Giornalisti interrotti

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Giornalisti interrotti Settimanale quotidiano Oltre la categoria, perché è impossibile raccontare Il Serale numero 17 15 ottobre 2012

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Perché raccontare è diventato impossibile

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Giornalisti interrotti

Settimanale quotidiano

Oltre la categoria, perché è impossibile raccontare

Il Seralenumero 17 15 ottobre 2012

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Formato tesseraL’informazione è monca perché non lehanno insegnato cosa deve dire

Poi è arrivato internet e ci è sembrataplausibile l’equazione “Io scrivo = posso

fare il giornalista”. Un esercito di ragazzi, armatidi tastiera e competenze Apple, si è presentatodavanti a redazioni e testate, cartacee e online,con l’unico scopo di vedersi riconosciuta lapropria professione. «Cosa serve per avere iltesserino?», «Ma con voi posso conseguire ilpatentino?», «Rilasciate la tessera?». Così illibretto rossiccio di pelle - è rimasto old style perfarsi desiderare meglio - , che fa da sfondo aquesto editoriale, è diventato un’ossessione o,anzi, uno specchietto per le allodole: se hai iltesserino, iconizzato e cristallizzato, sei ungiornalista. Dal lavoro di redazione, dalla ricercasul campo, dalle domande e dalle risposte, tra lequali frugare per trovare una notizia, ilgiornalismo pare essere diventato l'arte dei modiplausibili a renderlo una professione accettabile eredditizia. Proprio il giornalismo, che diesoterico non ha nulla. Trasformarlo in unascienza è stato il difficile. Più facile è stato fardiventare la scienza un’industria accattivante ein grande fermento.

Produrre giornalisti implica che laprofessione rinunci ai suoi criteri e assuma

quelli di un’azienda. Così l’informazione èinterrotta perché non le hanno insegnato quelloche deve dire: rimane un orpello, un desiderio,un sogno. Uno sfondo.

di Filippo Desabato

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Mignotte, amanti cieche, ingenui

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Dappoiché... potrei chiu-dere qui e il mio contri-

buto letterario agli amici - piùche amici figli - del Serale sa-rebbe già un gran bel cosa. Dap-poiché, dicevo, il Serale si dedicaquesta volta al giornalismo (nona caso subito dopo il porno), èparso a qualcuno giusto chiedereun contributo ad una vecchia ca-riatide che ha da mesi festeggiato

il suo 48mo di fre-quentazione di re-dazioni. Tanto perproseguire sul ritmomusicale di queldappoiché, questopezzo (una voltanessun giornalistachiamava in altro

modo il suo lavoro, e tanto menoarticolo, parola riservata ai pro-fani), questo pezzo, dicevo, nonvuole essere una laudatio tempo-ris actis (lo trovate su internet),una masturbatoria lamentela divecchio scriba sulla scomparsadelle mezze stagioni anche nelgiornalismo. Da che mondo èmondo in questo Paese (la P èmaiuscola per una mia vecchiafissazione - a distinguerlo dalpaesello) - non perché l'Italia dioggi la meriti), i pennivendoli

sono sempre stati delle gran put-tane. Certo, in alcuni momentidella nostra storia, come ai tempidel Puzzone, quando i giornali sifacevano con le veline del Min-culpop, è stata colpa della Storia.Ma di fatto abbiamo sempre fati-cato molto a inseguire un tipo digiornalismo, come quello anglo-sassone, il giornalismo dei fatti.Qual era, qual è ormai in purautopia, il significatooriginale di questomestiere? Beh infondo quello che ioho imparato neiprimi sette annidella mia carriera al-l'Associated Press.Ancora oggi, se vo-glio sapere che cosa è successo,vado a cercare le notizie dell'Ap.La più grande agenzia di stampadel mondo non aveva e non haproblemi: è una cooperativa ditutti i giornali americani. E nonha scopo di lucro. Difficile com-prare chi non ha scopo di lucro.I fatti erano i fatti. Le opinioninon avevano spazio. Gli aggettivi

Mitologizzare la professione ha reso il giornalismo italiano piùsimile al modello inglese. Dalla perdita dell’inchiestaall’invenzione dello stage: la storia di un mestieregeneticamente frainteso e spogliato

*Direttore di due mensili, King e Moda, hascritto cinque libri e ha anche insegnato Linguae Letteratura americana alla Sapienza di Roma

di Carlo Bassi*

«Abbiamosempre faticato ainseguire il tipodi giornalismoinglese, quellodei fatti»

«Se voglio sapereche è successo,

vado a cercare lenotizie dell’Ap,

che non ha scopodi lucro»

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andavano usati col bilancino del-l'orefice. Ogni affermazione an-dava messa in bocca a chi l'avevapronunciata. Ma soprattutto sidavano ai lettori tutti gli stru-menti possibili e immaginabiliper farsi un'idea da soli. Trovatele ceneri di Dante a Ravenna.Quelli che si ritengono i restimortali del l'autore della DivinaCommedia. Il poeta, morto a Ra-venna nel 1321... Ecco un gior-nalista vero all'opera: staraccontando una notizia e nelfrattempo sta divulgando, staraccontando al lattaio di KansasCity come alla casalinga di Vo-ghera, che hanno tutto il dirittoperfino di non sapere chi fosseDante, o non ricordare bene cheè quello della Divina Commedia,di gustarsi la storia. Fu l'Ap nel-l'America di Nixon a portare allaluce l'atroce massacro di MyLainel Vietnam, o i documenti se-greti del Pentagono (da me per-sonalmente tradotti). Questo in Italia - se non lavo-

ravi all'Ap - non l'ha mai fattosapere nessuno e oggi peggio chemai. Con il sofisticarsi della cosapolitica il giornalista italiano hacapito (e nemmeno tutti pur-troppo) che la fonte è impor-

tante. Il Watergate è stato un in-segnamento fondamentale: senzagola profonda non ci sarebberostati Woodward e Bernstein, nonci sarebbe stato il più grandescoop della storia del giornali-smo. Quindi anche i giornalistiitaliani hanno cominciato acrearsi fonti politiche, ma spessoil politico è più furbo del giorna-lista e comincia a veicolargliquello che gli pare. Come scrisseGiampaolo Pansa con illuminaintuizione più di vent'anni fa inCarte false, lo scoop non esistepiù: è il sistema che una metà delpotere usa per sodomizzare l'al-tra metà. Grande verità. E se ilgiornalista non volesse veicolarea sua volta, il modo per convin-cerlo c'è. Non è certo una que-stione di soldi, che volgarità. Ilpolitico conosce gli editori, si sa.

