chi ama, non quello di chi esegue unordine, fosse pure un ordine divino.

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3. Altri ancora pensano che Gomer nonsia stata una prostituta, ma una donnanormale, che più tardi fu infedele aOsea e lo abbandonò per andarsenecon un altro uomo. Infine, c’è chi ritie-ne che Gomer non fu né una prostituta,né una moglie infedele, ma tutto il pa-rallelo tra le parole di Osea verso Israe-le e la sua situazione matrimoniale sa-rebbe dovuto a una cattiva interpreta-zione dei suoi discepoli, che misero periscritto la sua predicazione. Non possia-mo certo dire la parola fine su questadiatriba, ma la spiegazione che più ditutte si mostra credibile e rende ragio-ne alla bellezza e vivezza del testo misembra innegabilmente la terza: Go-mer non fu una prostituta, fu però in-fedele al marito che la amava, tanto daabbandonarlo. Questa tragica esperien-za matrimoniale servì a Osea per com-prendere ed esprimere, primo tra i pro-feti, le relazioni tra Dio e il suo popolo.Dio è lo Sposo, Israele la sposa infedele,che lo ha lasciato per andarsene con unaltro (il Dio cananeo Baal) o con altri (lealleanze politiche di sudditanza a Egit-to o Assiria). Per questo, quando parladei peccati del popolo, il profeta li qua-lifica in termini di “adulterio”, “fornica-zione”, e “prostituzione”; e quandoparla dell’amore di Dio lo descrive co-me un amore sponsale appassionato;uno sposo però capace di perdonare edi riprendere tutto daccapo.

La pagina più alta, il momento piùintenso di questa descrizione dell’amo-re di Dio è certo lo sfogo di Os 2,4-25.Con una forza poetica che ritengoinarrivabile, per la sua semplice genia-lità, Osea attacca la sua sposa infedele,ma nelle invettive e nelle offerte diperdono si mescolano immagini adatte

a una donna con quelle tipiche per unpopolo e una terra. È Osea che parla aGomer, ma è al contempo Dio che par-la a Israele. Questa mescolanza poeti-camente intrigante nasce dalla disponi-bilità del profeta a prestare a Dio nonsolo le sue parole, ma anche i suoi sen-timenti più intimi. Il risultato è un testoche parla di amore, non l’amore rosaconfetto dove tutto è facile, ma l’amo-re impegnativo, quello che cerca la fe-deltà oltre la delusione e il tradimento.Nella storia di ogni amore e di ogni fa-miglia ci si confronta in scala più o me-no grande con questo bisogno di pa-zienza, di perdono, di rinnovata fidu-cia. Il testo e l’esperienza di Osea nonaffrontano il discorso a partire da unreciproco riconoscimento di diritti e didoveri, ma dalla propria indiscutibiledisponibilità al perdono. È un grandetesto sull’amore misericordioso di Dio,ma è anche un grande insegnamento,dato da Dio stesso su cos’è l’amoresponsale: un amore lento all’ira e gran-de in misericordia.

Vi propongo di ritrovare nella vo-stra Bibbia questo bellissimo e tragicobrano, e di leggerlo insieme, meditan-dolo con l’appoggio delle poche noteche seguono, per le quali attingo spes-so alla penna di una grande biblista: p. Alonso Schökel.

Siamo innegabilmente di fronte aun testo di alta poesia: concretizzazio-ne di una esperienza forte e generato-re di altrettanto forti sensazioni. Poemadell’amore incorrisposto e vivo, nono-stante tutto; amore appassionato, sof-ferto, e tuttavia tanto forte da vincereil traviamento e risanare l’infedele.

Il poema inizia con il tentativo, na-turalissimo e comprensibile, del rifiuto

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e della fuga. La scoperta del tradimen-to rende tutto amaro: anche un piccolotradimento può avvelenare una riccaesperienza di amore. Siamo di fronte aun uomo appassionatamente innamo-rato che, quando la sposa lo tradisce,cerca di disfarsi di tale amore per nonsoffrire, ma non ci riesce. Avrebbe pacenel dimenticare, ma l’amore non glieloconcede. È dunque l’amore che fermala fuga e l’abbandono, come è lo stes-so amore che l’aveva fatta desiderare.In questo labile equilibrio stanno tantecrisi coniugali, le loro soluzioni o i loronaufragi. Spesso è la mancanza di fidu-cia, il non sentirsi sostenuti o compresidai fratelli o da Dio, una fede troppodebole, che fanno pendere la bilanciaverso la fuga e non verso la via del per-dono, del dialogo, del tentativo di ri-conquista dell’amore. Dietro tante crisimatrimoniali che sfociano nel divorzioc’è spesso questa povertà di fiducia e difede in un momento delicato, questosentirsi soli di fronte al male. Dio nonci dà una risposta sul male, non spiegaperché l’amore può essere offeso, tra-dito, deluso, ma ci conferma che luistesso ha vissuto e vive questa espe-rienza, che non siamo soli e che con luipossiamo risalire la china. Avrebbe pa-ce nel dimenticarla, ma l’Amore nonglielo concede. La chiama “prostituta”,sperando così di non più amarla; ma laparola esprime un disprezzo che sgor-ga dall’amore. Cerca allora di vendi-carsi reclamando i suoi doni, ed espo-nendo l’infedele al pubblico ludibrio,ma il suo amore persiste; finché si deci-de di corteggiarla e di innamorarseladi nuovo, molto più in là dei doni edelle minacce. Forse i molti doni hannomaterializzato l’affetto personale e

sarà necessario un ritorno nella solitu-dine e nella povertà.

“La sedurrò portandola nel desertoe parlandole al cuore... lì mi risponderàcome nella giovinezza... mi chiameràmio sposo, non più mio idolo”. (Os2,16-18)

Se Osea ha vissuto questo tremendodolore, un giorno d’improvviso gli si èilluminato davanti, e nelle profonditàdel suo amore sofferto ha scoperto ilpallido riflesso di un altro amore, benpiù alto e profondo, quello del Signoreper il suo popolo. Come un pozzoprofondo che riflette un cielo ancorpiù profondo. Anche Dio ha amato co-me un marito innamorato; benché lasposa lo abbia tradito e nonostantetutto continua ad amarla.

Nelle parole del profeta e nella rive-lazione di Dio che ci tramandano c’èdunque un grande messaggio di fidu-cia nei confronti dell’amore, tanto piùse questo amore è benedetto e sorret-to dall’Amore per eccellenza. Il tradi-mento, la delusione, il timore e il so-spetto non debbono mai riuscire a in-taccare questa riserva di speranza, que-sta fiducia che spinge a tentare la ri-conquista di un sentimento prima di la-sciarsi cadere le braccia, perché

“Le acque torrenziali non potrannospegnere l’amore

né i fiumi sommergerlo” (Ct 8,6).

Isaia: lo Sposo e la sua vigna.Il primo grande profeta che porta

avanti l’intuizione di Osea è Isaia. Eglimescola a quello sponsale un altro sim-bolo più tradizionale per presentare ilrapporto tra Dio e Israele: Israele vignadel Signore. Solo chi ha vissuto la sua in-fanzia nella campagna umbra come me,

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o nella zona dei colli romani come moltidei lettori, può capire in pienezza le va-lenze del simbolo della vigna, che per-mettono di accostarlo al simbolo sponsa-le, come due immagini che si chiarisconoa vicenda. La vigna per il contadino è ilcruccio e il vanto, l’orgoglio e la preoc-cupazione, la gioia e la pesante fatica diogni giorno. Essa è veramente come lasposa per lo sposo, e per questo quandonon giungono i frutti la delusione è co-cente come per un amore tradito. Il pro-feta nel cap. 5 presenta questo amorecon toni altamente poetici, sceglie per séun ruolo in linea con l’immagine del le-game nuziale tra Dio e la sua vigna: egliè l’amico dello sposo, l’amico dell’Ama-to, che va in sua vece, secondo l’usanza,a cantare una serenata all’amata.

“Canterò a nome del mio amicoun canto d’amore alla sua vigna.Il mio amico aveva una vigna su una

fertile altura.La vangò, la sgombrò dei sassi e

piantò viti scelte;costruì in mezzo una torre e scavò

un torchio.Si attese uva ma diede agresta...... cosa c’era ancora da fare, per la

mia vigna, che io non abbia fatto?Perché, se mi aspettavo uva, ha da-

to agresta?...... la vigna del Signore è la casa di

Israele” (Is 5,1-7).

Il discorso del profeta, discorso dirimprovero e di condanna, presentacon tutta la forza possibile la delusionedell’amore tradito, ma c’è un aspettoche non deve passare inosservato: que-sto messaggio di delusione e di rimpro-vero viene presentato con le forme del-la canzone d’amore, della serenata che

si canta per conquistare o riconquistarel’amata. L’amore sponsale di Dio quan-do cede al rimprovero lo fa non conistinto di vedetta o di rivalsa, ma nelsincero desiderio di riconquistare, di ri-costruire il legame infranto. Si tratta diun esempio tanto prezioso, quanto dif-ficile da vivere. Nell’esperienza delladelusione e del tradimento, almenodelle aspettative se non del tradimentovero e proprio, la grande tentazione èquella della vendetta, della condannasenza appello, dell’acredine senza mi-sericordia. Tutti comportamenti chepartono da una sfiducia radicale nellapossibilità di un ravvedimento e dellaricostruzione di un legame d’affetto.Dio Sposo non fa così, e sceglie di rim-proverare aspramente la sua sposa, macon i toni e le arie di una serenata dainnamorato, che vuol conquistare lasua bella. Egli è già certo che il suoamore e la larghezza del suo perdonopotranno compiere il miracolo.

Geremia: l’amore fedele dellagiovinezza.

Amore e delusione sono anche l’im-pasto della interpretazione del temasponsale offerta dal profeta Geremia, ilsecondo a raccogliere e sviluppare laprovocazione di Osea.

Il profeta, entro una dura contro-versia processuale tra Dio e il popolointentata dal Signore per l’infedeltà diIsraele, inserisce un tenero soliloquio incui Dio ricorda i momenti belli del rap-porto con il suo popolo.

“Mi ricordo con nostalgia dell’amo-re fedele (HESED) della tua giovinezza,

dell’amore del tuo fidanzamento,quando mi seguivi nel deserto,in una terra non seminata” (2,2).

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La delusione per il tradimento fascoprire a Dio e diventa rivelazione pernoi della preziosità dell’amore fedele,quello che la Bibbia chiama HESED. An-che nella giovinezza, quando la forzadel legame d’amore sembra soprattut-to garantita dalla passione, Dio procla-ma, con questo struggente ricordo checiò che era prezioso, e che ora Israeleha perduto, è l’amore fedele, lo HE-SED. Resta difficile definirlo in modounivoco, si presenta come l’affetto se-reno di chi si sente appagato. Il profetalo mostra per contrasto descrivendo lacondizione attuale di Israele, ora cheha perduto l’HESED per il Signore, contoni di una durezza unica.

“Guarda nella valle il tuo cammino,e riconosci quello che hai fatto,cammella lasciva dal cammino tra-viato,asina selvatica, avvezza alla steppa,quando fiuta il vento, in calore, chine domerà la passione?Chi la cerca non deve stancarsi,la troverà in calore”. (Ger 2,23-24)Il forte contrasto mostra che senza

questo amore intenso e sereno, l’HE-SED, la passione non arricchisce Israe-le, non diventa causa della sua gioia,ma ne stravolge la vita, le fa perdereogni corretta direzione, ne fa un ani-male vagante e senza direzione, ne faun’asina selvatica in calore. Il tema ri-torna a più riprese in tutto il testo diGeremia, con immagini, se possibile,ancora più forti e offensive. Non c’éperò acredine immotivata, c’è invece ildesiderio sincero di rendere il popolocosciente di cosa sia il vero amoresponsale. Un amore che vive la fedeltàcome valore assoluto, un fedeltà sen-za incrinatura da parte di Dio.

“ Ti ho amato di amore eterno,per questo ti conservo ancora il mio

amore fedele (HESED)” (Ger 31,3).L’amore di Dio attende sempre che

si realizzi il miracolo e il profeta èchiamato a essere un segno vivente diquesto. In un mondo in cui la benedi-zione di Dio passa per la generazione,Dio chiede al profeta il celibato (Ger16,2). Il rifiuto di sposarsi da parte diGeremia per ordine del Signore hamolte valenze e significati. Il primo epiù immediato è quello di una denun-cia evidente della situazione del po-polo. Israele, tradendo Dio e allonta-nandosi da lui, si è allontanato dallafonte dell’amore e della vita: come èdunque possibile sposarsi e avere fi-gli? Il celibato del profeta è un segnodella condizione del popolo, incapacedi un vero amore per Dio, privo di HE-SED e per questo impossibilitato asposare il suo Signore. Ma il celibatodel profeta può anche essere letto invia positiva, come una condivisione erivelazione della condizione di Dio.Dio, rifiutato da Israele e abbandona-to dal suo popolo, gli resta comunquefedele, attende il suo ritorno perchél’amore di Dio è eterno e per questo“non sposa” altri popoli. È una parolaalta e forte, piena di dignità, pronun-ciata dall’amore ferito dal tradimento.Se un partner ha infranto l’Hesed, l’al-tro non ne decreta la fine passando anuove nozze, ma, con la sua solitudi-ne, mantiene viva la speranza e lasciaaperta la porta del ritorno. È una te-stimonianza all’amore piena di soffe-renza, ma proprio per questo preziosae degna del più grande rispetto.

Non credo sia necessario commenta-re il valore e l’attualità che questa pa-

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rola ha per tante coppie oggi, che suquesto amore sponsale, questo amoredi Hesed, sono chiamate a farsi imita-trici di Dio.

Ezechiele: la grande visione del-l’amore

Il libro di Ezechiele è ricco di imma-gini, descrittivo quasi con gusto baroc-co, si estende per ben 48 capitoli e te-stimonia un momento fondamentalenella storia dell’alleanza tra Dio e il po-polo. Ezechiele vive nei pressi di Babi-lonia lungo le rive del canale Kebar;nel 592 a.C. fa parte di una piccola co-munità di deportati da Gerusalemmedopo le prime razzie caldee del 597.All’improvviso giunge la notizia che Se-decia, il re di Gerusalemme, si è ribella-to a Nabucodonosor, re di Babilonia.Tra gli esiliati si rifà viva la speranza:Gerusalemme e il tempio non possonocadere, quindi la guerra sarà vittoriosae anch’essi saranno liberati.

Ezechiele, pur essendo di famigliasacerdotale, pur avendo una solida fe-de in Dio, si sente chiamato a smorza-re questi entusiasmi. Il tempio nonpuò essere considerato un talismanomiracoloso e la crisi attraversata dalpopolo eletto non è che il risultato diun comportamento incredulo e idola-tra portato avanti per anni. Il Signoreha giudicato il suo popolo e lo ha tro-vato colpevole: Gerusalemme cadrà,ma non sarà la fine di tutto. Se nonc’è futuro in Canaan c’è però una spe-ranza in Babilonia, in terra di esilio,nella piccola comunità che circonda ilprofeta.

L’amore di Dio è sempre disponibile,come sempre disponibile è il suo per-dono; è però necessaria una conversio-

ne radicale, un rinnovamento vero. Segli esiliati torneranno a Dio egli li faràrivivere, cancellerà i loro peccati e daràloro nuova vita. Ezechiele è condottoda Dio a sostanziare e approfondirequesta fede nel perdono divino, attra-verso una serie di visioni, simboliche eperfino apocalittiche, che riempionocon le loro descrizioni gran parte delsuo libro. Queste visioni e le descrizionisimboliche non solo guardano al futu-ro, ma rileggono in ampie allegorietutta la storia del popolo. Al loro inter-no due spiccano sulle altre per il lorocontenuto che ci tocca da vicino: la sto-ria simbolica delle due sorelle (Gerusa-lemme e Samaria) del cap. 23, e soprat-tutto la monumentale allegoria dellabambina abbandonata del cap. 16.

Attraverso esse anche Ezechiele par-la dei rapporti tra Dio e il suo popoloin termini matrimoniali, e lo fa con unacarica e un trasporto che lasciano intra-vedere con evidenza come questo te-ma non lo lasci estraneo. Come Osea eGeremia, anche Ezechiele infatti hauna vicenda matrimoniale personale apartire dalla quale si può leggere lasua particolare sensibilità al messaggiodivino.

Il testo ne parla al cap 24,15-27, do-po averla significativamente introdottacon la denuncia divina del peccato diGerusalemme e della sua prossima ca-duta. Dio sta per assistere alla fine diGerusalemme senza ormai lasciare spa-zio a una salvezza, ma non sarà unospettacolo al quale assiste impassibile.Ezechiele, che nello stesso periodo èprofondamente segnato dalla perditadella moglie, capisce e condivide il do-lore di Dio e legge la sua tragedia co-me un segno profetico per il popolo.

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Dalla stringatezza delle sue parole, luiche ama i discorsi ampi, al limite delprolisso, possiamo comprendere ildramma del Profeta per la perdita del-la moglie, che è il dramma di Dio per ilpeccato del popolo che lo allontana ir-rimediabilmente dal suo Signore. “Mifu rivolta questa parola del Signore: -Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo al-l’improvviso colei che è la delizia deituoi occhi: ma tu non fare il lamento,non piangere, non versare lacrima...-”(Ez 24,15s)

Nel silenzio di Ezechiele, nella suamancanza di lutto e di pianto, c’è ladenuncia simbolica che la fine di Ge-rusalemme è un atto giusto, anche sea Dio che deve decretarla, come al suoprofeta, si spezza il cuore.

Questo è senza dubbio l’apice dellarivelazione dell’amore di Dio comeamore sponsale, un amore così inten-so e vero che anche quando è costret-to a punire non prova sentimenti divendetta o di odio, ma soltanto diprofondo e lacerante dolore. Sono lafede e la percezione della forza diquesto amore che daranno ad Eze-chiele luce per comprendere il futurocon speranza.

Egli è realista: Israele è morto, ilpopolo è una distesa di ossa inaridite(Ez 37), ma l’amore di Dio, la potenzadel suo Spirito è tale che potrà anchefar rivivere i morti, ricreare un futurodi speranza. Dalla sua esperienza diun amore intenso per la sposa, che su-pera le soglie della morte, il suo cuoresi apre a comprendere un messaggiodivino nuovo che irrompe nell’AT: ilmessaggio della resurrezione, dellasperanza al di là di ogni speranza, an-che al di là della morte.

Questo profondo coinvolgimentopersonale spiega l’importanza dell’im-magine familiare nel suo discorso pro-fetico e la forza inusitata con cui de-scrive sia la tremenda tragedia dell’a-more tradito, sia l’assurdo perdono chesolo l’amore dello Sposo sa offrire.

Il messaggio viene presentato nelgrande affresco simbolico del cap 16.Israele è una bambina selvaggia e ab-bandonata come una trovatella sulciglio della strada: “Passai vicino a tee vidi che ti dibattevi nel sangue...nuda e scoperta” (16,6s). Il Signorepassa e, con un gesto tipico dellosposo, la copre col lembo del suomantello. La trovatella diventa unaprincipessa, i suoi abiti sono sontuosie la sua vita ricca e serena; lo sposopremuroso non le fa mancare nulla.Eppure lei, in un atteggiamento in-comprensibile, quasi autodistruttivo,non trova altro di meglio, per rispon-dere a questo amore, che iniziareuna serie innumerevole di tradimentie di perversioni.

Quale speranza può avere questolegame, quale razionale continuazionedopo quanto è stato fatto dalla sposainfedele? Ma proprio qui, in questoabominio di tradimento e peccato ap-pare l’onnipotenza dell’amore sponsa-le e del perdono divino. L’amore di Dionon è limitato come quello umano, hail coraggio di spezzare la catena delleperversioni umane. Lo sposo invita lasposa infedele a una alleanza eterna(Ez16,60), indistruttibile. Che non nascedal pentimento e dal ravvedimentodella sposa, ma ne è causa e stimolo: èla misericordia amorevole di Dio cheama per primo e “Agisce con noi perl’onore del suo nome e non secondo la

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nostra malvagia condotta e i nostri co-stumi corrotti” (Ez 20,44).

Sarà questo inaudito atto d’amoreche farà ritornare in se stessa la spo-sa, che la renderà cosciente della suacondotta, “e sarà confusa” (Ez 16,61)e accoglierà il perdono di Dio, apren-do così un nuovo orizzonte di amoree di felicità. La grande rivelazionedell’amore sponsale è quella di unamore capace non solo di offrire ilperdono, ma di generare il penti-mento attraverso il perdono. Lo spo-so offre il suo perdono e con questorivela alla sposa il suo peccato e lanecessità che questa si penta. Unmodello che non può non mettere incrisi la nostra povera capacità diamore e di perdono.

Il Secondo Isaia: l’amore più altodei monti

Con il Secondo Isaia, un profetaanonimo del VI secolo le cui parole so-no state inserite nel grande libro diIsaia, abbiamo, dopo tanta tristezza,un annunzio di speranza: il popolo tor-nerà a casa, l’esilio finirà.

La sua riflessione sull’amore sponsa-le è profonda e ricca di una intensapoesia che raggiunge accenti di capo-lavoro in Is 54,1-10. “Esulta o sterileche non hai partorito...”. Prima dell’al-leanza con Dio il Popolo era come unadonna sterile e sola, senza marito esenza figli. L’incontro con il Signore èstato per lei l’inizio del suo riscatto, co-me Sara può elevare al Signore un innodi lode e dimenticare i giorni dell’affli-zione: “Non temere, perché non dovraipiù arrossire...”.

La comunità di Israele, sposa del-l’Onnipotente, ha dovuto allora allar-

gare gli spazi della sua tenda per acco-gliere tutti i nuovi nati che la rendonoorgogliosa. I suoi figli toccano tutti iconfini della terra perché “Tuo sposo èil Creatore” (Is 54,5). Il ricordo del pec-cato della giovinezza è ormai solo unlontano rimando. Al centro di tutto c’èl’amore intatto dello Sposo, che soloper un breve istante volge lo sguardovia dalla sua donna. L’amore vero nonpuò resistere alla separazione, non puòpiù di tanto tenere il muso o rinvanga-re l’offesa.

“Si può forse ripudiare la donnasposata in gioventù?” (v.6). Con questaesclamazione, il profeta, in un ambien-te poligamico e dove il ripudio era con-siderato un fatto normale e lecito, sen-te che l’amore, quello vero e ideale,quello che si prova per la prima sposascelta in gioventù, è di per se stessoeterno. L’amore vero chiede il “persempre” come condizione naturale eirrinunciabile e cedere su questo puntoè innegabilmente un errore. “Si puòforse ripudiare la donna sposata in gio-ventù?” (v.6).

Ecco allora lo sbocciare di un amorerinnovato, prepotente, “immenso”(v.7), “eterno” (v.8), giurato (v.9), in-crollabile (v.10). L’amore non chiedepiù conto di nulla, è solo felice della vi-ta ritrovata. Dio è disposto a rifarsi dacapo, dai tempi del primo perdono,quello a Noè dopo il diluvio. È un nuo-vo equilibrio cosmico che si rinsalda eche nulla farà più vacillare.

“Anche se i monti si spostasseroe i colli vacillassero,non si allontanerebbe da te la mia

fedeltà piena di amore,né vacillerebbe la mia alleanza di

pace con te.” (v10).

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L’ amore sponsale di Dio, fedele eincrollabile, chiude l’inno con questastrofa che potrebbe benissimo essereusata nel rito del matrimonio per ripe-tere, con termini biblici, quello che laChiesa ha codificato nella formula: “Ioprendo te come mia sposa e promettodi esserti fedele sempre...”

Il terzo Isaia: la festa di nozzeIl nostro itinerario sulla tematica

dell’amore sponsale nella teologiadell’alleanza può concludersi con ilTerzo Isaia, un altro profeta anonimodell’epoca seguente all’esilio di Babi-lonia, le cui parole, spesso in forma ditesti brevi, sono rintracciabili, secondogli esegeti, nei cap. 56-66 del grandelibro di Isaia.

Nel cap. 62, rielaborando materialipresenti altrove nel testo, e in partico-lare in Is 49. 51-52. e 54 ci offre una ri-flessione poetica personale e originalesull’amore sponsale di Dio per il suopopolo.

L’inno è introdotto in 61,10 da unaspecie di scena di apertura: Dio e ilpopolo sono ritratti come due sposiche stanno entrando alla festa di noz-ze, incoronati, ingioiellati e circondatida sorrisi e da grida di festa.

Il canto si suddivide in tre tempi:L’ouverture (vv. 1-5) ritrae Gerusalem-me come una sposa nel giorno dellenozze. Il corpo dell’inno (vv. 6-9), indi-rizzato alle sentinelle che stanno sullemura della città, invita a porre atten-zione ai doni che vengono portati allasposa. Il Signore dimostra il suo amorerendendo nuovamente Gerusalemmeil suo vanto sulla terra. Nella chiusa(vv. 10-12) tutto il popolo e la cittàsposa sono invitati ad accogliere lo

sposo vincitore, per concludere con luile celebrazioni nuziali.

Le immagini dell’ouverture sonotutte di passaggio positivo: dalla not-te all’alba, dal silenzio al grido di giu-bilo, dallo scherno delle nazioni allacontemplazione della gloria di Geru-salemme. Tutto questo cambiamento,operato dal perdono di Dio, dal ritor-no del suo amore, è sintetizzato daldono di un nome nuovo per Sion: Miocompiacimento. Un nome che ha, po-co sotto, una specie di spiegazione:Come gioisce lo sposo per la sposa, co-sì il tuo Dio gioirà per te.

