GIOVAN PIETRO BELLORI COMMISSARIO DELLE ANTICHITÀ...

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FEDERICO FISCHETTI GIOVAN PIETRO BELLORI COMMISSARIO DELLE ANTICHITÀ (1670-1694). DOCUMENTI PER UNA STORIA DELLA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO ARTISTICO ROMANO Occuparsi di "s toria della conservazione" richiede di partire , innanzitutto , da una precisazione termino- logica. Cercando di seguire un taglio critico fra i meno battuti ad oggi dalla letteratura specifica, I) argomento di queste pagine è l'azione delle istituzioni pontificie nei confronti della dispersione del patrimonio artisti- co romano nella seconda metà del Seicento. Vigilare su scavi e ritrovamenti, e concedere o meno licenze di es portazione, è il lavoro con cui il Commissario delle a ntichità - carica pubblica da più di un secolo - deve arginare, tramite un 'ass idua attività di sopralluo- ghi, i rischi legati al mercato di opere d'arte. Questo, e non altro, è ciò che qui si intende per "conservazio- ne ": termine che sembra il più adatto a delimitare uno specifico ambito semantico come quello appena circo- scritto, oltre che ad evitare di snaturare in partenza un approccio che vuoi essere rigorosamente storico. Altri profili co rrentemente associati all'attuale concetto di "tutela", o di "beni culturali ", resteranno pertanto esclusi dal presente studio; così come non vi troveran- no spazio che cenni sporadici a quei processi di tr a- sformaz ione urbanistica e architettonica di Roma, che pure di diritto rientrano in una storia conservativa intesa anche e soprattutto come storia del gusto. Ciò detto, principale oggetto d'indagine saranno le licenze emesse « in esecuzione della visita e fede » del commissario di turno, copiate e nei registri di patenti della Camera apostolica. E bene anticipare subito che le quasi mille licenze esaminate, a partire dal 1654, sono in misura prevalente permessi di scavo, e oltanto sessantacinque di esse hanno ad oggetto l'e- sportazione di beni artistici. 2 l. Quest 'ultime, inoltre, sono in buona parte pertinenti agli anni del lungo com- missariato alle antichità di Giovan Pietro Bellori, che è una figura centrale di tutto il ragionamento sulla "con- servazione" (stavolta in senso lato) in età moderna, e che qui si ha modo di presentare in una veste diversa ma complementare alla sua identità di antiquario, criti- co e storiografo d'arte. I documenti relativi al suo com- missariato (1670-1694), in maggioranza segnalati da Tomaso Montanari, 3 ) sono pertanto proposti a seguire co me corpus organizzato in un regesto. A partire da ciò, e lasciando ad altri un lavoro di approfondimento spe- ciali tico dei dati in senso archeologico e antiquario, questa prima ricostruzione integrale dell'az ione di un commissario - e di uno consapevole e impegnato come Bellori - è da intendersi come osservatorio idea- le per mettere meglio a fuoco l' andamento del confron- to tra istituzioni pubbliche e collezionismo privato sei- centeschi. Partendo dunque da alcuni spunti di rifles- sione sull'idea belloriana di "conservazione", si proseguirà considerando gli aspetti tecnici e operativi del ruolo di un commissario, e in tale cornice verrà esa- minata infine l'azione di Bellori stesso riguardo le esportazioni e, in ultimo, gli scavi. Con un rapido sguardo retrospettivo, è facile richia- mare l'inadeguatezza degli esiti della politica conserva- tiva romana rispetto alle sue linee direttrici, così nitide e ambiziose. I limiti di un tale sistema, incardinato sulla sola figura del Commissario delle antichità, pos- so no individuarsi proprio nel breve del 28 novembre 1534 con cui Paolo III aveva istituito la carica. 4 l Già a partire da Martino V l'iniziativa pontificia si era mossa verso il recupero del pieno controllo del governo citta- dino . Ora, con il papa Farnese, riceveva un impulso decisivo la sovrintendenza al patrimonio artistico, che da sf uggente compito accessorio di magistrature laiche capitoline diveniva potestà di un funzionario della Camera Apostolica creato ad ho c; in tal senso Conser- vatori e Maesu·i di strade continuavano ad esistere come cariche pubbliche civiche, ma svuotate di reale potere e autonomia operativa. 5 l Che poi tali scelte stra- tegiche si compenetrassero con autentiche intenzioni conservative, in gran parte frutto di un secolare e mul- tiforme rapporto della cultura romana col patrimonio monumentale antico, è tanto indubbio quanto poco influente ai fini del nostro discorso: perché col nuovo secolo lo scenario è drasticamente mutato, nelle pro- porzioni e finanche nella natura dei fenomeni che qui interessano - del mercato, degli studi antiquari e della crescente importanza simbolica, sul piano internazio- nale, del patrimonio di Roma e della Chiesa. Per con- tro, a non essere mutato affatto è il sistema conservati- vo istituzionale, ancora affidato sostanzialmente alla discrezionalità e all'abnegazione di un unico commis- sario. A ben guardare, si può scorgere un momento preciso di iniziale reazione al problema. I primi com- missari erano personaggi pubblici di varia formazione già impticati in diversi ruoli e carriere contemporanea- mente. E col pittore e architetto Mario Arconio, in cari- ca dal 1601, che inizia la lunga serie dei commissari "tecnici", ossia per scelta e formazione coinvolti in prima linea nel circuito artistico e collezionistico, secondo un principio che perdurerà fino ai giorni del- 3 ©Ministero per beni e le attività culturali-Bollettino d'Arte

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  • FEDERICO FISCHETTI

    GIOVAN PIETRO BELLORI COMMISSARIO DELLE ANTICHITÀ (1670-1694).

    DOCUMENTI PER UNA STORIA DELLA CONSERVAZIONE

    DEL PATRIMONIO ARTISTICO ROMANO

    Occuparsi di "storia della conservazione" richiede di partire, innanzitutto, da una precisazione termino-logica. Cercando di seguire un taglio critico fra i meno battuti ad oggi dalla letteratura specifica, I ) argomento di queste pagine è l'azione delle istituzioni pontificie nei confronti della dispersione del patrimonio artisti-co romano nella seconda metà del Seicento. Vigilare su scavi e ritrovamenti, e concedere o meno licenze di esportazione, è il lavoro con cui il Commissario delle antichità - carica pubblica da più di un secolo -deve arginare, tramite un'assidua attività di sopralluo-ghi, i rischi legati al mercato di opere d'arte. Questo, e non altro, è ciò che qui si intende per "conservazio-ne": termine che sembra il più adatto a delimitare uno specifico ambito semantico come quello appena circo-scritto, oltre che ad evitare di snaturare in partenza un approccio che vuoi essere rigorosamente storico. Altri profili correntemente associati all'attuale concetto di " tutela", o di "beni culturali", resteranno pertanto esclusi dal presente studio; così come non vi troveran-no spazio che cenni sporadici a quei processi di tra-sformazione urbanistica e architettonica di Roma, che pure di diritto rientrano in una storia conservativa intesa anche e soprattutto come storia del gusto.

    Ciò detto, principale oggetto d'indagine saranno le licenze emesse «in esecuzione della visita e fede» del commissario di turno, copiate e arc~iviate nei registri di patenti della Camera apostolica. E bene anticipare subito che le quasi mille licenze esaminate, a partire dal 1654, sono in misura prevalente permessi di scavo, e oltanto sessantacinque di esse hanno ad oggetto l'e-

    sportazione di beni artistici .2l. Quest'ultime, inoltre, sono in buona parte pertinenti agli anni del lungo com-missariato alle antichità di Giovan Pietro Bellori, che è una figura centrale di tutto il ragionamento sulla "con-servazione" (stavolta in senso lato) in età moderna, e che qui si ha modo di presentare in una veste diversa ma complementare alla sua identità di antiquario, criti-co e storiografo d'arte. I documenti relativi al suo com-missariato (1670-1694), in maggioranza segnalati da Tomaso Montanari, 3) sono pertanto proposti a seguire come corpus organizzato in un regesto. A partire da ciò, e lasciando ad altri un lavoro di approfondimento spe-ciali tico dei dati in senso archeologico e antiquario, questa prima ricostruzione integrale dell 'azione di un commissario - e di uno consapevole e impegnato come Bellori - è da intendersi come osservatorio idea-

    le per mettere meglio a fuoco l'andamento del confron-to tra istituzioni pubbliche e collezionismo privato sei-centeschi. Partendo dunque da alcuni spunti di rifles-sione sull'idea belloriana di "conservazione", si proseguirà considerando gli aspetti tecnici e operativi del ruolo di un commissario, e in tale cornice verrà esa-minata infine l'azione di Bellori stesso riguardo le esportazioni e, in ultimo, gli scavi.

    Con un rapido sguardo retrospettivo, è facile richia-mare l'inadeguatezza degli esiti della politica conserva-tiva romana rispetto alle sue linee direttrici, così nitide e ambiziose. I limiti di un tale sistema, incardinato sulla sola figura del Commissario delle antichità, pos-sono individuarsi proprio nel breve del 28 novembre 1534 con cui Paolo III aveva istituito la carica.4l Già a partire da Martino V l'iniziativa pontificia si era mossa verso il recupero del pieno controllo del governo citta-dino. Ora, con il papa Farnese, riceveva un impulso decisivo la sovrintendenza al patrimonio artistico, che da sfuggente compito accessorio di magistrature laiche capitoline diveniva potestà di un funzionario della Camera Apostolica creato ad hoc; in tal senso Conser-vatori e Maesu·i di strade continuavano ad esistere come cariche pubbliche civiche, ma svuotate di reale potere e autonomia operativa. 5l Che poi tali scelte stra-tegiche si compenetrassero con autentiche intenzioni conservative, in gran parte frutto di un secolare e mul-tiforme rapporto della cultura romana col patrimonio monumentale antico, è tanto indubbio quanto poco influente ai fini del nostro discorso: perché col nuovo secolo lo scenario è drasticamente mutato, nelle pro-porzioni e finanche nella natura dei fenomeni che qui interessano - del mercato, degli studi antiquari e della crescente importanza simbolica, sul piano internazio-nale, del patrimonio di Roma e della Chiesa. Per con-tro, a non essere mutato affatto è il sistema conservati-vo istituzionale, ancora affidato sostanzialmente alla discrezionalità e all'abnegazione di un unico commis-sario. A ben guardare, si può scorgere un momento preciso di iniziale reazione al problema. I primi com-missari erano personaggi pubblici di varia formazione già impticati in diversi ruoli e carriere contemporanea-mente . E col pittore e architetto Mario Arconio, in cari-ca dal 1601, che inizia la lunga serie dei commissari "tecnici", ossia per scelta e formazione coinvolti in prima linea nel circuito artistico e collezionistico, secondo un principio che perdurerà fino ai giorni del-