«Lo scoop non esiste più: è il sistema che unametà del potere usa per sodomizzare l’altra

metà». Così scrive Pansa in Carte false

«Dopo il Watergate anche igiornalisti italiani cominciarono acrearsi fonti politiche, ma spesso ilpolitico è più furbo del giornalista»

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Sei sprecato dove sei, ti piace-rebbe andare al Corriere? Perchénon vai alla Rai, noi siamo inquota... Sono cominciate cosìmolte carriere illustri in questoPaese. Non per nulla Minzolinianni prima di diventare famoso(o famigerato) era stimato per lasua bravura con le fonti. Per ca-rità, per qualcuno non andavacosì. C'erano i duri e puri, in ge-nere nei giornali di partito. Certoall'Unità si doveva credere che icarri armati russi a Budapest oPraga si fossero difesi rispon-dendo al fuoco degli ospedali un-gheresi e cecoslovacchi. Solol'amore cieco di un amante puòportare a tanto. Direte voi: dun-que giornalisti mignotte oamanti cieche? No. C'era unaterza categoria: quella degli inge-nui. Quelli che il direttore, sot-topancia dell'editore (sono statodirettore e posso dirlo tranquil-lamente) mandava a coprire unevento di cui in teoria non fre-gava niente a nessuno. Ma aqualche amico del direttore odell'editore sì... Quando i gior-nali hanno cominciato a passareinesorabilmente nelle mani deigruppi economico finanziari ilproblema si è esacerbato con

conseguenze che sono oggi sottogli occhi di tutti. Quanti direttorihanno girato gratis in automobilidalle loro testate ampiamente lo-date? Tutti credo, è sempre statala norma. E i poveri lettori bab-bei si basavano sulle recensionientusiastiche di questa o quellatestata. La cosa era tanto normaleche - conoscendo i propri polli -una grande marca di sci mandòuno sci in regalo ai giornalisti in-vitati alla presentazione e l'altrosolo a pezzo pubblicato. L'ultimonemico mortale, infine, del gior-nalismo italiano, grave se possi-bile almeno quanto gli altri:l'autocensura. Il quieto vivere elo stipendio. Chi te lo fa fare diandare a sfruculiare... così èmorta la più nobile forma digiornalismo, l'inchiesta. Quellache veramente darebbe la ra-

Mignotte, amanti cieche e poi gli ingenui:Quando i giornali sono passati nelle mani deigruppi finanziari il problema si è esacerbato

«Sei sprecato dove sei, ti piacerebbeandare al Corriere? Perché non vaialla Rai, noi siamo in quota...Sonocominciate così molte carriere»

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gione di vivere a questa profes-sione. Con l'arrivo delle variecrisi, gli editori sono diventatipeggio degli extracomunitari chedi norma si accusano dei peggioricrimini prima ancora di aprire leindagini. Per ridurre i costihanno cominciato a giocare sulfascino della più bella profes-sione del mondo aiutati dall'im-mondo meccanismo dello stage.Sono andati disoccupati anchebravi giornalisti quando gli edi-tori hanno capito che bastavanoun paio vecchi col manico e cin-que o sei giovani stagisti ingamba di cui liberarsi appenapassava abbastanza tempo per re-clamare qualche diritto, per fareun giornale. Credo che qualcheredattore del Serale si ricono-scerà in questo quadretto. Manon tutti gli stagisti sono ingamba. E i ritmi sono veloci:ecco perché se prendete ancheRepubblica o il Corriere onlinefate copia incolla su word e poipassate al controllo ortografico,vi accorgerete che è tutto sotto-lineato in rosso dagli é ai perchè.E non parliamo dei sottopanciadei Tg... Se l'italiano ormai è di-ventato quello, se devi cercarecol lanternino un buon italiano,

se non sai più di chi fidarti, alloraben venga lo street journalism.Almeno è sanizzo e democratico.Ma per favore: qualcuno con-trolli sempre le fonti, con inter-net è facilissimo. Altrimenti ilgiornalismo rischia di diventarecome facebook dove le min-chiate si sprecano. Ve lo assicurauno che ha smentito la morte diMorgan Freeman un minutodopo che era apparsa sul mio dia-rio: con due click sul web.

Per ridurre i costi gli editori hannosqualificato la professione,affidandosi allo stage e giocando sulfascino del bel mestiere

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Le lobby dell’equo compenso

Èil 29 dicembre 2011. Nelcorso della tradizionale

conferenza stampa di fine anno,un Mario Monti fresco di inse-diamento a palazzo Chigi ricevedalle mani del presidente del-l’Ordine dei giornalisti, EnzoIacopino, la tessera ad honorem

da giornalista profes-sionista. Il gesto(inopportuno?) arrivaa conclusione di una«operazione verità»che secondo Iacopinoè essenziale per i cit-

tadini/lettori, ma ancora di piùper un governo in procinto diriformare le professioni (unodei tanti impegni a scadenzaravvicinata ereditati dal prece-dente esecutivo). Oggetto della richiesta di at-

tenzione rivolta al premier è la

condizione precaria dei circa24mila giornalisti freelance oggi«costretti a subire un caporalatoindegno di un Paese civile» e inbalia totale di un mercato ormaisenza regole che quando vabene li ripaga con cinque, diecio venti euro lordi ad articolonell’assenza assoluta di diritti equindi di tutele. Risultato: se il75 per cento di questi lavoratoriautonomi guadagna meno di 10mila euro lordi l’anno, oltre il62 per cento ne mette da partemeno di 5 mila. Condizioni,queste, che certo non favori-scono l’informazione libera eben fatta. Sdegno. Risposta diMonti con tesserino in mano:«Non mi sfugge la fondamenta-lissima importanza della stampalibera e indipendente per la vitadel nostro Paese». Risposta della