L’amore sponsale, presentato co-me il trovare nella sposa il propriocompiacimento, la risposta al propriodesiderio, prende i toni della ricercadella gioia. La gioia come pienezza,come senso di completamento delproprio essere, come dono di sé perriceversi nuovamente arricchiti, que-sto è l’amore dello sposo per la spo-sa. Un amore dinamico che non sichiude in sé, ma va costantementeverso l’altra, come annuncia la chiusadel poemetto. La mancanza di amoresponsale infatti non è tanto l’odio,quanto l’abbandono. GerusalemmeSposa non sarà più una città abban-donata, ma sarà detta la costante-mente ricercata.

Potremmo chiudere il poemettosintetizzando l’amore sponsale comeun amore che cerca la gioia, non egoi-sticamente il piacere, ma che l’uno,sposo o sposa, sia gioia per l’altro.Una ricerca che non può terminare,perché l’amore sponsale è vivo e muo-re se cessano questa ricerca reciprocae questa disponibilità reciproca ad es-sere gioia l’uno dell’altra.

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R iguardo al matrimonio la rifles-sione di Sant’Agostino rappre-senta un punto di arrivo della

concezione cristiana avutasi presso iPadri della Chiesa. Circa la vita coniu-gale è perciò utile indicare la matura-zione della sua concezione antropolo-gica rispetto a quella platonica, avve-nuta in lui nel periodo 396-426, daquando cioè venne elevato alla caricadi vescovo della Chiesa d’Ippona. Taleperiodo, il più intenso della sua vita dipastore e di scrittore, è contrassegna-to da un suo progressivo distacco damolte tesi neoplatoniche e, conse-guentemente, di recupero dei valoridel sensibile e quindi del corpo e dellabontà del matrimonio.

Tra gli scritti che segnalano talepassaggio è sufficiente fermarsi al Dedoctrina christiana composta negli an-ni 396/397 quanto ai primi due libri, ilterzo e il quarto li scrisse poi nel 427.Un breve esame comparato, tra que-st’opera e il De vera religione dell’an-no 390, mostra chiaramente l’ormaidisincanto dell’Ipponate dall’antropo-logia neoplatonica. Degli altri scrittidatati dopo il 396, vanno anche ricor-dati in particolare per la nostra que-stione Le Confessioni e il De civitateDei.

Le Confessioni c’informano che lariflessione sull’incarnazione del Verbolo spinsero a cambiare la sua visioneantropologica di sapore neo-platonico1. Il De civitate Dei poi pose

ad Agostino, tra l’altro, l’esame delletesi origeniane sul corpo (sue o attri-buite a lui)2. Si trattò di un insieme dicircostanze -non ultima la sua polemi-ca con Giuliano di Eclano (vedi adesempio lo scritto Le nozze e la concu-piscenza)- che indussero il vescovod’Ippona a precisare i suoi nuovi oriz-zonti riguardo alla somaticità in gene-re e alla sessualità umana in particola-re.

Nel primo libro del De doctrina ch-ristiana si ha anzitutto il recupero diuna concezione del corpo quale costi-tutivo dell’uomo3, rispetto all’idea dipossesso (il corpo sarebbe uno dei be-ni che l’uomo possiede, la tesi del Devera religione) che lo portava a dire “icorpi non sono ciò che noi veramentesiamo” (vera rel. 46,89). L’uomo è cor-po e anima e quindi diverso è il rap-porto che si deve avere anche verso ilcorpo. Egli recuperò pertanto in sensopositivo l’affermazione di Paolo dellalettera agli Efesini (c.5) riguardo altermine “carne”, che nel De vera reli-gione aveva recepito come il sensibileche si oppone allo spirito e, per talemotivo, da odiare e fuggire.

Dopo il 396 Agostino non proposepiù verso il corpo un’ascesi di odio,un’etica di annullamento secondo idettami manichei e neoplatonici insie-me, che ritenevano l’uomo completosenza il corpo, ma solo una lotta fattadi pazienza e di amorevolezza contro“quella mai doma consuetudine della

Il matrimonio nella riflessionedi Sant’Agostino di p. Vittorino Grossi, osa

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carne” che appesantisce lo slancio ver-so l’incommutabile Dio4.

Di rilevante in questa diversa pro-spettiva c’è il fatto che Agostino, nelriferire il pensiero di Paolo riguardoalla carne cioè al corpo da “nutrire ecurare come Cristo fa con la Chiesa”(Ef 5,29), giustifichi tale atteggiamen-to appellandosi alla legge naturale(inconcussa naturae lege (doctrina ch-ristiana 1, 26,27). Una posizione che,nella storia del cristianesimo latinodecretava, almeno dal punto di vistateorico, il definitivo superamento del-l’antropologia platonica che conside-rava il corpo non un elemento costitu-tivo dell’uomo ma solo un vincolo dacui liberarsi. La nuova prospettiva diAgostino apriva orizzonti diversi perla somaticità in genere e quindi per lacomprensione dell’ascetica (la castità)e della sessualità umana, in particola-re per l’amore coniugale.

Le correnti cristiane di estrazioneencratita5, fonti ispiratrici nell’anti-chità di molti gruppi ascetici, che nel-le punte meno estremiste ammette-vano come necessità anche il primomatrimonio, trovarono nella matura-zione antropologica agostiniana, da-tata dopo la sua elezione all’episco-pato (anno 396/97), riferimenti perequilibri diversi e meno eterodossi.Col corpo, pensato come costitutivodell’uomo alla pari dell’anima, la va-lutazione somatica e lo stesso proble-ma sessuale si rendevano bisognosisia in Agostino che nel cristianesimolatino di una nuova riformulazione.Nella nuova ottica antropologica irapporti umani trovavano infatti laloro regolamentazione in positivo enon primieramente in negativo (l’op-

posizione, l’astenersi, l’utilizzazionesubordinata del corpo rispetto all’a-nima) e, regolati dalla legge dell’a-more, includevano ormai sia l’animache il corpo. L’amore eterosessualenon può infatti limitarsi alla sola ani-ma (la tesi agostiniana del periodoplatonico presente nel De vera reli-gione dell’anno 390) ma deve giun-gere anche al corpo, dato che la stes-sa benevolenza di Dio è mediata dalcorpo6. L’amore del prossimo perciò -e quindi anche il rapporto eteroses-suale- include per legge naturale cor-po e anima7. Una conclusione quelladi Agostino che, dilatandosi a tuttol’ordine naturale dei rapporti umani,superava la dicotomia di una conce-zione di parte, non solo neoplatonicao manichea per l’elemento corpo delcomposto umano, ma anche quellapossibile solo ai credenti essendo essii beneficiari della rivelazione divina.

Un’opera sintesi di tale impostazio-ne etico-antropologica, basata sul re-cupero del valore positivo del corpoanche a livello di natura, fu certamen-te il De bono matrimonii (Sul bene delmatrimonio) dell’anno 401. In taleopera Agostino considera infatti comeun bene sia l’amore coniugale nel suoinsieme (per legge naturale tutti go-dono nel matrimonio del bene pro-prio dei coniugi (la fides), di quellodei figli (il bonum prolis), del beneproprio dei cristiani dato loro dal sa-cramento (il bonum sacramenti)8.

Un altro elemento importante cheAgostino acquisì nel periodo dall’ini-zio dell’episcopato in poi fu la conce-zione circa la natura concreta dell’uo-mo, cioè storicamente esistente, il cuicorpo non si identifica col sensibile

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“platonico” (posizione da lui sostenu-ta nei Soliloqui), bensì col “sensibilecorruttibile” subentrato nell’essereumano con il peccato dei progenitori.Con tale distinzione Agostino recupe-rava la bontà del corporeo in quantotale, sia per un’impostazione positivadell’etica riguardo al corpo, che peruna fondazione critica riguardo allapossibilità della risurrezione della car-ne. Con tale recupero critico egli potésuperare anche la tesi della totale spi-ritualizzazione del corpo risorto, cheallora veniva addebitata ad Origene.Nel De civitate Dei, in particolare nellibro XIII, si ha dell’insieme una sintesiarticolata: I corpi in quanto tali sonobuoni e non sono di peso all’anima, losono solo in quanto corruttibili(civ.Dei 13,16), il corpo in quanto cor-po perciò va distinto dal “corpo cor-ruttibile” (civ.Dei 22,11); Adamo fufatto “in anima vivente” non perciò in“spirito vivificante” (civ.Dei 13,23); icorpi risorti saranno spirituali non per-ché cesseranno di essere corpi, maperché vivranno per lo spirito vivifi-cante (civ.Dei 13,22); nei corpi spiri-tuali rimarrà la sostanza della carnesenza alcuna corruttibilità o debolez-za (civ.Dei 13,24), non quindi solo nel-le sue qualità. La carne stessa sposeràl’immortalità (civ.Dei 20,14; vedi an-che epp. 20,6 e 187,10).

Come testo sintesi del pensiero diAgostino sul bene delle nozze ripor-

tiamo qualche suo brano dallo scrittoSul bene del matrimonio, che inizianel modo seguente:

“Ciascun uomo è parte del genereumano. La sua natura è qualcosa disociale e anche la forza dell’amicizia èun grande bene che egli possiede co-me innato. Per questa ragione Diovolle dare origine a tutti gli uomini daun unico individuo, in modo che nellaloro società fossero stretti non solodall’appartenenza al medesimo gene-re, ma anche dal vincolo della paren-tela. Pertanto il primo naturale lega-me della società umana è quello datofra uomo e donna. E Dio non produs-se neppure ciascuno dei due separata-mente, congiungendoli poi come stra-nieri, ma creò l’una dall’altro e il fian-co dell’uomo, da cui la donna fuestratta e formata, sta ad indicare laforza della loro congiunzione. Fiancoa fianco infatti si uniscono coloro checamminano insieme e che insiemeguardano alla stessa mèta (1,1)...Ciòche ora vogliamo dire...è che la vitasessuale dei coniugi è un bene...ciòche giustamente si ricerca è per qualimotivi sia un bene. E mi sembra chesia tale non solo per la procreazionedei figli, ma anche perché stringe unasocietà naturale fra i due sessi(3,3)...Dunque sono santi anche i corpidegli sposi che reciprocamente si por-tano fedeltà come pure sono fedeli aDio” (11,13).

————————

1. Conf. 7, 19,25: “Il mistero racchiuso inquelle parole: <Il Verbo fatto carne> nonpotevo nemmeno sospettarlo”. Un pòprima nello stesso capitolo aveva letto lanascita verginale di Cristo come disprez-

zo dei beni temporali “nato in modo mi-rabile dalla Vergine quale esempio di di-sprezzo dei beni temporali per consegui-re l’immortalità divina” (mirabiliter natusex virgine ad exemplum contemnendo-

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rum temporalium prae adipiscenda im-mortalitate divina). Siamo nell’anno 400e Agostino è in una manifesta ricerca dicome riorganizzare il temporale alla lucedell’incarnazione del Verbo.

2. V.Grossi, L’apporto del ‘De civitate Dei’all’antropologia agostiniana, in Elena Ca-valcanti (a cura di), Il ‘De civitate Dei’.L’opera, le interpretazioni, l’influsso, ed.Herder, Roma 1996, pp.271-292.

3. De doctrina christiana 1, 26,27: “L’uomoinfatti è costituito dall’anima e dal cor-po” (Homo enim ex animo constat et cor-pore). Cfr. anche i noti passi del De conti-nentia 12,26; De moribus ecclesiae catho-licae 1,4. L’ammirazione per il compostoumano appartiene al De civ.Dei 21,10:“La loro unione è una grande meraviglia,incomprensibile all’uomo: è l’uomo”.

4. De doctrina christiana 1, 24,24; 1, 24,25:“indomitam carnalem consuetudinem”.Nelle Confessioni (7, 17,23) Agostino sen-te la carne (consuetudo carnalis) ancoraneoplatonicamente, come quel peso chegli impedisce di essere stabile nel godi-mento di Dio, secondo il libro della Sa-pientia 9,15: “non stabam frui Deo meo,sed rapiebar ad te decore tuo moxque di-ripiebar abs te pondere meo et ruebamin ista cum gemitu; et pondus hoc con-suetudo carnalis...quoniam corpus, quodcorrumpitur adgravat animam”.

5. Un testo dell’encratita Taziano conserva-toci da Clemente Alessandrino riteneval’unione coniugale un servizio prestato“all’incontinenza, alla fornicazione e aldiavolo”(Stromata 3, 12,81,1-2). Tali mo-vimenti sono segnalati nelle raccolte ere-siologiche dell’antichità cristiana (cfr. trale principali: Epifanio, Panarion; Agosti-no, De haeresibus; l’opera di Arnobio,Praedestinatus, scritta tra il 435-450).

6. De doctrina christiana 1, 23,32. La radicedi questa acquisizione si ebbe in Agosti-no dall’acquisizione della mediazione delcorpo quale via obbligata della cono-scenza dell’anima. Si ha nelle Confessio-ni: “Così salii per gradi dai corpi all’ani-ma, che sente attraverso il corpo -ad sen-tientem per corpus animam-, dall’animaalla sua potenza interna, cui i sensi delcorpo comunicano la realtà esterna”(conf. 7, 17,23).

7. De doctrina christiana 1, 26,27 e 28,29.

8. Oltre al De bono matrimonii, vedi sui trebeni del matrimonio (fides-proles-sacra-mentum), De genesi ad litteram 9, 7,12;De nuptiis et concup.libro I. L’Ep. 6,5 e 7(Divjak BA 46b, 130-142) istituisce unconfronto tra la concupiscentia bona co-niugum e quella propriamente della car-ne, non usata dai continenti e dalle ver-gini: “contra cuius impetum repugnan-tem legi mentis omnis castitas pugnat etconiugatorum, ut ea bene utantur, etcontinentium virginumque sanctarum, utea melius et gloriosius non utantur”(6,5); “quidquid prolis ex eis per illamcarnis concupiscentiam nascitur, quamnon bona ipsi per bonam nuptiarum con-cupiscentiam bene utuntur”(6,7). L’accen-to posto in questa lettera (degli anni416-420), sulla bontà della concupiscenzadegli sposi che comprende la castità co-niugale (la fides), la proles e la vita in co-mune (ep. 6,5), è nella linea del De bonomatrimonii del 401.

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T ra i principali elementi dellacelebrazione del matrimonioda mettere in evidenza, accan-

to al consenso, alla liturgia della Pa-rola e alla comunione eucaristica, iln. 35 delle Premesse annovera “la so-lenne e veneranda preghiera con cuisi invoca la benedizione di Dio soprala sposa e lo sposo”.

Sappiamo dalla storia del matri-monio dei cristiani a Roma che, al-meno a partire dal quarto secolo, glisposi che avevano contratto matri-monio secondo leggi e le usanze ro-mane (il consenso, l’unione delle de-stre, la confarreatio, cioè il mangiaredel farro insieme) in casa della sposa,senza l’assistenza di un ecclesiastico,poi, recandosi in chiesa, ricevevanola benedizione nuziale. Si distingue-vano così due momenti: i l primochiamato “matrimonio”, e il secondochiamato “nozze”, dal “velo” che sistendeva sopra gli sposi come una“nube”, mentre su di essi il sacerdo-te pronunciava la preghiera. Si spie-ga così il titolo di “velatio nuptialis”.Troviamo testi di questa preghieranegli antichi sacramentari. Questabenedizione non si dava però nei“tempi proibiti”, cioè in Quaresima ein Avvento e nei giorni penitenziali.Ricordiamo l’antico precetto dellaChiesa: “non celebrare le nozze neitempi proibiti”. In questi tempi si fa-ceva il matrimonio, ma non la bene-dizione, che veniva rimandata ad al-tri giorni.

Potremmo allora dire che lo speci-

fico cristiano della celebrazione delmatrimonio era proprio questa be-nedizione. Essa aveva luogo dopo laPreghiera eucaristica, prima della co-munione, precisamente dopo il Pa-dre Nostro.

I due momenti si sono a poco apoco avvicinati. Nell’epoca carolin-gia, il primo momento (il matrimo-nio) non aveva più luogo in casa del-la sposa, ma in facie ecclesiae, cioèdavanti alla chiesa (cioè non solo da-vanti al sacerdote, ma letteralmentedavanti alla porta della chiesa). In se-guito esso verrà celebrato in chiesa,ma prima della messa, mentre la be-nedizione continuava ad essere invo-cata al suo luogo durante la messa.

Solo recentemente, cioè nel seco-lo scorso, anche il primo momento siè celebrato durante la messa, pur ri-manendo distante dalla benedizionenuziale: mentre infatti il consenso elo scambio degli anelli con la relativabenedizione avvenivano dopo l’ome-lia, la benedizione agli sposi si davadopo il Padre Nostro.

Prima del Concilio Vaticano II, labenedizione veniva data alla sposa;era chiamata anche “benedictiosponsae”. Si portavano per questodue ragioni: una antropologica el’altra teologica. Da una parte sipensava che la benedizione fosse in-vocata in vista della fecondità, rife-rendosi alla Genesi, dove si dice che“Dio li benedisse dicendo: siate fe-condi e moltiplicatevi”. E si pensavaallora che la fecondità o la sterilità

La benedizione nuziale di p. Ildebrando Scicolone, osb

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dipendesse dalla donna. Alla lucedella teologia del sacramento, poi, losposo è segno di Cristo, la sposa del-la Chiesa: si benediceva quindi lasposa, non lo sposo.

Il Concilio ha esplicitamente volu-to che “la benedizione della sposa,fosse opportunamente ritoccata cosìda inculcare ad entrambi gli sposi lostesso dovere della fedeltà vicende-vole”. Così il rituale precedente la in-titolava “Solenne benedizione dellasposa e dello sposo” (notate l’ordinedelle parole che ricorda la storia pre-cedente!). Oggi il nuovo rito la chia-ma semplicemente “benedizione nu-ziale”.

Per quanto riguarda il momentoin cui invocare questa benedizione, ilnuovo Rituale, pur conservandoquello tradizionale, e cioè dopo ilPadre Nostro, al n. 79 prevede un’al-tra possibilità: “Se lo si ritiene op-portuno, a questo punto [dopo loscambio degli anelli] può essere anti-cipata la benedizione nuziale”. Iopenso che sia opportuno, per duemotivi: 1. Nel caso contrario, il rito vero e

proprio del matrimonio, che èprevisto dopo la liturgia della Pa-rola (e l’omelia) non avrebbe alcu-na preghiera (salvo la benedizio-ne degli anelli);

2. la benedizione data dopo il PadreNostro non viene spesso compre-sa, e si pensa che sia soltanto unapreghiera in più del sacerdote.

Personalmente, la anticiperei an-cora di più, ponendola prima delloscambio degli anelli. Si potrebbe farein quest’ordine: domande prelimina-

ri, consenso, preghiera dei fedeliconclusa dalla solenne benedizionenuziale, benedizione e scambio deglianelli. Così, dopo che gli sposi hannodato il loro consenso, che in fondo èuna promessa, la comunità prega perloro e invoca la benedizione di Dioche li consacra come coppia; gli anel-li infine sono il segno visibile di que-sta loro unione.

E veniamo al testo della preghie-ra. A quella classica, che la tradizio-ne ci ha conservato, il Rituale prece-dente ne aveva aggiunto altre due; ilnuovo ne aggiunge ancora una quar-ta. La prima è un’ampia preghierache possiamo dividere in due parti:una “anamnesi” e una “epiclesi”.Nella prima parte “si ricorda” a Dioil progetto che ha avuto nella crea-zione dell’uomo e della donna “do-nandoli l’uno all’altro [non all’altra,perché è un dono reciproco] comesostegno inseparabile, perché sianonon più due ma una sola carne”. Ri-corda poi che il mistero nuziale è“sacramento di Cristo e della Chie-sa”. Ricorda ancora “quella benedi-zione che nulla poté cancellare, né ilpeccato originale né le acque del di-luvio”.

Nella seconda parte si invoca :“Guarda con bontà questi tuoi figliche, uniti nel vincolo del Matrimo-nio, chiedono l’aiuto della tua bene-dizione”. E poi in modo esplicito (co-sa nuova!) si invoca lo Spirito Santo:“effondi su di loro la grazia delloSpirito Santo perché, con la forza deltuo amore diffuso nei loro cuori(Rom 5,5) rimangano fedeli al pattonuziale”. Sottolineo che è cosa nuo-va questa epiclesi esplicita. Non esi-

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ste infatti sacramento senza l’azionedello Spirito Santo; ora era propriostrano che il sacramento dell’amoresponsale non risultasse frutto dellapresenza e dell’azione dello Spiritodi amore tra il Padre e il Figlio,

L’augurio della Chiesa si fa pre-ghiera per la vita di unione casta efeconda degli sposi. Prima il pensierosi rivolge alla sposa perché in essa“dimori il dono dell’amore e dellapace e sappia imitare le donne santelodate dalla Scrittura”. Nella pre-ghiera tradizionale si ricordavanoespressamente Sara moglie di Abra-mo, Rebecca di Isacco e Rachele diGiacobbe. Poi il pensiero e la pre-ghiera riguarda lo sposo perché “vi-va con lei in piena comunione, la ri-conosca partecipe dello stesso donodi grazia, la onori come uguale nelladignità, la ami sempre con quell’a-more con il quale Cristo ha amato lasua Chiesa” (cfr Ef 5,25).

La seconda formula è simile allaprima quanto a struttura, ma il lin-guaggio è più vicino alla modernasensibilità. Nella parte anamnetica siricorda, oltre alla creazione, il pattodi alleanza: quello dell’AT, cantatodai profeti, e compiuto poi nel “mi-stero nuziale di Cristo e della Chie-sa”.

L’epiclesi è così espressa: “O Dio,stendi la tua mano su N. e N. edeffondi nei loro cuori la forza delloSpirito Santo”. Seguono delle espres-sioni molto belle, per esprimere lacomunione di vita e il senso del donoche Dio fa ad entrambi: “Fa’, o Si-gnore, che, nell’unione da te consa-crata, condividano i doni del tuoamore e, diventando l’uno per l’altro

segno della tua presenza, siano uncuore solo e un’anima sola”. E si in-voca: “Dona a questa sposa N. bene-dizione su benedizione, perché comemoglie e madre, diffonda la gioianella casa e la illumini con genero-sità e dolcezza”. Per lo sposo si chie-de: “Guarda con paterna bontà N.,suo sposo, perché, forte della tua be-nedizione, adempia con fedeltà lasua missione di marito e di padre”.

La preghiera si conclude con unaccenno alla comunione eucaristica:“concedi a questi tuoi figli che, unitidavanti a te come sposi comunicanoalla tua mensa, di partecipare insie-me con gioia al banchetto del cielo”.Mi piace pensare che la prima cosache, come sposi, mangiano insieme,è il corpo e il sangue di Cristo.

La terza preghiera ha un’anamnesipiù breve, mentre l’epiclesi è più svi-luppata: “Scenda, o Signore, su questisposi la ricchezza delle tue benedizio-ni, e la forza del tuo Santo Spirito in-fiammi dall’alto i loro cuori… Ti lodi-no, Signore, nella gioia, ti cerchinonella sofferenza: godano del tuo so-stegno nella fatica e del tuo confortonella necessità; ti preghino nella santaassemblea, siano tuoi testimoni nelmondo. Vivano a lungo nella prospe-rità e nella pace…”.

Questa preghiera, come la quarta,possono essere intervallate da dueacclamazioni dell’assemblea: all’a-namnesi si acclama: “Ti lodiamo, Si-gnore e ti benediciamo. Eterno è iltuo amore per noi”. All’epiclesi inve-ce si invoca: “Ti supplichiamo, Signo-re. Ascolta la nostra preghiera”.

La quarta formula è proprio nuo-va, e più adatta a essere usata nel

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tempo pasquale. L’anamnesi è piùlunga e più incentrata sul Nuovo Te-stamento. Dopo aver ricordato lacreazione, passa a ricordare l’incar-nazione di Cristo in una famigliaumana; ricorda la presenza di Cristoalle nozze di Cana quando, “cam-biando l’acqua in vino, è divenutopresenza di gioia nella vita deglisposi”. Si ricorda soprattutto il miste-ro pasquale, da cui ogni sacramentotrae senso e forza: “Nella Croce, si èabbassato fino all’estrema povertàdell’umana condizione, e tu, Padre,hai rivelato un amore sconosciuto ainostri occhi, un amore disposto a do-narsi senza chiedere nulla in cambio.Con l’effusione dello Spirito del Ri-sorto hai concesso alla Chiesa di ac-cogliere nel tempo la tua grazia e disantificare i giorni di ogni uomo”.

L’invocazione epicletica è puremolto sviluppata: “Ora, Padre, guar-da N. e N., che si affidano a te: trasfi-gura quest’opera che hai iniziato inloro e rendila segno della tua carità.Scenda la tua benedizione su questisposi, perché, segnati col fuoco delloSpirito, diventino Vangelo vivo tragli uomini”. La preghiera diventa poiaugurio e raccomandazione: “Sianolieti nella speranza, forti nella tribo-lazione, perseveranti nella preghie-ra, solleciti per le necessità dei fra-telli, premurosi nell’ospitalità. Nonrendano a nessuno male per male,benedicano e non maledicano, viva-no a lungo e in pace con tutti” (cfrRom 12, 12-18).