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  • l'unificazione d'Italia. Seguono infatti Ludovico Com-pagno (antiquario), Niccolò Menghini (scultore) e poi Leonardo Agostini, attivissimo antiquario nonché mae-stro e amico di Bellori.6> Che tale nuovo orientamento in senso "moderno" si dovesse effettivamente all 'evol-versi di una coscienza conservativa- oltre che all 'ormai risoltasi competizione fra istituzioni municipali e pon-tificie - è certo un dato da verificarsi caso per caso. A favore di questa lettura gioca senz'altro l'evidente estraneità di manovre nepotiste, campan ilismi e rove-sciamenti di fortune politiche nei confronti di un inca-rico indubbiamente di rilievo («la più prestigiosa carica pubblica cui un antiquario potesse ambire a Roma>> );7> non è infrequente infatti che un commissario rimanes-se in carica sotto diversi pontefici , addirittura quattro nel caso di Bellori. Fa eccezione, al riguardo, solo il romano Onofrio Cocchi, che succede ad Agostini due mesi dopo l'elezione di Clemente IX, restando in cari-ca durante il suo breve pontificato e lasciando il posto non appena viene eletto il nuovo papa Altieri : un man-dato di nemmeno tre anni di cui non rimangono testi-monianze di rilievo, quasi che - ma è una semplice congettura - siano state ragioni improprie a detenni-nare tale intervallo fra i commissariati di due dei mag-giori antiquari seicenteschi. 8> A parte questo, il punto è che quando Bellori inizia ufficialmente il suo mandato si trova di fronte ad un evidente squilibrio : come detto, gli strumenti a sua disposizione sono ancora gli stessi di quasi un secolo e mezzo prima, a fronte di una fase storica nettamente diversa, e certamente critica. Quale, dunque, il peso effettivo di tale presunto "funzionario plenipotenziario" nella Roma del Seicento avanzato?

    l. Il 2 giugno 1670, due giorni dopo la nomina al nuovo incarico, Bellori presta giuramento alla Camera apostolica,9> dando inizio ad un'attività che sotto non pochi aspetti doveva essergli fami liare. Per quanto infatti ci sfuggano i meccanismi precisi che portavano alla nomina di un commissario, sappiamo che Giovan Pietro aveva già una certa consuetudine pregressa con i problemi della conservazione come qui vengono inte-si.1 0> In generale, un'attenzione ad essi era senz'altro parte di quell'esperienza trasmessagli dai suoi maestri: Francesco Angeloni, Nicolas Poussin e Leonardo Ago-stini su tutti. Il primo, in particolare, interprete del col-lezionismo come attività di studio e ricerca, lontana dai comuni intenti auto-celebrativi, secondo un principio, tra l'altro, esplicitamente enunciato nel suo Dialogo (c. 1630).''> E la vicenda per cui Giovan Pietro si era visto sottrarre gran parte del prezioso "Museo Angelonio", destinatogli in eredità e invece venduto e disperso dai fratelli del defunto, è una delle tante prove di come, a metà Seicento, un rapporto equilibrato tra patrimonio artistico, collezionismo e istituzioni fosse ancora in massima parte da costruire . Lo stesso Bellori, molti anni più tardi, non poté prev~nire la dispersione postuma del suo, di "museo", rapidamente acquistato in blocco per conto del Principe Elettore Federico III di Brandeburgo ed esportato a Berlino. Ciò nonostan-

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    te, la riflessione su i problemi conservativi delle colle-zioni private - e specialmente di quelle, più piccole e vu lnerabi li , dei tanti che non possedevano le immense risorse dei grandi personaggi pubblici - è senz'altro una delle linee sempre tenute in conto da Bellori nel suo percorso intellettuale. Certo ispirata anche dall'a-micizia con Agostini , che di lì a poco avrebbe iniziato il suo commissariato alle antichità ( 1655-67), tale rifles-sione porterà innanzitutto alla stesura della Nota delli musei. 12> Vale la pena di soffermarsi ancora su questo celebre opuscolo, pubblicato anonimo nel 1664, nel quale Bellori illustra rapidamente circa centocinquanta raccolte romane di opere d 'arte e libri, proseguendo con una ricognizione delle pitture antiche esistenti in città. Dietro l'arbitrarietà e la parzialità della scelta, dichiarate sin dall'introduzione, e a lla base della con-sultab ilità di tale sorta di elenco ordinato alfabetica-mente, c'è il lavoro di un Bellori quotidianamente impegnato in questa rete "nascosta" di luoghi di stu-dio, che egli cerca di tradurre in segno tangibile, in testimonianza scritta. Nel contesto di un mercato d'ar-te disorganizzato ma mobilissimo, l'intento è di ricor-rere alla conoscenza diffusa, all 'accessibil ità anche solo ideale di un patrimonio così fragile, sottraendolo alla dimensione privata, occulta, e innalzandolo sul piano dell'appartenenza pubblica. Ecco dunque una possibile ragione per la scelta dell'anonimato: Bellori sembra rendersi conto di scrivere con obiettivi diversi da quelli delle consuete discussioni, fatte di scontri e prese di posizione individuali che avrebbero solo potuto nu9ce-re alla distaccata oggettività che informa la Nota. E in divenire una presa di coscienza dalle conseguenze ancora inimmaginabili, e che in progressione è conti-nuamente rintracciabile nel corso della lunga e versati-le attività di Bellori. Allora come oggi, una politica conservativa non poteva non fondarsi su lla conoscenza e dunque sull 'assidua frequentazione di «musei, case, palazzi e giardini di Roma»: che, naturalmente, è pro-prio ciò che era chiamato a svolgere un commissario delle antichità. In tal senso, la Nota delli musei richiama fortemente la

  • uno con l'edizione del 1664 della Relatione della Corte di Roma di Girolamo Lunadoro, e del trattatello di Francesco Sestini sul Maestro di camera. 14> Tale scelta editoriale appare ispirata dalla precisa volontà di mar-care il forte legame u·a istituzioni romane contempora-nee e patrimonio artistico e bibliografico. Si instaura così un nesso niente affatto scontato, e .che sembra qui addirittura chiamato a sorreggere e rappresentare l'i-dentità stessa della Roma pontificia, altrimenti, sul piano economico e politico, declinante in una crisi ormai irreversibile. Il volumetto rispecchia pertanto il volto migliore della "romanità" attuale, della sua com-plessa anima per così dire "cattolica" e "pagana", qui illustrata sotto forma di un concretissimo manuale delle sue articolazioni istituzionali e culturali: le secon-de chiamate in causa per 15> alle prime, ma certo, proprio grazie a quest'ultime, accolte in un nuovo vivificante contesto. Dunque le collezioni, al pari degli organi ecclesiastici, delle magistrature e delle loro funzioni, proposte come fondamenti struttu-rali , in senso veramente "materiale", del volto pubblico d i Roma.

    Comincia pertanto ad assumere concretezza, circa un secolo e mezzo più tardi, quanto auspicato da Raf-faello al tempo della cosiddetta Lettera a Leone X, 16> e poi affermato in chiave diversa da sporadiche voci. Valgano da esempio i testamenti di Ciriaco Mattei (1610), di Vincenzo Giustiniani (1631) o di Martino Longhi il Giovane (1656), come tentativi - di esito positivo nel secondo caso - di sottrarre alla dispersio-ne le rispettive collezioni mediante inedite applicazio-n i "private" di strumenti giuridici: ispirata da un misto di coscienza conservativa e anelito alla gloria di sé e della propria famiglia , era una sfida alle pressioni ed ai contenziosi legali di ogni genere che si sarebbero p rodotti intorno a tali patrimoni vincolati. 17> Seguen-do lo stesso principio ma in altra forma, la Nota delli musei inaugura una nuova fase, che muta registro rispetto alla cultura espressa in tanta letteratura arti-stica delle generazioni precedenti (si pensi solo ad un Mancini, o ad un Celio) .18> A partire da ora si può con-cepire un impegno "pubblico" collettivo per cercare di orientare diversamente il rapporto con il patrimonio artistico romano. Momento che coincide quasi ad annum con l'avvio del nuovo impiego documentario e "scientifico" delle incisioni d'après, poiché del 1665 è la prima edizione della Piramide Cestia curata da Otta-vio Falconieri, con le tavole di Giovan Battista Falda e di un anonimo per il quale si è fatto il nome di Pietro Santi Bartoli. 19> Proprio quest'ultimo, protagonista della nuova , 20> sarà il principale collaboratore di Bellori stesso, che in sei pubblicazioni affiancherà le proprie notazioni erudite alle tavole incise da Bartoli con e >: 2 1> giudizi, questi, tanto rari quanto rivelatori della considerazione che Bellori aveva per simili lavori "scientifici" di Bartoli, tali da connotarlo come specialista estraneo al mondo del-l'in~en zione artistica di quegli incisori, dai Carracci a Gllldo Reni , trattati nelle Vzte. 22>

    2. Quanto detto sinora spinge ad interrogarsi sugli effettivi limiti al cui interno un commissario si trovava ad operare, e quindi ad una valutazione più tecnica del suo ruolo istituzionale. Il , alla «voragine >> della storia del diritto italiano.26> Al riguardo, i ben noti editti di tute-la emessi nello Stato Pontificio sono materiali da esa-minarsi con estrema cautela, poiché generati in un quadro di straordinaria frammentarietà e disomoge-neità normativa. Ciò che caratterizza il diritto pontifi-cio dell'epoca- e ne ha ispirato per lungo tempo una connotazione spregiativa, riflettente posizioni crocia-ne, di "Barocco" come oscura età di passaggio tra le due grandi civiltà del diritto comune prima, e dell'il-luminismo giuridico settecentesco poi - è l'incertezza provocata da una proliferazione legislativa ancora lon-tanissima dalle organiche codificazioni che si avranno a partire dall'età napoleonica, e che si intreccia con la sterminata letteratura interpretativa dei giuristi, in un caotico sistema di fonti .27> Ha scritto Adriano Cavan-na:

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    l a-b- ROMA, BIBLI OTECA UN IVERSITA RIA ALESSAN DRI NA- M ICH ELANGELO MARINAR! DA INNOCENZO MAT TE! Nuova et esatta lctvola tojJografica del Territorio o Distretto di Roma. Ove con la descrizzione df'lle memorie sagre e

    profane si dimostra quanto in essa si jmol desiderare per l'isto-rie, et altri viTluosi tratlenimenti, Roma 1674 (su concessione del Mfnislero jJer i Beni e le Attività Culturali, © Biblioteca Universilarin Alessandrina.