Dal “sì” alla Camera al “no” della Fornero: i giornalistinon sono professionisti come gli altri e i suoi precari nonrientrano negli interessi di nessuno di Sofia Ricciardi

Se il 75% dei lavoratoriautonomi guadagna menodi 10mila euro, il 62%non arriva a 5mila

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Camera dei deputati pochi mesidopo: approvazione lampo (28marzo 2012) del progetto dilegge n. 3555 intitolato “Normeper promuovere l’equità retribu-tiva nel lavoro giornalistico” consuccessiva assegnazione allacommissione Lavoro del Senatoin sede deliberante, che per lacronaca è l’iter più veloce ditutti. Si aggiunga che il ddl è de-positato alla Camera in commis-sione Lavoro dall’onorevoleSilvano Moffa, presidente diquella stessa commissione eguarda caso giornalista. Alla Camera l’iter è comple-

tato con approvazione quasiunanime - vota contro solo l’Idv.A pendere in suo favore è l’esi-genza di salvaguardare il dirittocostituzionale al lavoro garan-tendo livelli minimi di retribu-zione e ammortizzatori sociali.In più c’è anche un’altra validaargomentazione, cara ad un go-verno che deve tagliare le spese:chi non paga in maniera equa illavoro giornalistico non può perprincipio essere premiato dalloStato con generose iniezioni disoldi pubblici, in questo casocon i contributi all’editoria. Daqui il nome equo compenso. In commissione al Senato,

però, le cose si bloccano. Dopo irallentamenti denunciati già ainizio estate dai promotori dellalegge, a luglio arrivano le «molteriserve e perplessità» del mini-

stro Elsa Fornero, scettica sull’u-tilità di un provvedimento chepotrebbe sovrapporsi allariforma del lavoro varata mesiprima. Questa in sintesi la tesidella titolare del Welfare: perquanto riguarda il profilo lavo-ristico, nella riforma del Lavoroè già stata introdotta «una solu-zione al problema dei compensidei lavoratori atipici» per cui sa-rebbe «strano estrapolare dagli

atipici una categoria e occupar-sene con una norma diversa daquella generale», mentre sotto ilprofilo editoriale «non mi sem-bra opportuno» introdurre unanorma secondo cui gli editoriche non rispettano le normenon devono ricevere contributi,

La proposta si è prima arenata in Senato e poiè stata bocciata dal ministro del Welfare a

fine estate: «Nutro molte riserve eperplessità», ha detto Elsa Fornero

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in quanto bisognerebbe dare perscontato che «le norme vengonoosservate». Qui dunque arriva lostop e il contemporaneo annun-cio della formazione di un comi-tato ristretto incaricato divalutare le eventuali sovrappo-sizioni ipotizzate da Fornero – il

comitato ristretto implica anchela non pubblicità dei lavori dellacommissione. Ultimo atto il 9 ottobre scorso

con la consegna in Parlamentodi quasi duemila firme a soste-gno dell’appello lanciato dallacommissione nazionale lavoro

autonomo della Fnsi (il sinda-cato dei giornalisti italiani) conl’obiettivo di velocizzare l’iterdella proposta di legge e impe-dirne il decadimento.

La matassa non è facile dasciogliere. Mettendo per un at-timo da parte la bontà della bat-taglia, la verità sembra stare nelmezzo. Inoltre, c’è da conside-rare che tra il sì all’equo com-penso da parte della Camera e lostop al Senato ci sono due altriprovvedimenti che incrociano iloro effetti: la già citata riformadelle professioni e il decreto edi-toria. Il primo provvedimentoha salvato l’albo dei pubblicisti eha esentato gli iscritti all’Ordinedall’obbligo di assicurazione daidanni derivanti al cliente (cheinvece rimane per tutti gli altriprofessionisti degli altri ordini),mentre il decreto editoria hastabilito che i giornali che vor-ranno vedersi riconosciuti i con-

Il segreterio generale della Fnsi, Siddi. L’ultimo atto è stato il9 ottobre con la consegna in Parlamento di quasi duemila

firme a sostegno dell’appello lanciato dal sindacato

Tra il sì all’equo compenso alla Camera e lostop al Senato ci sono altri due provvedimentiche incrociano i loro effetti : la riforma delleprofessioni e il decreto editoria

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tributi dovranno vendere al-meno il 25 per cento del totaledelle proprie copie di tiratura inedicola e non il 15 per centocome accaduto fino ad ora (dasegnalare che in realtà il testouscito da palazzo Chigi preve-deva il 30 per cento). Messo così il quadro norma-

tivo ci dice due cose: primo, chel’ordine dei giornalisti ha sem-pre “goduto” di eccezioni inquanto legato a quella cosa deli-catissima che è l’informazione(quindi non sono professionisticome tutti gli altri) e, secondo,che i giornalisti, professionisti epubblicisti, sono attori di un si-stema che per definizione è inequilibrio precario, dal punto divista economico-finanziario e daquello politico. Lo stop alla legge sull’equo

compenso, quindi, è il risultatodelle pressioni della Fieg o di unimprovviso ripensamento delministro Fornero? E la stessatempestiva approvazione dell’e-quo compenso alla Camera è do-vuta ad un autenticointeressamento alla causa o alfatto che la categoria dei giorna-listi è ben rappresentata in en-trambi i rami del Parlamento?Qui diamo un aiutino. Andandoa controllare le statistiche, si“scopre” che tra gli scranni dellaCamera siedono 63 giornalistiprofessionisti e 9 pubblicisti, cheal Senato diventano rispettiva-

mente 26 (tra questi Andreotti,Gasparri, Rutelli e Zavoli) e 19.Messi insieme (117) formano undrappello surclassato solo dagliavvocati (131: 85 alla Camera e46 al Senato). Una bella lobby,non c’è che dire, alla faccia deiprecari che, come sempre, aspet-tano.