Durante la benedizione nuziale,“gli sposi si avvicinano all’altare o, seopportuno, rimangono al loro postoe si mettono in ginocchio… Nei luo-

ghi dove già esiste la consuetudine,o altrove con il permesso dell’Ordi-nario (del Vescovo), si può fare aquesto punto l’imposizione del velosugli sposi (velazione), segno dellacomunione di vita che lo Spirito, av-volgendoli con la sua ombra, donaloro di vivere. Insieme, genitori e/otestimoni, terranno disteso il “velosponsale” (bianco, con eventuale esobrio ornamento) sul capo di en-trambi gli sposi per tutta la duratadella preghiera di benedizione” (ri-tuale n. 84).

La Crocifissione, affresco, S. Maria Antiqua, Roma sec. VIII

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L a liturgia del matrimonio nel-la celebrazione eucarist icaconsta di cinque momenti: le

interrogazioni previe, la manifesta-zione e l’accoglienza del consenso,la benedizione e consegna deglianelli, la benedizione nuziale (che,normalmente prevista dopo il Padrenostro e in sostituzione dell’emboli-smo, negli adattamenti per la Chiesaitaliana può essere anticipata a que-sto punto, cf. n. 79), la preghiera deifedeli conclusa dall’invocazione deisanti.

Esamineremo in rapida successio-ne questi momenti.

Interrogazioni prima del con-senso.

Dopo la monizione del sacerdote,che riconduce il sacramento nuzialealla fondamentale consacrazionebattesimale, gli sposi dichiarano «leloro intenzioni circa la libertà, la fe-deltà, l’accoglienza e l’educazionedei figli» (n. 69). Possono farlo informa interrogativa (tre domande),o in forma assertoria, pronunciandoall’unisono la loro dichiarazione.Quest’ultima possibilità, nuova ri-spetto all’editio typica latina, sta in-contrando un significativo consenso.Sarà bene che gli sposi si esercitinoper tempo nella lettura all’unisonodel testo, che dovrà essere fornito

loro in un opuscolo decoroso, leggi-bile, in cui gli interlinea servirannoanche a scandire le necessarie pauseperché la lettura sia compresa datutti e non assuma il tono della fila-strocca o di un comunicato atono eimpersonale. Chi prepara la celebra-zione non dimentichi che gli sposi,oltre a essere comprensibilmenteemozionati, non sono generalmenteabituati a parlare in un microfono eanche il semplice ritorno della vocediffusa può disorientarli.

Manifestazione e accoglienzadel consenso.

Gli sposi sono invitati a prendersiper mano (le mani naturalmentenon saranno guantate). Anche qui ilrito prevede tre possibilità: si consi-glia di lasciare la terza forma (inter-rogazione del ministro con la sem-plice risposta affermativa degli spo-si) per i casi estremi di emozione in-coercibile. Normalmente sarà oppor-tuno che gli sposi facciano sentire laloro voce dichiarando l’uno all’altro«Io N. accolgo te, N. come mia spo-sa. Con la grazia di Cristo promettodi…» (prima forma), o scambiando ilconsenso in forma dialogica («N.,vuoi unire la tua vita alla mia, nel Si-gnore che ci ha creati e redenti?...»).Nella pratica, la realizzazione diquesto momento risulta talvolta im-

La celebrazione del matrimoniosvolgimento rituale di Adelindo Giuliani

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barazzata: la mano destra tiene lamano dello sposo (della sposa), la si-nistra impugna il foglietto, lo sguar-do traligna (un tempo si sarebbeparlato di “occhio da prefazio”) persbirciare il testo senza perdere di vi-sta il sacerdote, per timore di sba-gliare. Tutto si fa tranne che guarda-re la persona alla quale si sta offren-do la propria vita con quelle parole!Basterebbe prendersi il tempo permandare a memoria il testo e prova-re a parlare guardando negli occhi ildestinatario di ciò che si dice: il fo-glietto resterà a disposizione (pertranquillizzare contro amnesie daemozione), ma gli sposi si volgereb-bero l’uno verso l’altro e lo stessogesto del tenersi per mano ne sareb-be valorizzato.

Benedizione e consegna deglianelli.

Anche se il rito non dà precisazioniin merito, la consuetudine che gli anellisiano portati solo a questo punto dellacelebrazione, da una persona legataagli sposi (un testimone, un bambinodella famiglia) è un uso grazioso che sipuò mantenere. Purché il testimonenon inizi a frugare nelle tasche perchési è distratto e non ricorda più dove hamesso gli anelli! Dopo averli benedetti,il sacerdote può aspergerli con l’acquabenedetta che un ministrante gli porge(se non ci fossero ministranti si potràcoinvolgere un altro familiare deglisposi). Per lo scambio degli anelli valequanto già detto per il consenso: sareb-be significativo che gli sposi si parlasse-ro guardandosi. Notiamo per inciso che

nell’adattamento della Chiesa italianala formula che accompagna lo scambiodegli anelli è divenuta obbligatoria(nell’editio typica: «lo sposo [la sposa]…può dire», nell’attuale versione italiana:«lo sposo [la sposa]… dice», n. 77).

A questo punto si prevede la pos-sibilità di un rito esplicativo, ove laconsuetudine o il permesso dell’Or-dinario lo consentano: l’incoronazio-ne degli sposi. In alcune zone, so-prattutto del meridione, influenzatedalla tradizione liturgica greca (nonsolo nelle eparchie di rito bizantino,che ovviamente seguono la loro tra-dizione liturgica, ma anche in paesiin cui poi si è diffuso il rito latino)questo segno fa già parte degli usilocali e può essere tranquillamenterecepito. Altrove, la necessità delconsenso del Vescovo intende evita-re che il segno si trasformi in un pre-testo scenografico capace solo di as-sicurare qualche scatto in più al fo-tografo. Chi cura la celebrazione vi-gilerà perché non si indulga a unafacile spettacolarizzazione, ma sicompiano solo gesti che siano veri eche dicano il vero agli sposi e allacomunità in preghiera. Nello specifi-co, l’incoronazione indica che losposo riceve la sposa come suo coro-namento, e viceversa. È un segno dicomplementarietà e di una vocazio-ne che si realizza nella reciprocità.Le corone possono essere metallicheo floreali, in ogni caso sobrie.

Benedizione nuziale.

Se si decide di anticipare la bene-dizione nuziale (cosa che è nella lo-

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gica della sequenza rituale), a que-sto punto gli sposi si inginocchiano eil ministro ordinato pronuncia su diloro la benedizione con una dellequattro formule previste. Un altrogesto, che accompagna la benedi-zione, è lasciato alla valutazionedell’Ordinario: la velazione deglisposi, «segno della comunione di vi-ta che lo Spirito, avvolgendoli con lasua ombra, dona loro di vivere» (n.84). Qualora questo venga consenti-to, i genitori e/o i testimoni stendo-no un velo sul capo degli sposi ingi-nocchiati, per tutta la durata dellabenedizione. Il rito richiede che ilvelo sia «bianco, con eventuale ap-propriato e sobrio ornamento». Peressere chiari: è del tutto fuori luogoriciclare un velo omerale con simbo-logia eucaristica.

Preghiera dei fedeli e invoca-zione dei santi.

La preghiera dei fedeli fa partedel rito; l’invocazione dei santi, chepuò essere integrata con i santi pa-troni degli sposi, del luogo, dellaparrocchia, delle famiglie di origine,è facoltativa. Per la preghiera uni-versale si suggerisce che diverse per-sone propongano le intenzioni. Ènecessario però che le intenzioni sia-no brevi e scritte, e soprattutto chesiano vere intenzioni di preghiera, enon una raccolta di ricordi, emozio-ni, testimonianze e auguri che pa-renti e amici rivolgono agli sposi. Leintenzioni danno voce alla comunitàin preghiera che presenta a Dio lasupplica per la Chiesa sparsa nel

mondo e per la comunità che viveconcretamente in un luogo, per glisposi e per tutte le famiglie, perquanti sono nella gioia e per quantisono visitati dalla sofferenza, per ivivi e per i morti. Di qui anche l’esi-genza che le varie intenzioni nonsiano monotematiche (per gli sposi,per i nostri amici che si sposano, perN. e N. oggi sposi, e via dicendo). Leinvocazioni litaniche per loro naturarichiedono il canto. Sul canto nellacelebrazione del matrimonio occor-rerà però tornare in modo più detta-gliato.

È ovvio anche che la ministerialitàliturgica vada esercitata da personeche abbiano una abituale frequenta-zione della liturgia. Chi presiede lacelebrazione e i suoi collaboratoriavranno cura di definire per tempo,insieme agli sposi, chi fa e che cosafa. Come sempre, vanno evitate tan-to la ricerca di persone volenteroseprese all’ultimo minuto e la coopta-zione di persone a caso (con rischiodi scelte inopportune o imbarazzan-ti), quanto la rigida predisposizionedi ogni particolare che sacrifica lapartecipazione all’ordinato svolgi-mento del rito (ovvero testi e formu-le predefinite, lettori e ministrantidi fiducia del parroco ma del tuttoestranei agli sposi e alle loro fami-glie).

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FORMAZIONE LITURGICA

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O ramai da tre anni, grazie allafiducia del Parroco, seguo conassiduità il gruppo dei giovani

che si preparano al Matrimonio cri-stiano.

Quest’anno, poi, mi ha affiancatoanche l’altro vicario parrocchiale, donVincenzo Moccia. Anch’egli si è fattouna bella esperienza di incontri pre-matrimoniali in una Parrocchia consi-derata “difficile” dal punto di vista so-ciale, S. Maria Madre del Redentore aTor Bella Monaca. Grazie dunque allanostra “esperienza” - non me ne vo-gliano chi ne possiede una maggiore -potrò fare alcune considerazioni chesvilupperò qui di seguito.

Penso che coloro che richiedono ilSacramento del Matrimonio in chiesamolto spesso non sanno cosa vera-mente chiedono. O meglio, sanno checosa vogliono: una bella coreografia,più da film americano che da matri-monio cattolico. E quindi si scandaliz-zano negli incontri quando scopronocon amarezza, che non esiste da nes-suna parte la frase: “se qualcuno haqualcosa da obiettare lo dica ora, otaccia per sempre”. Ma come?! Non sipotrebbe aggiungere da qualche par-te lo stesso? Fa molto “telenovela”italo-americana! E poi, come la met-tiamo sul fatto che deve essere fattoin Chiesa e non su un bel prato verdeall’inglese con corona floreale che fada sfondo?

Infatti la mia esperienza dice chedopo pochi incontri alcune coppie chenon avevano richiesto il sacramentoper motivi di fede lasciano gli incontrie poi scelgono di sposarsi in comune.

Ma quelli che rimangono, sonoquelli che ti seguono, con attenzionee con una puntualità quasi da far pau-ra. E da parte mia faccio altrettanto.Dopo aver presentato il tema della se-rata - seguendo sempre le indicazionidello strumento di lavoro rilasciatodal Vicariato e dall’ufficio Famiglia – eaver esposto le convinzioni o le inten-zioni della Chiesa su quell’argomentospecifico, lascio la parola a loro per undibattito. Ma proprio per quel rispet-to reciproco, e conoscendo la loro fa-tica (anche fisica, dopo una giornatadi lavoro) faccio di tutto perché l’in-contro non duri più di un’ora. Cercosempre, in questa concentrazionemassima, di ascoltare la singola opi-nione, ma di non scadere nell’opinio-nismo. Ovvero: al comune sentire,propongo con chiarezza, e moltospesso anche con durezza, ciò che dicela Chiesa. Mai però proponendo dog-mi duri da inghiottire, come amaroboccone che non si può addolcire innessun caso, ma come espressione diquella Madre che conosce i suoi figli eche per il loro bene, e per non incor-rere in mali peggiori, toglie quelloche, per il momento, al comune senti-re ha una parvenza di bene. E come

L’accompagnamento dei fidanzati al matrimonio:piccole esperienze… in Parrocchia di don Salvatore Cernuto

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non ricordare allora il grande assiomaclassico: Error communis ius facit (Di-gesto,33,10,3,5). Chi ha mai detto cheil comune sentire ha fondamento diverità? Molto spesso, invero, la leggeche è mutevole nel tempo perché fat-ta dagli uomini e per gli uomini, fini-sce per recepire ciò che la società con-sidera legittimo. Non ‘una’ verità chevada bene a me, ma ‘la’ verità per tut-ta la Chiesa cattolica, sparsa cioè nelmondo intero.

Difficile correggere una mentalitàoramai diffusa, e dire il contrario è co-me andare contro corrente. Per questiragazzi è molto difficile sia farlo, siaperseguire l’intenzione di farlo sem-pre e a qualunque costo nel tempo.

Certo, finito l’incontro di prepara-zione al matrimonio iniziano le coseserie. Ovvero… le pratiche matrimo-niali! Sembra che tutto giri intorno adesse e che sia difficilissimo sistemarle.Anche lì la nostra accoglienza, che sitrasforma pian piano in amicizia, tra-duce la burocrazia in solidarietà e sop-portazione – più nell’accezione latinadi portare sulle spalle insieme il pesoche col venirgli incontro anche sce-gliendo orari scomodi per noi: eccoche sono proprio loro quelli che vo-gliono continuare a seguirci con uncammino di fede e di incontri quindi-cinali fatti ad hoc. Ed è in questo cli-ma amicale che qualcuno, vedendo lanostra disponibilità, chiede di poterglicelebrare il matrimonio. E come rifiu-tarsi? Ecco che cominciano mesi discambi telefonici, ci si dà il cellulare etutti hanno il tuo numero di telefono,così sempre ti cercano per incontrarsi.A molti propongo di fare l’ormai con-

sueto libretto con i testi per la liturgiadel matrimonio. Lo faccio preparare aloro, anche materialmente. Scegliamole letture e anche il vangelo lo scelgo-no loro: sarò io a pensare l’omelia perloro, sulla base della Parola che è sta-ta proclamata: non è pensabile cheuna sola omelia vada bene per tutti imatrimoni. Come lettori vengonocoinvolti familiari, parenti o amici.Coinvolgo anche i genitori, sempre indisparte in quel banco a piangere dicommozione, che attendono solo diessere filmati dall’impietoso fotografodi turno. Il vero loro posto è accantoai figli che sono in ginocchio per labella Benedizione Nuziale. Li invito aporre le loro mani sulle spalle dei no-velli sposi perché sia anche loro la be-nedizione che viene impetrata dal Si-gnore.

Tutti quel giorno devono fare qual-cosa. Anche gli invitati si devono sen-tire protagonisti, non spettatori. Ven-gono scelti anche canti facili che tutticonoscono, anche quando l’organistanon è molto avvezzo a suonare Se-queri perché conosce a memoria soloMozart.

Ho preso una brutta abitudine findal primo giorno, quando sposai imiei cugini. Copiando dal mio Parrocodi origine, mi ero ripromesso che avreiregalato anch’io un’immagine dellaMadonna o della sacra Famiglia damettere in casa.

Anche questo diventa un piccololegame tra la coppia e il sacerdote cheli ha accompagnati. E non possiamodimenticare che in questo modo en-triamo a far parte di tutta la famigliadegli sposi.

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Spesso veniamo chiamati a sposarei fratelli, seguiamo la coppia dei geni-tori e siamo testimoni dell’amore reci-proco che li unisce e li matura neltempo.

Dopo il matrimonio, quasi tutti, inparticolare i parrocchiani, sono piutto-sto assidui alla messa la Domenica.

Sono pochi quelli ai quali vieneproposto di partecipare all’Eucaristiatutti i giorni, insieme, marito e mo-glie, per poi andare ognuno alla pro-pria occupazione lavorativa. Ma qual-cosa si muove. Coppie che si incontra-no: coppie adulte seguite dal parroco,don Mario, un gruppo di giovani cop-pie seguite da noi, con i piccoli che nelfrattempo sono nati dalla loro unione– e qui potremmo aprire il capitolo suibattesimi!

Con queste famiglie cristiane ab-biamo accompagnato nella preghierala sofferenza del nostro amato Vesco-vo, il Papa Giovanni Paolo II, facendo-ci presenza orante sotto la sua fine-stra; così pure una gioiosa celebrazio-ne eucaristica ha reso grazie a Dio perl’elezione dell’amatissimo santo padreBenedetto XVI.

Altri sposi partecipano attivamentealla vita della Chiesa, ai momenti dicarità organizzata in parrocchia, come“il giro” del giovedì, del gruppo “Boli-via” per il nostro Hogar Sagrado Cora-zon, casa-orfanotrofio con più di 120bambine, affidatoci come impegnonella carità dal nostro Cardinal Titola-re, insieme al loro seminario diocesa-no.

Ci sono anche fidanzamenti chenascono così, tra un piatto da prepa-rare per un ‘barbone’ della Stazione eun canto per una celebrazione della

domenica; tra un gioco da organizza-re per l’oratorio e una gita dove qual-cuno scopre che un’altra persona haqualcosa dentro da amare.

E così si ricomincia. Si riparte perun nuovo cammino con nuovi giovani,nuove coppie.

Li si guarda da lontano come padriche aspettano un segno di decisione.E quanta gioia quando ti dicono:“vorremmo sposarci!”

Celebrazione del matrimonio

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È dedicato alla “Santa Comunio-ne” il quarto capitolo dell’Istru-zione Redemptionis sacramen-

tum, e si articola in quattro paragrafiche comprendono ciascuno una seriedi indicazioni. Riguardo alle “Disposi-zioni per ricevere la santa Comunio-ne” il documento inizia sottolineandoche l’Eucaristia “non si può ritenereun sostituto del sacramento della Pe-nitenza”. L’atto penitenziale all’iniziodella Messa ha lo scopo di disporre ipartecipanti a celebrare degnamente isanti misteri, tuttavia “è privo dell’ef-ficacia del sacramento della Peniten-za”. Quanti partecipano alla celebra-zione eucaristica e sono consapevoli diessere in peccato grave, non possonocomunicarsi al Corpo del Signore“senza avere premesso la confessionesacramentale, a meno che non vi siauna ragione grave e manchi l’oppor-tunità di confessarsi; nel qual caso siricordi che è tenuto a porre un atto dicontrizione perfetta, che include ilproposito di confessarsi quanto pri-ma”. Viene poi sottolineato che la co-sa migliore è che “tutti coloro chepartecipano ad una celebrazione dellasanta Messa e sono forniti delle dovu-te condizioni, ricevano in essa la santaComunione. Talora, tuttavia, avvieneche i fedeli si accostino alla sacra men-sa in massa e senza il necessario di-scernimento. È compito dei pastoricorreggere con prudenza e fermezzatale abuso”.

Quando si celebra la santa Messaper una grande folla, il documento

sottolinea la necessità di vigilare “af-finché per mancanza di consapevo-lezza non accedano alla santa Comu-nione anche i non cattolici o perfinoi non cristiani”… “I ministri cattoliciamministrano lecitamente i sacra-menti ai soli fedeli cattolici, i qualiparimenti li ricevono lecitamente daisoli ministri cattolici”. I fedeli devo-no poi essere educati ad “ac-cedere al sacramento dellaPenitenza al di fuori dellacelebrazione della Messa,soprattutto negli orari stabi-liti, di modo che la sua am-ministrazione si svolga con tranquil-lità e a loro effettivo giovamento,senza che siano impediti da una atti-va partecipazione alla Messa”.

L’ultimo numero di questo primoparagrafo è dedicato alla celebrazio-ne della Prima Comunione dei bambi-ni: è necessario premettere sempre al-la Prima Comunione la confessione sa-cramentale e l’assoluzione; la PrimaComunione deve essere sempre ammi-nistrata da un Sacerdote e mai al difuori della celebrazione della Messa;“è poco appropriato amministrarla ilGiovedì Santo «in Cena Domini»; a ri-cevere l’Eucaristia non devono accede-re i bambini che non abbiano rag-giunto l’età della ragione o che il par-roco abbia giudicato non sufficiente-mente preparati.

Il secondo paragrafo è dedicato al-la distribuzione della santa Comunio-ne. I fedeli sono esortati a ricevere “laComunione sacramentale dell’Eucari-

Redemptionis sacramentum (4) di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

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stia nella stessa Messa e al momentoprescritto dal rito stesso della celebra-zione”. Spetta al Sacerdote celebran-te, eventualmente coadiuvato da altriSacerdoti o dai Diaconi, distribuire laComunione, e la Messa non deve pro-seguire se non sia ultimata la Comu-nione dei fedeli. Soltanto laddove lanecessità lo richieda, i ministri straor-dinari possono, a norma del diritto,aiutare il Sacerdote celebrante. E’ pre-feribile che i fedeli ricevano la comu-nione con ostie consacrate nella stessa

Messa.I fedeli possono comuni-

carsi in ginocchio o in piedi,come stabilito dalla Confe-renza Episcopale locale e con-fermato da parte della Sede

Apostolica. “Quando però si comuni-cano stando in piedi, si raccomandache, prima di ricevere il Sacramento,facciano la debita riverenza, da stabi-lire dalle stesse norme”. Non si posso-no poi negare i sacramenti a coloroche “li chiedano opportunamente, sia-no disposti nel debito modo e non ab-biano dal diritto la proibizione di rice-verli”.

Ogni fedele ha sempre il diritto diricevere, a sua scelta, la santa Comu-nione in bocca o sulla mano, dove loabbia permesso la Conferenza Episco-pale locale con la conferma da partedella Sede Apostolica. “Si badi, tutta-via, con particolare attenzione che ilcomunicando assuma subito l’ostia da-vanti al ministro, di modo che nessunosi allontani portando in mano le specieeucaristiche. Se c’è pericolo di profana-zione, non sia distribuita la santa Co-munione sulla mano dei fedeli”. In par-ticolare l’Istruzione invita a mantenere“l’uso del piattino per la Comunionedei fedeli, per evitare che la sacra ostiao qualche suo frammento cada”.

“Non è consentito ai fedeli di“prendere da sé e tanto meno passarsitra loro di mano in mano” la sacraostia o il sacro calice. Va inoltre rimos-so l’abuso che gli sposi durante laMessa nuziale si distribuiscano in mo-do reciproco la santa Comunione. Ilfedele laico “che ha già ricevuto laSantissima Eucaristia, può riceverlauna seconda volta nello stesso giorno,soltanto entro la celebrazione eucari-stica alla quale partecipa”.

Testi edocumenti

L’ultima cena, chiesa di S. Stefano, Carisolo TN

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Nel terzo paragrafo dell’Istruzionesi parla della Comunione dei Sacerdo-ti: ogni volta che celebra la santa Mes-sa, il Sacerdote deve comunicarsi al-l’altare al momento stabilito dal Mes-sale; i concelebranti, invece, devonofarlo prima di procedere alla distribu-zione della Comunione. La Comunio-ne dei Sacerdoti concelebranti si svol-ga secondo le norme prescritte nei li-bri liturgici, facendo sempre uso diostie consacrate durante la stessaMessa, e ricevendo tutti i concelebran-ti la Comunione sotto le due specie.La Comunione sotto le due specie èsempre permessa “ai Sacerdoti, chenon possono celebrare o concelebra-re”.

L’ultimo paragrafo infine riguar-da la Comunione sotto le due specie.“Al fine di manifestare ai fedeli conmaggior chiarezza la pienezza delsegno nel convivio eucaristico, sonoammessi alla Comunione sotto ledue specie nei casi citati nei libri li-turgici anche i fedeli laici, con il pre-supposto e l’incessante accompagna-mento di una debita catechesi circa iprincipi dogmatici fissati in materiadal Concilio Ecumenico Tridentino”.Ai Vescovi diocesani spetta valutarequando esista un rischio, anche mi-nimo, di profanazione delle sacrespecie. Vengono poi ricordati dall’I-struzione alcuni casi in cui è da evi-tare la comunione anche al calice:grande numero di comunicandi, dif-ficoltà nel regolare l’accesso al cali-ce, carenza di un congruo numero diministri sacri e di ministri straordina-ri della Comunione, mancanza diadeguata preparazione dell’assem-blea…

“Quanto all’amministrazione dellaComunione ai fedeli laici, i Vescovipossono escludere la modalità dellaComunione con la cannuccia o il cuc-chiaino, laddove non sia uso locale, ri-manendo comunque sempre vigentela possibilità di amministrare la Comu-nione per intinzione. Se però si usaquesta modalità, si ricorra ad ostie chenon siano né troppo sottili, né troppopiccole e il comunicando riceva dal Sa-cerdote il Sacramento soltanto in boc-ca. Non si permetta al comunicando diintingere da sé l’ostia nel cali-ce, né di ricevere in mano l’o-stia intinta. Quanto all’ostiada intingere, essa sia fatta dimateria valida e sia consacra-ta, escludendo del tutto l’usodi pane non consacrato o di altra ma-teria”.

Se non fosse sufficiente un solo ca-lice per distribuire la Comunione sottole due specie ai Sacerdoti concele-branti o ai fedeli, nulla vieta che il Sa-cerdote celebrante usi più calici. Tutti iSacerdoti che celebrano la santa Mes-sa sono comunque tenuti a comuni-carsi sotto le due specie. Questo capi-tolo si conclude ricordando le pene incui incorre chi compie “qualunqueazione volontariamente e gravementevolta a dispregio delle sacre specie”.(continua)

Testi edocumenti

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Quando una creatura umanapassa dalle tenebre alla luce,dalla lontananza da Dio all’e-

sperienza di lui, entra in un nuovopercorso, in cui non ha ancora com-

piuto alcun passo. La metaverso cui occorre rivolgeretutta la propria attenzione èil fine ultimo dell’economiadella salvezza, arrivare aduna unità, ad una amiciziacon Dio per diventare degni

di entrare nel suo Regno. Lapersona che cerca Dio sinceramente,sarà nella pace solo quando lo speri-menta, lo gusta e ne è riempito. Cosìdice il Salmo 105,4: “Cercate il Signoree la sua potenza, cercate sempre il suovolto”.

