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Giornata di studio: 31 Marzo 2004 LA LAGUNA DI ORBETELLO CONSERVAZIONE, ATTIVITA’ PRODUTTIVE, TURISMO E RICERCA SCIENTIFICA Prof. Silvano Focardi Dipartimento di Scienze Ambientali, “G. Sarfatti”, Università degli Studi di Siena. Via Mattioli, 4 - 53100 Siena. [email protected]

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Giornata di studio: 31 Marzo 2004

LA LAGUNA DI ORBETELLO

CONSERVAZIONE, ATTIVITA’ PRODUTTIVE, TURISMO E

RICERCA SCIENTIFICA

Prof. Silvano Focardi

Dipartimento di Scienze Ambientali, “G. Sarfatti”, Università degli Studi di Siena.

Via Mattioli, 4 - 53100 Siena. [email protected]

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Introduzione

Le lagune costiere, definite come il punto di incontro non solo geografico ma

anche biologico tra terra e mare, occupano il 13% dello sviluppo costiero mondiale. Si

tratta di ecosistemi di grande importanza ecologica, per la elevata produzione e la

caratteristica biodiversità.

Nonostante la loro importanza dal punto di vista ecologico, però, a causa della

forte antropizzazione della fascia costiera, nell’ultimo secolo, è scomparso circa il 90%

delle zone umide europee. Questo ha comportato una grave perdita del patrimonio di

biodiversità, di specie animali e vegetali, ad esse connesso.

Di questa generalizzata riduzione delle aree umide risente anche la Provincia di

Grosseto, dove oggi sono rimasti pochi lembi rispetto alle grande estensioni del passato.

Oltre alla Laguna di Orbetello, le zone residue sono quelle del lago di Burano, le zone

paludose poste alla foce dell’Ombrone, e quella della Diaccia Botrona.

Le lagune e gli stagni costieri hanno avuto origine a seguito del progressivo

avanzamento del mare sulle terre emerse (trasgressione), che può verificarsi o per

innalzamento del livello marino (eustatismo positivo) o per abbassamento delle terre

emerse (epirogenesi). Questi ambienti scompaiono in regime regressivo (eustatismo

negativo) cioè quando si ha un abbassamento del livello marino. Le altre condizioni per

il loro sviluppo e consolidamento sono il sufficiente apporto terrigeno (fluviale o

derivato dall’erosione costiera) ed il trasporto di sabbie lungo la riva (correnti costiere).

La marea è il meccanismo attraverso cui la laguna “respira”; il suo ingresso

viene anche detto dagli ecologi “vivificazione marina”. Il parziale ricambio idrico con il

mare contribuisce a migliorare le condizioni delle acque riducendo le variazioni

termiche e saline, aumentandone la trasparenza e la quantità di ossigeno disciolto. Il

fenomeno di vivificazione è importante soprattutto d’estate quando la solubilità dei gas

in acqua diminuisce a causa dell’aumento della temperatura (legge di Henry) e di notte

quando cessa l’attività fotosintetica. Nelle lagune più estese si possono distinguere varie

zone proprio tenendo conto del limite cui giungono le maree: la parte di laguna più

soggetta agli apporti delle maree è più ricca di vita, mentre la parte più lontana dal mare

è più stagnante e povera di vita.

Vengono definite “lagune vive” quelle in cui le maree influenzano in maniera

notevole la vita degli organismi, la formazione e il consolidamento dei cordoni. Al

contrario gli stagni costieri detti “lagune morte” risentono in maniera molto minore,

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talvolta nulla, degli effetti benefici delle maree. La marea inoltre è il parametro

fondamentale che differenzia le lagune dagli stagni costieri.

La laguna è un bacino costiero dominato dalle maree, separato dal mare da un

cordone litorale (insieme di lidi), ma comunicante con esso attraverso bocche (foci). Le

“vere” lagune italiane si trovano solo nell’Alto Adriatico (Lagune di Venezia, Grado,

Marano) che è l’unico bacino del Mediterraneo interessato da escursioni di marea

accentuate (110-120 cm).

Lo stagno costiero è un bacino non dominato dalle maree, separato dal mare da

un cordone litorale (freccia litorale, tombolo) e comunicante con esso mediante varchi.