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Velocità e competizione: il webtrasforma la professione o la uccide

17Gennaio 1997. Dal suo newsaggregation site, Matt Drudge, soffiandolo scoop a Newsweek, alzò il sipario sullarelazione pericolosa tra il presidente Clinton e lastagista Monica Lewinsky. Scoppiò così il Sexgatee l’informazione online mise le ali. Le primetestate a sbarcare sul web nel 1992 furono quellemedio-piccole, intenzionate ad ampliare la propriadiffusione mantenendo bassi i costi. Poco tempodopo fecero il loro ingresso le testate maggiori cheperò non capirono il mezzo: si limitavano atrasferire in rete la versione cartacea, visionabilesolo a pagamento. Drudge Report funzionò daspartiacque: si comprese che da quel momento ascandire i tempi delle notizie sarebbe statal’informazione telematica e i quotidiani, per nonfarsi bruciare dalla concorrenza, cominciarono adanticipare sui propri siti le notizie che avrebbetrattato nel numero in edicola il giorno dopo. Siinnescò un meccanismo rischioso: l’ansia da scoopportava a una minore cura della verificadell’attendibilità delle notizie, le qualicominciavano a sbucare dagli angoli più remoti delweb imprimendo una decisa velocizzazione allamacchina dell’informazione e privando iquotidiani più prestigiosi del loro maggior potere:la selezione delle notizie rilevanti. Un’altra data significativa è l’11 Settembre

Drudge Report sdoganò il giornalismo in rete. Daallora, era il 1997, le fonti del web sono state sempre

consultate fino a distorcere un mestiere

di Elisabetta Specchioli

Giornalisti, la dittatura è online

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2001. Milioni di persone si collegarono ainternet per capire in tempo reale cosa stesseaccadendo a New York. Si ebbe così ladimostrazione che i siti dei quotidianisopperivano ai tempi fisiologicamente lunghidel cartaceo e i giornalisti scoprirono unanuova fonte: i blog, in cui i newyorkesiandavano rovesciando i propri racconti.

Oggi il giornalismo online appare ununiverso ben delineato nelle sue caratteristicheprincipali: globalizzato, ipertestuale, interattivoe soprattutto tempestivo.

Non è difficile comprendere che tutto ciò hatrasformato la produzione giornalistica. Piùdifficile è chiarire se il cambiamento hainvestito esclusivamente il modo,concretamente e praticamente, di fare il lavorodel giornalista o anche la professione in sé enella sua dimensione deontologica.

Un punto di partenza per cercare di farechiarezza potrebbe essere la constatazione chetutti i maggiori quotidiani italiani e quindi irelativi siti, sono di proprietà di grandi gruppieconomici portati a gestire l’informazione comeun qualsiasi altro prodotto. A politicheeditoriali si sostituiscono così strategie dimarketing.

Chi fa informazione sul web ha a propriadisposizione sistemi d’indagine che permettonodi rintracciare la tipologia di utenti del propriosito. Se questo consente di vendere i proprispazi pubblicitari a determinati prodottipiuttosto che ad altri, ha anche delleconseguenze sulle scelte editoriali: basta aprireil sito di uno qualunque dei maggiori quotidianiper rendersi conto, ad esempio, cheall’approfondimento politico che nelle versionicartacee occupa un ampio spazio, vengono

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privilegiate notizie di cronaca, spettacolo esport. Ovvero le notizie che maggiormenteinteressano i più giovani: la fetta più grandedell’utenza digitale.

Un altro punto di partenza potrebbe esserecercare di capire quale considerazione si ha dellavoro dei giornalisti web, ai quali si richiedeprincipalmente vagliare e gerarchizzare quelleinformazioni fornite da agenzie, uffici stampa,addirittura da altri giornali, rovesciate in quellosmisurato e incessantemente aggiornatocontenitore che è internet. Non si richiede diprodurre articoli, il lavoro che si fa hapochissimo valore aggiunto, tanto che spesso ipezzi on line non recano neppure la firma.Considerato vagamente il fratello negletto delgiornalista tradizionale, il giornalista onlinevede inoltre la propria identità professionaleinsidiata dai blogger, dal citizen journalism, daisocial network in continua espansione e dalleautopubblicazioni digitali. Il confine traprofessionismo e dilettantismo si fa, nell’era diinternet, piuttosto labile. Se a livellopragmatico, la differenza dovrebberorimarcarla la qualità, l’attendibilità e lacredibilità, a livello burocratico ci pensa lalegge numero 69 del 1963 che regolal’ordinamento della professione del giornalistae che lascia in buona sostanza agli editori lafacoltà di decidere chi sia degno o meno diessere unto dal crisma del mestiere. Ciò generaalcune osservazioni. Ad esempio che ci sonopersone che da anni fanno buona informazionesul web, ma non sono riconosciute dall’ordine.Oppure che gli editori vanno sempre piùsomigliando a manager e le redazioni adaziende che devono incessantemente produrree monetizzare. Succede allora che a volte siaprano delle falle nel sistema, a volte sul

