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Volume 3, 2009 Numero 3 , ottobre ISSN onpaper: 1971-9558 ISSN online: 1971-9450 Journal of Psychology (Italy) Editor: Felice Perussia Il ruolo dell’ansia di tratto nella rappresentazione mentale di un’importante scelta di vita reale Anna GORRESE, Anna PADULA, Carmela CAPPELLI Relazione tra adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo e comportamento prosociale: Una ricerca nella scuola media Elisabetta SAGONE, Laura LICATA Stategie di coping negli infermieri e negli studenti d’infermieristica Chiara BARLOTTI, Cristina DI PIETRO, Claudia URAS, Stefano TABOLLI Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniu- gati Felice PERUSSIA, Renata VIANO Rendimento scolastico, fattori della personalità, pro- cessi motivazionali e sistema del sé: Una rassegna sullo sviluppo degli studi Mauro MELEDDU, Laura Francesca SCALAS Il ruolo della direzione dell’attenzione nel fenomeno “choking under pressure”: Lo stato dell’arte Christian AGRILLO © PSICOTECNICA edizioni Milano Giornale di Psicologia

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Volume 3, 2009 Numero 3 , ottobre

ISSN onpaper: 1971-9558ISSN online: 1971-9450

Journal of Psychology (Italy) Editor: Felice Perussia Il ruolo dell’ansia di tratto nella rappresentazione mentale di un’importante scelta di vita reale Anna GORRESE, Anna PADULA, Carmela CAPPELLI Relazione tra adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo e comportamento prosociale: Una ricerca nella scuola media Elisabetta SAGONE, Laura LICATA Stategie di coping negli infermieri e negli studenti d’infermieristica Chiara BARLOTTI, Cristina DI PIETRO, Claudia URAS, Stefano TABOLLI Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniu-gati Felice PERUSSIA, Renata VIANO

Rendimento scolastico, fattori della personalità, pro-cessi motivazionali e sistema del sé: Una rassegna sullo sviluppo degli studi Mauro MELEDDU, Laura Francesca SCALAS Il ruolo della direzione dell’attenzione nel fenomeno “choking under pressure”: Lo stato dell’arte Christian AGRILLO

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Psicologia

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Giornale di Psicologia 2009, Volume 3, Numero 3 (Ottobre)

Il ruolo dell’ansia di tratto nella rappresentazione mentale di un’importante scelta di vita reale ........................ 227 Anna GORRESE, Anna PADULA, Carmela CAPPELLI Relazione tra adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo e comportamento prosociale: Una ricerca nella scuola media ............................................................................................................................. 247 Elisabetta SAGONE, Laura LICATA Stategie di coping negli infermieri e negli studenti d’infermieristica ............................................................... 255 Chiara BARLOTTI, Cristina DI PIETRO, Claudia URAS, Stefano TABOLLI Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati ................................................................................. 265 Felice PERUSSIA, Renata VIANO Rendimento scolastico, fattori della personalità, processi motivazionali e sistema del sé: Una rassegna sullo sviluppo degli studi ...................................................................................................................................... 297 Mauro MELEDDU, Laura Francesca SCALAS Il ruolo della direzione dell’attenzione nel fenomeno “choking under pressure”: Lo stato dell’arte ................... 319 Christian AGRILLO 

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Giornale di Psicologia

Direttore: Felice Perussia Vice-Direttore: Gabriella Pravettoni

Redattori: Andrea Boarino, Claudio Lucchiari, Renata Viano Il Giornale di Psicologia pubblica una selezione di contributi originali di ricerca in ambito psicologico, di qualità e-levata e di ampio interesse per ogni ricercatore, studioso o professionista nel settore, in campo sia accademico di base sia professionale applicato. Il Giornale di Psicologia è una pubblicazione scientifica internazionale, di taglio europeo. Il Giornale di Psicologia nasce da una filosofia che favorisce la massima diffusione open-access della ricerca scientifica in psicologia, senza perseguire obiettivi di sfruttamento commerciale della disciplina stessa. Il Giornale di Psicologia è aperto a tutti i settori della ricerca specialistica in psicologia, specie della psicologia genera-le, sociale e applicata ovvero della psicologia sperimentale, metodologica, clinica, dinamica, storica, epistemologica; così come alla ricerca su temi quali i test, la psicoterapia, la psicotecnica, il counseling, le scienze cognitive e più in particolare lo studio della personalità. Il Giornale di Psicologia viene pubblicato sia in formato cartaceo (ISSN 1971-9558), sia in formato elettronico (ISSN 1971-9450). Quest’ultimo è liberamente (e gratuitamente) accessibile via internet da ogni studioso, ricercato-re, studente o curioso o quant'altro di tutto il mondo. Tutte le comunicazioni da e per il Giornale di Psicologia avvengono via e-mail, a meno che non venga specificata la necessità di produrre materiali cartacei o dichiarazioni in copia ufficiale. Per la proposta di articoli, occorre fare riferimento alle norme indicate nelle loro linee principali qui oltre e più este-samente sul sito internet http://giornaledipsicologia.it Chiunque accede al Giornale di Psicologia si impegna automaticamente a leggere e quindi a conoscere, accettare e ri-spettare nel dettaglio tutte le caratteristiche del Giornale di Psicologia quali vengono descritte al sito ufficiale: http://giornaledipsicologia.it. Di qualsiasi eventuale scorrettezza compiuta dagli Autori, che fosse sfuggita alla redazione del GdP, è responsabile so-lo è il soggetto che ha fornito i materiali, i dati o le informazioni o che ha espresso le opinioni relative. CON RIFERIMENTO ALLA LEGGE ITALIANA SULLA STAMPA: Il Giornale di Psicologia è una pubblicazione quadrimestrale a carattere scientifico, iscritta nel registro periodici del Tribunale di Milano (n.249; 16.4.2007). Direttore Responsabile: Felice Perussia. Il Giornale di Psicologia (ISSN 1971-9558) viene stampato in forma cartacea. Il sito internet www.giornaledipsicologia.it ospita al suo interno l'edizione online (ISSN 1971-9450) del Giornale di Psicologia stesso. La parte relativa al Giornale di Psicologia è solo quella contenuta nella sezione http://giornaledipsicologia.it/gdp Il resto del sito fornisce note di supporto scientifico e di inquadramento per il GdP, ma non ha carattere di pubblicazione perido-dica, non è parte integrante del Giornale di Psicologia ed è autonomo. Editore: Psicotecnica srl – Viale Cirene, 3 - 20135 Milano – www.psicotecnica.it Poligrafato nel mese di novembre 2009 presso: Tecnos srl, viale Umbria 9a, 20135 Milano

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Ringraziamo sentitamente, per la gentile quanto preziosa disponibilità,

il COMITATO dei CORRISPONDENTI SCIENTIFICI del Giornale di Psicologia

Simonetta ADAMO Università Bicocca di Milano Guido AMORETTI Università di Genova Tiziano AGOSTINI Università di Trieste Luigi ANOLLI Università Bicocca di Milano Alessandro ANTONIETTI Università Cattolica di Milano Ritagrazia ARDONE Università La Sapienza di Roma Grazia ATTILI Università La Sapienza di Roma Sebastiano BAGNARA Università di Siena Bruno BALDARO Università di Bologna Pier Luigi BALDI Università Cattolica di Milano Bruno BARA Università di Torino Gabriella BARTOLI Università Roma Tre di Roma Guglielmo BELLELLI Università di Bari Giorgio BELLOTTI Università dell'Insubria Como Varese Massimo BELLOTTO Università di Verona Eleonora BILOTTA Università della Calabria Marino BONAIUTO Università La Sapienza di Roma Nicolao BONINI Università di Trento Franco BORGOGNO Università di Torino Claudio BOSIO Università Cattolica di Milano Maria Antonella BRANDIMONTE Università Suor Orsola Benincasa di Napoli Giovanni BRIANTE Università di Torino Luisa BRUNORI Università di Bologna Piera BRUSTIA Università di Torino Cristina CACCIARI Università di Modena e Reggio Gian Vittorio CAPRARA Università La Sapienza di Roma Maurizio CARDACI Università di Palermo Clara CASCO Università di Padova Vincenzo CARETTI Università di Palermo

Cristiano CASTELFRANCHI Università di Siena Vittorio CIGOLI Università Cattolica di Milano Francesco Paolo COLUCCI Università Bicocca di Milano Roberto CUBELLI Università di Trento Nino DAZZI Università La Sapienza di Roma Rossana DE BENI Università di Padova Alessandra DE CORO Università La Sapienza di Roma Vilfredo DE PASCALIS Università La Sapienza di Roma Annamaria DE ROSA Università La Sapienza di Roma Carlamaria DEL MIGLIO Università La Sapienza di Roma Antonella DELLE FAVE Università Statale di Milano Marco DEPOLO Università di Bologna Franco DI MARIA Università di Palermo Santo DI NUOVO Università di Catania Angela Maria DI VITA Università di Palermo Giovanni Andrea FAVA Università di Bologna Graziella FAVA VIZIELLO Università di Padova Ino FLORES D'ARCAIS Università di Padova Teresa FOGLIANI Università di Catania Mario FORZI Università di Trieste Laura FRUGGERI Università di Parma Mario FULCHERI Università di Chieti e Pescara Dario GALATI Università di Torino Giuliano GEMINIANI Università di Torino Anna Maria GIANNINI Università La Sapienza di Roma Dino GIOVANNINI Università di Modena e Reggio Erminio GIUS Università di Padova Fiorella GIUSBERTI Università di Bologna Antonio GODINO Università del Salento Massimo GRASSO Università La Sapienza di Roma

Alberto GRECO Università di Genova Guglielmo GULOTTA Università di Torino Antonio IMBASCIATI Università di Brescia Paolo INGHILLERI Università Statale di Milano Giulio LANCIONI Università di Bari Margherita LANG Università Bicocca di Milano Alessandro LAUDANNA Università di Salerno Gioacchino LAVANCO Università di Palermo Orazio LICCIARDELLO Università di Catania Vittorio LINGIARDI Università La Sapienza di Roma Giovanni Pietro LOMBARDO Università La Sapienza di Roma Girolamo LO VERSO Università di Palermo Cesare MAFFEI Università San Raffaele di Milano Marisa MALAGOLI TOGLIATTI Università La Sapienza di Roma Anna Maria MANGANELLI Università di Padova Franco MARINI Università di Cagliari Giuseppe MANTOVANI Università di Padova Gianni MAROCCI Università di Firenze Carlo Alberto MARZI Università di Verona Francesco Saverio MARUCCI Università La Sapienza di Roma Olimpia MATARAZZO Seconda Università di Napoli Jacques MEHLER Sissa Isad di Trieste Mauro MELEDDU Università di Cagliari Orazio MIGLINO Università Federico II di Napoli Giuseppe MININNI Università di Bari Marina MIZZAU Università di Bologna Paolo MODERATO Università IULM di Milano Egidio MOJA Università Statale di Milano Enrico MOLINARI Università Cattolica di Milano

Gianni MONTESARCHIO Università La Sapienza di Roma Roberto NICOLETTI Università di Bologna Giovanna NIGRO Seconda Università di Napoli Adele NUNZIANTE CESARO Università Federico II di Napoli Marta OLIVETTI BELARDINELLI Università La Sapienza di Roma Fiorangela ONEROSO di LISA Università di Salerno Francesca ORTU Università La Sapienza di Roma Patrizia PATRIZI Università di Sassari Adolfo PAZZAGLI Università di Firenze Eliano PESSA Università di Pavia Claudia PICCARDO Università di Torino Isabella POGGI Università Roma Tre di Roma Barbara POJAGHI Università di Macerata Marco POLI Università Statale di Milano Maria Luisa POMBENI Università di Bologna Gabriele PROFITA Università di Palermo Gian Piero QUAGLINO Università di Torino Marcella RAVENNA Università di Ferrara Alessandra RE Università di Torino Mario REDA Università di Siena Camillo REGALIA Università Cattolica di Milano Paolo RENZI Università La Sapienza di Roma Dario ROMANO Università Bicocca di Milano Serena ROSSI Università di Urbino Francesco ROVETTO Università di Parma Sandro RUBICHI Università di Modena e Reggio Vittorio RUBINI Università di Padova Rino RUMIATI Università di Padova Sergio SALVATORE Università del Salento

Alessandro SALVINI Università di Padova Piero SALZARULO Università di Firenze Marco SAMBIN Università di Padova Lucio SARNO Università San Raffaele di Milano Ugo SAVARDI Università di Verona Eugenia SCABINI Università Cattolica di Milano Carmencita SERINO Università di Bari Maria SINATRA Università di Bari Giovanni SIRI Università San Raffaele di Milano Saulo SIRIGATTI Università di Firenze Giovanni SPRINI Università di Palermo Cristina STEFANILE Università di Firenze Renata TAMBELLI Università La Sapienza di Roma Angelo TARTABINI Università di Parma Rosanna TRENTIN Università di Padova Valeria UGAZIO Università di Bergamo Paolo VALERIO Università Federico II di Napoli Tomaso VECCHI Università di Pavia Serena VEGGETTI Università La Sapienza di Roma Fabio VEGLIA Università di Torino Giovanni Bruno VICARIO Università di Udine Marco VILLAMIRA Università Iulm di Milano Cristiano VIOLANI Università La Sapienza di Roma Chiara VOLPATO Università Bicocca di Milano Vanda ZAMMUNER Università di Padova Bruna ZANI Università di Bologna Pierluigi ZOCCOLOTTI Università La Sapienza di Roma Cristina ZUCCHERMAGLIO Università La Sapienza di Roma Andrzej ZUCZKOWSKI Università di Macer

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La sede redazionale del Giornale di Psicologia è attual-mente presso il Direttore: Felice Perussia, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino, Via Po, 14, 10123 Torino.

La gestione delle comunicazioni relative al Giornale di Psicologia avviene, nei limiti del possibile, completamente attraverso internet.

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Il ruolo dell’ansia di tratto nella rappresentazione mentale di un’importante scelta di vita reale

Anna GORRESE*, Anna PADULA**, Carmela CAPPELLI*** *Università degli Studi di Salerno – Dipartimento di Scienze dell’Educazione

**Università degli Studi di Salerno – CAOT *** Università degli Studi di Napoli Federico II – Dipartimento di Scienze Statistiche

ABSTRACT - The role of trait anxiety in a mental representation of important real-life decision. The decision is defined as the output of a mental construction resulting from the way which decision dilemma and information that charac-terizes different alternatives could be represented. The perception and interpretation of some situations as “threat” could affect the representation of the problem. Trait anxiety is associated with several appraisal biases, including heightened perception of threat and reduced perceptions of personal control. The Endler Multidimensional Anxiety Scales (EMAS) was administered to 107 high school graduates about to enrol at the University of Salerno, asking in-formation on choices for future degree courses. Starting from the hypotheses of the multidimensionality of anxiety, we looked at the association that could exist between trait anxiety, the perception of threat and the imaginative and verbal representations of the decision problem by the statistical method of the Multiple correspondence analysis. KEYWORDS: Anxiety, Decision making, Emotion, Mental imagery, Multiple correspondence analysis. RIASSUNTO – La decisione viene vista come il risultato di una costruzione mentale determinata dal modo in cui ci si rappresenta il dilemma decisionale e si elaborano le informazioni che caratterizzano le diverse opzioni. La percezio-ne o l’interpretazione della situazione come una minaccia può influire sulla rappresentazione del problema. L’ansia di tratto comporta alcuni biases valutativi, come un elevata percezione della minaccia, e una ridotta percezione del con-trollo. A centosette neo-diplomati che si erano recati all’Università di Salerno per chiedere informazioni inerenti la scelta del corso di laurea a cui iscriversi, è stato somministrato l’Endler Multidimensional Anxiety Scales (EMAS). A partire dall’ipotesi della multidimensionalità dell’ansia, abbiamo esplorato l’eventuale associazione esistente tra l’ansia di tratto, il grado di minaccia percepito e la rappresentazione immaginativa e verbale del problema decisionale me-diante il metodo statistico dell’analisi delle corrispondenze multiple. PAROLE CHIAVE: Ansia, Presa di decisione, Emozione, Immagine mentale, Analisi delle corrispondenze multiple.

Introduzione

Il termine “scelta”, solitamente utilizzato come

generico sinonimo di decisione, indica più propria-mente il sottoprocesso della decisione che concerne la selezione di un’opzione tra possibilità alternative (Del Missier, Bonini e Rumiati, 2008). Innanzitut-to, nel processo decisionale il decisore deve avere la possibilità di valutare più di un possibile corso d’azione o alternativa mediante l’adozione di una rappresentazione mentale del problema. Un aspetto fondamentale riguarda, pertanto, in che modo le persone si rappresentano mentalmente le alternative caratterizzanti il processo decisionale.

Ola Svenson e Ilkka Salo (2007) – in uno dei pochi studi in cui ci si è focalizzati sulle rappresenta-zioni mentali di importanti decisioni della vita reale – hanno indagato su come concetti teorici tradizio-nali nella teoria delle decisioni (costi, probabilità, benefici) ed emozioni/affetti sono applicati quando i decisori stessi riflettono sulle proprie decisioni. Gli autori hanno indagato sul modo in cui vengono

classificate le caratteristiche delle alternative di im-portanti decisioni di vita reale, quali lasciare il partner, scegliere un corso di istruzione superiore e cercare casa. Si tratta di decisioni – appositamente selezionate dai ricercatori tra differenti domini signi-ficativi della vita reale – che, in passato, i partecipanti si erano effettivamente trovati a dover compiere (studio 1). Ai partecipanti è stato chiesto di valutare il processo decisionale caratterizzante una decisione passata (studio 1) e una decisione futura (studio 2) in base a un set di caratteristiche riguar-danti diverse categorie: “emozioni” (emozione, gioia, cordoglio, passività, attività, piacere, dispiace-re, attrazione, repulsione), “la rappresentazione degli scenari delle alternative” (parole, immagini, parole in dialogo, scenari, immagini in movimento, imma-gini in movimento con dialoghi), aspetti fisici e aspetti astratti, la categoria “cause” (le cause scate-nanti la decisione, conseguenze, probabilità, valore soggettivo, guadagni o perdite in termini monetari), i predittori psicologici (“ciò che penserebbero gli al-tri”, “ciò che io ho pensato in una situazione

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Gorrese, A., Padula, A., Cappelli, C. – Ansia di tratto e rappresentazione mentale in una scelta di vita reale

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

Giornaledipsicologia.it, Vol. 3, No. 3, 2009ISSN 1971-9450

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simile”). Per ogni decisione, ai partecipanti veniva chiesto di valutare per ciascuna caratteristica quanto essa corrispondesse al proprio modo di rappresentar-si le alternative della situazione decisionale (e non il problema decisionale in sé). Per ogni caratteristica, ai partecipanti viene presentata la seguente frase “Puoi generare associazioni spontanee in forma di…” (ad esempio, “emozioni”, oppure in forma di “parole” e così via per ogni caratteristica); ciascun partecipante deve assegnare un punteggio con un range da 0 a 100: se una caratteristica non è ritenuta per niente adeguata scrivere zero). Va sottolineato che la categoria “rappresentazione degli scenari delle alternative” comprendeva sia la descrizione verbale, sia quella immaginativa della situazione decisionale. Dall’analisi delle componenti principali eseguiti sui punteggi assegnati dai partecipanti alla rappresenta-zione delle alternative delle tre situazioni decisionali di vita reale rispetto al passato, sono stati estratti tre fattori: emozioni positive, emozioni negative e sce-nario (immagini in movimento, immagini e così via).

Nella rappresentazione mentale dei tre problemi decisionali – sia in relazione a decisioni prese in pas-sato sia rispetto a decisioni future – risultano ugualmente importanti i concetti tradizionali della teoria della decisione e le emozioni. Le caratteristi-che della categoria “emozioni” hanno ottenuti punteggi medi molto elevati non solo – come ci si poteva aspettare – nel valutare le alternative circa la decisione di lasciare il partner, ma anche nella scelta di un corso di studi e nella scelta della casa. Svenson e Salo evidenziano come le emozioni positive e le emozioni negative risultano fattori indipendenti, se-gnalando la necessità di andare oltre la valenza nello studiare il ruolo delle emozioni nell’intero processo decisionale.

La valenza è solo una delle dimensioni valutative (appraisal) che nel processo emotivo guida, sorregge e orienta la valutazione di un evento situazionale. Nell’ambito della psicologia delle emozioni, oltre alla piacevolezza/spiacevolezza (valenza), le teorie dell’appraisal prendono in considerazione, infatti, altre dimensioni di valutazione cognitiva, quali anti-cipazione dello sforzo, attenzione, certezza, responsabilità e controllo. Alcuni biases valutativi che intervengono nella rappresentazione del pro-blema decisionale potrebbero essere dovuti pertanto a tendenze sistematiche di appraisal che scaturiscono dalla multidimensionalità dei processi valutativi. In particolare, secondo l’Appraisal Tendency Frame-work, proposto da Jennifer Lerner, Dacher Keltner e colleghi, la multidimensionalità della valutazione non solo differenzia le emozioni (considerate appun-

to configurazioni specifiche di valutazione), ma comporta anche una predisposizione cognitiva im-plicita a valutare gli eventi futuri in linea con ciò che Lazarus definisce il core relational themes che caratte-rizza le differenti emozioni. Tale tendenza di valutazione perdura al di là della situazione elicitan-te e influenza sia il contenuto sia la profondità di elaborazione del pensiero nella presa di decisione o nella formulazione di un giudizio.

Il tema o struttura di significato (core relational theme) che caratterizza l’ansia è il confrontarsi con una situazione esistenziale incerta (Lazarus, 1991).

L’ansia sembra esercitare una profonda influenza sulla cognizione in relazione alla sua potenzialità di elevare la percezione della minaccia; ciò potrebbe emergere anche nella rappresentazione mentale di un problema decisionale.

Obiettivi e ipotesi Il nostro lavoro mira ad indagare il modo in cui

gli individui si rappresentano una decisione impor-tante per la vita reale – quale è la scelta del corso di studi universitari – analizzando il ruolo delle diffe-renze individuali relative all’ansia di tratto e alla percezione soggettiva della minaccia.

In diversi studi sul problema della scelta profes-sionale, infatti, l’ansia di tratto assume un’importanza centrale nel processo decisionale (Germeijs, Verschueren, Soenens, 2006; Saka e Ga-ti, 2007). Essa si riferisce “a una predisposizione stabile a provare ansia, legata a differenze individuali nel percepire un’ampia gamma di situazioni come minacciose” (Spielberg 1975).

Di recente è stata sottolineata la necessità di a-dottare una concezione multidimensionale dell’ansia di tratto. In particolare, Norman S. Endler afferma che gli individui differiscono nella predisposizione all’ansia in situazioni particolari. I quattro tipi, o dimensioni, dell’ansia di tratto, comprovati da studi empirici, sono:

• Valutazione sociale o minaccia interpersonale; • Minaccia da pericolo fisico; • Minaccia da situazioni ambigue; • Minaccia in situazioni innocue o di routine quo-

tidiana. A partire dalla multidimensionalità dell’ansia di

tratto, la nostra ipotesi è che ad alti livelli di ansia di tratto e di percezione della minaccia per le situazioni di valutazione sociale e per quelle nuove e ambigue

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Gorrese, A., Padula, A., Cappelli, C. – Ansia di tratto e rappresentazione mentale in una scelta di vita reale

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

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si associno categorie immaginative e verbali ad eleva-ta connotazione emotiva. Gli individui ansiosi, infatti, temerebbero gli eventi caratterizzati dall’incertezza in quanto potrebbero nascondere un pericolo che appare spesso correlato a situazioni so-ciali e a situazioni nuove o ambigue.

Inoltre, in base ai risultati di recenti studi sulla relazione tra emozioni e immagini mentali (Holmes e Mathews, 2005; Holmes et al. 2006), ipotizziamo che il percepire la situazione di vita reale in esame come molto minacciosa si associ alla generazione di immagini mentali con forte connotazione emotiva.

Metodo PARTECIPANTI Il campione è costituito da 107 neodiplomati

che nel mese di Luglio 2008 si sono recati presso gli uffici del CAOT (Centro di Ateneo per l’Orientamento e il Tutorato) dell’Università degli Studi di Salerno per ottenere informazioni circa i corsi di laurea e le modalità di immatricolazione ed hanno aderito volontariamente alla ricerca. Sette dei partecipanti sono stati successivamente esclusi ai fini della analisi dei dati perché non avevano completato i test e/o si erano dimostrati poco collaborativi. Per-tanto, il dataset definitivo è costituito da 100 osservazioni, 37 maschi e 63 femmine di età com-presa tra i 18 e i 20 anni.

STRUMENTI Ai partecipanti sono state somministrate due sca-

le del test Endler Multidimensional Anxiety Scales (EMAS), un questionario carta-matita che fornisce un insieme di misure coordinate per valutare: 1) la predisposizione individuale a provare ansia in quat-tro tipi di situazioni rilevanti rispetto ad un’ampia gamma di esperienze, e 2) la percezione individuale della minaccia legata alla situazione (in questo caso, la situazione di scelta del corso di laurea).

Non abbiamo preso in esame la misurazione dell’ansia di stato poiché quest’ultimo costrutto ri-sente particolarmente della variabilità del contesto: infatti, alcuni ragazzi venivano in gruppo o accom-pagnati dai genitori e/o fratelli, altri con persone già iscritte e/o amici, pochi da soli.

L’EMAS-T fornisce quattro punteggi distinti dell’ansia di tratto: Valutazione Sociale (VS), Perico-lo Fisico (PF), Ambiguità (AM), Routine Quotidiana (RQ). In questo test viene chiesto al soggetto di indicare come si sente per ognuna delle

quattro situazioni proposte per i 15 item ripetuti per le quattro sottoscale (per un totale di 60 item). La validità concorrente dell'EMAS-T è stata stimata da diversi autori, usando misure alternative dell'ansia, come lo STAI di Spielberg (1983), la scala del Ne-vroticismo del Personal Inventory (Eysenck), l'Anxiety Sensitivity Inventory (Peterson e Heil-brauner, 1987) ed il Fear of Succes Scale (Zuckerman e Allison, 1986). Le correlazioni tra le quattro dimensioni dell'EMAS-T e dello STAI-T per due gruppi universitari hanno dato risultati po-sitivi nella direzione attesa. Weiser (1984) trovò che lo STAI-T correlava più con la sottoscala VS (r=.44) e AM (r=.51) che con la sottoscala del PF (r=.07).

L'EMAS-P è costituito da 8 item differenti, 5 a risposta chiusa e 3 a risposta aperta. Questo subtest misura la percezione soggettiva del grado di minac-cia nelle diverse situazioni (VS, PF, AM, RQ) e il grado di minaccia evocata dalla situazione in esame. La formulazione dei primi 4 item è centrata sul pro-blema dell’immaginazione: infatti, al partecipante viene richiesto di immaginare di trovarsi in quella specifica situazione; ad esempio l’item P3 prevede la seguente consegna: “Immagina una situazione nuo-va, sconosciuta in cui non sai cosa ti possa accadere: indica il grado in cui ti senti coinvolto”.

Le istruzioni specifiche, differenziate per ogni parte, richiamano l'attenzione sull'obiettivo del su-btest. Nell'EMAS ogni item viene valutato su di una scala a 5 punti di intensità, da 1 – a cui corrisponde la voce verbale 'Per niente' – a 5 a cui corrisponde 'Molto'. Tutti i punteggi grezzi dell’EMAS sono sta-ti trasformati in punteggi standardizzati (punti T) utilizzando le apposite tabelle di conversione.

Le risposte alla domanda dell’EMAS P: “Vor-remmo sapere come percepisci la situazione in cui ti trovi ora. C’è qualcosa in particolare, di questa si-tuazione, che ti fa provare timore? Prova a spiegarlo” sono state sottoposte ad analisi del contenuto, con lo scopo di analizzare come i partecipanti percepiva-no la situazione di scelta in cui si trovavano e che li aveva spinti a recarsi presso gli uffici del CAOT dell’Università. Si è così ottenuto un elenco di 10 categorie: “Ansia, Indecisione, Insicurezza circa le proprie capacità, Incertezza, Curiosità, Novità, Assen-za di timore, Paura del futuro”. La categoria “Ansia” è stata costruita facendo confluire in essa tutte quelle risposte che contenevano l’utilizzo di termini diret-tamente riferibili al concetto di “ansia” (ansia, panico e così via). Un aspetto interessante è che le categorie “Paura del futuro” e “Incertezza”, significa-tivamente connotate emozionalmente, sono quelle con una maggiore frequenza; nel caso in esame, l’“Incertezza” si configura come una categoria carat-

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terizzata da un’emozione di paura e nello specifico la paura di sbagliare la scelta.

Dopo la somministrazione dei due subtest dell’Emas, ai partecipanti è stata formulata la se-guente domanda: “Sei indeciso tra più corsi di laurea a cui iscriverti?”, e “Se sì, quali?”, in modo da registrare il numero di opzioni della scelta (erano indecisi sulla scelta il 71 % dei partecipanti, dei qua-li il 43 % era incerto tra due opzioni, il 26% tra tre opzioni e il 2% tra quattro opzioni).

A questo punto, ad ogni partecipante è stato chiesto: “Prova a descrivermi la prima immagine che ti viene in mente rispetto alla situazione che stai vi-vendo in questo periodo di scelta importante per il tuo futuro, proprio come se si trattasse della scena di un film”, raccogliendo le prime tre immagini men-tali prodotte spontaneamente. Ciascuna immagine è stata connotata affettivamente dal partecipante, in-dicando il valore affettivo, evocato dall’immagine, in un intervallo che va da -2 (molto negativo) a + 2 (molto positivo) con 0 punto neutro.

Le immagini sono state categorizzate facendo ri-ferimento alle categorie emerse in uno studio sperimentale di Holmes e colleghi (2008), alle quali sono state aggiunte categorie specificamente inerenti la situazione in esame. Le categorie individuate so-no: sé, utilizzo di termini emozionali, eventi/luoghi specifici, utilizzo di termini inerenti fenomeni naturali e atmosferici, descrizione di azioni, valenza emotiva, altri da sé. A questo punto, due giudici indipendenti hanno provveduto a codificare tutte le immagini utilizzando queste categorie. È stata considerata an-che la categoria assenza di immagini, nel caso i partecipanti non riuscivano a generare immagini (specie la seconda o la terza immagine), poiché an-che la difficoltà a generare immagini potrebbe essere in relazione con il grado di percezione della minac-cia e la predisposizione individuale a provare ansia.

I giudici hanno condotto l’analisi del contenuto separatamente e i risultati sono stati confrontati e i disaccordi mediati attraverso una discussione colle-giale.

ANALISI DEI DATI Ai fini dell’analisi le variabili numeriche (pun-

teggi) valutazione sociale (VS), pericolo fisico (PF), situazioni ambigue (AM), e routine quotidiana (RQ) sono state categorizzate considerando un valo-re soglia pari a 55, poiché i partecipanti con punti T>55 cadono al di sopra del 70° percentile, con an-sia di tratto superiore alla media.

I dati così ricodificati sono stati analizzati me-diante una tecnica di analisi statistica multivariata,

l’Analisi delle Corrispondenze Multiple (nel prosie-guo denotata con l’acronimo ACM), tipicamente impiegata per lo studio di dati provenienti da que-stionario, allo scopo di individuare le associazioni simultanee che sussistono tra le modalità di più di due caratteri qualitativi congiuntamente considerati. Tale tecnica rientra tra i metodi fattoriali e consente quindi di individuare delle variabili "latenti" soggia-centi il fenomeno complesso oggetto di studio e capaci di sintetizzare e rappresentare la struttura del-le interrelazioni esistenti tra le variabili originarie che descrivono tale fenomeno (per dettagli metodo-logici si vedano tra gli altri Lebart et al., 1984; Bolasco, 1999; Gerghi e Lauro, 2002). Un ulteriore aspetto della ACM ed in generale dei metodi fatto-riali che conviene ricordare è la possibilità di effettuare una distinzione nell’ambito delle variabili tra quelle attive e quelle illustrative. Le prime pren-dono parte direttamente all’analisi e quindi concorrono alla determinazione della soluzione fat-toriale, le seconde invece vengono proiettate “in supplementare” nel piano fattoriale ovvero solo suc-cessivamente e sono di ausilio alla interpretazione degli assi stessi. Nel presente caso, le variabili genere del rispondente e numero di corsi di lau-rea/alternative sono state considerate illustrative.

La ACM è un metodo che si fonda su un ap-proccio di tipo geometrico che pervenendo alla rappresentazione delle modalità di più caratteri qua-litativi in uno spazio di dimensione ridotta (tipicamente un piano) consente di studiare le asso-ciazioni simultanee che sussistono tra le modalità di tali caratteri congiuntamente considerati.

Le variabili latenti individuate, i cosiddetti fatto-ri, definiscono un sottospazio di dimensione ridotta ovvero un nuovo sistema di coordinate in cui proiet-tare la nube dei punti-modalità. Ciascuna modalità è collocata sul piano fattoriale secondo le rispettive coordinate assunte sui primi due fattori. Mediante lo studio delle prossimità tra i punti-modalità, è possibile comprendere la natura dell’associazione esistente tra di essi e globalmente tra le variabili. Il criterio interpretativo è infatti quello della vicinanza: essendo ciascuna modalità collocata nel piano fatto-riale secondo le rispettive coordinate sui primi due fattori, se due modalità presentano alte coordinate di analogo segno e quindi sono vicine, ciò segnala che esse tendono ad essere associate.

L’analisi è stata condotta utilizzando il software specialistico SPAD (CORMU e DEFAC, vedi Le-bart et al., 1996) che accanto all’output grafico (riportato in appendice) fornisce anche i cosiddetti “valori test” che forniscono una misura della signifi-catività della posizione di un punto-modalità su di

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un asse. Valori superiori ad una soglia circa pari a 2, evidenziano che la modalità in questione è significa-tivamente distante dal baricentro e caratterizza quindi l’asse in questione.

Sono state condotte più analisi, una per ciascuna immagine, ottenendo così diversi piani fattoriali, il cui esame ha consentito di analizzare le immagini spontaneamente associate alla situazione decisionale.

Risultati In questo paragrafo è riportata, per ciascuna ana-

lisi effettuata, la tabella dei valori test delle modalità attive e/o illustrative, ordinati secondo importanza crescente e limitatamente alle modalità che superano la soglia precedentemente indicata.

La Tabella 1 riporta i valori test delle modalità relative ai punteggi dell’EMAS-Perception ed alle categorie immaginative per l’immagine I, mentre in appendice è riportato il corrispondente primo piano fattoriale (figura 1).

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | -6.99 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 23.00 | 1 | | bass | -5.23 | P5 bassa | p5cat | 44.00 | 2 | | medi | -4.95 | P1 media | p1cat | 23.00 | 3 | | 2 | -4.95 | indval_mpos | val affett | 19.00 | 4 | | 2 | -4.89 | valem_no | valenza emotiva | 70.00 | 5 | | medi | -3.17 | P3 media | p3cat | 22.00 | 6 | | m | -2.89 | m | sesso | 37.00 | 7 | | bass | -2.56 | P3 bassa | p3cat | 3.00 | 8 | | bass | -2.09 | P2 bassa | p2cat | 14.00 | 9 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | f | 2.85 | f | sesso | 63.00 | 27 | | alta | 3.07 | P2 alta | p2cat | 66.00 | 28 | | -1 | 3.21 | indvla_neg | val affett | 21.00 | 29 | | alta | 3.97 | P3 alta | p3cat | 75.00 | 30 | | alta | 4.47 | P1 alta | p1cat | 72.00 | 31 | | 1 | 4.85 | valem_si | valenza emotiva | 30.00 | 32 | | alta | 5.51 | P5 alta | p5cat | 27.00 | 33 | | 2 | 6.99 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 77.00 | 34 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | -6.06 | valem_no | valenza emotiva | 70.00 | 1 | | 1 | -6.00 | sè_si | Sé | 12.00 | 2 | | alta | -4.52 | P3 alta | p3cat | 75.00 | 3 | | alta | -3.82 | P2 alta | p2cat | 66.00 | 4 | | 2 | -3.58 | indval_mpos | val affett | 19.00 | 5 | | alta | -3.09 | P1 alta | p1cat | 72.00 | 6 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | alta | 2.18 | P4 alta | p4cat | 31.00 | 29 | | medi | 2.76 | P1 media | p1cat | 23.00 | 30 | | medi | 4.40 | P3 media | p3cat | 22.00 | 31 | | bass | 5.48 | P2 bassa | p2cat | 14.00 | 32 | | 1 | 6.22 | valem_si | valenza emotiva | 30.00 | 33 | | 2 | 6.26 | sè_no | Sé | 88.00 | 34 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

Tabella1. ACM dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-valori test delle modalità attive ed illustrative sul primo piano fattoriale per l’Immagine I.

Per quanto riguarda le associazioni tra i punteggi

ottenuti all’EMAS-Perception e le categorie imma-ginative si evidenzia una differenza di genere (Modalità Illustrative): per i maschi l’indicazione di Eventi e Luoghi Specifici e l’Indice di Valore Affetti-vo molto positivo si associano ad un grado di minaccia percepito – nella situazione specifica di in-certezza (P5) – basso, alla mancata indicazione della categoria Valenza Emotiva, ad una percezione della minaccia – nella situazione di valutazione sociale (P1) e nella situazione ambigua (P3) – di grado me-

dio, ad una percezione di minaccia – nella situazione ambigua (P3) e di pericolo fisico (P2) – bassa.

Al contrario, per le femmine, ad una percezione di minaccia di pericolo fisico alta e ad un Indice di Valore Affettivo negativo si associano una percezio-ne di minaccia – nelle situazioni ambigue (P3) e nelle situazioni di valutazione sociale (P1) – alta, con l’indicazione della categoria Valenza Emotiva, e con un grado di minaccia percepito – nella situazio-ne specifica di incertezza (P5) – alto, e con la

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mancata indicazione della categoria Eventi e Luoghi Specifici.

Passando all’interpretazione del secondo fattore, nel semipiano negativo (vedi figura 1) troviamo l’assenza della categoria Valenza emotiva, la categoria Sé, la percezione della minaccia della situazione am-bigua (P3) e del pericolo fisico (P2) alta che risultano associate con un indice di Valore Affettivo molto positivo e un grado di minaccia per la valuta-zione sociale (P1) percepito come alto. Mentre le modalità rilevanti con coordinata positiva invece so-no: un alto grado di minaccia nella routine quoti-

quotidiana (P4), una percezione della minaccia della valutazione sociale (P1) e della situazione ambigua (P3) media, basso grado di minaccia per la situazio-ne di pericolo fisico (P2), indicazione della categoria Valenza Emotiva e la mancata indicazione della ca-tegoria Sé.

La Tabella 2 riporta i valori test delle modalità attive ed illustrative relative ai punteggi dell’EMAS-Perception ed alle categorie immaginative per l’immagine II, mentre in appendice è riportato il secondo piano fattoriale (figura 2).

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | medi | -5.85 | P1 media | p1cat | 23.00 | 1 | | medi | -5.54 | P3 media | p3cat | 22.00 | 2 | | 1 | -4.77 | se_si | Sé | 77.00 | 3 | | bass | -3.94 | P2 bassa | p2cat | 14.00 | 4 | | 2 | -3.86 | assimm_no | ass immag | 84.00 | 5 | | 2 | -3.48 | emo_no | term emozionali | 65.00 | 6 | | 2 | -3.32 | indval_mpos | val affett | 25.00 | 7 | | bass | -2.83 | P5 bassa | p5cat | 44.00 | 8 | | bass | -2.50 | P3 bassa | p3cat | 3.00 | 9 | | 1 | -2.14 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 18.00 | 10 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | 2.34 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 82.00 | 31 | | alta | 2.92 | P5 alta | p5cat | 27.00 | 32 | | -1 | 3.54 | indval_neg | val affett | 13.00 | 33 | | 1 | 3.66 | emo_si | term emozionali | 35.00 | 34 | | 1 | 4.22 | assimm_si | ass immag | 16.00 | 35 | | 14_ | 4.23 | *Reponse manquante* | val affett | 16.00 | 36 | | alta | 4.36 | P2 alta | p2cat | 66.00 | 37 | | 2 | 4.94 | se_no | Sé | 23.00 | 38 | | alta | 5.89 | P1 alta | p1cat | 72.00 | 39 | | alta | 6.44 | P3 alta | p3cat | 75.00 | 40 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | -7.69 | azioni_si | descr azioni | 14.00 | 1 | | 2 | -4.36 | emo_no | term emozionali | 65.00 | 2 | | alta | -4.08 | P4 alta | p4cat | 31.00 | 3 | | 1 | -3.75 | inval_pos | val affett | 25.00 | 4 | | 0 | -2.30 | indval_ne | val affett | 15.00 | 5 | | bass | -2.14 | P5 bassa | p5cat | 44.00 | 6 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | 2.02 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 18.00 | 35 | | bass | 2.06 | P3 bassa | p3cat | 3.00 | 36 | | bass | 3.88 | P4 bassa | p4cat | 33.00 | 37 | | 1 | 4.53 | emo_si | term emozionali | 35.00 | 38 | | 2 | 4.74 | indval_mpos | val affett | 25.00 | 39 | | 2 | 7.95 | azioni_no | descr azioni | 86.00 | 40 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

Tabella 2. Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-valori test delle modalità attive ed illustrative sul secondo piano fattoriale per l’Immagine II.

Per il primo fattore tra le modalità rilevanti con

coordinata negativa troviamo la minaccia della si-tuazione di valutazione sociale (P1) e della situazione ambigua (P3) percepita come media che risultano associate con la categoria immaginativa Sé, con una percezione della minaccia per la situazione di pericolo fisico (P2) bassa, la presenza di immagi-ni, l’assenza di termini emozionali, un indice del Valore Affettivo molto positivo, un grado di minac-cia basso per la situazione in esame (P5) e per le

situazioni ambigue (P3), e l’indicazione di Eventi e Luoghi specifici.

Tra le modalità rilevanti con coordinata positiva sempre per il primo fattore troviamo la mancata in-dicazione di Eventi e Luoghi specifici, associata ad un grado di minaccia alto per la situazione in esame (P5), ad un indice di valore affettivo negativo, alla categoria termini emozionali, all’assenza di immagini, la percezione della minaccia per la situazione di pe-ricolo fisico (P2) come alta, all’assenza della

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categoria Sé, un grado di minaccia alto per la situa-zione di valutazione sociale (P1) e la situazione ambigua (P3).

Per il secondo fattore, la categoria Azioni e l’assenza della categoria termini emozionali sono as-sociate con una percezione della minaccia – nelle situazioni di routine quotidiana (P4) – alta, ad un Indice del Valore Affettivo neutro/positivo, e ad una percezione della minaccia – nelle situazioni di incer-tezza (P5) – bassa. Mentre per le modalità rilevanti con coordinata positiva abbiamo invece Eventi e

Luoghi Specifici associati ad una un grado di minac-cia basso per la situazione ambigua (P3) e di routine quotidiana (P4) bassa, all’utilizzo di Termini Emo-zionali, ad un Indice del Valore Affettivo Molto positivo, e alla mancata indicazione della categoria Descrizione di Azioni.

Per quanto riguarda l’immagine III, la tabella 3 riporta i valori-test della modalità attive e illustrative inerenti la possibile interazione tra i punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative:

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES ACTIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | medi | -6.22 | P1 media | p1cat | 23.00 | 1 | | medi | -4.43 | P3 media | p3cat | 22.00 | 2 | | bass | -4.32 | P2 bassa | p2cat | 14.00 | 3 | | bass | -3.30 | P5 bassa | p5cat | 44.00 | 4 | | 2 | -3.07 | valem_no | valenza emotiva | 83.00 | 5 | | bass | -2.71 | P4 bassa | p4cat | 33.00 | 6 | | 1 | -2.53 | sé_si | Sé | 10.00 | 7 | | 0 | -2.42 | 0 | val affett | 7.00 | 8 | | 2 | -2.19 | azioni_no | descr azioni | 87.00 | 9 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | 2.35 | sé_no | Sé | 90.00 | 29 | | 1 | 3.34 | valem_si | valenza emotiva | 14.00 | 30 | | medi | 3.65 | P4 media | p4cat | 36.00 | 31 | | alta | 4.12 | P5 alta | p5cat | 27.00 | 32 | | alta | 4.38 | P2 alta | p2cat | 66.00 | 33 | | alta | 4.80 | P3 alta | p3cat | 75.00 | 34 | | -1 | 5.19 | -1 | val affett | 11.00 | 35 | | alta | 5.99 | P1 alta | p1cat | 72.00 | 36 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ PAR LES MODALITES ILLUSTRATIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | m | -2.29 | m | sesso | 37.00 | 1 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | f | 2.17 | f | sesso | 63.00 | 5 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES ACTIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | -7.38 | assim_no | assenza immag | 76.00 | 1 | | 2 | -4.38 | 2 | val affett | 34.00 | 2 | | 1 | -3.78 | 1 | val affett | 19.00 | 3 | | 1 | -3.60 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 16.00 | 4 | | alta | -3.49 | P4 alta | p4cat | 31.00 | 5 | | 1 | -2.57 | sé_si | Sé | 10.00 | 6 | | bass | -2.41 | P2 bassa | p2cat | 14.00 | 7 | | 1 | -2.39 | azioni_si | descr azioni | 13.00 | 8 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | bass | 2.40 | P4 bassa | p4cat | 33.00 | 28 | | 2 | 2.54 | nat_no | term nat/atm | 93.00 | 29 | | 2 | 2.71 | altsé_no | altri da Sé | 86.00 | 30 | | 2 | 3.45 | azioni_no | descr azioni | 87.00 | 31 | | 2 | 3.73 | sé_no | Sé | 90.00 | 32 | | medi | 4.57 | P2 media | p2cat | 20.00 | 33 | | 2 | 4.59 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 84.00 | 34 | | 1 | 8.49 | assim_si | assenza immag | 24.00 | 35 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ PAR LES MODALITES ILLUSTRATIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | f | -2.68 | f | sesso | 63.00 | 1 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | m | 3.43 | m | sesso | 37.00 | 5 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

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Tabella 3. Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-valori test delle modalità attive ed illustrative sul terzo piano fattoriale per l’Immagine III.