Nel Mediterraneo, per la scarsa forza delle maree, si sono formati prevalentemente

stagni costieri e l’Italia ne è particolarmente ricca: Valli di Comacchio (Emilia

Romagna), Lesina e Varano (Puglia), Orbetello, Diaccia Botrona, Burano (Toscana),

Laghi Pontini e Lago di Fondi (Lazio). La Sardegna è la regione con il maggior numero

di stagni costieri (Figura 1).

Figura 1. Lagune e stagni costieri italiani.

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Sia le lagune che gli stagni costieri, sono caratterizzati da bassa profondità e

ridotto idrodinamismo, infatti sono anche dette acque costiere laminari a cattivo

ricambio.

Manifestano ampie variazioni dei parametri chimico-fisici quali temperatura,

salinità ed ossigeno disciolto sia di ordine stagionale che giornaliero.

Data la bassa profondità l’intera colonna d’acqua tende a riscaldarsi fortemente

per irraggiamento, ma altrettanto rapidamente disperde, durante la notte, il calore

assorbito.

L’evaporazione estiva provoca forti innalzamenti della salinità rispetto al mare

mentre le precipitazioni autunnali provocano l’effetto opposto. Le acque lagunari

vengono definite “salmastre” perché, salvo i periodi più caldi, la salinità è inferiore a

quella marina a causa dell’apporto di acque dolci superficiali e meteoriche.

Oscillazioni di temperatura e salinità determinano a loro volta variazioni

dell’ossigeno disciolto: l’incremento della temperatura riduce la solubilità dell’ossigeno

in acqua. L’attività fotosintetica della vegetazione aumentano la concentrazione di

ossigeno, talvolta superando il valore di saturazione.

L’attività respiratoria degli organismi vegetali e animali, consuma l’ossigeno

presente nelle acque, soprattutto nelle ore notturne, quando cessa l’attività fotosintetica.

A causa dell’assenza di correnti, materiale organico (foglie, alghe, animali morti, ecc.)

si deposita ed accumula nei sedimenti.

In mare il pH varia da 8 a 8.3 in seguito all’azione tamponante del bicarbonato,

mentre in ambienti laminari anche le oscillazioni di pH sono più ampie 7 a 9. Anche

l’elevata concentrazione di nutrienti, quali azoto (N) e fosforo (P), negli ambienti

laminari è in gran parte dovuta al ridotto idrodinamismo. I nutrienti, provenienti dalla

mineralizzazione delle masse organiche e quelli che provengono da sorgenti esterne

(apporti fluviali, deiezioni dell’avifauna, scarichi urbani, ecc.) rimangono all’interno del

bacino che funziona da trappola di nutrienti e vengono rimossi solo dallo sviluppo di

nuova vegetazione.

Nella fase di degrado, i processi di mineralizzazione ossigenici e anossigenici

che decompongono le masse organiche accumulate sul fondo, determinano una

diminuzione del potenziale redox (Eh) delle acque che in casi estremi può diventare

negativo. Nei sedimenti il potenziale redox diviene più rapidamente negativo poiché

l’ossigeno presente si esaurisce rapidamente.

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I processi batterici demolitori della materia organica del sedimento, avvengono

inizialmente per via ossigenica con sviluppo di ammonio, quindi procedono fino alla

produzione di anidride carbonica ed acqua.

Successivamente, quando lo strato sedimentario va in anossia, tali processi

continuano per via anossigenica. Inizialmente viene utilizzato lo ione nitrato, in seguito,

quando il nitrato è esaurito e persistono ancora masse organiche da demolire,

subentrano batteri che utilizzano altri substrati, ad esempio il ferro (Fe).

Negli ecosistemi marini, la solfato riduzione è la via dominante di

decomposizione della materia organica e lo è ancor più nei sedimenti anossici delle

lagune costiere. Quando si innesca una intensa attività solfatoriduttiva, si può

raggiungere il fenomeno distrofico con produzione di idrogeno solforato (H2S) che può

provocare la morte della fauna ittica. .