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versante quantitativo, altre su quelloqualitativo. La velocizzazione della produzionedei contenuti è tanto un’esigenza aziendalequanto il corrispettivo della velocizzazione digenerazione di news: gerarchizzare e cercare dielaborare qualcosa di nuovo in una talesituazione è impresa abbastanza ardua.Oltretutto da sbrigarsi in tempi assai ristretti.L’information overload rappresenta sempre unrischio altissimo e l’eccesso di informazioni nongestite e non elaborate porta a un risultatoparadossale: quantità infinita di informazioni,valore informativo nullo. Si giunge dunqueall’appiattimento contenutistico cui inoltre ilritmo frenetico imposto dal mezzo edall’incessante attività interattiva degli utenti,impone una veste formale mediocre, se nonaddirittura scadente. Non capita raramente ditrovare su pagine di testate diverse, pezziidentici, a volte contenenti perfino lo stessoerrore grammaticale. Non volendo dare tutte lecolpe al sistema e poiché negligenza e furbiziasono pecche prima della persona che dellavoratore, bisognerebbe ricordarsi che anchenel copiare ci vuole stile. Ai giornalistiapprossimativi non si chiede ovviamente didimettersi come fece il ministro della difesatedesca quando l’anno scorso si scoprì cheinteri brani della sua tesi di dottorato eranostati copiati da altri autori. Ma almeno diimparare da Lady Gaga che qualora avesseveramente plagiato una canzone di Celentano,avrebbe almeno usato l’accortezza di cambiarele parole; addirittura sostituendo l’ingleseinventato di Prisencolinensinainciusol conl’inglese vero.

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La passione, servaPer diventare giornalisti occorrono bravura, esperienza,pazienza, creatività, soldi, convinzione e anche un po' difortuna. Storie di giovani che ci credono ancora

Emanuele dalla gavetta, Filippo dal master. Abbiamo intervistatodue ragazzi provenienti da due percorsi diversi, ma entrambiapprodati alla corte di due grandi testate italiane

di Anita Franzon

«Ma quali contratti?Passione ci

vuole... Passione».Inizia così la seconda

puntata di “Boris”, la serietelevisiva che descrive i re-stroscena di una troupe ci-nematografica italiana, incui Sergio, il direttore diproduzione, mette le cose inchiaro con lo stagista diregia Alessandro: «É unmondo difficile ragazzomio, che ci vuoi fare? Cisiamo dentro con tutte lescarpe, ma tu sapevi tutto,no?»

«Sì sì» annuisce triste-mente lo stagista mentrefirma la sua lettera di dimis-sioni ancora prima di ini-ziare il tirocinio e gli assegnisettimanali che, però, nongli spettano.

Funziona così nel cinema,nel teatro, nell'editoria, inmolti uffici e in tante altrerealtà. Il giornalismo non faeccezione.

Chi vuole intraprenderequesta professione lo sa eannuisce a testa bassa conti-nuando a crederci nono-stante anni di gavetta ingiornali di provincia, nono-stante il job placement del-l'univerisità che proponesolo lavori per i call center,nonostante le migliaia dieuro spese per scuole di spe-cializzazione, master, tiro-cini in Italia, stage all'estero,stage non retribuiti, stagesenza facilitazioni previste,stage con rimborso spese di100 euro al mese, collabora-zioni sottopagate, trasferi-menti in varie città,nonostante tutto, nono-stante l'Italia.

Ma si può annuire anchea testa alta, senza per forzaessere disfattisti perché c'èchi, nel male, qualcosa dipositivo lo vede. Che nontutto sta andando allo sfa-scio, lo dimostrano Ema-nuele e Filippo, due giovani

giornalisti che lavorano en-trambi per una testata na-zionale importante e nonhanno una visione così ne-gativa di questo lavoro.

Arrivano da due percorsidiversi: Emanuele dalla ga-vetta, Filippo dal master. Ilprimo è freelance e non la-vora all'interno di una reda-zione, ma dacorrispondente esterno escrive su qualsiasi argo-mento; il secondo invece sioccupa di economia e dopola scuola di giornalismo haavuto la possibilità di farestage in diverse realtà,anche grandi. Ora è stagistaper la seconda volta all'in-terno di una redazione im-portante e rifarebbe tutto ilpercorso che ha fatto finora,senza rimpianti.

Nessuno dei due, però, ècontrario alla formazioneattraverso una scuola. Ilconcetto di “gavetta” sem-bra ormai superato, non si

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impara più sul posto, ma siarriva “imparati”. Solo cosìsi hanno alcune (a dir la ve-rità, poche) possibilità di ri-manere, o meglio, di farsinotare.

QUAL È STATA LA VOSTRAPRIMA ESPERIENZA GIORNALI-STICA?EMANUELE. Nel 2005

ho iniziato a lavorare peruna testata locale.FILIPPO. La prima e

unica prima del master èstata una collaborazione perEPolis - Venezia, durantel’università.

QUANTE E QUALI SCUOLE,ATTINENTI O MENO A QUESTAPROFESSIONE AVETE FREQUEN-TATO?EMANUELE. Oltre a una

laurea in Lettere e alla“strada” direi nessuna.FILIPPO. Sono laureato

in filosofia, ero già iscritto aun master di economia, poial momento di pagare hocapito che non era quelloche volevo fare nella vita eallora ho deciso di fare ilconcorso per un master digiornalismo. Ho scelto lascuola Walter Tobagi del-l’università statale di Mi-lano perché era descrittacome una delle migliori inItalia. L’investimento è no-

tevole, 14mila euro in dueanni e ancora di più se siconsiderano le scarse pro-spettive di trovare un lavoroin tempi brevi, ma non misono pentito della scelta.

COME SIETE RIUSCITI AD AR-RIVARE A COLLABORARE CONUNA REDAZIONE IMPORTANTE?EMANUELE. Dopo ripe-

tuti tentativi sono riuscito aproporre il primo articolo,sicuramente può aver in-fluito il periodo estivo: in-vece di fare le vacanze hotentato e agosto è un buonmomento per “salire inbarca”.FILIPPO. La scuola pre-

vede due stage, il primo l’hofatto alla tv finanziaria Class- Cnbc, il secondo a Repub-blica, da aprile a giugnoscorso. Senza la scuola sa-rebbe stato parecchio diffi-cile avere questaopportunità. Un vantaggiodel master è quello di potersfruttare il loro network, al-meno per lo stage. Certo,quando sono arrivato lì agliocchi dei capi e dei colleghiero uguale a tutti gli altristagisti, quindi più o menozero. La strategia che ho at-tuato per “non passare tremesi a fare il soprammo-bile” è stata: per prima cosaesserci il più possibile, pre-

Dopo tanta gavetta e«dopo tanti tentativisono riuscito a proporreil primo articolo»

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sentarmi alle riunioni di re-dazione al mattino ed esseresempre disponibile; poi, es-sere propositivo, non aspet-tare che fossero loro a darmiqualcosa da fare e chiederein maniera decisa ma noninsistente; infine, trovare isettori scoperti e proporredei pezzi. Questo mi ha per-messo di guadagnare la lorofiducia, dopo due o tre pezziche avevo proposto hannocominciato ad assegnarmeliloro, grande passo avanti.Tutto questo impegno hafatto sì che fossi richiamato(in stage ovviamente, 6mesi, ma retribuito).