Quando viene presa la decisione diaprire se stessi a Dio, di agire secondola sua volontà, dobbiamo riconoscereche nessuna parte di noi stessi è capa-ce di metterlo in pratica. Lo spiritoodia il peccato, ma la carne e l’animasono ancora legate ad esso, unite adesso dalle passioni. La bontà e la vo-lontà di Dio appartengono allo spiri-to, ma il corpo e l’anima sono respinteda esso, e comunque non sono in gra-do di realizzarle. Occorre allora op-porsi ai desideri del corpo e dell’ani-ma, sforzandosi di fare l’opposto.L’auto-opposizione e lo sforzo perso-nale, che sono i due aspetti del nuovo

fine che nasce nell’anima, costituisco-no l’inizio della vita ascetica.

Da questo momento il peccatorepentito comincia un suo proprio lavo-ro, così essenziale per la vita in Cristo.Tutti i santi hanno accolto come solovero percorso per raggiungere le virtùquello di impegnarsi in un lavoro duroe sofferto. Al contrario, la leggerezzae la facilità di vita denotano un per-corso sbagliato. Così dice il Signore inMt 11,12: “Il regno dei cieli soffre vio-lenza ed i violenti se ne impadronisco-no”, e ancora: “Non avete ancora resi-stito fino al sangue nella vostra lottacontro il peccato e avete già dimenti-cato l’esortazione a voi rivolta come afigli: Figlio mio, non disprezzare lacorrezione del Signore e non ti perde-re d’animo quando sei ripreso da lui;perché il Signore corregge colui cheegli ama, e sferza colui che riconoscecome figlio. E’ per la vostra correzioneche voi soffrite! Dio vi tratta come fi-gli, e qual è il figlio che non è correttodal Padre? Se siete senza correzione,mentre tutti ne hanno avuto la loroparte, siete bastardi, e non figli!” (Eb12,4-8).

Sentiamo dalla voce dei Padri comevivere il combattimento spirituale perpoter aderire pienamente a Cristo.

Per cinque ragioni Dio permetteche veniamo tentati: perché gli attac-

InDialogo

La meta finale di ogni creaturaumana è l’unione vitale con Dio

di don Giovanni Biallo

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FORMAZIONE LITURGICA

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chi ed i contrattacchi ci allenino neldiscernimento del bene e del male;perché la nostra virtù, grazie allo sfor-zo e alla lotta, diventi più stabile; per-ché evitiamo la presunzione ed impa-riamo l’umiltà, anche se progrediamonella virtù; perché l’esperienza delmale, fatta in questi casi, c’ispiri unodio illuminato per esso; soprattuttoperché, giunti alla libertà interiore, ciconvinciamo della debolezza nostra edella potenza di Colui che ci ha soc-corsi.

Massimo il Confessore

Dentro di noi agisce il male, sugge-rendoci inclinazioni perverse. Essoperò non è in noi, tanto per fare unesempio, così come l’acqua si mescolacol vino. E’ in noi senza mescolarsi colbene.

Noi siamo un campo in cui granoe zizzania crescono separatamente.Siamo una casa in cui c’è il ladro ma c’è anche il padrone. Siamo unasorgente che sgorga in mezzo alfango ma dalla quale sgorga acquapura.

Tuttavia basta agitare il fango ela sorgente si intorpidisce. Così suc-cede all’anima: se il male si sparge,forma tutt’uno con essa e la rendesordida. Col nostro consenso, il malee l’anima si uniscono, diventanocomplici.

Giunge però il momento in cui l’a-nima si libera per restare di nuovo so-la. Si pente, piange, prega, si ricordadi Dio. Ciò non potrebbe farlo se fossesempre immersa nel male.

E’ come un matrimonio. Una don-na si unisce ad un uomo e diventano

una cosa sola. Ma un coniuge muore,l’altro resta in vita.

C’è invece l’unione con lo SpiritoSanto. Allora diventiamo con lui unsolo spirito. Veniamo interamente as-sorbiti dalla grazia.

Pseudo-Macario

La paura è un sentimento pueriledell’anima adulta ma vuota. E’ scarsitàdi fede che si palesa nei momenti incui pensiamo alla possibilità di impre-visti. E’ mancata la fiducia in Dio.

Della paura è schiava l’ani-ma che è superba: proprioperché si fida unicamente dise stessa, trema per ogni ru-more e per ogni ombra.

Ebbene, nei luoghi in cuidi solito hai paura, non esita-re di recartici a notte fonda:se cedi appena un poco, questo minu-scolo, ridicolo sentimento potrebberadicarsi dentro di te.

Quando ci vai, armati di preghiera.Quando ci arrivi, allunga le mani e ag-gredisci quelle ombre nel nome di Ge-sù: non c’è arma più potente, sia incielo che sulla terra.

Guarita la malattia, ringrazia il Me-dico: se lo ringrazi, ti proteggerà ineterno.

Può accadere che ti tremi il corposenza che il timore ti entri nell’anima:ciò vuol dire che la guarigione è immi-nente.

Chi diventa servo di Dio, teme ilsuo Signore e nessun altro.

Chi non teme il suo Signore, spessoavrà paura persino della propria om-bra.

Giovanni Climaco

InDialogo

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La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

to. Così è la fede che apre alla speranza ed èla speranza che nutre ed approfondisce la fe-de.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (9,9-12)

Fin dalle prime battute di questo vangeloincontriamo una storia interessante. Il vange-lo di Marco, che racconta lo stesso episodio,inizia parlando di un personaggio storicoconcreto, di nome Levi, un nome comunissi-mo tra gli ebrei, che poi verrà chiamato Mat-teo dal nostro vangelo ed identificato da unaantichissima tradizione con l’autore del van-gelo stesso. Forse fu proprio Gesù a cambia-re il nome di Levi in Matteo, che significa“dono di Dio”. Infatti questo peccatore con-vertito e diventato apostolo ed evangelistasarà veramente un prezioso dono del Padreper la missione di Gesù e della Chiesa.Quando il vangelo di Luca narra il medesimoepisodio l’attenzione è centrata sul mestieredel personaggio, che lo connota subito comepeccatore e rifiutato :”era un pubblicano”.Lo sguardo di Gesù viene come attratto dallasua emarginazione e dal suo peccato: Gesùpredilige invariabilmente gli ultimi! Il nostrovangelo invece si apre con una notazione cheesclude ogni giudizio: “Gesù vide un uomo,chiamato Matteo, seduto al banco delle im-poste”. In questo sguardo di Gesù che vede,ma non giudica, sta tutto il segreto di questobrano evangelico. E’ uno sguardo nuovo, dalquale Levi-Matteo non era mai stato scruta-to. Lui come tutti i peccatori era abituato asguardi di rimprovero, occhiate di sdegnosadisapprovazione, fuggevoli battute di ciglia,quasi a purificare gli occhi dall’aver vistoqualcosa di vergognoso. Gesù invece, per la

X DOMENICA DEL TEMPOORDINARIO A

5 giugno 2005

Non sono venuto a chiamare i giusti, ma ipeccatori

PRIMA LETTURADal libro del profeta Osèa (6,3-6).

Al proposito del popolo di superare i suoierrori sociali e religiosi con un sincero ritor-no al Signore, una conversione del cuore, faeco questo oracolo profetico che a nome diDio, parla delle condizioni richieste per unsincero ritorno: riconoscere che quanto Dioha minacciato per mezzo dei profeti e ha poirealizzato, è stato un castigo educativo (v. 5),dovuto a una mancanza di un amore perseve-rante (v. 4). Ricordare poi che Dio ripudia ilpuro formalismo religioso non accompagna-to dall’amore, cioè da un atteggiamento fe-dele ed ossequioso verso Dio e il prossimo edella conoscenza di Dio, cioè da una adesio-ne integrale al volere divino comunicato nel-le parole dell’alleanza.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(4,18-25)

Paolo presenta in Abramo un campione diquella fede piena che sola è in grado di giu-stificare. Abramo infatti credette contro ognisperanza che Dio sarebbe stato per lui dona-tore di vita procurandogli una discendenza.Questa fede è inconcepibile senza la speran-za e senza una fiducia ed un amore totaleverso Dio. Speranza ed amore che sgorganodalla esperienza della resurrezione cioè dal-l’incontro nella fede iniziale con Gesù Risor-

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 3-2005 37

prima volta lo guarda come un uomo, comeuna persona che ha valore, non tanto perquello che è e fa, ma per quello che può faree che soprattutto può diventare. Per questo losguardo del Signore si volge subito sul futu-ro e lo invita a ad andare decisamente avan-ti: “seguimi!”. Ed egli si alzò e lo seguì. Tralo stupore dei benpensanti, gli sguardi di di-sapprovazione e di dubbio, l’atto di fiduciadi Gesù coglie nel segno, la sua speranza nelfuturo comincia a concretizzarsi: il pubbli-cano si converte. Ma salvare un solo pecca-tore sarebbe veramente poco, dal momentoche tutti questi sguardi cattivi hanno rivelatoa Gesù una così ricca folla di ipocriti, di su-perbi e di critici, tutti peccatori bisognosi diconversione! “Perché il vostro maestro man-gia insieme ai pubblicani ed ai peccatori?”.Un bel condensato di malizia in questa sem-plice frase! I farisei non attaccano diretta-mente Gesù, ma cercano di trarre il massimoprofitto dal suo gesto coraggioso ed a loroparere sconsiderato. Può essere l’occasionebuona per mettere zizzania tra Gesù ed isuoi: “Che razza di maestro state seguendo,incapace di scegliersi una compagnia decen-te?”. Gesù reagisce e dimostra di essere nonsoltanto un grande maestro di umanità, maanche un vero Rabbi, profondo conoscitoredella parola di Dio. Ai sapienti del tempo ci-ta una brano nascosto nelle pieghe dellagrande profezia di Osea, un versetto che sa-rebbe restato ignoto ai più, se Gesù non viavesse riconosciuto una luminosa rivelazionedel cuore di Dio: “misericordia io voglio enon sacrificio!”. Un Dio assetato di miseri-cordia è quello che il maestro di Nazareth stainsegnando al mondo, l’unico vero Dio ditutta la Bibbia. Solo sforzandosi di condivi-dere i gusti ed i giudizi di Dio è possibile tro-

vare verità e salvezza. Questa è la sapienzache i giudei cercano da tempo e che devonoimparare a seguire.

XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

12 giugno 2005

Chiamati a sé i dodici discepoli, li mandò

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (19,2-6)

Il popolo di Israele che fino a qui non co-nosceva cosa lo aspettasse dopo l’uscita dal-l’Egitto si trova davanti al monte Sinai, men-tre Mosè è convocato come mediatore e por-ta parola della volontà divina. La parola diDio non indica ancora chiaramente una mis-sione, ma soltanto la scelta di questo popoloapparentemente debole e fragile, come pro-prietà personale del Signore, popolo a Luiconsacrato. Attraverso questa scelta però ilpopolo comincia già a partecipare della san-tità divina. Questa “elezione” che rendeIsraele “il popolo eletto” afferma la libertàdivina che sceglie chi vuole e per puro amoree per sua grazia lo rende poi capace di attua-re il compito che gli affida.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(5,6-11)

Chi erano i cristiani di Roma al tempo diPaolo prima di venir giustificati dalla fede inCristo? Infermi ed empi (v6), peccatori (v8),addirittura nemici di Dio (v 10). Dio non si èarreso di fronte a questo dato di fatto, mamediante la morte di Cristo li ha riconciliati

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con sé, li ha resi giusti, ha donato loro la pa-ce, la possibilità di accedere a Lui, una in-crollabile speranza ed addirittura la pienezzadel suo amore mediante il dono dello SpiritoSanto. Ciò è offerto anche a noi che nono-stante il battesimo ricevuto in tenera età ab-biamo vissuto da pagani, finché non siamodiventati coscienti della fede e del suo valo-re.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (9,36-10,8)

Nella lettura del vangelo di oggi è cen-trale il tema della compassione di Gesù econseguentemente significativo riferirsi albrano in cui Mosè prega per Giosuè suosuccessore (Nm 27,16-17) quando chiede aDio un uomo da porre a capo del suo popo-lo dopo di lui, perché questo non sia “comeun gregge senza pastore”. A questa preghie-ra di Mosè si avvicina quella di Gesù e so-prattutto quella dei discepoli invitati dallostesso Gesù a pregare il Padre. Non bastainfatti che la messe sia abbondante: occorreche il Padrone mandi operai sufficienti araccoglierla nei granai. Nulla va da sé, oc-corre sempre chiedere e pregare. Il mandatomissionario nasce dunque anche dalla pre-ghiera e non solo dalla compassione. Forsein queste righe c’è un velato rimproveroevangelico per la chiesa primitiva: se Israe-le non si è convertito in gran numero allaprima predicazione cristiana è anche dovutoal fatto che non ci sono stati sufficienti an-nunciatori disposti a proclamare il vangeloe che la Chiesa non ha pregato abbastanza.Un rimprovero che ha sempre il suo chiarovalore. I nomi dei dodici sono caratterizzatida Matteo con piccole notazioni. Pietro è il

primo, con una espressione greca che indicapiuttosto un primato nell’autorità che nellachiamata, la tradizione infatti riserva questaad Andrea. Simone è la forma greca dell’e-braico shim’on che significa “colui che dàascolto”. Il primo apostolo, significativa-mente, è un proclamatore del Vangelo per-ché prima di tutto ne è stato un attentoascoltatore. Così tra gli altri discepoli ab-biamo Thomas che significa “il gemello” edue nomi schiettamente greci come Andreae Filippo. Matteo è definito il Pubblicano,l’ex esattore delle tasse che Gesù convertì eche forse si identifica sia con l’evangelistache con il personaggio che gli altri vangelichiamano Levi. Forse fu proprio Gesù acambiare il nome di Levi in Matteo, che si-gnifica “dono di Dio”. Infatti questo pecca-tore convertito e diventato apostolo edevangelista sarà veramente un prezioso do-no del Padre per la missione di Gesù e dellaChiesa. Più interessante è il soprannome diSimone in quanto “il Cananeo” non è da in-tendere come “abitante di Canaan”, mapiuttosto dall’aramaico “qananja’” che si-gnifica “geloso”, “zelota” e quindi lo carat-terizza come appartenente al gruppo dei ri-voluzionari che portavano avanti una lottaarmata contro i romani. Infine il titolo“iscariota” che definisce Giuda come un“uomo di kariot” (un villaggio del Negheb)potrebbe prestarsi ad un gioco di parole, in-fatti ish qarja’ vuol dire “il falso”, “il tradi-tore”. Questa serie di notazioni non sonopura accademia, ricordano come Gesù abbiascelto uomini concreti, caratterizzati ciascu-no in maniera propria, e per nulla immunida debolezze ed aspetti negativi.

Un altro interessante particolare caratte-rizza il discorso missionario di Gesù. Si apre

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infatti con la frase “non andate tra i pagani”o meglio “non prendete la via dei pagani”,rafforzata da una ulteriore limitazione dicampo verso i Samaritani. Gesù concentra laloro missione verso quelle pecore perduteche stanno loro davanti. Questa limitazione,che storicamente la chiesa seguì nella suaespansione, agli inizi molto graduale, sottoli-nea ancora una volta il legame tra Gesù, lasua compassione, la preghiera della chiesa ela missione. Gesù prova compassione perquelle pecore concrete, per loro chiede pre-ghiere. A loro invia i suoi. Non siamo difronte ad un venditore che cerca clienti o adun politico che cerca prima i voti e poi gliuomini che possono votarlo. Qui siamo difronte ad un amore che vuole estendersi eche guarda in faccia tutti coloro a cui si diri-ge. Se è una scelta personale e profondaquella dei singoli discepoli lo è altrettanto lamissione che la chiesa deve attuare, non ver-so una folla anonima e muta, ma verso dellepersone concrete che hanno conquistato ilcuore di Dio e per le quali la Chiesa ha con-cretamente e singolarmente pregato.

XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

19 giugno 2005

Non abbiate paura di quelli che uccidono ilcorpo

PRIMA LETTURADal libro del profeta Geremìa (20,10-13)

Con particolare potenza narrativa questobrano di Geremia mette a contrasto le voci diminaccia e di terrore che circolano intorno aLui ed il salmo di lode e fiducia in Dio chesgorga dal suo cuore. La forza della fede del

profeta traspare tutta in questo stridente con-trasto. Le minacce reiterate dei nemici avreb-bero spinto chiunque a gridare a Dio chie-dendo con forza aiuto e soccorso. E’ di fattociò che fa anche Geremia, ma senza strepito,senza grida, egli sa che il Signore è al suofianco come un prode, la sua preghiera è perquesto serena e potente.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(5,12-15)

Cristo è l’uomo nuovo, l’iniziatore di unanuova umanità, Paolo fa risaltare questa ve-rità opponendo l’opera di Cristo all’opera diAdamo come viene presentata dalla Genesi.L’opera di Adamo si è conclusa con il fareentrare nel mondo la morte. Nel contesto del-la lettera ai Romani la morte sempre con-trapposta alla vita nello Spirito, alla vita diGrazia. Anche in questo caso è quindi soprat-tutto da intendere come morte spirituale, co-me perdita definitiva della possibilità di sal-vezza. La morte fisica non è più che un se-gno della ben più tremenda morte spirituale,perdita della vita di grazia. In questa visioneil brano paolino è chiaro: tutti coloro che nonsono entrati in relazione con Cristo mediantela fede, continuano nella loro solidarietà conAdamo e la sua discendenza e sono, perciò,in uno stato di morte spirituale.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (10,26-33)

Matteo concepisce la missione dei dodicinella Chiesa come una continuazione, unprolungamento di quella di Gesù. Come ilSignore anche i discepoli sono inviati innan-

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La parola di Dio celebrata

zi tutto a proclamare la venuta del Regno.Allo stesso modo del Maestro il loro annun-cio invita gli ascoltatori a non restare indif-ferenti, ma a prendere posizione: pro o con-tro, amici o nemici del Regno che viene. Co-me Lui dovranno soffrire persecuzioni e ri-fiuti, ma non è certo il caso di scoraggiarsi odi temere, il Padre non li abbandonerà equanti li accoglieranno sperimenteranno lagioia della salvezza, come accadeva a quantiaccoglievano il Signore. Il Vangelo presentaquattro fondamentali impegni che Gesù pas-sa ai suoi successori nella missione evange-lizzatrice. Primo, non aver timore e parlareapertamente. Essi infatti debbono svelare ediffondere le Sue parole senza timore, nonha più senso tenere nascosto un messaggiodestinato a salvare il mondo. E’ sicuramentepreferibile il rischio di un fraintendimento,di usare mezzi e linguaggi non totalmenteappropriati a quello di tenere nascosto ilVangelo al mondo. Secondo, non temere ipersecutori, ma piuttosto temere Dio, che si-curamente ci chiederà conto del compimen-to delle nostra missione di evangelizzatori.Terzo, non lasciarsi bloccare da questa re-sponsabilità, ma affidarci totalmente all’aiu-to del Padre, per il quale siamo cari e prezio-si. Infine confidare fiduciosamente nell’a-more del Cristo che è, presso il Padre, avvo-cato di tutte le nostre debolezze e paure. Indefinitiva ciò che lega fortemente questiquattro incarichi è l’invito a non temere. Co-me in tutto il resto del cap 10 di Matteo èmesso in chiaro che l’essenza della Chiesa èdi essere missionaria. Deve proclamare laParola di Gesù e testimoniarLo davanti almondo. Questo soltanto è il motivo della suaesistenza. Per i discepoli è stato necessarioattendere la Sua croce e la Sua resurrezione

per non sbagliarsi nel comprendere la veraluce di Cristo. Solo con l’aiuto del Risortociò che era nascosto è diventato chiaro ecomprensibile anche per loro. Tutto questonon è cambiato. Anche oggi la chiesa puòtrovare la luce per parlare al mondo con ve-rità e pienezza del Regno soltanto in comu-nione di vita con il Risorto, con Gesù vivoed operante attraverso lo Spirito. Non puòcerto esserci annuncio senza comunione,evangelizzazione senza preghiera, testimo-nianza senza una profonda esperienza di vitaspirituale. Per portare la luce del Vangelo inun mondo che può a volte apparire molto te-nebroso, non si tratta primariamente di ela-borare nuove strategie e tecniche di comuni-cazione, ma piuttosto di rafforzare il propriolegame al Crocifisso-risorto.

Allora come ora l’annuncio della Chiesadeve passare attraverso la croce e la resurre-zione, deve cioè vivere la testimonianza del-l’annuncio difficile, portato avanti oltre ognifatica e rifiuto ed al tempo stesso deve con-servare la certezza pasquale che il Signore èvivo e presente e che non ci lascia soli.

Siccome il servo non è certo da più delsuo padrone, anche la Chiesa incontreràscacchi e delusioni, avrà spesso la tentazionedi abbandonare il campo, ma nessun perse-cutore potrà spegnere, in un cuore credente,la luce di speranza che scaturisce dalla pa-squa! Neppure la morte potrà separarci dalnostro Signore e Dio. Ma soprattutto sicco-me Dio è nostro Padre, possiamo essere certidel suo amore e della sua premura nei nostriconfronti. Per Lui noi siamo veramente pre-ziosi e sulla forza di questo amore di Dio sifonda la speranza dei cristiani, che nella fedediventa certezza della vittoria finale sul malee sulla morte.

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NATIVITÀ DI S. GIOVANNI BATTISTA

24 Giugno 2005

Giovanni è il suo nome

Alla vigilia

PRIMA LETTURADal libro del Profeta Geremia (1,4-10)

Come altre narrazioni bibliche di vocazionequella di Geremia ci fa comprendere la perso-nalità del profeta. Al centro della sua vita stal’esperienza della Parola di Dio, al tempo stes-so potente ed impotente di fronte alla libertàumana. Il motore della sua azione è la chiamatadi Dio seguita dall’invito a fidarsi della sua pe-renne assistenza e vicinanza. L’ostacolo princi-pale da vincere è la timida risposta del chiama-to. La debolezza umana però non è un ostacoloper il Signore: ogni strumento debole nella suamano diventa efficace se sa affidarsi a Lui.

SECONDA LETTURADalla Prima lettera di san Pietro Apostolo(1,8-12)

La pagina di Pietro si adatta bene a Gio-vanni Battista. Egli è infatti il profeta che davicino ha profetato sulla grazia a noi destina-ta. Quello di Giovanni è stato un vero e pro-prio ministero, cioè un servizio reso a Dioper la salvezza degli uomini. Anche Giovan-ni è stato infatti annunciatore della buona no-tizia da parte di Dio, del vangelo, che è lanostra primaria speranza di salvezza.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,5-17)

Il racconto della nascita straordinaria diGiovanni Battista trova molti paralleli nel-

l’AT sia nelle storie di Sansone che in quelledi Samuele, e prepara così l’annuncio diun’altra nascita, non solo straordinaria, maaddirittura divina, quella di Gesù. Per la suaincertezza nella fede Zaccaria resterà muto.Maria invece davanti al grande ed inaspettatoannuncio angelico trova la forza di offrirsi aDio come umile, ma libero strumento a ser-vizio del suo piano di salvezza. Da questa di-sposizione del suo cuore sgorgherà il Ma-gnificat, un solenne e bellissimo canto di lo-de. Maria non è certo muta, anzi appare co-me la prima grande evangelizzatrice.

Messa del giorno

PRIMA LETTURADal libro del Profeta Isaia (49,1-6)

Nella messa del giorno, come in quelladella vigilia, la vocazione di Giovanni Batti-sta è messa in parallelo con quella dei grandiprofeti: Geremia ed Isaia. Il testo di Isaiacolloca Giovanni nella linea del “Servo delSignore”, una figura offerta ad Israele da unprofeta del tempo dell’Esilio per fargli com-prendere in che maniera Dio ha deciso di so-stenerlo nel momento della prova. Ciò checaratterizza il “servo” è l’amore dal quale ècircondato fin dal seno materno. Ma qui, lamissione del servo, precursore del Messia“fino agli estremi confini della terra”, prefi-gura la missione universale del Cristo e dellasua chiesa. Dobbiamo perciò interpretare lamissione del Battista alla luce di ciò che loprecede e che lo accosta al Cristo, la realtà dicui “il Servo del Signore” era solo immagi-ne. Per questo dobbiamo costantemente leg-gere l’AT come luce che illumina il compi-

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La parola di Dio celebrata

mento della salvezza che seguirà in Cristo enella Chiesa.