Gli ambienti lagunari sono caratterizzati da una diversità biologica nettamente

minore di quella che si riscontra in mare aperto, tuttavia, le poche specie presenti

riescono a svilupparsi a densità talvolta considerevoli, in virtù della grande disponibilità

trofica e della ridotta competizione.

Le paludi e le lagune a basso fondale sono ambienti molto produttivi, molto

ricchi di biomassa e che ospitano reti trofiche adattate ad ambienti estremi, ma anche

molto delicate e facilmente distruggibili La notevole produttività richiama anche grandi

quantità di uccelli che possono sfruttare le grandi risorse alimentari presenti in laguna.

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La Laguna di Orbetello

La laguna di Orbetello è uno dei più interessanti ecosistemi presenti in Europa

ed una delle ultime zone umide ancora esistenti in Italia; per la molteplicità degli habitat

e per la ricchezza di specie animali e vegetali essa rappresenta un'area di grande

interesse scientifico, culturale ed economico. Questa laguna è stata classificata zona

umida di importanza internazionale con Decreto Ministeriale 9 Maggio 1977, ed è

protetta ai sensi della Convenzione di Ramsar.

La Laguna di Orbetello, situata all’incirca tra 42°25’ e 42°29’ lat. Nord e tra

11°10’ e 11°17’ long. Est, è un antico braccio di mare situato tra la costa toscana ed il

Monte Argentario separato dal mare aperto dai due tomboli completi della Giannella (a

Nord-Est) e della Feniglia (a Sud-Ovest) che, partendo dalla costa maremmana,

raggiungono le pendici dell’Argentario. Un terzo tombolo incompleto, prolungato

artificialmente fino all’Argentario mediante una Diga la divide in due bacini. Su questo

terzo tombolo corre la strada statale 440 e sorge il centro abitato di Orbetello (Figura 2).

La laguna ha un’estensione totale di 25.25 km2 ed suddivisa in due bacini

comunicanti, quello di Ponente ad ovest e quello di Levante ad est con una superficie

rispettivamente di 15.25 and 10.00 km2. Ha un’escursione di marea estremamente

modesta da 10 a 45 cm. La profondità media dell’intero bacino è di circa 1 m, con

variazioni da 40 a 170 cm.

La laguna di Orbetello, come molte altre lagune costiere, è soggetta da decenni a

processi di forte eutrofizzazione che si manifestano essenzialmente con lo sviluppo di

macroalghe e fitoplancton. Le cause di tali processi eutrofici sono da attribuire alla forte

antropizzazione del territorio costiero e allo sviluppo delle attività produttive.

L'inquinamento è sostanzialmente dovuto all'accumulo della sostanza organica immessa

dagli scarichi civili e dalle attività produttive, rappresentate essenzialmente dalle

itticolture intensive. Esiste inoltre un'immissione indiretta della materia organica,

dovuta alla notevole produzione primaria (biomassa vegetale) a sua volta causata

dall'arricchimento di fosforo ed azoto delle acque.

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Figura 2. Localizzazione della Laguna di Orbetello.

Negli ultimi 40 anni, l’incremento del grado di eutrofizzazione della laguna di

Orbetello ha progressivamente condotto a cambiamenti sia qualitativi che quantitativi

della vegetazione che è passata dalla dominanza di piante radicate acquatiche

(fanerogame) alla presenza esclusiva di macroalghe. Inoltre, fra le varie specie di

macroalghe presenti nel corso degli anni, si è instaurata una sorta di alternanza di specie

dominanti; nel periodo di maggior degrado era presente quasi esclusivamente una sola

specie, la macrocloroficea Cladophora vagabonda. Tali bloom macroalgali hanno avuto

inizio a partire dalla metà degli anni 60, periodicamente accompagnati da

iperproliferazione delle microalghe. Le macroalghe flottanti si sviluppavano

inizialmente in prossimità delle fonti eutrofizzanti (scarichi urbani e reflui delle

itticolture) per poi essere trasportate dai venti nelle altre aree della laguna, con il

conseguente diffuso arricchimento dei fondali di materia organica e nutrienti. Infatti le

macroalghe hanno un elevato tasso di accrescimento ma un limitato ciclo vitale,

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generalmente un breve arco stagionale, e quando cadono sul fondo si decompongono ed

innescano processi di solfato riduzione che causano una drastica diminuzione

dell'ossigeno disciolto nella colonna d'acqua e sviluppo di gas tossici dal fondale. Al

contrario le fanerogame hanno un ciclo vitale significativamente maggiore,

generalmente annuale, e sono in grado di trasferire, attraverso le strutture ipogee, parte

dell'ossigeno prodotto durante la fotosintesi ai sedimenti mantenendoli in buono stato

ossidativo.