È INDISPENSABILE FREQUEN-TARE UNA SCUOLA DI GIORNA-LISMO OPPURE BASTA LASEMPLICE MA DURA GAVETTASUL CAMPO?EMANUELE. Nella vita

l'abc è sempre importante:conoscere le basi mentre sifa pratica è utile, ma anchela formazione va ricercatacon attenzione.FILIPPO. Io sono molto

scettico quando sento ungiornalista, più o meno vec-chio, dire che la vera ga-vetta si fa nelle redazioni.Entrare nelle scuole è que-stione di merito. Non hovisto nelle redazioni localigrande spazio per muovere

i primi passi e nemmenomolta disponibilità da partedei giornalisti più esperti odei capi nel seguirti, farticrescere e “investire su dite”. Piuttosto si è buttati inmezzo al mare: può essereun bene a livello di espe-rienza, ma se si acquisisconodelle basi sbagliate senza es-sere corretto, poi è duracambiare. La vera, grande,differenza è tra stare dentrola redazione dove si può im-parare anche solo per imita-zione e fuori comecollaboratore: in questocaso va a finire che ti man-dano da qualche parte,mandi il pezzo e se il giornodopo lo vedi in pagina, ma-gari corretto, bene, altri-menti non ti dicono nulla,nessun feedback.

COSA NE PENSATE DEI MA-STER? INSOMMA, COLLEGAN-DOMI ALLA DOMANDAPRECEDENTE: LA GAVETTA SE-CONDO VOI È NECESSARIA O ÈSUFFICIENTE SCEGLIERE UNBUON MASTER E SALTARE COSÌ,O MEGLIO, CONVERTIRE IN DUEANNI DI SCUOLA TUTTO IL PE-RIODO DI PRATICANTATO?EMANUELE. Non ho mai

frequentato master e nonsaprei rispondere, la primascuola è l'esperienza diretta,ma non basta. Quando pub-

La scuola è utile: «Nonho visto nelle redazioni

grande spazio permuovere i primi passi»

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blichi qualcosa non puoicorreggerlo dopo, o almeno,quasi mai, quindi pratica sì,ma consapevole.FILIPPO. Parlo per la

Tobagi, le altre francamentenon so, anche se ho sentitoche alcune sono meno for-mative di altre, ma nellascuola che ho frequentatoio, ho trovato dei tutor dialto livello, dei compagnidavvero stimolanti, dellestrutture molto all'avan-guardia e una grande atten-zione alla parte pratica: noilavoravamo su sito, rivistamensile, tv e radio, tutte te-state registrate, qualcosa piùdi una semplice simula-zione. Ora, tutto questo, daquello che ho visto, ha resome e i miei compagni“pronti” a lavorare in unaredazione, più ancora chenella scrittura o confezionedei pezzi, proprio nell’atteg-giamento, come fare propo-ste, trovare dei tagliparticolari alle notizie e ri-conoscere le dinamiche.

QUANTI PERIODI DI STAGI-

SMO CON RIMBORSI SPESEQUASI NULLI SE NON NULLI SIDEVONO AFFRONTARE?EMANUELE. Stage gior-

nalistici mai, rimborsi spesequasi nulli mi è successo,ma non con testate impor-tanti.FILIPPO. Nella mia vita

ho avuto solo contratti distage finora, e ho 27 anni,quasi 28. Voglio che sia benchiaro: se uno sceglie ilgiornalismo si “rassegni” aun lungo precariato sotto-pagato, a meno di botte difortuna. Ho fatto gli stagedella scuola (due, non retri-buiti, è vietato), sono tor-nato a Class CNBC la scorsaestate in stage (retribuito), epoi a Repubblica (retri-buito). Cosa spero? Di si-curo non un contratto abreve, ma spero che alla finemi chiedano ancora di rima-nere qui.

È VERO CHE SPESSO IN UNAREDAZIONE IMPORTANTE CISONO MOLTI FIGLI D'ARTE -CHIAMIAMOLI COSÌ PER GENTI-LEZZA - O I COSIDDETTI RAC-

«Se uno sceglie ilgiornalismo si“rassegni” a un lungoprecariato sottopagato»

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COMANDATI?EMANUELE. Non vivo in

redazione, sono un cosid-detto “freelance”. Nell'am-biente chi è figlio d'arte puòavere più difficoltà dato chealcune redazioni non per-mettono compresenze, maanche vantaggi: comequello di conoscere primapregi e difetti di questa pro-fessione.FILIPPO. Raccomandati

e i “figli di...”: sì, ce ne sonocome in qualunque situa-zione. Da un lato è fisiolo-gico nel senso che ilmestiere del giornalista èparecchio totalizzante, as-sorbe la propria vita privata,cosa che è da tenere benpresente prima di sceglierlo(e alla scuola ce lo hannofatto capire molto bene). Ilfamilismo è naturale quasiquanto nel circo. Dall’altro,però, il consiglio è agire“come se” (als ob kantiano)le raccomandazioni non esi-stessero, perché spesso di-ventano una scusa, o unarassegnazione preventiva.