Per quanto riguarda le associazioni tra i punteggi

ottenuti all’EMAS-Perception e le categorie imma-ginative inerenti la terza immagine generata si evidenzia una differenza di genere (Modalità Illu-strative). Per il primo fattore emerge un’associazione tra un grado di minaccia medio per la situazione di valutazione sociale (P1) e la situazione ambigua (P3), percezione della minaccia per il pericolo fisico (P2) e la situazione in esame (P5) bassa con la man-cata indicazione della categoria immaginativa Valenza emotiva, con una percezione della minaccia per le situazioni di routine quotidiana (P4) bassa, la categoria immaginativa Sé, ad un indice del Valore Affettivo neutro e con l’assenza di termini inerenti descrizioni di azioni; tutto ciò risulta associato ai ma-schi.

Tra le modalità rilevanti con coordinata positiva (si veda semipiano positivo del piano fattoriale-primo fattore figura 3 in appendice) troviamo man-cata indicazione di categoria immaginativa Sé, associata alla categoria immaginativa Valenza emoti-va e ad una grado di minaccia medio per la situazione di routine quotidiana (P4) e alto per la situazione in esame (P5), per la situazione ambigua (P3) e per il pericolo fisico (P2) e la valutazione so-ciale (P1), ad un indice di valore affettivo negativo e, come modalità illustrativa, risultano associate le femmine.

Per il secondo fattore, la presenza di immagini si associa con indice di valore affettivo positivo, l’indicazione della categoria Eventi e luoghi specifici, un grado di minaccia alto per le situazioni di routine quotidiana (P4), la categoria Sé, la percezione della minaccia per la situazione della valutazione sociale (P2) bassa e l’indicazione della categoria Azioni e il genere femminile (modalità illustrativa). I valori-test delle modalità rilevanti con coordinata positiva evi-denziano sempre per il secondo fattore un’associazione tra un grado di percezione basso per le situazioni di routine quotidiana (RQ), l’indicazione della categoria termini inerenti fenome-ni naturali e atmosferici, l’assenza della categorie altri da Sé e di quella relativa alla descrizione d’azioni come pure della categoria Sé, un grado di percezione della minaccia per il pericolo fisico (P2) medio, l’assenza di immagini e delle indicazioni di eventi e luoghi specifici e come modalità illustrativa il genere maschile.

Dalla successione delle immagini emergerebbe che se il grado di minaccia percepito nella situazione decisionale in esame è basso, esso risulta significati-

vamente associato all'assenza delle categorie conno-tate emozionalmente; se, invece, è alto si associa alla presenza delle suddette categorie. Infatti, nei tre piani fattoriali presi in esame, il primo fattore rico-struisce le differenze più profonde rispetto all’insieme delle modalità attive, segnalando che quando il grado di minaccia percepita nella situa-zione decisionale in esame (P5) è basso, i livelli di minaccia percepita nelle altre situazioni sono me-dio/bassi, e si associano all’evocazione di immagini mentali che si riferiscono ad Eventi e Luoghi specifici (per l’immagine I e II) e alla categoria Sé (per l’immagine III). La tendenza a valutare come poten-zialmente poco minacciosa la situazione in esame (P5) si associa all’assenza di categorie immaginative connotate emozionalmente. Al contrario, quando il grado di minaccia percepita nella situazione decisio-nale in esame (P5) è alto, risulta associato, oltre che con elevata minaccia percepita nelle situazioni am-bigue, di valutazione sociale e di pericolo fisico, anche con l’evocazione di immagini mentali ad ele-vata connotazione emozionale (categorie Valenza Emotiva e Termini Emozionali).

Consideriamo ora le associazioni tra ansia di trat-to e percezione (descrizione verbale e descrizione immaginativa) della situazione decisionale con le immagine generate.

La Tabella 1a mostra i valori test delle modalità attive ed illustrative mentre in appendice la Figura Ia riporta il primo piano fattoriale relativo ai pun-teggi dell’EMAS-T e alle categorie verbali e immaginative per l’immagine I.

Nel caso dell’immagine 1, l’analisi mostra un’interessante differenza di genere tra maschi e femmine. In particolare, le modalità illustrative ge-nere femminile e le opzioni di scelta Due corsi e Tre corsi risultano associate con il semipaino negativo (si veda figura 1a in appendice) riportante le modalità rilevanti con coordinata negativa quali l’ansia di tratto per la valutazione sociale (VS) e ansia di tratto per le situazioni ambigue (AM), che risultano asso-ciate con la mancata indicazione della categoria immaginativa Eventi e luoghi specifici, con la presen-za della categoria immaginativa Valenza Emotiva, con le categorie Incertezza, Insicurezza, con l’ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiana (RQ), con le categorie Ansia, con l’assenza della categoria Assenza di timore, ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico (PF), Indecisione, Paura del Futuro e assenza della categoria Curiosità.

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Tra le modalità rilevanti con coordinata positiva, invece, troviamo come modalità illustrative i maschi e l’opzione un corso che risultano associate con l’assenza sia dell’ansia di tratto per le situazioni am-bigue (AM) e per le situazioni di valutazione sociale (VS), associate alla categoria immaginativa Eventi e Luoghi specifici, alla mancata indicazione di Insicu-rezza nelle proprie capacità e di Incertezza, all’assenza di ansia di tratto per le situazioni di routine quoti-

diana (RQ), alla mancata indicazione della categoria Ansia e della categoria Valenza Emotiva, all’assenza di Timore, un indice di valore affettivo molto positi-vo, all’assenza di ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico (PF), alla mancata indicazione della categoria Indecisione e Paura del Futuro e alla pre-senza della categoria Curiosità.

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | ansi | -5.22 | atratto VS | VS cat | 24.00 | 1 | | ansi | -4.90 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 2 | | 2 | -4.76 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 77.00 | 3 | | 1 | -4.61 | insi_si | insicur cap | 14.00 | 4 | | 1 | -4.34 | ince_si | incertezza | 36.00 | 5 | | ansi | -4.13 | atratto RQ | RQ cat | 35.00 | 6 | | 1 | -4.08 | ansia_si | ansia | 16.00 | 7 | | 1 | -3.99 | valem_si | valenza emotiva | 30.00 | 8 | | -1 | -3.77 | indvla_neg | val affett | 21.00 | 9 | | 2 | -3.40 | asstim_no | ass timore | 86.00 | 10 | | f | -3.30 | f | sesso | 63.00 | 11 | | ansi | -3.30 | atratto PF | PF cat | 18.00 | 12 | | 1 | -3.22 | inde_si | indecisione | 26.00 | 13 | | 1 | -2.96 | pfut_si | paura fut | 52.00 | 14 | | 2 | -2.11 | curio_no | curiosità | 89.00 | 15 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | 2.04 | curio_si | curiosità | 11.00 | 27 | | 2 | 2.92 | pfut_no | paura fut | 48.00 | 28 | | 2 | 3.17 | inde_no | indecisione | 74.00 | 29 | | m | 3.26 | m | sesso | 37.00 | 30 | | asse | 3.26 | ass atratto PF | PF cat | 82.00 | 31 | | 2 | 3.26 | indval_mpos | val affett | 19.00 | 32 | | 1 | 3.34 | asstim_si | ass timore | 14.00 | 33 | | 2 | 3.96 | valem_no | valenza emotiva | 70.00 | 34 | | 2 | 4.01 | ansia_no | ansia | 84.00 | 35 | | asse | 4.10 | ass atratto RQ | RQ cat | 65.00 | 36 | | 2 | 4.29 | ince_no | incertezza | 64.00 | 37 | | 2 | 4.53 | insi_no | insicur cap | 86.00 | 38 | | 1 | 4.69 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 23.00 | 39 | | asse | 4.83 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 40 | | ass | 5.17 | ass atratto VS | VS cat | 76.00 | 41 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | -6.30 | valem_si | valenza emotiva | 30.00 | 1 | | 2 | -4.65 | novi_no | novità | 77.00 | 2 | | 2 | -4.15 | nat_no | term nat/atm | 85.00 | 3 | | 1 | -3.86 | indval_pos | val affett | 33.00 | 4 | | 2 | -3.54 | ansia_no | ansia | 84.00 | 5 | | 2 | -3.38 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 77.00 | 6 | | ass | -3.28 | ass atratto VS | VS cat | 76.00 | 7 | | 2 | -3.20 | curio_no | curiosità | 89.00 | 8 | | asse | -2.33 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 9 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | ansi | 2.30 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 33 | | 1 | 3.14 | curio_si | curiosità | 11.00 | 34 | | ansi | 3.25 | atratto VS | VS cat | 24.00 | 35 | | 1 | 3.33 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 23.00 | 36 | | 1 | 3.51 | ansia_si | ansia | 16.00 | 37 | | 1 | 4.09 | nat_si | term nat/atm | 15.00 | 38 | | 1 | 4.60 | novi_si | novità | 23.00 | 39 | | 2 | 4.68 | indval_mpos | val affett | 19.00 | 40 | | 2 | 6.28 | valem_no | valenza emotiva | 70.00 | 41 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

Tabella 1a. Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -primo piano fattoriale per l’Immagine I.

Passando all’interpretazione del secondo fattore,

che da’ conto di differenze più sottili, nella tabella sono riportate le modalità attive significativamente

associate ai due semipiani della relativa dimensione (vedi figura 1a in appendice).

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Per quanto riguarda le associazioni relative all’immagine II (Tabella 2a), le modalità più impor-tanti sul primo fattore sono mancata indicazione della categoria Sé e ansia di tratto per le situazioni ambigue (AM) che risultano associate con la catego-ria immaginativa Utilizzo di termini emozionali, l’assenza di ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiana (RQ), l’ansia di tratto per le valutazioni

sociali (VS), Indecisione, Ansia, Insicurezza nelle pro-prie capacità, la mancata indicazione della categoria Assenza di timore, l’indice di valore affettivo negati-vo, Incertezza, la mancata indicazione della categoria immaginativa Azioni, la categoria verbale Paura del futuro, Valenza emotiva, assenza di Curiosità, sesso femminile.

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | -6.81 | se_no | Sé | 23.00 | 1 | | ansi | -6.81 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 2 | | 1 | -5.78 | emo_si | term emozionali | 35.00 | 3 | | ass | -5.78 | ass atratto RQ | RQ cat | 35.00 | 4 | | ansi | -5.18 | atratto VS | VS cat | 24.00 | 5 | | 1 | -3.93 | inde_si | indecisione | 26.00 | 6 | | 1 | -3.62 | ansia_si | ansia | 16.00 | 7 | | 1 | -3.30 | insi_si | insicur cap | 14.00 | 8 | | 2 | -2.99 | asstim_no | ass timore | 86.00 | 9 | | -1 | -2.94 | indval_neg | val affett | 13.00 | 10 | | 1 | -2.91 | ince_si | incertezza | 36.00 | 11 | | 2 | -2.69 | azioni_no | descr azioni | 86.00 | 12 | | 1 | -2.55 | pfut_si | paura fut | 52.00 | 13 | | 1 | -2.54 | valem_si | valenza emotiva | 20.00 | 14 | | 2 | -2.08 | curio_no | curiosità | 89.00 | 15 | | f | -2.02 | f | sesso | 18.00 | 16 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | 2.46 | valem_no | valenza emotiva | 80.00 | 37 | | 2 | 2.48 | pfut_no | paura fut | 48.00 | 38 | | 1 | 2.56 | azioni_si | descr azioni | 14.00 | 39 | | 2 | 2.84 | ince_no | incertezza | 64.00 | 40 | | 1 | 2.88 | asstim_si | ass timore | 14.00 | 41 | | 2 | 3.03 | indval_mpos | val affett | 25.00 | 42 | | 2 | 3.20 | insi_no | insicur cap | 86.00 | 43 | | 2 | 3.53 | ansia_no | ansia | 84.00 | 44 | | 2 | 3.84 | inde_no | indecisione | 74.00 | 45 | | ass | 5.09 | ass atratto VS | VS cat | 76.00 | 46 | | 2 | 5.69 | emo_no | term emozionali | 65.00 | 47 | | ansi | 5.69 | atratto RQ | RQ cat | 65.00 | 48 | | 1 | 6.73 | se_si | Sé | 77.00 | 49 | | ass | 6.73 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 50 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | ansi | -7.09 | atratto RQ | RQ cat | 65.00 | 1 | | 2 | -7.09 | emo_no | term emozionali | 65.00 | 2 | | ansi | -5.29 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 3 | | 2 | -5.29 | se_no | Sé | 23.00 | 4 | | 1 | -4.01 | azioni_si | descr azioni | 14.00 | 5 | | 2 | -2.31 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 82.00 | 6 | | 1 | -2.07 | inval_pos | val affett | 25.00 | 7 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | 2.01 | ince_no | incertezza | 64.00 | 42 | | 1 | 2.35 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 18.00 | 43 | | -2 | 2.48 | indval_mneg | val affett | 6.00 | 44 | | 2 | 3.16 | indval_mpos | val affett | 25.00 | 45 | | 2 | 4.09 | azioni_no | descr azioni | 86.00 | 46 | | 1 | 5.34 | se_si | Sé | 77.00 | 47 | | ass | 5.34 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 48 | | ass | 7.15 | ass atratto RQ | RQ cat | 35.00 | 49 | | 1 | 7.15 | emo_si | term emozionali | 35.00 | 50 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

Tabella 2a. Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -secondo piano fattoriale per l’Immagine II.

Come modalità rilevanti con coordinata positiva,

invece, troviamo l’assenza di ansia di tratto per le situazioni ambigue (AM) e la categoria immaginati-va Sé che risultano associate con l’ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiana (RQ), la mancata

indicazione di Termini emozionali, l’assenza di ansia di tratto per le situazioni di valutazione sociale (VS), l’assenza di Indecisione, assenza di Ansia e di Insicu-rezza nelle proprie capacità, un indice di valore affettivo molto positivo, Assenza di timore, assenza di

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Incertezza, categoria immaginativa Descrizione di A-zioni, assenza della categoria Paura del Futuro e della categoria immaginativa Valenza Emotiva.

Passando all’interpretazione del secondo fattore, troviamo l’ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiana (RQ) e il mancato utilizzo di Termini emozionali associati con ansia di tratto per le situa-zioni ambigue (AM), mancata indicazione della categoria Sé, descrizione di Azioni, mancata indica-zione di Eventi e Luoghi specifici, indice di valore affettivo positivo. Nel semipiano positivo troviamo l’utilizzo di termini emozionali associato con

l’assenza di ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiana (RQ) e per le situazioni ambigue (AM), la categoria Sé, la mancata indicazione di descrizione di Azioni, l’indice del valore affettivo molto positivo e molto negativo, Eventi e luoghi specifici, e assenza di Incertezza.

In Tabella 3a sono riportati i valori test delle modalità attive ed illustrative relativi ai punteggi dell’EMAS-T e alle categorie immaginative e verbali associati all’immagine III mentre Figura IIIa in ap-pendice riporta il terzo piano fattoriale:

DESCRIPTION DU FACTEUR 1 PAR LES MODALITES ACTIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | ansi | -5.58 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 1 | | ansi | -5.44 | atratto VS | VS cat | 24.00 | 2 | | 1 | -4.47 | ansia_si | ansia | 16.00 | 3 | | 1 | -4.03 | insi_si | insicur cap | 14.00 | 4 | | 1 | -4.02 | 1 | val affett | 19.00 | 5 | | ansi | -4.01 | atratto RQ | RQ cat | 35.00 | 6 | | 1 | -3.99 | valem_si | valenza emotiva | 14.00 | 7 | | ansi | -3.66 | atratto PF | PF cat | 18.00 | 8 | | 1 | -3.30 | inde_si | indecisione | 26.00 | 9 | | 2 | -3.09 | assim_no | assenza immag | 76.00 | 10 | | 1 | -2.91 | ince_si | incertezza | 36.00 | 11 | | 1 | -2.73 | pfut_si | paura fut | 52.00 | 12 | | 2 | -2.73 | assimm_no | ass timore | 86.00 | 13 | | 1 | -2.38 | novi_si | novità | 23.00 | 14 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 2 | 2.53 | novi_no | novità | 77.00 | 29 | | 2 | 2.63 | 2 | val affett | 34.00 | 30 | | 2 | 2.86 | pfut_no | paura fut | 48.00 | 31 | | 1 | 2.90 | assimm_si | ass timore | 14.00 | 32 | | 2 | 3.04 | ince_no | incertezza | 64.00 | 33 | | 1 | 3.33 | assim_si | assenza immag | 24.00 | 34 | | 14_ | 3.33 | *Reponse manquante* | val affett | 24.00 | 35 | | 2 | 3.43 | inde_no | indecisione | 74.00 | 36 | | asse | 3.83 | ass atratto PF | PF cat | 82.00 | 37 | | asse | 4.14 | ass atratto RQ | RQ cat | 65.00 | 38 | | 2 | 4.18 | valem_no | valenza emotiva | 83.00 | 39 | | 2 | 4.23 | insi_no | insicur cap | 86.00 | 40 | | 2 | 4.63 | ansia_no | ansia | 84.00 | 41 | | ass | 5.58 | ass atratto VS | VS cat | 76.00 | 42 | | asse | 5.73 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 43 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ PAR LES MODALITES ILLUSTRATIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | f | -3.00 | f | sesso | 63.00 | 1 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | m | 3.13 | m | sesso | 37.00 | 5 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ DESCRIPTION DU FACTEUR 2 PAR LES MODALITES ACTIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | -5.37 | assimm_si | ass timore | 14.00 | 1 | | 2 | -4.81 | evluo_no | eventi/luoghi specifici | 84.00 | 2 | | 1 | -4.74 | valem_si | valenza emotiva | 14.00 | 3 | | ansi | -4.02 | atratto PF | PF cat | 18.00 | 4 | | 2 | -4.02 | ince_no | incertezza | 64.00 | 5 | | 2 | -3.66 | pfut_no | paura fut | 48.00 | 6 | | 0 | -3.41 | 0 | val affett | 7.00 | 7 | | 2 | -3.36 | insi_no | insicur cap | 86.00 | 8 | | 1 | -2.33 | novi_si | novità | 23.00 | 9 | | 14_ | -2.31 | *Reponse manquante* | val affett | 24.00 | 10 | | ansi | -2.30 | atratto AM | AM cat | 23.00 | 11 | | 1 | -2.30 | assim_si | assenza immag | 24.00 | 12 | | 2 | -2.26 | azioni_no | descr azioni | 87.00 | 13 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | 1 | 2.09 | azioni_si | descr azioni | 13.00 | 32 | | 2 | 2.11 | assim_no | assenza immag | 76.00 | 33 | | asse | 2.18 | ass atratto AM | AM cat | 77.00 | 34 | | 2 | 2.21 | novi_no | novità | 77.00 | 35 | | 1 | 3.19 | insi_si | insicur cap | 14.00 | 36 |

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| 1 | 3.54 | pfut_si | paura fut | 52.00 | 37 | | asse | 3.88 | ass atratto PF | PF cat | 82.00 | 38 | | 1 | 3.90 | ince_si | incertezza | 36.00 | 39 | | 2 | 4.19 | valem_no | valenza emotiva | 83.00 | 40 | | 2 | 4.33 | 2 | val affett | 34.00 | 41 | | 1 | 4.62 | evluo_si | eventi/luoghi specifici | 16.00 | 42 | | 2 | 5.21 | assimm_no | ass timore | 86.00 | 43 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ PAR LES MODALITES ILLUSTRATIVES +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+ | ID. | V.TEST | LIBELLE MODALITE | LIBELLE DE LA VARIABLE | POIDS | NUMERO | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | m | -2.91 | m | sesso | 37.00 | 1 | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | Z O N E C E N T R A L E | |---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------| | f | 2.80 | f | sesso | 63.00 | 5 | +---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------+

Tabella 3a. Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -terzo piano fattoriale per l’Immagine III.

Per il primo fattore l’analisi mostra anche in que-

sto caso una differenza di genere. Va tuttavia precisato che il genere è stato inserito come modalità illustrativa, in quanto non vi è un bilanciamento tra i maschi e le femmine. La differenza di genere viene qui segnalata solo come potenziale tendenza che an-drebbe ulteriormente esaminata con un pareggiamento del campione.

Mentre le femmine risultano associate ad ansia di tratto per le situazioni ambigue (AM) e ansia di trat-to per le valutazioni sociali (VS), con la categoria Ansia e Insicurezza nelle proprie capacità, un indice di valore affettivo positivo, l’ansia di tratto per le si-tuazioni di routine quotidiana (RQ), la categoria immaginativa Valenza Emotiva, l’ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico (PF), Incertezza, Paura del Futuro, presenza di Timore, e della categoria No-vità, i maschi presentano una situazione diametralmente opposta (come si evince dai valori test riportati in tabella 3a).

Anche per il secondo fattore si conferma una dif-ferenza di genere (si veda la figura 3a in appendice).

Uno sguardo d’insieme delle analisi effettuate ri-vela che in maniera costante per tutte le analisi effettuate, il primo fattore che rappresenta quello maggiormente esplicativo evidenzia che le categorie immaginative e verbali con una spiccata connota-zione emozionale rappresentano delle modalità importanti sui differenti piani fattoriali, con valori test significativi nella successione delle immagini mentali generate. Individui che presentino una si-gnificativa ansia di tratto (specie l’ansia tipicamente evocata da situazioni di valutazione sociale e da si-tuazioni ambigue, nuove, incerte) e che manifestino una tendenza a valutare come altamente minacciosa la situazione decisionale esaminata tenderebbero a generare immagini mentali ad elevato contenuto emozionale.

Si tratta di rappresentazioni mentali della situa-zione decisionale in esame che evidenziano una

peculiare relazione tra emozioni e immagini mentali che andrebbe ulteriormente indagata. Infatti, il me-todo da noi utilizzato ha una valenza esplorativa, volta a esaminare essenzialmente l’interazione simul-tanea delle dimensioni dell’ansia di tratto con le etichette verbali e immaginative, da un lato, e il gra-do di percezione della minaccia con la generazione di immagini mentali, dall’altra, in relazione alla rap-presentazione mentale del problema decisionale che gli individui si trovano ad affrontare nella vita reale.

Considerazioni conclusive In passato, i processi decisionali erano considera-

ti dai ricercatori come processi controllati e le decisioni concepite come il risultato di ragionamenti e valutazioni consapevoli basate sulle informazioni disponibili.

In tempi più recenti, diversi studi hanno eviden-ziato il ruolo funzionale delle emozioni nei processi decisionali. In linea generale, è emerso che l’emozione può 1) fungere da “informazione” (utile per attribuire significato alle situazioni; Schwarz, 2002), 2) può rappresentare una “guida per l’attenzione” (nella selezione delle informazioni; Bower, 1991), e 3) può orientare il processo deci-sionale in senso ampio (agendo come strumento euristico; Slovic et al., 2007 ).

Lo studio della relazione tra decision making ed emozione ha suscitato un grosso interesse anche nell’ambito delle neuroscienze. In particolare, Da-masio ritiene che il pensiero sarebbe costituito, in gran parte, da immagini connotate da emozioni po-sitive e negative, la cui funzione principale è quella di anticipare le conseguenze degli eventi. È la pre-senza di tali immagini che, secondo la teoria dei marcatori somatici, rende più efficiente il decision making, mentre la loro assenza, nel caso di lesioni

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corticali, determina un peggioramento nella presa di decisioni.

Le ricerche sulle immagini mentali hanno messo in evidenza l’importanza che le impressioni affettive rivestono nel giudizio e nella decisione, sia in condi-zione di carenza informativa, sia in situazioni opposte caratterizzate da una quantità eccessiva di informazioni. In entrambi i casi, gli individui ricer-cano nel contesto gli aspetti essenziali da valutare ai fini della scelta, lasciandosi guidare, prevalentemen-te, dalle proprie immagini mentali e dalle relative componenti affettive. Nel valutare una situazione, pertanto, sembra che le persone si formino delle immagini mentali, determinate e influenzate dalle specifiche caratteristiche del compito, oltre che da differenze individuali delle singole persone (come ad esempio, l’ansia di tratto). Ogni immagine porta con sé qualità salienti dal punto di vista emotivo, che sono consultate per la scelta delle azioni da in-traprendere. In altre parole, le connotazioni emotive si inseriscono come parte attiva nella valutazione delle singole opzioni di scelta, concorrendo a deter-minare la decisione insieme ad altre informazioni.

Le differenze individuali, analizzate in relazione alle rappresentazioni mentali delle situazioni di vita reale, implicherebbero percezioni differenti del gra-do di minacciosità o di gravità degli eventi rispetto alla decisione da prendere che risultano associate in maniera peculiare a un’elevata connotazione emoti-va della rappresentazione mentale del problema decisionale in relazione alla dimensione di appraisal “certezza-incertezza” (dimensione che permette una soddisfacente differenziazione delle emozioni che implicano una reazione urgente a uno stimolo nuo-vo oppure a una situazione non familiare, sconosciuta, inerente la valutazione del grado di probabilità di raggiungere un oggetto piacevole o di evitarne uno spiacevole).

Infatti, da diversi studi sono emerse correlazioni significative tra ansia di tratto e la percezione dei co-sti soggettivi, ossia gli individui ansiosi (in campioni non clinici) valutano i costi di eventi negativi come più alti rispetto agli individui non ansiosi (Mitte, 2007; Hockey et al. 2000). Inoltre, è stato eviden-ziato, che l’ansia di tratto è associata con una valutazione pessimistica del rischio, ossia vi un’elevata aspettativa che si verifichino gravi esiti negativi in seguito alla scelta e, pertanto, una forte tendenza ad evitare la scelta di opzioni rischiose (Maner e Schmidt, 2006).

Il timore viene visto tradizionalmente in lettera-tura come una reazione cognitiva espressa verbalmente e, raramente, a livello immaginativo. Recenti studi (Holmes e Mathews, 2005; Holmes et

al. 2006; 2008) hanno sottolineato l’importanza di una comparazione tra l’elaborazione immaginativa e altri tipi di elaborazione delle informazioni (come la descrizione interpretativa verbale degli eventi di una situazione), al fine di comprendere i legami tra im-magini mentali ed emozioni. Gli autori osservano che la maggior parte della ricerca cognitiva sulle immagini mentali sembra operare in una sorta di “vuoto (vacuum) affettivo”.

Dai risultati di questi studi, è emerso che l’elaborazione immaginativa ha un impatto signifi-cativamente più forte sull’emozione rispetto all’elaborazione verbale di uno stesso evento-stimolo. In particolare, l’istruzione di formare im-magini mentali faceva registrare maggiori cambiamenti nello stato dell’umore rispetto all’istruzione di descrivere lo stesso materiale ver-balmente. In base a questo paradigma (CBM, Cognitive Bias of Modification of Interpretation), quando gli eventi inizialmente ambigui venivano interpretati, utilizzando l’immaginazione, come a-venti esito negativo, l’ansia aumentava maggiormente rispetto a quando l’ambiguità veniva “risolta” utilizzando un’elaborazione di tipo seman-tico-verbale (Holmes e Mathews, 2005). Nel nostro studio, l’utilizzo di determinate categorie verbali come incertezza, indecisione e di immagini connota-te emotivamente (che vanno da immagini tipicamente associate nella nostra cultura all’incertezza come “il bivio”, “tante porte” fino a immagini iconografiche come “L’urlo di Munch” e all’utilizzo di specifici termini emozionali) sono as-sociate sia con la presenza di ansia di tratto in determinate situazioni sia con la percezione della si-tuazione come minacciosa.

Lo studio delle differenze individuali nella deci-sione andrebbe ulteriormente approfondito, sia per le sue importanti ricadute applicative nel campo del-le decisioni di vita reale, sia perché può aiutarci a comprendere un aspetto fondamentale del processo decisionale, ossia il ruolo dei processi valutativi, i quali non vanno solo presupposti ma analizzati nelle loro molteplici dimensioni (Fontaine et al., 2007; Ellsworth e Scherer, 2003; Smith ed Ellsworth, 1988).

Un importante compito per la ricerca futura sarà quello di analizzare con attenzione i processi cogni-tivi ed emotivi che sottendono specifiche classi di decisioni della vita reale, al fine di elaborare propo-ste teoriche sempre più precise che riconoscano il fondamentale ruolo giocato dalla speciale relazione tra immagini mentali ed emozioni.

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APPENDICE

Riportiamo di seguito l’output grafico ottenuto utilizzando il software specialistico Spad.*

Figura 1: ACM dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-primo piano fattoriale per l’Immagine I. Legenda: P1= percezione minaccia nelle situazioni sociali; P2=percezione minaccia nelle situazioni di pericolo fisico; P3=percezione minaccia nelle situazioni ambigue; P=percezione minaccia nelle situazioni di routine quotidiana; P5=percezione minaccia nella situazione in esame Categorie immaginative: sé, evluo=eventi/luoghi specifici, valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; m=maschi; f= femmine; Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea.

* C. Cappelli ha curato il paragrafo “Analisi dei dati” e le elaborazioni statistiche che hanno dato luogo ai risultati presentati nell’articolo.

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Figura 2: Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-secondo piano fattoriale per l’Immagine II. Legenda: P1= percezione minaccia nelle situazioni sociali; P2=percezione minaccia nelle situazioni di pericolo fisico; P3=percezione minaccia nelle situazioni ambigue; P=percezione minaccia nelle situazioni di routine quotidiana; P5=percezione minaccia nella situazione in esame. Categorie immaginative: assimm=assenza immagine; azioni=descrizioni di azioni; emo=termini emozionali; sé, e-vluo=eventi/luoghi specifici, valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; indval_neg=indice valore affettivo negativo. Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea; m=maschi, f=femmine

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Figura 3: Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-Perception e le categorie immaginative-terzo piano fattoriale per l’Immagine III. Legenda: P1= percezione minaccia nelle situazioni sociali; P2=percezione minaccia nelle situazioni di pericolo fisico; P3=percezione minaccia nelle situazioni ambigue; P=percezione minaccia nelle situazioni di routine quotidiana; P5=percezione minaccia nella situazione in esame. Categorie immaginative: altsé= altri da sé; assimm=assenza immagine; azioni=descrizioni di azioni; sé; e-vluo=eventi/luoghi specifici, valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; indval_neg=indice valore affettivo negativo; indval_ne=indice di valore affettivo neutro. Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea; ; m=maschi, f=femmine

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Figura Ia: Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -primo piano fattoriale per l’Immagine I. Legenda: atratto VS=ansia di tratto per le situazioni di valutazione sociale; atratto AM=ansia di tratto per le situa-zioni ambigue; atratto RQ=ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiane; atratto PF=ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico; ass atratto …=assenza ansia di tratto… Categorie verbali: ansia; asstim=assenza di timore; curio=curiosità; ince=incertezza, inde=indecisione; in-si=insicurezza nelle proprie capacità; novi= novità; pfut=paura del futuro (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Categorie immaginative: azioni=descrizioni di azioni; sé; evluo=eventi/luoghi specifici, nat=termini inerenti fenome-ni naturali e/o atmosferici; valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; indval_neg=indice valore affettivo negativo m=maschi; f=femmine modalità illustrative Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea

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D Figura IIa: Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -secondo piano fattoriale per l’Immagine II. Legenda: atratto VS=ansia di tratto per le situazioni di valutazione sociale; atratto AM=ansia di tratto per le situa-zioni ambigue; atratto RQ=ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiane; atratto PF=ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico; ass atratto …=assenza ansia di tratto… Categorie verbali: ansia; asstim=assenza di timore; curio=curiosità; ince=incertezza, inde=indecisione; in-si=insicurezza nelle proprie capacità; pfut=paura del futuro (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Categorie immaginative: azioni=descrizioni azioni; emo=termini emozionali; evluo=eventi/luoghi specifici, nat=termini inerenti fenomeni naturali e/o atmosferici; sé; valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; indval_neg=indice valore affettivo negativo m=maschi; f=femmine modalità illustrative Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea

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Figura IIIa: Analisi delle Corrispondenze Multiple dei punteggi dell’EMAS-T e le categorie immaginative e verbali -terzo piano fattoriale per l’Immagine III. Legenda: atratto VS=ansia di tratto per le situazioni di valutazione sociale; atratto AM=ansia di tratto per le situa-zioni ambigue; atratto RQ=ansia di tratto per le situazioni di routine quotidiane; atratto PF=ansia di tratto per le situazioni di pericolo fisico; ass atratto …=assenza ansia di tratto… Categorie verbali: ansia; asstim=assenza di timore; curio=curiosità; ince=incertezza, inde=indecisione; in-si=insicurezza nelle proprie capacità; novi= novità; pfut=paura del futuro (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presenza oppure l’assenza) Categorie immaginative: assimm=assenza immagini; azioni=descrizioni di azioni; sé; evluo=eventi/luoghi specifici, valem=valenza emotiva (l’indicazione di “si” oppure “no” accanto a tali etichette ne indica rispettivamente la presen-za oppure l’assenza) Indval_mpos=indice di valore affettivo molto positivo; indval_neg=indice valore affettivo negativo m=maschi; f=femmine modalità illustrative Le modalità illustrative 1c, 2c, 3 c indicano il numero di alternative relativi alla scelta del corso di laurea

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Ricevuto : 26 febbraio 2009 Revisione ricevuta : 22 ottobre 2009

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Relazione tra adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo e comportamento prosociale: Una

ricerca nella scuola media

Elisabetta SAGONE, Laura LICATA Università di Catania, Facoltà di Scienze della Formazione, Struttura Didattica di Psicologia

ABSTRACT – The relationship among interpersonal adjustment, moral disengagement, bullying, and prosocial behaviour: A study in junior high school - The aim of current investigation was to verify, in a sample of preadolescents attending two Public Junior High Schools, the relationship among the interpersonal adjustment, the use of moral disengage-ment mechanisms, bullying and prosocial behaviours. Participants were administered the Interpersonal Adjustment Questionnaire, the Moral Disengagement Scale, and “My life in School” Questionnaire. Results showed that the more preadolescents are impulsive, narcissist, and scarcely competent in social abilities, the more they are inclined to moral disengagement; further, the more preadolescents are involved in bullying, suffering the arrogances by peers, the more they are impulsive, stressed, and worried about self image. Future researches carried out with middle-aged sub-jects could deepen psychological dimensions linked to the interpersonal adjustment in school context. KEY WORDS: Interpersonal adjustment, Moral disengagement, Bullying, Prosocial behaviour, Preadolescence. RIASSUNTO – Scopo della presente indagine è verificare la relazione tra l’adattamento interpersonale, l’uso dei meccanismi di disimpegno morale, il bullismo ed i comportamenti prosociali in un campione di preadolescenti fre-quentanti due Istituti Comprensivi Statali. Ai partecipanti è stato somministrato il Questionario di Adattamento Interpersonale, la Scala di Disimpegno Morale ed il Questionario “La mia vita a scuola”. I risultati mostrano che più i preadolescenti sono impulsivi, narcisisti e scarsamente competenti nelle abilità sociali più risultano propensi al disim-pegno morale; inoltre, più i preadolescenti risultano coinvolti negli atti di bullismo, subendo le prepotenze da parte dei compagni, più sono impulsivi, stressati e preoccupati per l’immagine di sé. Future ricerche realizzate con soggetti in età più matura potranno approfondire i correlati psicologici connessi all’adattamento interpersonale nel contesto scolastico. PAROLE CHIAVE: Adattamento interpersonale, Disimpegno morale, Bullismo, Comportamento proso-ciale, Preadolescenza.

Introduzione Negli ultimi anni il termine bullismo è stato uti-

lizzato con una sovra-estensione a tutti quei comportamenti che non sempre rientrano nei tipici atti di prepotenza, delineando, spesso in maniera poco adeguata, questo fenomeno che presenta, inve-ce, dimensioni psicologiche e relazionali che vanno al di là delle prepotenze tradizionalmente intese. A partire dalle indicazioni di Olweus, si può parlare di bullismo quando “uno studente è prevaricato o vit-timizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (1993 [1996, 12]); è considerato “un’oppressione psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da una persona - o da un gruppo di persone - più potente nei confronti di un’altra persona percepita come più debole” (Farrington, 1993, 18). Inoltre, con mag-giore attenzione all’intenzionalità, secondo Sharp e Smith, il comportamento del bullo è “un tipo di a-zione che mira deliberatamente a far del male o a danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per

settimane, mesi e, persino, anni ed è difficile difen-dersi per coloro che ne sono vittime, […] c’è un abuso di potere ed un desiderio di intimidire e do-minare l’altro” (1994 [1995, 11]).

La maggior parte delle definizioni condivise dalla letteratura ci permette di evidenziare alcuni elementi distintivi volti a delineare un più chiaro profilo psi-cologico del bullismo e a differenziarlo da ciò che non si configura entro tale quadro di riferimento: le relazioni asimmetriche di potere tra gli attori sociali direttamente o indirettamente coinvolti; l’intenzionalità da parte del bullo di dominare ed intimidire la vittima, provocando disagio ed isola-mento; la reiterazione e la persistenza nel tempo di comportamenti prevaricatori, sottomissione ed iso-lamento nei confronti della vittima; la riduzione del senso di responsabilità individuale per le conseguenze dell’azione offensiva; la colpa, infatti, viene ripartita tra tutti gli attori interessati; la riduzione del senso di empatia, ovvero una ridotta abilità nella compren-sione delle emozioni altrui: sia i bulli sia le vittime (in misura ridotta), risultano “sgrammaticati” e, dunque, deficitari in una competenza che permette

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Sagone, E., Licata, L. – Adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo, comportamento prosociale, scuola media

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

Giornaledipsicologia.it, Vol. 3, No. 3, 2009ISSN 1971-9450

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non tanto di identificare i segnali emotivi che pro-vengono dagli altri quanto di interpretarli in maniera adeguata.

Negli studi di Salmivalli et al. (1996) e di Salmi-valli, Huttunen e Lagerspetz (1997), ampia considerazione è stata data, per il suo effetto socia-lizzante, al contesto psicologico del “gruppo”, caratterizzato da molteplici ruoli e funzioni assunte dai partecipanti, che influenzano la direzione del comportamento individuale. Sono stati, a tal riguar-do, analizzati “i ruoli” di coloro che non possono essere classificati né come bulli né come vittime; in-fatti, chi non prende l’iniziativa nel commettere delle prepotenze ad un compagno può, comunque, sostenere il bullo incoraggiandolo verbalmente e le-gittimando le sue azioni, stando a guardare ciò che succede senza intervenire, attribuendo un implicito prestigio sociale (è il caso del reinforcer e dell’assistant). Inoltre, rilevante è il ruolo del defen-der, ovvero della persona che prende le difese della vittima, consolandola e cercando di far cessare le prepotenze e quello dell’outsider, cioè della persona che cerca di rimanere “al di fuori delle scene” in ve-ste di spettatore.

Nel fenomeno del bullismo è possibile distingue-re le espressioni “dirette” (che procurano sia un danno visibile alla vittima ed ai suoi oggetti persona-li sia una discriminazione verbale, culminante spesso in minacce e diffamazioni) da quelle “indirette”, più latenti ma non meno deleterie per la persona che ne è destinataria (contemplando l’esclusione, l’isolamento dal gruppo dei pari ed il rifiuto diret-to), definite dalla Menesini “azioni di manipolazione sociale” (2003, 11).

Numerose ricerche italiane, realizzate da Genta et al. (1996), Bonino e Fonzi (1997) e, più recente-mente, da Menesini (2003) e Gini (2005) hanno verificato che, con l’aumentare dell’età, le espressio-ni di bullismo di tipo verbale rimangono inalterate mentre quelle di tipo fisico (prevalenti nella scuola primaria) tendono a diminuire e a trasformarsi in quelle di tipo relazionale (soprattutto nella scuola media).

Con riferimento alle differenze di genere e di ruolo, i maschi tendono a manifestare comporta-menti aggressivi di tipo diretto, assumendo più frequentemente il ruolo di assistant e di reinforcer, mentre le femmine attuano forme di bullismo indi-retto, centrate sulla diffamazione, la maldicenza e l’esclusione, assumendo più tipicamente il ruolo di defender della vittima (cfr., Menesini e Gini, 2000; Belacchi, 2008).

La letteratura psico-evolutiva sul bullismo ha sempre riservato un posto di primo piano all’attore

principale delle azioni prepotenti, consentendo di delinearne le seguenti caratteristiche più tipiche ed i tratti psicologici più rilevanti: a) bassa tolleranza alla frustrazione ed elevata difficoltà nell’elaborazione delle informazioni sociali (Dodge, 1980; Crick e Dodge, 1994): secondo il modello del social skills deficit, i bambini più aggressivi, che assumono più frequentemente il ruolo di bulli, tenderebbero a de-codificare le situazioni ambigue in maniera più aggressiva dei non bulli (Dodge, 1993; Rigby e Slee, 1993); b) scarsa amicalità e coscienziosità (Caprara et al., 1997; Pedditzi, 2005); c) incapacità di stabili-re relazioni positive per la scarsa empatia verso la vittima (Jolliffe e Farrington, 2004; Gini et al., 2007) ed insensibilità ai sentimenti degli altri (Buc-coliero e Maggi, 2005), pur identificando in modo adeguato gli stati mentali e le false credenze altrui (Sutton, Smith e Swettenham, 1999a; Sutton e Ke-ough, 2000); questo aspetto è stato approfondito, infatti, da Sutton et al. (1999b), analizzando la ca-pacità di comprendere le credenze altrui da parte del bullo alla luce del modello dell’“abile manipolatore”; d) elevata popolarità e competitività nel gruppo-classe (Ciucci e Smorti, 1999; Menesini, Melan e Pignatti, 2000; Espelage, Holt e Henkel, 2003); e) riduzione dei comportamenti prosociali (Gini et al., 2007).

Tra questi aspetti è stata individuata, più nel bul-lo che negli altri partecipanti, la tendenza a mettere in atto strategie cognitive funzionali alla giustifica-zione degli atti aggressivi e moralmente inaccettabili (Smith et al., 1993; Menesini, Fonzi e Vannucci, 1999; Menesini, Fonzi e Sanchez, 2002), strategie che Bandura (1990) ha definito “meccanismi di di-simpegno morale”.

Secondo la teoria social-cognitiva di Bandura (1986a), essi svolgono una funzione di inibizione del controllo morale sul comportamento aggressivo in differenti circostanze e alcuni di essi trasformano in accettabili quelle condotte offensive che, di nor-ma, sono condannabili tramite l’appello a principi riconosciuti superiori, il ricorso ad eufemismi, il confronto con azioni più riprovevoli (è il caso dei meccanismi di ‘giustificazione morale’, ‘etichetta-mento eufemistico’ e ‘confronto vantaggioso’). Alcuni meccanismi rivestono la funzione di disim-pegno morale tramite lo spostamento o la diffusione della responsabilità individuale verso responsabili e cause esterne (in questo caso, si parla di ‘disloca-mento della responsabilità’, ‘diffusione della responsabilità’ e ‘distorsione delle conseguenze’). In-fine, altri meccanismi, che operano mediante la spersonalizzazione della vittima o l’attribuzione ad essa di particolari colpe di natura provocatoria, con-

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Sagone, E., Licata, L. – Adattamento interpersonale, disimpegno morale, bullismo, comportamento prosociale, scuola media

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sentono di violare il principio che nega di fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a se stessi (è il caso della ‘deumanizzazione’ e dell’‘attribuzione di colpa’ alla vittima).

Il disimpegno morale ed il ricorso all’aggressività, in alcuni casi, possono essere, secondo Fagiani e Ramaglia, una “condizione indispensabile all’individuo per esplorare il mondo, espressione na-turale dell’essere umano, non riconducibile alla sola valenza negativa; una pulsione che può essere fina-lizzata alla conquista e alla difesa di una sana espressione individuale e sociale” (2006, 11).

Questa condizione può talvolta auto-determinarsi nel tentativo, visibile soprattutto negli adolescenti, di superare quella “marginalità psicolo-gica e categoriale” (Petter, 1999), derivante dal non essere più bambini, né fisicamente né cognitivamen-te, e non ancora adulti. Dunque, far fronte ai compiti di sviluppo legati alla nuova identità-in-costruzione, che si trasforma tra l’impegno soggetti-vo e l’esplorazione delle possibili alternative ambientali (Marcia, 1966; 1980) e alla difesa dello sperimentarsi in quanto individui autonomi diventa la principale sfida adolescenziale.

In una frase, questa complessa condizione esperi-ta dagli adolescenti può risentire fortemente della capacità di adattarsi al meglio ad un universo inter-personale in fieri, che obbliga a costanti cambiamenti evolutivi e questa capacità rappresenta la chiave di lettura del presente contributo di ricer-ca.

