Giovanni Boccaccio

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Giovanni Boccaccio Giovanni Boccaccio è stato uno scrittore e poeta italiano. Boccaccio è stato uno fra i maggiori narratori italiani e europei del XIV secolo: il suo Decameron venne subito tradotto in molte lingue. Giovanni Boccaccio nasce in Toscana, probabilmente a Certaldo (anche se più volte è stata avanzata l'ipotesi dei suoi natali a Firenze) nel 1313, da padre mercante Boccaccino da Chellino, e da madre, si ipotizza di origini umili. Sicuramente nasce fuori dal matrimonio. Il padre si sposa con Margherita da Mardoli nel 1319 e un anno dopo nasce il fratellastro Francesco - il matrimonio con Margherita non è probabilmente sentito positivamente dal piccolo Boccaccio, tanto che alcuni critici ne derivano un rapporto rancoroso con il padre.

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Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio è stato uno scrittore e poeta italiano. Boccaccio è stato uno fra i maggiori narratori italiani e europei del XIV secolo: il suo Decameron venne subito tradotto in molte lingue. Giovanni Boccaccio nasce in Toscana, probabilmente a Certaldo (anche se più volte è stata avanzata l'ipotesi dei suoi natali a Firenze) nel 1313, da padre mercante Boccaccino da Chellino, e da madre, si ipotizza di origini umili. Sicuramente nasce fuori dal matrimonio. Il padre si sposa con Margherita da Mardoli nel 1319 e un anno dopo nasce il fratellastro Francesco - il matrimonio con Margherita non è probabilmente sentito positivamente dal piccolo Boccaccio, tanto

che alcuni critici ne derivano un rapporto rancoroso con il padre.

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IL DECAMERON

Il titolo completo che Boccaccio dà alla sua opera è “Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini”.

All'interno del Decameron, Boccaccio immagina come,

durante il periodo in cui la peste devasta Firenze (1348), una brigata di tre ragazzi e sette fanciulle tutti di elevata condizione sociale decidano di cercare una possibilità di fuga dal contagio spostandosi in campagna. Qui questi dieci giovani trascorrono il tempo secondo precise regole, tra canti, balli e giochi. Notevole importanza assumono anche le preghiere.

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Una delle novelle più famose è:

Chichibio e la gru : Viveva a Firenze un nobile cittadino, chiamato messer Corrado, generoso con

tutti, il quale, buon cavaliere, si dilettava continuamente di cani e di uccelli, per non parlare delle sue opere di maggiore conto. Un giorno, nei pressi di Peretola, egli prese col falcone una bella gru, e, trovatala giovane e grassa, la mandò a un suo abile cuoco, che si chiamava Chichibio, con l’ordine di arrostirla con ogni cura e servirgliela a cena.Chichibio la prese e si accinse subito a cuocerla; e quando la cottura fu quasi al termine, cominciò a diffondersi attorno un odore gradevolissimo. Venne a passar di lì una ragazzetta della contrada, la quale era chiamata Brunetta e di cui il buon Chichibio era innamoratissimo; ella entrò nella cucina e, nel sentirne l’odore della gru e nel vederla sul fuoco, si mise a pregar Chichibio di dargliene una coscia. - No davvero – rispose Chichibio, - proprio non posso.Donna Brunetta se ne corrucciò molto e infine disse:- In fede di Dio, se non me la date, vi giuro che non vi guarderò più in faccia.

E così andarono avanti a litigare. Finché Chichibio, per non vederla adirata, tagliò una coscia alla gru e gliela diede. La gru fu portata così, senza una coscia, alla mensa di Corrado che aveva convitato un amico suo; e

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Corrado, molto stupito, fece chiamar Chichibio e gli chiese che cosa fosse avvenuto dell’altra coscia della gru. Il brav’uomo

rispose subito:- Signore, le gru hanno una sola coscia e una gamba.

- Come diavolo non hanno che una coscia e una gamba? – domandò Corrado. – E’ forse questa la prima gru che vedo?

- Messere, - insisté Chichibio, - è proprio così come vi dico. E ve lo farò vedere negli uccelli vivi quando vorrete.

Corrado, per non far discorsi davanti ad un invitato, volle tagliar corto e concluse:

- Va bene, lo vedremo domattina, e se sarà come dici sarò contento. Ma ti giuro che, se sarà altrimenti, ti farò conciare in

maniera tale che ti ricorderai di me finché campi. Per quella sera non fu detto altro, ma il mattino dopo, appena

sorto il sole, Corrado, a cui non era affatto sbollita l’ira durante la

notte, si alzò ancor pieno di stizza e comandò di sellare i cavalli.