SECONDA LETTURADal libro degli Atti degli Apostoli (13,22-26)

Nel ricordo di Giovanni Battista il nostrotesto richiama l’apertura del ministero diGiovanni nel vangelo di Luca. Il compito chelui ha nella storia è di cercare con sincerità elealtà che la gente non si sbagli sul suo contoe non ricerchi in lui una salvezza che è possi-bile solo in Gesù. Aver chiara la coscienzadella propria missione nella vita è segno digrande saggezza.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,57-66.80)

Giovanni Battista è un profeta senzaeguali. Dei profeti dell’AT conserva la parolafranca e priva di timori, l’opzione radicaleper la giustizia ed il desiderio di una religio-ne vera ed onesta. Il suo stile di vita austera,il suo amore per il deserto, ne fanno una fi-gura piuttosto severa. Il vangelo di oggi an-nuncia già dall’inizio della sua vita una chia-ra diversità tra quanti si rapportano con que-sto testimone. Alcuni avranno motivo di te-merlo, perché denuncerà i loro intrighi, le lo-ro ingiustizie e le loro ipocrisie. La comparsadi un nuovo profeta non è certo un eventorassicurante. Altri, al contrario, si meravi-gliano. Perché Giovanni è al tempo stesso al-la frontiera del NT. Ultimo testimone di unalunga linea che prepara la venuta del Messiae sostiene la speranza del popolo, è anche ilprimo profeta a salutare Gesù ed a riconosce-re in lui il messaggero di una inattesa buonanovella. Egli inaugura i tempi nuovi. C’è

certo da meravigliarsi, e Giovanni Battistasarà il primo a meravigliarsi vedendo la ma-niera in cui Gesù stesso opera.

Il fatto è che Giovanni non conosce pie-namente né Gesù né il Regno. Anche lui haincontrato delle sorprese, forse i suoi mo-menti di dubbio. Ma ha scelto di lasciarecampo libero a Colui che era venuto ad an-nunciare: Gesù di Nazareth, il Messia. Allafrontiera tra i due testamenti, si affida a Co-lui che riconosce come “più grande”, e gra-zie al Battista le folle ed un certo numero deiprimi discepoli di Gesù hanno potuto scopri-re il Messia ed accogliere il suo messaggio disperanza e di salvezza per i poveri.

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

26 giugno 2005

Chi non prende la sua croce e non mi segue,non è degno di me. Chi accoglie voi, acco-glie me.

PRIMA LETTURADal secondo libro dei Re (4,8-11.14-16)

Vale la pena di notare che questa donna diSunem che accoglie il profeta è ricca, quindinon doveva esserle difficile dare ospitalità adun viandante. Ma nessuno, per quanto ricco,è libero da drammi e sofferenze: la donna diSunem è infatti sterile. La riconoscenza delprofeta diventa perciò un dono inestimabile,che ricorda l’annuncio divino fatto ad Abra-mo e Sara della nascita di Isacco. Per com-prendere ancora meglio il valore di questodono giova ricordare, come narra 2Re 4,18-37 che questo figlio nascerà, morirà improv-visamente e sarà riportato in vita dallo stessoEliseo. La scoperta che questa donna fa ci in-

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segna che ogni persona è un mistero e cheogni atto di bene può trovare anche su questaterra una insperata ricompensa. La prima efondamentale ricompensa di ogni atto di ac-coglienza è comunque l’altro, che ci divieneamico e ci arricchisce con la sua sola presen-za.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(6,3-4.8-11)

Paolo fondandosi sul rito del battesimoper immersione, ben noto ai suoi interlocuto-ri, spiega loro il significato del segno sacra-mentale: lo scendere nell’acqua è scendereinsieme con Cristo nella tomba. Il risaliredall’acqua è nascere con Lui alla vita dellaresurrezione. Ora, se tale è la realtà del batte-simo, le conseguenze pratiche sono inevita-bili. Fondato su questa fede il cristiano deveconsiderasi come Cristo morto al peccatouna volta per sempre, per vivere per Dio inCristo, cioè vivere in pienezza come Figliodi Dio.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (10,37-42)

Questo Vangelo presenta la chiusura deldiscorso missionario del capitolo 10 di Mat-teo. La prima consegna che Gesù passa aisuoi è dura da comprendere. Significa forseche i discepoli debbono sminuire il valoredei legami familiari o addirittura rinunciarvi?La vita pratica attuata dalle prime comunitàcristiane ci testimonia che la Chiesa non hacompreso così la raccomandazione di Gesù.Anzi, proprio in una comunità in cui i legamifamiliari venivano sentiti come un grandissi-

mo valore, la cosa più preziosa, diventa chia-ra la similitudine usata da Gesù. Gli affettifamiliari sono infatti usati come il simbolo diquanto l’uomo possiede di più prezioso. Maper un vero discepolo non ci può essere unacosa più preziosa che seguire il suo Maestro.

Gesù, come i rabbini del tempo, insegna-va con formule ed espressioni semplici edemotivamente forti, facili da ricordare e dacomunicare, nelle quali era necessario un usofrequente dell’esagerazione e dell’iperbole.Matteo ha messo queste frasi entro il “di-scorso missionario” di Gesù, quasi a sottoli-neare che una chiesa missionaria deve ricor-dare il radicalismo di Gesù. Nel suo annun-cio al mondo la chiesa non deve avere timoredi fare una proposta forte ed esigente, allostesso modo del Maestro. Nel nostro mondocontemporaneo la ricerca dell’attenzione apoco prezzo, dell’audience a tutti i costi,porta a solleticare la pigrizia delle persone.Tanti promettono il tutto e subito e senza fa-tica. Ma un annuncio di questo tipo non puòessere evangelico. E’ infatti un annuncio chemanca di fiducia e di stima nei confronti diquanti lo ricevono, è un annuncio che trattagli ascoltatori da deboli e da bambini e chesoprattutto non crede nella possibilità divinadi rendere forti i deboli e grandi i piccoli edumili.

La chiesa non abbia dunque alcun timore difare una proposta esigente di annunciare che:chi vuol diventare discepolo di Gesù deve sa-pere che il Signore diventerà la cosa più pre-ziosa della sua vita. Non dovrà dunque spa-ventarsi se incontrerà prove e difficoltà sul suocammino. Il suo Signore le ha incontrate primadi lui. Dovrà essere pronto, se le circostanze loesigono, a perdere la propria vita. La fede nellaresurrezione è infatti la sua basilare fonte di

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speranza. Il discepolo, che si fa missionario,diventa un altro Gesù, con lui è Gesù stessoche giunge nella vita degli uomini con la suaforza e le sue esigenze.

Una domanda resta sospesa: cosa chiede ilSignore ad ogni discepolo perché gli uominilo possano riconoscere ed accogliere come unprofeta e un uomo giusto? Non esistono rispo-ste già confezionate ed immutabili per descri-vere queste fondamentali caratteristiche del-l’evangelizzatore. Forse si può sintetizzareche l’opera del missionario del Vangelo è unacontinua novità, una costante risposta genero-sa alle esigenze del Padre: capace di scrutareil futuro con sguardo profetico e di vivere ilpresente con una particolare rettitudine dicuore. Matteo chiude il discorso missionariocon una allusione ai piccoli, cioè nel suo lin-guaggio, ai più umili e semplici tra i discepoli.La missione non deve farci dimenticare chenella comunità, in ogni comunità, ci sono deipiccoli, degli umili, degli ultimi; soprattuttoper loro il Vangelo è stato annunziato! Essisaranno i primi ad accoglierlo.

SOLENNITÀ DEI SANTI PIETRO E PAOLO

29 Giugno 2005

Tu sei Pietro: a te darò le chiavi del Regnodei Cieli

Alla vigilia

PRIMA LETTURADal libro degli Atti degli Apostoli (3,1-10)

Dietro l’incontro tra lo storpio e Pietro sanLuca lascia trasparire un tacito discorso. Lostorpio è povero, malato, solo, nel suo cuore enei suoi gesti l’invocazione di aiuto chiede

con concretezza un aiuto materiale ed imme-diato. Pietro non vorrebbe deludere le attese diquell’infelice, ma non può dargli nulla diquanto apparentemente gli viene richiesto. Al-lora gli offre molto di più, la salute fisica, co-me segno e caparra della ben più importantesalute spirituale. Pietro può ben essere così ge-neroso, sa infatti di agire in nome di un Altro,sa di offrire qualcosa che neppure a lui appar-tiene, ma che gli è stato gratuitamente donato.E’ la potenza salvifica del nome di Gesù, cro-cifisso e risorto, che opera tali meraviglie.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati(1,11-20)

Non vi può essere un altro vangelo, dicePaolo ai Galati, perché quello annunciato da

L’abbraccio degli apostoli Pietro e Paolo, icona, monaci del monte Athos

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La parola di Dio celebrata

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lui esclude ogni origine umana. Esso infatti èstato l’oggetto della rivelazione che si ècompiuta in Gesù. Riguardo al caso partico-lare di Paolo, si può dire a buon diritto che ilsuo vangelo è di origine divina. Nessuno in-fatti può affermare che egli sia stato influen-zato da qualche fattore umano nella sua con-versione al Vangelo di Cristo. Basta osserva-re cosa faceva prima di convertirsi, come siaavvenuta la sua conversione e quale novità dicomportamento abbia indotto in lui. Paolotestimonia che ha aspettato parecchio primadi confrontare la rivelazione avuta con gli al-tri apostoli.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (21,15-19)

Questo bellissimo brano riporta il dialo-go tra Gesù risorto e Pietro. Dapprima letre domande di fila, che ricordano a Pietroil suo triplice rinnegamento, ma anche lasua triplice risposta: «Tu lo sai che tiamo!». Alla triplice professione di amoreGesù risponde affidandogli la missione dipascere le sue pecore; conferisce dunque aPietro la sua stessa missione di Buon pa-store. L’episodio vuol sottolineare che lamissione pastorale deve essere sempre fon-data sull’amore e la fede in Gesù, altri-menti si riduce a fredda istituzione. Infine,Gesù aggiunge la profezia della futuramorte di Pietro. Nel commento del redatto-re si sente già la venerazione dei primi cri-stiani per il martire Pietro: «…questo disseper indicare con quale morte avrebbe glori-ficato Dio». Le ultime parole infine quali-ficano Pietro come il discepolo, anzi il mo-dello di ogni discepolo chiamato soprattut-to a seguire il Signore.

Messa del giorno

PRIMA LETTURADal libro degli Atti degli Apostoli (12,1-11)

La vita dei testimoni della resurrezione diGesù riflette quella del loro Maestro. Pietro ècatturato nei giorni degli azzimi, come Gesù,anche se la sua morte viene rimandata a dopola Pasqua. Il testimone è sempre uno che dà fa-stidio e come Gesù è esposto alla sofferenzaed alla morte. Ma la missione di Pietro non èancora terminata. Luca narra come è stato libe-rato e la sua descrizione tocca uno dei suoi te-mi preferiti. La Chiesa è in preghiera incessan-temente secondo il libro degli Atti, e la pre-ghiera è esaudita con l’invio di un angelo. Unachiesa perseguitata prega come Gesù e comeGesù riceve forza dall’angelo.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo aTimoteo (4,6-8.17-18)

Questo brano Paolino è comunemente de-finito come: il suo testamento spirituale. Sicompone di alcune raccomandazioni a Timo-teo perché viva il suo ministero tutto proiet-tato verso il Regno di Dio che viene. Segueuna presentazione dei sentimenti dell’aposto-lo di fronte alla sua morte. Paolo non si senteuna vittima, ma si paragona a quella libagio-ne di olio o vino che veniva sparsa, tanto nelmondo greco che ebraico, sulla vittime offer-te a Dio. Per Paolo il sacrificio che offre aDio Padre sono i fedeli conquistati alla fedein Cristo con l’impegno di tutta la sua vita dievangelizzatore. Questa vita, come quella diGesù si chiude in solitudine: tutti lo hannoabbandonato, ma Gesù è con lui.

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La parola di Dio celebrata

VANGELODal vangelo secondo Matteo (16,13-19)

I discepoli conoscevano bene la varietàdi opinioni che circolavano riguardo a Ge-sù: chi lo riteneva Giovanni Battista resu-scitato, Elia, Geremia o un altro dei profe-ti. Questo vuol dire che già avevano unagrande stima di Lui e che il suo insegna-mento era sentito come coerente con quel-lo dei profeti. Questa varietà di opinioni ri-flette anche le differenziazioni del giudai-smo dell’epoca e l’intensità del fervore re-ligioso e dell’attesa messianica allora pre-valenti. Anche oggi Gesù non smette di in-trigare le persone più diverse. Le ricerchebibliche sul Gesù storico sono progreditemolto negli ultimi tempi e sono ormai ac-cessibili ad un largo pubblico. Il personag-gio continua ad affascinare. Ma comeorientarsi tra le varie opinioni? Gesù eraun rivoluzionario? Un profeta itinerante,un saggio, un maestro spirituale, un messiatra tanti che pretendevano di esserlo? Nelcorso della storia la domanda resta: Io chisono secondo voi? Ed è una domanda allaquale ognuno è chiamato a rispondere.Non si tratta però di un interrogativo intel-lettuale, ma di una domanda esistenzialesulla quale bisogna prendere posizione im-pegnando la propria libertà e la propria vi-ta. E’ quello che fa Pietro davanti a Gesù,non basandosi però sulle proprie forze in-tellettuali, ma sulla luce che gli giunge daDio. Questa secondo il vangelo è la condi-zione a partire dalla quale Pietro è prescel-to come guida dei suoi fratelli e capo dellachiesa. Non una scelta basata sull’umano,ma sull’abbandono fiducioso a Dio. Questaè la vera grandezza di Pietro.

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

3 luglio 2005

Io sono mite e umile di cuore

PRIMA LETTURADal libro del profeta Zaccarìa (9,9-10)

Che idea ci siamo fatti di un re? Probabil-mente molto vicina a quella presente in que-sto brano profetico: un re dovrebbe esseregiusto, vincitore, dominatore… ma chi hamai visto un re cavalcare un asino? E’ possi-bile che il profeta abbia cercato, con questaimmagine, di sorprendere il suo uditorio: vo-leva mostrare in questo re del tutto particola-re un atteggiamento di radicale umiltà, quellache rifiuta la violenza. Animale raro e pre-zioso il cavallo era un potente strumento diguerra, la garanzia di una vittoria certa. Ilprofeta per questo gli preferisce l’asinello,compagno pacifico nel lavoro dei campi. An-che Gesù re di pace sceglierà questa umilecavalcatura.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(8,9.11-13)

La libertà ottenuta in Cristo fa sì che ilprincipio di azione dominante in noi non siapiù il peccato, ciò che Paolo chiama “la car-ne”, ma lo spirito che dà la vita. Ora lo Spiri-to è una forza dinamica che fa tendere allapiena partecipazione alla vita di Cristo, allarisurrezione, dato che la risurrezione di Cri-sto è strettamente legata alla nostra. Ma que-sta realtà che è operata in noi dal dono delloSpirito, rimane anche una scelta quotidianaper ogni credente.

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La parola di Dio celebrata

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VANGELODal vangelo secondo Matteo (11,25-30)

Matteo mostra nel corso del suo Vangelouna ostilità crescente da parte dei giudei neiconfronti delle parole e della missione di Ge-sù. In qualche modo è però lo stesso Signoreche costringe i suoi ascoltatori a prendereuna posizione decisa nei suoi confronti: proo contro. Le sue parole, le sue azioni, la suastessa persona si impongono come una no-vità assoluta, che può essere solo accolta orifiutata, perché si presenta come una nuovae fondamentale rivelazione del mistero diDio. Gesù offre all’umanità di allora un nuo-vo volto di Dio e questo non lascia scampo achiunque si ritenga credente: accettarlo o ri-fiutarlo, non si può restare indifferenti da-vanti a Dio!

Il nostro vangelo è profondamente inseritoin questo clima di scontro e di rifiuto. Gesù haappena scagliato le sue invettive contro lecittà della Galilea che hanno rifiutato la suapredicazione e ben presto verrà chiaramentecondannato per aver guarito in giorno di saba-to. E’ dunque fortemente significativo cheproprio in questo contesto di incomprensioneed apparente fallimento Matteo ci faccia udireun grido di gioia da parte di Gesù: “Ti rendolode o Padre…”. Al di là dello scacco appa-rente Gesù infatti già vede il prezioso risultatodel suo annuncio: il vangelo conquisterà innu-merevoli cuori di umili e piccoli!

Questo testo è ricco di immagini bibliche.L’immagine del giogo è spesso usata dall’ATper indicare la legge di Dio, obbligo faticosoche però conduce alla salvezza, così come ilgiogo permette di far fruttificare la terra.L’immagine della rivelazione dopo un perio-do di nascondimento, è anch’essa tipica del-

l’AT e serve a sottolineare che la vera cono-scenza è dono di Dio e non conquista dellecapacità e possibilità umane. La dolcezza in-fine è caratteristica tipica della saggezza di-vina che il Messia donerà a quanti lo accol-gono.

Il contesto ci invita ad identificare “i sa-pienti e gli intelligenti” con quelli che Mat-teo solitamente chiama “gli scribi ed i fari-sei”. Sono i personaggi simbolo di quanti ri-fiutano il Signore ed il suo messaggio.Esperti nella legge di Dio avrebbero dovutoessere i primi ad accogliere il Messia, ma in-superbiti dalla loro conoscenza sono diventa-ti ciechi ed incapaci di riconoscere il SignoreGesù.

I piccoli, al contrario, corrispondono aidiscepoli, che hanno accolto Gesù ed hannocreduto in Lui. Non c’è in questo vangelouna polemica contro l’intelligenza della fede,ma solo contro quanti dimenticano che la fe-de è soprattutto dono, rivelazione di Dio. An-che nei confronti della legge divina dell’AT,che spesso veniva considerata un “giogo” pe-sante da portare, non c’è disprezzo. Gesùnon è venuto ad abolire la legge, ma a rende-re il suo giogo più leggero comunicando aicredenti la forza per portarlo.

Quello che è però soprattutto centrale inquesto vangelo è la rivelazione della fortissi-ma relazione di Gesù con il Padre. Gesù ècosì legato a Dio che può essere chiamato“figlio di Dio” in maniera unica e diretta. So-lo lui ha un accesso diretto al Padre. Solo luipuò dire di conoscere veramente il Padre. Perquesto chiunque tra gli uomini vuol conosce-re Dio ha una strada obbligata: affidarsi allasapiente guida di Gesù. Questo vuol dire cheDio si rivela in maniera unica nelle parole,nelle azioni, nella persona stessa di Gesù.

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La parola di Dio celebrata

Ma al tempo stesso, chi vuol conoscereGesù non può prescindere da questo suo le-game straordinario e fortissimo con il Padre.Nel corso della storia molte volte uomini difede ipercritici così come non credenti pole-mici, hanno cercato di ridurre la presentazio-ne di Gesù ai soli aspetti umani del suo esse-re. Un Gesù profondamente uomo, che nonmanca certo di fascino, ma che se resta “so-lo” uomo, un uomo come tanti, diventa in-comprensibile. Se Gesù non è anche il Si-gnore risorto, il Figlio di Dio, il re della sto-ria, allora sulla croce non resta che un uomoilluso. Un idealista privo di concretezza, unsognatore che non ha fatto altro che aumen-tare le illusioni del mondo. Ma come spiega-re che questo sia lo stesso Gesù sapiente eforte che i vangeli ci mostrano ad ogni passoda Betlemme al Getsemani? Chi non si acco-sta a Gesù con la fede, che fa riconoscere inLui il figlio del Padre, si trova veramente difronte ad un personaggio incomprensibile,non potrà mai dire di conoscerlo.

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

10 luglio 2005

Il seminatore uscì a seminare

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (55,10-11)

La sorte della Parola di Dio è assimilatadal profeta a quella di un seme. La stessa co-sa avvenne per la parola seminata da Gesù aiquattro angoli della Palestina e per quelladiffusa dal profeta Isaia tra i sopravvissuti al-l’esilio. La liturgia di questa domenica ciprepara ad ascoltare la parabola del seme delvangelo facendoci riflettere su questo anti-

chissimo annuncio evangelico che è stata lapredicazione di Isaia. Una predicazione cheha ottenuto il suo effetto: risvegliare la spe-ranza e la fede nella potenza delle promessedivine.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(8,18-23)

Lo scopo del capitolo 8 della lettera ai ro-mani è di portare i cristiani alla assoluta cer-tezza della salvezza, al cui confronto le sof-ferenze presenti sono ben poca cosa. Ora itestimoni di questa nostra sicurezza sono ilgemere del creato ed il nostro stesso gemere.Anche il creato si sente coinvolto nella situa-zione dell’uomo e vive della certezza che,quando l’uomo mediante la risurrezione sisarà rivelato in pienezza come figlio di Dio,anch’esso non sarà più asservito alla vanità,cioè al peccato. I nuovi cieli e la nuova terranon implicano necessariamente una trasfor-mazione fisica del creato, ma solo la fine delcattivo uso che l’uomo, dominato dal pecca-to, ne ha fatto, andando contro la chiara vo-lontà del Creatore.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (13,1-23)

Il vangelo di Matteo è segnato da 5 gran-di discorsi. Il discorso in parabole di questocapitolo tredicesimo costituisce un momentoimportante, infatti conclude la missione diGesù in Galilea ed orienta già verso la Pas-sione ormai vicina. La missione di Gesù erastata quella di proclamare la Buona Novelladel Regno di Dio, ma questo annuncio pro-voca reazioni diverse. Da una parte i capi re-

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ligiosi del popolo israelita gli si oppongonoin maniera sempre più netta e definitiva, dal-l’altra la folla reagisce positivamente a que-sto annuncio, e soprattutto emerge un picco-lo gruppo di discepoli disposti non solo adascoltare Gesù, ma ad impegnarsi, a seguirlo.Il discorso in parabole permette a Gesù didescrivere e giudicare questa situazione, sve-lando le differenze tra gli uni e gli altri.

C’è l’accecamento colpevole di quelliche ascoltano Gesù, ma non vogliono com-prendere l’atteggiamento di quanti accolgo-no il regno: ascoltando e disponendo il lorocuore a comprendere. La parabola del semi-natore non dovrebbe porre problemi partico-lari, infatti l’evangelista ci offre una spiega-zione dettagliata del suo significato, ma inrealtà non è così semplice. Una parabola,per definizione, non dovrebbe avere bisognodi spiegazioni, i suoi ascoltatori dovrebberocomprenderne subito il senso. Questo certoè avvenuto per la parabola del seminatore,usata in origine da Gesù per illustrare me-glio un suo insegnamento che non ci è statotramandato. Forse già durante la sua vitaGesù ha nuovamente e più volte raccontatola parabola, mostrando così ulteriori aspettie possibili nuovi significati delle sue parole.Dopo la sua morte e resurrezione i discepolihanno conservato questa parabola, che ave-va colpito la loro fantasia, come ricordo sin-tetico di vari insegnamenti di Gesù. Eccoperché abbiamo un testo così ricco di mes-saggi da necessitare una spiegazione. Proba-bilmente la parabola è nata per comunicareil suo messaggio primario. Tutti notano chec’è un forte contrasto nella parabola tra treterreni infruttuosi e la buona terra, dove ilseme germoglia e cresce. A quanti erano sfi-duciati, per i rifiuti e gli insuccessi della pre-

dicazione di Gesù e dei suoi, il Signore vo-leva insegnare la fiducia nella potenza delbuon seme della sua Parola. Prima o poi ilVangelo avrebbe certo trovato un terreno do-ve attecchire e portare frutto. Forse in unaseconda versione la parabola si arricchiscedi un nuovo elemento, non solo infatti il se-me porta frutto, ma lo porta di una abbon-danza straordinaria. Basta un po’ di terrenobuono, basta un cuore disponibile perché lapotenza di Dio possa ricompensare larga-mente tutti gli sforzi fatti e far dimenticaretutti gli insuccessi ed i rifiuti. Anche se icredenti saranno pochi la potenza di Dio lirenderà capaci di portare frutti di salvezzaper tutta l’umanità. In un terzo momento si èriflettuto sul fatto che non tutti i rifiuti eranoeguali, anche tra scribi e farisei Gesù troveràpian piano degli ascoltatori. D’altra partec’erano state anche varie delusioni, ascolta-tori entusiasti che ben presto si erano ritiratiindietro. Ecco che la parabola con la distin-zione dei terreni infruttuosi si presta ad unanuova rilettura, distinguendo tra gli uni e glialtri. In questa nuova lettura, che comparesoprattutto dopo la pasqua, l’accento non èpiù posto sulla speranza generata dalla po-tenza della Parola. La Chiesa ha avuto nellaresurrezione il segno più grande per nutrirela sua speranza, ora è tempo di impegno e diesame di coscienza sulla propria fede e sullacapacità di ascoltare e mettere in pratica.Per questo l’accento è posto sul terreno chedeve portare frutto aprendosi alla Parola. Leprime persecuzioni avevano mostrato quantola vita di fede potesse essere impegnativa edesigente, era necessario ricordarlo anche neimomenti in cui la prova era stata superata.Matteo sottolinea questo aggiungendo unaparola al testo degli altri evangelisti, egli in-

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La parola di Dio celebrata

fatti dice che è necessario ascoltare la Parolae “comprenderla”. Egli non si rivolge ad unterreno inanimato, ma a dei credenti, dellepersone intelligenti alle quali chiede di acco-gliere il Regno di Dio anche con la loro in-telligenza, di sforzarsi di capire, perché an-che questo è un modo per crescere nella fe-de. La riflessione degli studiosi della Bibbiache ci fanno comprendere l’evoluzione delleparabole, mostra quanto questa intelligenzadella fede possa essere arricchente, non soloper la nostra cultura, ma anche per la nostravita spirituale.