Obiettivi e ipotesi della ricerca La presente ricerca ha inteso verificare se e in che

misura le modalità di adattamento interpersonale correlano con l’impiego dei meccanismi di disimpe-gno morale e con la qualità della vita a scuola. Nel dettaglio, abbiamo ipotizzato che i preadolescenti che risultano meno socialmente adattati impieghino maggiormente le strategie del disimpegno morale e siano più frequentemente soggetti ai comportamenti prepotenti (di tipo diretto e indiretto) da parte dei compagni di scuola.

Nelle analisi, inoltre, abbiamo tenuto conto delle a) differenze di genere ed età, ipotizzando che i ma-schi risultino meno socialmente abili e più impulsivi delle femmine, oltre che più inclini all’uso delle stra-tegie di disimpegno morale, come si suppone che accada nei soggetti più grandi; b) differenze dovute alle caratteristiche socio-culturali del contesto scola-stico, ipotizzando che i preadolescenti inseriti in un contesto “a rischio” risultino più inclini al disimpe-

gno morale e meno socialmente adattati degli altri coetanei.

Metodo della ricerca CAMPIONE Il campione della ricerca è costituito da 351 pre-

adolescenti, 174 maschi e 177 femmine, di età compresa tra i 10 e i 14 anni (M=12.15, ds=1.02), frequentanti le classi medie inferiori di due Istituti Comprensivi Statali situati nella provincia di Siracu-sa. Questi ultimi appaiono diversamente caratterizzati per la tipologia dell’utenza, in quanto il primo istituto, etichettato per convenzione Ist-A, collocato in un quartiere caratterizzato da un alto tasso di delinquenza, spaccio di droga e furti, acco-glie un’utenza definibile “a rischio”, mentre il secondo istituto, etichettato Ist-B, nasce in un quar-tiere residenziale caratterizzato da nuclei familiari con un livello culturale medio–alto.

STRUMENTI E PROCEDURE Gli strumenti di misura scelti per misurare le

dimensioni oggetto d’indagine sono stati sommini-strati rispettando l’anonimato ed in setting di gruppo-classe: si tratta del Questionario di Adatta-mento Interpersonale, della Scala di Disimpegno Morale e del questionario “La mia vita a scuola”.

Per la valutazione delle dimensioni identitarie connesse alle modalità di adattamento interpersona-le, abbiamo utilizzato il Questionario di Adattamento Interpersonale (QAI) elaborato da Di Nuovo (1998). Si tratta di uno strumento self-report, utile a valutare il grado di adattamen-to/disadattamento nelle relazioni interpersonali, derivante da una serie di competenze, atteggiamenti e comportamenti che il soggetto mette in atto quando entra in relazione con altri individui. È co-stituito da 50 affermazioni a cui il soggetto risponde usando una scala a 3 intervalli: mol-to/abbastanza/poco o spesso/qualche volta/mai. Nel questionario vengono distinte cinque sub-scale: Non-affermatività (ad es., item15 - “Se qualcuno in una fila cerca di sorpassarmi, lo lascio passare per non attaccare lite”); Impulsività (ad es., item17 – “Quando litigo con qualcuno, divento violento”); Narcisismo (ad es., item10 – “Amo essere sempre al centro dell’attenzione”); Preoccupazione relativa all’immagine di sé (ad es., item20 – “Ci tengo a comportarmi in modo da ispirare agli altri fiducia”); e Stress nelle situazioni sociali (ad es., item13 –

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“Quando parlo per la prima volta con qualcuno, mi sento teso”). La coerenza interna delle 5 sub-scale risulta soddisfatta (α di Cronbach da .73 a .87).

Per l’esplorazione dei meccanismi di disimpegno morale è stata utilizzata la versione italiana della Mo-ral Disengagement Scale di Caprara, Pastorelli e Bandura (1995), costituita da 32 affermazioni che descrivono situazioni-stimolo riconducibili agli 8 meccanismi di disimpegno morale; il soggetto ri-sponde a ciascuna situazione secondo una scala Likert a 5 intervalli (da 1=in totale disaccordo a 5= in totale accordo). Da questo strumento emergono indicazioni circa l’inclinazione del soggetto all’uso delle seguenti strategie di giustificazione delle con-dotte moralmente condannabili: la giustificazione morale (ad es., “È bene usare la forza contro chi of-fende la famiglia”), l’etichettamento eufemistico (ad es., “Picchiare dei compagni fastidiosi è soltanto da-re loro una lezione”), il confronto vantaggioso (ad es., “Danneggiare le cose degli altri non è molto gra-ve se si pensa che ci sono persone che picchiano la gente”), il dislocamento di reponsabilità (ad es., “Se i giovani vivono in cattive condizioni nei quartieri dove abitano non possono essere rimproverati se so-no aggressivi”), la diffusione di responsabilità (ad es., “Se un gruppo di ragazzi decide di fare qualcosa di dannoso non è giusto dare la colpa al singolo ra-gazzo”), la distorsione delle conseguenze (ad es., “Il prendere in giro non fa veramente male a nessuno”), la deumanizzazione della vittima (ad es., “È bene maltrattare chi si comporta come un verme”) e l’attribuzione di colpa (ad es., “Se le persone lascia-no in giro le proprie cose è colpa loro se qualcuno le ruba”). La coerenza interna della scala applicata al nostro campione presenta un valore α pari a .85.

L’analisi del bullismo e della prosocialità è stata condotta mediante il questionario “La mia vita a scuola”, originariamente ideato da Arora (1994) e ripreso da Sharp e Smith (1995) nell’attuazione di azioni di prevenzione e strategie di intervento nel contesto scolastico. Esso consente di individuare la qualità e la quantità dei comportamenti prepotenti e di quelli prosociali, avvenuti nel corso degli ultimi mesi a scuola. È costituito da 39 affermazioni alle quali il soggetto risponde indicando con quale fre-quenza, in una scala a tre livelli (mai, una volta, più di una volta), ha subito tali comportamenti da parte degli altri compagni (ad es., “Durante gli ultimi me-si a scuola un altro ragazzo/a ha cercato di mettermi nei guai” oppure “mi ha aiutato a fare dei compiti”). La coerenza interna dello strumento risulta adeguata (α=.83).

ANALISI STATISTICA Le elaborazioni statistiche dei dati sono state ef-

fettuate mediante il software SPSS 15.0 for Windows, rilevando le differenze per genere, età e tipologia di Istituto tra i valori medi ottenuti dal campione in ciascuna variabile dipendente.

Risultati Adattamento Interpersonale - I risultati riguar-

danti le dimensioni dell’adattamento interpersonale, mediante la MANOVA 3 (classe di età) x 2 (genere) x 5 (sub-scale adattamento interpersonale), eviden-ziano un effetto separato delle due variabili prese in esame (classe di età: F(10,684)=2.54, p=.005; genere: F(5,341)=7.55, p<.001), nel senso che i soggetti più piccoli presentano livelli più alti di non-affermatività (F(2,348)=4.70, p=.010) e di stress in si-tuazioni sociali rispetto ai più grandi (F(2,348)=6.93, p=.001); inoltre, i maschi manifestano una maggiore impulsività (F(1,349)=21.21, p<.001) mentre le femmi-ne livelli più alti di stress in situazioni sociali (F(1,349)=10.04, p=.002) (Tab.1).

L’appartenenza ai due differenti Istituti non in-cide sull’adattamento interpersonale.

Tabella 1 – Differenze per genere e classe di età nel-le sub-scale dell’adattamento interpersonale

Sub-scale Cl

asse Ge-

nere Me

die ds

Non-affermatività

I M .84 .28F .85 .23

II M .80 .25F .80 .24

III M .74 .24F .75 .25

Impulsività

I M .82 .39F .53 .29

II M .74 .35F .62 .34

III M .77 .31F .67 .37

Preoccupa-zione sociale

I M .94 .34F .99 .31

II M .92 .33F .96 .28

III M .85 .34F .97 .38

Stress in si-tuazioni sociali

I M .84 .33F .96 .36

II M .65 .31F .82 .36

III M .74 .36

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F .79 .40

Narcisismo

I M .79 .30F .76 .25

II M .81 .34F .75 .25

III M .79 .31F .73 .29

Meccanismi di Disimpegno Morale - Dal con-

fronto tra i valori medi ottenuti nei meccanismi di disimpegno morale, è possibile rilevare, mediante la MANOVA 3 (classe di età) x 2 (genere) x 8 (mecca-nismi disimpegno morale), un effetto separato delle due variabili indipendenti (classe di età: F(16,678)=2.14, p=.006; genere: F(8,338)=2.23, p=.025). In tal senso, i soggetti più grandi sono più inclini ad utilizzare l’etichettamento eufemistico (F(2,348)=4.65, p=.010) e, come mostrato nella Tab.2, i maschi tendono ad impiegare la giustificazione morale (F(1,349)=9.28, p=.002), il confronto vantaggioso (F(1,349)=4.92, p=.027), la deumanizzazione della vittima (F(1,349)=7.05, p=.008), la distorsione delle conse-guenze (F(1,349)=5.09, p=.025) e l’etichettamento eufemistico (F(1,349)=7.49, p=.007). Ciò significa che i maschi, a differenza delle femmine, giustificano le proprie condotte ricorrendo a principi superiori, tendono ad utilizzare termini che consentono di rendere più accettabili eventuali ostilità verso altre persone, a distorcere gli effetti delle proprie azioni e a privare della dignità umana i destinatari delle loro offese, ciò che rappresenta una conferma alle nostre ipotesi.

L’appartenenza ai due differenti Istituti, in que-sto caso, incide nell’impiego dei meccanismi di deumanizzazione della vittima (t(349)=3.30, p=.001) ed etichettamento eufemistico (t(349)=2.53, p=.012), nel senso che i preadolescenti frequentanti l’Ist-A sembrano più inclini all’impiego di tali meccanismi rispetto a quelli dell’Ist-B (deumanizzazione: M=2.47, ds=.86 vs M=2.17, ds=.83; etichettamento eufemistico: M=2.25, ds=.73 vs M=2.06, ds=.69). Questo dato fornisce una conferma parziale delle nostre ipotesi, poiché interessa soltanto due degli otto meccanismi analizzati.

Tabella 2 – Differenze per genere nei meccanismi di disimpegno morale

Meccanismi Ge-

nere Medie ds Attribuzione di

colpa M 2.43 .72F 2.31 .73

Confronto van-taggioso

M 1.97 .84F 1.77 .63

Deumanizzazio-ne della vittima

M 2.43 .85F 2.20 .85

Diffusione di re-sponsabilità

M 2.82 .72F 2.85 .77

Dislocamento di responsabilità

M 2.44 .82F 2.32 .75

Distorsione delle conseguenze

M 2.50 .74F 2.34 .66

Etichettamento eufemistico

M 2.25 .71F 2.05 .71

Giustificazione morale

M 2.92 .89F 2.64 .80

Correlazione tra adattamento interpersonale e di-

simpegno morale Dall’analisi delle correlazioni di Pearson tra le

scale dell’adattamento interpersonale e il disimpe-gno morale (Tab.3), si rileva una relazione positiva con l’impulsività (r=.42, p<.001) e il narcisismo (r=.21, p<.001), negativa, invece, con la non-affermatività (r=-.11, p<.05). In particolare, in ac-cordo con quanto riportato nelle ipotesi del presente contributo, si osserva che:

a) maggiore è la tendenza all’espressione di ag-gressività, maggiore è l’inclinazione al disimpegno morale (e, in particolare, ciò vale per tutti i meccani-smi, ad eccezione della diffusione della responsabilità);

b) maggiore è la focalizzazione prevalente sul Self e sui propri bisogni, maggiore è l’attribuzione di colpa, la deumanizzazione, il dislocamento di re-sponsabilità, l’etichettamento eufemistico e la giustificazione morale;

c) maggiore è la tendenza ad essere socialmente competenti, minore è l’uso di strategie di giustifica-zione della propria condotta;

d) inoltre, maggiore è l’ansia connessa alla ten-sione derivante dal giudizio altrui, maggiore è la diffusione e lo spostamento della responsabilità.

Tale tendenza si riscontra, senza differenze ap-prezzabili, in entrambi gli Istituti.

Tab ella 3 – Correlazioni tra sub-scale dell’adattamento interpersonale e meccanismi di di-simpegno morale

Meccanismi A B C D E Attribuzione di colpa -.05 .35** .08 .04 .22**Confronto

vantaggioso .06 .25** .01 .13* .08 Deumanizza-

zione della vittima

.01 .36** .02 .02 .16**

Diffusione di responsabilità -.09 .06 .12* -.05 .03

Dislocamen-to di -.08 .30** .12* .05 .13*

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responsabilità Distorsione

delle conseguen-ze

-.07 .17** .03 -.01 .06

Etichetta-mento

eufemistico -.10 .30** -.01 .01 .16**

Giustifica-zione morale -.22** .43** .05 -.04 .26**

Livelli di significatività: * p<.05; ** p<.001 Legenda: Sub-scala A=Non-affermatività; Sub-scala

B=Impulsività; Sub-scala C=Preoccupazione sociale; Sub-scala D=Stress in situazioni sociali; Sub-scala E=Narcisismo

Il bullismo e la prosocialità - Dall’analisi dei ri-

sultati inerenti le tre forme di bullismo ed i comportamenti prosociali, sulla base di quanto di-chiarato dai nostri preadolescenti si rileva una ridotta frequenza di atti di bullismo ed una elevata frequenza di comportamenti prosociali, con diffe-renze significative in merito alla classe (F(8,668)=2.45, p=.013): i soggetti più grandi dichiarano di aver ri-cevuto, con maggiore frequenza, comportamenti prosociali da parte degli altri compagni di scuola.

Differenze in base al genere (F(4,333)=3.67, p=.006) si evidenziano in quanto i maschi dichiarano di esse-re più frequentemente oggetto delle forme di bullismo fisico, mentre le femmine dei comporta-menti prosociali.

In merito agli Istituti, la prosocialità appare me-no frequente nell’Ist-A rispetto all’Ist-B (t(343)=3.22, p=.001): i preadolescenti che frequentano il contesto scolastico “a rischio” dichiarano una minore fre-quenza dei comportamenti positivi funzionali al benessere altrui, senza, però, rilevare una maggiore frequenza delle forme di bullismo.

Correlazione tra adattamento interpersonale e

forme di bullismo/prosocialità a scuola Abbiamo verificato, anche in questo caso, le cor-

relazioni di Pearson tra le sub-scale dell’adattamento interpersonale e le forme di bullismo e prosocialità emerse dall’analisi della qualità della vita a scuola (Tab.4), rilevando relazioni positive (di debole in-tensità) dell’impulsività, dello stress e della preoccupazione sociale con le tre forme di bullismo. Ciò indica che i preadolescenti che hanno dichiarato di subire prepotenze (dirette e indirette) da parte dei compagni, risultano più impulsivi, stressati e preoc-cupati per l’immagine di sé. In direzione opposta, si evidenziano relazioni negative tra la non-affermatività, l’impulsività, lo stress in situazioni so-ciali e la prosocialità: i preadolescenti, infatti, che dichiarano di aver ricevuto azioni prosociali risulta-

no meno impulsivi e stressati e più capaci di impie-gare abilità sociali.

Tab.4 – Correlazioni tra sub-scale dell’adattamento

interpersonale e bullismo/prosocialità Dimen-

sioni A B C D E Fisico .03 .15

** .20

** .12

* -

.03 Rela-

zionale .04 .17**

.18**

.14**

-.03

Verbale .03 .15**

.11*

.13*

-.09

Proso-cialità

-.21**

-.14*

-.02

-.15** .01

Livelli di significatività: * p<.05; ** p<.001 Legenda: Sub-scala A=Non-affermatività; Sub-scala

B=Impulsività; Sub-scala C=Preoccupazione sociale; Sub-scala D=Stress in situazioni sociali; Sub-scala E=Narcisismo

Discussione e conclusioni I risultati dell’indagine hanno verificato

l’esistenza di una significativa relazione delle dimen-sioni dell’adattamento interpersonale con l’inclinazione all’uso dei meccanismi di disimpegno morale e con la frequenza dei comportamenti prepo-tenti e prosociali nel contesto scolastico. Infatti, i preadolescenti (soprattutto, i maschi) più impulsivi, narcisisti e meno socialmente abili appaiono più in-clini all’uso delle strategie di giustificazione delle condotte moralmente inaccettabili. I nostri dati pos-sono, in tal senso, essere ritenuti in linea con alcune delle indicazioni emerse dalle ricerche che hanno indagato sull’uso dei meccanismi di disimpegno mo-rale, soprattutto da parte dei bulli a discapito delle vittime (cfr., Smith et al., 1993; Menesini, Fonzi e Vannucci, 1999; Menesini, Fonzi e Sanchez, 2002).

Con attenzione alla qualità della vita a scuola, i preadolescenti che hanno dichiarato di essere ogget-to di azioni prepotenti manifestano elevati livelli di impulsività, stress e preoccupazione in situazioni so-ciali, così come coloro che hanno dichiarato di ricevere azioni prosociali mostrano bassi livelli di stress, passività e impulsività. Questi risultati con-cordano con le indicazioni provenienti da altre indagini empiriche realizzate nel contesto nazionale (Tani, 1999) ed internazionale (Kochenderfer e Ladd, 1996; Hodge e Perry, 1999; Storch et al., 2003) sulla condizione psicologica e sulle caratteri-stiche delle vittime di bullismo.

Degno di attenzione è il fatto che l’interpretazione inferenziale di questi risultati sem-bra risentire del limite delle analisi applicate, per le

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quali è plausibile parlare di ‘concause’ piuttosto che di relazioni causa-effetto in un dato fenomeno. Le evidenze rilevate, pertanto, possono essere conside-rate come punto di partenza per ulteriori approfondimenti delle differenti dimensioni psico-logiche che caratterizzano, a più livelli, le relazioni esplorate in questo contributo di ricerca. Risulterà, infatti, interessante reiterare l’analisi degli aspetti presi in esame con soggetti in età più matura al fine di verificare la possibile generalizzabilità dei risultati o la peculiarità degli stessi in particolari fasi evoluti-ve.

Future ricerche, inoltre, potranno consentire l’approfondimento della tematica oggetto di studio con l’impiego di altri costrutti teorici e metodologie riconducibili all’adattamento interpersonale e ad al-tre dimensioni psicologiche allo stesso correlate, come, ad es., la self-efficacy (Bandura, 1986b), la po-polarità all’interno del gruppo-classe (Menesini, 2003), gli stili attributivi (De Beni e Moè, 2000) e le differenti rappresentazioni del Self (Possible Selves, Markus e Nurius, 1986), dimensioni che possono contribuire a facilitare l’adattamento interpersonale, importante compito di sviluppo in età adolescenzia-le, nonché fattore determinante per il benessere nella vita sociale di ogni persona.

La centratura sull’analisi dell’adattamento inter-personale può, inoltre, costituire il punto nodale di interventi educativi e scolastici, funzionali non sol-tanto a migliorare la qualità della vita soggettiva ma anche a gestire meglio le dinamiche intra-gruppali, soprattutto, in adolescenza.

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Ricevuto : 1 luglio 2009 Revisione ricevuta : 1 novembre 2009

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Stategie di coping negli infermieri e negli studenti d’infermieristica

Chiara BARLOTTI, Cristina DI PIETRO, Claudia URAS, Stefano TABOLLI Laboratorio di Ricerca sui Servizi Sanitari, Istituto Dermopatico dell’Immacolata IDI –IRCCS, Roma

ABSTRACT - Coping in nurses and nursing students - Coping is the use of skills and strategies adopted to face stress-ful and difficult events. The aim of this study was to describe/analyse the coping strategies in nurses (n. 298) and nursing students (n. 326), and to relate them with few socio-demographic variables. If working with patients is a stressful job, different strategies of coping are supposed to be recognized among nurses and nursing students. The Coping Orientation to Problems Experienced questionnaire was distributed in January-March 2009 to nurses and nursing students at the IDI-IRCCS Institute and in an University School of Nursing in Rome, respectively. Nurses and nursing students are similar populations. The Denial scale (I refuse to believe that it has happened) and the Be-havioural disengagement scale (I give up the attempt to get what I want) are higher in nurses (p<0.05); the Mental disengagement scale (I turn to work or other substitute activities to take my mind off things) is higher in students (p<0.05). The use of Maladaptive coping is more frequent in nurses for men and those acting in operating room, as well as in students: the younger, the highly educated, those who had experienced stressful events. The use of Emo-tion-focused coping is more frequent in females nurse students. Findings from this study may be useful for the students’ tutors and nurses’ coordinators, to better direct their training and to better coordinate their field work, re-spectively. KEY WORDS: Coping, Coping strategies, Stress, Nurses. RIASSUNTO – Per coping s’intende l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali messe in atto da una per-sona per fronteggiare una situazione di stress. Lo studio intende descrivere e analizzare le strategie di coping negli infermieri (n. 298) e negli studenti d’infermieristica (n. 326), in relazione ad alcune variabili sociodemografiche. Il la-voro con i pazienti è un evento stressante e differenti dovrebbero essere le strategie di coping tra gli studenti e gli infermieri. E’ stato distribuito (Gennaio-Marzo 2009) il Coping Orientation to Problems Experienced. La ricerca e-videnzia che gli infermieri e gli studenti appaiono come due popolazioni simili. Gli unici elementi significativamente differenti sono stati quelli evidenziati nelle scale di Negazione (Mi rifiuto di credere che ciò sia accaduto) e Distacco comportamentale (Riconosco che non posso farci niente e abbandono ogni tentativo di agire) più elevati negli infer-mieri (p<0.05) e di Distacco mentale (Mi dedico al lavoro o ad altre attività per distrarmi) maggiore negli studenti (p<0.05). L’uso di Meccanismi Potenzialmente Disadattavi è più frequente negli infermieri maschi che operano in reparti chirurgici e negli studenti più giovani, nei laureati, in coloro che riferiscono episodi stressanti. L’uso di Mec-canismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva è maggiore nelle studentesse. Utile appare la conoscenza di queste informazioni per i formatori e per i coordinatori degli operatori sanitari, per indirizzare meglio i loro insegnamenti e meglio coordinare gli infermieri sul campo. PAROLE CHIAVE: Coping, Strategie di coping, Stress, Infermieri.

Introduzione Quando si parla di coping ci si riferisce

all’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali attuati per controllare specifiche richieste interne e/o esterne che vengono valutate come eccedenti le ri-sorse della persona (Lazarus, 1966). Il coping è un processo dinamico, costituito da una serie di risposte reciproche attraverso le quali ambiente e individuo s’influenzano a vicenda; inoltre comprende una serie di azioni, sia cognitive che comportamentali, inten-zionali, finalizzate a controllare l’impatto negativo dell’evento stressante. Il termine stress (Lazarus, 2006) viene usato per indicare genericamente una condizione di tensione psichica, che può essere de-terminata dalle più svariate situazioni: familiari, lavorative, di coppia e amicali. Esiste ovviamente

una variabilità individuale, che condiziona il diverso modo di percepire gli eventi stressanti e dipende da-gli strumenti che ciascuno ha a disposizione per affrontarli. DeLongis e Holtzman (2005) hanno e-videnziato che la personalità e la qualità delle relazioni sociali rivestono un ruolo importante nella maggior parte delle situazioni di stress.

Il processo di adattamento ad una situazione stressante è determinato dalle strategie di coping, modalità che determinano l’adattamento ad una si-tuazione funzionale per mitigare e ridurre la portata stressogena dell’evento. È stato dimostrato che l’ansia e la depressione rientrano fra i numerosi fat-tori che possono incidere sulla gestione personale di eventi problematici e sull’utilizzo delle strategie di coping (Finset e Andersson, 2000).

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Barlotti, C., Di Pietro, C., Uras, C., Tabolli, S. – Strategie di coping negli infermieri e negli studenti di infermieristica

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Brown e Nicassio (1987) descrivono le strategie attive di coping, rappresentate dal tentativo del pa-ziente di controllare in qualche modo il proprio dolore oppure dal tentativo di mantenere un buon livello funzionale, nonostante il permanere del dolo-re stesso e le strategie passive di coping in cui il pa-ziente lascia il controllo del proprio dolore ad altri o permette che altre aree significative di vita vengano influenzate negativamente dal dolore. Secondo tale formulazione la differenza fondamentale tra strategie attive e passive si fonda sul fatto che il paziente faccia affidamento su risorse interne a sé o esterne.

Endler e Parker (1990) hanno individuato tre ca-tegorie di coping: coping centrato sul compito rappresentato dalla tendenza ad affrontare il pro-blema in maniera diretta, ricercando soluzioni per fronteggiare la crisi, coping centrato sulle emozioni rappresentato da abilità specifiche di regolazione af-fettiva, che consentono di mantenere una prospettiva positiva di speranza e controllo delle proprie emozioni in una condizione di disagio op-pure di abbandono alle emozioni, coping centrato sull’evitamento rappresentato dal tentativo dell’individuo di ignorare la minaccia dell’evento stressante attraverso la ricerca del supporto sociale o impegnandosi in attività che distolgono la sua atten-zione dal problema.

Lo strumento principale utilizzato per valutare il coping è il Coping Orientation to Problems Expe-rienced (Carver et Al, 1989), uno degli strumenti multidimensionali finalizzati alla misurazione delle abilità di fronteggiamento messe in atto dalla perso-na nei confronti dello stress. Le dinamiche di coping sono state studiate sia in soggetti normali impegnati ad affrontare eventi problematici e condizioni di di-sagio dovute a situazioni lavorative stressanti (Ianni et Al, 2004) che in pazienti con malattie acute o croniche (Sollner et Al, 1999; Donnellan et Al, 2006; Hoybraten Sigstad et Al, 2005; Fortune et Al, 2002; Scharloo et Al, 2000; Finzi et Al, 2007; Whitmarsh et Al, 2003).

Obiettivo di questo studio è stato quello di de-scrivere le strategie di coping negli infermieri e negli studenti d’infermieristica ipotizzando una loro diffe-renza; valutando altresì alcune variabili sociodemografiche caratteristiche di ciascun gruppo.

Materiali e Metodi Lo studio è stato condotto mediante la sommini-

strazione di un questionario anonimo nei mesi di Gennaio e Febbraio 2009. Sono stati coinvolti 326

studenti infermieri del Centro di Formazione e Stu-di Sanitari “Padre Luigi Monti” (Università di Tor Vergata) e 298 infermieri afferenti all’IDI-Sanità (I-stituto Dermopatico dell’Immacolata IDI- IRCCS, Ospedale Generale San Carlo) di Roma. I parteci-panti sono stati sensibilizzati alla compilazione del Coping Orientation to Problems Experienced previa introduzione al questionario e alle finalità della ri-cerca. I questionari sono stati consegnati agli studenti, prima dell’inizio delle lezioni e ritirati al termine delle stesse. Agli infermieri il questionario veniva consegnato dai caposala che si facevano parte attiva nella ricerca e lo ritiravano entro una settima-na dalla somministrazione. Le variabili sociodemografiche indagate dal questionario sono state: età, sesso, cittadinanza, residenza, scolarità, stato civile, numero figli, anni di servizio. Veniva poi richiesto di valutare lo stato di salute attuale e lo stato di salute nell’ultimo anno con una scala analo-gico visiva (Visual Analogical Scale, VAS) graduata da 0 a 10, si indagava quindi sull’uso di farma-ci/psicofarmaci e sulla presenza di eventuali eventi stressanti vissuti nell’ultimo anno.

Il Questionario Coping Orientation to Problems Experienced validato in italiano (Sica et Al, 1997) composto da 60 item, raggruppabili in 17 scale, quattro item per ogni scala, chiede di valutare con quale frequenza il soggetto mette in atto, nelle situa-zioni difficili o stressanti, quel particolare processo di coping. Le possibilità di risposta sono quattro: Di solito non lo faccio; Lo faccio qualche volta; Lo faccio con una certa frequenza; Lo faccio quasi sempre. Cia-scuna scala viene quantificata con un punteggio da un minimo di 4 ad un massimo di 16. Non è previ-sto per il Coping Orientation to Problems Experienced un punteggio totale. Dalle 17 scale si possono poi ottenere 3 Categorie: Meccanismi Fo-calizzati sul Problema, Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva, Meccanismi Potenzial-mente Disadattivi. Il soggetto non deve fare riferimento ad uno stress specifico, ma pensare piut-tosto a come abitualmente si comporta nelle situazioni stressanti.

È stata effettuata un’analisi descrittiva per tutte le variabili oggetto di studio. Mediante il test t di Student sono stati confrontati i punteggi medi delle scale tra i due gruppi e all’interno dei gruppi per al-cune variabili. Il test χ2 è stato applicato ad ogni item del Coping Orientation to Problems Experienced per confrontare le frequenze tra i due gruppi. Per entrambi i test veniva accettata la significatività per P<0.05. Tutte le analisi statistiche sono state effet-tuate con STATA vs.9. (STATA, College Station, TX, USA).

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LEGENDA DELLE TABELLE 2/3/4 Attività (intraprendere qualche azione per elimi-

nare o ridurre lo stress); Pianificazione (riflettere, pianificare, elaborare strategie per superare il pro-blema); Soppressione di attività competitive (mettere da parte ogni altra attività per dedicarsi più efficacemente al problema); Contenimento (aspetta-re l’occasione propizia per affrontare lo stress invece di agire impulsivamente); Ricerca di informazioni (chiedere consigli, assistenza, informazioni); Ricerca di comprensione (ottenere supporto morale, rassicu-razioni, comprensione); Sfogo emozionale (esprimere emozioni, dare sfogo ai propri sentimen-ti); Reinterpretazione positiva e crescita (elaborare l’esperienza critica in termini positivi o di crescita umana); Accettazione (accettare la situazione e/o della propria incapacità nell’affrontarla); Dedicarsi alla religione (cercare aiuto o conforto nella pratica religiosa); Umorismo (prendersi gioco della situa-zione, riderci sopra); Negazione (rifiutare l’esistenza della situazione critica, agire come se lo stress non esistesse); Distacco comportamentale (ridurre o ri-nunciare agli sforzi per fronteggiare la situazione stressante); Distacco mentale (distrarsi, sognare ad occhi aperti, dormire più a lungo); Uso di droghe o alcool (utilizzare sostanze stupefacenti o alcolici per meglio tollerare lo stress); Supporto sociale (richie-

dere consigli, assistenza, supporto e rassicurazione); Strategie focalizzate sul problema (pianificare, pro-gettare la soluzione dei problemi fonti di stress).

Alle scale sono state aggiunte e successivamente validate tre categorie di base: Meccanismi Focalizzati sul Problema, Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva, Meccanismi Potenzial-mente Disadattivi. I Meccanismi Focalizzati sul Problema sono messi in atto in situazioni che il sog-getto giudica suscettibili di cambiamento; i Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva predominano quando il soggetto valuta la situazione come immutabile; i Meccanismi Potenzialmente Di-sadattivi indicano la tendenza ad evitare la situazione problematica a livello cognitivo o com-portamentale.

Risultati I questionari sono stati compilati da 298 infer-

mieri e 326 studenti pari al 69.5% e all’81.3% rispettivamente di coloro che l’avevano ricevuto.

Le caratteristiche demografiche e professionali dei rispondenti sono indicate in Tabella 1.

Tabella 1. Caratteristiche del campione d’Infermieri (289) e Studenti d’infermieristica (325) per alcune variabili pre-se in considerazione (numero e percentuale), per età e stato di salute punteggi medi e Deviazione Standard (SD).

Infermieri Studenti

di infermieristica n. % n. %

Sesso:

maschifemmine

90 31.14 199 68.86

89 27.38236 72.62

Scolarità:

diplomalaurea

124 46.62 142 53.38

165 52.88147 47.12

Stato civile:

celibe/nubile coniugato/a

altro

117 41.05 142 49.82 26 9.13

220 69.6273 23.10 23 7.28

Uso psicofarmaci:

sino

28 10.37 242 89.63

30 9.23295 90.77

Eventi stressanti riferiti:

sino

152 53.15 134 46.85

168 51.69157 48.31

Età (anni) 39.17 ± 8.69 33.23 ± 10.70

Stato di salute percepitaVAS (0-10) 7.59 ± 1.83 7.82 ± 1.76

Stato di salute ultimo annoVAS (0-10) 7.29 ± 1.92 7.49 ± 1.92

I totali possono essere diversi per dati mancanti. VAS = Scala visuo-analogica

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Sono stati analizzati i questionari di 289 infer-mieri e 325 studenti poiché alcuni sono risultati incompleti e non sono stati utilizzati.

All’interno del campione vi è un’elevata percen-tuale di femmine, il 69% fra gli infermieri e il 73% fra gli studenti. Il 50% degli infermieri è coniugato, il 70% di studenti è celibe/nubile. Le percentuali relative all’uso di psicofarmaci (circa 10%) e agli e-venti stressanti vissuti nell’ultimo anno (circa 52%) sono simili tra gli infermieri e gli studenti, come si-

mili sono la media relativa allo stato di salute attuale e quella dello stato di salute nell’ultimo anno valuta-te con la Visual Analogue Scale (VAS).

Nella Tabella 2 sono riportati i valori medi e la Deviazione Standard per ciascuna scala e per ciascu-na delle categorie del Coping Orientation to Problems Experienced nei due gruppi in osservazio-ne. La significatività delle differenze è espressa a margine (t test).

Tabella 2. Scale del Coping Orientaion to Problems Experienced e categorie di Coping: valori medi (media) e devia-zione standard (SD) negli infermieri e negli studenti d’infermieristica con relativa numerosità e differenze significative (p<0.05).

Scale Infermieri Studenti d’ infermieri-

stica n. Media S.D. n. Media S.D. p

Attività 289 11.63 2.58 310 11.76 2.28

Pianificazione 294 11.24 2.97 318 11.36 2.87 Soppressione di attività competitive 292 9.36 2.57 318 9.57 2.39

Contenimento 292 9.85 2.70 318 10.01 2.61 Ricerca di informazioni 293 9.74 2.89 322 9.91 2.75

Ricerca di comprensione 295 9.03 3.04 318 9.31 2.96 Sfogo emozionale 293 8.87 3.05 319 9.18 2.72

Reinterpretazione positiva e crescita 294 12.09 2.63 319 12.14 2.42 Accettazione 287 10.12 2.87 309 9.99 2.69

Dedicarsi alla religione 286 8.69 3.82 309 8.76 4.09 Umorismo 291 7.76 3.05 319 7.59 2.73 Negazione 291 6.53 2.68 318 6.12 2.28 0.04

Distacco comportamentale 293 6.48 2.56 318 6.11 2.04 <0.05 Distacco mentale 294 8.10 2.39 321 8.50 2.41 0.04

Uso di droghe o alcool 287 5.07 2.75 314 4.80 2.06 Supporto sociale 294 18.74 5.39 293 19.35 5.12

Strategie focalizzate sul problema 294 20.38 4.44 321 20.64 4.17

Categorie Meccanismi focalizzati sul problema 291 10.36 2.04 306 10.51 1.78

Meccanismi focalizzati sull'espressione emotiva 284 9.44 1.88 303 9.50 1.51

Meccanismi potenzialmente disadattavi 288 6.54 2.04 313 6.39 1.44 L’utilizzo della Negazione e del Distacco compor-

tamentale è significativamente più elevato negli infermieri (p<0.05) e maggiore è il Distacco mentale negli studenti (p<0.05).

All’analisi delle tre categorie non emergono diffe-renze significative tra i punteggi medi rilevati tra gli infermieri e quelli degli studenti.

Nelle Tabelle 3 e 4 vengono riportate, per in-fermieri e studenti rispettivamente, per ciascuna scala del Coping Orientation to Problems Experien-

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Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

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ced, le differenze, tra i valori medi di ciascuna varia-bile, osservate come statisticamente significative.

Tabella 3. Scale del Coping Orientation to Problems Experienced e categorie di Coping: differenze medie (∆)di al-cune variabili (sesso, età, reparto, anni di servizio) negli infermieri con relativa numerosità e significatività (p<0.05).

Infermieri

Sesso Età/anni Reparto Anni di servizio

M. (n.90)

vs. F. (n.199)

≤ 38 (n.116) vs. > 38 (n.107)

chirurgico (n.178) vs.

non chirurgico (n.110)

≤ 13 (n.133) vs.

> 13 (n.120)

Scale ∆ p ∆ p ∆ p ∆ p

Attività Pianificazione 0.84 0.03 -0.77 0.03

Soppressione di attività competitive Contenimento

Ricerca di informazioni 1.02 0.01

Ricerca di comprensione -0.84 0.03 0.940.0

2 0.74 0.04 1.29 0.01Sfogo emozionale

Reinterpretazione positiva e crescita Accettazione

Dedicarsi alla religione -1.100.0

3 -1.15 0.02Umorismo 0.98 0.01 Negazione 0.69 0.05

Distacco comportamentale 1.10 0.01 Distacco mentale

Uso di droghe o alcool 1.77 0.01 0.72 0.03Supporto sociale 2.32 0.01

Strategie focalizzate sul problema -1.30 0.02

CATEGORIE Meccanismi focalizzati sul problema

Meccanismi focalizzati sull'espres-sione emotiva

Meccanismi potenzialmente disadat-tavi 1.02 0.01 0.51 0.03

Nota: Nessuna significatività è presente negli infermieri per presenza/assenza eventi stressanti p = Student t test ∆= differenza media I totali possono variare per dati mancanti Tra gli Infermieri, (Tabella 3), i maschi utilizza-

no maggiormente e in maniera statisticamente significativa rispetto alle femmine le strategie di Pianificazione, Umorismo, Negazione, Distacco com-portamentale, Uso di droghe o alcool, manifestando una maggiore predisposizione verso i Meccanismi Potenzialmente Disadattivi. Le femmine invece ri-chiedono Ricerca di comprensione così come avviene nel caso dei più giovani. Gli infermieri che svolgono il proprio lavoro all’interno dei reparti chirurgici ri-corrono alla Ricerca di comprensione e all’Uso di droghe o alcool, mettendo in atto Meccanismi Poten-

zialmente Disadattavi più di coloro che operano gli altri reparti (p<0.05). Gli infermieri che afferi-afferiscono ai reparti non-chirurgici utilizzano giormente la Pianificazione e le Strategie focalizzate sul problema.

Gli infermieri con anni di servizio inferiore a 13 (è stato usato come “cut off” il valore mediano) ri-chiedono Ricerca di informazioni, Ricerca di comprensione e Supporto sociale più dei soggetti che hanno una maggiore anzianità di servizio (p<0.01).

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Tabella 4. Scale del Coping Orientation to Problems Experienced e categorie di coping: differenze medie (∆) di al-cune variabili (sesso, età, titolo di studio, eventi stressanti) negli studenti d’infermieristica con relativa numerosità e significatività (p<0.05).

Studenti d’infermieristica

Sesso Età/anni Titolo di Studio Eventi stressanti

M. (n. 89)

vs.F. (n. 236)

≤ 31 (n. 145) vs.> 31 (n. 120)

Diploma (n. 165)vs.

Laurea (n. 147)

SI (n. 168)vs.

NO (n. 157)

Scale ∆ p ∆ p ∆ P ∆ p

Attività -0.60 0.04 Pianificazione -0.79 0.02 0.67

Soppressione di attività com-petitive

Contenimento -0.85 0.01 Ricerca di informazioni -0.68 0.05

Ricerca di comprensione -1.67 0.01 1.23 0.01 Sfogo emozionale -1.27 0.01 0.95 0.01

Reinterpretazione positiva e crescita -1.11 0.01 0.80 0.01

Accettazione -0.67 0.05 Dedicarsi alla religione -1.08 0.04 -1.59 0.01

Umorismo Negazione

Distacco comportamentale -0.51 0.02Distacco mentale 1.13 0.01 1.01 0.01

Uso di droghe o alcool 0.73 0.01 0.91 0.01 -0.67 0.01Supporto sociale -2.19 0.01 1.66 0.01

Strategie focalizzate sul pro-blema -1.22 0.01 0.99 0.03

CATEGORIE Meccanismi focalizzati sul

problema Meccanismi focalizzati sull'e-

spressione emotiva -0.75 0.01 Meccanismi potenzialmente

disadattavi 0.65 0.01 -0.40 0.01 0.43 0.01 p = Student t test ∆= differenza media I totali possono variare per dati mancanti Tra gli Studenti (Tabella 4) sono le femmine che

ricorrono maggiormente alla Ricerca di informazioni, Ricerca di comprensione, Sfogo emozionale, Accetta-zione, Dedicarsi alla religione, Supporto sociale, mettendo in atto soprattutto Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva.

Coloro che hanno un’età superiore ai 31 anni (è stato usato come “cut off” il valore mediano) utiliz-zano maggiormente le strategie di coping quali Attività, Pianificazione, Contenimento, Reinterpreta-zione positiva e crescita, Dedicarsi alla religione, Strategie focalizzate sul problema. Gli studenti con età inferiore ai 31 anni mettono in atto soprattutto

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Meccanismi Potenzialmente Disadattivi; sono i lau-reati che utilizzano maggiormente questi meccanismi rispetto ai diplomati (p<0.05). Gli stu-denti diplomati utilizzano maggiormente Pianificazione, Reinterpretazione positiva e crescita, Strategie focalizzate sul problema.

Gli studenti che hanno riferito di aver vissuto e-venti stressanti nell’ultimo anno utilizzano maggiormente le strategie quali Sfogo emozionale e Distacco mentale.

All’analisi delle domande singole del Coping O-rientation to Problems Experienced è stata rilevata la percentuale di frequenza con cui sia gli studenti che gli infermieri hanno risposto “Di solito non lo fac-cio” e “Lo faccio quasi sempre”. La maggiore concordanza è stata trovata agli item che rientrano nella scala Uso di droghe o alcool (Bevo alcool o prendo droghe o farmaci per pensarci di meno) pre-sente nella categoria dei Meccanismi Potenzialmente Disadattivi. I valori sono molto simili in entrambi i gruppi: l’87% degli infermieri e il 90% degli stu-denti d’infermieristica hanno risposto “Di solito non lo faccio”.

La maggiore discrepanza nelle risposte è stata os-servata negli item che rientrano nella scala Distacco comportamentale (Riconosco che non posso farci niente e abbandono ogni tentativo di agire), anch’essa presente nella categoria dei Meccanismi Potenzialmente Disadattivi, dove il 37% degli stu-denti e il 25% degli infermieri hanno risposto “Lo faccio qualche volta”.

Discussione Gli infermieri e gli studenti d’infermieristica ap-

paiono come due popolazioni simili. L’età più giovane, una minore scolarità e l’essere

single sono le ovvie caratteristiche maggiormente riscontrate negli studenti. Appare interessante come gli eventi stressogeni riferiti, l’uso di psicofarmaci o lo stato di salute percepito e la valutazione dello sta-to di salute nell’ultimo anno siano in questi gruppi perfettamente sovrapponibili.

Sulla base del fatto che il lavoro è un evento stressogeno (Dinoto, 2006) s’ipotizzava che il lavoro in ospedale avrebbe potuto introdurre strategie di coping diverse e che quindi avremmo potuto docu-mentare differenze nelle strategie adottate tra gli studenti e gli infermieri.

Gli unici elementi significativamente differenti sono stati quelli evidenziati nelle scale di Negazione (Mi rifiuto di credere che ciò sia accaduto) e Distac-co comportamentale (Riconosco che non posso farci

niente e abbandono ogni tentativo di agire) maggio-ri negli infermieri e di Distacco mentale (Mi dedico al lavoro o ad altre attività per distrarmi) maggiore negli studenti.

In accordo con quanto documentato in letteratu-ra sono state rilevate differenze per quanto riguarda il genere (Sica et Al, 1997) dove strategie disadattive sono più frequenti nei maschi, i quali ricorrono all’Uso di droghe o alcool e meno alla Ricerca di com-prensione rispetto alle femmine.

I Meccanismi Potenzialmente Disadattivi adotta-ti dagli studenti non risentono della differenza di genere bensì della maggiore esperienza accademica, di un’età più giovane e della riferita esposizione ad eventi stressanti. E’ da sottolineare che la sommini-strazione dei questionari ha coinciso col periodo degli esami universitari. La maggiore esperienza ac-cademica è legata alla presenza di infermieri già laureati (laurea triennale), già inseriti nel mondo del lavoro, che frequentano l’università per la formazio-ne post-base. Gli studenti quindi potrebbero aver scelto I Meccanismi Potenzialmente Disadattivi in un momento di notevole impegno e sforzo mentale, reagendo paradossalmente con un maggior Distacco Mentale.

Sono le femmine che utilizzano maggiormente i Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva confermando quanto già riportato in letteratura (Geirdal e Dahl, 2008). L’ambiente universitario non limita quindi le studentesse a manifestare gioia, paura, rabbia, vergogna. L’utilizzo di tali meccani-smi è confermato ulteriormente dalla scelta che esse attuano per l’attività di Supporto Sociale, maggiore che nei maschi.

La qualità motivazionale di un soggetto e la foca-lizzazione sull’espressione emotiva sono requisititi fondamentali per affrontare lo stress e mettere in at-to adeguate strategie (Lazarus, 1993).

Le strategie di coping dipendono sostanzialmen-te dalle aspettative che le persone hanno di raggiungere i propri obiettivi e rispetto ai propri bi-sogni.

Anche se con valori lievemente inferiori a quelli da noi trovati Dorz et Al. (2004) hanno evidenziato che le strategie principali adottate dal personale sani-tario e dagli studenti d’infermieristica sono le medesime in termini di priorità.

In un campione di infermieri, esaminato per va-lutare la soddisfazione lavorativa, il burnout e lo stress, il rischio di esaurimento emotivo aumentava al prolungarsi della durata d’impiego e la soddisfa-zione lavorativa si associava ad una minore probabilità di presentare disturbi di tipo ansioso-depressivo (Tabolli et Al, 2006).