    E vietata ogni rijmxluzione o dujJiicazione con qualsiasi mezzo)

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  • TORIO O DISTRETTO DI RO. A . PER L' ! STORIE, ET ALTRI VIRTYOSI TRATTENIM_ENTI;

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  • abrogarle, creando in tal modo ripetizioni e antino-mie».28l Detto questo, ben si comprende come sia peri-coloso attribuire eccessiva attendibili tà ai contenuti degli editti in questione, reputandoli magari delle sicure tracce su lla cui fa lsariga immaginare una realtà dei fatt i, che poi è inesorabilmente destinata a risulta-re troppo schematica e a non reggere il confronto con la compless ità dei dati storici. 29l Di un approccio simi-le è obiettabile soprattutto il trasferimento nel passato di un modello cultu rale più recente fondato sulla cer-tezza della norma, e dunque il parziale travisamento di un sistema i cui veri protagonisti sono gli usi, la consuetudine e la giurisprudenza - che, non a caso, divengono l'oggetto della ricerca dei massimi giuristi europei seicenteschi. Gli editti emanati a Roma, certo la più coerente e unitaria tradizione italiana di legisla-zione dei beni artis tici, se interrogati come fonti sto-riografiche impongono quindi di essere confrontati con dati a lternativi - quali innanzitutto le licenze commissariali - per stabilire tangenze e divergenze fra i percorsi, spesso ingannevoli , delle diverse "storie conservative" possibili. 30l

    Testo centrale, e non solo cronologicamente, del periodo che qui interessa, è l'editto emesso dal camer-lengo Paluzza Altieri il 5 febbraio 1686. Si tratta di un documento indubbiamente di spicco per l'intera rifles-sione sull 'idea di "patrimonio artistico" in età moder-na. Esso delinea infatti un oggetto della conservazione che sarà ulteriormente precisato, e non in misura sostanziale, solo con i grandi testi legislativi ottocente-schi. I.:editto Altieri in tal senso parrebbe un vero spar-tiacque, punto di arrivo di quanto elaborato nei testi Aldobrandini del 1624, Sforza del 1646 e Barberini del 1655,3 1) dei quali condivide l'impostazione e la struttu-ra . La celeberrima, meticolosa elencazione tassonomi-ca di oggetti, di volta in volta più corposa, nel testo Altieri si arricchisce finalmente della parola «quadri >> 32l timidamente inserita nel folto gruppo di beni soggetti ad autorizzazione in caso di esportazione, altrimenti ripreso in blocco dai testi Sforza e Barberini: > (corsivo mio). Ciò ha però ben poco a che vedere con la prassi del mercato artistico, già da lunghissimo tempo alle prese con una realtà del genere. Sappiamo, infatti, che i dipinti in via di esportazione potevano essere oggetto di controllo e relativa autorizzazione già all ' inizio del secolo: è quanto si !egge negli elenchi di opere esportate da Roma compilati nell 'Ottocento da Antonino Bertolotti, dove si apprende di decine di partite di quadri spedite all'estero con regolare licenza

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    a partire, almeno, dal 1609. 33> È un dato quanto mai rivelatore di come gli editti, agli occhi dei loro stessi autori, fossero ben lontani dall 'incidere dettagliata-mente su lla prassi, che dipendeva assai più dall'inizia-tiva e da ll 'intelligenza dei soggetti implicati caso per caso. 34 l Ne consegue che norme più restrittive sarebbe-ro state evidentemente di scarso beneficio per l'azione di sovrintendenza ai dipinti, già "spontaneamente" (sebbene sporad icamente) praticata dai commissari. Si tratta dunque di un tipico caso di quella tutta italiana chiamata in causa da Andrea Emiliani ,35l e sulla quale può essere utile riflet-tere a partire dalla più matura delle antiche leggi di tutela, pontificie e non : l'editto Pacca del 1820. Quan-do, con la legge 28 giugno 187 1, n. 276, il diritto del neonato Regno d 'Ita lia ne recep iva i contenuti , stava in realtà facendo propria una normativa ormai da tempo dimenticata. Nei cinquant'anni trascorsi, infatti, pochissimo di quell'alta prova di lungimiranza istitu-zionale aveva trovato riscontro nella realtà. Lo stesso Segretario pontificio di Stato, cardinale Consalvi, a suo tempo aveva quasi subito fatto sospendere la prevista compilazione di e lenchi ( ) di tutti i beni arti -stici dello Stato.36l E qualche anno dopo, iniziavano le dispersioni delle grandi collezioni Fesch (venduta all 'a-sta nel 1845), Camuccini (dipinti venduti al IV Duca di Northumberland nel 1856) e Campana (dispersa tra Russia, Londra, Parigi a partire dalla metà degli anni '50), 37> per non dire delle vendite di quadri delle galle-rie Colonna, Spada, Sacchetti, Pio, Rospigliosi, Aldo-brandini (rimanendo nella sola città di Roma). Illumi-nanti in proposito le parole di Filippo Crispolti, attento testimone della società e della cultura romane sullo scorcio del secolo . Secondo quest'ultimo, persone che avevano trascorso una lunga vita a Roma tra i com-mercianti d'arte e gli artisti, attestavano di aver sentito parlare per la prima volta dell'editto Pacca solo nel 1871. E quando, dopo l'Unificazione, se ne cercò una copia del testo nel Ministero già pontificio del com-mercio e belle arti , non la si trovò: l'editto era non solo lontano dall 'applicazione, ma perfino dalla memoria di chi avrebbe dovuto applicarlo, e si dovette andarne a recuperare, la copia nell 'archivio della tipografia camerale .38l E una chiara rappresentazione della desuetudine cui andavano incontro le norme, in un universo regolato da ben altri meccanismi. Così Cri-spolti:

  • E D I T T o

    Il 'Bèrcbe ocii ~ eolà conuenienrè, che le Statue, quali fono nel Palazzo, e Piazza del Canpidoglio, fìjno rouinare, e rotte, con occaliooe d i Jàlir.. ui fopra. ò con giocarui, dlèndoui fini fpdì molti deJUri in rdlaunrlc. c mmtm~rle, e che debbia anco Ilare detto Palazzo. e Pia~~, fi come mco le Fontane. Per tanto volendo l'Uiullrifsimt, \!c.E«ellen-

    . tiliimi Siguori CorlfcRarori rimediare i tali difocdini; Ordinano, e commmdimo, che Diano udifc:a di tirar làfii alle Satue, chef~ in dio Palazzo, e Pia~, o~ meno attac:amli CUJdu6oni, oè alcre cane, & in puticobrc nella sraau;, e Cauallò di bronzo di Mare' Aurelio, n~ falire nelli piedillaUi d'efse llarue, n~ meno imbrarrarle i fotto le pène in&afo::ritte. Prohibifcono anco che non li po1Sino fàrc , 11~. po~ immonditie, bdlie mone, calcinacci, terra, n è funile altta ~di robba nel Palazzo, e Piazza di elio c-pidoglio,oè lllltlmo, c vicino aUe balaul\nrc della calata dell'ma, e l'altra parte 4d Campidoglio , nè meno li polia giocare i qualliuoglia.... giuoco?,~ d boccic nel detto Palazzo, ò Cortile_. Si prohtbifce anco à tutte le LaofD~are ,d alcre, che nen pofiino per l'aouenirc laoarc panni, ò in qualliuoglia altto nipdo imorl>idare, ò imbratt:Lrc le acque delle Fontane di detta Piazza, Piazza.. Giudia;~iazza ~Popolo, Nauoaa, Colonna, e MontaJiara, M a.ttaccucordc alle dette bit:rofll.ace, fbruc, c picdifWle di dSc, coa cooficc:uui chiodi, ò fimili alai inllrumenti, fotto pena per cia.fcbcduD. volta, che coorrauerri ;l qualfiuoglia dcU~ cofe fodette di feudi ~S' , ~di tre tratti di corda, & a.Uc donne fouo pena dd1a. Uufi:a, e . perdita dciii panni rd'pcttiuamcntc, dando auttoriù ;l qualtiooglia Sbirro, che pofsa... carcerare chi conttaueml, fàccndoli kriucre ad inllanza dic6i S'tgnori ~ Dar. in Cunpidoglioildìs.Luglio 167J..