Le condizioni di anaerobiosi e solfato riduzione causate dalla decomposizione

delle notevoli masse macroalgali, specialmente nei mesi estivi, sono state le principali

cause delle morie della fauna acquatica verificatesi dopo la metà degli anni 80,

accompagnate da episodici sversamenti di acque colorate e maleodoranti nelle spiagge

adiacenti alla laguna causando problemi alle attività turistiche (Figura 3).

Figura 3. Evento di proliferazione macroalgale nella Laguna di Orbetello con produzione di idrogeno solforato.

Per questi problemi, a partire dal 1992 con l'ordinanza n. 2380/FPC della

Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato disposto un Commissariamento

Straordinario per la tutela e gestione della Laguna di Orbetello dichiarata "area a rischio

ambientale".

Nel corso degli ultimi anni, la gestione commissariale ha condotto

principalmente tre attività:

1. aumento degli scambi di acqua con il mare,

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2. confinamento e riduzione degli scarichi eutrofizzanti di origine civile e delle

itticolture,

3. raccolta di macroalghe.

Il ricambio naturale delle acque lagunari con quelle marine avviene attraverso le

tre aperture presenti in laguna. Tali canali sono stati dotati di idrovore che consentono

anche un regime di circolazione forzata delle acque. In condizione di circolazione

naturale, i flussi entranti ed uscenti sono regolati dalle maree, peraltro con escursioni

molto modeste dell'ordine di circa 40 cm. In tale regime, considerando anche il basso

fondale lagunare, solo i venti riescono a movimentare e ricambiare efficacemente

l'acqua della laguna con quella marina. Durante il periodo estivo, quello più critico per

l'ambiente lagunare, nelle condizioni di assenza di vento l'acqua ristagna in laguna.

Pertanto viene attivato il regime di circolazione forzato delle acque, con due bocche

chiuse e flussi entranti in laguna regolati dalle idrovore e con la terza bocca aperta con il

flusso regolato dalla marea. Lo scambio forzato, inizialmente pari a 8000 L/s è stato

incrementato installando nuove idrovore, passando ad un flusso di 16000 L/s.

Per quanto riguarda gli scarichi civili e delle itticolture, sono state delimitate per

mezzo di argini due aree periferiche della laguna che hanno lo scopo di abbattere il

carico eutrofizzante presente nei reflui per mezzo di bacini di

lagunaggio/fitodepurazione (Figura 4). Gli scarichi civili, una volta depurati, sono stati

convogliati in un'area della laguna di Ponente di circa 12 ettari, appositamente

delimitata da argini terrosi. In questo bacino si svolgono naturali processi autodepurativi

basati sullo sviluppo della flora microalgale, in grado di mantenere condizioni di

sovrasaturazione di ossigeno disciolto e produrre ottimi risultati di abbattimento dei

nutrienti. Analogamente, i reflui di due dei maggiori impianti ittici intensivi, dopo

permanenza nelle rispettive aree di decantazione/lagunaggio, si riversano in un’area

opportunamente delimitata in laguna di Levante di circa 9 ettari. In questo bacino il

carico eutrofizzante delle acque consente lo sviluppo di macroalghe, principalmente

Ulva rigida, in grado di assumere sali inorganici di fosforo ed azoto dalle acque.

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Figura 4. Bacino di lagunaggio o fitodepurazione (Foto M. Lenzi).

Negli anni in cui le macroalghe erano presenti in tutto lo specchio lagunare (1994 -

1997), la raccolta, condotta per mezzo di natanti raccogli alghe, si svolgeva per nove

mesi all'anno, con turni di 14 ore al giorno (Figura 5). Successivamente, poiché la

biomassa macroalgale si era ridotta e circoscritta agli scarichi delle due suddette aree

periferiche, la raccolta si è svolta in un'area di circa 600 ettari, con una rimozione media

di 5000 tonnellate di alghe all'anno.