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Nel nostro studio abbiamo voluto verificare quanto negli infermieri si modificassero le strategie rispetto al periodo di servizio documentando che erano significativamente più rilevanti la Ricerca d’informazione, Ricerca di comprensione e Supporto sociale in coloro che avevano un’anzianità lavorativa minore. Sono ovviamente i neo-assunti a reagire cercando sempre le informazioni che non hanno, cercando solidarietà con gli altri per farsi accettare, per far parte del gruppo di lavoro. Essi spesso non trovano un ambiente accogliente e la nuova profes-sione li espone a problematiche quali la malattia, la sofferenza, il deturpamento del corpo e la morte. E’ credibile che garantendo un’adeguata informazione, una maggior integrazione nella squadra di lavoro ed un maggior supporto sociale nei più giovani il ri-schio di stress e di burnout possa essere prevenuto. Il Distacco Comportamentale, più frequente negli in-fermieri, potrebbe essere conseguenza di una sofferenza per rassegnazione dovuta all’impossibilità di incidere nei cambiamenti oppure da una ridotta passione per l’attività professionale.

La scelta delle strategie di coping dipende da una pluralità di fattori quali la personalità, l’ambiente ed il contesto in cui si opera. Sia gli studenti sia gli in-fermieri mirano ad ottenere una gratificazione derivante dal riconoscimento sociale delle proprie qualità.

Conoscere le strategie di coping e comprendere come esse possano essere modificate nel tempo è uti-le per prevenire il burnout, inoltre tali conoscenze sono utili per chi è impegnato nella gestione delle risorse umane e nel miglioramento dell’ambiente lavorativo, anche nei suoi aspetti psicosociali.

Utile appare altresì la conoscenza di queste in-formazioni per i formatori degli studenti e per i coordinatori degli operatori sanitari, per indirizzare meglio i loro insegnamenti e meglio coordinare gli infermieri sul campo.

Conclusioni Gli infermieri e gli studenti d’infermieristica

hanno simili strategie di coping. L’uso di Meccanismi Potenzialmente Disadattavi

è più frequente nei maschi, sia infermieri che stu-denti.

Le studentesse sono quelle che di fronte a stress utilizzano maggiormente Meccanismi Focalizzati sull’Espressione Emotiva.

Fornire informazioni sulle strategie possibili per fronteggiare gli eventi stressogeni può essere utile agli infermieri, agli studenti e ai loro coordinatori.

Potenziare le risorse individuali e ottimizzare le risorse socio-ambientali può orientare verso strategie di coping adattive.

Ringraziamenti Si ringraziano tutti gli infermieri dell’IDI Sanità

e gli studenti del Centro di Formazione e Studi Sa-nitari “Padre Luigi Monti” (Università di Tor Vergata) che hanno deciso di partecipare allo studio.

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Ricevuto : 17 aprile 2009

Revisione ricevuta : 8 novembre 2009

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Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Felice PERUSSIA, Renata VIANO Dipartimento Di Psicologia, Università degli Studi di Torino

ABSTRACT - Moderrn familisms: Generators, Emancipated, Spoused - The paper is introduced by a critical review of research literature on the subject of familism psychology, in its various aspects relating to family, marriage, children. It is then reported the original analysis, based on a representative sample of Italian population of 2138 adults, which were administered 3 items on the level of importance attributed to family, marriage, and children from the point of view of personal fulfillment. The results show: strong adherence to the value of the family; relatively limited value at-tributed to the generation of children; low value attributed to marriage. Cluster analysis highlights three types of relationship with these themes: a) "Generators (Familists)" (42.6%), who believe strongly in family and marriage and are primarily women, married with children, with low education, that do not work outside the home. They are strongly Catholic, they mistrust of immigrants, and are driven concrete. From the perspective of Itapi Tests, they are characterized by: Defensiveness, Dynamicity, Vulnerability, Faith, Success, Table. B) "Emancipated (non-familists)" (34.9%) who do not believe in the family, nor in marriage nor in children and are primarily men, single, childless, middle-aged, high education, employees, and professionals. They are strongly oriented towards all the cultural, artis-tic, and self-cultivation issues. They do not identify with the religious dimension, they tend to independence, love to travel and live always new experiences. From the perspective of Itapi Tests, they are characterized by: Imagination, Introversion, Culture, Autonomy. C) "Spoused" (22.5%) who believe in family relationship and less in children or in family as institution, and are in general average, but also often married with children, low educated, workers. Are identified with the national culture, accurate, withdrawn, a little suffering and very concerned about the risks that life presents, but also friendly with others. From the perspective of Itapi Tests, they are characterized by: Empathy, Con-scientiousness, Love, Physicity. - KEYWORDS: Family, Marriage, Children, Generators, Emancipated, Spoused. RIASSUNTO – Il lavoro è introdotto da una rassegna critica della letteratura di ricerca sulla psicologia del famili-smo, nei suoi vari aspetti relativi alla dimensione della famiglia, del matrimonio, dei figli. Viene quindi presentata un'analisi originale, basata su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 2.138 adulti, cui sono stati somministrati, tra l'altro, 3 item sul livello di importanza che viene attribuito alla famiglia, al matrimonio, ai figli, dal punto di vista della realizzazione personale. I dati mostrano: un'adesione maggioritaria al valore della famiglia; un di-screto valore attribuito alla generazione dei figli; un valore limitato attribuito al matrimonio. L'analisi dei cluster evidenzia tre tipologie di rapporto con questi temi: A) "Generativi (Familisti)" (42.6%), che credono fortemente nella famiglia e nel matrimonio e sono in primo luogo donne, sposate, con figli, di istruzione bassa, che non lavorano fuori casa. Sono decisamente cattolici, diffidenti verso gli immigrati, orientati alla concretezza. Dal punto di vista dei Test Itapi, sono caratterizzati da: Difensività, Dinamicità, Vulnerabilità, Fede, Successo, Tavola. B) "Emancipati (Non familisti)" (34.9%), che non credono nella famiglia, né nel matrimonio né nei figli e sono in primo luogo uomini, ce-libi, senza figli, di età intermedia, di istruzione alta, impiegati e professionisti. Sono fortemente orientati verso tutti i temi culturali, artistici e della coltivazione di sé. Non si identificano con la dimensione religiosa, tendono all'indipen-denza, amano viaggiare e vivere sempre nuove esperienze. Dal punto di vista dei Test Itapi, sono caratterizzati da: Immaginazione, Introversione, Cultura, Autonomia. C) "Coniugati" (22.5%), che credono nella relazione famigliare, ma molto meno nei figli o nella famiglia e che stanno nella media generale, spesso sposati, con figli, di istruzione non elevata, operai. Sono identificati con la cultura nazionale, precisi, ritirati, un poco sofferenti e molto preoccupati dei rischi che la vita presenta, ma anche solidali verso il prossimo. Dal punto di vista dei Test Itapi, sono caratterizzati da: Empatia, Coscienziosità, Amore, Fisicità. - PAROLE CHIAVE: Famiglia, Matrimonio, Figli, Generativi, Emancipa-ti, Coniugati.

Rassegna preliminare L'identità personale, così come l'esistenza quoti-

diana delle persone, viene definita anche dai modi, concreti o simbolici, delle relazioni che ciascuno di noi costruisce con gli altri soggetti umani. Ciascun individuo trova la propria realtà psicologica anche

nella rete delle sue interazioni e nel modo in cui queste vengono strutturate più o meno stabilmente.

Tra le forme in cui la dimensione interpersonale si confonde con lo strutturarsi identitario della per-sona, giocano un ruolo primario le relazioni d'amore, i rapporti sessuali, la riproduzione e quin-di, nei termini della società occidentale, la

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

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costruzione di nuclei relazionali stabili, assieme ai modi in cui tali nuclei vengono eventualmente codi-ficati in forme giuridiche più o meno cogenti, alla riproduzione biologica, alla presenza a vario titolo di figli e affini, all'evoluzione del gruppo familiare d'o-rigine, al suo modo di allargarsi eventualmente a soggetti non consanguinei e così via.

Sono stati pubblicati molti studi specifici sulla storia delle relazioni familiari e della loro interazione con l'identità personale; alcuni dei quali approfondi-scono specificamente la realtà culturale italiana. Tali indagini fanno generalmente riferimento a ricerche e a dati empirici relativi alle dimensioni antropologi-che, psicologiche, psicosociali della famiglia, delle relazioni di intimità, dell'eventuale funzione paren-tale, degli usi sociali, dei valori identitari, i quali tutti concorrono alla definizione della personalità nell'ambito di ciascuna storia, cultura e biografia (Barbagli, 1984, 1990; Barbagli e Kertzer, 1992; Scabini, 1995; De Giorgio e Klapisch-Zuber, 1996; Ferrari Occhionero, 1997; Donati, 1998; Watkins et Al, 1998; Melchiorre, 2000; Blim, 2001; Bra-manti, 2001; De Sandre, Pinnelli e Santini, 1999; Saraceno e Naldini, 2001; Barbagli, Castiglioni e Della Zanna, 2003; Naldini, 2003; Rossi, 2003; Cavallera, 2006; Mencarini e Tanturri, 2006; Cen-sis, 2007; Gesano, 2007; Pontecorvo e Arcidiacono, 2007; Lombardi, 2008; Tabuchi, 2008).

Da questo insieme di lavori, qui appena evocati solo per ricordare l'ampio scenario in cui anche la presente ricerca si muove, emerge la notevole com-plessità del tema, su cui appunto abbiamo deciso di sviluppare l'approfondimento che pubblichiamo qui. Vi sono infatti molte teorie e molte deduzioni su che cosa propriamente sono le relazioni familiari e la loro codificazione in termini culturali e psicolo-gici, ma disponiamo anche di molti dati di ricerca internazionali, cui vale la pena di accennare almeno in una breve rassegna preliminare.

Nel linguaggio comune semplificato, una parte rilevante di questo insieme di interazioni personali (e, per così dire: costruttrici di personalità) a caratte-re stabile, può venire circoscritto, un po' semplicisticamente ma secondo una tradizione con-solidata, facendo riferimento ad alcuni parametri.

Nella presente analisi, abbiamo identificato in particolare tre fattori principali che possono entrare in gioco: la famiglia, il matrimonio, i figli. Questi diversi concetti, così come i modi di essere e di agire loro connessi, si intersecano tra loro e con altri fatto-ri, in modi che continuamente cambiano e secondo formule per nulla monolitiche. Si tratta infatti di costrutti che a prima vista appaiono evidenti a tutti, ma che diventano poi molto più difficili da definire

quando li si osservano da vicino o si viene ai casi concreti di esperienza quotidiana.

PRECISAZIONI DEL COSTRUTTO I diversi concetti che identificano tale nuvola

concettuale (famiglia-matrimonio-figli) vengono talvolta impiegati in modo poco lucido e non di ra-do confondendoli tra loro, benché in effetti indichino realtà piuttosto autonome e diverse.

C'è la Famiglia, ovverosia il nucleo sociale, e i re-lativi reciproci rapporti ed eventuali doveri e diritti, che vincola giuridicamente o affettivamente o ide-almente-ideologicamente fra loro una pluralità di persone per matrimonio, parentela, affinità o altro legame, in base al sangue (ai geni) o alla tradizione, a tempo indefinito o per scelta temporanea.

C'è il Matrimonio, ovverosia il rapporto di con-vivenza tra due adulti nei termini di una prassi civile e talvolta religiosa, generalmente indirizzata a garan-tire la sussistenza morale, sociale e giuridica del nucleo familiare, per lo più tra uomo e donna, con riferimento almeno potenziale e più o meno esplici-to alla procreazione.

Ci sono i Figli, ovverosia la discendenza di san-gue (genetica), più o meno legalizzata o naturale, o i piccoli acquisiti della famiglia acquisita o elettiva e poi ancora gli adottati, gli affidati, i variamente pro-tetti, pur senza che si istituiscano vincoli giuridici particolari.

Sul concetto della famiglia-matrimonio-figli si ri-flettono chiaramente anche molti problemi terminologici. Mentre i vari modi di definire la ma-teria riflettono a loro volta variazioni comportamentali, culturali, psicologiche, di atteg-giamento ecc.

Alcune sfumature del tema vengono rese, in par-ticolare, dalla matrice etimologica nel contesto etrusco-latino da cui deriva in parte anche la nostra concezione dei modi connessi alla costituzione dei nuclei affettivi-esistenziali-giuridici di riferimento. Dove il latino familia è dal latino famulus (servito-re): l'insieme delle persone sottoposte all'autorità del capo-padrone (dominus) della casa (domestico), tanto quanto i membri della corte o della servitù, ma anche la stirpe o discendenza, la setta o banda che segue il capo, la scuola filosofica di un maestro, i beni familiari (connessi soprattutto al pater che è anche patronus cioè protettore-padrone).

Mentre il concetto di matrimonio (matri moni-tus: auspicio di essere madre) rappresenta in certo modo il complementare femminile dell'autorità-proprietà del dominus familiare (patri monitus), in

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quanto si riferisce alla legittimazione della condizio-ne di mater (dal greco, metra: utero). Dove in sostanza al patrimonio dell'uno (i beni, il reddito) fa da complemento il matrimonio (i figli, la discen-denza) dell'altra. Mentre il filius è il sottoposto all'autorità del padre-patrono, sia per ragioni di san-gue (genetiche) sia per affiliazione (quando Cesare invoca come "fili mi" Bruto che lo accoltella, sa be-ne che Marco Giunio Bruto è suo figlio solo in senso familiare, ma non in senso biologico).

UN MODO, MOLTI MODI In termini di identità psicologica, di valori sog-

gettivi, di opinione pubblica, vi sono evidenti segni del fatto che i tre costrutti considerati qui, pure po-tenzialmente collegati tra loro, sono più indipendenti di quanto a volte non si dia per sconta-to. La loro varietà di usi viene ulteriormente accentuata dalla testimonianza di forme familiari diverse che la nuova immigrazione offre, rispetto alle forme canoninche che sono presenti nella cultura su cui la migrazione si innesta.

Per cui, in particolare, sembra essere decisamente entrata in crisi (ammesso che sia mai stata dominan-te) l'idea stessa di una monoliticità quasi naturale del sistema matrimonio-figli-famiglia. E capita con una certa frequenza, ad esempio: che non venga da-to per scontato che i membri di una coppia si sposino; che la famiglia non coincida necessariamen-te con il matrimonio; che il costituirsi di un nucleo familiare più o meno matrimoniale non preveda ne-cessariamente il fatto di mettere al mondo dei figli; che una coppia familiare non sia necessariamente etero-sessuale; che i modi di essere nucleo familiare siano molti e diversi tra loro.

In altre parole: le persone continuano a costituire nuclei in qualche modo familiari, ma sembrano cau-te verso una loro sanzione giuridica in termini matrimoniali tradizionali, mentre separano concet-tualmente la riproduzione dal matrimonio, per cui capita, ad esempio, che facciano figli senza sposarsi, oppure si sposino senza fare figli.

Un dato macroscopico sembra essere la carenza di punti di riferimento culturalmente consolidati per trattare l'argomento. Quando si parla di fami-glia, risulta infatti subito chiaro che non si fa riferimento ad una dimensione veramente precisa e definita, bensì ad un insieme piuttosto diverso di strutture e di storie relazionali, che solo convenzio-nalmente o per semplicità espositiva viene indicato con il termine generico di famiglia o di matrimonio o di figliolanza.

Nella letteratura specialistica, come anche nelle occasioni divulgative o giornalistiche di analisi del tema, non si sa più che aggettivi inventare per defi-nire tali nuclei familiari. Anche perché questi non coincidono con lo stereotipo delle famiglie descritte nei libri di scuola elementare, eppure sono ben pre-senti nell'esperienza, diretta o incontrata, di tutti, come accade ad esempio nelle varie occasioni in cui le famiglie vengono definite: anomale, miste, flessi-bili, allargate, discontinue, atipiche ecc o più in generale a vario titolo diverse rispetto ad un qualche ideale teorico auspicato da chi le studia.

Di tali famiglie, indicate talvolta come inconsue-te ma in effetti diffusissime, molto si parla nella psicologia e nella sociologia italiana (Zanatta, 1997; Alotta, 2004; Fruggeri, 2005; Fenaroli e Panari, 2006; Fassino e Delsedime, 2007). Tale varietà della famiglia-nucleo-matrimonio-coppia-discendenza-ecc si direbbe in realtà sempre esistita, benché l'ideolo-gia delle diverse epoche abbia spesso teso a sottolinearne ufficialmente alcune versioni come dominanti, rispetto ad altre considerate più anoma-le.

La "stranezza" di questi nuclei familiari appare tale soprattutto ai pregiudizi di chi li valuta, ma di-scende anche da una certa confusione tra i diversi elementi che concorrono a definire le strutture stabi-li di relazione interpersonale. Tant'è che la stessa forma familiare tipica, che sarebbe ricorrente nella tradizione monoteista abramitica mediterranea, si presenta in realtà in forme così diverse da non essere tipica per niente. Basti pensare, per ricordare un so-lo esempio tra i molti possibili: alla linea di discendenza matrilineare ebraica; così diversa dalla linea patrilineare cristiana; entrambe così diverse dalla poligamia islamica che prevede anche il ripu-dio (divorzio).

Tale varietà di fenomeni, ampiamente testimo-niata dalla letteratura che abbiamo citato poco sopra, viene generalmente messa in relazione con le variazioni culturali, di costume, ideologiche, giuridi-che ecc che riguardano tutto il sistema della società-civiltà contemporanea in evoluzione; di cui appunto i costrutti della famiglia, del matrimonio e della di-scendenza subiscono largamente i riflessi.

Dalla complessa analisi cumulativa di diecine di ricerche condotte negli Stati Uniti dagli anni '60 al 2000 sugli atteggiamenti verso il matrimonio, la procreazione ed altri temi affini, presso la popola-zione adulta (Thornton e Young-DeMarco, 2001), risulta in modo evidente come in questo arco di tempo, tra l'altro: il profilo di ruolo considerato ide-ale rispettivamente per le donne e per gli uomini, sia dentro sia fuori l'eventuale matrimonio, si è netta-

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mente uniformato; per cui il profilo delle due figure tende a diventare decisamente egualitario. Il posto del matrimonio come condizione indispensabile per la propria felicità è sceso drammaticamente nella classifica delle valutazioni. La convivenza (prema-trimoniale o del tutto indipendente dal matrimonio) viene considerata sempre più normale e priva di connotazioni moralistiche particolari. Sono netta-mente diminuiti quanti giudicano negativamente il fatto di condurre una vita come single, senza ma-trimonio legale. L'eventuale opposizione al divorzio è sempre più marginale e spesso quasi assente. L'at-tività sessuale, pre-matrimoniale o del tutto indipendente dal matrimonio, viene sempre più spesso data per scontata nelle relazioni tra coppie. Tanto i rapporti sessuali quanto la procreazione so-no sempre più indipendenti dal vincolo matrimoniale. Il fatto di non avere bambini, anche per scelta, viene sempre meno connotato da stereo-tipi negativi.

Nella tradizione italiana, sia popolare sia scienti-fica, l'analisi dei temi che ci interessano qui viene complicata dal fatto che esiste una specie di pregiu-dizio in base al quale, almeno da parte di alcuni, si analizza la triade famiglia-matrimonio-figli come se si trattasse di un unico concetto e come se questo fosse una specie di dato naturale, quasi geneticamen-te determinato. Il che, come abbiamo ricordato, non è.

Le varie definizioni che di volta in volta si affer-mano della famiglia, del matrimonio, dei figli esprimono in effetti scelte ideali di principio che hanno caratteristiche anche politiche, giuridiche, religiose, moralistiche ecc. Mentre si direbbe che i modi di definizione cogente (i quadri codificati, specie in senso giuridico) di tale nucleo di riferimen-to "familiare" sono in via di netta ri-definizione, nel senso che le forme attuali non sembrano corrispon-dere appieno alla sensibilità e alla cultura diffusa nei nostri tempi.

FAMIGLIA Da tutti i dati di ricerca disponibili, risulta che in

occidente il concetto generico di famiglia, indipen-dentemente dal significato specifico che ciascuno gli attribuisce, rappresenta un punto di riferimento es-senziale sul piano della identità psicologica, più o meno ovunque e particolarmente nei Paesi occiden-tali. Il fato è talmente ricorrente che risulta quasi ozioso portare qualche esempio tra gli innumerevoli a disposizione.

In Italia la famiglia è ufficializzata dalla Costitu-zione, il cui Articolo 29 recita: "La Repubblica

riconosce i diritti della famiglia come società natura-le fondata sul matrimonio". Non precisa tuttavia quali siano tali diritti né quali siano le caratteristiche specifiche in base alle quali parlare di famiglia, a parte il fatto che sia stato sottoscritto un contratto matrimoniale (non meglio definito).

Secondo i dati più recenti della World Values Survey (WVS, 2005), il campione rappresentativo di Italiani adulti considera la famiglia, nella propria vi-ta: molto importante, 93.3%; abbastanza importante, 6.2%; poco o per nulla importante, 0.5%. Il dato vale a tutte le età. La ricerca Iard (2000), condotta su un campione rappresentativo dei giovani tra i 18 e i 35 anni, vede indicati, come riferimento molto importante per la propria vita (su una lista precostituita di 18 voci), ai primi tre posti: la famiglia, 85.9%; l'amore, 77.6%; l'amicizia, 70.3%. Altri punti di riferimento, dalla stessa ricer-ca, sono ad esempio: il lavoro, 63.6%; il successo e la carriera, 32.7%. Le ultime tre posizioni sono: pa-tria, 16.8%; impegno religioso, 10.5%; attività politica, 2.5%. Per inciso: la famiglia è sempre stata al primo posto in tutte le ricerche Iard sulla condi-zione giovanile, dalla prima del 1983 in poi. Nel 2006 viene inserita anche la voce Salute, che sta su-bito al primo posto con il 92%, stante che la Famiglia è al secondo con l'87% (Iard, 2006).

La tendenza viene confermata, sempre sulla base degli ultimi dati della World Values Survey (WVS, 2005), su campioni rappresentativi di adulti in altri Paesi oltre all'Italia, dove quanti considerano la fa-miglia "molto importante" nella propria vita sono, ad esempio: Egiziani, 97.7%; Sudafricani, 95.6%; Statunitensi, 94.6%; Inglesi, 93.6%; Svedesi, 92.2%; Indiani, 90.6%; Cileni, 90.4%; Russi, 89.8%; Spagnoli, 89.1%; Brasiliani, 86.4%; France-si, 86.4%; Tailandesi, 86.2%; Tedeschi, 81.8%; Vietnamiti, 81.3%; Cinesi, 78.5%; e così via. E' in-somma un fatto che quasi tutte le ricerche confermano una tendenza entusiastica verso l'idea di famiglia, almeno in senso generale.

In Italia, la rilevanza del concetto di famiglia (va-riamente intesa) è certo una convinzione diffusa e seriamente condivisa. Anche secondo una recente indagine, rispetto alla domanda "Quali di questi ca-ratteri distinguono gli Italiani rispetto agli altri popoli", un campione rappresentativo di 1.539 a-dulti italiani nel dicembre 2008 risponde, nell'ordine: Attaccamento alla famiglia, 37.4%; Arte di arrangiarsi, 32.8%; Patrimonio artistico, 24.1%; Tradizione cattolica, 18.6%; Capacità imprendito-riale, 15.2%; Individualismo, 9.4%; Adesione alla democrazia, 6.4%; Senso civico, fiducia nello Stato, 4.7% (Diamanti et Al, 2009).

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Mentre, in recenti ricerche sui Valori presso campioni rappresentativi nazionali di Italiani adulti, abbiamo potuto rilevare come, su 118 espressioni valoriali indagate, si realizza la seguente gerarchia di adesione (in termini di punti di riferimento molto o abbastanza importanti nella propria vita): i miei ge-nitori, 97.6%; l'amore, 95.3%; la famiglia, 95.4%; la mia casa, 95.4%; i valori della famiglia, 94.9%; il mio partner (compagno, coniuge, fidanzato), 93.8%; quando ci si innamora, 91.3%; avere figli e crescerli, 86.7%; il matrimonio, 79.0% (Perussia e Viano, 2006a, 2008).

IL FAMILISMO PSICOLOGICO Un modo classico di affrontare il tema della fa-

miglia in psicologia, specie nei termini della psicologia della personalità e dei valori, è stato quel-lo di tentarne una definizione ed una misurazione in termini oggettivi, cioè attraverso dei test. Tale sforzo si è rivolto principalmente ad un costrutto che cerca di sussumere almeno alcuni di questi vari aspetti dello stile di vita e che è stato definito: Familismo.

Merita notare che il concetto stesso di familismo viene considerato specificamente riferibile proprio alla cultura italiana, da cui prenderebbe spunto. Lo si attribuisce infatti al contributo dello statunitense Banfield (1958) il quale, studiando il paese di Chia-romonte vicino a Potenza, ha coniato appunto il termine di "familismo" e più particolarmente di "familismo amorale", attribuendolo ad una caratteri-stica da lui ritenuta tipica dei modi di vita locali. Questa consisterebbero in primo luogo nel cercare di massimizzare i vantaggi che possono derivare dal proprio gruppo familiare di appartenenza, senza in-teressarsi al resto della società e basandosi sul principio che anche tutti gli altri faranno lo stesso. Successivamente, nelle ricerche statunitensi, si è rife-rito il familismo alla tradizione latino-americana, salvo poi rilevare che si tratta di un costrutto di rife-rimento identitario che è variamente presente un po' in tutte le culture, almeno in occidente (Schwartz, 2007).

In tempi recenti il concetto di famiglia è stato indirizzato in parte verso quello di "pro-family", che viene utilizzato da alcuni, negli Stati Uniti, come sostanziale sinonimo di ideologia anti-abortista e di integralismo cristiano (Andersen, 1988). Il concetto di famiglia viene poi utilizzato anche in molti altri modi, come anche nel linguaggio comune quando ad esempio si paragona un gruppo di lavoro, una impresa o una Chiesa ad una "grande famiglia", o si parla di famiglie ideologiche o politiche e così via.

Nel tentativo di capire meglio tale riferimento valoriale e comportamentale alla famiglia, sono state prodotte anche diverse scale psicologiche. Quella relativamente più nota e utilizzata è forse la Fami-lism Scale di Bardis (1959). Questa contiene 16 item quali ad esempio: 5. Una persona deve sempre con-siderare le esigenze della sua famiglia nel suo insieme come più importanti delle proprie; 8. La famiglia dovrebbe avere il diritto di controllare completa-mente il comportamento di ciascuno dei suoi membri; 10. Una persona deve sempre evitare qual-siasi azione che la sua famiglia disapprova; 13. I membri di una famiglia dovrebbero avere tutti le stesse convinzioni politiche, etiche e religiose. Que-sta scala non fa però alcun riferimento alla generazione di figli.

La Familism Scale di Bardis è stata utilizzata più volte (Blair, 1972; Mansell, 1972; Prakas e Nandini, 1979; Losada et Al, 2008), ma ne sono state realiz-zate anche altre, tutte con un discreto livello di sistematicità metodologica (Levinson e Huffman, 1955; Rogers e Sebald, 1962; Heller, 1970, 1976; Steidel e Contreras, 2003). Alcune di queste scale affrontano temi più circoscritti, ma sempre forte-mente coinvolti nel concetto che qui ci interessa, come nel caso del Motherhood Inventory, di 40 item (Hare-Mustin e Broderick, 1976; Hare-Mustin, Ki-shler Bennett e Broderick, 1983).

RAPPORTI SESSUALI E' evidente che parlare di matrimonio e di figli

significa, almeno in parte, riferirsi ai rapporti sessua-li ed al modo in cui vengono stabilite delle regole più o meno strette per gli usi che vi si collegano. Questo dipende dal fatto che i rapporti sessuali rap-presentano un possibile aspetto importante delle relazioni interpersonali, mentre sono il più tipico pre-requisito per generare dei figli. I rapporti sessua-li sono infatti la condizione necessaria (allo stato di natura), ancorché non sufficiente di per sé, perché si possa realizzare il concepimento e quindi la riprodu-zione.

Tali modi di relazionarsi fisicamente tra esseri umani sono probabilmente sempre stati abbastanza simili nel tempo, ma hanno trovato nelle varie epo-che una ufficializzazione normativa che è stata di volta in volta diversa. Per cui è potuto capitare che certi comportamenti sessuali, cui attualmente nem-meno si fa caso nella nostra cultura, hanno potuto essere trattati come comportamenti gravemente de-vianti in altri momenti storici o in altre zone geografiche. Basti pensare all'adulterio o alla omo-sessualità o alla prostituzione, che attualmente non

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sono reato in Italia ma che lo sono stati in altri tem-pi (anche recenti) della nostra storia, o che lo sono attualmente in altri Paesi del mondo.

L'accettazione culturale delle relazioni sessuali appare oggi meno problematica di un tempo. Ad esempio, sulla base dei dati che abbiamo ottenuto in una precedente ricerca su di un diverso campione rappresentativo nazionale di 1.434 adulti (Perussia e Viano, 2006c), appare chiaro che il fatto di intratte-nere abitualmente rapporti sessuali viene considerato oggi come un comportamento del tutto normale, che viene spesso collegato a sentimenti d'amore ma che in genere viene considerato indipendente da specifici riferimenti matrimoniali.

Conducendo un'analisi dei cluster sull'insieme dei dati raccolti in quella ricerca, si rilevano in parti-colare tre tipologie di persone, con riferimento al vissuto dei rapporti sessuali, che abbiamo sintetizza-to nelle tipologie di persone: A) "Sesso e Sesso" (39.5%), che considerano i rapporti sessuali come un modo tra gli altri di comunicare tra persone, le quali sono un po' più spesso uomini, colte, di età media, dinamiche, empatiche, fantasiose, internali-ste; B) "Sesso e Amore" (38.4%), per le quali il sesso ha un carattere più sentimentale, e che sono più spesso donne, giovani, istruite, nubili o celibi, dalla personalità tendenzialmente nella norma statistica e "con i piedi per terra", benché con qualche tendenza alla cautela, poco aggressive e molto socievoli; C) "Sesso e Matrimonio" (22.1%), per le quali il sesso va sempre collegato al matrimonio, che sono un po' più spesso di età avanzata e di bassa istruzione, spo-sate, introverse, timorose del mondo e degli altri, esternaliste, con alle spalle delle difficoltà nei passati rapporti con i genitori.

Anche nel caso dei rapporti sessuali, si evidenzia tuttavia una certa contraddizione tra la concretezza della pratica e l'astrattezza delle dichiarazioni di principio in materia. Esiste infatti una diffusa con-venzione per cui i rapporti sessuali vengono a volte dichiarati come in qualche modo non auspicabili, benché costantemente praticati.

Il che è evidente per il caso dell'astinenza sessua-le, che viene spesso citata come un valore benché sia evidentemente assai poco praticata. Presso un cam-pione recente di Italiani adulti, ad esempio, il valore in astratto della verginità, in una scelta tra due af-fermazioni, appare convincente, per cui se ne dice: è "Poco importante, non è un valore da preservare”, 53%; è “Un valore da preservare fino al momento del matrimonio”, 41%; non sa, 6% (Ipsos, Buon Pomeriggio, 2007). Mentre, in un analogo campio-ne di Italiani, alla domanda “Lei crede che la castità sia un valore?”, le risposte sono: sì, 48.9%; no,

46.9%; non sa, 4.2% (Ghialmedia e Rai Educatio-nal, 2006).

In una precedente indagine, più concreta, secon-do un campione nazionale italiano del 1993 (Piepoli, 1995), sulla castità nel “rapporto di cop-pia” in genere (si noti: di qualsiasi natura e non specificamente in quello matrimoniale), il 58% la considera un fattore negativo, il 15% la considera un fattore positivo, il 15% è indifferente, il 12% non esprime opinioni. Comunque: il 10% degli Ita-liani si dichiara disponibile a vivere un rapporto di coppia basato sulla castità; mentre il 79% non è di-sponibile; e l’11% si dichiara incerto. Tale disponibilità all’astinenza nella coppia è un poco maggiore tra le donne e molto maggiore tra le per-sone di età avanzata.

Questo insieme di dati, specie se messo a con-fronto con la già citata rassegna delle letteratura internazionale sui comportamenti sessuali (Perussia e Viano, 2006c), dal cui esame approfondito appare del tutto evidente che l'abitudine ad avere rapporti sessuali nella coppia è plebiscitaria nelle culture oc-cidentali, oltre che del tutto indipendente da eventuali riferimenti matrimoniali. Per cui, insom-ma: sembrerebbe che l'astinenza dai rapporti sessuali possa senz'altro rappresentare un valore teoricamen-te positivo, che suscita rispetto per chi lo sceglie, ma che riguarderà eventualmente altri e che comunque non viene praticato personalmente se non da una piccola minoranza.

La contraddizione, ovverosia la tolleranza sostan-ziale pur nella contemporanea presenza di affermazioni di principio rigide, appare macroscopi-ca con riferimento alla morale sessuale teoricamente dominante nel nostro Paese, cioè a quella cattolica. Per cui, ad esempio, nonostante l'insistenza della Chiesa sui temi della castità in genere e sulla castità pre-matrimoniale in particolare, il 69.9% degli Ita-liani adulti è d'accordo con l'affermazione secondo cui "Si può essere buoni cattolici anche senza seguire le indicazioni del Papa o dei vescovi nel campo della morale sessuale" (Cesareo et Al, 1995).

Mentre è un ulteriore indizio di una certa distan-za tra affermazioni di principio e comportamenti di fatto, almeno in questa materia, il favore che susci-tano comunque le pratiche anticoncezionali. Per cui, ad esempio, secondo un campione nazionale del 1994 (Piepoli, 1995), l’80% degli Italiani è favore-vole all’uso degli “anticoncezionali”, mentre solo il 17% è contrario, ed il 3% è senza opinione. Peral-tro: sulla base di questa rilevazione, risulta favorevole all’uso degli anticoncezionali il 68% di quelli che dichiarano di andare a messa tutte le do-meniche.

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In una analoga ricerca, sempre presso un cam-pione nazionale di Italiani adulti nel 1995 che però chiedeva specificamente del “preservativo”, risulta favorevole l’80%, contrario il 14% e incerto il 6% (Piepoli e Cimenti, 1997). Tra quelli che si dichia-rano cattolici decisamente praticanti, è favorevole il 70% e contrario il 21% (con il 9% di incerti). Tra quelli che si dichiarano cattolici debolmente prati-canti, è favorevole il 78% e contrario il 17% (con il 5% incerto). Tra quelli che si dichiarano cattolici non praticanti, è favorevole il 95% e contrario il 3% (con il 2% incerto). Tra quelli che si dichiarano non-cattolici oppure atei, è favorevole l’83% e con-trario il 5% (con il 12% incerto). E si noti che i cattolici-non-praticanti risultano più favorevoli all’uso dei preservativi di quanto lo siano i non-cattolici e gli atei.

MATRIMONIO E VALORI TRADIZIONALI Quando ci si addentra un poco di più nell'analisi

e quindi si passa dalla vaga parola "famiglia" alla de-finizione di qualche suo aspetto costitutivo un poco meno generico, le concezioni espresse dai soggetti risultano ancor meno chiare e monolitiche di quan-to la passione universale per l'idea di famiglia possa far pensare.

Si scopre infatti quasi subito che la grande sim-patia per la famiglia non significa affatto simpatia per la sua forma codificata in un contratto matri-moniale giuridicamente determinato. Il costituirsi di un nucleo interpersonale di legami stabili non viene cioè fatto necessariamente coincidere con il matri-monio. Mentre gli esempi storici ed etnografici relativi a strutture anche molto differenti (dal ma-trimonio giuridico occidentale industriale) sono innumerevoli.

Nel contempo, il matrimonio viene considerato anch'esso importante ed apprezzabile, almeno in via di principio. Per cui, ad esempio, secondo gli ultimi dati della World Values Survey (WVS, 2005), su campioni rappresentativi di adulti, l'affermazione secondo cui "Il matrimonio è un'istituzione superata (out-dated)" viene condiviso solo da una limitata minoranza che vale, a seconda dei Paesi: Spagna, 32.9%; Cile, 28.0%; Tailandia, 25.1%; Sud Africa, 23.3%; Germania, 22.0%; Svezia, 21.5%; Brasile, 21.3%; India, 20.2%; Italia, 19.2%; Stati Uniti, 12.7%; Cina, 12.4%; Viet Nam, 8.3%.

L'item utilizzato suona però piuttosto vago e non sembra indicare molto, visto che può essere del tutto coerente considerare il matrimonio stabile come una istituzione importante, per chi lo pratica, anche da parte di chi non ha personalmente alcuna intenzione

di sposarsi oppure è divorziato. Per cui, anche in questo caso, l'affermazione di principio non presup-pone necessariamente alcun comportamento personale che sia ispirato direttamente a tale princi-pio generale.

Un elemento che sembra suggerire una certa modificazione del concetto di famiglia è anche il fat-to che il matrimonio si va separando dalle forme più tradizionali e ufficiali di codificazione del vincolo, per diventare sempre meno legato alle forme rituali-stiche più classiche.

Ad esempio, anche in un paese cattolico quale l'Italia viene dichiarata essere per principio, secondo i dati Istat più recenti: su 100 matrimoni, la percen-tuale di matrimoni civili è passata, negli ultimi vent'anni, dal 17.5% nel 1991 al 36.5% nel 2008 (Istat, 2009). Mentre, a livello regionale, nel 2007 le regioni in cui i matrimoni civili sono più diffusi ri-sultano essere: Liguria, 51.3%; Friuli Venezia Giulia, 50.7%; Emilia Romagna, 49.9%. Le regioni in cui i matrimoni civili sono meno diffusi risultano essere invece: Basilicata, 12.5%; Calabria, 13.9%; Puglia, 16.2%.

Nel 2004 ci sono 28 comuni capoluogo Italiani, che si trovano tutti al Nord e al Centro, dove si ce-lebrano più matrimoni civili che matrimoni religiosi (Istat, 2007). In particolare, le percentuali maggiori di matrimoni civili su 100 matrimoni contratti si trovano a: Bolzano-Bozen 78.9%; Siena 74.5%; Fi-renze 67.6%; Gorizia 67.1%; Trieste 64.2%; Venezia 62.6% e così via; con Milano al 56.1% e Roma che invece sta al 41.0%. Da allora ad oggi: la percentuale dei matrimoni civili sul totale dei ma-trimoni è ulteriormente cresciuta.

Altri indizi di disinvestimento esistenziale rispet-to al matrimonio derivano dal modo in cui le disponibilità economiche vengono più o meno mes-se in comune all'interno della coppia. Seguendo una tendenza che è sempre stata in costante crescita, a tutto il 2005, il regime patrimoniale scelto nel con-trarre il vincolo matrimoniale in Italia è ormai quello di separazione (invece che di comunione) dei beni nel 56% dei matrimoni attuali: 62.0% al Nord; 58.6% al Centro; 47.5% al Sud (Istat, 2009).

Un altro aspetto che contribuisce a ridurre sensi-bilmente l'unicità del vincolo matrimoniale antico, quale unico punto di riferimento per una famiglia stabile, è che in una certa misura al contratto ma-trimoniale viene talvolta preferito un rapporto non contrattuale sul piano del diritto civile, ma ugual-mente intenso sul piano esistenziale.

Definire le coppie conviventi non appare facile, poiché le statistiche della convivenza si riferiscono in genere a convivenze stabili o para-matrimoniali, del-

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la durata di anni (mediamente, nell'ultima rileva-zione Istat: da due a quattro), mentre molti dati ci propongono, specie tra le persone più giovani, un quadro di convivenze più frequenti e meno duratu-re, che non vengono dunque registrate dalle statistiche come convivenze solo perché non sono para-matrimoniali anche se possono in molti casi essere considerate senz'altro delle convivenze.

Più in particolare: il pregiudizio sulla natura ne-cessariamente pre-matrimoniale delle convivenze stesse, nella nostra cultura ufficiale, è tale che l'Isti-tuto Nazionale di Statistica parla ufficialmente solo di "convivenze pre-matrimoniali" in Italia (Istat, 2006), quasi fosse ovvio che si convive solo per poi sposarsi. Il che esclude però implicitamente le con-vivenze senza matrimonio a seguire, che non vengono dunque prese in considerazione dal punto di vista ufficiale. Sembra dunque che queste non esi-stano dal punto di vista burocratico, benché possano essere numerosissime e rappresentare di fatto un'al-ternativa rilevante al matrimonio o alla coppia di fatto concepita esclusivamente come forma succeda-nea che prelude comunque alla coppia matrimoniale.

Per un altro verso, il modificarsi degli atteggia-menti nei confronti dei nuclei familiari stabili non matrimoniali è bene evidenziato anche dal muta-mento linguistico. Si pensi al passaggio dal termine di "pubblici concubini", che indicava la condivisio-ne del proprio letto (latino: cubitum) come unica caratteristica di tali relazioni (adombrate come una forma esibizionistica di prostituzione), al termine attuale di "conviventi", che condividono la propria vita (delineata come un rapporto esistenziale pro-fondo).

Comunque, secondo l'Istat (2006): delle coppie ufficialmente conviventi (di qualsiasi età), il 5% non sono sposate; con il 6.8% al Nord, il 4.8% al Cen-tro e il 2.0% al Sud. I matrimoni ufficialmente preceduti da convivenze sono stati: 1.4% prima del 1974; 9.8% tra il 1984 e il 1993; 14.3% tra il 1994 e il 1998; 25.1% tra il 1998 e il 2003 (34.1% al Nord). Mentre, nel caso delle seconde o terze nozze, all'inizio degli anni 2000, le convivenze tendono ormai a precedere comunque il matrimonio nella grande maggioranza dei casi (67.6%).

CONTINUITÀ O MENO DELLE UNIONI FAMILIARI Il fatto di amare la famiglia non significa neces-

sariamente ritenere indispensabile il matrimonio, mentre non sembra avere quasi nulla a che fare con l'idea di obbligare i contraenti di un eventuale vin-colo matrimoniale o a mantenerlo vincolante per

sempre. Dalla gran parte dei dati appare infatti evi-dente che la gli Europei e gli Italiani in particolare sono favorevoli all'istituto del divorzio. Il che non significa, ovviamente, che tutti vogliano divorziare, ma sembra indicare nel diritto, per principio, a po-terlo eventualmente attuare un punto di riferimento importante dell'identità contemporanea.

In Europa, attualmente ogni anno si verifica al-meno un milione di divorzi (Instituto de Politica Familiar, 2007). Il rapporto tra divorzi e matrimoni celebrati nello stesso anno, nel 2007 in Europa, è mediamente di uno a due, stante che nel 1980 era mediamente di uno a cinque. Alcuni esempi sono le percentuali attuali dei divorzi rispetto ai matrimoni: 71% in Belgio; 67% in Spagna; 57% in Germania; 56% in Ungheria; 54% in Francia; 50% in Austria; 49% nel Regno Unito; 47% in Portogallo; 44% in Bulgaria; 43% in Olanda; 33% in Polonia; 23% in Romania; 22% in Grecia; 18% in Italia (dove però non vengono calcolate le separazioni). Tale percen-tuale dipende naturalmente da quanti matrimoni si contraggono; stante che il loro numero è in costante diminuzione, con ritmi di decremento variamente accelerati nei diversi Paesi. Dal punto di vista dell'aumento percentuale di divorzi tra il 1995 e il 2005-2006, i primi tre Paesi sono: Spagna, che cre-sce del 326%; Portogallo, 89%; Italia, 62%.

Secondo i dati più recenti della World Values Survey (WVS, 2005), il divorzio viene considerato "giustificabile", almeno in alcune circostanze, da percentuali del campione rappresentativo di popola-zione adulta che sono, nei diversi Paesi, ad esempio: Svezia, 99.3%; Germania, 94.7%; Gran Bretagna, 92.8%; Spagna, 92.6%; Francia, 92.3%; Russia, 81.1%; Italia, 80.7%; Brasile, 80.6%; Cile, 78.8%; Tailandia, 78.3%; Egitto, 71.4%; Sud Africa, 65.0%; India, 52.8%; Viet Nam, 46.4%.

Nel caso specifico dell'Italia, vi è stata una signi-ficativa pronuncia popolare sulle questioni attinenti la famiglia, quando nel 1974 il referendum relativo alla legge che introduceva il divorzio ha visto una percentuale del 59.3% dei votanti a favore della leg-ge sul divorzio, contro un 40.7% che si dichiarava invece contrario.

L'adesione all'istituto del divorzio si conferma plebiscitaria sulla base più o meno di tutte le inda-gini su campioni rappresentativi della popolazione adulta in Italia. Per non citare che un esempio tra i molti altri possibili, secondo Eures (2004) risulta che, rispetto al divorzio, gli Italiani sono: favorevoli, 77%; contrari, 10%; senza opinione dichiarata, 13%.

Ispo (2009a) confronta due indagini, una del 1960 e l'altra del 2009, su campioni rappresentativi

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di donne italiane adulte, con riferimento al medesi-mo item: "Se lei fosse chiamata a votare oggi una legge istituente il divorzio, crede che voterebbe …". Dai dati raccolti emerge che, nell'arco di questo mezzo secolo, le scelte sulla indissolubilità del con-tratto familiare si sono rovesciate, in quanto il rapporto tra donne contrarie e donne favorevoli ve-deva il 77% (contrarie) opposto al 16% (favorevoli) nel 1960, mentre nel 2009 è diventato 74% (favore-voli) opposto al 25% (contrarie).