C'È MOLTA RIVALITÀ TRACOLLEGHI IN UNA REDAZIONEIMPORTANTE?EMANUELE. Esiste, ma

ci sono anche molte occa-sioni di collaborazione trachi si rende conto che “si è

sulla stessa barca”.FILIPPO. Dai colleghi si

impara, ho la fortuna diavere attorno a me diversefirme importanti. Si imparasoprattuto per imitazione,anche se non è vietato chie-dere consigli. Bisogna anchestare attenti, da nuovi arri-vati: ci sono degli argomentiche ognuno dei colleghicopre, la strategia più sen-sata è inserirsi nei “buchi”che restano liberi, di spazioce n’è. Quando si ha il dub-bio di pestare i piedi a qual-cuno meglio parlarne con ildiretto interessato, o ancorameglio con il capo. Il piùdelle volte saranno loro adirti: «vai, vai, io non hotempo di occuparmi di que-sta cosa». Avere un atteggia-mento corretto è la primacosa.

QUESTO MESTIERE HA UNFUTURO OPPURE L'ECATOMBEDEI GIORNALISTI È VICINA? FILIPPO. Già, le prospet-

tive. Sono nere, poco dadire, specie nella carta. Unpo’ meglio il web, ma biso-gna prepararsi a un lavorodel tutto diverso, non perforza meno approfondito,ma di certo frenetico al li-mite del sostenibile; o a fareil freelance, lavoro che ri-chiede oltre alle capacità

giornalistiche anche quellemanageriali: investire,crearsi i contatti, seguire ipagamenti, soprattuttocome, a chi e con che taglioproporre i pezzi, una dellecose più difficile del me-stiere, anche in redazionedove bisogna proporre leproprie idee ai capi. In ge-nerale: il mestiere non mo-rirà, ma si restringeràmolto. Quindi bisognerà es-sere sempre più bravi: saperscrivere, trovare le notizie,adattare i linguaggi aimezzi, usare la telecamera,la macchina fotografica e ilregistratore, saper montareaudio e video ed essere dav-vero esperti, quasi delle au-torità, in uno o due campiche ti piacciono di più.

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«A scuola non ci vado più»Master e Ifg sono bersagliati da critiche a volte ingiuste. L’exdirettore della Sgrtv di Perugia, Vittorio Fiorito, fa chiarezza

«No, non farò lascuola di giornali-smo. Non sceglierò

di “comprare” la mia iscrizioneall’Albo». Questa è la risposta diL., che scrive sul suo blog, e dimolti altri aspiranti cronisti, in-viati, reporter, gazzettieri aiquali viene proposto di iscriversialle scuole di Perugia, Urbino,Milano, etc.

Sì, perché parte dell’immagi-nario collettivo considera questotipo di scuole dei veri e propridiplomifici, con la registrazioneall’ordine come premio finale. Sisente spesso dire che le “scuo-line” stiano “drogando” il mer-cato: se si continua a immettere

nella piazza un numero di cro-nisti superiore al necessario, èinevitabile che l’inflazione cre-sca. Per questi e altri motivi,molti giovani apprendisti deci-dono di non entrare in questobusiness di circa due milioni dieuro l’anno: a tanto ammonta lasomma totale delle iscrizioni atali corsi di formazione. Lofanno perché non hanno dispo-nibilità economica o, viceversa,perché non credono, come chiscrive, che la disponibilità eco-nomica possa essere un discri-mine in questa professione. Ma nella guerra tra l’uovo e la

gallina, tra l’accesso alla profes-sione e la nascita delle scuole digiornalismo il dato rimane ina-movibile: il mercato è saturo.Saturo per i troppi penniven-doli. Così il sistema ha creato deifiltri che rispondono all’unicocriterio che storicamente, oltreai genocidi, è servito per scre-mare l’eccesso: i soldi. Difatti, lescuole non possono considerarsila causa dell’ingorgo, bensì uneffetto. Attribuire loro un ruolodiverso genera una facile stru-mentalizzazione; vengono cosìiconizzate a spauracchio dellacotanta nobiltà, propria di que-

di Gioia Dell’Onzi

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sto mestiere. L’ex direttore della Scuola di

giornalismo radio televisivo diPerugia (Sgrt), Vittorio Fiorito,conferma che il problema difondo è un altro: «piuttosto an-drebbe certamente cambiata lalegge riguardante l’accesso o an-

drebbe addirittura abolito l'Or-dine in toto, ché allo statoattuale funziona poco, male e dalobby». Difatti, spiega come «lanascita della Sgrt, avvenuta nel’93-94 per mano della Rai, abbialiberato quest’ultima dall'esclu-sivo assillo politico clientelare

per l'assunzione dei giornalisti.«Durante la mia direzione, ot-

tenne il massimo riconosci-mento come istitutod’eccellenza in Europa». Lascuola di Perugia fu riconosciutatra le migliori del vecchio con-tinente e nacque per svincolarela Rai dal giogo politico di inizioanni Novanta. Funzionava,come conferma l’ex direttore, dafucina di professionisti non in-dicati dagli ambienti di Palazzo.Questo, certo, spazza via moltedelle ombre da cui le scuole, e inparticolare quella di Perugia,vengono ricoperte. Poco si sa adesempio del loro funziona-mento: fuori dai loro siti web, siparla raramente nello specificodei corsi, delle discipline inse-gnate, delle tecniche impartite.E nemmeno della forma istitu-zionale.