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

17 luglio 2005

Lasciate che l’una e l’altro crescano insiemefino alla mietitura

PRIMA LETTURADal libro della Sapienza (12,13.16-19)

Questo brano evoca la pazienza di Dio, lamoderazione di cui ha dato prova in partico-lare nei confronti degli egiziani durante l’e-sodo dall’Egitto. E’ a motivo di questa “len-tezza” che Dio si distingue da tutte le altredivinità antiche ed anche dai potenti di que-sto mondo che esercitano il loro potere senzamoderazione. Da questa differenza, secondol’autore della Sapienza, il popolo giudaicodovrebbe trarre due conclusioni. Prima ditutto dovrebbe comportarsi come il suo Dio,mostrandosi amico degli uomini. Inoltre deb-bono anche e sempre ricordare che per quan-to peccatori, potranno contare anche loro edogni giorno sulla misericordia divina. Questaè la buona novella sia dell’Antico che delNuovo Testamento.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(8,26-27)

Al gemito del creato ed al nostro stessogemito, di cui parlava il brano della domeni-ca precedente, si aggiunge il gemito delloSpirito. Egli che ci ha donato la vita e ci haresi figli di Dio e ci fa tendere verso la resur-rezione è, in questa tensione, l’aiuto più vali-do alla nostra incapacità. Da soli e senza lapreghiera siamo incapaci di raggiungere lasalvezza. Ora lo Spirito, che è in noi median-te il battesimo, ci aiuta a formulare quellagiusta preghiera che è secondo Dio, cioè se-condo il suo piano di salvezza e che ha comeoggetto la nostra stessa salvezza.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (13,24-43)

Gesù ha proclamato il Regno di Dio, manon è stato ascoltato e la sua parola ha pro-vocato ostilità. Tuttavia almeno alcuni han-no accolto la parola di Gesù e voglionocomprenderla. Questo significa il minusco-lo granellino di senapa che è stato piantatoe prima o poi diverrà un grande albero, o ilpugno di lievito che farà fermentare tutta lamassa della farina. Con la parabola dellazizzania che segue, troviamo sostanzial-mente lo stesso schema della parabola delseminatore: prima una parabola principale,rafforzata da due più piccole, che vieneraccontata alla folla. Poi una riflessionesull’insegnamento in parabole. La folla noncomprende la parabola, i cuori delle perso-ne non sono interessati a fare quello sforzodi comprensione che la parabola richiede-rebbe e allora Gesù lascia la folla. Infine

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Matteo ci presenta una rilettura della para-bola fatta dalla comunità cristiana e presen-tata come destinata ai discepoli, immaginedi coloro che sono disposti allo sforzo diattenzione e comprensione perché la Parolapossa fruttificare.

Il problema fondamentale della paraboladella zizzania è riassunto nella domanda chei contadini rivolgono al padrone del campo:perché c’è zizzania mescolata con il buongrano? Perché nel mondo c’è il male? Perchéi malvagi prosperano insieme ai buoni in unaapparente ingiustizia che Dio permette? Se-condo le aspettative dei giudei con la venutadel Messia e l’instaurazione del regno di Dioi malvagi sarebbero spariti dalla faccia dellaterra insieme con ogni forma di peccato. Iprimi cristiani si pongono dunque la doman-da: se Gesù ha portato la salvezza, perchéancora nel mondo c’è il male, il peccato ed ipeccatori? La risposta della parabola è chebisogna aspettare fino al momento della mie-titura, solo allora la zizzania verrà eliminatadefinitivamente, bruciata nel fuoco. Il Regnodi Dio è venuto e le parole e le azioni di Ge-sù lo manifestano chiaramente, ma sta anco-ra appena germinando, come un piccolo gra-nello di senapa o un po’ di lievito. È necessa-rio attendere con pazienza fino al compimen-to pieno delle promesse di Dio. Non dobbia-mo lasciarci sconcertare dall’apparente debo-lezza ed insignificanza dell’opera di Dio nelmondo, il risultato sarà certamente superioread ogni attesa.

Come già con la parabola del seminato-re, la rilettura ecclesiale della parabola del-la zizzania, riportata dalla sua spiegazioneai discepoli, cambia un po’ la prospettiva.L’accento è posto sulla responsabilità deicristiani chiamati ad operare il bene e so-

prattutto a spingere il mondo verso il bene.La zizzania diventa allora il comportamen-to di quanti danno scandalo e spingono conciò al male, mentre il buon grano diventa ilcristiano che ama il suo prossimo spingen-dolo al bene e correggendolo dai suoi erro-ri. Non è possibile raggiungere il premiodel Regno preoccupandosi solo della nostrasalvezza personale. Questa salvezza passaanche per la salvezza dei fratelli, che in-contriamo nel cammino e che possiamospingere al bene o al male.

Nella spiegazione della parabola si evocaun aspetto proprio della vita sulla terra e chenell’immagine originaria del grano e dellazizzania non è contemplato. Il buon granonon può infatti diventare zizzania, né la ziz-zania diventare buon grano; ma nella vitaconcreta la pazienza di Dio verso i malvagi,unita alla testimonianza ed al buon esempiodei cristiani, possono far sì che chi è stato se-minato nel male si converta e porti un fruttobuono. E’ però purtroppo anche possibile cheil male attorno a noi ci corrompa, quindi lavigilanza resta fondamentale nello stile di vi-ta del credente in Cristo.

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

24 luglio 2005

Vende tutti i suoi averi e compra quel campo

PRIMA LETTURADal primo libro dei Re (3,5.7-12)

Intelligenza, saggezza, discernimento,sono questi i doni che Salomone chiede aDio nella preghiera che innalza a Lui all’i-nizio del suo regno. Egli prende le mossedal ricordo dei benefici divini e nel richia-

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mo a Davide suo padre delinea le caratteri-stiche di un potere esercitato secondo Dio.Fondato su questo ideale guarda con umiltàse stesso e confessa il suo bisogno dell’aiu-to di Dio per un servizio che deve rendereal popolo. Proprio questa umiltà di baserende la preghiera di Salomone degna diessere esaudita.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(8,28-30)

Il brano, vero condensato dottrinale, hacome scopo di infondere in noi la certezzadella salvezza attraverso la riflessione sulpiano salvifico di Dio. Secondo il suo dise-gno Dio ci ha da sempre, pre-conosciuti edamati e ci ha predestinati a divenire confor-mi all’immagine del suo Figlio. Ora questosuo volere, nascosto nei secoli, Egli lo con-cretizza nel tempo chiamandoci e giustifi-candoci attraverso il battesimo e lo condu-ce a termine glorificandoci. Quest’ultimoatto divino, che implica la nostra resurre-zione alla vita, è così certo da parte di Dioche qui Paolo usa un verbo al passato: “ciha glorificati”.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (13,44-52)

Le parabole del tesoro nel campo e delmercante di perle, sono costruite sullo stes-so schema e non sono seguite da alcunaspiegazione. All’inizio c’è la scoperta di unoggetto di valore, un tesoro o una perlapreziosa. Lo scopritore si comporta nellostesso modo: decide di rinunciare a tuttopur di entrare prima possibile in possesso

del tesoro che ha trovato. Infine nella primaparabola il Regno di Dio è paragonato altesoro che è stato trovato: “Il regno deicieli è simile a un tesoro nascosto in uncampo”. Nella seconda alla persona che loscopre: “Il regno dei cieli è simile a unmercante che va in cerca di perlepreziose”. La terza parabola, più ampia edotata di una spiegazione, paragona inveceil regno ad una rete piena di pesci. Nellaspiegazione l’attenzione è centrata sulla di-stinzione tra buoni e cattivi, giusti e malva-gi. Una distinzione però che non è imme-diata, si attua infatti soltanto quando la reteè piena ed è tirata a riva dai pescatori, cioèalla fine del mondo. Infine la parabola siinteressa soprattutto della sorte dei malva-gi, gettati nella fornace. Queste tre parabo-le, sulle labbra di Gesù, sono un invitopressante a convertirsi, e ad accogliere ilRegno di Dio che viene e che si sta manife-stando al mondo. Ciò che Dio ci offre è divalore infinito, non ha prezzo. Essere pron-ti a rinunciare a tutto pur di conquistare lasalvezza è una deduzione logica ed imme-diata. Gesù ricorda così ai suoi ascoltatoriquanto sia urgente decidersi ad accogliereil Regno. Bisogna sfruttare l’occasione cheDio offre e convertirsi, per non ritrovarsinel gruppo dei malvagi nel giorno del giu-dizio, che almeno individualmente può es-sere sempre prossimo. “Lo scriba divenutodiscepolo del regno dei cieli” può dunqueessere colui che ha risposto all’appello diGesù. Egli comprende che ciò che ha rice-vuto dalla sua tradizione religiosa, le coseantiche, si accorda bene con quanto Gesùpredica di nuovo ed apparentemente scon-volgente. Senza perdere nulla del loro si-gnificato originario, queste parabole rilette

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La parola di Dio celebrata

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e spiegate da Matteo per la sua comunitàcredente, assumono dei significati nuovi.L’evangelista, in tempo di persecuzione, ri-corda ai suoi ascoltatori che bisogna esserepronti a lasciare tutto per seguire Gesù. Nédeve scandalizzare, anche dopo la morte eresurrezione di Gesù e quindi la salvezza,la presenza di buoni e cattivi che percorro-no le vie del mondo. La sconfitta del maleè potentemente iniziata, il risultato finaledella lotta è indubbiamente a favore di Dio,ma la lotta non è ancora conclusa. Il male èstato vinto dal Signore risorto e dall’effu-sione del Suo Spirito, ma questa vittorianon si manifesterà pienamente che alla finedel mondo. Per tutto ciò il vero discepolo,secondo Matteo, è colui che comprendepienamente il messaggio di Gesù. Deveperciò distinguersi da quanti non voglionocomprendere e rifiutano l’annuncio evange-lico, investendo tutte le sue buone energiein questa missione di approfondimento del-la fede. La tradizione cristiana ha amato ri-conoscere in questo “scriba divenuto di-scepolo del regno dei cieli” un autoritrattodello stesso evangelista san Matteo,profondo conoscitore della tradizioneebraica e dell’Antico Testamento, ma anchefine indagatore della novità che Gesù è ve-nuto a portare. Soprattutto capace, moltopiù degli altri evangelisti, di mostrare comel’annuncio del vangelo fosse profondamen-te radicato nell’Antico Testamento, portan-do al migliore frutto la fede di Israele nellavenuta del Salvatore. Nulla ci impedisce diaccogliere questa tradizione: l’evangelistasi presenta dunque come un modello per ilsuo lettore di quel cammino di ascolto edaccoglienza della Parola di Dio che lo invi-ta a fare.

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO A

31 luglio 2005

Tutti mangiarono e furono saziati

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (55,1-3)

Il profeta Isaia annuncia al popolo chenessuna cosa di quelle indicate dalle sue pa-role può estinguere la sua intima sete: nél’acqua, né il vino, né il latte. Solo la parlaprofetica può soddisfare la sete dell’uomoche in definitiva è sete di verità, sete di bene,sete di un giusto progetto per il quale spen-dere la propria vita.

La nostra società contemporanea, la so-cietà dei consumi, è ben tratteggiata in que-sta immagine nella quale un lungo elenco dibeni scorre davanti agli occhi di quantiascoltano il profeta, ma non è capace di ri-spondere alle loro domande più intime e ve-re.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani(8,35.37-39)

Se, come ci hanno annunciato le domeni-che precedenti, la salvezza è così certa pernoi cristiani ed è il risultato dell’amore diDio, chi potrà separarci dall’amore di Cri-sto? L’esperienza insegna a Paolo che in tut-to ciò che umanamente potrebbe separarci,noi cristiani riusciamo, con l’aiuto di Dio,più che vincitori. Perciò nulla può separarcidall’amore di Dio manifestato in Cristo Ge-sù. O meglio, solo noi stessi ci possiamo se-parare! Dio, è certo, non prenderà mai l’ini-ziativa della separazione.

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54 Culmine e Fonte 3-2005

VANGELODal vangelo secondo Matteo (14,13-21)

La prima cosa che colpisce immanca-bilmente l’attenzione di fronte al raccontodella moltiplicazione dei pani è l’aspettomeraviglioso di questo miracolo. Matteosembra sottolinearlo indicando alla fine“erano circa cinquemila uomini, senzacontare le donne e i bambini”. Ma la lettu-ra del vangelo dovrebbe averci insegnatoche Gesù non fa mai qualcosa solo perstupire, per il gusto del meraviglioso, oper mostrare la sua divinità “a suon di mi-racoli”. In questo vangelo il confronto è indefinitiva tra gli apostoli e Gesù. I disce-poli vorrebbero mangiare a tavoli separati:uno per Gesù ed i dodici con i cinque panied i due pesci, e gli altri per la folla, chedeve andare nei villaggi a procurarsi damangiare. Gesù invece vuol invitare tuttialla sua mensa e non si lascia spaventaredalle apparenti difficoltà del progetto: ètroppo importante il valore che vuol co-municare per farsi fermare da problemi lo-gistici! Ma perché dare tanta importanzaad un semplice pasto? Nella nostra culturaoccidentale la tavola è difficilmente con-divisibile con tutti. E’ riservata alla fami-glia, agli amici, alle persone particolari,che vengono accettate nella propria inti-mità. L’uso orientale di considerare l’invi-to del visitatore occasionale come una co-sa non solo doverosa, ma quasi automati-ca, ci appare strano. Paura che ci manchiil necessario? O soprattutto che una tavolapoco ricca ci faccia sfigurare? Erano i ti-mori anche degli apostoli, ma Gesù dimo-stra con il suo miracolo che queste cosenon debbono fermarci, c’è un valore più

grande da ricercare. A volte il timore del-l’invito è più profondo. Mangiare assiemeè dono di una parte della propria vita. Ciòè possibile e spontaneo solo con personeaccettate e familiari. Anche i discepoliforse non erano estranei a questo senti-mento. Estendere troppo la comunione divita e di mensa, che solo loro avevano conGesù, poteva significare perdere un privi-legio. Quante volte le nostre famiglie, igruppi o le intere comunità cristiane si di-mostrano ammalate di questo pericolosovirus: la chiusura all’accoglienza. Gesù ri-getta con forza questa tentazione. Spezzale barriere che il mondo o anche i suoi di-scepoli erano tentati di costruire. Barriereaddirittura religiose! Al tempo di Gesù unbuon ebreo, per non contaminarsi ritual-mente, non si sarebbe mai seduto a tavolacon un pubblicano, un peccatore ricono-sciuto o un pagano. Gesù va invece versotutti, chiede di condividere generosamentequello che si ha. Così fa sorgere il nuovomondo annunciato ed atteso dai profeti. Aquesto punto giunge il miracolo, come unsegno divino di conferma e di gradimento.Non si tratta di togliere la fame per ungiorno a tant i che i l giorno seguenteavrebbero avuto di nuovo il problema delcibo, ma di offrire un segno chiaro di ciòche Dio vuole da noi. E’ molto più religio-sa una tavola condivisa, che la purezza dichi si separa non solo dal peccato, ma an-che dal suo fratello peccatore. In questonuovo mondo tutti vengono saziati con ilpane, ma ancor più con l’amore. Il regnodi Dio è esattamente il rovescio di unaumanità dove predomina il principio:“Ognuno per sé”.

La parola di Dio celebrata

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ANIMAZIONE LITURGICA

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« Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò » (Mt 11,28)

Adorare vuol dire non solo fermarsi davanti a Dio, ma davanti alla propria coscienza:essere se stessi in quella dimensione di povertà che non sempre vogliamo accettare.

Adorare vuol dire lasciarsi guardare dalla parte dell’amore, lasciarsi toccare da quellemani crocifisse per essere guariti. Ma questo presuppone la coscienza delle no-stre ferite, del nostro peccato che però, nel mondo delle giustificazioni, dell’ap-parenza e dell’arrivismo in cui viviamo, non è facile accogliere; non è facile ac-cogliere la giustizia, la verità e l’essenzialità delle cose, pur avendone bisogno.

Viene un senso di profonda angoscia e tristezza ogni qual volta che, guar-dandoci intorno, si vede come l’uomo è risucchiato dalle sue occupazioni edalla sua frettolosità. Viviamo una vita affannata, appesantita da tante coseda sbrigare, da un peso fastidioso da portare, il peso di una giornata da riem-pire.

Corriamo, non arriviamo mai, e ritorniamo la sera a casa, innervositi, affaticati e an-noiati, spesso anche delusi, tanto che non riusciamo a crearci uno spazio per la verità connoi stessi, con gli altri e con Dio.

Viviamo in mezzo a gente che, per la maggior parte, non si ricorda più neanche di Luianzi, sembra che se lo sia dimenticato.

E noi siamo qui ad adorare questo Dio eternamente presente ed eternamente nasco-sto, forti solo della nostra povera fede in Lui. Agli occhi di chi ci guarda non possiamotracciare una via che conduce a Lui se non quella che Lui ha fatto per discendere fino anoi, fino a farsi «pane da mangiare».

È Lui qui, ora, che deve parlarci ed essenzialmente in una obbedienza a questa suaparola accolta, che viviamo la nostra consacrazione come risposta a Colui che ci parla, cimanifesta la sua volontà, ci fa conoscere il progetto che Egli ha fatto su di noi.

Adorare è andare al di là di se stessi per accedere al cuore di Dio. E’ sperimentare tut-ta la nostra povertà, il nostro nulla, la nostra miseria e sentirsi attratti dalla misericordia ecomprendere la bellezza della sua gratuità.

Siamo sempre impotenti, finché la parola di Dio non suscita in noi il potere della ri-sposta.

Siamo qui venuti per bussare al Cuore di Gesù per questa umanità così disorientata.Dentro di noi c’è tutto un guazzabuglio che ci distoglie da Dio: leggerezza, incostanza,passioni e il ricordo dei peccati passati; le giustificazioni che vorremmo abbandonare enon ci riusciamo, quelle che vorremmo cancellare e che ci ritornano alla mente; e poi lasofferenza non accettata, le preghiere non ascoltate.

Adorazione eucaristica“Ecco il cuore che ha tanto amato”1

Preghiamo

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Veramente abbiamo bisogno di sanare questi difetti, ma quali sono le cure necessarieper guarire e per far guarire coloro che si avvicinano a noi?

Non basta parlar loro di Gesù, bisogna che gli altri lo sappiano vedere nei nostri occhi,nei nostri gesti, nelle nostre intenzioni, nel nostro cuore.

Gesù, che conosce profondamente il mio cuore e le mie debolezze, mi offre una cer-tezza: l’amore di Dio.

Adorare è accogliere questo Amore; si tratta di accogliere Lui in me, Lui che vuol ri-costruire dentro di me la sua presenza.

Viene Lui e mi rende facile credere nel suo amore e mi rafforza in questa veritàprofonda. Lui, che conosce il mio cuore; Lui solo sa chi sono. Egli viene per riconvertirmi

al suo amore.Quando mi risponde, non fa lunghi ragionamenti, non discute con me: mi

risponde con un gesto, con un dono: mi mostra il suo Cuore. Ecco che cosavuol vedere l’uomo nei nostri occhi: il Cuore di Gesù, vero Uomo e vero Dio.

Davvero, solo chi ama sa far vedere il suo cuore. Lui è l’amore; Lui è un cuo-re che ama. L’opera di Dio si manifesta e si racchiude in questo Cuore ed è pro-prio questo Cuore che accende in noi la speranza.

Mi insegna che il suo amore è novità: non muore, mi redime, mi divinizza,mi vuole possedere.

Ciò che i miei occhi hanno potuto vedere, il mio cuore lo crede. Si crede guardandocon gli occhi del cuore. Rimanendo nell’Eucaristia, ci ha lasciato il suo Cuore, rivelandoci lesue intenzioni. Per questo, dopo aver detto «Sacro Cuore di Gesù», non possiamo averedifficoltà ad aggiungere: «Credo che tu mi ami». Sacro Cuore di Gesù, davvero ho fiduciain te. Sacro Cuore di Gesù, da te mi sento davvero tanto amato.

Ecco la cura per guarire le ferite del mio cuore: una preghiera piena di fiducia, unapreghiera fatta con il cuore in mano.

Viviamo dunque questa adorazione come spazio della propria vita, che si apre total-mente a Dio, nonostante le aridità, le contraddizioni, le distrazioni, la fatica… diamotempo a Dio, lasciando che Lui ci invada, ci penetri, ci guardi, ci conforti, ci consoli, ci ami:«Venite a me». Non prendiamo per noi quello che interessa di Lui, ma accettiamo da Luiquello che Lui ci dona.

Lasciamoci penetrare profondamente dall’eternità di Dio, facendo con gioia ciò che sista facendo; qualunque sia il nostro lavoro, compiamolo senza pensare ad altro, nell’atti-mo presente, perché lì troveremo Dio, altrimenti non lo troveremo mai.

Vivere questo «adesso» vuol dire adorare, perché «adesso» il cuore di Gesù ci ama.Vivere l’eternità nell’oggi, vuol dire sapere che il momento presente, questa adorazio-

ne, è segno dell’eternità.L’amore ci libera dalla fretta, l’amore ci libera dalla paura, ci libera dalla disperazione,

l’amore crea in noi una pace così profonda che ci porta a vigilare, a desiderare, ad amare.Cosa, infatti, turba la nostra pace interiore, il nostro cuore? Certamente, le molte cose

da fare, l’ansietà di una qualunque giornata, il mormorio interiore, le inimicizie, le ripic-che, quelle invidie che non ci rendono disponibili, con sincerità interiore, agli altri: tutto

Preghiamo

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ciò turba il nostro cuore, tutto ciò turba la nostra vita comunitaria, tutto ciò porta a im-pallidire la nostra adorazione. Quando ci incontriamo con la realtà di Dio faccia a faccia,questo comporta per ciascuno di noi un atteggiamento nuovo, anche se non possiamoscaricarci dal peso della nostra povertà umana, delle nostre sofferenze, del nostro passa-to; ma nella luce di quel Cuore che mi è donato, tutto si trasforma e tutto vedo e in tuttomi vedo avvolto in questo mistero d’amore.

Davvero ho bisogno della conversione radicale della mia vita, ho bisogno di quellaforza della fede che mi dà la capacità di lottare nonostante il mio peccato, ho bisogno diTe Gesù, del tuo Cuore trafitto: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt11,29).

È Gesù che parla, e con gli occhi della fede noi lo contempliamo nella concretezza del-la sua umanità, in questa Eucaristia, grazie alla quale è in tutto simile a noifuorché nel peccato.

Simile in tutto, e quindi anche nel fatto di avere un cuore che batte nelpetto.

È proprio a questo mio cuore che egli allude, mentre ora mi parla: «Impa-rate da me, che sono mite e umile di cuore».

Siamo così invitati a meditare sul mistero di quel Cuore divino, nel qualepulsa l’amore infinito di Dio per l’uomo, per ogni uomo, per ciascuno di noi.

Quell’amore di cui testimoniava Mosè al popolo degli ebrei ricordando loro:«Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri po-poli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama» (Dt 7,7-8).

Così ha detto e dice Gesù a ciascuno di noi nell’Eucaristia: «Il Signore vi ama». In que-ste parole c’è la spiegazione di tutto il suo amore. Il Cuore di Gesù è l’espressione viva diquesto amore. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio». E’ la rivelazio-ne più sconcertante dell’amore divino, alla quale abbiamo fatto abitudine, ma se riflet-tiamo con attenzione, veniamo ammessi, attraverso quel cuore trafitto, nel cuore stessodella Santissima Trinità.

Gesù, mostrandoci il suo cuore, non fa altro che ripeterci queste parole: «Ti ho amatodi amore eterno». (Ger 31,3).

Adorare è scoprire questo eterno amore che attrae e chiama. Beati coloro che sco-prono e sentono crescere nel loro cuore questo amore eterno: è il Cristo vivente che vuo-le donarsi ancora oggi attraverso di noi, sempre pronto ad intercedere per l’uomo (cfr. Eb7,25). Gesù è «il Presente», è il «Venite a me».

È l’istante della vita dell’uomo. Egli sa che ogni mio attimo «contiene Dio» ed è veroperché in ogni istante Dio lo si può perdere o ritrovare. È il «padre in attesa che guardalontano» ed aspetta il ritorno di un figlio che ha sempre tenuto vicino nell’intimoprofondo del suo cuore. L’Eucaristia è il Dio fedele a me, nonostante tutto: in ogni istan-te Egli mi avvolge nell’amore del suo Cuore «che ha tanto amato gli uomini e che ne ècosì poco riamato». L’Eucaristia è «l’unione consumata, è Lui in noi e noi in Lui… è il cielosulla terra», scrive Suor Elisabetta della Trinità, in una sua lettera (n.138).

Davvero questo mistero è talmente grande che non si potrebbe vivere senza di esso.

Preghiamo

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Egli è qui e ci chiama; è il Cristo vivente che ci presenta il suo Cuore come la fonte dellanostra redenzione: «vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stessoper me» (Gal 2,20). Sì, Egli ci ha amati di una misericordia infinita (Ef 2,4).

Ma la meditazione dell’amore del Signore passa attraverso la Passione: «Si è offertosulla croce per me».

L’adorazione mi porta a contemplare il Corpo crocifisso, risorto e glorioso del Cristo:ognuno prenda coscienza non solo del peccato del mondo, ma di questo peccato per ilquale ciascuno è realmente causa delle sofferenze di Gesù.

Per questo motivo, noi siamo chiamati a rispondere pienamente al suo amore, a con-sacrargli le nostre attività, il nostro apostolato e la nostra vita.