Figura 5. Natante raccogli – alghe (Foto M. Lenzi).

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Le attività della gestione commissariale hanno portato un sensibile beneficio

all'ambiente lagunare. In particolare, si è determinata una scarsa disponibilità del

fosforo (P) nella colonna d'acqua (fosforo limitazione) mentre l'azoto (N) rimane

sempre molto disponibile (eutrofia di azoto) con prevalenza dello ione ammonio, che

costituisce il 60-80% del carico totale di azoto, mentre precedentemente era stata

riscontrata una predominanza di nitriti e nitrati.

L'effetto diretto della scarsa disponibilità di fosforo è la riduzione della biomassa

macroalgale, con prevalenza delle specie tolleranti la P-limitazione, rispetto alle

macrocloroficee dominanti prima di tali condizioni. Inoltre le macroalghe si sviluppano

esclusivamente in prossimità delle fonti di rilascio dei nutrienti da parte delle persistente

fonti antropiche (scarichi dei depuratori e reflui delle itticolture).

Nelle zone in cui, precedentemente agli interventi di risanamento, si

sviluppavano grandi masse macroalgali, sono riapparse le fanerogame che non

subiscono P limitazione, poiché sono in grado di assumere sia fosforo che azoto

direttamente dai sedimenti attraverso l'apparato radicale. Come precedentemente

evidenziato, le fanerogame riescono a trasferire l'ossigeno dalle fronde al sedimento

innescando una intensa attività ossidativa che favorisce lo sviluppo di flora batterica

ossigeno dipendente.

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L’importanza della conservazione delle zone umide

E’ importante mantenere questo sistema di zone umide integro, per le

popolazioni di uccelli acquatici si spostano frequentemente dall’una all’altra a seconda

delle condizioni locali, per l’alimentazione, per soggiornarvi o per ripararsi durante la

notte. Sono frequenti anche spostamenti quotidiani tra una zona all’altra.

La tutela delle zone umide ed in particolare dell’avifauna è sancita dalla

convenzione di Ramsar, in cui rientra larga parte della laguna di Orbetello.

La laguna di orbetello riveste una grandissima importanza per l’avifauna sia in

termini quantitativi (1.000 –1.500 gli individui svernanti) che qualitativi (oltre 200

diverse specie osservate). Vengono osservati uccelli decisamente rari: gabbiano

tridattilo, beccaccia di mare, il quattrocchi, ma anche 2.000 fenicotteri, 1.000 folaghe,

1.500 aironi cenerini. Accanto a questa realtà importante non dobbiamo però

dimenticare il sempre più crescente numero di cormorani e l’impatto di questi sulle

attività di pesca nella laguna di orbetello.

La convenzione di Ramsar (1976) è certamente nata per la protezione

dell’avifauna; l’impostazione iniziale è stata via via un po’ corretta: con successive

integrazioni si è passati dagli uccelli all’ambiente, all’habitat in cui gli uccelli vivono.

Vero la metà degli anni ottanti a livello della Comunità Europea si è iniziato a fornire

agli stati membri una serie di raccomandazioni generali, “non deve essere perso neanche

un ettaro di zona umida, se non è assolutamente garantito il recupero”.

Intervenire su una zona umida è assolutamente necessario, perché le dinamiche

naturali porterebbero alla loro perdita. La laguna di Orbetello come la maggior parte

delle lagune costiere è un ambiente di transizione, quindi soggetta a processi di

interramento più o meno lenti, influenzati sia dall’attività dell’uomo che da eventi

naturali.

Solitamente si sente parlare di questi ambienti solo quando questi vanno in crisi

(Orbetello nel 1992 e 1993 ma anche il collasso della Sacca di Goro nel 1992 e nel

1998). E’ al contrario fondamentale, non solo per le produzioni ittiche e per il turismo,

ma per la conservazione della biodiversità che le lagune siano costantemente al centro

dell’attenzione delle Amministrazioni e della comunità scientifica.