«La Scuola di Perugia – spiegaFiorito – è di per sé una testatagiornalistica con tanto di reda-

La Sgrtv di Perugia è stata diretta per sei anni da VittorioFiorito. «Il problema di fondo è un altro: andrebbe cambiata

la legge per l’accesso o abolito l’Ordine»

«La Scuola di Perugia ad esempio è di per séuna testata giornalistica con tanto diredazioni canoniche che realizzano ungiornale». E la Rai ne è l’editore

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zioni canoniche. Realizza il pro-prio giornale stampato, radiofo-nico, televisivo e web con tuttele pagine appropriate sui fatti egli avvenimenti del giorno, uti-lizzando tutte le fonti di agenzieinternazionali o dirette. Le reda-zioni, divise in settori, hanno un

caposervizio e settimanalmentesi scambiano le assegnazioni te-matiche di economia, politicainterna ed estera, sport, cultura,cronaca, costume, giudiziaria,vaticanistica ecc».Come si può immaginare «i

corsi hanno come oggetto tutte

le materie: storia, storia politicanazionale e internazionale, di-ritto, economia, geopolitica,scrittura, grafica, riprese audio evideo, composizione, impagina-zione, montaggio, ecc…»C’è chi sostiene che il costo

dell’iscrizione non valga la qua-lità dell’insegnamento. A ri-guardo, le parole di Fioritoprovano ad addomesticare le cri-tiche: «Io facevo iniziare i mieicorsi con quattro settimane difull immersion con docenti eprofessionisti particolarmentequalificati su più materie: scrit-tura specifica per ogni prodotto,didascalie, flash e notizia breved'agenzia, scrittura radiofonica etelevisiva, e tutte le altre speci-ficità come la storia del Nove-cento; e poi ancoral’apprendimento pieno di tuttele tecnologie e le pratiche infor-matiche, strumentali al fine diimpossessarsi pienamente e dasubito della postazione perso-

L’attuale direttore dell’istituto umbro è Antonio Socci, exconduttore di Excalibur. Nel comitato scientifico compaiono

i nomi di Bruno Vespa e Sergio Zavoli

«I corsi hanno come oggetto tutte le materie:storia, diritto, economia, geopolitica,scrittura, grafica, riprese audio e video,composizione, impaginazione, montaggio»

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nale di cui ogni praticante ve-niva fornito. Alla fine si passavaad una verifica individuale per ilcontrollo delle capacità acquisiteda ognuno e chi non la superavadoveva continuare sulla materiacarente e ripresentarsi a unnuovo test. Dopo tre mesi si pro-

cedeva a una nuova prova indi-viduale, necessaria perprocedere all'iscrizione al Regi-stro dei praticanti. Chi non su-perava nemmeno quest’ultimaveniva automaticamente esclusodal praticantato». Considerato che la frequenza

del corso è riconosciuta dall’Or-dine Nazionale dei Giornalisticome sostitutiva del pratican-tato, un dubbio sorge spontaneo:la professione del giornalista, diper sé pratica e intuitiva, non vaimparata sul campo? «Sì. Infattinelle Scuole di giornalismo lateoria non deve sostituire la pra-tica, ma fornire le coordinateper inquadrare in modo correttole regole, gli automatismi, iprincìpi e le intuizioni giuste,anche le più personali per poidelineare ciò che sarà il mestieredel giornalismo. Mestiere di altoe pregiato artigianato, fatto diculture e saperi specifici e dimeccanismi frutto di un co-stante e paziente esercizio.Come il falegname o il calzolaio,realizzatori di prodotti di fatturae pregio. Un po’ come il piani-sta, che esegue una partitura, sìin modo ispirato e personale, masoprattutto automatico». Ebbene, sembra che iscriversi

La Scuola vale i soldi spesi?: «Io facevo iniziare i miei corsicon quattro settimane di full immersion con docenti e

professionisti particolarmente qualificati su più materie»

«Nelle scuole di giornalismo la teoria nondeve sostituire la pratica, ma fornire lecoordinate per inquadrare in modo correttole intuizioni giuste del mestiere»

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Enzo Iacopino è il presidente dell’Ordine dei giornalisti.L’Ordine ha la responsabilità di verificare la qualità delle

scuole e certificarne la validità come praticantato

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a una di queste scuole sia l’unicastrada percorribile per intra-prendere la carriera di giornali-sta. Quantunque in molticontinuino a scegliere un per-corso differente, come quelloper diventare pubblicisti. È dun-que così utopica un’opzione al-ternativa alle scuole? «Di certoci può ancora essere la soluzionedella strada e delle scarpinate.Ma si tratterebbe di una lungagavetta in nero, magari da lavo-ratori schiavizzati che si augu-rano di trovare un caporedattoreo un direttore che faccia il mira-colo di iscriverli al praticantato.Il giornalismo, quello serio, ri-chiede un’assidua e specificapreparazione, e soprattutto unsubstrato culturale molto vasto.Qualcuno dice mai ai praticantie ai giovani giornalisti che percapire bene il mondo, o nel suopiccolo l’Italia, è necessario stu-

diare la storia dell'Impero Ate-niese, Tucidide soprattutto, e lastoria dell'Impero Romano, cioètutti gli storici classici romani, ela storia dell'Impero di Bisanzio?Qualcuno ha mai detto che l'Ita-lia si comprende, a tutt’oggi,poco e male se non si conosce la

Istoria del Concilio Tridentinodi Paolo Sarpi? Ecco. Per questoci sono le scuole di giornalismo”.

Invece di incancrenire la pro-testa contro le scuole, sarebbeutile far presente all’Ordine cheil giornalismo, dai tempi di Tu-cidide e da quelli di Sarpi, è mu-tato; i suoi interpreti pure. Neglianni Novanta, quelli di VittorioFiorito direttore, le scuolehanno allargato e non ristrettol'accesso alla professione. Ma lecose sono cambiate, i costi sonolievitati e l’Ordine ha lasciatoche gli Igf passassero per tunnelelitari d’accesso alla professione.

C’è infatti chi, come L., gio-vane giornalista pubblicista ven-tisettenne, che nel suo blogcontinua tenacemente ad affer-mare che no, non proverà mai afare la scuola di giornalismo.

Ma il mercato è saturo. Troppi giornalisti perpoche redazioni in grado di pagare. Così ilsistema ha imparato a servirsi delle scuole perselezionare e l’Ordine è rimasto a guardare

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Settimanale quotidiano*

*Un tema a settimana,un aggiornamento ogni sera.

Lorenzo Ligas, Silvia Fiorito, Elisa Gianni

Chiara Esposito