Siamo chiamati a superare le conclusioni affrettate del mondo per far spa-zio alla pazienza del Cristo; siamo chiamati ad essere persone serene, oggetti-ve, equilibrate, perché abbiamo incontrato l’amore di Gesù e siamo chiamati avivere la gioia.

La comunità deve irradiare la gioia, perché Gesù ci ama davvero ed è connoi.

Noi siamo qui solo per meditare e contemplare il mistero dell’amore di Cri-sto e siamo chiamati a prendervi parte.

Il Cuore di Gesù ci dice che Dio ci ama e chiede che anche noi «Amiamo co-me Lui ci ha amati». Ci ha creati a sua immagine e somiglianza e vuole che imitiamo il suoamore per farlo conoscere a tutti gli uomini attraverso la nostra vita che viene offerta.

Ci fa il dono dello Spirito Santo, perché si abbia la capacità di amare con il suo stessoamore.

Così, come Gesù ha dato prova del suo amore verso il Padre, amando noi e dandosiper noi in questa Eucaristia, noi dobbiamo provare il nostro amore al Padre e al Redento-re, amandoci gli uni gli altri.

Così formiamo il «Corpo di Cristo». Siamo l’Eucaristia del Cristo: «Amatevi come io viho amato». Ogni giorno devo sentirmi chiamato per nome, quando Lui, attraverso il suoministro, dice:

«Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo… prendete e bevete, questo è il mioSangue».

In questa Eucaristia c’è tutta la dimensione vera della mia vita, della mia storia, dellamia eternità.

L’Eucaristia è il Cuore aperto di Dio che ci ricorda il suo amore: ci ha amato fino a daretutto se stesso ed esprime l’universalità di questo amore, estendendolo anche ai suoi ne-mici; ci manifesta le sue preferenze, la sua pazienza, la sua delicatezza, la sua generosità,la sua resistenza all’ingratitudine, le sue prove concrete di amore.

Infine, ci dice perché ci ha amato e ci indica dove vuol condurci. Il suo farsi Cibo e Be-vanda di salvezza per tutti noi, è il mistero che adoriamo; l’Eucaristia è il centro della no-stra fede, la ragione della nostra stessa vita, il mistero, attraverso il quale, l’amore miseri-cordioso di Cristo si è manifestato nel suo Sacro Cuore.

Preghiamo

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Adorando la santa Eucaristia, noi celebriamo la presenza sempre nuova e attiva del-l’unico sacrificio della Croce, nel quale la Salvezza è un evento eternamente presente, in-dissolubilmente legato all’intercessione di Gesù.

Ogni atto di adorazione diventa così la testimonianza dell’oggi di Dio nel tempo del-l’uomo.

Quando Dio fissa i suoi appuntamenti è solo per chiederci di essere amati da Lui e diamarlo del suo stesso amore, Lui che ama la nostra anima, Lui che è «l’amato del miocuore» (Ct 3,4).

Lui che mi conosce dal di dentro, si aspetta da me soltanto questo. Adorare è voler far«corpo» con Dio nell’amore donato dal Cristo. È sperimentare le parole del profeta Isaia:«I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati» (Is 66,12). Inrealtà, scrive sempre suor Elisabetta della Trinità: «Tutta l’occupazione di Diosembra essere quella di colmare l’anima di carezze e di ogni affetto, come unamamma che solleva il suo bambino e lo nutre del suo latte. Oh! rendiamoci at-tenti alla voce del Padre nostro: Figlio mio – egli dice – dammi il tuo cuore»(Ritiro 1096, Come si può trovare il cielo in terra, IX giorno, prima orazione).

Ogni adorazione è l’ora degli innamorati. Solo chi ha l’amore nel cuore, savedere fino in fondo, sa scoprire i tanti che ancora non conoscono questoamore e sono cercati dal Signore.

I vostri occhi devono vedere come gli occhi del Cristo.Alla scuola dell’Eucaristia, noi non solo comunichiamo con Cristo stesso, unico sacer-

dote e Ostia che ci introduce nel movimento dell’offerta della sua adorazione, ma diven-tiamo il suo stesso Cuore aperto, nell’atto del suo farsi dono.

Nella santa Eucaristia, noi entriamo nel movimento dell’amore da cui discende ognibenedizione spirituale: «… quando sarò innalzato da terra, attirerò ogni cosa a me» (Gv12,32).

Solo attraverso il suo Cuore divino, noi saremo veramente uniti.

Aiutiamoci a vivere questo messaggio che, dal Vangelo di San Giovanni, fino agliavvenimenti di Paray-le-Monial, ci chiama ad entrare nel suo mistero, ricordandocidi essere sempre in pellegrinaggio, sia come singoli sia come comunità, e di viverein una continua conversione.

Questo significa che ogni giorno siamo chiamati a interrogarci su come «oggi»esprimiamo il Vangelo e su come potremmo esprimerlo meglio per poter essere «sa-le della terra e luce del mondo», segno splendido del Regno dei cieli.

Preghiamo per questo motivo, ed essere tutti in condizioni di «attingere congioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3), quelle sorgenti che scaturiscono dall’a-more del Signore, morto e risorto per noi, che, mostrandoci il suo Cuore, continua aripeterci: «questo è quel Cuore che tanto vi ama e vi amerà per sempre».

———————1 Testo pubblicato in L. OROPALLO, Vogliamo vedere Gesù. Momenti di contemplazione e adorazione,

2003.

Preghiamo

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L ’inizio della stagione estiva è ric-co di ricorrenze liturgicamente ri-levanti: solennità del SS. Corpo e

Sangue di Cristo e del Sacro Cuore, me-morie di numerosi santi, ecc. Per la dio-cesi di Roma la solennità della nascitadel Battista (24 giugno) è particolar-

mente significativa, dal mo-mento che la sua chiesa catte-drale è dedicata, oltre che alSantissimo Salvatore, anche aisanti Giovanni Battista edEvangelista.

La Natività del Battista èuna festa che, molto proba-bilmente, ricorda una data

storica1, e nondimeno è ricca di valorisimbolici, perché coincide con il solsti-zio d’estate. Il cammino del sole sull’o-rizzonte, a partire dal 21 giugno, sem-bra interrompersi e “sostare” (da cui iltermine sol-stizio), per poi riprendere –circa il 24 del mese – il suo moto in dire-zione opposta, così che le giornate tor-nano ad accorciarsi. Si tratta di un feno-meno astronomico rilevantissimo, so-prattutto per le antiche culture agrico-le, e non a caso i primi cristiani vi han-no letto in trasparenza il mistero delBattista, che deve diminuire per far cre-scere il Cristo (cfr Gv 3,30): Gesù, il «soleche sorge dall’alto», nasce infatti pro-prio sei mesi dopo Giovanni, cioè nelsolstizio d’inverno.

Queste coincidenze hanno reso mol-to “sentita” la festa del Battista, e la li-turgia offre una grande abbondanza ditesti che riflette l’importanza attibuitaalla figura del Precursore. Ci soffermia-

mo sull’antichissimo inno dei vespri Ut queant laxis, che vien fatto risalire –ma non senza incertezze – addirittura aPaolo Diacono (VIII secolo), l’autore dellaHistoria Langobardorum. La composizio-ne è diventata famosa anche – o forsesoprattutto – grazie al fatto che la melo-dia inizia ogni emistichio con una notapiù alta, a partire dal do, e così, sfruttan-do la composizione come strumentomnemotecnico, le note in scala ascen-dente sono state chiamate dal monacoGuido d’Arezzo (prima metà del sec. XI)con le sillabe iniziali delle parole.2

L’inno è composto in un latino nobi-le e raffinato che depone a favore del-l’antichità del testo e che ricorda, qua elà, la concinnitas degli epigrammi di pa-pa Damaso. Ciò ne rende alquanto dif-ficile la traduzione in un’accettabiletrasposizione poetica. Forse per questomotivo l’inno italiano presente nel bre-viario si discosta più del solito dall’origi-nale latino. In particolare, la quartastrofa italiana, che fa riferimento al mi-nistero del Battista («tu sorgi dal deser-to / con il fuoco di Elia…»), è totalmen-te estranea all’originale; composta for-se ispirandosi all’inno dell’ufficio delleletture, fa perdere molta efficacia allacoerenza d’insieme del testo latino, chesi concentra – opportunamente, dalmomento che celebra la natività delBattista – solo sugli episodi relativi allanascita del Precursore. La mia traduzio-ne, come sempre, rinuncia a ogni prete-sa di rielaborazione poetica e si limita ariprodurre letteralmente il significatodell’originale. Ecco dunque il testo:

Innodialiturgica

Ut queant laxis di don Filippo Morlacchi

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Ut queant laxis resonare fibris mira gestorum famuli tuorum solve polluti labii reatum, Sancte Iohannes.

Nuntius caelo veniens supremo, te patri magnum fore nasciturum, nomen et vitae seriem gerendae ordine promit.

Ille promissi dubius superni perdidit promptae modulos loquelae sed reformasti genitus peremptae organa vocis.

Ventris obstruso positus cubili senseras regem thalamo manentem; hinc parens nati meritis uterque abdita pandit.

Laudibus cives celebrant superni te, Deus simplex pariterque trine; supplices ac nos veniam precamur: parce redemptis. Amen.

Affinché possano i servi far risuonare a briglia sciolta le meraviglie delle tuegesta, sciogli la colpa del labbro impuroo San Giovanni.

Il nunzio angelico proveniente dal som-mo cielo, predicendo un grande nascitu-ro a tuo padre, il nome ed il tipo di vitache avresti condotto espone con un co-mando.

Egli (Zaccaria) dubitando dellapromessa celesteperse la facoltà di parlare conscioltezza, ma – una volta na-to – rigenerasti gli organi del-la voce distrutta.

Quando ancora giacevi rac-chiuso nel grembo maternoavevi presagito il re che rimaneva nel ta-lamo; e subito l’una e l’altra madre, peri meriti del nato, cantano cose nascoste.

I cittadini del cielo con le loro lodi cele-brano Te, o Dio che sei unico e insiemetrino; anche noi supplici invochiamo laclemenza: abbi pietà di coloro che haisalvato. Amen.

Innodialiturgica

L’inno si apre con un’apostrofe alsanto. È comune, nella tradizione clas-sica, l’uso di inaugurare una composi-zione poetica con l’invocazione alleMuse o altro nume tutelare, perchéassistano il poeta nell’opera dellacomposizione: per ricordare un esem-pio familiare ai più, basti pensare allafamosa ripresa di questo topos da par-te di Dante all’inizio di ciascuna canti-ca della sua Commedia.3 Qualcosa disimile si presenta in questo inno, ma

con una significativa differenza: sitratta infatti di un inno liturgico, com-posto per la preghiera, e l’autore chie-de l’intervento celeste non tanto – co-me fa Dante – perché “ispiri il suo in-gegno”, ma piuttosto perché purifichidalle colpe il labbro degli oranti. Nellapreghiera, e sommamente in quella li-turgica, si compie l’evento della glori-ficazione di Dio; non conta dunquesolo l’ispirazione poetica dell’autorenel momento in cui scrive la preghie-

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ra, ma altrettanto – e forse ancor dipiù – l’intenzione e la santità di coloroche, nella Chiesa, usano quelle paroleper lodare il Signore e i suoi santi.L’autore dell’inno si preoccupa dun-que non tanto di scrivere lodi dal va-lore estetico adeguato alla santità deldestinatario, quanto di suscitare neifedeli che pregheranno attraverso isuoi versi sentimenti di riverenza e didevozione. La prima persona plurale è

l’espressione famuli (“servi[di Dio]”) esprime il riferi-mento al “noi” della Chiesa:siamo noi, noi che preghia-mo, a chiedere l’interventodi san Giovanni, affinché luistesso intervenga per purifi-care le nostre labbra impuree renderle degne di cantare

le sue lodi. Il riferimento al labbro im-puro (polluti labii) richiama senzadubbio la vocazione di Isaia («Ohimé!Io sono perduto, perché un uomo dal-le labbra impure4 io sono…»: Is 6,5) ealla sua purificazione da parte delcherubino tramite un carbone arden-te. Ma il Battista ha avuto un ruoloparticolare nello sciogliere la lingua disuo padre, come ricorderà esplicita-mente più avanti la terza strofa. Ilsanto viene dunque invocato per lasua capacità di restituire agli uominila parola, al fine di cantare con sciol-tezza le lodi divine. Sembra dunqueprovvidenziale (o almeno intenzionaleda parte di Guido d’Arezzo) che pro-prio questo inno sia stato alla basedella teoria musicale del medioevo cri-stiano.

Le tre strofe successive costituisco-no una sintesi concisa e poeticamenteefficacissima degli episodi relativi al

Battista narrati nel Vangelo di Luca.L’angelo Gabriele inviato da Dio an-nuncia a Zaccaria che la sua preghieraè stata esaudita: presto sua moglie Eli-sabetta gli darà un figlio che «saràgrande davanti al Signore» (Lc 1,15: èil senso dell’espressione magnum na-sciturum); il suo nome sarà Giovanni,e la sua vita è compendiata nella mis-sione di camminare avanti al Signoreper preparargli un popolo ben dispo-sto (cfr Lc 1,17). Il nome stesso è pre-sagio della sua vita: Giovanni, cioè«dono di Dio», «favore di Dio». Il pa-dre, Zaccaria, dubbioso sulla possibi-lità che la promessa divina si adempis-se, fu castigato dall’angelo con la per-dita della parola; facoltà che gli saràmiracolosamente restituita nel mo-mento in cui accoglierà il “dono diDio” scrivendo su una tavoletta, congrande sorpresa dei presenti, «Gio-vanni è il suo nome» (Lc 1,63). È dun-que il “dono di Dio” – cioè Giovanni –che scioglie la lingua degli uomini e lirende capaci di cantare i mirabilia Dei.

La quarta strofa narra con tratti al-lusivi e delicati l’episodio della visita-zione della Vergine. Il grembo di Elisa-betta è descritto come un oscuro giaci-glio in cui il precursore è racchiuso (ob-struso… cubili); il grembo di Maria vie-ne presentato come il talamo nuzialedel Re del cielo, in cui si sono consuma-te le nozze tra Dio e l’uomo. Ancoranel seno di Elisabetta, Giovanni ha ilpresentimento della presenza del Si-gnore, il «re nel talamo». Solo il lettoredella Vulgata può qui rilevare il riferi-mento biblico al salmo 44, l’epitalamioregale in cui si legge che «le verginicompagne entrano insieme alla sposanel palazzo regale» (cfr 44,15-16;

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la traduzione di Girolamo dice “ingre-dientur thalamum regis”). Il grembodella Vergine è “giardino sigillato”,ma, pur a distanza, il Precursore vi co-glie la presenza del Re e ne gode, pre-figurando la sua missione di «amicodello sposo» (Gv 3,29). Dopo il felice in-contro le due cugine innalzano il lorocanto di lode: Elisabetta, piena di Spiri-to Santo, proclama benedetta e beatala madre del Signore (Lc 1,42-45); Ma-ria innalza il suo Magnificat all’Onni-potente (Lc 1,46-55).

L’ultima strofa non è la consuetadossologia trinitaria (anche se, ovvia-mente, non può mancare la canonicaglorificazione del Dio uno e trino);nella festa del «più grande tra i nati di

donna» (Mt 11,11), il santo che le ico-ne orientali affiancano sempre allaVergine Tuttasanta, la Chiesa terrenasi appoggia a quella del cielo. I beati,sicuri nella gloria, cantano il canticonuovo (Ap 14,3); gli uomini ancora im-pegnati nel cammino verso la santitàinvocano per sé la misericordia divinae il perdono, pur nella consapevolezzadi aver già ricevuto il dono della re-denzione. Un dono che ci è stato of-ferto da Dio una volta pertutte (Eb 7,27) in Cristo, mache la preghiera liturgicadella Chiesa ci aiuta ad acco-gliere giorno dopo giorno,nel corso del nostro pellegri-naggio verso il cielo. Innodia

liturgica

——————————1 Studi recenti hanno dimostrato l’affidabi-

lità dell’antica tradizione orientale checelebra l’annuncio della nascita di Gio-vanni a Zaccaria il 23 di settembre. Infat-ti, secondo quanto riferisce l’evangelistaLuca, Zaccaria apparteneva alla classe sa-cerdotale di Abia (Lc 1,5) e l’apparizionedell’angelo Gabriele avvenne propriomentre egli esercitava il ministero nelturno della sua classe (Lc 1,8). La classesacerdotale di Abia era l’ottava delle 24che furono stabilite (si trovano elencatein 1Cr 24,7-18), e il suo turno di servizio,prescritto per due volte l’anno, capitavauna volta nel terzo mese (secondo il ca-lendario dell’epoca) e una volta alla finedell’ottavo mese. Questa seconda circo-stanza corrisponde nel nostro calendariopiù o meno all’ultima decade di settem-bre. È dunque credibile che l’annuncia-zione a Zaccaria si avvenuta il 23 settem-bre e, di conseguenza, la nascita di Gio-

vanni sia stata nove mesi dopo, cioè il 24giugno.

2 Alle sei note fondamentali dell’esacordosi è poi aggiunta la settima, cioè il si, dal-le iniziali di Sancte Iohannes; l’ut è invecestato trasformato in do da G. Bononcininel 1673.

3 Inf. II,7-9 («O muse, o alto ingegno, orm’aiutate…»); Purg. I,1-12 («la mortapoesì resurga, / o sante Muse… / e quiCalliopè alquanto surga…»); Par. I,13-21 («O buono Appollo,… entra nel pet-to mio…»). Tutti i commentatori rileva-no il climax ascendente da una canticaall’altra, nella consapevolezza che a unargomento più elevato deve corrispon-dere una ispirazione divina più subli-me.

4 Pollutus labiis recita la Vulgata.

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25. Quando il popolo è riunito,mentre il sacerdote fa il suo ingresso

con i ministri, si inizia il cantod’ingresso. La funzione pro-pria di questo canto è quelladi dare inizio alla celebrazio-ne, favorire l’unione dei fe-deli riuniti, introdurre il lorospirito nel mistero del tempoliturgico o della festività, eaccompagnare la processio-ne del sacerdote e dei mini-

stri.

Il numero 25 del messale offre unacriteriologia per la scelta del cantod’ingresso della celebrazione. Le quat-tro funzioni su citate sembrano indi-care le qualità intrinseche al testo me-lodico indispensabili per un’aperturadi un’azione e di un’azione evidente-mente particolarissima come quella li-turgica.

1) Dare inizio alla celebrazione

L’attenzione è puntata sull’inizio,sul momento in cui si passa da unacerta inattività all’attività, al movi-mento, all’espressione esterna; sulpassaggio da un movimento tutto in-teriore, alla sua manifestazione ester-na, compiuta e convincente. Dall’espe-rienza quotidiana sappiamo che più èimportante e decisiva l’azione che siva a iniziare, più il suo primo inizio è

curato, solenne, imponente, coinvol-gente. L’esempio è quello delle ceri-monie d’apertura, le inaugurazioni, itagli di nastri. Diversa, certamente, l’i-naugurazione di una sala comunale,da quella di un museo che raccoglieopere di inestimabile valore; di diver-sa intensità la posa della prima pietradi una cattedrale da quella di un cen-tro commerciale. La solennità dell’attoiniziale, la solennità dell’apertura èchiaramente data dalle circostanze edai fini immediati che vi gravitano,dalla visione d’insieme di quello chesarà e che sta per iniziare.

In quell’atto iniziale c’è già la visio-ne del tutto, così come la solennità diun’apertura e di un’inaugurazione te-stimonia l’importanza di quello chesarà.1

2) Favorire l’unione dei fedeli

L’unione e la coerenza del tutto li-turgico di per se stessa favorisce l’u-nione dell’assemblea. Un canto d’in-gresso che faccia percepire nel discor-rere della linea melodica, nel ritmo enelle immagini presenti nel testo stes-so il senso di grandezza, il senso di an-nuncio e declamazione, il senso dispinta e propulsione caratteristici diogni inizio (si pensi all’energia che unmotore deve produrre all’accensione),tutto questo favorisce non solo il sen-so di unione, ma il senso di unione di-

Il canto d’ingresso (2)qualche proposta di don Daniele Albanese

Pregarcantando

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rezionale, un’unione, cioè, diretta, alservizio, in movimento verso. L’unionenon è mai statica; è l’immagine delpopolo unito, ma in cammino.

3) Introdurre il loro spirito nelmistero del tempo liturgico o del-la festività…

Questo inizio di cammino è esatta-mente introduzione nello spiritoprofondo della liturgia, nel suo segretopiù nascosto, in quella solennità parti-colarissima di cui si parlava in nota. Co-me si vede la solennità ha l’aspettomolto concreto e certamente poco con-venevole della fatica del cammino e delcammino fatto insieme. I passi introdut-tivi poi richiamano l’essenziale profon-do (e invisibile agli occhi)di ciò che si celebra per-ché non si corra il rischiodi capire il cammino co-me corteo, parata, mani-festazione, concetti lon-tanissimi da ciò di cui siparla. Inizio, unione, in-troduzione nello spiritoprofondo, dunque, cometre movimenti ugualmen-te presenti l’uno nell’al-tro. Nessuna solennitàd’apertura che non siatensione d’unione col mi-stero della creazione tut-ta; come nessuna immer-sione nel profondo chenon lasci traccia visibile diluce e bellezza. Questaspeciale pericoresi dei treelementi costituisce l’ini-zio.

4) Accompagnare la processionedel sacerdote e dei ministri.

In altre parole: la meraviglia di ciòche avviene segretamente in quel mi-sterioso atto d’inizio, deve avere la suavisibilità proprio nella processione d’in-gresso. Non è la parata, dicevamo, èl’immagine che più di tutte sviluppa itre movimenti di cui sopra esintetizza mirabilmente il loroequilibrio tra interiorità-este-riorità;0 è la processione diIsraele fuori dall’Egitto. L’usci-ta (che segna poi l’inizio del-l’entrata nella terra promes-sa, nella vita nuova) ha certa-mente un carattere solenne,grandioso. Ma è una grandezza percerti versi drammatica: quell’uscita non

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Assisi, Antifonario: miniatura della lettera C con Cantori

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è una parata, non è un’autocelebrazio-ne, ma porta i segni di un dramma inatto. È la solennità di una liberazione,quella dalla schiavitù; è lo spettacolosolenne di un popolo cui è stata resti-tuita, e in maniera violenta, la dignitàdi uomini liberi; è l’imponenza solennedi uomini che cominciano gradualmen-te a sentirsi sempre più come popolo,

unito nella solennità dell’ado-razione all’unico Signore.(…perché mi serva nel deser-to…) Solennità, certo, ma co-me manifestazione del dram-ma salvifico.

Un canto d’ingresso, allo-ra, deve far intuire, nello stes-

so momento, ciò che è appena iniziatoe aprire squarci potenti su ciò che sarà.Si può immaginare come non sia la cosapiù semplice avere tra le mani una par-titura che soddisfi la complessità e la se-rietà del fatto liturgico. Propongo, a se-guire, una serie di opere che ritengopossano essere definite liturgiche, de-gne cioè, di essere considerate nonsemplice accessorio, ma parte integran-te dell’azione liturgica. Solo per il pri-mo canto, a modo esemplificativo, sonoproposti alcuni elementi essenziali dianalisi melodico-testuale:

1) O SIGNORE NOSTRO DIO (da M. FRISINA,Non temere, Rugginenti)

Di carattere solenne e gioioso. L’im-pianto melodico, soprattutto del ritor-nello, è convincente nella sua struttura-zione interna: l’impulso ritmico-dinami-co dell’incipit (doppia croma del tempodebole sulla semiminima del forte del-l’inizio battuta) è ripetuto per due vol-te e in momenti topici del testo (l’invo-

cazione iniziale “ O Signore…”; su“quant’è grande…” e su “sopra i cie-li…”). L’impatto celebrativo della lineamelodica (il giro degli accordi del ritor-nello è tutto in maggiore e solo in unabattuta gli accordi sono in la- e re-) nonmortifica e non annulla l’esigenza di in-troduzione profonda nel mistero. Nellastrofa, infatti, il ritmo si calma pur nonperdendo il carattere vivace, e la pro-gressione finale (coincidente con il cam-bio di tonalità e posta su un altro pun-to topico del testo [“affermi la tua po-tenza contro i tuoi avversari”]) introdu-ce di colpo, ma senza violenza, in un ac-cadere nuovo, per poi scendere gra-dualmente verso la dominante di fa(l’impianto tonale di base) e preparan-do nuovamente il ritornello.

Il rapporto testo-musica è convin-cente. Liturgicamente, poi, il testo (sal-mo 8) è assai conveniente per la proces-sione introitale: se in quest’ultima èadombrato il mistero della venuta dellaParola nella carne, allora tutta la crea-zione si unisce nella celebrazione per-chè riconosce in Cristo il principio onti-co della sua esistenza. L’aspetto deldramma non è, per altro, assente: nelgioco e nel diletto della creazione giàla “lotta contro avversari e nemici” im-pegna il creatore, e in quell’invocazio-ne accorata della seconda strofa (“checosa è mai l’uomo perché te ne ricordi,il Figlio dell’uomo perché te ne curi”)già si intravede il mistero della dolcissi-ma accondiscendenza divina che si chi-na e cura le ferite e la debolezza del-l’uomo. La creazione, dunque, come at-to primo del mistero della salvezza.