La complessità della variazione del concetto di matrimonio, il cui costrutto appare ormai piuttosto diverso dalla sua definizione ufficiale tradizionale, è il fatto che anche i cattolici sembrano ormai apprez-zare una maggiore libertà nel vincolo matrimoniale. E' infatti favorevole al divorzio il 69.1% degli italia-ni, il 65.6% dei cattolici italiani e il 93.8% dei non-cattolici (Eurispes, 2006)

Un altro indizio rilevante: il 77.8% dei cattolici italiani è contrario al divieto dell'eucaristia (popo-larmente detta: "comunione") ai divorziati (Eurispes, 2006). Mentre anche in Francia: l'85% dei cattolici adulti ritiene che la Chiesa cattolica do-vrebbe togliere il rifiuto della comunione ai divorziati, ai conviventi ed a quelli che si sono spo-sati civilmente (Tns, Pelerin, 2009).

ALTRE UNIONI Un altro aspetto della sempre più variegata e

complessa concezione della famiglia, e dell'eventuale matrimonio, che caratterizza la nostra cultura è il fatto di immaginare il costituirsi di nuclei familiari stabili, eventualmente strutturati anche in vincoli matrimoniali di diritto civile, tra coppie di soggetti che di fatto non prevedono la procreazione diretta al proprio interno. Il che vale macroscopicamente per l'unione di persone dello stesso sesso, le quali si tro-vano nella ovvia impossibilità di riprodursi direttamente al proprio interno. Per cui in sostanza, quanto meno: parlare di matrimonio omosessuale implica il fatto di separare potenzialmente il matri-monio dalla procreazione.

Secondo il Rapporto Italia 2009 dell'Eurispes (2009): il 58.9% degli italiani è favorevole ad una qualche forma di riconoscimento giuridico delle u-nioni tra soggetti omosessuali. Di questi: il 40.4% ritiene che le coppie omosessuali abbiano diritto di sposarsi con rito civile; il 18.5% è invece contrario al matrimonio per le coppie omosessuali, ma favore-vole a delle unioni civili. Solo un terzo, e precisa-mente il 35.9%, è contrario a ogni tipo di riconoscimento anche solo vagamente matrimoniale per tali coppie.

La simpatia degli Italiani per questo tipo di isti-tuto coniugale è confermato più o meno da tutte le indagini in materia. Secondo una ricerca voluta dalle Chiese Metodiste e Valdesi (con Eurisko, 2005) ri-sulta che il 67% degli Italiani è favorevole al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, men-tre tale percentuale scende al 58% (che è comunque la maggioranza) per i cristiani praticanti regolari. Se-condo i dati di Eurispes (2006) il 71,1% degli Italiani adulti è favorevole all'introduzione dei Pacs o Patti Civili di Solidarietà (uno dei tanti modi che sono stati usati per definire le unioni civili para-matrimoniali). Di questi, è a favore dei Pacs il 68,7% dei cattolici interpellati e l'88,4% dei non cattolici (Eurispes, 2006).

Se dunque il para- o semi- matrimonio tra sog-getti del medesimo sesso è largamente accettato, non viene accettata invece l'idea di un matrimonio vero e proprio tra soggetti del medesimo sesso. Gli Italiani, rispetto al matrimonio tra soggetti omosessuali, ri-sultano essere: contrari, 43%; favorevoli, 36%; non si pronunciano, 21% (Eures, 2004). Mentre, in un'analoga ricerca in cui veniva chiesto "Nei giorni scorsi il Parlamento spagnolo ha approvato la legge che consente anche alle coppie omosessuali di con-trarre matrimonio. Lei sarebbe favorevole se anche il Parlamento italiano prendesse la stessa decisione?" le risposte degli Italiani sono: no 63%; sì 33%; non sa, 4% (Ipsos, Flash APCom, 2005).

Gli atteggiamenti in materia di coppie più o me-no matrimoniali-familiari non tradizionali dipendono in parte significativa anche da che cosa si intende per famiglia e per matrimonio e per tradi-zione. Ad esempio, da un'ampia ricerca presso un campione rappresentativo di adulti Statunitensi, sul-la possibilità che gay e lesbiche si sposino legalmente, emerge che gli Statunitensi sono: favo-revoli, 32.6%; contrari, 57.8%; non so, 9.7% (Pew Research Center, 2006). Ma quando, nel medesimo contesto, si chiede quanto si è d'accordo col fatto che gay e lesbiche possano realizzare tra loro un ac-cordo legale che dia loro molti dei diritti attribuiti alle coppie sposate, gli stessi Statunitensi diventano: favorevoli, 53.6%; contrari, 41.7%; non so, 4.8%.

Nel caso dell'Italia, ad esempio, un'analisi dei dati di una ricerca con un campione di cattolici, e-videnzia come tra questi, richiesti di indicare se sono favorevoli "ad una legge che riconoscesse legalmen-te, pur distinguendo dalle coppie sposate, le coppie di fatto (conviventi, non sposate) eterosessuali", dà luogo alle risposte: sì, 57%; no, 28%; forse, 15%; non so, 1% (Swg e Cristiano Sociali, 2007). La stes-sa domanda rivolta agli stessi soggetti, ma con "omosessuali" al posto di "eterosessuali", dà invece

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luogo alle risposte: no, 45%; sì, 41%; forse, 14%; non so, 2%.

Altro elemento che sembra testimoniare di una visione del matrimonio più elastica di quanto non propongano alcuni stereotipi è la diffusa valutazione positiva del matrimonio tra religiosi cattolici. Il che viene evidenziato un po' da tutte le ricerche sul te-ma. Per cui negli anni '80, rispetto al matrimonio dei preti, gli Italiani si dichiaravano: favorevoli, 69%; contrari, 25%; non so, 6% (Levi, Abacus, 1988). Mentre al giorno d'oggi, rispetto all'afferma-zione secondo cui “E’ giusto che anche i preti possano sposarsi”, gli Italiani rispondono: sì, 62%; no, 31%; non so, 7% (Ipsos, Vanity Fair, 2006).

PRESENZA DI FIGLI Ancora: il riferimento della cultura italiana al

concetto di famiglia è molto solido, ma non sembra necessariamente prevedere i figli. Oppure: i figli so-no considerati come parte importante della famiglia, ma non da tutti e comunque in misura sempre mi-nore.

Ad esempio, confrontando una serie di rilevazio-ni svolte tra il 1987 e il 1994 nell'ambito della National Survey of Families and Households si evi-denzia come, in linea di massima, un quinto degli Statunitensi adulti si dichiara contrario all'afferma-zione secondo cui avere figli è meglio che non averli, mentre due quinti si dichiarano neutrali rispetto al tema, con due quinti che sono invece d'accordo (Koropeckyj-Cox e Pendell, 2007). Il che suggerisce come i bambini stiano perdendo relativamente di centralità nella concezione attuale della famiglia.

Questo dato viene evidenziato dal fatto che la dimensione ideale della famiglia, in termini di nu-mero di componenti e di figli eventualmente presenti, ha continuato a diminuire, almeno per tut-to l'ultimo quarto di secolo e in tutte le culture (Hagewen e Morgan, 2005). Mentre c'è un'ampia letteratura sul tentativo di capire le ragioni culturali, sociali, valoriali, psicologiche del crescente declino della fertilità, con riferimento alle società industriali avanzate (Caldwell, 1982; Coale e Watkins, 1986; Dalla Zuanna e Micheli, 2004).

In particolare, già dagli anni '60 viene segnalato l'affermarsi, come ideale teorico, della cosiddetta two-child norm (due figli per coppia; se possibile: un maschio e una femmina, in questo ordine) come punto di riferimento psicologico per la nuova fami-glia post-bellica, almeno negli Stati Uniti (Buckout, 1972).

Venti anni fa il numero ideale di figli, secondo campioni rappresentativi della popolazione dell'U-

nione Europea (allora ristretta), era di 2.10 e oscilla-va da 2.7 per l'Irlanda a 1.94 per la Spagna, con l'Italia a 2.2 (Eurobarometer, 1990). Ma sempre se-condo la stessa fonte, trenta anni fa e cioè nel 1979 era del 2.21. Più in particolare: il 57% del campione complessivo indicava, alla fine degli anni '80, come ideale i 2 bambini.

Posto che, da un esame della ricerca disponibile, e in particolare dai dati dell'Eurobarometro, risulta che da molti anni, almeno nei Paesi europei, il nu-mero di bambini che viene indicato come ideale per la propria vita risulta generalmente ben superiore al numero di bambini che effettivamente vengono ge-nerati (Testa, 2002, 2007). Per cui, in sostanza, la natalità attuale dei Paesi industriali avanzati viene definita below-replacement fertility ed è presente co-me un dato generalizzato.

Nel caso del nostro Paese, ad esempio, il numero di figli dichiarato come valore ideale dalle donne ita-liane, purché sposate, nel 2003 è ufficialmente di: due, 55.6%; tre o più, 22.5%; uno, 15.3%; nessuno 0.9% (Istat, 2006). Tuttavia, sempre secondo l'Istat, la realtà dei figli effettivamente presenti nelle fami-glie italiane, che era di 2.4 nel 1970 è scesa nel 1999 al livello di 1.2 bambini per coppia.

Attualmente il numero medio di figli per donna in Italia (in generale) è di 1.3 (Istat, 2007). L'età media della madre alla nascita del figlio è attualmen-te di 30.8 anni. Tra il 1995 e il 2005: le famiglie con figli sono passate da 10 milioni e 100 mila a 9 milioni e 600 mila; le famiglie senza figli sono passa-te da 4 milioni e 500 mila a 5 milioni e 100 mila;

Tra il 1995 e il 2005: le coppie non-sposate con figli sono passate da 120 mila a 293 mila (Istat, 2007). Le famiglie di uno o due componenti sono il 53.3% delle famiglie, ovvero la maggioranza. Si modificano continuamente le forme dei nuclei fami-liari, per cui attualmente i single non vedovi sono 3 milioni e 310 mila, i mono-genitore non vedovi so-no 995 mila, le coppie non-sposate sono 606 mila, le famiglie ricostituite sono 775 mila.

Sempre negli anni '60 si comincia a rilevare che, da un punto di vista psicologico, la propensione a fare figli appare parzialmente in contrasto con le nuove istanze di liberazione dai ruoli e particolar-mente con l'evoluzione del ruolo femminile tradizionale, ma anche del suo complementare ma-schile (Lott, 1973; Scanzoni, 1976). Questi dati tendono a venire confermati da ricerche successive nel tempo, benché con diverse variazioni specifiche (Gerson, 1984; Biaggio, Mohan e Baldwin, 1985).

Del resto, dato che i figli vengono concepiti e al-levati in primo luogo dalle donne, la condizione femminile appare fortemente connessa, nel bene e

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nel male, alla riproduzione ed alle scelte che vi si collegano. Ad esempio: da diecine di anni ormai si riscontra un legame tra le maggiori opportunità di carriera per le donne e la minore disposizione a ri-prodursi (Silka e Kiesler, 1977). Benché questo sembri giocare un ruolo relativamente limitato pro-prio nel caso italiano, dove la crescita delle opportunità professionali per le donne nell'ultimo mezzo secolo è stata tra le più lente di tutti i Paesi occidentali, ma dove la caduta della disposizione a generare figli è stata invece tra le più rapide (Kertzer et Al, 2009).

Va anche ricordato che, nei decenni passati, al-meno nella tradizione cattolica (di cui i maggiori esempi in Europa sono probabilmente l'Italia e l'Ir-landa) la presenza di figli non veniva accettata in sé stessa, ma solo se collegata al matrimonio. Per cui, in sostanza: per una donna, il fatto di avere figli sen-za un marito socialmente certificato, cioè di essere una "ragazza-madre" (come si diceva in tempi passa-ti) ha rappresentato spesso uno stigma sociale negativo molto pesante ed emarginante.

Mentre, da un esame della ricerca disponibile, e in particolare dai dati dell'Eurobarometro (Testa, 2002, 2007), risulta che il fattore di maggiore rilievo nel sostenere la decisione materna di fare bambini è il fatto di avere un partner affidabile che possa fare da solido e premuroso supporto alla crescita del bambino stesso. Altri fattori, rilevanti ma di minore peso, sono il fatto di essere in buona salute e quello di disporre di risorse economiche adeguate. Se ne deduce, tra l'altro, che l'eventuale ridursi dell'affida-bilità del partner può venire identificata come una delle cause rilevanti della ridotta generatività.

Sono state sviluppate anche teorie a sfondo bio-logico, per un dato che sembra decisamente in contrasto con il modello evoluzionista. C'è infatti qualcosa di decisamente poco darwiniano, e di poco credibile in termini di teoria del gene egoista, nel fatto che la riproduzione diminuisca proprio in condizioni di speciale opportunità riproduttiva, co-me accade per le persone del mondo occidentale le quali sono dotate di grandi mezzi economici e di strutture sanitarie e assistenziali di alto livello (Aar-ssen e Altman, 2006; Gonzalez e Jurado-Guerrero, 2006).

D'altronde, sulla base di svariate analisi tra quelle citate qui, emerge la tendenza abbastanza paradossa-le per cui: in una società rurale la famiglia è povera, ma i figli vengono considerati un supporto e una risorsa economica (per cui ci si riproduce molto); mentre in una società urbana la famiglia è ricca, ma i figli vengono considerati un costo e quasi un peso (per cui ci si riproduce poco).

INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA Nella scelta di riprodursi e nel modo di farlo o di

non farlo è coinvolto anche il tema della pratica a-bortiva e della sua liceità o meno. Specie se si considera, ad esempio, che attualmente in Europa circa 1 gravidanza su 5 viene tradotta in un aborto (Instituto de Politica Familiar, 2007). Se infatti l'u-so di anticoncezionali riguarda maggiormente il tema dei rapporti sessuali, l'interruzione volontaria della gravidanza concerne precisamente alcune cir-costanze della riproduzione, ancorché non della scelta o meno di riprodursi in assoluto (visto che il fatto di abortire non è in contrasto con il fatto di avere eventualmente altri figli, prima o dopo quella specifica circostanza).

Secondo i dati più recenti della World Values Survey (WVS, 2005), l'aborto (in generale) viene considerato "giustificabile", almeno in talune circo-stanze (senza entrare nel dettaglio), da percentuali del campione rappresentativo di popolazione adulta che sono, nei diversi Paesi, ad esempio: Svezia, 97.7%; Francia, 86.2%; Germania, 84.6%; Spagna, 82.9%; Gran Bretagna, 80.0%; Stati Uniti, 74.5%; Russia, 65.9%; Tailandia, 63.3%; Italia, 61.4%; Viet Nam, 45."%; Sud Africa, 42.9%; India, 41.1%; Cile, 40.1%; Brasile, 36.9%; Cina, 32.0%.

Secondo i dati del gruppo Gallup, dal 1975 ad oggi (Gallup Poll, 2007), negli Stati Uniti, la valuta-zione sul fatto che l'aborto debba essere legalmente permesso o meno, indicando la percentuale attuale e tra parentesi il minimo e il massimo di adesioni alla valutazione espresse nell'arco degli ultimi trent'anni, vede i seguenti dati (piuttosto stabili) relativi al fatto che l'aborto deve essere: legale almeno in talune, che sono per alcuni molte e per altri poche, circostanze, 55% (50/59%; 54% nel 1972); legale in qualsiasi circostanza, 26% (20/33; 22% nel 1972); illegale in qualsiasi circostanza, 18% (12/21%; 21% nel 1972).

In una recente rilevazione, in cui il favore o la contrarietà nei riguardi del tema non vengono inda-gati con riferimento esplicito all'aborto, bensì nei più ampi termini della propria adesione ideologica ai movimenti d'opinione che vi sono connessi, gli Statunitensi si autodefiniscono invece: Pro-choice, 47%; Pro-life, 46%; incerti, 7% (Gallup Poll, 2009).

Nel caso specifico dell'Italia, una significativa pronuncia popolare su questioni attinenti la famiglia è stata rappresentata dal referendum relativo alla legge che introduceva la possibilità di interruzione volontaria della gravidanza nel 1981. Tale referen-dum si configurava nella forma di due quesiti, che

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hanno visto rispettivamente una percentuale di cit-tadini favorevoli che è stata dello 88.4% per l'uno e del 68.0% per l'altro.

Le molte ricerche disponibili confermano costan-temente che quasi due terzi degli Italiani adulti sono favorevoli alla presenza di una legge che permetta eventualmente l'aborto volontario come diritto della persona. Ad esempio, l'affermazione "L’aborto non è mai moralmente lecito, in nessun caso" è condivisa solo dal 20.7% degli Italiani adulti (Cesareo et Al, 1995). Secondo i dati Eures (2004), è favorevole all'aborto il 59% degli Italiani. Mentre alla doman-da: "Quanto è favorevole alla legge sull'aborto?" si raccolgono le seguenti risposte: molto o abbastanza favorevole, 60%; poco o per nulla favorevole, 35%; non so, 5% (Istituto Piepoli, 2006). Secondo i dati GFK Eurisko (Lavazza, 2008) relativi ad un cam-pione nazionale italiano, alla domanda "Cosa pensa della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza?", le risposte sono: Va bene così com'è, 45%; Dovrebbe essere cambiata per ridurre le possi-bilità di interruzione della gravidanza, 15%; Dovrebbe essere cambiata per ampliare le possibilità di interruzione della gravidanza, 13%; Dovrebbe essere abolita, 10%; non sa, 17%.

Disponiamo di dati anche più sofisticati, in cui l'ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza viene valutata con riferimento a possibili cause diffe-renti, che danno luogo a diversi livelli di adesione. Ne deduciamo che gli Italiani adulti sono favorevoli all’aborto: nel caso di “probabilità di una grave mal-formazione” per il nascituro, 82%; nel caso di “rischi per la salute della madre”, 82%; quando “la gravidanza è conseguenza di uno stupro”, 71%; quando la famiglia non può permettersi un altro fi-glio, 34%; per la “volontà della madre di non avere altri figli”, 32%; perché “la madre, non sposata, non vuole sposare il padre”, 31%; per la “volontà di non avere bambini in quel momento”, 30% (Garelli et Al, 2003).

Disponiamo anche di altri dati, che confermano questa tendenza ma analizzandola anche dal punto di vista dei soggetti cattolici più o meno praticanti (Eurispes, 2006). Ne ricaviamo che: l'84% degli ita-liani adulti è favorevole all'aborto nel caso in cui la madre sia in pericolo di vita (83,2% dei cattolici; 89,9% dei non-cattolici); il 74,6% è favorevole dell'aborto in caso di gravi anomalie e malformazio-ni del feto (72,9% dei cattolici; 86,8% dei non-cattolici) e in caso di violenza sessuale 65,1% (61,9% dei cattolici; 88,4% dei non-cattolici). Da cui si rilevano forti indizi del fatto che il diritto, al-meno in caso di percepita necessità, di interrompere

la gravidanza è largamente condiviso anche dalla maggioranza dei cattolici.

ASSENZA DI FIGLI: CHILD-LESS E CHILD-FREE Uno dei grandi temi emergenti nello strutturarsi

attuale di nuclei relazionali stabili, è la costruzione di relazioni che non vedono la presenza di figli. Do-ve è abbastanza evidente che concetti come quello di famiglia o di matrimonio cambiano notevolmente di significato se non prevedono come proprio principio costitutivo assoluto la riproduzione.

Si distingue in genere tra child-less, che è la con-dizione di chi non ha bambini (come dato oggettivo, per le più diverse ragioni, più o meno in-dipendenti dalla propria volontà), e child-free, che è la condizione di chi non desidera averne (come scel-ta esistenziale più o meno pianificata). Posto che, come è stato sottolineato più volte, la dichiarazione di scarso interesse per la procreazione come valore di principio non significa necessariamente non avere figli nei fatti, e viceversa (Westoff e Ryder, 1977; Monnier, 1989; Thomson, McDonald e Bumpass, 1990; Williams, Abma e Piccinino, 1999).

Nelle culture tradizionali, come in molte di quel-le primitive, il fatto di non avere figli dà luogo ad una immagine stereotipicamente negativa: di non-capacità, di non-volontà o al massimo di compas-sione per una percepita fragilità psicologica, ove sembri di non ravvisare una colpa diretta. Tale atti-tudine, che è una forma di stigma sociale ai limiti del razzismo, appare riferita in misura maggiore alla infertilità volontaria, ma coinvolge largamente an-che quella involontaria e subita con sofferenza. L'attribuzione di tale stigma è decisamente in calo, ma sembra ancora presente, benché in forma ridotta e maggiormente ristretta ad ambienti culturalmente poco sofisticati, anche nella civiltà occidentale con-temporanea (Polit, 1978; Calhoun e Selby, 1980; Menaghan, 1989; Ganong, Coleman e Mapes, 1990; Morell, 1994; Lisle, 1999; Adashi et Al, 2000; Letherby, 2002; Park, 2005).

La psicologia della scelta di avere o non avere fi-gli vede ormai una lunga letteratura di analisi e di ricerca (Rabin e Greene, 1968; Lott, 1973; Townes et Al, 1977; Gerson, 1983, 1986; Haskell, 1977; Kirchner e Seaver, 1977; Potts, 1980; Palomba, 1987; Gerson, Posner e Morris, 1991; Bartholet et Al, 1994; Jones e Brayfield, 1997; Corwyn e Bra-dley, 1999; Barber, 2001; Thornton e Young-DeMarco, 2001; Miller, Severy e Pasta, 2004; D'A-loisio, 2007; Ongaro, 2007; Agrillo e Nelini, 2008).

Tale attenzione della ricerca per la diminuita at-titudine alla procreazione è stata rilanciata

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dall'affermarsi dell'appena citato fenomeno delle famiglie consapevolmente senza figli, che secondo molte ricerche è evidentemente assai cresciuto alme-no dagli anni '70 ad oggi (Silverman e Silverman, 1971; Veevers, 1973; Bram, 1975; Movius, 1976; Campbell, 1985; Morgan e Waite, 1987; House-knecht, 1987; Bartlett, 1994; May, 1995; McAllister e Clarke, 1998; Heaton, Jacobson e Hol-land, 1999; Kopper e Smith, 2001; Devolder, 2005; Tessarolo, 2006; Koropeckyj-Cox e Pendell, 2007; Rosina e Testa, 2007; Tanturri e Mencarini, 2008; Chancey e Dumais, 2009). Per cui, tra l'altro, si par-la ormai di uno specifico stile di vita, connesso a queste unioni, che viene detto appunto childfree (Nason e Poloma, 1976; Bram, 1984; Callan, 1986; Lee e Schaninger, 2003).

Le caratteristiche di tale scelta childfree, quali emergono sulla base dei molti dati e delle molte ana-lisi riportate nei contributi più sopra citati e cui rimandiamo per ogni approfondimento, sembrano essere piuttosto varie. Vi sono tuttavia alcune ricor-renze che ci permettono di fornire un profilo di larga massima utile a delineare almeno in parte lo stile di vita e di personalità che vi si collega.

Risulta infatti che la scelta di non avere figli è re-lativamente (benché non necessariamente) più tipica delle persone sensibili ai temi del femminismo o quanto meno della liberazione della donna e della sua acquisizione di ruoli meno tradizionali nella so-cietà, così come dei soggetti tendenzialmente progressisti o politicamente e culturalmente impe-gnati. Sembra avere un certo rilievo anche la cultura detta del-sé (selfishness) secondo cui l'allevamento dei bambini è visto come troppo impegnativo e tale da compromettere la possibilità di realizzarsi in altri modi, come nel lavoro o nell'impegno sociale. Con-tano anche fattori come la convinzione che il mondo sia già sufficientemente sovrappopolato, mentre un forte deterrente è rappresentato dal fatto che la vita urbana è sempre più complessa e costosa, ma che tale collettività (gli altri, le leggi, il governo) fornisce scarsi o nulli supporti a chi cresce i figli, in termini quanto meno di sussidi, asili nido, assistenza in genere. Agisce a sfavore della propensione a ri-prodursi anche il fatto che raramente sono previsti supporti finanziari pubblici o alleggerimenti fiscali di rilievo per chi sceglie di fare figli.

In ogni caso, qualunque ne sia la causa: è un fat-to che la tendenza a non concepire bambini, o a partorirne molti meno di quanti ne venivano parto-riti in altre epoche, è un dato che caratterizza il nostro tempo e che rappresenta una variabile non marginale nella definizione di sé, del proprio stile di

vita e delle proprie relazioni interpersonali più o meno stabili.

LEGAMI TRA GENITORI E RELAZIONI COI FIGLI Come valore di principio, si ritiene in genere che

i bambini debbano crescere in un contesto dove so-no presenti entrambi i genitori. Questo viene chiaramente mostrato dalla World Values Survey (WVS, 2005), dove, all'affermazione "I bambini hanno bisogno di una casa con padre e madre", quanti scelgono la risposta "Tendo ad essere d'ac-cordo" (rispetto a "Tendo a non essere d'accordo") sono, ad esempio: Egiziani, 98.7%; Vietnamiti, 98.1%; Tailandesi, 97.2%; Cinesi, 96.8%; Italiani, 93.1%; Sudafricani, 90.9%; Indiani, 89.8%; Tede-schi, 87.7%; Brasiliani, 82.0%; Spagnoli, 77.7%; Cileni, 76.4%; Statunitensi, 62.9%; Svedesi, 52.7%

Tuttavia, almeno in Europa, attualmente 1 bambino su 3 nasce fuori del matrimonio (Instituto de Politica Familiar, 2007). Ad esempio: in Francia, nel 1970 i bambini primigeniti nati da genitori non sposati erano il 18% del totale dei primi nati per la madre, mentre all'inizio degli anni 2000 sono diven-tati il 51% (Régnier-Loilier e Prioux, 2008).

Può anche capitare di considerare come ovvio e scontato un collegamento biologico chiaro e definito tra figli e genitori. Ma ormai non è più così, soprat-tutto per via delle adozioni, nonché della moderna possibilità di realizzare una procreazione assistita, piuttosto che di attuare la gestazione di embrioni non propri in origine.

Nel caso dell'adozione: viene realizzata una fami-glia con figli, pur senza che vi sia alcun legame di consanguineità. Al rapporto di adozione si aggiun-gono poi varie forme di affidamento le quali, pur non rappresentando di solito una vera e propria di-mensione familiare, vi si avvicinano talvolta notevolmente.

Secondo i dati più recenti della National Adop-tion Attitudes Survey (Dave Thomas Foundation for Adoption, 2007) il 72% degli Statunitensi adulti ha un atteggiamento favorevole verso l'adozione; il 47% ha conosciuto personalmente casi di adozione, in famiglia o presso amici stretti; il 30% ha preso in seria considerazione, nell'arco della propria vita, la possibilità di adottare un bambino; la preoccupazio-ne maggiore rispetto all'adozione è la possibilità (nei fatti: del tutto irrealistica) che i genitori d'origine possano riprendersi il bambino, considerata rilevan-te per il 67% degli Statunitensi.

La scelta dell'adozione, pure molto diffusa e ge-nericamente apprezzata a livello sociale, porta tuttavia a scontrarsi con uno stigma sociale in cui è

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presente una valutazione negativa della incapacità riproduttiva, spesso riferita alla madre. Questa si ac-compagna alla diffusa sensazione che il vero legame parentale sia quello di sangue e che l'amore adottivo sia una specie di seconda scelta; stereotipi assai di-scutibili, ma che poi di fatto pesano sul genitore che ha operato questa scelta (Miall, 1987).

Nel caso dell'Italia, ad esempio, occorre distin-guere tra l'adozione italiana e l'adozione internazionale. Per quanto riguarda quest'ultima, secondo i più recenti dati della Commissione per le Adozioni Internazionali (2009): tra il 2000 e il giu-gno 2009, ci sono state 25.860 adozioni; le coppie che hanno richiesto le adozioni sono state per lo più (89.5%) senza figli; la maggioranza di tali coppie (78.3%) ha adottato un solo bambino.

Il caso dell'adozione rappresenta altresì la possi-bilità di realizzare situazioni parafamiliari anche nella totalità impossibilità riproduttiva all'interno della coppia più o meno matrimoniale. Il dato è par-ticolarmente evidente, e tale da complicare ulteriormente il concetto contemporaneo di fami-glia, quando si definisce la possibilità di adozione da parte di coppie omosessuali. Il che rappresenta un'i-potesi relativamente poco accettata, almeno al giorno d'oggi, ma non nettamente rifiutata dalla cultura diffusa.

Ad esempio, secondo un campione rappresenta-tivo di adulti, risulta che la possibilità da parte di coppie gay e lesbiche di adottare dei bambini, vede gli Statunitensi: contrari, 51.6%; favorevoli, 40.8%; non sa, 7.5% (Pew Research Center, 2006). In mi-sura relativamente simile, il 48% dei Francesi è favorevole all'adozione di bambini da parte di cop-pie omosessuali femminili; mentre il 47% è contrario ad una legalizzazione del fenomeno; con il 5% che non si esprime (Tns, Famili, 2008). Nel ca-so di adozione da parte di una coppia omosessuale maschile il dato diventa: contrari, 55%; favorevoli, 40%; non so, 5%.

Per quanto riguarda l'Italia, il rifiuto dell'ado-zione da parte di coppie omosessuali risulta invece assai più netto. Secondo un campione nazionale del 1994: è contrario all’adozione da parte di coppie gay il 77% degli adulti; è favorevole il 15%; con un 8% di incerti (Piepoli, 1995). Circa dieci anni dopo gli atteggiamenti cambiano di poco, per cui, riguardo al diritto di adottare bambini da parte di coppie gay, gli Italiani si dichiarano: d’accordo, 14.2%; non d’accordo, 77.4%; incerti, 8.4% (Garelli et Al, 2003).

Nel caso poi della fecondazione assistita, il fatto che esista la possibilità materiale di realizzarla tende a separare concettualmente la riproduzione dalle

pratiche sessuali, pur continuando oggi a mantenere un legame relativamente stretto tra la procreazione e il matrimonio.

La fecondazione assistita configura di per se stes-sa una forma molto particolare di costruzione riproduttiva, pure nella totale assenza di una dimen-sione familiare, come avviene per i soggetti che donano i propri oociti e che si trovano ad essere probabilmente genitori di fatto, anche indipenden-temente dal fatto di esserlo o meno nella propria vita personale; mentre i soggetti che ricevono i ga-meti possono trovarsi, sul piano familiare, a generarli pur senza esserne propriamente i genitori in senso genetico. Il che rappresenta un tema psico-logico ed esistenziale assai complesso, su cui esiste ormai una letteratura di ricerca piuttosto ampia e dai risultati variegati (Edelmann, 1990; Bolton et Al, 1991; Oskarsson et Al, 1991; Baluch et Al, 1994; Kailasam, Sykes e Jenkins, 2001: Chliaouta-kis, Koukouli e Papadakaki, 2002; Almeling, 2006; Van Den Akker, 2006; Purewal e Van Den Akker, 2009).

Su tale procreazione assistita, in generale, viene espresso attualmente un atteggiamento abbastanza favorevole da parte delle persone. Infatti: secondo i dati del Second International Study on Attitudes to Biotechnology, realizzato dalla BBVA Foundation (2008) presso campioni rappresentativi di adulti in 12 Paesi europei e in 3 Paesi extra-comunitari, risul-ta evidente che la riproduzione assistita o la fecondazione in vitro, nel caso di coppie con pro-blemi di fertilità, viene vista con favore dalla maggioranza delle popolazioni. Infatti: in una scala di valutazione da 1 (massimo negativo) a 10 (mas-simo positivo), i campioni di 12 Paesi su 15 esprimono una valutazione superiore a 7 per la pos-sibilità di realizzare tali pratiche.

Ci sono tuttavia delle variazioni da Paese a Paese. In particolare, nella ricerca viene chiesto anche: "Delle alternative, che sto per leggere, quale pensa dovrebbe essere quella scelta da una coppia che vuo-le dei bambini, ma non è in grado di averli a causa di problemi di fertilità?"; le alternative sono: fecon-dazione assistita e adozione; con anche la possibilità di indicare "accettare la situazione", che viene scelta solo da una minoranza e sempre per ultima. In 10 Paesi viene caldeggiata principalmente la feconda-zione assistita; nell'ordine: Israele, Repubblica Ceca, Olanda, Svezia, Francia, Danimarca, Giappone, Spagna, Inghilterra, Irlanda. In 5 Paesi si preferisce invece suggerire l'adozione; nell'ordine: Stati Uniti, Germania, Austria, Italia, Polonia.

Per quanto riguarda il nostro Paese, risulta che il 55% degli Italiani adulti è abbastanza o molto

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d’accordo a "consentire che una coppia sterile, per avere figli, ricorra al seme di un donatore esterno alla coppia" (Chiese Metodiste e Valdesi ed Eurisko, 2005). Il dato è confermato da Eures (2004), secon-do cui gli Italiani, rispetto alla fecondazione eterologa, si dichiarano: favorevoli, 54%; contrari, 29%; non sanno, 17%. Secondo Eurispes (2006), il 62.5% della popolazione afferma di essere favorevo-le alla fecondazione assistita; pratica che vede il consenso dell'89,9% dei non-cattolici ma anche del 58.7% dei cattolici.

Va ricordato pure che nel 2005 è stato indetto in Italia un referendum relativo alla procreazione assi-stita e alla ricerca sugli embrioni, che però è decaduto per non avere raggiunto il quorum dei vo-tanti. E' stata tuttavia condotta un'indagine, presso un campione di Italiani adulti, per verificare gli at-teggiamenti al riguardo, in cui veniva chiesto: "Se il Parlamento tornasse in futuro a fare un legge sull'ar-gomento procreazione assistita, lei con quali di questi punti sarebbe d'accordo e con quali invece in disaccordo?" (Ipsos, Vanity Fair, 2007). Le risposte sono state diverse a seconda del tema cui si applica-vano. Nel caso della Ricerca sugli embrioni: Favorevole, 62%; Contrario, 30%; non so, 8%. Nel caso della Fecondazione eterologa: Favorevole, 50%; Contrario, 45%; non so, 5%. Nel caso dell'Accesso alla fecondazione e diagnosi preinpianto: Favorevo-le, 50%; Contrario, 37%; non so, 13%.

Mentre, secondo gli ultimi dati, basati su cam-pioni nazionali rappresentativi di adulti, dello Science and Society Monitor italiano: dal 2002 al 2009 la percentuale dei soggetti favorevoli alle varie modalità di fecondazione assistita per le coppie in-fertili è passata dal 55% allo 82% (Observa, 2009).

Approfondendo invece lo specifico del campione italiano nella già citata ricerca della BBVA Founda-tion (2008), si rileva che, per una coppia infertile, gli Italiani tendono a proporre: l'adozione, 49.4%; la fecondazione assistita o la fertilizzazione in vitro, 25.6%; l'accettazione della situazione senza interve-nire, 16.3%; non so, 8.8%. Per quanto riguarda le circostanze in cui ricorrere alla fertilizzazione in vitro (sempre in una scala di valutazione da 1, mas-simo negativo, a 10, massimo positivo), gli Italiani indicano, come valutazione media: affinché le cop-pie con problemi di malattie genetiche possano aumentare le probabilità di avere un figlio sano, 6.7; affinché le coppie con problemi di infertilità possa-no avere un bambino, 6.4; affinché una donna sopra i 45 anni possa rimanere gravida, 4.2; affinché la coppia possa scegliere il sesso del nascituro, 2.6. Ap-pare altresì poco apprezzato il ricorso ad una banca dello sperma, un po' in tutte le circostanze suggerite,

e cioè: per la coppia in cui l'uomo è infertile e vuole avere dei bambini, 5.6; per una donna che non ha un partner ma vuole un bambino, 3.8; per una cop-pia gay o lesbica che vuole avere un bambino, 2.4; per scegliere un padre particolarmente intelligente, 2.2.

Un ultimo dato che può aiutare nella identifica-zione dei molti altri temi in cui la triade famiglia-matrimonio-figli viene necessariamente coinvolta è relativo alle cosiddette madri surrogate, o surrogate mothers, le quali si prestano a realizzare personal-mente la gestazione di gameti altrui. Anche sugli aspetti psicologici di questo tema esiste ormai una letteratura di ricerca di qualche ampiezza (Wiess, 1992; Krishnan, 1994; Suzuki et Al, 2006; Van Den Akker, 2007; Poote e Van Den Akker, 2009).

I dati delle non molte ricerche sul tema ci dicono che il 48% dei Francesi si dichiara favorevole alla legalizzazione della figura delle "mères porteuses" ovvero delle donne che vivono la gravidanza di em-brioni generati da altri soggetti, mentre il 42% si dichiara contrario ad una legalizzazione del fenome-no e il 10% non si esprime (Tns, Famili, 2008). Mentre il 30% delle donne italiane dichiara che sa-rebbe del tutto legittimo ricorrere alla pratica della madre surrogata per una donna che non potesse ave-re figli altrimenti (Swg, Donna Moderna, 2009).

Metodologia della ricerca Presentiamo a questo punto i dati relativi all'ana-

lisi integrata dei tre item attraverso i quali ci siamo proposti di rilevare alcuni aspetti di una psicologia del rapporto identitario e valoriale con la famiglia, con il matrimonio e con i figli nella cultura italiana. Abbiamo appositamente inserito tali item, nel pro-tocollo “Itapi-Comportamenti”, che rappresenta la quarta fase di ricerca del Programma Itapi.

Gli item costruiti per la ricerca sono stati: "Solo mettendo su famiglia un uomo o una donna trova la sua realizzazione"; "Il matrimonio è indispensabile per essere felici"; "Una persona può dirsi completa solo se ha generato dei figli nella sua vita".

Il protocollo utilizzato in questa fase del Pro-gramma Itapi, dentro a cui si trovavano i tre item appena citati, conteneva complessivamente 198 item (più una scheda per i dati anagrafici) rispetto a molti dei quali veniva chiesto alle persone di dichiarare il loro livello di accordo su una scala a 4 punti: "com-pletamente" (4); "abbastanza" (3); "poco" (2); "per nulla" (1). Per alcuni item, la risposta era invece di-cotomica: "Sì" oppure "No". Il protocollo originale

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è accessibile direttamente dal sito internet (www.itapi.org).

Il protocollo di ricerca è stato somministrato per auto-compilazione, in forma anonima. L'indagine cui facciamo riferimento in questa sede è stata effet-tuata tra il 2005 e il 2008. I protocolli sono stati elaborati utilizzando il pacchetto statistico SPSS. Per una descrizione più analitica del campione e delle modalità di rilevazione, rimandiamo comunque al nostro precedente lavoro di inquadramento generale del piano di ricerca (Perussia e Viano, 2008).

Il campione utilizzato è composto di 2.138 sog-getti (1.063 uomini; 1.075 donne), estratti (ai fini del presente lavoro) secondo una procedura compu-terizzata casuale dall'insieme di oltre 4.000 protocolli raccolti nell'ambito del Programma Itapi, in modo da rappresentare esattamente la distribu-zione della popolazione italiana fra i 18 e i 70 anni, secondo i dati Istat 2005 (Istat, 2009), per quanto riguarda tre principali fasce di età (18-30 anni; 31-45 anni; 46-70 anni) e la ripartizione tra uomini e donne all’interno di ciascuna di tali fasce d’età. Nell’insieme: il campione indagato ha un’età media di 41.9 anni (uomini: 42.2; donne: 41.6). La strut-tura del campione viene comunque descritta qui di seguito, nella Tabella 1.

Anche altre variabili socio-anagrafiche risultano sufficientemente distribuite e incrociate tra di loro, con percentuali che avvicinano, benché senza coin-cidere con esso, il profilo della popolazione nazionale secondo i dati Istat relativi al 2005. Men-tre, da un punto di vista strettamente geografico, i soggetti sono stati contattati in alcune diecine di punti di campionamento, di città e di provincia, nell’area del nord-ovest d’Italia.

Ricordiamo altresì che il campione era compo-sto, con riferimento alla Professione, secondo la seguente distribuzione: Impiegati, 36.8%; Studenti, 13.4%; Operai, 11.8%; Pensionati, 10.6%; Profes-sionisti, 9.6%; Casalinghe, 5.6%; Imprenditori, 4.1%; Quadri, 3.5%; Disoccupati, 3.2%; Dirigenti, 1.4%; Non indica, 0.2%. Il campione era compo-sto, con riferimento alla Residenza, secondo la seguente distribuzione: Torino, 49.9%; Cuneo, 13.8%; Genova, 7.2%; Aosta, 5.8%; Asti, 2.2%; Milano, 2.0%; Savona, 1.7%; Alessandria, 1.1%; Altre province italiane, 16.3%.

La presente analisi si inscrive in una tradizione ormai ultradecennale di lavoro, condotto all'interno del Laboratorio di Ricerca sulla Personalità e sul Counseling, che si propone di analizzare la dimen-sione psicologica delle relazioni interpersonali ad interesse intrinseco e che ha sviluppato ricerche ori-ginali su temi quali: gli stili-tipi amorosi (Perussia e

Grorock, 1997), gli stili-tipi di scelta del partner (Perussia, 1999), gli stili-tipi di rappresentazione va-loriale del rapporto tra sesso, amore e matrimonio (Perussia e Viano, 2006c).

Tabella 1 - Struttura del campione di 2.138 persone (i dati con asterisco* indicano una composizione, ri-spetto al segmento di campione complessivo, che è esattamente proporzionale ai dati Istat sui relativi segmenti di popolazione italiana nel 2005).

Valori assoluti % valide

Sesso Uomini* 1.063* 49.7*

Donne* 1.075* 50.3*

Età 18/30* 481* (246 M*; 235 F*)

22.5*

31/45* 729* (368 M*; 361 F*)

34.1*

46/70* 928* (449 M*; 479 F*)

43.4*

Istruzione Elementari 103 4.8

Medie Infe-riori

429 20.1

Medie Supe-riori

1098 51.4

Università 508 23.8

Stato civile

Sposato/a 1141 53.4

Celibe/Nubile 797 37.3

Separato/a 132 6.2

Vedovo/a 68 3.2

TOTALE 2.138 100.0

Risultati Per quanto riguarda la presentazione dei dati: le

percentuali indicate nelle tabelle riportate in questa sede si riferiscono all’insieme di quanti si sono di-chiarati “Molto” o “Abbastanza” d’accordo (modalità che viene intesa come risposta affermativa ovvero un "Sì" in termini di variabili dicotomiche) con l’Item specifico, oppure a quanti hanno indicato come "Molto" o "Abbastanza" importante nella loro vita il Valore specifico, oppure a quanti hanno ri-sposto “Sì” alla richiesta di indicare se era capitato loro di attuare quel particolare comportamento (nel-lo specifico arco di tempo).

Merita comunque ricordare ancora una volta che in questa sede non pretendiamo di pubblicare un'indagine strettamente demoscopica sulla popola-zione italiana. La ricerca qui offerta, pur contenendo

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rilevanti indizi anche per l'universo di riferimento, si limita a voler offrire alcuni dati, nel limite del possi-bile obiettivi, di una ricerca psicologica e personologica, ancorché fondata su un campione piuttosto significativo della popolazione adulta.

FAMIGLIA, FIGLI, MATRIMONIO Nella Tabella 2 riportiamo le percentuali di ac-

cordo espresse dal campione complessivo rispetto ai tre item. Se ne deduce con chiarezza che nessuna di queste affermazioni raccoglie adesioni plebiscitarie.

Il riferimento alla famiglia coinvolge un po' me-no di due terzi dei soggetti, collocandosi in una posizione solo moderatamente maggioritaria. Il rife-rimento ai figli coinvolge più di un terzo del campione, collocandosi in una posizione di ampia minoranza. Il riferimento al matrimonio coinvolge un terzo esatto delle persone e si pone in una posi-zione anche significativa ma relativamente marginale.

Sulle 101 affermazioni che presentavano conte-nuti di atteggiamento, presenti nella rilevazione di base, i tre che analizziamo in questa sede sono stati valutati dal campione, nell'ordine: "Solo mettendo su famiglia un uomo o una donna trova la sua rea-lizzazione", al 49° posto; "Una persona può dirsi completa solo se ha generato dei figli nella sua vita",

al 71° posto; "Il matrimonio è indispensabile per essere felici", allo 88° posto (Perussia e Viano, 2008).

Si notano alcune uniformità, per quanto riguar-da le variabili anagrafiche. Si evidenzia infatti come tutti e tre gli item sono maggiormente condivisi dal-le donne che dagli uomini, così come dai soggetti di bassa istruzione rispetto a quelli di istruzione più elevata. La relativamente limitata adesione a tutti e tre gli item tende peraltro a scendere dalla giovinez-za a quando si passa alla età di mezzo, per poi risalire con la maturità.

STRUTTURA DEI TIPI-CLUSTER Abbiamo quindi condotto un'analisi dei cluster, a partire dall'insieme delle valutazioni fornite a cia-scuno dei 3 item famiglia-matrimonio-figli, attraverso la procedura Cluster Two-Step (misura di distanza: verosimiglianza; variabili: continue; pac-chetto statistico: SPSS), che ha estratto una ripartizione in 3 Tipi-Cluster. Numerose verifiche di costrutto, realizzate utilizzando altre procedure per la determinazione dei cluster da estrarre, hanno confermato l’efficacia della scelta di tale tripartizio-ne.

Tabella 2 - Distribuzione dell’accordo con gli item relativi alla Famiglia, al Matrimonio, ai Figli (% delle persone “Completamente” o “Abbastanza” d’accordo).