    Parente Orfmo Conferuatorc • ~ Filippo Raueona Coofèruaton:. ~ Tiburtio Morone Lazzarini Gonfcruatore:

    P.IUfiu?ot.Ritii.S"ff.

    lo Cio: Battilla Inuiri Trotabeaa eli CampidocJio hò pabllcltlo il ,._licliiiD IICIIiltlopi IOiiQ di a-.. quello eU f· Lugtio tf7•·

    l N a OM A, NcllaSiatapcria olcllaK_...Calcra A....... 1f71. 1$3

    2 - ROMA, BIBLI OTECA CASANATENSE ED IT I'O DEl CONSERVATORI DEL CAMPIDOGLIO DEL 9 LUGLIO 1672

    (su conce sione del Ministem jJeT i Beni e le Attività Cultu·rah, © BibLioteca Casanatense foto Mario Setter 2007)

    ottobre 1726, e a quest'epoca quello Sp inola de l 3 apri-le 1717, e a quest'epoca quello parimenti Spinola del 30 sett.embre 1704 e a questa epoca que llo Altieri del 5 febbra1o 1686 e procedendo ancora indietro quello Sforza 29 gennaio 1646, il quale alla sua volta aveva trovato morto l'ed itto Aldobrandini del 5 ottobre 1624>> .39> Nello stesso torno di anni un'altra voce, ano-nima, si spinge oltre. Vi si avverte tutta l'asprezza che

    la cultura liberale del tempo poteva riversare in un giu-di zio sul rigido conservatorismo del testo Pacca, liqu i-dato come

  • tanto, fa tto camerlengo, poté lasciarsi persuadere dagli zelanti e in teressati suoi subalterni a promul gare quel-l'editto, scritto con tutta la dolcezza e tutti i lenocin1 dell 'eloquenza, col quale vanamente si argomentava d ' impedire l'uscita dallo Sta to pontificio de i capolavori dell 'arte. E che vane e futili siano le ragioni addotte nel suo editto dal vecchio camerlengo, lo provò e lo dimostrò il governo d 'allora, lasciando cadere in desuetudine la durissima legge; talché in cinquant'an-ni si sarebbe potuto esportare - ci si passi la mastodon-tica iperbole - anche la cupola di San Pietro, se fosse sta ta di ragione privata! »40) Paro le da non prendersi a lla le ttera, certo, e assai lontan e da quanto affermato in studi più recenti sulla figura storica del cardinal Pacca, l'editto che porta il suo nome e le po li tiche con-servative di quegli anni .'11 ) In ogni caso, qui importa aver rapidamente illustrato uno scenario in cui sarebbe fuorviante cercare p recisa identità tra stato di diritto e stato di fatto, e che viceversa impone una costante dif-fidenza verso i testi legisla tivi: a maggior ragione, vero-similmente, quando si affrontano problemi seicente-schi , anche solo captando una loro eco in esempi più dibattuti e meglio documentati come quelli ottocente-schi . Con questo non si vuole certo affermare che le occasioni in cui, in epoca moderna, si sono verificate a Roma dispersioni di rilievo, non cos tituiscano violazio-ni ai diversi regimi giuridici succedutisi. Quando però ta li violazioni ci appaiono come delle "scalfitture" più o meno profonde al solido "muro" della tradizione pontificia di tutela, ciò avviene secondo un'ottica che è opportuno correggere, se non invertire. Sono gli stessi editti di tutela a costituire eccezioni , come momenti in cui pensiero "scien tifico" e coscienza istituzionale si sono cristallizzati in testi di legge, che solo letti in que-sto senso esprimono il loro più alto potenziale negli studi storici. Editti come lucide prove critiche che con-corrono innanzitutto (ma non solo) al percorso di for-mazione della disciplina storico- artistica; donde il carattere di eccezionalità, o appunto di "scalfitture" che intaccano il flusso ordinario dei fa tti e delle disor-ganizzate vicende di una "conservazione" ancora acer-ba ed esitante. E dunque, richiamando le parole di Emiliani , un' > e > condo tti a apo-li (30 giugno 1679);;0) oltre a > spediti in Francia (20 aprile 1683),5 1) seguiti da tre coe ie da Raf-faello non specificate (8 febbraio 1684);L) rendono conto solo di quanto sporadico fosse il controllo sul commercio dei dipinti. E se con l'editto Altieri le cose sembrano cambiare, ben presto si torna ad una situa-zione di quas i totale indifferenza: il controllo delle spedizioni di dipinti a ll 'estero, infatti , salvo un'ecce-

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  • 3 - MONACO, BAYERI SC H E STAATSCEMALDESAMMLUNCEN- DOMEN ICO ZAMP!ERI DETTO IL DOMEN ICHINO: SUSANN A E l VECCI-IION I ( INV. N. 466)

    (foto Bayerische Staa.Lçgemaldesam·rnlungen, M'iinchen)

    zione impegna Bellori esclusivam ente ne l corso del-l'anno 1686. Dopo il carico inviato a Parigi in marzo, nel quale u-ova p osto un dipinto attribuito a Guido Reni raffiguran te 'Sansone e Dalila ', oggi non più rin-tracciabile, 53> le partite più r icche sono dire tte a Mila-no e ad Avignone. Con la prima (12 giugno);' 4> monsi-gnor Luigi O mode i, nipote dell 'omonimo cardina le ben no to a Bellori come co llezioni sta e committente di ~ouss_in , esporta diverse opere che oggi risulta arduo Identificare, nonostante fra di esse siano un'«istoria d 'Agar» di Andrea Sacchi,55> un 'San Paolo eremi ta' e un 'San Girola mo' di Ribera,56) e anch e due tele di ~ier Francesco Mola,57> p er citarne alcune di grande I~ter~sse . Con la seconda (25 giugno),58> l' arcivescovo d~ Avig~ insieme ad altri

    ventiquattro anonimi, tra paesaggi, marine e scene sacre . Se a queste spedizioni aggiungiamo le due, meno significative, del 27 maggio60> e del 18 settem-bre,61> oltre alla patente del 18 marzo 1688 che conce-de ancora a Omodei di portare a Milano si conclude il magro con to delle esportazioni di dip inti avvenute dietro controllo e approvazione nel corso d el commissariato be lloria-no. E evidente la scarsa p resa dell 'apparato ammini-strativo su un mercato così di ffic ilmen te con tro llab ile: solo quattro li cenze per un to tale di nove quad ri usciti da Roma durante i pr imi sedici anni di commissaria-to _63) Per giunta, il regime prodotto dall 'editto Altieri (se i licenze, per settantotto quadri esporta ti previo controllo in circa un anno) come si è appena visto ha

    l l

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  • 4- SIENA, DUOMO- MELCHIORRE CAFFÀ ED ERCOLE FERRATA: STATUA DI PAPA ALESSANDRO III

    (da B UTZEK 2000, p. 403)

    avuto vita assai breve. Malgrado gli editti, è evidente come i dipinti non rientrassero fra i beni che si voleva non dico vincolare a Roma, ma anche solo controllare nei movimenti di mercato.

    Tutto questo, però, cambia se si osserva il comporta-mento delle istituzioni nei confronti delle opere di scultura moderna. Nell'arco di un ventennio (1670-1691) si hanno quarantanove licenze che inclu-dono sculture, bronzi e oggetti vari moderni tra i beni legalmente esportabili. Vi si possono riconoscere diversi lavori commissionati per la città di Siena, a partire dalla statua di papa Alessandro III di Mel-chiorre Caffà, che Ercole Ferr.ata aveva appena con-dotta a compimento (fig. 4), 64> e partita da Roma insie-me al 'Cristo deposto' di Giuseppe Mazzuoli destinato

    12

    alla chiesa deii 'Annunziata.65> Quest'ultima è la prima di una serie di opere di Mazzuoli identificabili nelle licenze: seguono infatti l"Immacolata Concezione' (fig. 5) commissionatagli da Ales andro De' Vecchi per la chiesa di San Martino, 66> dove sarebbe stata rag-giunta dal 'San Tommaso di Villanova' (fig. 6) da lui eseguito assieme al fratello Giovanni Antonio; 67> è poi la volta di due busti-ritratto chigiani: un 'Alessandro VII' e un 'Flavio' per la villa di Cetinale, non più rin-tracciabili ,68> a proposito dei quali è documentato anche un pagamento a Bellori per la perizia effettuata nello studio di Mazzuoli in via di Ripetta;69> e ancora, i due angeli marmorei per il tabernacolo dell'altare maggiore della chiesa di Sant'Agostino,70> seguiti da cinque statue della serie - malamente alienata a fine

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  • 5- SIENA, CHIESA DI SAN MARTINO- GIUSEPPE MAZZUOLI: IMMACOLATA CONCEZIONE

    (su concessione del Ministero tm: i Beni e le Allività Cnltumli -foto SoJn'intendenw PSAE delle Province di Siena e Grosseto. E vietata ogni -riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo)

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  • 6 - SIENA, CHIESA DI SAN MARTINO- GIOVANN I ANTON IO MAZZUOU: SAN TOMMASO DI VILLANOVA

    (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali -foto Soprintendenw PSAE delle Province di iena e Grosseto .

    È vietata. ogn i rifJroduzione o dufJlicazione con qualsiasi mezzo)

    Ottocento - degli 'Apostoli' per il duomo (fig. 7). 7 1> Infin e altri due busti: un 'Sigismondo Ch igi', probabi-le opera ancora di Mazzuoli, 72> ed un 'Alessandro VII' di cui si sono perse le tracce. 73> Tutt'altra destinazione hanno invece il gruppo marmoreo della 'Fama che crive le gesta di Luigi XIV sul dorso del Tempo' (fig.

    8), scolpito da Domenico Guidi su disegno di Charles Le Brun , e destinato alla reggia di Versailles; 74> e, ancora di Guidi , il monumento funebre a N icolas

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    Cotoner, Gran Maestro dell 'Ordine dei Cavalieri di Malta, realizzato per la chiesa conventuale di San Gio-vanni Battista a La Valletta. 75> Per contro, non sono facilmente identificabili altre opere moderne che pur spiccano tra le varie esportate con licenza, come ad esempio il bassorilievo e la statuetta marmorei acqui-stati per il conte di Conversano, e sped iti a Napoli ,76> o i due piccoli bronzi di François Duquesnoy portati a Milano da Luigi Omodei;17>come ancora i diversi busti

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  • inviati a Livorno da Ales andro Rondoni,i~> o quelli portati a Firen ze da Lorenzo Corsin i.79>

    Nel continuare questo elenco, si può notare la mag-giore freq~enza cl~lle licenze rispetto. a quanto si è visto per 1 dipmu: eloquente sp ia d i come la vera ragion d 'essere dell'azione conservativa fosse il con-trollo delle o le antichità, che Bellori cercava di indivi-duare ispezionando il maggior numero possibile di scu lture in u cita da Roma. umero i esempi esplici-tano il suo impegno a non lasciare esportare opere antiche se integre e di pregio. el l'estate del 1675 Michele de Humada (sic), agente del viceré di Nap oli , ottiene licenza per una serie di opere in marmo, sta-tue e busti eli imperatori, in una patente di poco succes-iva, l'esportazione di altr i pezzi del genere è giustifi-

    cata col defin irli Sempre a Napoli , questa volta acquista te per conto di uno dei più raffinati col-lezionisti partenopei, il giuri ta Giuseppe Va lletta, sono poi dirette altre sculture E continuando questa rassegna, e fin qui si sono con-siderati gli episodi di antichità uscite legalmente da Roma in una fase anteriore a ll 'ed itto AJtieri, ora è incl i-spen ab ile concentrarsi sul caso della Francia, per osservare il passaggio cruciale che l'editto segna nel

    7- LONDRA, BROMPTO 1 ORATORY GIUSEPPE MAZZUOLI: SAN PAOLO

    (da B UTZEK 199 1, lìg. 4)

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  • 8- VE RSAILLES, GIA RDINI DEL CASTEL LO - DOMEN ICO GU IDI SU DISEGNO DI CHARLES LE BR UN : LA FAMA SCRIVE LE CESTA DI LUIGI X fV SUL DORSO DEL TEM PO, SOTrOMETTENDO 1: 1NVIDLA

    (da P1 CA 1995, p. 44)

    febbraio 1686. Al tempo di Bellori, i ministri del Re ole la fanno da padrone in quanto a esportazioni.