Anche gli introiti seguenti rispondo-no, nell’intenzione dello scrivente, aglistessi criteri di analisi esplicitati per il

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primo e soddisfano quella sintesi tra celebrativo - misterico - introduttorio che haguidato il sottoscritto nella scelta delle proposte.

2) Alleluia, lodate il Signore(da M. FRISINA, Benedici il Signore, Rugginenti Editore, 1988)

3) Acclamate al Signore(da M. FRISINA, Benedici il Signore, Rugginenti Editore, 1988)

4) I cieli narrano(da M. FRISINA, Benedici il Signore, Rugginenti Editore, 1988)

5) Lodate il Signore dai cieli(da M. FRISINA, Benedici il Signore, Rugginenti Editore, 1988)

6) Venite, applaudiamo…(da M. FRISINA, Benedici il Signore, Rugginenti Editore, 1988)

7) Maranathà(da M. FRISINA, Non temere, Rugginenti Editore, 1987)

8) Il Signore è mia luce(da M. FRISINA, Signore è il suo nome, Rugginenti Editore, 1988)

9) Cristo nostra pace(da M. FRISINA, Cristo nostra salvezza, Paoline, 1997)

10) Rallegriamoci, esultiamo(da M. FRISINA, Pane di vita nuova, Paoline, 2000)

11) Ecco il mio servo(da M. FRISINA, Tu sarai profeta, Rugginenti Editore, 1989)

12) Venite, adoriamo…(da M. FRISINA, Non di solo pane, S. Paolo, 1998)

13) Lodate Dio(da E danzando canteranno, Ed. Porziuncola)

14) La creazione giubili(da E danzando canteranno, Ed. Porziuncola)

15) Tutta la terra canti a Dio(da E danzando canteranno, Ed. Porziuncola)

La lista, certamente non è esaustiva. Gioverebbe, del resto, che l’esercizio di ana-lisi e di attenta e premurosa verifica fosse condotto personalmente da chi si interes-sa (perché profondamente interessato: e non sempre ruolo e motivazione coincido-no) al dramma liturgico in atto. La proposta, infatti, deve rimanere sempre tale.Non sostituisce mai l’impegno e la fatica personali nell’accostare una partitura ren-dendosi quanto più possibile conto della consistenza liturgico-artistica di un’opera.

————————

1 Mi si permetta un inciso. Come abbiamo appena detto, il carattere di massima solennitàdell’inizio non ha la sua ultima giustificazione nell’atto stesso, ma in ragione di quello che

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sarà dopo e a cui ci si sta preparando. Lasolennità, a volte estremamente macchi-nosa di certe inaugurazioni, la lentezza dicerti protocolli, sono tutti tributi partico-larissimi, preparazione e richiamo poten-te alla compiutezza dell’opera. Più è deci-sivo ciò verso cui ci si sta dirigendo, più ilsuo inizio ne risulterà solennemente, percosì dire, influenzato. Orbene: troppo

spesso, nella Chiesa, si ha un rifiu-to del carattere solenne della ce-lebrazione, di quella speciale len-tezza congenita insita nella suanatura, del millenario carattere ri-tuale dei suoi movimenti. L’origi-ne di questo speciale virus, di que-sta allergia liturgica è da rinveni-re, a mio parere, nella perdita del-

la visione di insieme dell’azione liturgica.Non ci disturba la solennità con cui il pri-mo cittadino o il Presidente del Consiglioo il Capo dello Stato si piegano per la po-sa di una pietra perchè capiamo che il tri-buto non è certo a quella pietra, ma a ciòche sarà; così bisogna capire che tutta lasolennità, tutta quella speciale lentezzaliturgica, tutta quella speciale riverenzacon cui la voce del celebrante, i suoi movi-menti, i suoi sguardi, la sua omelia (untempo, infatti, la retorica era la solennitàdella parola) si fanno rito, sono tutti attiche si piegano a ciò che sarà, al misterogrande e terribile che si compirà nella ce-lebrazione: la transustanziazione, il donoimmenso del Corpo e Sangue di Cristo, lanostra comunicazione alla sua vita, la no-stra divinizzazione. Se il punto massimo èquesto (e non c’è atto in terra, non c’èopera che sia paragonabile o soltanto av-vicinabile al mistero del Pane del Cielo)l’inizio stesso e ogni singolo atto sono ir-reversibilmente uniti al loro punto finale.Ogni singolo atto (e ogni singolo canto),

ogni singolo gesto, compresi quelli più in-timi e nascosti (come il “lavabo”, adesempio) devono essere solenni (e il so-lenne non è contro il meditativo). Ognisingolo gesto non è solenne perché lo de-cidiamo noi o lo vogliamo noi, non è so-lenne per nostro gusto, ma perché ricevela sua solennità (che altrimenti di per sestesso non avrebbe) dal mistero cui è irre-versibilmente diretto. Nella misura in cuiquesta solennità di ogni singolo atto è ri-cevuta, noi non abbiamo alcun diritto diarbitrio su essa. Non padroni della solen-nità, non solenni noi, ma servi di quellasolennità e di quel mistero in essa conte-nuto. Se dimentichiamo questo, crollal’intera celebrazione e tutto diventa fun-zionale e sbrigativo: dapprima non ci saràbisogno del paramento riccamente deco-rato, poi non ci sarà bisogno del para-mento stesso; poi non si capirà più il per-ché del “lavabo”; poi non ci sarà più biso-gno dell’arte musicale, poi non si dovran-no superare i canonici otto minuti dell’o-melia (non importa poi cosa si dice. Si po-trà predicare anche l’errore, l’importanteè che sia un errore contenuto negli ottominuti!) e poi non servirà neppure tuttol’apparato celebrativo: a che serve? Snel-liamo anche quello cominciando diretta-mente dal racconto dell’istituzione…Èl’imbecillità di chi ha capito tutto del mi-stero!Questo, per dire ancora una volta che lapossibilità di un corretto approccio all’a-zione liturgica tout court passa per unavisione globale dell’insieme e della suacentralizzazione sul mistero dell’Eucari-stia stessa. Il criterio della liturgia non ècentripeto, ma centrifugo: trova la sua ra-gione di esistenza al di fuori di sé, nel mi-stero assoluto del Pane del Cielo. Il crite-rio liturgico è eucaristico.

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Ti farò mia sposa per sempre di Roberta Boesso

N el prece-dente nu-mero un

tema largamentetrattato è statoquello della vo-cazione del ma-trimonio cristia-no e della famiglia, duerealtà aventi un ruolo im-portante nella storia dellaSalvezza. Come iconogra-fa sposata e impegnatacon mio marito Vito nella

pastorale fami-gliare, sono fe-l ice di conti-nuare la medi-tazione sul lav o c a z i o n esponsale attra-verso l’analisi

di un Crocifisso l i -gneo, da me recente-mente realizzato per laparrocchia romana diS. Maria Maddalenadè Pazzi.

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Dio, fin dalla creazione, ha sceltol’immagine nuziale per esprimerel’amore che nutre per il suo popoloin cammino. Tutto l’Antico Testa-mento è un cantico alle meravigliedi salvezza compiute da Dio per ilpopolo d’Israele, la sua sposa. Dopoaverla liberata dalla schiavitù dell’E-

gitto, la guida nel difficile camminonel deserto per donargli “una terradove scorre latte e miele”; le invia iprofeti, amici dello Sposo, per con-fermare la sua alleanza nonostantele infedeltà della sposa.

Nel nuovo Testamento Gesù, losposo incarnato, dona la sua stessa

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vita alla sposa, sigillando col suosangue prezioso questo patto d’a-more.

La croce di Cristo è il talamo nu-ziale su cui ogni coppia di sposi devestipulare le proprie nozze, come Ge-sù con la Chiesa. Quest’ultima infattinasce ai piedi della croce, dal costa-

to dello Sposo, ”carne della sua car-ne,ossa delle sue ossa”, generata dalsuo amore che è fedele ed eterno, ein virtù del quale viene guarita e ri-sanata ogni infedeltà. Gesù in croceè dolcemente “addormentato”: co-me Dio trae da Adamo nel sonnoEva, la donna, così dal costato del

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nuovo Adamo nasce la Chiesa, lanuova Eva, che la tradizione indicain Maria, per questo raffigurata ac-canto a Gesù, dal lato del costato dacui zampillano acqua e sangue. LoSpirito Santo scendendo nuovamen-te su di lei la riveste, insieme a Gio-vanni raffigurato alla destra di Cri-sto, della nuova missione di madreuniversale, di tutti i credenti. Mariache simbolicamente ha sul capo ilvelo da sposa, è colei che dobbiamoseguire per giungere a Gesù.

Ai piedi della croce, accanto al

Golgota, è raffigurato il popolo diDio, l’umanità assetata del suo amo-re, che si lascia bagnare dal suo san-gue redentivo per essere al suo co-spetto santa e immacolata, riscatta-ta così dalla colpa del progenitoreAdamo, a cui allude il teschio nel-l’antro scuro.

La dimensione sponsale del donodi sé (simboleggiata dalla coppiacentrale degli sposi che si tengonoper mano), diviene l’essenziale di-mensione della vocazione cristiana

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alla vita, necessario completamentodella vocazione battesimale, qualun-que sia la scelta di vita che il Signoreci chiama a compiere.

Si spiega così la presenza accantoagli sposi di un vescovo, di un diaco-no, di un religioso e religiosa, di laicie fanciulli, tutti chiamati, in forzadel battesimo, a essere testimoniprofetici della Parola, sacerdoti checonsacrano a Dio se stessi e la pro-pria vita, animati dauna carità responsa-bile e generosa.

Ogni cristiano cosìè tassello del meravi-glioso mosaico che èla Chiesa, chiamata aessere immagine vivadella presenza di Cri-sto nel mondo.

Con la resurrezio-ne di Gesù inizia iltempo delle nozze,in cui la Sposa attra-verso tempi di provae dolore, si prepara acelebrare in cielo lenozze eterne con ilsuo Sposo.

Questo spiega laraffigurazione, nel-l’espansione superio-re del braccio verti-cale della croce, del-la visione apocalitti-ca della nuova Geru-salemme, che scendedal c ielo, da Dio

(simboleggiato dalla mano nellamandorla celeste), ”pronta comeuna sposa adorna per il suo spo-so”(Ap.21,2).

La Gerusalemme celeste, la sposadell’Agnello è raffigurata con le suemura solide e splendenti (riflessodella gloria divina), con le dodiciporte, gli angeli e i nomi delle dodi-ci tribù d’Israele, chiaro riferimentoanche ai dodici apostoli.

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to destro) questo grande misterod’amore e proclamiamo con gioia:

”A colui che siedesul trono e all’Agnello

lode,onore, gioia e potenza,nei secoli dei secoli”

(Ap. 5,13).

Al centro il trono con il Libro del-la Vita aperto sulla scritta “Chi hasete venga”(in r ifer imento adAp.21,6) e ai piedi l’Agnello, sonosimboli di Cristo, nuovo tempio spiri-tuale, in virtù della sua passione,morte e resurrezione.

Cristo è la roccia sulla quale vieneconvocata, eletta, purificata ed edi-ficata la sua sposa, la Chiesa, tramitela fecondità dell’acqua battesimalee del sangue eucari-stico sacrificale, rap-presentati dalle ac-que intorno al tronoe dal costato apertodell’Agnello. La Chie-sa vive così tutta labellezza e grandezzadi questo mistero al-la luce della promes-sa di Cristo risorto.

”Ecco io sono convoi fino alla fine delmondo” (Mt.28,20).

Non abbiamo per-ciò nulla da temerese ogni giorno, ”ri-vest it i” di Maria esotto la guida ma-terna della Chiesa,facciamo come sanPietro (dipinto al la-to sinistro della cro-ce) la nostra profes-sione di fede “Tu seiil Cristo, il figlio delDio v ivente”, con-templiamo come sanPaolo (dipinto al la-

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I n questo nostro tempo, così biso-gnoso di testimoni credibili, la-sciamoci guidare dalla giovane

vita di Pier Giorgio Frassati, un au-tentico cristiano che, pur essendo co-sì giovane ha tuttavia maturato nellapropria esperienza interiore una vitaricca di amore per Gesù e la suaChiesa. Fa bene leggere cosa scrivo-no di lui i suoi contemporanei e ibiografi che lo hanno conosciuto. Èun giovane del secolo appena tra-scorso, nasce a Torino nel 1901 dauna ricca famiglia borghese di stam-po liberale: la madre Adelaide Ame-tis, una nota pittrice; il padre, Alfre-do Frassati, nel 1895, a poco più ditrentasei anni, ha fondato il quoti-diano “La Stampa”. I Frassati sono a

quel tempo una delle poche famiglieche contano a Torino, una città che siva trasformando in città ricca di in-dustrie e soggetta a massicce immi-grazioni operaie. Sebbene la situa-zione economica della fami-glia sia agiata, non è cosìdal punto di vista dei lega-mi affettivi. Padre e madrevivono un accordo difficilee formale, mantenuto uni-camente per i figli. Pocherighe per comprendere chela situazione del giovanePier Giorgio è simile a quella che vi-vono oggi molte famiglie: disunite edisorientate, genitori presi dalle lorooccupazioni e figli sempre più soli.Ieri come oggi. Il giovane Frassati,nonostante le difficoltà familiari, di-mostra di possedere un buon carat-tere che lo porta a essere attento esensibile fin dalla più tenera età. Asoli quattro anni, si racconta, vedeuna donna con un bimbo scalzo inbraccio e si leva le scarpe per donar-gliele. Poco tempo dopo, a Polone,luogo d’origine dei suoi, si siede vici-no a un compagno d’asilo, rovinatoin volto da una brutta malattia in-fettiva ed evitato da tutti, e mangiacon lui dallo stesso cucchiaio. Nonsorprende il gesto così carico d’amo-re che fin da piccolo si manifesta co-me esigenza di essere solidale con ipiù poveri? La grazia divina lo lavorafin dalla prima infanzia ricamando

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Beato Pier Giorgio Frassatidi suor Clara Caforio, ef

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in lui e tramite lui segni e gesti chesono secondo lo stile del Signore.

Assume fin da piccolo gli stessisentimenti che sono di Gesù , neiconfronti di tutti, ma soprattutto peri poveri più poveri. Nel 1908, a solisette anni, protesta con il padre per-ché ha mandato via un ubriaco cheha bussato alla porta. “È passato Ge-sù e papà l’ha mandato via”, dirà.Forse aveva letto il brano del Vange-

lo: Avevo fame e mi avetedato da mangiare… eromalato… ero forestiero e incarcere… o forse era sem-plicemente una spinta inte-riore dettata dallo Spiritoche lo voleva prossimo alprossimo.

A dieci anni farà la PrimaComunione e trascorre una fanciul-lezza serena arricchita dalla nascita,nel 1922, della sorella Luciana. I duefratelli cresceranno insieme e saran-no sempre più strettamente uniti.Dopo l’infanzia vengono istruiti pri-vatamente e successivamente avviatialle scuole statali, ma Pier Giorgio inquesti primi studi non sembra brilla-re troppo. In seguito viene iscritto alliceo Massimo D’Azeglio di Torinoma, a causa del perdurare delle suedifficoltà scolastiche, la famiglia loaffida al salesiano don Cojazzi, cheoltre ad insegnargli la letteratura loaccosterà alla spiritualità cristiana.

Conseguita la maturità classica,s’iscrive nel novembre del 1918 al Po-litecnico di Torino, al corso d’inge-gneria mineraria.

Il motivo di tale scelta, come risul-ta dalle testimonianze, lo dirà alla si-gnora Louse Rahner, madre del futu-

ro teologo, che nel 1921 lo ospitaper un breve periodo a Friburgoquando suo padre era ambasciatorein Germania. La donna ricorda: “Unamattina presto andavo con Pier Gior-gio alla Chiesa di S. Martino e par-lando con lui gli chiesi che cosa sa-rebbe voluto diventare.

Egli mi rispose che avrebbe volutofarsi prete, ma soggiunse: “Io voglioin ogni maniera aiutare la mia gentee questo lo posso fare meglio da lai-co che da prete, perché i sacerdotinon sono così a contatto con il po-polo come in Germania. Come inge-gnere minerario posso, dando i lbuon esempio, agire in maniera mol-to più efficace”.

Sono espressioni di profonda con-vinzione che anticipano in un certosenso questa bellissima spinta dei lai-ci a essere parte attiva della Chiesa,che si è riaffermata con il Vaticano IIed è stata riconfermata dal Docu-mento voluto dal Papa Christifideleslaici. Le nostre comunità, parrocchia-li e non solo, sono sostenute dallaforza e dalla fede di tanti fratelli esorelle che sono al servizio e seguo-no il Vangelo nella diversità di ruolie di ministeri.

Pier Giorgio ha vissuto fino allasantità il suo servizio laicale. Alcunisuoi colleghi di studio dicono: “Nonaveva timore di nascondere la sua fe-de”. E altri: “tutto il contrario del bi-gotto…Pier Giorgio era sempre ac-colto dai compagni con entusiasmo,con la sua aria franca e coraggiosaportava al cospetto del mondo le sueidee religiose. Si può dire che fosseprorompente nella sua fede”.

Nel 1918 il giovane entra a far

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parte dell’azione caritativa delleconferenze di S. Vincenzo e del circo-lo universitario (la FUCI). In questocircolo cominciano le prime divisionitra cattolici e lui si schiera spessodalla parte dei progressisti. Egli noncedeva mai alle mezze misure, avreb-be voluto applicare alla lettera ilVangelo ma, com’è facile immagina-re, doveva scontrarsi molte volte conmentalità e modi opposti ai suoi.

Questo rigore di scelte non fannodi lui un tipo spento, anzi non rinun-cia allo scherzo e al baccano: nel giu-gno del ’24 viene addirittura espulsocon un amico per il caos combinatodurante una manifestazione dell’A-zione Cattolica Italiana. Segno que-sto non di puerile trasgressione,quanto piuttosto di voglia di vivere,talvolta anche in modo eccentrico,come può essere tipico dei giovani ditutte le epoche.

Il percorso di Frassati batte anchei sentieri della politica, unendo cosìl’impegno sociale con quello nellapolitica. Secondo il suo stile la mi-gliore politica è quella di tradurre intutte le forme della vita sociale iprincipi cristiani. Profondamente uo-mo e dotato di sani sentimenti s’in-namora di una sua compagna, LauraHidalgo; ma rinuncia a tale amoreper non contrariare i genitori, già incrisi.

L’impegno politico e sociale susci-ta nel giovane il desiderio di ap-profondire sempre più la sua cultura.La sua mente è vastissima, conosceVirgilio, legge Dante, Shakespeare,Manzoni e altri. Predilige san Paolo,Agostino, Caterina da Siena. Insom-ma un giovane uomo completo, un

credente convinto radicato nellarealtà del suo mondo che vive la ca-rità e la solidarietà con gli ultimi. Purnella brevità della sua vita ha saputoincarnare le beatitudini con quellapassione e creatività che è solo degliinnamorati di Dio.

Nel 1975 Giuseppe Lazzati, nellaCommemorazione per i cinquant’an-ni della morte, sottolineò: “La caritànon consiste per lui nel dare qualco-sa agli altri, ai bisognosi, aipoveri, ai soli, ai malati,agli amici, ma nel dare sestesso, il proprio cuore cal-do d’amore che condividela pena, la fa propria, e nelgesto di donare fa consiste-re il segno dell’amore”. Achi gli chiede se è un bigot-to, risponde “no, sono rimasto catto-lico”.

Al primo posto mette nella sua vi-ta la preghiera, senza la quale nessu-na scelta o decisione avrebbe senso,così come la stessa vita perde di si-gnificato se non è corroborata damomenti di preghiera. A Dio conce-de tutto lo spazio che gli è permesso,sia esso di studio o di vacanze. Passodopo passo va formandosi una robu-sta spiritualità attingendo all’Eucari-stia, a cui partecipa giornalmente,come anche a una costante medita-zione e alla profonda devozione perla Madonna.

Era amante del Rosario e difatti sirecava spesso in visita al santuariodella Madonna di Oropa, il grandetempio mariano del Piemonte chedurante l’anno accoglie molti pelle-grini. Qui si venera, secondo la tradi-zione, la statua della Vergine scolpi-

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ta nel legno dall’e-vangelista Luca eportata nel quartosecolo da Gerusa-lemme sulle Prealpipiemontesi dal Ve-scovo di Vercell isant’Eusebio. PierGiorgio, che ha unacasa nei pressi delsantuario, vi si reca

molte vol-te, inerpi-candosi apiedi. Si al-za la mat-tina pre-sto, primadel l ’a lba ,per rag-

giungere il santua-rio carico di f ioriche donava al la“sua” Madonna.Giunto al Santuario,dopo un’ora di mar-cia e completamen-te digiuno, era soli-to partecipare allaSanta Messa facen-do anche la Comu-nione, quindi si rac-coglieva in preghie-ra. Nel ritorno versocasa si recitava i lRosario lungo lavia. La sua devozio-ne a Santa Maria lorendeva creativo,amava comporredei rosari con i semidi una pianta diPollone, che poi re-

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galava agli amici. Era un modo perricordare agli amici l’impegno per lapreghiera e la devozione verso laVergine. Il 28 maggio del 1922, nellaChiesa torinese, attratto dell’idealedi san Domenico, riceve l’abito diterziario domenicano.

La sua decisione maturata col tem-po era piena di fervore e di zelo; ognigiorno recitava il Rosario e l’Ufficiodella Madonna, che portava nel taschi-no della giacca, non esitando a tirarlofuori in qualsiasi momento per prega-re, magari anche in tram o sul treno epersino per strada. “È il mio testamen-to - diceva mostrando la corona delRosario- lo porto sempre in tasca”. Èuna bella testimonianza di fede schiet-ta e genuina, di condivisione e di cer-tezza nell’aiuto della Madre di Dio. Glistudi e il benessere non lo hanno al-lontanato da quella fede semplice cheè dei poveri e di quanti affidano tuttala loro vita all’intercessione della Ver-gine Maria.

Il servizio costante ai poveri, chesvolge con coraggio, lo convince chealla base di ogni aiuto c’è innanzituttola promozione della loro dignità uma-na, che consiste nel lavorare perché laloro vita sia “del tutto migliore”.

Verso la fine di giugno del 1925Pier Giorgio si ammala di poliomelitefulminante, forse per le visite fre-quenti nei luoghi dove andava a tro-vare i poveri. Il terribile verdetto siviene a sapere quando è troppo tardi.Riceve la comunione e l’unzione degliinfermi e il sabato 4 luglio del 1925muore. Il giorno del funerale la Chiesaè stracolma di gente, diventa evidentequanto egli fosse famoso: conosciutopresso i poveri, i giovani della sua

città. È la fama dei santi, quella umilee nascosta che fa il bene e seminaamore senza essere visto; la fama dichi non guarda al successo e all’este-riorità ma solo al nascondimento e al-la forza della carità. Nel 1932 il cardi-nale Maurilio Fossati, arcivescovo diTorino, aprì il processo diocesanoinformativo sulle virtù eroiche e la fa-ma di santità di Pier Giorgio. Nel 1935il processo si chiuse a Torino e l’incar-tamento passò a Roma, allasacra Congregazione di Riti.Nel 1977, dopo una lungasosta per motivi d’istruttoria,il processo venne ripreso die-tro sollecitazione di PaoloVI, che aveva conosciuto per-sonalmente Pier Giorgio. Nelmarzo del 1981 venne ese-guita la ricognizione della salma nelcimitero di Pollone. Come è stato di-chiarato, la salma venne ritrovata inperfetto stato di conservazione.

Nel 1981 si chiuse a Torino il pro-cesso apostolico e nel 1987, mentreerano in corso l’Anno Mariano e il Si-nodo mondiale dei vescovi sulla voca-zione e la missione dei laici, alla pre-senza di Giovanni Paolo II sono statericonosciute le virtù eroiche del Vene-rabile Pier Giorgio Frassati.

Nel dicembre del 1989 - dopo averraccolto il parere favorevole dellacommissione di medici e teologi - unDecreto ha riconosciuto ufficialmenteun miracolo dovuto all’intercessionedi Pier Giorgio: la guarigione di unuomo affetto dal morbo di Pott. Il 20maggio 1990 a Roma Frassati è statoproclamato beato da Giovanni PaoloII. La sua ricorrenza liturgica viene ce-lebrata il 4 luglio.

I nostriamici

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ANIMAZIONE LITURGICA

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APPUNTAMENTI, NOTIZIE E INFORMAZIONI

SOLENNITÀ DEL S. CUORE DI GESÙ

3 Giugno 2005

Conclusione degli incontri mensili di catechesi e preghiera

Luogo: Chiesa del Gesù (Santissimo Nome di Gesù all’Argentina, Piazza del Gesù).

Ore 19,00-21,00: Celebrazione eucaristica e catechesi

Adorazione eucaristica

Preghiera litanica

Benedizione eucaristica

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ESERCIZI SPIRITUALI PER GLI OPERATORI PASTORALI

Tema: LA LETTERA DI SAN PAOLO AI ROMANI

Guida: mons. Marco Frisina

Data: da mercoledì 15 giugno ore 17,00 alla domenica 19 giugno 2005

Sede: Domus Aurea, “Paesetto della Madonna”, via della Magliana 1240, Ponte

Galeria (Roma)

Iscrizioni e prenotazioni presso l’Ufficio Liturgico fino a esaurimento

posti (tel. 06 698 86214) entro il 7 giugno 2005