ITEM TOT Donne Uomini 18-30

anni 31-45

anni 46-70

anni Istruzione - Istruzione +

Solo mettendo su famiglia un uomo o una donna trova

la sua realizzazione

58.8 63.7 54.0 57.2 54.0 63.6 69.0 55.4

Una persona può dirsi com-pleta solo se ha generato dei

figli nella sua vita

42.2 45.5 39.0 43.0 38.4 45.0 49.1 40.0

Il matrimonio è indispensa-bile per essere felici

33.0 38.9 27.2 35.1 29.5 34.9 38.3 31.2

Tabella 3 - Punteggio medio attribuito a ciascun item relativi alla Famiglia, al Matrimonio, ai Figli, suddiviso in ba-se ai 3 Tipi di persona identificati dalla Cluster Analysis.

T1: Generativi

(n=910; 42.6%)T2: Emancipati (n=746; 34.9%)

T3: Coniugati(n=482; 22.5%)

C 57 - Solo mettendo su famiglia un uomo o una donna trova la sua realizzazione

85.2 0.0 100.0

C 82 - Una persona può dirsi completa solo se ha genera-to dei figli nella sua vita

82.7 8.7 17.6

C 97 - Il matrimonio è indispensabile per essere felici 67.8 4.0 12.0

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

Giornaledipsicologia.it, Vol. 3, No. 3, 2009ISSN 1971-9450

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Come si vede in Tabella 3: il Cluster-Tipo 1 e il

più numeroso, in quanto vi appartiene il 42.6% del campione (non molto meno della metà), essendo l'unico che attribuisce una rilevanza assoluta al fatto di avere generato dei figli e per cui il vincolo matri-moniale rappresenta un valore forte e sentito. Il Cluster-Tipo 2, che rappresenta un terzo del cam-pione (34.9%), non manifesta alcuna speciale simpatia di principio per nessuno dei temi qui con-siderati, almeno come valori di riferimento fondativi: né per i figli, né per il matrimonio, né per la famiglia. Il Cluster-Tipo 3 è il meno numeroso, in quanto coinvolge circa un quinto del campione (22.5%), e appare essere quello in cui la presenza di una famiglia rappresenta un punto di riferimento, ma dove invece risultano decisamente marginali, benché minimamente presenti, i riferimenti eventu-ale sia ai figli sia al matrimonio.

A ciascuno dei tre Tipi-Cluster emersi, ordinati qui sulla base della percentuale di soggetti che li rappresentano nel campione, abbiamo dunque attri-buito il nome evocativo, di: "Generativi (Familisti)"

per il Tipo-Cluster 1, che definisce persone orienta-te soprattutto alla realizzazione di se attraverso la presenza dei figli; "Emancipati (Non familisti)" per il Tipo-Cluster 2, che definisce soggetti preoccupati più che altro della propria identità personale; "Co-niugati" per il Tipo-Cluster 3, che definisce persone che paiono esistenzialmente centrate in prima istan-za sul proprio partner d'elezione.

Si può rilevare una moderata tendenza alla diffe-renziazione fra i tre Tipi-Cluster anche in base al profilo medio dei Tratti di personalità e dei Valori che caratterizzano mediamente ciascuno di essi. All'interno del questionario erano infatti presenti le versioni S (sintetiche o short) tanto del test Itapi-G di 28 item (Perussia e Viano, 2006b) quanto del test Itapi-Valori di 14 item (Perussia e Viano, 2006a). Le risposte a tali Test ci permettono infatti di co-gliere indizi significativi sul profilo di personalità che è più tipico di ciascun Tipo-Cluster. Sulla base di tali differenze, riportate in Tabella 4, si possono rilevare alcune tendenze significative in termini di indizi dei profili di personalità relativi.

Tabella 4 - Profili dei tre Tipi-Cluster secondo i Tratti del test di personalità Itapi-S e secondo i parametri i Valori del test valoriale Itapi-Valori-S (media dei punteggi; differenza rispetto alla media del campione).

Tratto Popolazione adulta Tut-

ti

T1: Gene-rativi

(42.6%)

T2: Eman-cipati

(34.9%)

T3: Co-niugati

(22.5%)

T1 - TOT

T2 -TOT

T3 -TOT

T1 - Dinamicità 11.332 11.395 11.282 11.290 .063 -.050 -.042

T2 - Vulnerabilità 9.960 10.016 9.894 9.954 .056 -.066 -.006

T3 - Empatia 12.438 12.460 12.238 12.705 .022 -.200 .267

T4 - Coscienziosità 11.858 11.985 11.570 12.064 .127 -.288 .206

T5 - Immaginazione 11.507 11.377 11.653 11.529 -.130 .146 .022

T6 - Difensività 12.162 12.473 11.710 12.276 .311 -.452 .114

T7 - Introversione 10.763 10.657 10.873 10.795 -.106 .110 .032

v1 - successo 5.015 5.302 4.665 5.017 .287 -.350 .002

v2 - cultura 5.370 5.227 5.605 5.274 -.143 .235 -.096

v3 - fisicità 6.246 6.292 6.146 6.315 .046 -.100 .069

v4 - fede 5.453 5.901 4.882 5.490 .448 -.571 .037

v5 - amore 7.151 7.196 6.985 7.324 .045 -.166 .173

v6 - autonomia 7.614 7.481 7.716 7.707 -.133 .102 .093

v7 - tavola 5.939 6.041 5.798 5.965 .102 -.141 .026

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 1 "Generativi (Familisti)", sul piano dei tratti di personalità, risul-tano decisamente più caratterizzati dalla Difensività rispetto al resto del campione. Sono anche caratte-rizzati da relativamente maggiore Dinamicità e Vulneratiblità. Sul piano dei valori, sono nettamente

più orientati alla Fede e al Successo, mentre appaio-no relativamente più rivolti al tema della Tavola.

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 2 "Emancipati (Non familisti)" sono caratterizzati, sul piano della personalità da Immaginazione e Introversione, men-tre sul piano dei valori presentano una maggiore

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

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caratterizzazione in termini di Cultura e di Auto-nomia.

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 3 "Coniugati" sono molto identificati dai tratti personologici di Empatia e Coscienziosità, mentre sul piano dei valo-ri presentano una caratterizzazione in termini di Amore e di Fisicità.

Ulteriori elementi di comprensione ci vengono dalla composizione socio-anagrafica dei Tipi-Cluster, riportata in Tabella 5.

Dai dati raccolti attraverso la ricerca, emerge che gli appartenenti al Tipo-Cluster 1 "Generativi (Fa-milisti)" sono in misura caratteristica: donne, giovani, sposate, con livello di istruzione piuttosto basso ma anche piuttosto alto (più scarse nelle posi-zioni intermedie), con figli, casalinghe, pensionati,

studenti e in genere non occupati in attività di lavo-ro esterne.

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 2 "Emancipati (Non familisti)" sono relativamente caratterizzati dal fatto di essere: uomini, di età intermedia e chiara-mente non avanzata, celibi o separati, di istruzione nettamente superiore, senza figli, maggiormente oc-cupati in attività del terziario e particolarmente come impiegati o professionisti.

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 3 "Coniugati" sono nella media come distribuzione in termini di sesso, ma chiaramente: di età più avanzata, sposati, con figli, di istruzione non elevata, più spesso operai ed imprenditori autonomi.

Tabella 5 - Profili dei tre Tipi-Cluster secondo le variabili anagrafiche (percentuali di composizione).

TOT T1: Generativi

(42.6%)T2: Emancipati

(34.9%) T3: Coniugati

(22.5%)

Sesso Donne 50.3 57.3 42.2 47.1

Uomini 49.7 42.7 57.8 52.9

Età 18-30 anni 22.5 25.7 21.8 17.4

31-45 anni 34.1 30.7 38.6 33.6

46-70 anni 43.4 43.6 39.5 49.0

Stato Civile Celibe/Nubile 37.3 33.4 44.5 33.4

Separato/Divorziato 6.2 4.8 8.3 5.4

Sposato/a 53.4 58.0 44.4 58.5

Vedovo/a 3.2 3.7 2.8 2.7

Istruzione Elementari 4.8 6.8 2.4 4.8

Medie Inferiori 20.1 20.9 16.4 24.3

Medie Superiori 51.4 47.7 56.4 50.4

Università 23.8 24.6 24.8 20.5

Figli Figli NO 45.6 41.3 54.7 40.0

Figli SI 54.4 58.7 45.3 60.0

Occupazione Studente 13.4 14.2 13.5 11.6

Operaio 11.8 12.1 9.7 14.3

Impiegato 36.8 32.3 42.7 36.3

Quadro 3.5 4.6 2.4 3.1

Dirigente 1.4 1.3 1.5 1.5

Professionista 9.6 8.4 11.3 9.3

Imprenditore 4.1 4.0 3.9 4.8

Disoccupato 3.2 3.5 3.1 2.7

Casalinga 5.6 6.8 4.0 5.8

Pensionato 10.6 12.8 7.9 10.6

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Peruissia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 2, 2009 ISSN 1971-9558

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In Tabella 6 riportiamo gli item in cui le diffe-renze fra i Tipi-Cluster appaiono maggiori. Tali valori sono stati calcolati sommando le differenze percentuali tra le risposte espresse dai tre Tipi-Cluster. L'algoritmo consisteva cioè nella sommato-ria: (T1-T2) + (T1-T3) + (T2-T3). Nella Tabella vengono riportati i 113 item, dei 196 presenti nel protocollo originale, che presentano una somma delle differenze percentuali di almeno il 10.0%, in ordine decrescente. Per i dettagli metodologici dell'insieme della ricerca, rimandiamo di nuovo alla precedente pubblicazione (Perussia e Viano, 2008).

Gli appartenenti al Tipo-Cluster 1 "Generativi (Familisti)" sono orientati, in modo nettamente su-periore ad entrambi gli altri Tipi-Cluster, a tutti i temi riferibili alla religione, specie nella sua forma più tradizionale. Apprezzano dunque in modo parti-colare: chi si dedica a Dio (4); il mondo come Creato (5); la preghiera (7, 19), la fede (8); la reli-gione (9); l'andare a Messa (15); la confessione (36); la sopravvivenza dell'anima dopo la morte (39); mentre credono nell'esistenza del diavolo (23).

Presentano anche una notevole diffidenza nei confronti degli immigrati (6), che vorrebbero non vedersi più intorno (22). Presentano il più basso li-vello di adesione a tutti gli item a carattere culturale.

Sono orientati ad una dimensione concreta della vita, dove ha importanza la riuscita nelle proprie at-tività (11, 26, 107) e il fatto di avere denaro a disposizione (54); così come, nell'ambito del lavoro, la carriera (13) e la possibilità di guadagnare molto (16), ma anche la possibilità di aiutare gli altri (47).

Inoltre: credono nella disciplina (24); sono orgo-gliosi dell'Europa (28); diffidano delle istanze ecologiste (31); evitano la politica (48); sono preoc-cupati del cibo che si mangia (60); temono un poco le centrali nucleari (109); si considerano perfezioni-sti (68); ritengono importante risparmiare (72); credono in chi si dedica allo studio (74).

Negli acquisti sono cauti (37) e attenti ai prezzi (63); confidano nei prodotti di marca (27), ma dif-fidando un poco della pubblicità (103); amano girare per guardare i negozi (65).

Dialogano volentieri con se stessi (55) e ricorda-no i propri sogni al mattino (59). Non amano l'idea di portare gli occhiali (62). Danno scarsa importan-za alla scelta dell'abbigliamento (64), ma eventualmente sono attenti alla moda (71).

Infine, con differenze marginali, ma forse di qualche significato, più degli altri Tipi-Cluster i "Generativi (Familisti)": leggono quotidiani sportivi (78); amano i cibi saporiti (83); sono attratti dalle

persone coi capelli rossi (84); amano le montagne russe (90); sono preoccupati del futuro (91) e della sicurezza nella propria vecchiaia (105); hanno un computer portatile (93) e una fotocamera digitale (112); amano il mangiare (94) e le vacanze al mare (108).

Venendo invece a quanti appartengono al Tipo-Cluster 2, gli "Emancipati (Non familisti)", questi risultano, in modo chiaramente superiore ad en-trambi gli altri Tipi-Cluster, interessati a tutto ciò che è cultura personale: i libri (10); la lettura (17); i musei (18); l'ascolto della musica (20); l'arte in ge-nere (32); le mostre (35); i concerti rock e pop (38); il cinema e i film (39, 106); le biblioteche (42); il teatro (46). L'attenzione alla propria formazione in-dividuale coinvolge anche attività quali: il fitness (25) e il consultarsi con psicologi o simili (44).

Amano la cucina esotica (14); gli piace cucinare (77); hanno qualche tendenza ad essere vegetariani (104). Gli piace viaggiare all'estero (41); hanno simpatia per gli immigrati (69); si collegano ad internet (50) anche per fare acquisti (61); prendono treni (51), mezzi pubblici (66), aerei (92); dormono in albergo (73).

Diffidano della Chiesa cattolica (21) e tendono all'ateismo (30). Presentano il più basso livello di adesione a tutti gli item a carattere religioso.

Gli piace stare per conto proprio (29); amano il soffiare del vento (49); gli è capitato di fare a botte (56); simpatizzano per i gatti (85).

Infine, con differenze marginali, ma forse di qualche significato, più degli altri Tipi-Cluster gli "Emancipati (Non familisti)": hanno problemi di digestione (79) e vanno dal medico specialista (87); fantasticano volentieri tra sé e sé (80, 89); leggono quotidiani d'informazione (86); immaginano possi-bile comunicare con gli spiriti (96); amano provare qualche prodotto nuovo (102); praticano sport (110).

Considerando quindi le persone che apparten-gono al Tipo-Cluster 3, i "Coniugati", questi tipicamente, in modo superiore ad entrambi gli altri Tipi-Cluster: sono orgogliosi di essere Italiani (12); mentre sono preoccupati degli attentati e del terrori-smo (33), così come della criminalità (58). Soffrono di mal di testa (45); si mettono a dieta (52); hanno sottoscritto un'assicurazione sulla vita (76). Sono attenti al proprio decoro nel vestire (34).

Ci tengono a finire sempre quello che comincia-no (57); si considerano tipi precisi (70) e tendenzialmente riservati (98); cercano di avere un'alimentazione equilibrata (75). Danno qualche

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

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soldo in beneficienza (43) e cercano di avere una buona parola per tutti (67). Amano molto il proprio partner (101). Gli piace coltivare le piante (53);

Infine, con differenze marginali, ma forse di qualche significato, più degli altri Tipi-Cluster i "Coniugati": sono un po' invidiosi (95); usano son-niferi (81) e soffrono d'insonnia (97); consultano il

medico di base (82); fanno vacanze (88); amano il ristorante (99) e la buona tavola (113); hanno un cellulare di ultima generazione (100); seguono con-certi di musica classica (111).

Tabella 6 - Gli item che presentano differenze % più significative fra i tre Tipi-Cluster (persone “Completamente” o “Abbastanza” d’accordo; percentuali di penetrazione per ciascun Tipo-Cluster).

ITEM (C “Comportamenti”: 2.138

italiani adulti) TOT

(2.138)T1: Generativi

(42.6%) T2: Emancipati

(34.9%) T3: Coniugati

(22.5%) Σ % N

Solo mettendo su famiglia un uomo o una donna trova la sua realizzazione

58,8 85,2 0,0 100,0 200,0 1

Una persona può dirsi completa solo se ha generato dei figli nella sua vita

42,2 82,7 8,7 17,6 148,0 2

Il matrimonio è indispensabile per essere felici

33,0 67,8 4,0 12,0 127,6 3

Dedicarsi a Dio è uno dei modi mi-gliori per vivere la propria vita

45,9 55,9 31,9 48,5 48,0 4

La terra e l'ambiente fisico sono il prodotto di un disegno divino

56,9 68,5 44,7 53,9 47,6 5

Gli immigrati extra-comunitari ren-dono insicura la vita nelle nostre città

50,5 60,7 37,4 51,5 46,6 6

Valore: La preghiera 55,5 64,9 41,8 56,4 46,2 7

Valore: La fede in Dio 68,0 76,3 54,0 66,0 44,6 8

Mi considero una persona religiosa 52,6 62,3 40,8 52,5 43,0 9

Comprare un libro (non per cause di studio) (ultimi 12 mesi)

70,8 61,3 82,0 71,2 41,4 10

Valore: Fare carriera 54,8 58,5 38,9 48,1 39,2 11

Sono orgoglioso/a di essere italiano/a 77,3 83,4 65,3 84,4 38,2 12

Nel lavoro. una delle cose più impor-tanti è poter fare carriera

41,6 50,4 31,4 40,7 38,0 13

Mi piace la cucina esotica (straniera. etnica)

40,4 35,1 51,6 33,2 36,8 14

Andare a messa (ultime 2 settimane) 42,4 49,9 32,0 44,2 35,8 15

Nel lavoro. una delle cose più impor-tanti è poter guadagnare molto

denaro

54,0 61,5 44,5 54,4 34,0 16

Leggere un libro (non per cause di studio) (ultimi 12 mesi)

77,2 70,3 86,3 75,9 32,0 17

Visitare mostre o musei (ultimi 12 mesi)

53,3 46,6 62,5 51,7 31,8 18

Prego tutti i giorni o quasi 36,9 43,2 27,9 39,0 30,6 19

Ascoltare musica registrata (cd. mp3) (ultime 2 settimane)

76,1 69,3 83,9 77,0 29,2 20

La chiesa cattolica è stata un elemen-to negativo nella storia dell'uomo

36,7 30,9 45,2 34,6 28,6 21

Gli immigrati extra-comunitari do- 38,1 43,8 29,8 40,0 28,0 22

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

Giornaledipsicologia.it, Vol. 3, No. 3, 2009ISSN 1971-9450

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ITEM (C “Comportamenti”: 2.138 italiani adulti)

TOT (2.138)

T1: Generativi(42.6%)

T2: Emancipati(34.9%)

T3: Coniugati (22.5%)

Σ % N

vrebbero tornare a casa loro

Credo che il diavolo esista 40,9 47,9 33,9 38,6 28,0 23

La prima cosa che bisogna insegnare ai bambini è la disciplina

70,6 75,9 62,3 73,2 27,2 24

Iscriversi a una palestra o centro fitness (nella vita)

55,9 48,8 62,3 59,5 27,0 25

Valore: Ottenere il successo 54,3 58,8 45,4 52,7 26,8 26

In generale. preferisco acquistare pro-dotti di marche ben conosciute

43,6 48,6 35,3 47,1 26,6 27

Sono orgogliosa/o di essere europea/o 73,9 79,0 65,8 77,0 26,4 28

Mi piace stare per conto mio 56,7 51,9 64,9 53,1 26,0 29

Sono sostanzialmente ateo/a 24,3 19,5 31,9 21,8 24,8 30

Le leggi anti-inquinamento hanno riflessi negativi sulla nostra economia

27,8 32,9 20,5 29,7 24,8 31

Valore: L'arte 62,9 61,6 71,1 58,7 24,8 32

Preoccupazione: Gli attentati. il terro-rismo

78,8 82,4 71,2 83,6 24,8 33

Ci tengo a vestirmi in un modo che. per me. è elegante

64,8 64,9 59,9 72,2 24,6 34

Valore: Le mostre. i musei 54,3 52,9 65,1 53,9 24,4 35

Confessarsi (da un prete) (ultimi 12 mesi)

26,4 32,5 20,4 24,3 24,2 36

Faccio solo acquisti molto ragionati 64,4 69,0 57,2 66,9 23,6 37

Andare a concerti di musica rock o pop dal vivo (ultimi 12 mesi)

29,2 25,1 36,6 25,5 23,0 38

Penso che l'anima sopravviva dopo la morte

61,4 66,7 55,4 60,8 22,6 39

Andare al cinema (ultimi 12 mesi) 61,2 56,0 67,0 62,0 22,0 40

Andare all'estero (ultimi 12 mesi) 47,0 42,1 53,1 46,7 22,0 41

Entrare in una biblioteca pubblica (ultimi 12 mesi)

38,0 34,1 45,0 34,3 21,8 42

Dare qualche soldo in beneficienza (ultimi 12 mesi)

75,4 70,7 77,3 81,3 21,2 43

Andare da uno/a psicologo/a o simile (nella vita)

21,7 16,6 26,9 23,2 20,6 44

Avere mal di testa (ultimi 12 mesi) 69,4 63,8 73,3 73,9 20,2 45

Andare a teatro (ultimi 12 mesi) 35,3 31,6 41,3 33,0 19,4 46

Nel lavoro. una delle cose più impor-tanti è poter aiutare gli altri

71,4 75,6 66,0 72,0 19,2 47

Lascio volentieri la politica a persone che hanno più competenza di me

73,0 76,5 66,9 75,7 19,2 48

Mi piace sentire il vento quando sof-fia

48,6 44,7 54,2 47,3 19,0 49

Collegarsi a internet (ultime 2 setti-mane)

64,1 60,7 70,2 61,2 19,0 50

Prendere un treno (ultimi 12 mesi) 58,9 54,6 64,1 59,1 19,0 51

Mettersi a dieta (nella vita) 53,0 48,5 55,4 57,9 18,8 52

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Perussia, F., Viano, R. - Familismi moderni: Generativi, Emancipati, Coniugati

Giornale di Psicologia, Vol. 3, No. 3, 2009 ISSN 1971-9558

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ITEM (C “Comportamenti”: 2.138 italiani adulti)

TOT (2.138)

T1: Generativi(42.6%)

T2: Emancipati(34.9%)

T3: Coniugati (22.5%)

Σ % N

Curare le piante (in casa. orto. giardi-no) (ultimi 12 mesi)

63,5 58,7 66,4 68,0 18,6 53

Per vivere bene. i soldi sono fonda-mentali

69,6 73,7 64,5 69,7 18,4 54

Qualche volta parlo da sola/o con me stesso/a (ad alta voce)

39,0 41,2 40,8 32,0 18,4 55

Fare a botte con qualcuno (nella vita) 31,6 27,3 36,5 32,2 18,4 56

Finisco sempre quello che comincio 76,2 77,0 72,0 81,1 18,2 57

Preoccupazione: La criminalità 80,4 80,0 77,2 86,3 18,2 58

Quando mi risveglio. di solito ricordo chiaramente i sogni che ho fatto

38,9 41,6 39,7 32,6 18,0 59

Preoccupazione: Il cibo che mangia-mo

71,0 74,2 65,5 73,4 17,4 60

Comperare qualche cosa su internet (nella vita)

28,9 25,8 34,5 25,9 17,4 61

Mi imbarazza l'idea di portare gli oc-chiali

17,8 22,1 13,5 16,4 17,2 62

Quando faccio la spesa. sto molto at-tento/a al prezzo di ciascun prodotto

73,7 77,1 68,8 74,9 16,6 63

Non faccio caso a come mi vesto: mi va bene tutto quello che capita

35,4 39,4 33,4 31,1 16,6 64

Mi piace guardare le vetrine. curiosare nei negozi. andare per shopping

54,4 57,5 49,3 56,4 16,4 65

Prendere mezzi pubblici urbani (tram. bus) (ultime 2 settimane)

44,6 41,4 49,6 42,7 16,4 66

Cerco di avere sempre una buona pa-rola per tutti

81,9 82,3 78,4 86,5 16,2 67

Sono perfezionista 59,2 62,4 54,4 60,4 16,0 68

Gli immigrati extra-comunitari sono. più o meno. uguali a noi

68,2 64,3 72,1 69,5 15,6 69

Nelle cose che faccio. sono un tipo preciso

81,8 82,5 78,2 85,9 15,4 70

Quando compro un indumento. pre-ferisco che sia alla moda

39,4 42,3 34,6 41,5 15,4 71

Nella vita è importante riuscire a ri-sparmiare sempre qualche cosa

81,7 83,7 77,2 84,9 15,4 72

Dormire in un albergo o pensione (ultimi 12 mesi)

62,4 58,4 66,1 64,5 15,4 73

Dedicarsi allo studio è uno dei modi migliori per vivere la propria vita

62,5 64,4 58,2 65,8 15,2 74

Ci tengo ad un'alimentazione sana ed equilibrata

76,8 77,7 73,1 80,7 15,2 75

Sottoscrivere un'assicurazione sulla vita (nella vita)

41,0 39,6 39,1 46,7 15,2 76

Cucinare (ultime 2 settimane) 80,3 76,7 84,3 80,9 15,2 77

Leggere un quotidiano sportivo (ul-time 2 settimane)

33,7 36,9 29,5 34,2 14,8 78

Avere problemi di digestione (ultimi 12 mesi)

60,1 56,9 64,3 59,8 14,8 79

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ITEM (C “Comportamenti”: 2.138 italiani adulti)

TOT (2.138)

T1: Generativi(42.6%)

T2: Emancipati(34.9%)

T3: Coniugati (22.5%)

Σ % N

Mi lascio andare spesso alla fantasia 62,5 58,8 66,0 64,3 14,4 80

Usare sonniferi o calmanti (nella vita) 32,8 29,5 34,5 36,7 14,4 81

Andare dal medico di base (della mu-tua) (ultimi 12 mesi)

77,0 73,3 79,5 80,3 14,0 82

Mi piacciono i cibi saporiti. indipen-dentemente dagli ingredienti di cui

sono fatti

62,6 65,5 58,6 63,5 13,8 83

Mi sento attratto/a dalle persone con i capelli rossi

17,7 19,8 18,2 12,9 13,8 84

Ho una speciale simpatia per i gatti 47,9 46,4 51,7 44,8 13,8 85

Leggere un quotidiano d'informazio-ne (ultime 2 settimane)

85,7 82,0 88,7 88,2 13,4 86

Andare da un medico specialista (ul-timi 12 mesi)

60,3 56,7 63,4 62,4 13,4 87

Fare almeno 4 giorni di vacanza fuori casa (ultimi 12 mesi)

78,7 75,9 79,5 82,6 13,4 88

Ho una vivida immaginazione 66,6 65,3 70,1 63,5 13,2 89

Mi piace andare sulle montagne russe (ottovolanti o rollercoaster)

27,9 29,9 28,3 23,4 13,0 90

Preoccupazione: Il futuro in generale 81,3 83,6 77,2 83,4 12,8 91

Prendere un aereo (ultimi 12 mesi) 35,3 33,0 39,4 33,2 12,8 92

Computer portatile (a disposizione personale)

27,6 29,2 28,8 22,8 12,8 93

Valore: Il cibo. il mangiare 77,3 76,8 70,6 75,3 12,4 94

Molta gente riceve cose che non meri-ta

76,8 78,5 73,2 79,3 12,2 95

Talvolta è possibile entrare in contat-to con gli spiriti dell'al di là

14,1 13,7 16,8 10,8 12,0 96

Soffrire di insonnia (ultimi 12 mesi) 40,9 37,8 42,9 43,8 12,0 97

Di solito. tengo per me le mie emo-zioni

63,3 63,4 60,9 66,8 11,8 98

Andare al ristorante o in trattoria (ul-time 2 settimane)

62,8 60,5 63,3 66,4 11,8 99

Videofonino (o cellulare evoluto) (a disposizione personale)

31,6 31,0 29,8 35,7 11,8 100

Valore: Il mio partner (compagno. coniuge. fidanzata)

92,7 91,8 89,8 95,6 11,6 101

Mi diverte provare. almeno ogni tan-to. prodotti nuovi e diversi dal solito

65,9 63,3 69,0 66,2 11,4 102

Per principio. acquisto prodotti poco reclamizzati

43,2 45,2 43,0 39,8 10,8 103

Sono vegetariana/o 10,0 7,7 13,1 9,5 10,8 104

Preoccupazione: La sicurezza della propria vecchiaia

82,6 84,5 79,1 84,2 10,8 105

Vedere un film registrato (vhs. dvd) (ultime 2 settimane)

60,7 58,7 64,1 59,3 10,8 106

Nella vita è importante ottenere risul-tati concreti

92,6 94,6 89,4 93,8 10,4 107

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ITEM (C “Comportamenti”: 2.138 italiani adulti)

TOT (2.138)

T1: Generativi(42.6%)

T2: Emancipati(34.9%)

T3: Coniugati (22.5%)

Σ % N

Se appena possibile. mi piace fare va-canze al mare

69,6 72,1 66,9 68,9 10,4 108

Le centrali nucleari mi fanno paura 59,0 61,6 57,4 56,4 10,4 109

Praticare attivamente uno sport (ul-timi 12 mesi

43,7 42,6 46,5 41,3 10,4 110

Andare a concerti di musica classica (ultimi 12 mesi)

17,2 14,3 19,2 19,5 10,4 111

Fotocamera digitale (a disposizione personale)

38,8 41,2 37,5 36,1 10,2 112

Valore: La buona tavola 79,4 78,8 74,3 79,3 10,0 113

Conclusioni e commento A conclusione del lavoro possiamo sviluppare al-

cune riflessioni. Partendo da alcuni dati metodologici e in particolare dal fatto che il cam-pione su cui si basa la ricerca è molto più rappresentativo della popolazione adulta nazionale di quanto non accada in molta della ricerca psicolo-gica pubblicata, dove prevalgono campioni di comodo basati principalmente su studenti universi-tari. Il che potrebbe portare ad alcune variazioni rispetto ad altri lavori presenti in letteratura, in quanto i soggetti avvicinati nella presente ricerca so-no più vicini alla distribuzione reale della popolazione, e quindi meno colti, di età maggiore e in misura maggiore uomini rispetto al medio cam-pione su cui ci si basano appunto molti dei contributi presenti nelle riviste di psicologia.

Ricordiamo altresì che stiamo trattando di atteg-giamenti, di auto-immagini, di tipi personologici e valoriali: non di comportamenti. Il che significa che, in questa sede, interessano le rappresentazioni per-sonali e le rappresentazioni ideali, molto più che i dati sociologici e anagrafici.

Ciò posto, possiamo notare come il tema della famiglia e quello della generatività risultano eviden-temente legati in modo stretto. Avviene dunque che i cambiamenti, che nella nostra cultura sono inter-venuti rispetto all'uno dei temi si riflettono necessariamente in cambiamenti anche nell'altro, senza che sia facile determinare con qualche certezza il rapporto causale eventualmente presente tra i due, così come le molte altre variabili che entrano in gio-co.

Alla luce di quanto evidenziato nella rassegna preliminare della letteratura di ricerca, tutto quanto attiene al tema famiglia-matrimonio-figli appare complesso e per nulla banale. Nessuno dei dati e-mersi dalla presente ricerca può quindi essere

considerato ovvio, anche quando conferma qualche aspettativa già diffusa. E' infatti evidente che, in questo campo, niente è ben sicuro.

Dall'analisi delle ricerche disponibili, appare evi-dente che non c'è un nesso forte e diretto che leghi le tre variabili. Per cui non si può certo dire che sia-no automaticamente più o meno soddisfatti quelli con figli o quelli senza figli, quelli che hanno deciso di averne oppure no, di sposarsi oppure no, di met-tere su famiglia oppure no e così via.

I dati qui pubblicati sembrano confermare alcu-ne analisi presenti nella letteratura scientifica, secondo i quali si può rilevare che, almeno in termi-ni valoriali, il costrutto della famiglia, come luogo dell'interazione affettiva e della solidarietà, e il co-strutto della generatività, come modo della riproduzione e dell'avanzamento generazionale, ten-dono a separarsi, almeno nell'ambito della cultura (italiana) moderna. Il mutuo aiuto familiare non comprende necessariamente il fatto di avere dei figli. Il che suggerisce che si vadano sviluppando modi sempre più diversi di concepire la costituzione di patti solidali tra adulti.

Per capire questo fenomeno occorre peraltro evi-tare un fraintendimento che a volte sembra invece essere piuttosto radicato in alcuni studiosi, ma mol-to più presente a livello di dibattito tra i politici di professione e molto meno fra i cittadini normali. Sembra infatti a volte che si confonda la tolleranza di un comportamento con la sua accettazione sul piano personale o persino con la promozione attiva del comportamento medesimo. Il che chiaramente non è. Infatti, tanto per fare un esempio elementare quanto ovvio: considerare del tutto ammissibili forme di matrimonio tra coppie dello stesso sesso non significa affatto necessariamente avere intenzio-ne di contrarre personalmente un matrimonio del genere; e ancora meno significa ritenere che tutti

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dovrebbero farlo e quindi cercare di indurli con ogni mezzo a realizzare le proprie scelte in tale direzione.

Si conferma la tendenza ad immaginare i figli soprattutto all'interno del matrimonio. Si conferma però anche il fatto che il matrimonio è un costrutto culturale e identitario, che si va separando da ele-menti che pure in tempi passati vi venivano identificati con sicurezza; come già abbiamo rilevato nella già citata precedente ricerca, che evidenzia una chiara indipendenza soggettiva tra sesso, amore e matrimonio (Perussia e Viano, 2006c) e che qui ri-troviamo per molti aspetti confermata, nella evidente indipendenza soggettiva tra matrimonio, famiglia e figli.

Appare evidente come, nella cultura italiana (al-meno nei termini in cui viene testimoniata sistematicamente dal campione avvicinato in questa ricerca), il valore della famiglia si correla fortemente con la fede religiosa cattolica. Il che pone la com-plessa questione del fatto che la stragrande maggioranza degli Italiani, secondo molte indagini, ama definirsi cattolica in via di principio, ma poi solo una ristretta minoranza frequenta la messa o segue la maggioranza dei sacramenti (Perussia, 2008).

Si conferma quanto è stato rilevato in una recen-te indagine realizzata in ambito francese (Régnier-Loilier e Prioux, 2008). Questa ha evidenziato infat-ti, in una cultura che è latina come la nostra ma che è anche tradizionalmente più laica di quella italiana, un simile circuito causale da cui emerge il collega-mento piuttosto stretto, in termini di correlazione statistica, tra fenomeni diversi e storicamente in for-te evoluzione quali: coabitazioni non-matrimoniali, procreazione, adesione alla religione ufficiale del Pa-ese. Nel caso dei Francesi, appare chiaro infatti che i cattolici, rispetto al resto della popolazione, sono meno portati alla coabitazione non-matrimoniale, ma più portati a generare figli; cosicché, di fatto, la netta diminuzione delle nascite è in correlazione con la diminuita adesione alla religione cattolica.

Gli autori sintetizzano il fenomeno in questi termini: "Per i cristiani più praticanti, il cui numero si è notevolmente ridotto, il matrimonio rimane pressoché obbligatorio, e rappresenta spesso un im-pegno per tutta la vita, ma continua a rappresentare lo scenario entro il quale nascono i bambini, mentre i matrimoni senza figli sono una rarità. Il numero dei figli: sempre superiore alla media, è addirittura aumentato nelle ultime generazioni. Al contrario, le persone che non si dichiarano religiose, rifiutano il matrimonio più degli altri, e sperimentano percorsi coniugali più complessi, mentre crescono le unioni senza figli o con pochi bambini. Il comportamento

di quanti dichiarano di appartenere a una religione, ma senza praticarla – che è la categoria più numero-sa – si colloca tra questi due estremi" (Régnier-Loilier e Prioux, 2008, 4).

L'idea di un nucleo stabile di riferimento, gene-ricamente definibile come familiare, continua a godere di grande popolarità. Vi sono tuttavia forti indizi del fatto che il termine famiglia, che nel lin-guaggio comune tende a confondere la famiglia di origine-appartenenza (i miei genitori, i miei fratelli) con la famiglia di elezione (il mio partner e i suoi parenti) e con la famiglia di discendenza (i figli), si va più chiaramente separando nelle sue varie com-ponenti. Gli atteggiamenti delle persone sembrano cioè diventare più analitici e relativamente meno confusivi rispetto a tali differenti costrutti.

Dove, ad esempio, è interessante notare come il Tipo-Cluster 3, dei "Coniugati" non attribuisca una particolare rilevanza valoriale ai figli, pur essendo quello che ne ha generati in misura elevata. Da que-sto punto di vista sembrerebbe infatti che tale tipologia di persone veda la procreazione in termini relativamente fatalistici. Il fatto di avere figli, e ma-gari anche di amarli molto (dato qui non rilevato, ma certo probabile), sembra cioè rappresentare un fatto naturale, che è connesso nei fatti ma che è an-che potenzialmente indipendente negli ideali, rispetto alla costruzione della coppia. Mentre il par-tner (il sogno d'amore) pare essere il vero punto di riferimento esistenziale e la vera e propria scelta per queste persone. Secondo tale possibile lettura, questi soggetti potrebbero in primo luogo avere scelto un altro essere umano, come proprio punto di ancorag-gio esistenziale, dal rapporto col quale sono eventualmente discesi dei figli, magari amatissimi di per se stessi, ma in qualche modo inesorabilmente accessori e semi-indipendenti dalle proprie scelte o specifiche volontà (benché eventualmente apprezza-ti).

In conclusione: probabilmente una delle sfide scientifiche per il futuro della ricerca psicologica in materia di familismo sarà quella di capire meglio, in forma analitica, le variabili effettivamente in gioco.

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Rendimento scolastico, fattori della personalità, processi motivazionali e sistema del sé: Una rassegna sullo sviluppo

degli studi

Mauro MELEDDU*, Laura Francesca SCALAS** *Dipartimento di Psicologia - Università di Cagliari

**Department of Education - University of Oxford, UK

ABSTRACT - Academic achievement, personality factors, motivational processes, and self-system: Towards a multi-factorial, interactive and integrated perspective - A long standing research tradition has been devoted to the study of the factors that can affect academic achievement. Several empirical studies have confirmed the importance of personality factors, of motivational processes and of the self-system. However, often, results appear to be partial and contradic-tory. For this reason, the complex nature of the topic suggests the need to investigate this issue from a multi-factorial and integrated perspective. The present study examines the literature about this topic, from primary school to univer-sity, with the principal aim of highlighting the reasons that justify the need of a multi-factorial, interactive and integrated perspective on the problem. In this framework, the review is divided into three main sections: Personality factors (Extraversion, Neurotcism, Psychoticism, Big-Five); Motivation and self-representations (possible-selves, self-esteem); Multi-Factorial, interactive, integrated perspective. KEY WORDS: Academic achievement, Personality, Mo-tivation, Self-system. RIASSUNTO – Una lunga tradizione di ricerca si è dedicata allo studio dei fattori che influenzano il rendimento scolastico. Diversi studi empirici hanno confermato l’importanza della personalità, dei processi motivazionali e del si-stema del sé. Spesso, tuttavia, numerosi risultati appaiono settoriali e contradditori. Di conseguenza, la complessa natura dell’argomento suggerisce l’esigenza di studiare il problema da un punto di vista multifattoriale ed integrato. Lo studio esamina la letteratura sull’argomento, dalla scuola primaria all’università, con l’obiettivo principale di met-tere in evidenza i motivi che giustificano l’esigenza di affrontare il problema in una prospettiva multifattoriale, interattiva e integrata. L’esposizione si divide in tre parti principali: Fattori della personalità ((Estroversione, Nevroti-cismo, Psicoticismo e Big-Five); Motivazione e rappresentazioni del sé (sé possibili e autostima); Prospettiva plurifattoriale, interattiva, integrata. PAROLE CHIAVE: Rendimento scolastico, Personalità, Motivazione, Sistema del sé.

Introduzione I fattori che contribuiscono al successo scolastico

sono oggetto di studio da diversi anni. Una tradi-zione consolidata di ricerca ha messo in evidenza l’importanza dei fattori della personalità e di quelli motivazionali. Diverse indagini hanno esaminato, nell’ambito delle prospettive di H.J. Eysenck, di Cattell e dei Big-Five (McCrae e Costa, 1997), la relazione esistente tra dimensioni di personalità e rendimento scolastico. Secondo Cattell e collabora-tori (Cattell e Butcher, 1968; Cattell, Sealy e Sweney, 1966), l’intelligenza, i fattori primari della personalità e quelli motivazionali contribuiscono alla spiegazione della varianza totale del successo scolastico con un peso di circa il 25% per ciascuna delle tre componenti. Cattell, Barton e Dielman (1972) hanno riscontrato che questi pesi variano in

rapporto alle diverse discipline educative; ciò sugge-risce una certa cautela nella generalizzazione dei valori sopra indicati (cfr. Entwistle, 1972). Chamor-ro-Premuzic e Furnham (2003a) hanno rilevato che estroversione, nevroticismo e psicoticismo spiegano una percentuale del 17% della varianza globale dell’esito agli esami universitari. Gli stessi autori (Chamorro-Premuzic e Furnham, 2003b) hanno trovato che estoversione, nevroticismo e coscienzio-sità spiegano il 15% della varianza dei voti universitari e che, prendendo in considerazione dei tratti primari come l’orientamento al successo, l’autodisciplina e l’attività, la percentuale di varianza spiegata da queste caratteristiche specifiche sale a circa il 30%. L’importanza dei fattori della persona-lità, della motivazione e dell’intelligenza è ampiamente documentata nella letteratura sull’argomento (cfr. Bidjerano e Dai, 2007; Cha-morro-Premuzic e Arteche, 2008; De Raad e

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Schouwenburg, 1996; Furnham, Chamorro-Premuzic e McDougall, 2003; Furnham e Monsen, 2009; Noftle e Robins, 2007; O’Connor e Pauno-nen, 2007). A questi fattori si aggiunge il contributo essenziale del sé (cfr. Baumeister et al. 2003; Byrne, 1984, 1996; Hansford e Hattie, 1982; Marsh, 1993; Marsh e Craven, 1997, 2005, 2006; Marsh e Hattie, 1996). L’analisi degli studi, tuttavia, mette in risalto frequenti contraddizioni che richiedono ulteriori in-dagini in una prospettiva multifattoriale. Molti studi sembrano indicare che il successo scolastico sia in-fluenzato da diversi fattori individuali ed ambientali. In particolare, parecchi elementi suggeriscono l’esigenza di esaminare il contributo di ciascuna va-riabile alla predizione del successo scolastico all’interno di un complesso quadro di interazioni. È da tenere presente che la complessità dell’argomento e lo stretto legame con fattori culturali ed ambientali non sempre consentono un valido confronto tra re-altà che sono differenti in termini spaziali e temporali. Inoltre, le ricerche più datate solitamente sono state condotte con metodi elementari quali, ad esempio, semplici confronti di medie, percentuali e calcoli di coefficienti di correlazione. Pertanto, i ri-sultati di tali studi, seppur interessanti sul piano storico, appaiono a volte limitati e non sufficiente-mente utili ai fini della comprensione del problema nella situazione attuale.

In questo contesto, il presente lavoro prende in considerazione lo sviluppo degli studi che hanno e-saminato il contributo fornito al successo scolastico dalla personalità, dai fattori motivazionali e da quelli legati al sistema del sé. In particolare, si propone di evidenziare i motivi che, partendo da un punto di vista settoriale, conducono all’esigenza di affrontare l’argomento in una prospettiva più estesa ed integra-ta.

Fattori della personalità Per quanto concerne i fattori della personalità,

numerosi studi hanno messo evidenza differenze di rendimento in relazione all’introversione, al nevroti-cismo e allo psicoticismo (cfr. H.J. Eysenck, M.W. Eysenck, 1992). In base alla concezione di H.J. E-ysenck (1957, 1967), a partire dalle scuole superiori, il rendimento scolastico dovrebbe essere favorito dal nevroticismo e dall’introversione mentre dovrebbe essere ostacolato dallo psicoticismo (cfr. H.J E-ysenck, M.W. Eysenck, 1992; Lynn, 1959). I risultati delle ricerche, tuttavia, mostrano un insie-me complesso di relazioni tra successo scolastico, fattori individuali e situazionali. In particolare, sulle

differenze di rendimento influiscono diversi fattori come l’età, le capacità ed il sesso dei soggetti, gli strumenti di indagine, la specificità del campione studiato, l’ambiente, i metodi di insegnamento ed il tipo di disciplina.

ESTROVERSIONE E NEVROTICISMO Inversione degli effetti Diversi studi condotti in Inghilterra e negli USA

(cfr. Barton, Dielman e Cattell, 1971, 1972; Cattell e Butcher, 1968; Elliot, 1972; Entwistle, 1972; H.J. Eysenck, 1971; H.J. Eysenck e Cookson, 1969; Jen-sen, 1973; Lavin, 1967; Petrides et al., 2005; Sarason et al., 1960) suggeriscono che, dalla scuola primaria sino all’età di circa 14 anni, l’estroversione e la stabilità emotiva correlano positivamente con le capacità associate al rendimento scolastico mentre, a partire dalle superiori, si verifica un’inversione di tendenza. Questo schema lineare, tuttavia, è reso più complesso dall’interazione di diversi fattori come quelli evidenziati nei paragrafi seguenti.

Elementari, medie e primo ciclo delle superiori Dalla scuola elementare sino ai primi anni delle

superiori, sono emerse variazioni in rapporto a di-versi elementi come gli strumenti utilizzati (cfr. Butcher, Ainsworth e Nesbitt, 1963), il tipo di scuola, i soggetti, le capacità, l’età (Callard e Goo-dfellow, 1962; Cattell, Sealy e Sweney, 1966; Entwistle, 1972; Entwistle e Welsh, 1969), il sesso (Entwistle e Cunningham, 1968; Entwistle e Welsh, 1969; H.J. Eysenck e Cookson, 1969), il metodo di insegnamento, il tipo di compito (cfr. Elliot, 1972; Entwistle, 1972; Leith e Wisdom, 1970; Shadbolt, 1978; Trown e Leith, 1975) e l’ambiente (Butcher, Ainsworth e Nesbitt, 1963; Cattell e Butcher, 1968; Entwistle, 1972; Entwistle e Welsh, 1969).