    Alcune spedizioni di opere d 'arte, gessi, marmi , arredi , che lasciano Roma destinati alle res idenze reali eli Pari-gi e Versailles, sono eli particolare imponenza: nel 1682, acl esempio, partiva un carico di «centosettanta-sette statue eli marmo>> ,92> che veniva accolto a Parigi con meraviglia tale,93> come segno dell 'accentramento culturale impresso dal re, che il MercuTe Galant com-mentava con la celebre frase E particolarmente utile, al riguardo, la "memoria" spe-dita il 28 gennaio 1687 dall 'ambasciatore al suo sovra-no, qui eli seguito riportata in Appendice (doc. 5): pre-ziosa illustraz ione tanto dei procedimenti per le esportazioni , quanto dei favo ri di cui godevano i fran-

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  • res i in merito, nonché della forza di cui non avrebbero esitato a dare prova in ca o, vicever a, di oppo izion i troppo nette ai loro intenti. Inoltre, parallelamente all 'ansia per le mire cui era soggetto il patrimonio anti-co di Roma, si aggiungeva la crescente pressione p ico-logica originata dalla produzione a ritmo serrato di copie e calchi delle opere inamovibili, che dal 1666 impegnava l'Accademia. Caso degno d'interesse è quello del calco della statua equestre del Marco Aurelio

    capitolino, eseguito e spedito a Parigi fra il settembre 1684 e il giugno 1685.9ì> I lavori erano tati affidati con apposita licenza a Giovanni Arnaldi , che sarebbe tato as istito da Carlo Rainaldi e da un econdo architetto, Angelo Torrone. Isp irata da La Teulière, fresco di nomina a direttore dell'Accademia, e caldeggiata a Parigi da Louvois,9~> l' impresa aveva certo alimentato i malumori di chi a Roma non vedeva di buon occhio tali operazioni, cui non potevano sottrarsi nemmeno

    9- CETINALE (SIENA), AS INO DELLA VILLA CH IC ! DIANA CON CANE

    (s u concessione del Ministero per i Beni e l~ Attività Culturali -foto Soprintendenza PSAE delle Province di Siena e Grosseto. E vietata ogni 'l'ijJroduzione o dujJiicazione

    con qualsiasi mezzo)

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  • J.:E"'- e.•7'.-..,u c.;;. 'Yl~;; c,.,; EPITHALAMIVM. S.EDENT }/1NC SPONSVS JNDE 'SPONSA ET .AD VmY.\tQEX CffORD•VIRGINES CONVERSAE LAVDES CANVNT FAVSTVM F.ELIXQ_ OMCNANTVR:ADSVNT•IlBICINJA•LT' RIS"f.E~.rpo!-~ ~Ilf~ !.JESCRIBIT SEV M.ODVLAL\. ~RO NOTAT .Spol![ft .rullflratntfrlupilla peli& 'J.IIl1rrl p~rtiuuiflt ncf.focuud•:flutm tx!Uptl'ttrl;bt.IJ C01!J~al"tlc ~~~nt quM lupino culipuamr:Yup!a reflu; untu'b4lll ru filltd ~n~rl1 "1fttduommb ugt'l'f'ttw' . ~ J..au~ Mhti~· , .:r. ... -r.w.&; ic ~tirrr J

  • Il -FIRENZE, GALLERIA DEGLI UFFIZ!- Slì\TUA DI AFROD ITE DET lì\ 'VENERE DE' MEDICI ' ( INV. SCU LTURE N. 224) ;

    N ELLO SFONDO, GRUPPO DEI "LOTTATORI "

    (su concessione del Ministero jm· i Be·ni e le Attività Cultumli. È vietata ogni 1'ijJroduzione o dujJ!icazione con qualsiasi mezzo)

    l'antico», o tutt'al p iù «restaurati modernamente, di mediocre maniera>>; il commercio di opere "moder-ne", mantenendo la sua natura libera, continuava pressoché indisturbato.

    Come caso rilevante nel mettere in cri si le polarità di "antico" e "moderno" che regolano i dati fin qui

    passati m rassegna, è esemplare la vicenda che vede uscire da Roma la 'Pietà' di Michelangelo destinata a Firenze (jìg. 12). 111 > I passaggi sono ben documentati: sapp iamo che Piero Capponi, ereditata la scultura dal padre Scipione, l'aveva venduta al granduca Cosimo III per trecento scud i il 25 luglio 1671 , con la consueta

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  • 12- FIRENZE, M SEO DELLOI'ERA DEL DUO '10 MICHELANGELO B ONARROTI : PIETÀ

    (da WASSERMAN 2006, li g. 6- foto Au-relio Am.endola)

    intermediazione di Paolo Falconieri. Tre anni più tardi, fa ttasi pres ante da Firenze la r ichesta di esportazione, iniziano le circospette manovre per pianificare l'uscita da Roma dell ' imponente opera michelangiolesca. I fio-rentini nel tastare il terreno si man tengono vaghi , chie-dendo genericamente eli poter spedire «una statua che il Granduca ti ene costà», benin teso accorti nel farlo > :11 2> era loro scrupolo evitare eli dare l'impress ione che l'opera

    20

    fosse stata acquista ta g ià con l'intento di esportarla, e certo dietro queste cautele stava anche il timore eli un veto eli Bellori. I.:operazione r ischiava inoltre eli com-plicarsi, per via di due teste antiche acquista te per conto del cardinale Leopolclo, anch'esse da mandare a Firenze, non senza preoccupazioni circa la licenza:

  • D I T T o Contro quelli , che caucranno , ò guafiaranno Edifirij antichi , c loro platee

    e pozzolana con ,burborc :

    ....

    E N C H E altre volte con altti fimi!i Editti lì lia prohibiro, che nelfuno nel cauarr hauefi"'r ardire di demolirt.J , lk dc:uafb.re, diminuire ne rompere Ji Edi6rj, anrkhi, velligij, platee, ne alue antichicl: , ne: meno c.tuue vicino alle maraglir di Roma, coadorri di Fooune , Ccmirtti, & ftr:tde publichc: r.tnro denno_) quauto fuori di Roma... fe noo difllntc da ' COIDC fi dir~H baff'o • Con rurco ciò alcuni non oll•nte la derra probibitione honno ardite di con-itc,e Noi i dòprouodere. Pertllntop

    -iNiioMA-:N'dlaSrampcriaddla Reu;;.;;bC::..--;A;-n.~M.DC"Lxm:----

    . Alt!J-/•

    ~ 13 - ROMA, BIBLIOTECA CASANATENSE - EDITrO DEL CAMERLENGO PALUZZO ALT JERI DEL 9 MAGGIO 1685

    (su concessione del Ministero fJer i Beni e le Attività. Culturali, © Biblioteca Casanatense - fo to M ario Setter 2007)

    il problema delle teste qualche mese più tardi :

  • l -l - PI ETRO SANTI BA RTOLI DA GIOVAN FRANCESCO GRI MALDI : LO SCAVO DEL SEPOLC RO DEI NASON I

    (da B A RTO LI-BELLORI 1680, tav. l)

    (sn concessione del M inistew jJer i Beni e le Attività. Culturali, © Biblioteca CasanatensP - foto Mcnio Setter 2007)

    sfatto per lo scambio di favori (e forse non bene infor-mato dell ' importa nza della 'Pie tà' : di cui Falconieri, ad esempio, po teva trasmettere . trionfalme nte a Firenze l'entusiastico giudizio di Bernini ), 11 5> ordinava al suo uditore monsignor Anta ldi la licenza, che il 16 giugn o 1674 veniva consegnata direttame nte a casa del resi-

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    dente della Legazione toscana a Roma, Torquato Mon-tauti . Il testo è nulla più che una formula burocra tica, ma forse in quel ridurre l'opera a

  • me el i un baratto assolu tamen te impari. Così, seppur col rammarico eli qualche onere («ma per il registro ed il sig-illo si sono spes i alcuni testoni>> , scrive Mo~ ta.uti), 11 '> era stata completamente scavalcata la veros tmtle opposizione eli Bellori, senz'altro contrario alla perdita eli un'opera monumenta le eli Michelangelo: l'artista che, solo, nei si legge anch e negli editti generali di tutela, a partire da quello Sforza del 1646: gli oggetti r itrovati , dei quali

  • pagni vengono autorizza ti a scavare > , con obbligo di denunciare i ritrovamenti al camerlengo.130l Q uesti documenti, tuttavia, vanno letti come misure eccezio-nali , vo lute dal papa in persona a benefi cio di uno dei più rappresenta tivi fra i tanti interventi architettonici e urbanistici messi in opera in quegli anni; 131) tra l'altro, le licenze non fanno alcun riferimento a Leonardo Agostini , commissario in carica, configurandos i nel complesso più come intervento imposto dall 'alto e una tantum, che come ordinario procedimento conservativo conforme alle norme di cui sopra.