Da diversi esempi di gestione (non ultimo l’esempio della laguna di Orbetello),

appare chiaro che è possibile conservare e recuperare gli ambienti lagunari anche dopo

eventi distrofici. Centrale è il mantenimento del buon sistema idraulico, la cura delle

foci di collegamento con il mare. Minimizzare gli immissari ad alto contenuto organico

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(depuratori) bonificare gli eventuali siti inquinati. In alcuni casi è possibile

l’eliminazione del sedimento sia perché anossico sia perché sede di accumulo e rilascio

di inquinanti. Tale strada risulta però possibile sono in peculiari situazioni.

Gli interventi attuati nella laguna di Orbetello sono stati quindi efficaci per il

recupero di questa zona umida dopo massicci episodi distrofici, ma sono stati anche

rilevanti per prevenire la possibilità di crisi. Non bisogna però dimenticare che le lagune

costiere, che sono per definizione ambiente di confine tra il mare e le acque continentali,

sono dei sistemi in equilibrio assai instabile, dal quale possono deviare sotto la spinta di

forze esterne, sia naturali che antropiche. Il lavoro di mantenimento di questi ambiento

non è mai finito.

Bisogna quindi attuare sistemi di controllo che consentano di confrontare i

diversi scenari in evoluzione e confrontarli con quelli verificatesi in occasioni delle

crisi, per non farsi cogliere impreparati. La gestione delle zone umide non deve quindi

essere affidata solo agli enti pubblici, o agli enti di ricerca o a quelli privati, ma deve

essere condotta in sinergia fra le diverse competenze, interessi e realtà che hanno a

cuore la conservazione di questi ambienti. Le lagune sono ambienti che vanno gestite

con multidisciplinarietà, le modalità di gestione possibile sono varie: ente, consorzio,

ecc. Ed oggi esiste anche lo strumento normativo di controllo che aiuta ed impone

questa gestione (Lgs. 152/99).

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La ricerca scientifica dell’Università di Siena e del Polo Universitario

Grossetano nella Laguna di Orbetello

L’interesse dell’Università di Siena per la Laguna di Orbetello ed in generale di

tutto il territorio della provincia di Grosseto è oramai consolidato.

In collaborazione con il Polo Universitario Grossetano sono stati attivate la

Laurea Specialistica in Tecnologie di Monitoraggio e di Recupero Ambientale ed il

Master in Biomonitoraggio e Gestione della Fascia Costiera. In via di ultimazione è il

Laboratorio di Ecologia Lagunare ad Orbetello, realizzato con un finanziamento dei

Patti Territoriali della Provincia di Grosseto.

Il Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti” dell’Università degli Studi

di Siena sta inoltre conducendo diversi progetti di ricerca nella zona di Orbetello:

• Caratterizzazione ecotossicologica dei sedimenti e degli organismi della laguna di

Orbetello, finanziato dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, anno 2002 e

2003. I risultati sono già disponibili e vengono utilizzati dal Commissario della

Laguna di Orbetello per la gestione lagunare.

• Analisi strutturale della comunità ad invertebrati macrobentonici della laguna di

Orbetello in relazione agli impatti ambientali di natura antropica, finanziato dalla

Fondazione Monte dei Paschi di Siena nell’anno 2004 ed in corso di realizzazione;

• Modellizzazione di processi fisici e biologici in ecosistemi acquatici a rischio, in

collaborazione con il Centro dei Sistemi Complessi, Facoltà di Ingegneria,

finanziato dal Commissario della laguna di Orbetello, anno 2002 e 2003. Si tratta di

un tentativo di analizzare, per mezzo di un modello matematico realizzato ad hoc

per la laguna di Orbetello, i dati preesistenti (parametri chimico fisici, produzione

macroalgale, sistema di circolazione delle acque) disponibili e correlarli con i

passati eventi distrofici. In tal modo potrebbe essere possibile prevedere la

possibilità di eventuali crisi dell’ambiente lagunare e mettere in atto azioni

preventive.

• Development of an Information Technology Tool for the Management of European

Southern Lagoons under the influence of river-basin runoff - DITTY Project. Questo

progetto europeo potrà fornire importanti informazioni sulla gestione delle lagune

costiere.

• Progetti finanziati dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, IV, V e VI

Piano Triennale della Pesca e dell’Acquacoltura.