In particolare, sono da sottolineare le differenze in rapporto ai due fattori della personalità (Leith e Bosett, 1967; Leith e Davis, 1969), al tipo di disci-plina (Savane, 1966) ed al sesso. Ad esempio, in riferimento a questo aspetto, dalla ricerca di H.J. Eysenk e Cookson (1969) è emerso che, all’età di 11 anni, i soggetti stabili (con basso nevroticismo) dei due sessi presentano un rendimento marginalmente migliore di quelli instabili (alto nevroticismo), men-tre è risultata significativa l’interazione tra sesso, estroversione e nevroticismo: i risultati sono positivi per le ragazze estroverse instabili, mentre sono nega-tivi per gli estroversi instabili. Sovente, le differenze di rendimento in relazione al sesso appaiono associa-

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te ai punteggi più elevati di introversione e nevroti-cismo generalmente riscontrati nelle femmine rispetto ai loro coetanei nei vari livelli d’età (es. Co-stello e Brachman, 1962; S.B.G. Eysenck; 1965; Lynn, 1959, 1971; Sarason et al., 1960).

Altri aspetti di nota riguardano le strategie edu-cative, e lo sviluppo cronologico.

Strategie educative - Alcune ricerche britanniche hanno trovato che metodi educativi differenti, come quelli di tipo strutturato, supportivo (Leith e Bosett, 1967; Leith e Davis, 1969; Leith e Wisdom, 1970; Shadbolt, 1978) ed esplorativo (Trown e Leith, 1975), favoriscono con modalità diverse e a seconda dell’età, a volte soltanto i soggetti ansiosi, altre volte avvantaggiano gli introversi e sfavoriscono gli estro-versi. Altri studi (cfr. Leith e Trown, 1970) hanno messo in evidenza che, in determinati compiti di apprendimento, la presentazione delle regole dopo gli esempi risulta significativamente più vantaggiosa per gli estroversi e non significativa in riferimento alle differenze di ansia. Da un punto di vista genera-le, Elliot (1972) ha ipotizzato che, nella scuola primaria, gli estroversi rendano meglio degli intro-versi quando il compito da affrontare supera una certa soglia di difficoltà. Ciò in quanto gli introversi sono più suscettibili agli effetti neurofisiologici delle punizioni o della carenza di rinforzi anticipati (cfr. Gray, 1970).

Sviluppo cronologico - Col crescere dell’età, la ci-tata tendenza all’inversione sembra variare in riferimento al sesso, le capacità, le motivazioni, i fat-tori economici (cfr. Entwistle e Cunningham, 1968; Entwistle e Welsh (1969) e quelli ambientali (es. Maqsud, 1993).

In riferimento agli aspetti socio-culturali, Bu-tcher, Ainsworth e Nesbitt (1963), confrontando studenti inglesi e americani di 12-14 anni d’età, non hanno trovato differenze significative tra i gruppi nell’estroversione e nell’ansietà. Dalla ricerca, tutta-via, è emerso che la socievolezza, negli studenti americani, tende a correlare positivamente con il rendimento scolastico mentre, nel campione britan-nico, la stessa correlazione non risulta significativa. Altri studi (cfr. Cattell e Butcher, 1968) hanno in-dividuato differenze di rendimento tra residenti in zone urbane e residenti in zone rurali. Laidra, Pul-lmann e Allik (2007), in ampio campione di studenti proveniente da tutta l’Estonia, hanno tro-vato che il nevroticismo correla negativamente con il rendimento in quasi tutti i livelli scolastici dalle e-lementari alla scuola superiore.

In relazione all’età, è stato anche ipotizzato un effetto di interazione sul rendimento dovuto a diffe-renze di sviluppo nelle dimensioni della personalità.

Infatti, il grado di estroversione e di stabilità dell'in-dividuo aumentano con l’età (es. Callard e Goodfellow, 1962; S.B.G. Eysenck e H.J. Eysenck, 1969). L’estroversione, in particolare, dopo una cre-scita regolare durante l'infanzia ed il raggiungimento di un picco verso i quattordici anni, tende successi-vamente a diminuire (Antony, 1973; S.B.G. Eysenck, 1965). Così, gli estroversi che hanno suc-cesso a scuola da bambini possono avere ottimi risultati anche nelle scuole superiori, ma ciò può si-gnificare che essi, nel frattempo, sono diventati più introversi (cfr. Antony, 1973, 1977).

Scuole superiori ed università A livello di scuola superiore e universitario, vari

studi condotti in Gran Bretagna (Furneaux, 1957, 1962; Kelvin, Lucas e Ojha, 1965; Lynn, 1959), mostrano che il buon rendimento accademico è as-sociato ad alto nevroticismo ed a bassa estroversione. La tendenza ad un rendimento migliore degli intro-versi e dei nevrotici, nella scuola media superiore e all’università, è stato riscontrato anche in paesi che ricalcano l'organizzazione scolastica britannica come il Ghana e l'Uganda (Honess e Kline, 1974; Kline, 1966) e l’India (cfr. Madan, 1967). Sul raggiungi-mento dei risultati scolastici degli studenti, pertanto, sembra che l'ambiente culturale possa avere una par-ticolare influenza.

Altre ricerche, condotte in diversi paesi, mettono in evidenza una andamento più vario, la cui inter-pretazione richiede la considerazione di modelli teorici che tengano conto, sia dei fattori di persona-lità, che del tipo di situazione (Kelvin, Lucas e Ojha, 1965). Per quanto concerne l’Inghilterra, alcune in-dagini (Entwistle e Brennan, 1971; Entwistle e Entwistle, 1970) hanno riscontrato che gli studenti universitari e di college con profitto migliore sono caratterizzati da introversione, stabilità, buon meto-do di studio e anche alta motivazione (Entwistle e Brennan (1971). Nel rendimento finale di studenti universitarie inglesi, Furnham e Medhurst (1995) hanno rilevato che gli introversi stabili hanno otte-nuto risultati migliori degli estroversi instabili. La loro ricerca, tuttavia, ha mostrato che l’introversione, più che l’estroversione, è associata positivamente alla valutazione del comportamento tenuto durante seminari universitari. Inoltre, l’indagine ha messo in evidenza che l’ambiguità dei risultati sull’argomento può essere attribuita anche agli strumenti di misura. Infatti, nella stessa ricerca, gli autori hanno condotto quattro studi utilizzando questionari di personalità diversi ma simili: l’EPQ di H.J. Eysenck, il Learning Style Questionnaire, il 16

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PF di Cattell e il Myers-Briggs Type Indicator. Complessivamente, dai risultati è emerso che soltan-to l’EPQ è apparso sistematicamente correlato con il rendimento accademico finale. Recenti studi con-dotti in Gran Bretagna e Spagna (Chamorro-Premuzic e Furnham, 2003a; Sanchez-Marin, Reja-no-Infante e Rodriguez-Troyano, 2001) hanno confermato che il nevroticismo e l’estroversione pos-sono limitare il successo accademico (vedi anche De Raad e Shouwenburg, 1996).

Cowell e Entwistle (1971), invece, in studenti frequentanti un technical college in Inghilterra, hanno riscontrato che gli introversi stabili possiedo-no migliori attitudini di studio, ma non mostrano differenze significativamente superiori rispetto agli estroversi nei risultati agli esami. In un’indagine condotta in Iran sull’esito dell’esame d’ingresso all’università (Mehryar et al., 1973) non sono emer-se relazioni significative tra il nevroticismo ed i punteggi ai test cognitivi e di rendimento accademi-co, mentre è stata rilevata una correlazione positiva tra estroversione ed i risultati ottenuti in queste pro-ve. Inoltre, indagini estoni e britanniche non hanno individuato alcuna relazione significativa stabile tra introversione-estroversione, nevroticismo e rendi-mento universitario (cfr. Allik e Realo, 1997; Kline e Gale, 1971).

Altri studi britannici hanno messo in evidenza diversità di rendimento in riferimento all’estroversione ed al nevroticismo in funzione di differenze di attitudini per le varie aree disciplinari (cfr. Entwistle, 1972; H.J. Eysenck e S.B.G. E-ysenck, 1969; Furneaux, 1957; Smithers e Batcock, 1971; Wankowski, 1968) ma anche in funzione del-la motivazione professionale (Smithers e Batcock, 1971) e del sesso (Wilson, 1971).

Negli USA, Goh e Moore (1978) hanno riscon-trato che l’introversione è il miglior predittore del rendimento universitario specialmente tra gli stu-denti di facoltà scientifiche, mentre non hanno rilevato correlazioni significative per il nevroticismo. In generale, anche le indagini effettuate in USA for-niscono dati contrastanti; tuttavia, la rassegna effettuata da Lavin (1967) sembra indicare che, in media, i soggetti introversi-stabili hanno un rendi-mento universitario migliore.

Valutazione complessiva della tendenza all’inversione In base alla rassegna degli studi sull’argomento,

Entwistle (1972) conclude che il successo scolastico nella scuola primaria appare legato all’estroversione stabile, mentre all’università è associato

all’introversione. Egli, tuttavia, suggerisce di consi-derare le generalizzazioni con cautela. Infatti, lo schema descritto ha carattere complesso in quanto la tendenza può variare in conseguenza dell’interazione di diversi fattori individuali e situazionali.

Indicazioni significative sul rapporto tra estrover-sione e rendimento scolastico possono essere tratte da una recente meta-analisi (Boyd, 2007) effettuata sugli studi in lingua inglese realizzati dal 1960 al 2007. L’analisi dei dati per livello scolastico ha con-fermato che, dalle elementari alle medie, la l’estroversione correla positivamente col rendimen-to; la tendenza prosegue alle superiori anche se in maniera meno marcata; al college, invece, si registra un’inversione di tendenza. L’indagine ha anche in-dicato che sulla relazione analizzata incidono diverse variabili, come la modalità di misurazione del ren-dimento scolastico e dell’estroversione, il luogo geografico e la data dell’indagine.

Per quanto concerne il nevroticismo, gli esiti ap-paiono più incerti. Diversi risultati non confermano la conclusione di alcune ricerche secondo le quali, una volta arrivati ai livelli di studio universitario, sembrerebbe che un alto punteggio nel nevroticismo cessi di essere uno svantaggio e diventi invece un vantaggio (cfr. Furneaux, 1957; Kelvin, Lucas e O-jha, 1965; Lynn, 1959). Oltre a quelle citate precedentemente (es. Goh e Moore, 1978; Allik e Realo, 1997; Entwistle, 1972; Kline e Gale, 1971, Lavin, 1967), si riscontrano numerosi differenze in riferimento a fattori come l’ambiente, il criterio di misurazione ed il tipo di costrutto utilizzato. Ciò ha portato ad avanzare varie ipotesi interpretative.

La funzione pulsionale dell’ansia Per spiegare la contraddittorietà dei risultati ot-

tenuti nei vari livelli di età evidenziata dalla nostra rassegna della letteratura sui gradi scolastici, è stata ipotizzata una relazione di curvilinearità con il ren-dimento, come conseguenza della funzione pulsionale dell’ansietà (cfr. Lynn e Gordon, 1961). In riferimento a questo aspetto, in studenti universi-tari australiani, Savage (1962) ha trovato che il rendimento accademico correla negativamente sia con l’estroversione che con il nevroticismo; a questo riguardo, in accordo con Lynn e Gordon (1961), l’autore ha suggerito che un livello ottimale di ne-vroticismo possa influenzare il successo accademico secondo un rapporto ad U.

Tali interpretazioni si basano sul modello pul-sionale di K.W. Spence riconducibile alla formula P = H x D. Secondo questo modello (cfr. K.W Spen-ce, 1956; 1958; J.T. Spence e K.W Spence, 1966) la

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prestazione P (performance) deriva dal prodotto dell’ansia D (drive), intesa come pulsione, per l’abitudine H (habit). Questa (H) rappresenta l’aspetto direttivo del comportamento, mentre gli stati pulsionali (D) dell’organismo agiscono in ter-mini energizzanti. In altri termini, l’abitudine determina il tipo particolare di prestazione compor-tamentale; la pulsione invece agisce sul vigore e l’intensità della stessa prestazione. Nella formula, l’intensità della pulsione e la forza dell’abitudine possono essere valutate, rispettivamente, mediante l’utilizzo di una scala d’ansia ed il numero di volte che una risposta è stata rinforzata in un una certa situazione. Poiché il rinforzo varia in funzione di fattori individuali e situazionali, da tale modello curvilineo si possono dedurre differenze di presta-zione in rapporto all’interazione dell’intensità dell’ansia con la difficoltà del compito, il livello di capacità e le esperienze precedenti. Un alto livello di ansia, pertanto, può facilitare il buon rendimento dello studente in alcune condizioni positive come quelle presenti in certi tipi di scuole, facoltà o disci-pline, ma non in altre. Il livello ottimale, tuttavia, può variare in funzione di diversi fattori riguardanti il soggetto e il tipo di compito o di materia. A soste-gno di questa tesi, gli studi di Spielberger (1966) hanno dimostrato come l'ansia possa migliorare le prestazioni nel caso di compiti semplici, ma costitui-sca un ostacolo di fronte a compiti più difficili ed articolati. Inoltre, essi indicano che i risultati conse-guiti sono anche funzione delle esperienze precedenti e del livello di intelligenza personale.

In questa prospettiva, H.J. Eysenck (1972) ha suggerito un’ipotesi che considera la carriera scola-stica britannica come caratterizzata da una forte selezione basata sul superamento di numerosi osta-coli. Di conseguenza si può prevedere una correlazione negativa tra nevroticismo e successo scolastico ai livelli educativi più bassi; ossia, dove la selezione non è ancora avvenuta e l’ansia produce un effetto moltiplicatore in rapporto alle cattive abitu-dini di studio. Al contrario, ci si può aspettare che il nevroticismo correli positivamente con il successo scolastico in quei soggetti che hanno superato una dura selezione, come solitamente avviene per gli studenti britannici. In queste condizioni, col cresce-re dell’età e della difficoltà dei compiti, il successo dovrebbe essere favorito dall’effetto moltiplicatore derivante dal prodotto dell’ansia per le buone abitu-dini di studio.

Per quanto concerne il rapporto con l’insuccesso, Cattell (1957) ha dimostrato che l'ansia può essere una conseguenza, più che una causa, dello scarso profitto. Inoltre, come sostengono Entwistle (1972)

e H.J. Eysenck (1972), una variabile che è fonte di confusione in questi studi riguarda l’inadeguata se-parazione tra ansia inerente ad uno stato e quella che, invece, riguarda un tratto. Come conseguenza, i soggetti che presentano una alto indice di nevrotici-smo come tratto, non necessariamente di fronte ad un compito specifico potrebbero manifestare un alto indice di ansietà. In generale, anche alcuni studi re-centi, condotti con i questionari di H.J. Eysenck o con quello dei Big-Five, suggeriscono che di fronte a compiti complessi, come quelli legati alle valutazioni di fine corso, il nevroticismo agisca negativamente, e in modo significativo, sul rendimento (Chamorro-Premuzie e Furnham, 2003a, 2003b). Al contrario, altri studi non hanno riscontrato correlazioni signi-ficative tra nevroticismo e il risultato agli esami universitari sia negli USA che in Inghilterra (cfr. Bolger, 1990; Furnham, Chamorro-Premuzic e McDougall, 2003; Goh e Moore, 1978). Risultati simili sono stati ottenuti in Italia, con studenti delle superiori, in riferimento alla stabilità emotiva misu-rata con il questionario dei Big-Five (Di Fabio e Busoni, 2007).

Questi dati, soprattutto per quanto concerne gli effetti dell’ansia, evidenziano l’esigenza di tenere conto delle condizioni in cui si svolgono le prove e, conseguentemente, pongono anche il problema del tipo di strumento di misura da utilizzare. Inoltre, suggeriscono l’opportunità di prendere in considera-zione una prospettiva dinamica che non si fermi all’analisi in momento specifico, ma che si estenda agli sviluppi degli effetti derivanti da una certa situa-zione.

PSICOTICISMO Per quanto riguarda la dimensione dello psicoti-

cismo, gli studi condotti sulla relazione con il rendimento scolastico sono meno numerosi, ma più coerenti rispetto a quelli riguardanti l’estroversione ed il nevroticismo. In uno di questi studi, condotto su studenti spagnoli con età media di 13.6 anni, A-luja-Fabregat e Torrubia-Beltri (1998) hanno evidenziato, sia per i maschi che per le femmine, un’associazione negativa tra i punteggi allo psicotici-smo ed il giudizio sull’attitudine agli studi espressa dagli insegnati. Anche Aluja-Fabregat e colleghi (1999), in un campione di studenti spagnoli dei due sessi con età media di 13,6 anni, hanno rilevato che gli alunni giudicati dai loro insegnanti come dotati di positive attitudini agli studi presentavano bassi punteggi nello psicoticismo, mentre quelli caratte-rizzati da disadattamento, con aggressività ed eccitabilità, mostravano elevati punteggi nello psico-

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ticismo. Similmente, nella ricerca citata, Maqsud (1993) ha rilevato una correlazione negativa tra psi-coticismo e successo scolastico in studenti dei due sessi frequentanti la scuola secondaria. Heaven e col-leghi (2002), in studenti australiani delle superiori, hanno trovato che i punteggi bassi nello psicotici-smo, e quelli elevati nella coscienziosità, costituiscono degli efficaci predittori sia delle attitu-dini che delle capacità scolastiche. Heaven, Ciarrochi e Vialle (2007), in studenti australiani frequentanti il primo anno della high school, hanno trovato una relazione non significativa tra il voti in varie discipline e i punteggi di psicoticismo; tuttavia, esaminando le variazioni nel corso di un anno, han-no riscontrato che gli incrementi dei punteggi nello psicoticismo correlano negativamente con il rendi-mento scolastico finale. Goh e Moore (1978), in uno studio condotto su tre gruppi di studenti ame-ricani frequentanti l'università, un istituto tecnico-professionale e una scuola superiore, hanno riscon-trato una correlazione negativa tra psicoticismo e rendimento. Dalla ricerca precedentemente citata di Mehryar et al. (1973), è emersa un’influenza negati-va dello psicoticismo sulle prove di ingresso all’università, seppure con qualche differenza in rap-porto al sesso ed all’effetto congiunto dell’estroversione. Infattti, i risultati hanno messo in evidenza che, tra le ragazze con alto psicoticismo, le introverse hanno mostrato migliori risultati rispetto alle estroverse. Al contrario, tra i maschi con alto psicoticismo, gli estroversi hanno ottenuto migliori prestazioni degli introversi. Comunque, è da sotto-lineare che, indipendentemente dal sesso, gli estroversi con basso psicoticismo hanno ottenuto il miglior rendimento. Più recentemente, Sanchez-Marin e colleghi (2001) hanno esaminato, con il 16PF (Cattell, 1978), il profilo di un gruppo di stu-denti universitari spagnoli che avevano cambiato una o due volte l’indirizzo di studi prescelto; l’analisi ha messo in evidenza che il campione presentava ca-ratteristiche riconducibili ad alto psicoticismo, oltre che ad elevata intensità di estroversione e nevrotici-smo. La relazione negativa tra psicoticismo e rendimento scolastico è stata confermata da alcuni studi in rapporto alla performance sia nell’educazione secondaria (Petrides et al., 2005), sia nell’ambito di corsi seminariali e delle valutazioni finali agli esami universitari (Chamorro-Premuzie e Furnham, 2003a; Furnham e Medhurst, 1995).

Complessivamente la letteratura mette in eviden-za un effetto negativo dello psicoticismo. Tuttavia, la ricerca di Mehryar e colleghi (1973) sembra indi-care che l’associazione dello psicoticismo con altre componenti, in certe condizioni, può avere anche

una funzione incentivante. A questo proposito, è da tenere presente che certi studi (H.J. Eysenck, 1995) hanno trovato che lo psicoticismo correla positiva-mente con la creatività.

BIG-FIVE E RUOLO DELLA COSCIENZIOSITÀ Aspetti discordanti emergono anche prendendo

in considerazione in maniera specifica gli studi effet-tuati mediante il questionario dei Big-Five. In questa prospettiva, tuttavia, emerge frequentemente il ruolo significativo della coscienziosità. Asendorpf e Van Aken (2003) hanno esaminato, con un’indagine longitudinale di 9, anni il profilo ai Big-Five di bambini tedeschi; i risultati hanno mes-so in evidenza che, dai 4 ai 12, anni la coscienziosità correla positivamente con alcuni indici legati al suc-cesso scolastico (ad esempio: la corrispondenza del livello di scolarità frequentato con quello normal-mente atteso per le diverse età). Ehrler (2005), in studenti americani di età compresa tra i 13 ed 16 anni, ha trovato che soltanto l’apertura all’esperienza correla, in maniera leggera o moderata, con diversi indici di rendimento scolastico. Laidra, Pullmann e Allik (2007), in un campione di studenti estoni, hanno rilevato che il nevroticismo e la coscienziosità correlano, rispettivamente, in maniera negativa e positiva con il rendimento in quasi tutti i livelli sco-lastici compresi tra le elementari e la scuola secondaria. Dallo studio di Furnham e Monsen (2009), condotto in Inghilterra su studenti di 15-16 anni d’età, la relazione tra rendimento generale e nevroticismo non è risultata significativa; nelle scienze, il risultato migliore è stato ottenuto dagli studenti introversi stabili e coscienziosi; una tenden-za simile è emersa per la lingua e la letteratura inglese ma con differenze in rapporto al sesso; nelle lingue straniere, soltanto la coscienziosità ha mostra-to un cero legame con i punteggi di rendimento. Steinmayr e Spinath (2007), in studenti tedeschi delle scuole superiori con età media di circa 17 anni, hanno trovato che, tra i Big-Five, soltanto la co-scienziosità è legata significativamente (in maniera positiva) con il rendimento. Nella ricerca su studen-ti italiani delle superiori, sopra citata, Di Fabio e Busoni (2007) non hanno ottenuto relazioni signifi-cative tra rendimento agli studi e, rispettivamente, stabilità emotiva ed estroversione, mentre hanno ri-scontrato conferma per la associazione significativamente positiva con la coscienziosità. Goff e Ackerman (1992), negli USA, hanno trovato una bassa correlazione tra i Big-Five ed il punteggio medio ai voti riportati sia a livello superiore che uni-versitario. Furnham, Chamorro-Premuzic e

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McDougall (2003) hanno trovato che, in studenti universitari britannici, il rendimento correla positi-vamente con la coscienziosità, negativamente con l’estroversione e in maniera non significativa con il nevroticismo; in particolare, la coscienziosità è risul-tata come il miglior predittore del rendimento. In un’altra ricerca, condotta su due campioni di stu-denti universitari britannici, Chamorro-Premuzie e Furnham (2003a) hanno applicato, sul primo, il questionario dei Big-Five (Costa e McCrae, 1992) e, sul secondo campione, l’EPQ-R (H.J. Eysenck e M.W. Eysenck, 1992). Lo studio ha messo in evi-denza gli stessi risultati per quanto riguarda la coscienziosità, mentre ha riscontrato una correlazio-ne negativa per il nevroticismo misurato con entrambi gli strumenti. Non sono emerse correla-zioni significative tra voti agli esami ed estroversione; tuttavia, soltanto nel secondo cam-pione, l’estroversione è risultata correlata positivamente con la valutazione finale dell’attività riguardante un progetto di ricerca sviluppato in sei mesi nell’ultimo anno di corso. Secondo gli autori, la valutazione di questa prova può essere considerata come una misura del rendimento in condizioni me-no stressanti di quelle d’esame. Inoltre, può essere interpretata come condizionata da capacità di rela-zione interpersonale stabilite con il supervisore durante lo svolgimento delle attività. Gli autori hanno suggerito che la contraddittorietà dei risultati relativi all’estroversione può essere attribuita a que-sto aspetto relazionale. In un’altra ricerca condotta su studenti universitari britannici, Chamorro-Premuzie e Furnham (2003b) hanno esaminato il rapporto tra i Big-Five ed i voti riportati in diversi esami scritti sostenuti durante tre anni di corso. Dallo studio, è risultato che i voti agli esami corre-lano negativamente con l’estroversione e il nevroticismo, mentre correlano positivamente con la coscienziosità. Allik e Realo (1997), in Estonia, non hanno rinvenuto nessuna relazione tra i Big-Five e le capacità accademiche. Analogamente, Rothstein e colleghi (1994), in studenti frequentanti un Master in Canada, hanno riscontrato che i Big-Five non presentano un’adeguata capacità predittiva del ren-dimento accademico. Rolfhus e Ackerman (1999), esaminando in studenti universitari statunitensi il rapporto tra personalità e il grado di conoscenza in diverse discipline, hanno trovato una relazione non significativa con la coscienziosità e negativa con l’estroversione. Bidjerano e Dai (2007), invece, hanno confermato che la coscienziosità è legata al rendimento accademico in maniera più rilevante ri-spetto al nevroticismo e all’estroversione.

L’importanza della coscienziosità nella predizio-ne del successo scolastico a diversi livelli d’età è stata convalidata da numerosi studi (cfr. Busato et al., 1999, 2000; De Raad e Schouwenburg, 1996; Hea-ven, Ciarrochi, Vialle, 2007; Heaven et al., 2002; Kaufman, Agars e Lopez-Wagner, 2008; Noftle e Robins, 2007; Wagerman e Funder, 2007). In par-ticolare, O’Connor e Paunonen (2007), con una meta-analisi su 23 studi effettuati con i questionari dei Big-Five tra 1991 ed il 2006, hanno confermato che la coscienziosità, a livello post secondario, risulta essere il miglior predittore del rendimento accade-mico; in riferimento all’estroversione, in accordo con i risultati ottenuti da Boyd (2007), l’analisi ha messo in evidenza una tendenziale relazione negativa con il rendimento. Indicazioni di rilievo sulla rela-zione tra Big-Five e successo universitario provengono dalla meta-analisi di 58 indagini con-dotte in 15 nazioni nel periodo 1980-2004 (Trapmann et al., 2007). Dallo studio è emerso un legame significativamente positivo con la coscienzio-sità, mentre il contributo al rendimento offerto dall’estroversione e dal nevroticismo non è risultato sostanzialmente generalizzabile. In base alle modera-tor analyses, gli autori hanno concluso che l’effetto dell’estroversione risulta essere influenzato da fattori culturali: l’estroversione favorisce gli studi in certe culture (es. Asia orientale) mentre in altre, come l’Australia, li ostacola.

In generale, il ruolo positivo della coscienziosità sul rendimento può essere spiegato con le caratteri-stiche dei tratti propri di questa dimensione come ordine, competenza, senso del dovere, auto-disciplina e ambizione (Chamorro-Premuzie e Fur-nham, 2003b), ma anche in termini di legame con la volontà e la motivazione (Chamorro-Premuzic e Furnham, 2005; Ryans, 1939; Sackett, Gruys e El-lingson, 1998).

CARATTERISTICHE PERSONALI E SITUAZIONALI In generale, l’interpretazione dei risultati eviden-

ziati in letteratura sembra richiede la considerazione di un complesso quadro di interazione tra variabili personali e situazionali (cfr. Cattell e Butcher, 1968; Entwistle, 1972; H.J. Eysenck, 1972; Wendy, 2008). Tra i primi, sono da ricordare diversi fattori educativi come i metodi didattici utilizzati, i criteri di selezione e quelli di valutazione ed il tipo di com-pito da affrontare (cfr. Elliot, 1972; H.J. Eysenck, 1972; Leith e Bosett, 1967; Leith e Trown, 1970; Shadbolt, 1978; Spielberge,r 1966; Trown e Leith, 1975).

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Sono anche importanti le differenze sociocultu-rali, di grado e di indirizzo di studi (cfr. Entwistle, 1972; H.J. Eysenck e M.W. Eysenck, 1992; Smi-thers e Batcock, 1971; Trapmann et al., 2007; Wankowski, 1968; Wilson 1971). A seconda del contesto, tali fattori possono rinforzare determinate caratteristiche personali e comportamentali rispetto ad altre. Negli USA, ad esempio, e in maniera più marcata nei paesi latini e mediterranei, l’estroversione tende ad essere un asset più positivo rispetto a quanto avviene in Inghilterra (cfr. Bu-tcher, Ainsworth e Nesbitt, 1963; Cattell e Warburton, 1961). In funzione di questi aspetti, le diverse caratteristiche personali possono interagire con le condizioni di studio.

Nella scuola elementare in genere e, per molti versi, in tutti i livelli scolastici dei paesi mediterra-nei, i metodi di insegnamento adottati incentivano la progettazione ed il lavoro di gruppo, consentono di sostenere gli esami orali, e lasciano ampio spazio all'iniziativa personale, ai ritmi di lavoro e agli inte-ressi individuali (cfr. Faria, 2002; Pepi, Faria e Alesi, 2006). Ciò, molto probabilmente, favorisce i sogget-ti estroversi, socievoli ed espansivi. Inoltre, ad un certo livello di maturità ed esperienza, tale situazio-ne di bassa difficoltà, in accordo con il modello di K.W Spence, dovrebbe ridurre gli effetti negativi del nevroticismo e, in certi casi, favorire quelli incenti-vanti (cfr. H.J. Eysenck, 1972).

In Gran Bretagna, invece, al livello degli studi superiori, si richiede all'individuo di essere capace di lavorare da solo e di eseguire lavori scritti che impli-cano prolungati sforzi di concentrazione. In queste condizioni, al livello superiore di istruzione, l'intro-verso viene probabilmente favorito. Egli, infatti, è un tipo tranquillo, tende all’isolamento, preferisce la lettura e le attività mentali a quelle comportamentali ed probabile che in tal modo sviluppi migliori abi-tudini di studio (Entwistle e Entwistle 1970; H.J. Eysenck e Cookson, 1969). L’estroverso, invece, ama la compagnia, le feste e la competizione, va continuamente alla ricerca di stimoli nuovi, di di-strazioni e di qualcosa che lo possa emozionare (H.J. Eysenck, 1967; Furnham, 1981; Gallagher, 1996). Di conseguenza, un assiduo frequentatore di feste potrebbe limitare il tempo per lo studio ed avere, così, difficoltà di concentrazione e rendimento (H,J. Eysenck, 1992); inoltre, è probabile che la maggior parte dei programmi di istruzione scolastici, come quelli della scuola in Inghilterra, non risultino parti-colarmente stimolanti per gli estroversi.

A questo proposito, alcuni dati sembrano indica-re che gli estroversi rendono meglio negli studi ai quali sono interessati o che percepiscono come non

imposti (Furham e Monsen, 2009). Essi sono più rapidi degli introversi nei compiti brevi e intrinse-camente interessanti, mentre gli introversi rendono meglio nei compiti lunghi e monotoni (H.J. E-ysenck, 1967). Gli estroversi, rispetto agli introversi, hanno una soglia più elevata di tolleranza del rumo-re (Elliott, 1971); per studiare, scelgono settori della biblioteca che offrono un livello superiore di stimo-lazioni esterne, preferiscono un livello più alto di chiasso e la presenza di maggiori opportunità di so-cializzazione. Inoltre, in certi casi, fanno un numero superiore di intervalli durante lo studio (Campbell e Hawley, 1982). Non sembra, tuttavia che una mar-cata introversione costituisca un fattore positivo (cfr. Kelvin Lucas e Ojha, 1965).

Inoltre, come abbiamo visto precedentemente (Entwistle, 1972; Furneaux, 1957; Wankowski, 1968), pare che determinate caratteristiche di per-sonalità predispongano al rendimento adeguato in specifiche discipline. Il rendimento sembra variare anche in funzione delle diverse possibilità di associa-zione tra estroversione e nevroticismo. Bisogna anche tenere conto della complessa relazione che sembra esistere tra l’estroversione, il nevroticismo ed altre variabili legate al rendimento come, ad esempio la creatività. Questa, nell’adolescenza, è risultata le-gata in maniera positiva all’estroversione e al rendimento scolastico (Richardson, 1985; Sen e Hagtvet, 1993). Tuttavia, nell’età adulta, il legame diretto tra estroversione e creatività non sempre è stato confermato e, per certi aspetti, sembra manife-stare un’inversione di tendenza in funzione dell’interazione con il nevroticismo (Di Scipio, 1971).

Infine, per quanto concerne le differenze cultura-li, è probabile che nella scuola inglese, in conseguenza di un dura selezione, il nevroticismo interagisca con l’acquisizione di buone abitudini di studio incentivando il rendimento (cfr. H.J. E-ysenck (1972). Diversamente, nell’ambiente culturale italiano, prevale l’orientamento verso l’estroversione (cfr. McCrae et al., 1999). A livello universitario la selezione ed i programmi di studio sono spesso meno rigidi rispetto a quelli inglesi. Specialmente nelle Facoltà umanistiche, gli esami sono prevalentemente orali, non è obbligatorio se-guire rigidamente i piani di studio ufficiali e non esistono limiti di tempo per il conseguimento della laurea (cfr. Lostia, Guicciardi, 1995). Ciò potrebbe contribuire a ridurre le conseguenze negativi dell’estroversione del nevroticismo sul rendimento accademico (cfr. H.J. Eysenck, 1972; Spielberger, 1966).

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Rispetto all’estroversione ed al nevroticismo, le indicazioni riguardanti gli effetti dello psicoticismo appaiono più concordanti. Tuttavia, nonostante gli effetti negativi generalmente emersi, i risultati di al-cuni studi (H.J. Eysenck, 1995; Mehryar et al., 1973) suggeriscono che lo psicoticismo, interagendo con altri fattori, può avere anche una funzione in-centivante e creativa. Ciò rafforza l’esigenza di tenete conto degli effetti congiunti di più fattori.

In riferimento ai Big-Five, anche se i risultati ap-paiono spesso contradditori, emerge in maniera evidente l’importanza della coscienziosità. Il suo va-lore è stato attribuito a tratti costitutivi specifici come competenza, senso del dovere, auto-disciplina e motivazione al successo. In merito a ciò, per inter-pretare più adeguatamente il rapporto tra personalità e rendimento educativo, alcuni autori (es. De Raad, 1996; De Raad e Schouwenburg, 1996; Kaufman, Agars e Lopez-Wagner, 2008) hanno suggerito di tener conto del ruolo concomi-tante che può essere svolto da diversi fattori tra cui, in particolare, quelli motivazionali. Da questo punto di vista, l’orientamento al successo dei soggetti con elevata coscienziosità può essere associato alla persi-stenza. Questa, a sua volta, è risultata correlata in maniera sostanziale col nevroticismo e l’introversione (H.J. Eysenck, 1970).

L’insieme degli aspetti considerati conferma l’esigenza di tener conto di un ampio contesto di relazioni tra i vari fattori, i quali possono dar luogo a diversi effetti in funzione sia della loro relazione re-ciproca che di quella con gli aspetti socio-culturali.

Motivazione e rappresentazioni del sé PROCESSI MOTIVAZIONALI Come si è visto, diversi studi condotti

nell’ambito della prospettiva di H.J. Eysenck hanno messo in evidenza che il buon rendimento è legato non soltanto a specifici fattori della personalità ma anche ad un livello elevato di motivazione (cfr. En-twistle e Brennan, 1971; Entwistle e Welsh, 1969; Smithers e Batcock, 1971). Una conferma che al contributo dei fattori della personalità al successo scolastico si associa il ruolo determinante della mo-tivazione viene anche da ricerche condotte secondo altre prospettive fattoriali come quella di Cattell (cfr. Cattell, 1965; Cattell e Butcher, 1968; Cattell, Barton e Dielman, 1972; Cattell, Sealy e Sweney, 1966) e dei dei Big-Five (cfr. De Raad e Schouwen-burg, 1996; Kaufman, Agars e Lopez-Wagner, 2008; Komarraju, Karau e Schmeck, 2009).

Alcune ricerche, tuttavia, non hanno trovato un legame significativo tra elevato rendimento e livello motivazionale. Entwistle e Entwistle (1970), ad e-sempio, in studenti delle superiori ed universitari, hanno rilevato che la motivazione è legata al rendi-mento; dalle analisi, però, emerge che la significatività non viene raggiunta in maniera stabile in relazione al sesso ed al livello di studi. In maniera simile, Leondari, Syngollitou e Kiosseoglou (1998), esaminando i punteggi ottenuti in una scala di mo-tivazione da studenti adolescenti, non hanno trovato differenze significative tra gruppi con diverso livello di successo scolastico.

I fattori motivazionali possono influire sul ren-dimento scolastico in termini di bisogno di successo e approvazione (Messick, 1979), di volontà, interes-se, impegno e perseveranza (Eysenck, 1970; Lavin, 1967; Neisser et al., 1996). La maggior parte di que-sti elementi vengono considerati come facenti parte della coscienziosità. Inoltre, essi implicano il coin-volgimento di processi auto consapevoli. Al riguardo, alcune indagini hanno esaminato gli aspet-ti motivazionali legati all’interesse scolastico. La meta-analisi condotta su 16 studi da Shiefele e Csi-kszentmihalyi (1994) ha trovato una correlazione significativa diretta tra interesse e successo scolasti-co. Più recentemente, l’indagine effettuata su studenti delle superiori francesi e italiani da Corbiè-re e colleghi (2006) ha trovato che il concetto di sé scolastico, l’interesse ed il successo negli studi corre-lano positivamente in maniera significativa.

In questo contesto, numerosi elementi suggeri-scono che il rapporto tra rendimento scolastico, personalità e motivazione si estenda al sistema del sé (cfr. De Raad e Schouwenburg, 1966; Eccles e Wi-gfield, 2002). Al riguardo, un elemento importante da considerare è costituito dalla rappresentazione delle componenti motivazionali, dalle loro modalità di influenza su cognizioni, sentimenti e azioni indi-viduali, e dall’organizzazione di tali rappresentazioni nel sistema della personalità e del sé (Cantor e Ki-hlstrom, 1987; Dickhäuser e Reinhard, 2006; Ireson e Hallam, 2009; Little, 1983; Marsh, 1990a; Wen-tzel et al., 1990). In tal senso, un aspetto rilevante, sia sul piano teorico che in relazione al rendimento scolastico, concerne la rappresentazione delle moti-vazioni individuali nel sistema del sé in riferimento alle proiezioni future e all’autostima.

SÉ POSSIBILI Tra queste rappresentazioni, i sé possibili (Mar-

kus e Nurius, 1986) svolgono un ruolo fondamentale. Essi costituiscono l’elaborazione co-

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gnitiva e affettiva di concetti, immagini, o sensazioni di sé, riguardanti ciò che il soggetto si aspetta, desi-dera e teme per il proprio futuro (Markus e Nurius, 1987). I sé possibili danno a tali entità dinamiche forme rilevanti per le potenzialità individuali, orga-nizzandole, direzionandole e attribuendo loro significati specifici (Markus e Nurius, 1986). Essi funzionano come incentivi per il comportamento rivolto al futuro, e rendono disponibile al soggetto un quadro di riferimento valutativo ed interpretati-vo connesso in maniera necessaria alla visione corrente che il soggetto ha di sé. Per il rapporto che creano tra il presente del sé ed il futuro, costituisco-no una connessione tra cognizioni e motivazioni (Markus e Nurius, 1987). Condizionano la scelta degli obiettivi da perseguire, inoltre influenzano la persistenza degli sforzi e la quantità di energia che siamo in grado di investire per raggiungere un parti-colare obiettivo (Markus e Ruvolo, 1989).

Specificamente, essi possono influenzare la moti-vazione attraverso due funzioni fondamentali (Inglehart, Markus e Brown, 1989): quella struttu-rante e quella energizzante. La prima consente di rappresentare chiaramente l’obiettivo da perseguire o da evitare, focalizzare le attività da mettere in atto necessarie al raggiungimento della meta, e prefigura-re la condizione desiderata. La seconda funzione permettere all’individuo di persistere in quelle attivi-tà necessarie al raggiungimento degli obiettivi desiderati o all’evitamento dello stato finale negati-vo; essa è collegata alle emozioni sperimentate dall’individuo nel pensare e nel rappresentarsi men-talmente un particolare sé possibile. Con la concettualizzazione precisa di un obiettivo determi-nato, grazie alla funzione strutturante, un individuo può iniziare a strutturare il proprio comportamento in modo che il raggiungimento della meta divenga non solo possibile ma anche più facile. Mediante la funzione energizzante, la configurazione di un sé possibile positivo può fornire l’energia che consente alla persona il perseguimento dell’obiettivo; invece, quella di un sé possibile negativo, può consentire all’individuo di strutturare e di persistere nella messa in atto di comportamenti volti all’evitamento dello stato indesiderato.

All’interno del processo motivazionale, il ruolo delle funzioni strutturante e energizzante dei sé pos-sibili è stato esaminato anche in riferimento al successo scolastico (Leondari, Syngollitou e Kiosse-oglou, 1998) ed universitario (Inglehart, Markus e Brown., 1989; Schwartz, 2003). In particolare, tra questi autori, Inglehart, Markus e Brown (1989) hanno condotto uno studio riguardante il ruolo svolto dalle due funzioni esercitate dai sé possibili in

un campione di studenti iscritti alla Facoltà di Me-dicina. I risultati dimostrano che i sé possibili riguardanti la professione medica influenzano il rag-giungimento dei risultati professionali futuri e che essi contribuiscono ai risultati ottenuti in ambito accademico dagli studenti. Anche Schwartz (2003), come approfondiremo in seguito, ha trovato che il rendimento di studenti di college è influenzato dai sé possibili. In maniera simile, i risultati ottenuti da Leondari, Syngollitou e Kiosseoglou (1998), con studenti di 14-15 anni di età, hanno confermato che il buono risultato negli studi è associato all’elaborazione di sé possibili ben definiti ed orien-tati verso il successo.

AUTOSTIMA Rispetto alle altre cognizioni di sé qui esaminate,

l’autostima globale costituisce una valutazione gene-rale. Pertanto, in accordo con i modelli multidimensionali e gerarchici del sé (Shavelson, Hubner e Stanton, 1976; Marsh, 1990a; Marsh e Hattie, 1996; Marsh e Shavelson, 1985), si colloca come fattore sovraordinato rispetto alle concezioni di sé relative a particolari ambiti o domini come quelli scolastici e non scolastici. Tali ambiti com-prendono delle componenti di livello superiore; ad esempio, il concetto di sé scolastico si suddivide in rapporto ai principali raggruppamenti disciplinari (cfr. Marsh, 1990b; Marsh, Byrne e Shavelson, 1988). Su questo piano, oltre all’autostima specifica, si collocano anche i sé possibili i quali, generalmen-te, riguardano direttamente rappresentazioni relative a particolari ambiti o domini. Questi, a loro volta, possono essere divisi in sottodomini specifici. Ad esempio, le rappresentazioni di sé in termini di pos-sibilità o di autostima in rapporto alle singole discipline universitarie (filosofia, matematica, medi-cina, psicologia ecc.) rappresentano dei sottodomini del sé accademico o scolastico.

Numerosi studi sull’argomento hanno evidenzia-to la connessione esistente tra rendimento negli studi e domini, sia specifici e sottospecifici che glo-bali, relativi al sé accademico e all’autostima (cfr. Byrne, 1984, 1996; Hansford e Hattie, 1982; Marsh, 1993; Marsh e Craven, 1997). Dagli esami, emerge prevalentemente una relazione positiva tra rendimento e autostima, ma viene alla luce anche un sistema più complesso di relazioni. Hansford e Hat-tie (1982), sulla base di una meta-analisi condotta su 128 studi, hanno riscontrato una correlazione si-gnificativa diretta tra autostima e rendimento scolastico valutato con prove oggettive. Inoltre, gli autori hanno rilevato che il grado di associazione

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può essere modificato da diversi fattori come il livel-lo scolastico, le caratteristiche socio culturali ed il tipo di capacità personali Anche Davies e Brember (1999) hanno ottenuto delle correlazioni positive tra autostima globale e prove standard di rendimento in bambini della scuola primaria inglese. Risultati simi-li sono stati rilevato da Keltikangas-Jarvinen (1992) in Finlandia e da Bowles (1999), in Australia, in re-lazione alla previsione dei voti scolastici in giovani adolescenti. La rassegna sulla letteratura effettuata da Byrne (1984) ha confermato la prevalenza di cor-relazioni positive tra autostima e rendimento, ma ha anche messo in evidenza che, nella maggior parte degli studi, il successo correla con il sé scolastico in maniera più marcata rispetto a quanto correla con l’autostima globale.

Altri studi hanno fatto risaltare ulteriori aspetti. In un campione canadese di studenti delle superiori, Marsh, Byrne e Shavelson (1988), dopo aver indivi-duato due componenti principali dell’autostima scolastica (verbale e matematica), hanno trovato che ciascuna componente correla positivamente con il corrispettivo rendimento verbale e matematico. Essi, però, hanno riscontrato una relazione inversa tra au-tostima verbale e rendimento matematico e, ugualmente, tra autostima matematica e rendimento verbale. Bachman e O’Malley (1986), in studenti statunitensi delle superiori, hanno riscontrato che l’autostima contribuisce al successo educativo in proporzione inferiore rispetto ad altri fattori come lo status socioeconomico familiare, le abilità personali ed i voti. Pullmann e Allik (2008), in un campione rappresentativo di studenti estoni di età media com-presa tra 11 e 19 anni, hanno confermato che, in generale, l’autostima ha un elevato valore predittivo del rendimento scolastico; tuttavia, tenendo sotto controllo l’autostima scolastica nelle procedure d’analisi, hanno trovato che, dopo le scuole elemen-tari, gli studenti con bassa autostima generale avevano voti più elevati rispetto a quelli con auto-stima alta. A livello universitario, lo studio di Mone, Baker e Jefries (1995) ha confermato la correlazione positiva tra autostima globale e rendimento accade-mico. Tuttavia l’autostima, rispetto all’autoefficacia, è risultata avere minori capacità di predire valida-mente sia i voti agli esami, che le aspettative personali sul voto.