    Che ad un certo punto, però, si sia tentata sul se rio una r iorganizzazione amministrati va in proposito, è suggeri to da alcune tracce di essa ri sa lenti a circa vent'anni più tardi , e dunque in pieno commissariato belloriano. Nel gennaio del 1683 otto scalpellini romani firma no un docume nto nel quale testimoni ano di molti ritrovamenti di colonne intere e framme nta-rie, varie per qualità e materiali, avvenuti , sarebbe sta ta oggetto di una causa discussa nell 'agosto del 1686. 13·"l N o n conosciamo gli es iti de lla ver tenza, che tuttavia stando al documento Lanciani sembra inizialmente orientarsi a favore de lla Camera, dato che la colonna viene sequestrata per ordine del nota io Antanoro. Es iti a parte, la vicenda in sé pare testimoniare di un' inversione di tendenza ri spetto a quanto era avvenuto, sta ndo a lla suddetta testimonianza degli scalpellini ,

  • Capua) che Giovan Pietro racconterà l'a nno seguente nella premessa ai Viaggi di Pietro della Valle. Ragioni che inducono a dubitare della reale presenza in situ di Bello ri , nonostante la patente in ques tione riporti l'e-splicito riferimento alla sua «visita e fede»; tanto più che la data è prossima- in un caso addirittura coinci-de- con quelle indicate in altre licenze per scavi, sta-volta in Roma, concesse dietro sua approvazione. 143l

    on molto altro può aggiungers i al tema qui propo-sto, se non insistere ancora una volta sull'impressio-nante serie di documenti che testimoniano, come fitte orme, il percorso di Bellori. Se il difficile quadro isti-tuzionale che si è tratteggiato all'inizio riversava sul Commissario delle antich ità oneri eccezionali, sembra giusto concludere che Giovan Pietro abbia sposato la causa fino in fondo . Continuando e sempre rinnovan-do quell 'ass idua conoscenza di Roma e del suo territo-rio (ecco la funzionalità di un "distretto" estensibile a piacimento), improntata ad una visione conservativa enunciata con la lucidi tà di un manifesto già dai tempi della Nota delli musei, l'esperienza di commissario prosegue instancabilmente fino alla tarda età: paralle-lamente alle pubblicazioni antiquarie, alle cronache di scavi archeologici, alle "politiche cu lturali " condivise con Camillo Massimo e poi con Cristina di Svezia, e discusse con i suoi innumerevoli interlocutori e corri-spondenti fin da quando, molti anni prima, l'Accade-mia d i San Luca non a caso lo aveva nominato Curato-re de' Jomstieri . I registri camerali rivelano che egli continua a prestare servizio ed a effettuare ispezioni, eppur diradate, anche dopo il 29 luglio 1694, giorno

    in cui il suo amico e collaboratore Pietro Santi Bartoli prende ufficialmente il suo posto. La relazione del suo ultimo sopralluogo documentabile viene trasmessa alla Camera il 3 novembre 1695, pochi mesi prima della morte, sopraggiunta il 19 febbraio seguente. 144 l

    Sono jJarticolannente grato a Tomaso Montanari, poiché questo studio è Ji·ntto di un suo generoso invito iniziale e del suo continuo supporto. Per le diverse attenzioni, desidero ringraziare anche Fabrizio Bajec, Evelina Borea, Luigi Ficacci, Fmncesco Petrncci, i sabella Rossi, Stefano Santangelo, Nicola Spinosa e Diego Vaiano. Una jJarticolam Ticonoscenza devo anche a EnTica Lozzi e Rosanna Paluzzi della Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma.

    l ) Cfr. infra, § 2.

    2) Delle esportazioni esisteva già un quadro approssimati-vo grazie ai sin tetici elench i pubblicati nell'Ottocento da Antoni no Bertolotti (cfr. infra, nota 33). La verifica dei documenti ha permesso di in tegrare quei dati e di inserirli nel ben più ampio contesto della sovrin tendenza agli scavi, principa le occupazione di un commissario. La scelta di deli-mitare cronologicamente l'indagine alla seconda metà del Seicento non è del tutto arbitraria: dal 1654 iniziano infatti i regi tri della Presidenza delle strade, principale fonte delle licenze in questione, conservati presso l'Archivio d i Stato di Roma (d 'ora in poi ASR). In misura minore si trovano anche ll1 ASR, Camerale l, Diversorum del Camerlengo. Infine si ha notizia di alcune altre licenze, non rintracciate in archivio

    da chi scrive, grazie all e pubblicazioni d i Bertolotti e di Rodolfo Lanciani (cfr. infra il Regesto).

    3) MONTANARI 2000, p. 49, nota 56.

    4) Cfr. RJDLEY 1992, pp. 11 7 e 118.

    5) Cfr. FRANCESCHI NI 1986; CURZI 2004, pp. 33-46.

    6) Per la sequenza e i profili biografici dei commissari cfr. RIDLEY 1992.

    7) MONTAI ARI 2000, p. 44.

    8) Del commissariato di Cocchi (già citato in MONTANA RI 2000, p. 49, nota 55) rimangono la nomina del 23 agosto 1667, in Archivio Storico Capitolino (d'ora in poi ASC), Camera Capitolina, Cred. VI, StJ-agr. 24, t. 52, c. 182r; e diverse licenze di scavo per le quali cfr. LANC IAN I 1994, pp. 24 1-248, passirn, e ASR, Presidenza dell e strade, 4 7, passim.

    9) ASC, Camera Capitolina, Cred. V1, StJ·agr. 24, t. 52, c. 22lr.

    LO) D'ora in avanti si r imanda a [;Idea del Bello 2000 per ogni riferimento all a vicenda belloriana, al cui proposito, per le questioni che qui in teressano, si vedano anche MoN-TANA RI 2002 e SPARTI 2002, spec. pp. 177-181. Gli scritti di Bellori citati sono oggi consultabi li anche nel Corpus Infor-matico Belloriano, http://biblio.signum.sns. it/bellori.

    Il ) Cfr. SPARTI 1998a.

    12) BELLORI 1664. Di recente Margaret Daly Davis ha pro-posto un'attribuzione della Nota non a Bellori, bensì a Fio-ravante Martinelli: al primo spetterebbe solo la stesura delle pagine conclusive sui Vestigi delle pitture antiche. Prescin-dendo dalla discussione di ta le tes i, trovo che la spettanza delle due parti ad un unico autore - insostenibile secondo Daly Davis- o a più d'uno, sia un problema estraneo alla let-tura dell 'opera proposta in queste mie pagine. In quanto elenco, infatti, la Nota è necessariamente una compilazione di voci e contributi vari assimilati da Bellori nel tempo, e riorganizzati per l'occasione certo con aiuti diversi (magari anche di Martinelli) . E soffermandosi su lle ragioni di fondo del progetto (e quindi a monte del lavoro compilativo) che risulta del tutto convincente la sua paternità belloriana (a dimostrazione della quale, comunque, oltre a MERCATI 1952 si veda da ultimo MONTANARI 2000, p. 48, nota 46, trascura-to da Daly Davis) . Cfr. DALY DAVIS 2005.

    13) Cfr. EM ILIANI 1978, p. 60.

    14) LUNADORO 1664. In due copie ai tre volumetti è aggiunto anche quello di Fioravante Martinellj Rorna ricer-cata nel suo sito e nella scola di tutti gl'antiquari (terza edi-zione aggiornata).

    15) Dall'introduzione A' lettori di BELLORI 1664, p. 3. 16) Cfr. D1 TEODORO 2003, pp. 4 sgg. La c. d. "lettera" ha

    come principale innovazione il felice incontro, per la prima volta espresso programmaticamente, fra la volontà di tutela e la coscienza di un archi tetto, un addetto ai lavori, ossia una figura che per secoli aveva operato dalla parte dei «distrut-tori de lle sanctae vetustateS >> . Questo, unito al carisma e all ' importanza dei protagonisti, nonché al ruolo simbolico di Roma antica, conferisce a lla vicenda della "lettera" il risalto eccezionale che occupa nella moderna visione storica della tutela. Di diversa natura i lumi portati dalla Nota delli musei, li mp ida affermazione "operativa" dell'idea di patri-monio come bene pubblico, ancorato al suo contesto, che si

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  • offre essenzia lmente come oggetto di studio pur nell ' ine lu t-tabil e •·ea ltà de l commercio.

    17) Nell 'ambito degli studi d i storia de ll a tute la il proble-ma dei fedecommessi relat ivo a lle co ll ezioni artistiche è sosta nzia lmente anco•·a tutto da indaga re, dato che ri guarda pressoché ogn i fa mig lia nobi le di Roma fino a l Settecento ava nzato ed o ltre. Una recente ampia trattazione stori ca è in PICCIAL TI 1999, dove i ev idenziano i compless i fattori socia li e g li aspetti tecn ico-giuridici sottes i ad un tema che so lo in via provv isoria può ridur i schematicamente ad esempi come quelli da me citati nel Lesto.

    18) Q uasi in diretta opposizione a ll e fin a lità "merca ntili " espresse in certa letten1tura artistica, è stata proposta un a lettura "conservativa" di un preciso passo dell a Nota. Quan-do Be llori, citando la coll ezione di Agost ini , decide di nomi -nare tre opere antiche- le teste di Seneca, Be renice e C leo-pau·a - che di Il a poco avrebbero lasciato definitivamente Roma per Firenze a beneficio di Leopoldo de' Medici , avrebbe avuto l' intento preciso di scongiura re, anche so lo idea lmente, una simile perdi ta (cfr. VA IAN I 200 1). Q uesta ipotesi non è tuttavia corroborata da i documenti , che coll o-ca no la compravendita in que tione in un mo mento ben suc-cess ivo rispetto a que llo d i stesura de ll a Nota. Agosti n i, sta n-do a l ca rteggio co n Leo poldo, vende a quest'ultimo le tre sculture ne l settembre 1665, e non sem brano essere plausi-bili lunghe trattative pregresse. Cfr. FILETI MAZZ 1998, pp. 17,204-205,2 16 e 3 14-3 15.

    19) FALCON IERI 1665. Su ll a pa rtecipaz ione di Barto li a ll e tavo le cfr. POMPON I 1992, p. 204 e DE LACHENAL 2000, p. 629; ead., cat. 17, pp. 648-650.

    20) PROSPER I VALENTI RODINÒ 2000, p. 134.

    2 1) BARTO LI-BELLORI 1680, p. 15.

    22) È anche per questo che le pubbli cazioni a quattro mani d i Barto li e Be ll ori sono state va lu tate «in un certo se nso la testimon ia nza pii:1 diretta e a rticola ta de l ruo lo e de ll'attività ese1-citata da Be ll o ri come Commissa ri o a ll e an tichità , (DE LACHENAL 2000, cat. 40, p . 665). Pe r il rap-porto di Be ll o ri con le incisioni , intese come suss idio a lla memori a visiva strettamente complementare a i propri testi o ·itici, cfr. BOREA 1992.

    23) Cfr. PIZZORUSSO 1996, spec. pp. 80-82 .