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Poi fece montare Chichibio sopra un ronzino e lo condusse sulle rive di un fiume dove, sul far del giorno, si vedevano sempre delle gru.- Adesso vedremo chi di noi due ha mentito ieri sera, - disse minaccioso.Chichibio, vedendo che l’ira di Corrado era ancora viva e che doveva provare la sua bugia, cavalcava pieno di paura a fianco del padrone senza sapere quello che dovesse fare. Se la sarebbe data volentieri a gambe, se avesse potuto, ma, poiché purtroppo non lo poteva, si guardava ora davanti, ora dietro, ora di fianco, e in tutto ciò che gli appariva gli sembrava vedere delle gru piantate su due buone gambe.Arrivati però nelle vicinanze del fiume, riuscì a vedere prima degli altri ben dodici gru le quali se ne stavano tutte su una gamba sola come sogliono fare quando dormono.Si affrettò dunque a mostrare a Corrado dicendo:- Messere, potete vedere molto bene che ierisera vi dissi il vero. Le gru hanno una sola coscia e un solo piede: guardate là.Corrado le guardò un poco e poi rispose:- Aspetta, e ti farò vedere che ne hanno due.E, avvicinandosi agli uccelli, gridò:- Oh! Oh!

A quel grido le gru mandarono giù l’altro piede e, fatto qualche passo, presero a fuggire. Corrado si rivolse allora a Chichibio dicendo:- Che te pare furfante? Non ti sembra che ne abbiano due?Chichibio, mezzo tramortito, non sapendo in che mondo si fosse, rispose:- Messer si, ma voi non avete gridato “oh, oh” a quella di ieri sera: se aveste gridato così essa avrebbe mandato fuori l’altra coscia e l’altro piede come hanno fatto queste.A Corrado questa risposta piacque tanto che tutta la sua ira si convertì in riso e allegria; e disse:- Hai ragione, Chichibio, dovevo fare così. E Chichibio, con la sua pronta risposta, sfuggì al pericolo e si rappacificò col suo padrone.

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Un’altra novella molto famosa è :

Le braghe del giudice :Niccola di San Lepidio era un giudice penale tanto severo quanto

destinato nel vestire. Una mattina accadde che a Maso del Saggio, cercando un suo amico, capitò nel palazzo del podestà e vide questo tal Niccola seduto al suo posto di giudice e così mal vestito che gli sembrava un vero babbeo. In particolare, notò che l’uomo portava un paio di brache che gli arrivavano a mezza gamba, tanto erano corte e strette. Per che, senza star troppo a guardarle, lasciato quello che andava cercando, incominciò a far cerca nuova. E trovò due suoi compagni, uno di nome Ribi e l’altro Matteuzzo, uomini non meno gaudenti di lui. << Se venite con me >> disse loro << vi mostrerò il più grande minchione che mai vedeste. >> Poi, si diresse nuovamente al palazzo del podestà, e mostrò loro questo giudice e le brache sue. Costoro cominciarono a ridere e, fattisi più vicini, si accorsero che era assai facile infilarsi sotto il palco del giudice e che l’asse su cui egli teneva i piedi era rotta, tanto da

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lasciar passare una mano e anche il braccio. Allora Maso disse ai compagni :<< Voglio che noi gli togliamo del tutto quelle brache >>. La seguente mattina ritornarono, e pur essendo il tribunale pieno di gente, Matteuzzo riuscì a infilarsi sotto il palco, senza che nessuno lo vedesse. Maso e Ribi, per parte loro, si misero l’uno a destra e l’altro a sinistra del giudice. Fu Maso a parlare per primo, chiedendo giustizia, perché quel ladruncolo al suo fianco gli aveva rubato un paio di stivali nuovi. Ribi, dall’altra parte, urlava :<< Non credetegli, messere, perché è un furfante e sono venuto a citarlo in un giudizio per una valigia che m’ha rubato ! Se non volete ascoltarmi, vi posso portare a testimone la macellaia o la fruttivendola e altre donne ancora ! >> . Maso, però, non taceva e, come Ribi, gridava sempre più forte. E mentre il giudice se ne stava in piedi per meglio ascoltare quelle due voci urlanti, con un solo strattone, Matteuzzo gli sfilò le brache. Niccola, questo fatto sentendo e non sapendo come fosse accaduto, cercò di coprirsi o di sedersi, mentre invece Maso e Ribi urlavano e lo trattenevano :<< Messere, voi mi fate uno sgarbo a non starmi ad ascoltare e a volervene andare altrove >>.

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E tanto lo tennero occupato che tutti, nel tribunale, s’accorsero essergli state sottratte le brache. Matteuzzo, dopo averle tenute a lungo strette, se ne andò lasciando la sua preda senza esser visto. Al che il giudice, come qualcuno, che si fosse appena alzato dal letto, si sistemò le brache e chiese dove fossero mai spariti i suoi due litiganti, imprecando assai per sapere chi avesse avuto il coraggio di lasciare un giudice in mutande. Per parte sua il podestà, saputa la cosa, fece un grande schiamazzo, finché non capì, per consiglio di amici, quello che il fatto gli voleva suggerire : che i Fiorentini sapevano bene come lui avesse portato con se giudici bestioni, perché gli costavano assai meno, e così ritenne cosa migliore tacere, ne più avanti andò la cosa per quella volta.

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BORRELLI CATERINA

BRACAGLIA ANNA CHIARA

LANCIA MARIA CHIARA