    24) Roma, Biblioteca Uni versita ri a Alessandrina, Ra ri 2 16. C ii·. FRUTAZ 1972, l, pp . 64-67.

    25) Cfr. supra, nota 9. 26) ZANOTTI 1982, p. l 4, no ta 6.

    27) CAVANNA 1979, pp. 19 1-236.

    28) i bidem, p . 204.

    29) Per tale ragione, no n sono mo lto pe rsuasivi CONDE~·II 1987, spec. pp. 35- 5 1; SPERON I 1988, spec. pp. 13-48; T UENA 1989; BED IN-BELLO-ROSS I 1998, spec. pp. 49-72, pe r rim ane re in ambi to se icentesco.

    30) Al •·iguardo segna lo .J ESTAZ 1963: si tratta di un o stu-dio fondato pro prio sulle licenze co mmi ssa riali , tanto pio-ni eri stico quanto trascurato da ll a lette ratura successiva.

    3 1) I.: editto em e so da l camerle ngo Anton io Ba rbe1·ini il 30 agosto 1655, assente ne l compendio di Em iliani, è co n-sultabil e in Bibilioteca Apostolica Vaticana (d'ora in po i BAV), Edi tti, 29, c. 59 (e rroneam ente rilegato ne l vo lume

    26

    de ll 'anno 1665), e presso la Biblioteca Casanatense di Rom a (d 'ora in po i BC), Editti e bandi , 8, c. 36. Si differenzia da l precede nLe ed itto SfOl-La unicamen te per l'aggiun ta d i un capove•·so in cu i si in tima a chierici, preti e frati di coll egia-te, bas ili che e chiese roma ne, di rendere conto entro un mese di eventual i ve ndite ill ecite di marm i vari, orig inaria-mente dest ina ti a ll 'ornamento degli ed ifi ci sacri di ri spettiva competenza .

    32) Re La inteso che non vi è alcuna certezza su l real e intento di innova •·e in ta l senso la no•·mativa per mezzo della consapevole aggiun ta de l term ine > , sta nte l'a ttestazione di Flam inio Ponzio che ta li oggetti n9 n venga no sottra tti a lla fabbrica de ll a Cappe lla Paolina . E solo la JXima dell e numerose spedi zion i di dipinti autor izzate con regolare li ce nza, per le qu a li si vedano g li e lenchi pubbli cati in BERTO LOrn 1875-1876; BI:: RTOI.OTTI 1876; BERTOLOT ri 1877; BERTOLOTri 1877- 1878; BERTOLOTfl 1878- 1879a; BERTOLOTri 1878-1 879b; BERTO LOTri 1880-1 882; BERTOLOTTI 188 1, Il , pp. 178- 180; BERTO LOTTI 1884, pp. 243-248; BERTOI.OTTI 1886, pp. LOI, 157- 158, 18 1.

    34) Allcol·a ne ll 'Ottocento sa rà Carlo Fea a ribadire co n forza qu esto princip io :

  • 17) Regesto, 28. Il dipinto è oggi conservato a Monaco prc '>0 le Bayerische Staatsgemaldesammlungen (ln v. n. -Uìti); ne l 1670 si trovava ne ll a Villa Ludovisi di Zagaro lo, pct po i essere acqu istato d a l granduca Cosimo III che lo an·ebbe in seguito donato a ll 'Ele ttore Pa lat ino . C fr. BoREA J%5, pp. 180 e 18 1; SPEAR 1982, l, pp. 149- 15 1.

    "18) Cfr. la lette ra d i Pao lo Falconi e ri a Lorenzo Magalotti, in 130 ITA RI-TICOZZ I 1822- 1825, Il , pp. 44 è 45 .

    19) Regesto, 28, 34, 288. Cfr. anche infm, nota 64. Come .,i legge ne ll a "memoria" del duca d ' Estrées de l 1687 (cft·. .\ppe ndice, doc. 5), il paga mento d i un a modesta tassa era obbligatori o solo in caso di esportazione per via flu via le e mariuima, come è il caso proprio de lle licenze in questione.

    50) Regesto, 123.

    5 1) Ibidem, 186.

    :)2) lbide·Jn , 194.

    :)3 ) Ibidem, 235. Due dipinti perduti ra ffigurant i 'Sansone e Dalila ', as ociat i a Reni e da ll e mi su re compatibi li con quello documentato ne lla li cenza, sono cita ti a partire da l 169 1 nell e coll ezion i rea li di Francia, dopo che nel 1650 un'opera reni ana d ello stesso soggetto appariva ne ll ' inventa-r io Savelli (cfr. PEPP ER 1988, p. 355, 04). Ciò può mette rsi in re lazione co l fatto che, circa tre mesi prima de ll a licenza in questione, il ministro Louvois si congratulava da Parig i con La Teul ière per l'acquisto di un quadro di Guido Ren i da l principe Savelli (cfr. BR EJON DE LAVE RGNÉE 1995, p. 14 7, n. -13).

    54) Regesto, 242. Cft·. anche SPARTI 2002, p. 178.

    55) Nel cata logo sacchiano un simile d ipinto è documen-ta to in più version i fra cu i anche qu e ll a di Omodei, pe ra ltro cita ta da Be ll ori ne ll a Nota delli musei prima che veni sse condoua a Milano. Nessuna fra quelle superstiti tuttavia può coll egarsi con sicurezza a l documento in qu estione, fe rmo t ·e~ ta ndo che l'ottangolo con 'Agar e Ismaele ne l deserto' de l Nati ona l Museum of' Wa les (Cardiff) è di dimensioni sensi-bilmeme maggiori rispe tto a l dipinto di Omode i, i cu i «tre pa lm i incirca•• meglio si adatterebbero a lle mi sure de ll 'esem-p lare oggi a l Museo dell'H ennitage di San Pietroburgo. Cfr. SL' III ERLAN D H ARR IS 1977, ca t. 22 , p. 63; DE MARCHI 1987, pp. XXIX- XXX.

    56) Secondo quanto mi suggerisce Nico la Spinosa , che qui ri ngrazio per l'aiuto e la gentil ezza, no n è a l momento pos'> ib ile lega re con sicurezza il documento ad a lcuna opera nota d i Ribera: semmai posso no citars i come identificazion i più logiche il 'San Girolamo' e il 'Santo' a mezza figura de lla Pmacoteca d i Bre ra, nel 1886 in collezione Giuseppe Vallar-d i a Milano (cfr. SPINOSA 2006, p. 287, n. A70).

    5~) l due dipinti saran no megli o conside rati in un lavoro speu fi co su ll 'opera pittorica d i Mola, argom ento della tes i clt do uorato de ll 'autore delle presenti pagine.

    58) Regesto, 243 .

    . 59) Il documento sarà d iscusso da chi scr ive, nell 'ambi to clt uno studi o in corso sul pittore anconetano Giovann i Peru .u:ini , ben noto a Bellori e att ivo a Roma ne lla prima metà deg li anni '70. Pet· notizie genera li , cfì·. a lmeno Anto-1110 Francesco Peruzzini l997,jJasshn.

    60) Regesto, 24 1.

    6 1) Ibidem, 247.

    62) Ibidem, 256. Cfr. l'ARTI 2002 , p . 178.

    63) L:esportaz ione di un numero rilevante di dip inti ini zia ad essere documenta ta con una ce rta sistemati cità solo da i primi de l Settecento. Pre lude a que ta nuova fa e una li cen-za concessa ancora vivente Be ll o r i ma g ià con .Barto li com-missario: novanta quadri di autori d ive rsi esportati da Roma con destinazione imprecisa ta da Pietro Paolo Migna ne lli (9 novembre 1695), cit. in BERTOLOT n 1877-78, fa se. 5, p . 2 12.

    64) Regesto, 56. C f't·. BUTZEK 1980, pp. 4 1; 63, doc. XLV, l (dove si accenna a l paga mento di un

  • 73) Regesto, 185. Cfr. PETR UCCI 1993, p. 95; 1GELINI 1998, p. 240.

    74) Re gesto, 237. Il gruppo scu ltoreo er·a stato com mis-sionato a Dome nico Gu idi da Colbert, ed esegu ito a Roma tra 1678 e 1686. Spedito a Versaill es e inizialmente posto nell 'O rangerie, dal 1702 è collocato presso il Bassin de ep-tu ne, in sostituzione della statua equestre di Bern ini. Cfr. WrnKOWER 1938, pp. 189 e 190.

    75) Regesto, 238. Cfr. Sc JBERRAS 2004, pp. 102-111 , 200 (nota 40), 2 19 e 222.

    76) Regesto, 135. Giovan Girolamo Acquaviva d 'Aragona, conte di Conver·sano, aveva ered itato attom o al 1666 i beni del suo omonimo avo, r icordato per la condotta di vita tur-bolenta ma anche per la ricca coll ezione artistica dislocata tra Conversano e Napoli . Cfr. Inventario delli beni 1983, pp. 44-56, 72-74, 77 e 78; più in genera le FASANO GUARJN J 1960.

    77) Regesto, 242. Perdute le tracce degli esemplari di O modei, ce ne si può fare un 'idea attraverso a ltre rep liche esistenti schedate in Bo DO• -MACH UEL 2005, p. 266.

    78) Regesto, 198. Si tratta dello scul tore Alessandro Ron-doni, attivo in diversi cantieri romani di tardo Seicento (cfr. ad indicem Trn 1674- 1763 e FERRAR J-PAPALDO 1999), omo-nimo dello scul tore e antiquario che aveva lavor·ato nei primi decenni del secolo per il duca di Mantova (cfr. BROWN 2002, p . 76, nota l ).

    79) Regesto, 258 e 260. Si tratta verosimilmente di ar redi per il nuovo palazzo di famiglia sull'Arno, a llora in costru-zio ne per ini ziativa del marchese Filippo C01·sini sotto la direzione di Anton Maria Ferri. Cfr. RUDOLPH 1972, p . 23 1.

    80) Regesto, 78.

    8 1) Ibidem, 79.

    82) Ibidem, 123. Cfr. CoNSO LI FJEGO 1939, spec. pp. 11 4 sgg. Da ultimo cfr. MASCJ 1999, con bibliografia.

    83) Regesto, 226.

    84) Regesto, 124. Le statue si trovano tuttora nel portico del cas ino di Cetinale, cfr. BENOCCJ 2005, pp. 29 1, 298; CAc-CJOTTl 2004, p. 19.

    85) Regesto, 143.

    86) Regesto, 152. Cfì·. BENOCCI 2005, pp. 292, 298.

    87) Regesto, 208. Sull e decine di ritratti all 'antica colle-zionati nel tempo da Flavio Chigi cfr. CACC JOTTl 2004, spec. pp. 49-5 1.

    88) Regesto, 2 19. La Galleria degli Uffizi conserva a partire almeno dal l 704, quando vengono inventariate per la prima volta, due statue di 'Apollo' di altezza compatibile coi «circa sei palmi» di quella documentata ne lla licenza. Cfr. MANSUEL-u 1958-196 1, I, cat. 43 , pp. 64 e 65; cat. 103, p. 138.

    89) Regesto, 19 1. Il bassorilievo e la statua si trovano oggi entrambi al Museo Archeologico Nazionale di Siena . Il primo, già collocato a Roma nel corti letto del palazzo Chigi a i Santi Apostoli , venne trasferito nel salone della villa di Cetinale e infine musealizzato dopo un tentativo di acqui sto privato nel 1970 (cfr. CACCIOTT I 2000, p. 192 ; CACCIOTTl 2004, pp. 19, 73) . La statua è ·identificata in CACClOTil 2004, p. 19, r·ettificando quanto proposto in ANGELJN J 1998, p. 234, nota 308.

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    90) Cfr. BARTOLI-BELLOR J 1693, tav. 62.

    9 1) Regesto, 97. Cfr·. MONTAI GLON 1887-19 12, VT, p . 4 13; HASKELL-PENNY I 984, p . 72 e catt. 12, 53, 89; MONTA1'IARI 2000, p. 47.

    92) Regesto, 169.

    93) Il carico può mettersi in relazione con le duecento-tre nta casse di busti e statue giunte a l porto di le Havre in luglio (cfr. G UIFFREY 188 1- 190 1, II, col. 130).

    94) La citazione, in contesti diversi , è ripresa anche 111 HASKELL-PENN Y 1984, pp. 52 e 53; MONTANARI 2002, p. 120; SCHNAPPER 2005, p. 341.

    95) Regesto, 27, 92 , l I 8, 13 1, 170, 179, 194, 206, 22 1. Si noti la genericità dei testi, e soprattutto l'assenza del r·iferi-mento alla ••visita e fede >> del commissario ne ll 'unica licenza verificabile sui documenti or·igina li (27), ma da supporre anche nelle a ltre.

    96) Cfì·. MONTAIGLON 1887-19 12, VI, pp. 390-407, pas-sim. Sull'orientamento politico del card inale Cybo cfr. STUM-PO 198 1, spec. p. 229.

    97) Regesto, 205, 22 1. Con ogni probabilità si tratta del calco cui si riferisce Charles Perrault nel suo Pamllèle des anciens et des modernes (l , pp. 185 e 186), che a Pari gi verrà collocato in un cortile del palazzo reale ma sarà destinato a una singolare sfortuna critica, specie per· bocca di Étien-ne-Maurice Falconet che, tra l'altro, nemmeno un secolo più tardi scriverà: «Si Perrault n'eut pas écrit que cette figure avoit été à Pari s, peut-etre l' ignoreri ons-nous encore; ces traditions ne se perdent pas ord inariement parmi nous, quand l'ouvrage a mérité notre vénération» (FALCONET I808, III, p. 138). Sulla vicenda cfr. HASKELL-PENNY 1984, cat. 55, e SÉNÉCHAL 1986, pp. 155 e 156.

    98) Cfr. BREJON DE LAVERGNÉE 1995, p. 146, n. 24 (lettera di Louvois a La Teulière del 18 marzo 1685).

    99) VALERY 1847, l, p. 134 (lettera di Miche! Germai n a David-Placide Porcheron del 2 ottobre 1685).

    100) Cfr. MONTAJGLON 1887-19 12, l , pp. 153 e 154 e VI, pp. 390-4 18, passim; HASKELL 198 1, p. 12; HASKELL-PEN NY I 984, p. 4 7 e catt. 22, 45; BREJON DE LAVERGNÉE 1995, pp. 143 e 144 (n . 4), 146 (n. 37), 147 (n . 43); SCHNAPPER 2005, p. 342. Cfr. anche infra, nota l 02 .

    101 ) Louis Alvarez era un mercante d 'arte che operava a Roma per conto del re di Francia. Sulla vicenda che lo vede protagonista in negativo tra 1685 e 1686, circa l'esportazio-ne di tren tasette casse di statue antiche restaurate da François Girardon, e a ltri materia li , cfr. VALERY 1847, I, p. 219, LXXX; pp. 227 e 228, LXXXI; MONTAJGLON 1887-190 l , VI, pp. 390-405, passim; BREJON DE LAVERGNÉE 1995, p. 147 (n . 5 1). Per la sua attività più in generale cfr. SCHNAPPER 2005, ad indicem, e RAIMBAULT 2006. Cfr. anche infra, Regesto, 234, 236.

    l 02) Il testo del chirografo è in BERTO LOTTl 1886, pp. 182 e 183. È certo frutto di una trascrizione errata di Berta-lotti la licenza con cui le statue del 'Germanico' e del 'C in-cinnato' sarebbero state spedite in Francia il 15 marzo 1686, più di un mese prima del chirografo papale (ibidem, p. I 82). Cfr. anche la bibliografia in nota l 00.

    103) Cfr. spec. MONTAIGLON 1887-1 9 12, VI, pp. 39 1 e 392 (lettera del duca d 'Estrées a Luigi XIV del 9 apriJe 1686).

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  • 104) Cfl-. supnt, nota 101. Le statue erano ancora a Roma alme no fin o a l 20 maggio 1686: anche in questo caso, dun-que, è da ritenersi errata la notizia dell'esportazione eli ta li statue con licenza del 13 marzo 1686 (in BERTOLOT ri 1886, p. 182).

    1 05) Cfr. Re gesto, 234-23 7. È ev idente la maggiore accu-ratezza ri spetto a i documenti pre- editto, a partire da ll 'esp li-cita attestazione d ella > .

    116) Regesto, 61.

    117) GOLDBERG 1983, p . 354, nota 15.

    118) Dall 'introduzione all a biografi a be lloriana eli Duque-snoy, in BELLORI 1672-1 695, p. 287 .

    119) PERRJER 1638, tav. 20.

    120) ASR, Bandi , 12, c. 66.

    121) BC, Ed itti e bandi , 8, c. 48.

    122) Appendice, doc. l .

    123) Che poi il numero delle li cenze sia ben più cospicuo si deve a l f~mo che spesso, in caso di scavi in fondi già ispe-zionat i da l commissario, per autorizzare scavi successivi era sufficiente che i segretari camerali nel redigere le nuove patenti si ri chiamassero alla «vis ita e fede>> orig inaria, ancor-ché vecchi a eli anni, aggiornandone i dati (nuovo concess io-nario de ll o scavo, o nuovo proprie tario del fondo etc.). Si hanno qu indi casi come quello de l sopralluogo effettuato da Bellor i il 15 aprile 1674 nell a vigna di Marco Mariani , fu ori Porta San Sebastiano, che ser·ve da ri fer imento per le licenze

    concesse anche il 29 maggio 1675, il 25 maggio 1679, il 9 agosto 1686, il 27 agosto 1687 e il 30 marzo 1694 (eh-. Rege-sto, 57).

    124) Cfr. spec. BARTO LI-B ELLORJ 1680, p. 8.

    125) FEA 1833, p. l sgg.; in proposito cfr. SPERON I 1988, pp. 28- 36.

    126) GIOVANARD I BUFFERLI 1778, pp . 18-23. Si veda anche la form ula dell a li cenza per le cave de l 1640, pubblicata a ll e pp. 39-41: «Volumus autem, quocl de traclencl is Reverenclae Camerae Apostolicae quartam partem de om nibu inveni en-d is ( ... )>> .

    127) EM ILI ANI 1978, p . 60.

    128) Pubblicata in FAR INACCI 16 15, CCCLIX, pp. 406-408.

    129) AS R, Presidenza dell e strade, 46, c. 28v.

    130) Ibidem, c. 52r:

    131) Cfr. KRAUTHEIMER 1987, pp. 112-11 9 e passim.

    132) ASR, Camera le II, Antichi tà e belle arti , 3, fase. l 14, c. 8: «No i infrascritti sca rpellini nell a città el i Roma, faccia -mo piena ed in clubi tata fed e p er la verità a chi spetta , anco medi ante il nostro giuramento, come per lo spa ti o di molti ann i che noi eserciti amo detto mestiere, nel qual tempo si sono ritrovate in più e diversi luoghi da diverse persone, diversi pezzi eli co lonne di giallo antico, mischiato, marmo fin o verde anti co ed a ltre qua lità, ed anco colonne in tie re, ed anco ricordiamo che nessuna di esse sia stata incamerata, né il prezzo di esse applicato a ll a Reverenda Camera, ma sempre se l'hanno pig lia te quelli che l'hanno trovate , ed in fede della verità abbiamo sottoscritto la presente di nostra propria mano. In fede questo dì ... gennaro 1683 (seguono firm e autografe di o tto sca lpe llini)>>.

    133) Regesto, 21 O.

    134) ASR, Camerale II, Antichi tà e belle arti , 3, fase. 120, cc. non numerate.

    135) Pubblicato con una segna tura oggi inu tili zzabile in LANCIANI 1994, p. 277.

    136) Cfr. BARTO LI 1790, p. CCL.

    137) Regesto, 280.

    138) Ibidem, 138.

    139) Ibidem, 276. Ch-. Appendice, doc. 4. Questo e i docc. 2- 3 sono i rarissimi esempi noti di re lazioni autografe di Be ll ori , e consegnate alla Camera per essere convertite in licenze.

    140) Regesto, 215.

    14 1) Ibidem, 188.

    142) Ibidern, 232.

    143) Relazioni di Be ll ori vengono consegnate a lla Camera il 14 e 28 febbra io, e il l o marzo (ibidem, 230, 23 1, 233).

    144) Ibidem, 312. È certamente frutto di un errore di tra-scrizione l'i nd icazione di un sopra lluogo compiuto da Bel-lori il 15 marzo 1696 che compare in una licenza emessa il 18 marzo 1697 (ASR, Presidenza d e lle strade, 54, c. l 29r- v).

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