Alcuni risultati hanno posto il problema del rap-porto causale tra autostima e rendimento (cfr. Baumeister et al., 2003; Byrne, 1984, 1996; Marsh e Craven, 2005, 2006). Nella loro rassegna sull’argomento, Baumeister e colleghi (2003) hanno messo in evidenza come su entrambe le variabili possano influire altri fattori quali, ad esempio,

l’ambiente familiare e socioculturale in cui è inserito l’individuo. Inoltre, nel lavoro citato, essi hanno so-stenuto che l’autostima può essere considerata in parte come il risultato di un buon rendimento a scuola. A questo proposito, l’indagine condotta ne-gli USA da Pottebaum, Keith,e Ehly (1986) su un vasto campione di studenti delle superiori, non ha confermato l’ipotesi di una relazione causale tra au-tostima e rendimento ma, piuttosto, ha suggerito l’intervento di una o più variabili indeterminate con effetto predominante sia sull’autostima che sul ren-dimento. Ciò concorda con i risultati di altri studi su bambini ed adolescenti (Bachman e O’Malley, 1977; Maruyama, Rubin e Kingsbury, 1981) che hanno evidenziato la predominanza della classe so-ciale e delle abilità sia sull’autostima che sul rendimento suggerendo, così, che la relazione osser-vata tra autostima e rendimento accademico possa essere spuria.

Tali risultati possono essere chiariti adottando una prospettiva multidimensionale e gerarchica del concetto di sé (cfr. Marsh e Craven, 2006). Infatti, l’autostima essendo un aspetto globale del sé non sarebbe direttamente connessa con il rendimento scolastico. Il legame tra aspetti del sé e rendimento scolastico sarebbe meglio evidenziato, invece, dalla componente accademica del concetto di sé che, in quanto aspetto specifico, è più direttamente associa-ta ai comportamenti. Utilizzando dei modelli di equazioni strutturali, Marsh (1990c) ha fornite pro-ve consistenti dell’effetto positivo esercitato dal concetto di sé scolastico sui livelli successivi di riu-scita in studenti delle superiori degli USA.

Al fine di trovare una soluzione più soddisfacen-te, Marsh (1993) ha proposto un “modello di effetti reciproci”, secondo cui le modifiche nel concetto di sé scolastico influenzano il successo negli studi e vi-ceversa. Negli sviluppi recenti, il modello ha trovato conferme in numero considerevole di ricerche (cfr. Marsh, Byrne e Yeung, 1999; Byrne, 1996; Guay, Marsh e Boivin, 2003; Marsh e Craven, 2005, 2006; Valentine e DuBois, 2005). Anche Kobal e Musek (2001), confrontando un campione di stu-denti francesi delle superiori con un equivalente campione sloveno, hanno confermato la relazione reciproca tra il concetto di sé ed il rendimento scola-stico. Inoltre, hanno trovato che la relazione tra rendimento e concetto di sé, sia generale che specifi-co, varia in rapporto alla nazionalità. Trautwein e colleghi (2006), in studenti delle scuole secondarie tedesche, hanno rilevato che la direzione reciproca degli effetti è moderata dalle condizioni di appren-dimento. In particolare, l’influenza del rendimento sul concetto di sé scolastico è risultata più marcata

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nella condizione educativa meritocratica rispetto a quella protettiva.

Prospettiva plurifattoriale, interattiva, inte-grata

INTERAZIONE TRA FATTORI La letteratura esaminata mette in luce la com-

plessità dell’argomento ed i limiti derivanti da un’analisi settoriale, sommatoria, o statica, dei diver-si elementi legati al rendimento scolastico. I fattori non costituiscono delle dimensioni isolate, ma pre-sentano vari legami reciproci. Ad ulteriore conferma dell’argomento, si possono citare alcuni esempi che illustrano una complessa rete di relazioni. Nono-stante nella teoria di H.J. Eysenck le tre dimensioni principali siano tra loro indipendenti, spesso nei campioni empirici, soprattutto in quelli femminili, si riscontra una correlazione negativa tra estrover-sione e nevroticismo. Ciò, secondo H.J. Eysenck (1977) deriva dalla predisposizione dei soggetti in-troversi ad apprendere più facilmente per condizionamento e, in condizioni specifiche, le ri-sposte d’ansia. Inoltre, S.B.G. Eysenck e H.J. Eysenck (1977) hanno trovato che non solo l’estroversione, ma anche il nevroticismo e lo psico-ticismo correlano positivamente con tratti di impulsività, tra cui la ricerca di sensazioni. A loro volta i fattori della personalità sono legati ad altri sistemi come la motivazione ed il sé. A questo pro-posito, molti studi hanno rilevato che l’autostima è legata positivamente all’estroversione e alla stabilità emotiva (cfr. Chan e Joseph, 2000; Cheng e Fur-nham, 2003; Francis e James, 1996) In particolare, Francis e James, (1996), in bambini inglesi delle scuole secondarie, hanno trovato che l’estroversione e la stabilità emotiva sono legate all’autostima. Chan e Joseph (2000), in studenti universitari dell’università dell’Essex, hanno trovato che l’estroversione è associata all’autostima, all’autorealizzazione ed alla felicità. Cheng e Fur-nham (2003), in studenti di età compresa tra 15 e 35 anni frequentanti varie scuole e college londinesi, hanno rilevato che l’autostima svolge un ruolo di mediazione nella previsione del benessere da parte dell’estroversione e del nevroticismo. Ancora, dalla letteratura (cfr. Campbell, 1990) risulta che l’autostima globale è legata positivamente con la chiarezza del sé, la quale implica un alto grado di coerenza e di certezza. Infine, come è stato riportato precedentemente in riferimento ai tipi di strumenti, la coscienziosità è legata alla motivazione ed alla per-

sistenza; questa, a sua volta, è risultata correlata in maniera evidente col nevroticismo e l’introversione (H.J. Eysenck, 1970).

Numerosi elementi considerati precedentemente indicano che, sul piano dinamico, i diversi fattori non agiscono separatamente, ma possono interagire reciprocamente. Inoltre, le interazioni possono dare luogo ad effetti che sviluppandosi nel tempo sono in grado di determinare risultati diversi in tempi suc-cessivi. L’interazione può avvenire a più livelli all’interno dell’individuo e tra l’insieme dei fattori individuali e quelli ambientali. Per quanto concerne i diversi tratti che fanno parte dei fattori generali, la loro combinazione varia da un individuo ad un al-tro. Poiché i fattori ed i loro elementi costitutivi interagiscono reciprocamente, è molto probabile che gli effetti non dipendano soltanto dall’interazione tra i fattori, ma anche da come essi sono costituti in termini di composizione di tratti. Pertanto, l’interazione tra gli stessi fattori, nelle medesime condizioni, può dar luogo ad effetti diversi in fun-zione della prevalenza o meno di determinati tratti specifici all’interno degli stessi fattori. Infine, il risul-tato dell’interazione può essere influenzato dai diversi contributi provenienti dell’ambiente cultura-le. Come si è visto, certe condizioni culturali ed educative possono interagire con i fattori della per-sonalità e determinare delle variazioni, se non delle inversioni di tendenza, rispetto ad altre situazioni.

FATTORI GENERALI E TRATTI SPECIFICI In questo quadro, il rapporto tra fattori generali

e tratti specifici facenti parte delle stesse dimensioni rappresenta un aspetto di notevole rilievo che, in parte, consente di comprendere certi risultati con-tradditori presenti in letteratura (cfr. De Raad e Schouwenburg, 1996; O’Connor e Paunonen, 2007). Alcuni studi hanno messo in evidenza che, in determinati casi, i tratti specifici consentono di pre-cisare e migliorare le capacità predittive dei fattori generali cui appartengono. In proposito, è interes-sante sottolineare il risultato ottenuto da Chamorro-Premuzic, e Furnham (2003b) in riferimento all’estroversione ed al nevroticismo. Come si è visto in relazione agli studi con i Big-Five, dalla ricerca è emersa una relazione negativa tra rendimento acca-demico e ciascuno dei due fattori. Tuttavia, tra i tratti appartenenti al nevrotricismo, soltanto l’ansia e l’impulsività sono risultate correlate negativamente e in maniera significativa con il rendimento. U-gualmente, in relazione ai tratti dell’estroversione, solo l’attività e la socievolezza sono risultate correlate negativamente col rendimento. Rothstein e colleghi

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(1994), come è stato riportato precedentemente, hanno rilevato che i Big-Five non mostrano un’adeguata capacità predittiva del rendimento. Es-si, invece, hanno messo in evidenza che i tratti specifici di perseveranza, dominanza ed esibizione costituiscono dei validi predittori del rendimento accademico. In relazione al rendimento generale di studenti universitari americani, Rogers (2006) ha rilevato che, oltre alla coscienziosità, i seguenti tratti ristretti incrementano la capacità predittiva del dei Big-Five: apprendimento auto diretto, aggressività, e concretezza. Paunonen e Ashton (2001) hanno pre-so in esame la coscienziosità e l’apertura all’esperienza al fine di confrontarle con due loro rispettivi tratti costitutivi: il bisogno di successo e il bisogno di apprendimento. Entrambi i tratti, rispet-to alle relative dimensioni principali, sono risultati dotati di migliori capacità di previsione dei voti fi-nali ai corsi di psicologia in studenti universitari canadesi. Similmente, la citata ricerca di Steinmayr e Spinath (2007) ha messo in evidenza che la motiva-zione specifica, rispetto ai fattori generali di personalità, costituisce un miglior predittore del rendimento scolastico in ambiti specifici; inoltre, dalle analisi è emerso che il miglior predittore di tut-ti i criteri di rendimento analizzati è costituito dall’autovalutazione delle proprie abilità specifiche. I risultati ottenuti negli USA da Lounsbury e collabo-ratori (2003) sembrano indicare che, nel periodo adolescenziale, anche dei tratti ristretti come l’aggressività e l’impegno per raggiungere obiettivi di successo contribuiscono alla previsione del rendi-mento generale in maniera più elevata dei Big-Five. De Raad e Schouwenburg (1996), in base alla loro rassegna della letteratura, hanno concluso che i fat-tori ed i tratti della personalità sono tutti coinvolti nell’apprendimento e nell’educazione, ma con diffe-renze nelle modalità e nel ruolo. Tra i fattori, emerge la rilevanza della coscienziosità ed anche la sua associazione con tratti dell’estroversione e del nevroticismo. Per quanto riguarda l’estroversione, i tratti maggiormente coinvolti nel rendimento scola-stico sono legati alle caratteristiche di responsabilità, ordine, accuratezza controllo ed equilibrio; per quanto concerne il nevroticismo i tratti più implica-ti nell’apprendimento sono costituiti da determinazione, equilibrio e controllo. In questo quadro, gli autori hanno sottolineato l’importanza di tener conto della distinzione tra tipi e tratti, ma hanno anche proposto di far riferimento ad un ap-proccio integrato che, tenendo conto dell’insieme completo degli elementi fondamentali della persona-lità, consenta di conferire maggiore coerenza all’argomento.

PROSPETTIVA INTEGRATA Da questo punto di vista, un aspetto di fonda-

mentale importanza riguarda la considerazione del rapporto tra le caratteristiche di personalità in ter-mini di profilo piuttosto che di singoli elementi. Questo aspetto, ad esempio, è stato messo in evi-denza da Steca e colleghi (2007). La loro ricerca ha preso in considerazione tre prototipi di personalità in adolescenti italiani frequentanti la scuola superio-re: resilient (alta estroversione, amicalità, coscienziosità e stabilità emotiva), overcontrolled (va-lori sotto la media in estroversione, apertura, amicalità e coscienziosità) e undercontrolled (estro-versione e nevroticismo elevati; amicalità e coscienziosità sotto la media). Dai risultati è emerso che il gruppo dei resilient era caratterizzato dal mi-glior rendimento scolastico, da impegno più alto e da maggior motivazione per il raggiungimento di livelli superiori di successo. In una prospettiva simili si colloca la ricerca condotta da Sirigatti, Stefanile e Pasca (1997) su studenti universitari italiani. Lo studio ha confermato che l’accurata previsione del successo accademico richiede il riferimento ad un modello complesso che tiene conto congiuntamente dei tratti di personalità, delle attitudini e degli inte-ressi.

Recentemente, ad un approccio di tipo estensivo hanno fatto riferimento vari altri autori. In studenti austriaci della scuola secondaria con età di 13-14 anni, Freudenthaler, Spinath e Neubauer (2008) hanno esaminato congiuntamente la relazione tra rendimento scolastico e, rispettivamente, l’intelligenza, i Big-Five, l’autostima, l’ansia scolasti-ca, la motivazione scolastica intrinseca e gli obiettivi da raggiungere. I risultati principali hanno eviden-ziato differenti capacità predittive di alcune variabili nei maschi e nelle femmine; tuttavia, in entrambi i sessi, è emerso che la maggior parte della varianza del rendimento è spiegata dall’intelligenza e, secon-dariamente, dall’autostima. Rindermann e Neubauer (2001) hanno esaminato, in un campione di studenti tedeschi delle superiori, il rapporto tra personalità, velocità di elaborazione cognitiva, intel-ligenza e rendimento scolastico. I risultati hanno mostrato una debole relazione della personalità con la velocità di elaborazione, una correlazione media con l’intelligenza ed un correlazione elevata con i voti. Steca, Picconi e Lupinetti (2006) hanno esa-minato, in studenti italiani delle superiori, l’influenza svolta sugli obiettivi di profitto e sul ren-dimento scolastico dall’autoefficacia percepita e dai fattori della personalità. Dai risultati è emerso che l’autoefficacia, ed in particolare quella scolastica,

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mostrano un valore predittivo superiore ai Big-Five sia per quanto concerne gli obiettivi da raggiungere che per il profitto scolastico ottenuto; inoltre, il pro-fitto finale più elevato è risultato associato ad una maggiore attribuzione di importanza agli obiettivi di apprendimento. Busato e colleghi (1999), in studen-ti universitari di psicologia olandesi hanno esaminato la relazione tra quattro stili di apprendi-mento (indiretto, rivolto rispettivamente al significato, alla riproduzione, all’applicazione), i Big-Five e la motivazione al successo. I risultati principali suggeriscono che l’estroversione, la co-scienziosità e l’apertura all’esperienza sono legati positivamente all’apprendimento rivolto al significa-to e presentano, così, un elevato valore educativo; invece, l’apprendimento indiretto è associato a ele-menti che favoriscono l’insuccesso nello studio, come nevroticismo, sentimenti di inadeguatezza, bassa coscienziosità apertura e motivazione al succes-so. In un’altra ricerca condotta su studenti di psicologia olandesi, Busato e colleghi (2000) hanno analizzato in una prospettiva integrata la capacità predittiva dell’educazione universitaria da parte di fattori quali l’abilità mentale, lo stile di apprendi-mento, la personalità e la motivazione al successo scolastico. La ricerca ha confermato la relazione po-sitiva tra capacità, motivazione, coscienziosità e successo scolastico. Invece, non ha evidenziato le-gami significativi tra il successo educativo e gli stili di apprendimento diretti al significato, alla riprodu-zione e all’applicazione; infine, ha rivelato un consistente valore predittivo negativo dello stile di apprendimento indiretto. In uno studio effettuato su studenti universitari scozzesi, Duff e colleghi (2004) hanno preso in esame i fattori della persona-lità, l’approccio motivazionale allo studio (profondo, superficiale, strategico), l’età, il genere, il rendimento scolastico al momento della ricerca e quello precedente. L’utilizzo di un sistema di equa-zioni strutturali ha rivelato legami significativi tra i Big-Five e i tre approcci allo studio. Questi, invece, ed i principali fattori della personalità, fatta eccezio-ne per la coscienziosità, sono risultati debolmente associati al rendimento L’analisi di un modello di regressioni lineari ha mostrato che l’età, il rendimen-to al livello scolastico precedente e la coscienziosità, considerate come variabili dipendenti, spiegano si-gnificativamente circa un quarto della varianza totale del rendimento.

EFFETTI DIRETTI ED INDIRETTI In accordo con un punto di vista integrato, di-

verse ricerche hanno esaminato l’effetto di alcune

variabili che possono agire come mediatori del le-game tra rendimento e personalità (cfr. De Raad e Schouwenburg, 1996).

Alcuni di questi studi hanno documentato il ruolo di mediazione della motivazione, altri hanno fornito indicazioni sulla funzione svolta da processi cognitivi, abitudini comportamentali e dal sistema del sé. Ad esempio, Komarraju, Karau e Schmeck (2009), in studenti di college negli USA, hanno rile-vato che la coscienziosità, l’apertura, il nevroticismo e la gradevolezza spiegano il 14% della varianza del rendimento, mentre la motivazione intrinseca spiega un ulteriore 5%; inoltre, hanno messo in evidenza che la coscienziosità svolge un ruolo determinante di mediazione tra la motivazione intrinseca ed il ren-dimento generale. De Fruyt e colleghi (2008), in Belgio, utilizzando un campione di scolari e studenti con età compresa tra 7 e 15 anni, hanno riscontrato che, nelle ragazze, il controllo dell’esternazione del comportamento sia a scuola che all’esterno costitui-sce un elemento di mediazione tra coscienziosità e rendimento scolastico. Hicks e colleghi (2008), ne-gli USA, in un campione costituito da gemelli di 17 anni d’età, hanno esteso l’analisi al contributo dei fattori genetici ed ambientali. Specificamente, han-no esaminato il ruolo svolto dall’impegno per il successo, l’autocontrollo e l’aggressività nelle diffe-renze di rendimento tra i maschi e femmine. I risultati hanno mostrato che l’impegno per il succes-so e l’autocontrollo correlano positivamente con il rendimento generale, mentre l’aggressività correla negativamente; l’associazione tra rendimento e im-pegno per il successo è risultata significativamente più marcata per le ragazze. Inoltre, l’analisi dei mo-delli di moderazione ha indicato che l’impegno per il successo e l’autocontrollo agiscono come modera-tori dell’influenza esercitata dai fattori genetici ed ambientali sul rendimento generale. Lo studio effet-tuato da Conrad (2006) su studenti universitari americani ha preso in considerazione il profilo ai Big-Five, il rendimento accademico generale, le atti-tudini scolastiche ed la frequenza ai corsi. I risultati hanno messo in evidenza che, in riferimento agli in-dici di rendimento generale, la coscienziosità ha una validità predittiva superiore a quella degli altri fatto-ri di personalità e delle abilità accademiche. Inoltre, è emerso che la coscienziosità e le abilità hanno un effetto diretto sul rendimento, mentre la frequenza ai corsi media parzialmente la relazione tra coscien-ziosità e rendimento generale.

In relazione al sistema del sé, Hair e Graziano (2003) hanno esaminato il rapporto tra la struttura della personalità e l’autostima nel passaggio dalla scuola media a quella superiore in campione di stu-

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denti texani. A tal fine, essi hanno testato un artico-lato modello di equazioni strutturali in cui l’autostima occupa una posizione intermedia tra i fattori della personalità e i comportamenti scolastici dei soggetti in ciascuno dei due livelli. I risultati hanno supportato la validità della struttura ipotizza-ta; in particolare hanno confermato l’aspettativa secondo cui il successo nella scuola superiore può essere previsto in base alle caratteristiche di persona-lità (gradevolezza e apertura all’esperienza), agli aspetti del sé ed all’adattamento comportamentale che si manifestano nella scuola inferiore. Chamorro-Premuzic e Arteche (2008) hanno elaborato un mo-dello integrato per comprendere: se il nevroticismo e l’estroversione influenzano l’autovalutazione dell’intelligenza; se questa media gli effetti del ne-vroticismo e dell’estroversione sul rendimento scolastico; se l’apertura (posivamente) e la coscien-ziosità (negativamente) mediano gli effetti dell’intelligenza fluida e di quella cristallizzata sul rendimento. Il modello è stato valutato mediante un sistema di equazioni strutturali che è stato applicato ai dati provenienti da un campione di studenti uni-versitari inglesi. I risultati dell’analisi hanno fornito una conferma del modello.

Altre importanti variabili di mediazioni sono ri-sultate lo stile e le strategie di apprendimento (Bidjerano e Dai, 2007; Furnham, 1995; Furnham e Medhurst, 1995), lo stile cognitivo (Nietfeld e Bo-sma, 2003), lo stile di coping (Gallagher, 1996) e le credenze sull’intelligenza (Furnham, Chamorro-Premuzic e McDougall (2003). In particolare, Schwartz (2003), nella citata ricerca su studenti fre-quentanti un college americano, ha utilizzato un modello di equazioni strutturali per esaminare se il rapporto tra sé possibili, risultati accademici, orien-tamento motivazionale e stile di apprendimento. I risultati hanno rivelato che i sé possibili hanno un forte legame diretto con gli indici di rendimento; essi, inoltre, esercitano un effetto indiretto sul ren-dimento stesso attraverso la mediazione degli obiettivi e dello stile di apprendimento. Recente-mente, Tempelaar e collaboratori (2007) hanno esaminato, in un campione di studenti universitari olandesi, il rapporto tra personalità, interesse moti-vazionale per le materie di studio e rendimento scolastico. Utilizzando il metodo delle equazioni strutturali hanno analizzato la scomposizione della motivazione in generica e specifica. Lo studio ha messo in evidenza che la motivazione, nonostante l’azione di una componente generale, opera preva-lentemente in maniera specifica. In particolare, è risultato che la motivazione specifica per determina-te discipline come la statistica e la contabilità

finanziaria è mediata dal fattore apertura all’esperienza..

Di particolare utilità per questo tipo di analisi plurifattoriali, complesse e gerarchiche si è mostrato l’uso di sistemi di equazioni strutturali. Tuttavia, le ricerche che prendono in considerazione contempo-raneamente il rapporto tra rendimento scolastico, fattori della personalità, motivazione e diversi aspetti del sé appaiono tuttora poco numerose. Da questo punto di vista, le variabili riguardanti la personalità, l’autostima ed i sé possibili potrebbero agire non soltanto in maniera separata e diretta sul rendimen-to. Esse possono essere collocate all’interno di una struttura gerarchica al cui vertice si collocano i fatto-ri della personalità, su un piano subordinato l’autostima ed alla base i sé possibili riguardanti l’interesse e l’impegno per il conseguimento degli obiettivi di studio.

In questo quadro l’autostima dovrebbe agire co-me un fattore di mediazione tra la personalità e i sé possibili. Gli aspetti strutturanti ed energizzanti, a loro volta, dovrebbero influenzare il rendimento. Come conseguenza si può ipotizzare un legame di-retto tra autostima e rispettivamente aspetti energizzanti e strutturanti dei sé possibili. Ciò do-vrebbe essere conforme sia al modello gerarchico del sé (Shavelson, Hubner e Stanton, 1976; Marsh e Shavelson, 1985) sia al legame tra autostima e fatto-ri della personalità (cfr. Chan e Joseph, 2000; Cheng e Furnham, 2003; Francis e James, 1996). Inoltre, Chan e Joseph (2000) hanno trovato che lo psicoticismo correla con l’attualizzazione di sé. Que-sto risultato sorprendente, assieme a quello ottenuto da Mehryar e collaboratori (1973), suggerisce che sino ad un certo livello le componenti di assertività dello psicoticismo possano avere effetti positivi sul raggiungimento degli obiettivi e sul successo scola-stico.

In genere il rendimento scolastico è stato esami-nato prendendo in considerazione i voti oppure i punteggi in prove standard. A livello universitario, un elemento importante potrebbe essere costituito dalla considerazione delle strategie utilizzate per so-stenere gli esami. Gli studenti, infatti, possono scegliere tra strategie diverse a seconda dei loro inte-ressi. Ad esempio, possono optare per un criterio di quantità o di qualità. Possono decidere di dare un numero elevato di esami indipendentemente dal vo-to al fine di conseguire la laurea nel tempo più breve possibile (quantità); oppure possono scegliere di so-stenere un numero inferiore di esami privilegiando l’approfondimento della materia al fine di ottenere un voto elevato (qualità). Ciò è possibile soprattutto in certe università italiane in cui gli studenti posso-

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no rifiutare voti bassi a piacimento sino ad ottenere il voto più soddisfacente. Questi due aspetti dovreb-bero essere indipendenti, ma è probabile che gli studenti migliori tendano a dare un numero più alto di esami riportando voti migliori. I due aspetti, inol-tre, potrebbero essere influenzati direttamente dagli aspetti energizzanti e strutturanti del sé. Essendo l’autostima una componente generale del sé, essa non dovrebbe agire in maniera diretta sugli indici di rendimento, ma attraverso la mediazione dei sé pos-sibili. Sulla quantità degli esami, inoltre, potrebbero influire direttamente alcune componenti attivanti che sono comuni alle tre dimensioni di H.J. E-ysenck (cfr. H.J. Eysenck 1972, 1997; Revelle, 1997) come l’impulsività dell’estroversione, la fun-zione pulsionale del nevroticismo e l’assertività dello psicoticismo.

In uno di questi studi (Meleddu e Scalas, in press), è stato esaminato con un modello di equa-zioni strutturali il rapporto tra rendimento accademico e rispettivamente i fattori della persona-lità di H.J. Eysenck, l’autostima e gli aspetti energizzanti e strutturanti dei sé possibili. Il rendi-mento scolastico è stato valutato in un campione di studenti universitari italiani sulla base del voto me-dio (qualità) e di un indice medio degli esami superati all’anno (quantità). In maniera conforme alla letteratura citata, il modello testato poneva al vertice i fattori della personalità, a livello subordina-to l’autostima, al livello successivo i sé possibili e, infine, il rendimento accademico. In accordo con diverse aspettative espresse precedentemente, lo stu-dio ha confermato un modello gerarchico di relazioni tra i fattori della personalità ed il rendi-mento accademico. In particolare, all’interno delle relazioni gerarchiche, è emerso che i fattori della personalità agiscono in maniera diretta sulla quanti-tà del rendimento accademico ed in maniera indiretta sulla qualità. L’autostima influenza diret-tamente gli aspetti strutturanti ed energizzanti dei sé possibili. Questi, in maniera subordinata all’autostima, agiscono con modalità diverse sui due indici di rendimento accademico.

Conclusione Complessivamente, l’analisi della letteratura sul

rapporto tra rendimento accademico, caratteristiche di personalità, processi motivazionale e sistema del sé suggerisce l’esigenza di non prendere in conside-razione i vari fattori in maniera settoriale, ma di considerare l’argomento all’interno di una prospetti-va multifattoriale interattiva. Gli studi in questa

direzione sembrano consentire il superamento di numerose contraddizioni, tuttavia richiedono ulte-riori approfondimento con l’utilizzo di adeguate procedure di controllo in riferimento a diversi aspet-ti. Tra questi, gli elementi di maggior rilievo riguardano le differenze di genere, età, ambiente, condizione d’indagine e tipo di compito da affronta-re. In particolare, tali aspetti richiedono un controllo più preciso delle strategie di scelta degli obiettivi di studio da parte degli studenti (es. esplici-tazione oggettiva dei criteri qualitativi o quantitativi), la considerazione più accurata e com-parativa dei gradi di difficoltà degli studi e gli effetti nel tempo delle variazioni delle difficoltà, o dell’assuefazione.

Inoltre, se da una parte l’analisi della letteratura suggerisce l’orientamento verso una prospettiva in-tegrata, dall’altra numerosi elementi indicano che è necessario tenere conto di fattori specifici più che di fattori generali. Il rendimento in ambiti, o in disci-pline specifiche, è legato in maniera diversa a relativi fattori generali e specifici. Ad esempio, come si è vi-sto, l’autostima specifica è un migliore predittore del rendimento in discipline particolari, rispetto alle ca-pacità predittive dell’autostima generale. Allo stesso modo i tratti specifici hanno, sovente, migliori capa-cità predittive dei tratti generali. L’analisi specifica, tuttavia, non dovrebbe assumere un carattere fram-mentario, ma dovrebbe svilupparsi all’interno di un quadro d’insieme unitario. Come si è visto, questo quadro implica la considerazione di un complesso sistema di fattori individuali e situazionali tra loro in interazione. Ciò, per quanto riguarda la personalità, mette in evidenza l’importanza dei profili in termini di relazione tra diversi elementi. La considerazione congiunta dei fattori generali e dei tratti specifici all’interno di modelli plurifattoriali, che includono la considerazione di variabili di mediazione, sembra offrire migliori capacità predittive del rendimento scolastico rispetto ad approcci più ristretti.

Infine, in tale direzione, una maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta alla messa a punto di sistemi teorici adeguati che tengano conto delle variazione nel tempo legate allo sviluppo dei processi interatti-vi, spesso a carattere circolare, che possono svilupparsi sia all’interno dell’individuo, sia tra i processi individuali e le condizioni ambientali (cfr. Endler, 1983; Mischel e Shoda, 1995, 1998).

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Ricevuto : 15 giugno 2009

Revisione ricevuta : 20 ottobre 2009

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Il ruolo della direzione dell’attenzione nel fenomeno “choking under pressure”: Lo stato dell’arte

Christian AGRILLO Dipartimento di Psicologia Generale, Università degli Studi di Padova

ABSTRACT - The role of the attention in the ‘choking under pressure’ phenomenon: state of the art - Many athletes and musicians have experienced unexpected performance degradation when performing under pressure. This psychologi-cal phenomenon is commonly known as ‘choking under pressure’ and seems to be strictly influenced by performer’s attentional processes. Two theoretical frameworks have guided researchers in this field. According to ‘distraction the-ory’, performance degradation is a result of attentional shifts to task-irrelevant information; on the contrary, ‘explicit monitoring theory’ states that pressure raises self-consciousness and increases attention to the skill processes, becom-ing an impediment as the skills were previously well learned. The present paper presents a review of the literature on the topic, with particular regard to the comparison between the two theories. KEY WORDS: Performance and atten-tion. Distraction theory. Self monitoring theory. Motor slips. Cognitive processes. RIASSUNTO – È noto a tutti come la prestazione di atleti e musicisti possa peggiorare sensibilmente quando l’esecuzione del compito avviene in un contesto ad alto contenuto emotivo (come un’esecuzione pubblica o una competizione). Questo fenomeno psicologico è definito in letteratura “choking under pressure” e sembra essere for-temente determinato da processi attentivi. Al riguardo sono state avanzate due diverse teorie. Secondo la teoria della distrazione, il degrado della prestazione sarebbe il risultato di uno spostamento dell’attenzione verso informazioni non rilevanti rispetto al compito; al contrario, la teoria del “monitoraggio volontario dei gesti” sostiene che la pres-sione porterebbe ad aumentare l’attenzione dei soggetti verso i gesti da compiere, finendo per divenire un possibile impedimento. Il presente articolo rappresenta una review della letteratura corrente, con particolare attenzione al con-fronto critico delle due teorie.. PAROLE CHIAVE: Attenzione e performance. Teoria della distrazione. Teoria del monitoraggio volontario. Lapsus motori. Processi cognitivi.

Introduzione È un’esperienza nota a tutti come l’esecuzione di

un compito abituale possa peggiorare drasticamente quando effettuata in contesti ad alto contenuto e-motivo. Un esempio di situazioni di questo tipo potrebbe essere una competizione sportiva per un atleta, un compito di matematica all’esame di matu-rità per uno studente o ancora l’esecuzione pubblica di brani da parte di un musicista durante un concer-to. All’interno di questi contesti si assiste talvolta ad un degrado della performance anche in compiti che erano stati rodati precedentemente. Lo studio di questo fenomeno, chiamato “choking under pressure” (letteralmente “soffocarsi sotto pressione”), costitui-sce di conseguenza uno degli ambiti maggiormente indagati in alcuni campi della psicologia, come lo studio della performance sportiva, scolastica e musi-cale (Agrillo e Chiandetti, 2009).

Un classico metodo utilizzato nelle ricerche per simulare una condizione sperimentale ad alta pres-sione psicologica consiste nel fornire ai soggetti un incentivo economico in caso di risoluzione del com-

pito. Al tempo stesso, nel tentativo di rendere il compito più stressante, può essere detto loro di esse-re stati “abbinati” ad un altro partecipante alla ricerca che svolgerà il medesimo esercizio, avvisan-doli che, qualora la prestazione venisse giudicata insoddisfacente, questa graverebbe anche sulla ri-compensa del collega, indipendentemente dalla qualità della performance di quest’ultimo. Al con-trario, una condizione di bassa pressione psicologica viene comunemente realizzata chiedendo ai soggetti di effettuare il compito facendo del loro meglio e registrando quindi la prestazione (Beilock e Carr, 2001; Beilock e Carr, 2005; Wan e Huon, 2005; Markman et al., 2006).

La presenza di spettatori e delle loro aspettative costituisce una delle componenti ambientali cruciali: al riguardo, Dohmen (2005) ha condotto una vasta ricerca osservando tutte le esecuzioni dei calci di ri-gore avvenute nella prima divisione calcistica tedesca dal 1963 sino al 1994. Dai risultati dello studio è emerso come gli errori in questo compito siano sta-tisticamente maggiori quando la propria squadra gioca in casa, probabilmente dovuto al bagaglio di

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Agrillo, C. – Attenzione e performance

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aspettative del pubblico locale che finisce per in-fluenzare negativamente la condizione psicologica dell’atleta. Ulteriori fattori ambientali determinanti possono essere la ricompensa in caso di successo, la punizione nella circostanza opposta (Atkinson, 1974) e l’essere in competizione esplicita (Baumei-ster, 1984) o implicita (Seta et al., 1977) con altri individui.

Queste componenti finiscono per agire sui fattori intrinseci di personalità, come possono essere i tratti narcisistici (Ranney, 2007) e sull’attivazione fisiolo-gica dei individui. È noto da quasi un secolo che la relazione tra attivazione fisiologica e performance seguirebbe una legge che prende il nome dei ricerca-tori che l’hanno teorizzata, Yerkes e Dodson (1908): le migliori prestazioni in compiti che richiedono la capacità di rievocare materiale appreso in precedenza si raggiungerebbero, all’interno di eventi ad alto contenuto emotivo, quando i livelli di attivazione dell’organismo sono intermedi rispetto ai suoi e-stremi inferiori e superiori.

Le caratteristiche temperamentali e psicofisiche di un individuo non costituiscono le uniche com-ponenti alla base di un errore in condizioni di stress. Anche l’attenzione può risultare influenzata, deter-minando un cambiamento della prestazione. Al riguardo, Chajut e Algom (2003) hanno sintetizzato tre teorie principali sull’influenza dello stress nell’attenzione selettiva. Secondo la prima visione, chiamata attention view, la condizione stressante svuoterebbe le risorse attentive degli individui, por-tando ad una maggior concentrazione verso gli attributi rilevanti del compito da risolvere e miglio-rando la prestazione finale. Anche la seconda teoria, capacity-resource approach, ipotizza un restringimen-to attentivo in cui il soggetto si soffermerebbe però su tutto quanto sia vicino e facilmente accessibile, indipendentemente dalla rilevanza del compito. Il terzo approccio infine, ironic process theory, ipotizza che a fianco di un processo attentivo conscio ve ne sia un altro inconsapevole che concentra il suo focus sugli aspetti irrilevanti nel tentativo di filtrarli dagli indizi rilevanti ed ottenendo l’effetto paradossale di distrarre l’individuo. Questo renderebbe facilmente accessibili le informazioni non utili alla risoluzione del compito.

Lo stress è in grado di modulare non solo la di-mensione del fuoco attentivo, ma anche la sua direzione. Questa può indirizzarsi verso fattori e-sterni al compito come le componenti ambientali (ad esempio, quando si ascoltano le urla del pubbli-co o ci si sofferma a guardare le espressioni dei propri avversari sportivi), oppure verso aspetti inter-ni e legati al tipo di prestazione necessaria (come il

pensare al gesto corretto da compiere). A partire da-gli anni Settanta sono state avanzate in letteratura due ipotesi sul ruolo dell’attenzione e la relativa in-terazione con la memoria: la teoria della distrazione (Wine, 1971; Lewis e Linder, 1997) e quella del monitoraggio volontario dei gesti (Baumeister, 1984; Beilock e Carr, 2001).

Teorie

TEORIA DELLA DISTRAZIONE Secondo la teoria della distrazione, il peggiora-

mento della prestazione sarebbe il risultato di uno spostamento dell’attenzione verso informazioni non rilevanti (Wine, 1971). Queste finirebbero per sot-trarre risorse alla memoria di lavoro coinvolta nella risoluzione del compito, influenzandone negativa-mente la prestazione. In una manifestazione sportiva un esempio di informazioni non rilevanti potrebbe essere il timore di non essere in grado di svolgere un compito abituale o il pensare all’importanza dell’evento e all’opinione che il pubblico sta svilup-pando della propria performance.

A riprova del coinvolgimento della memoria di lavoro è stato dimostrato da Beilock e Carr (2005) come gli individui che presentino alti punteggi nei compiti che richiedono un sostanziale contributo della memoria di lavoro finiscono per essere i più danneggiati nella risoluzione di problemi di natura matematica quando osservati sotto pressione psico-logica. Paradossalmente, gli individui che in condizioni normali presenterebbero prestazione mi-gliori, sotto pressione avrebbero maggiori probabilità di incorrere in errori e vedere annullato il proprio vantaggio iniziale. Recentemente i risultati di questa ricerca sono stati estesi da Gimmig e colla-boratori (2006): in questo caso sono state utilizzate matrici di Raven al fine di studiare la relazione tra memoria di lavoro ed intelligenza fluida, cioè l’abilità cognitiva che si mette in atto in presenza di un problema che richiede la gestione di materiale non familiare e verso il quale non si ha già una pro-cedura di utilizzo (come può essere il caso di alcuni esercizi matematici). La prestazione in soggetti che presentavano un elevato span di memoria di lavoro risultava danneggiata durante il compito effettuato sotto pressione, dimostrando come questo fenome-no non coinvolgesse solamente esercizi che facevano riferimento alla memoria cristallina, ma potesse ri-scontrarsi anche ai casi in cui non si faceva uso di conoscenze procedurali pre-acquisite.

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Agrillo, C. – Attenzione e performance

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Nello studio condotto da Ashcraft e Kirk (2001), soggetti che presentavano livelli iniziali di ansia di fronte a compiti matematici dimostravano un ridot-to span di memoria di lavoro. Questo avrebbe determinato un aumento nel numero di errori commessi e nei tempi di reazione necessari per la risoluzione dei problemi quando si chiedeva loro di tenere a mente parallelamente lettere dell’alfabeto che potevano variare dalle 2 alle 6 unità. L’ansia, in sostanza, avrebbe avuto un effetto transitorio sulla memoria di lavoro, limitandone le capacità e dan-neggiando la prestazione aritmetica.

Beilock e collaboratori (2004b) hanno usato i-noltre una procedura che prevedeva lo svolgimento di compiti matematici in condizione di bassa ed alta pressione psicologica, osservando come la prestazio-ne tendesse a crollare in condizioni stressanti quando il compito richiesto coinvolgeva in larga parte la memoria di lavoro. In particolare, in una delle condizioni osservate, i soggetti dovevano risol-vere esercizi di matematica modulare. L’esercizio prevedeva di trovare il risultato di una operazione quale [38 ≡ 14 (mod 12)]: per ogni formula presen-tata i soggetti dovevano sottrarre i primi due numeri (in questo caso 38-14) e successivamente dividere il risultato finale per il terzo valore (12). Una serie quindi di esercizi matematici che non si incontra frequentemente nei banchi di scuola e che finiva per coinvolgere la memoria di lavoro.

La teoria della distrazione potrebbe essere ri-chiamata anche nell’interpretazione di alcuni degli errori commessi durante una prestazione musicale in pubblico. L’utilizzo di questionari post-concerto ha documentato, ad esempio, come il declino della per-formance sia correlato a pensieri come “Non penso sarò in grado di arrivare in fondo senza errori” oppure “Sono quasi sicuro che farò un pessimo errore che rovi-nerà tutto” (Tobacyk e Downs, 1986; Steptoe e Fidler, 1987). Pensieri, in sostanza, distanti dal pro-dotto musicale in sé e che potrebbero essere alla base degli errori commessi. Quando un brano, di conse-guenza, non è automatizzato a livello motorio (come uno spartito letto a prima vista) la sua esecuzione è sotto controllo quantomeno parziale della memoria di lavoro, ragion per cui spostare la propria atten-zione su eventi extra-musicali sarebbe deleterio, in quanto sottrarrebbe risorse alla memoria di lavoro. Tuttavia un’analisi retrospettiva difficilmente è in grado di valutare con accuratezza i pensieri dei con-certisti nell’atto di suonare nè la direzione dell’attenzione durante il concerto (Ericsson e Si-mon, 1984) e allo stato attuale non si osserva in psicologia della musica l’utilizzo di un secondo compito parallelo in grado di determinare una divi-

sione dell’attenzione, procedura invece comunemen-te adottata in compiti di natura matematica.

Se la prestazione è degradata in compiti che coinvolgono la memoria di lavoro, vi sono delle cir-costanze, invece, in cui la performance potrebbe migliorare sotto stress se ad essere coinvolta fosse la memoria a lungo termine. Markman e collaboratori (2006) hanno sottoposto ad un test di categorizza-zione un totale di 80 soggetti osservati in condizione di bassa ed alta pressione psicologia. Questi doveva-no giudicare se coppie di stimoli presentati simultaneamente (Gabor di diversa frequenza e o-rientamento) appartenessero o meno alla stessa categoria di oggetti. Tale giudizio poteva essere fon-dato, in una condizione chiamata “rule based”, sull’osservazione della larghezza delle barre o dell’angolo di rotazione del pattern presentato, op-pure, nella seconda condizione chiamata “information-intergration” sulla combinazione di queste due componenti percettive. I risultati della ricerca documentano come nella condizione di alta pressione psicologica si registri un crollo della pre-stazione nei compiti “ruled based”. Secondo gli autori ciò avverrebbe in quanto in questa situazione verrebbe coinvolta la memoria di lavoro. Al contra-rio, la prestazione era significativamente migliorata sotto pressione nella condizione “information-integration”; l’analisi di questa configurazione di stimoli, vista la complessità di integrare contempo-raneamente le due informazioni percettive, sarebbe affidata a componenti procedurali automatiche che richiederebbero solo un ridotto contributo alla me-moria di lavoro (Maddox et al., 2003; Maddox e Ashby, 2004). Questo spiegherebbe perchè – sotto pressione – si assisterebbe ad un degrado dell’accuratezza solo nella categoria di stimoli che differiscono per una componente visiva.

TEORIA DEL MONITORAGGIO VOLONTARIO DEI

GESTI In aggiunta alla teoria della distrazione è stata a-

vanzata, soprattutto per i compiti di natura motoria, la teoria del “monitoraggio volontario dei gesti” (o self-focus theory), secondo cui la pressione psicologica esercitata da eventi a forte contenuto emotivo in-crementerebbe l’attenzione verso i gesti che si stanno compiendo, verso i singoli movimenti svolti, nel tentativo di effettuarli il meglio possibile e disgre-gando – in maniera paradossale – gesti automatici già ampiamente rodati (Masters 1992).

È noto come l’acquisizione di un gesto motorio richieda il superamento di alcune tappe di appren-dimento che comportano il passaggio tra processi

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espliciti che necessitano di attenzione ad altri, inve-ce, impliciti ed automatici (Anderson, 1982). In particolare Fitts e Posner (1967) hanno teorizzato 3 fasi: nel primo gradino (la fase chiamata cognitivo-verbale), gli individui imparano sulla base di struttu-re cognitive fondate sulla memoria di lavoro attraverso un processo di apprendimento che com-porta l’osservazione del proprio gesto passo per passo. L’attenzione consapevole sarebbe in questo caso fondamentale per una miglior comprensione del movimento. Nello stadio successivo (fase associa-tiva), la prestazione migliora progressivamente, richiedendo un minor sforzo cognitivo per la sua realizzazione ed il soggetto sviluppa internamente un concetto di correttezza del gesto che lo aiuta au-tonomamente a valutare la propria prestazione. La continua pratica porta infine all’ultima tappa del processo di apprendimento (fase automatica), carat-terizzata da processi quasi esclusivamente automatizzati che non richiedono un contributo dell’attenzione consapevole (Kimble e Perlmuter, 1970; Schmidt e Lee, 1999): questo permetterebbe di svolgere parallelamente anche altre attività (Ru-thruff et al., 2006), come avviene nei casi in cui affrontiamo una discussione con un’altra persona mentre guidiamo. L’attenzione passo per passo in quest’ultima fase (come avveniva nella fase di studio iniziale) sarebbe, al contrario, in grado di danneggia-re un’abilità motoria consolidata, bloccandone in parte gli automatismi.

Beilock e collaboratori (2002) hanno ad esempio dimostrato come la direzione dell’attenzione verso i propri gesti influenzi negativamente la prestazione sportiva tanto nei calciatori quanto nei golfisti esper-ti. Ai soggetti veniva richiesto di effettuare un compito di loro competenza focalizzando l’attenzione sui gesti da compiere. Di fronte ad au-tomatismi rodati nel tempo (come effettuare un dribbling o un lancio) è stato osservato un decre-mento nella prestazione quando la concentrazione veniva indirizzata verso il compito motorio da svol-gere.

Nello studio sul degrado della prestazione di gio-catori di golf, Master (1992) ha osservato l’impatto che istruzioni esplicite relative al modo di effettuare un lancio avevano sul gesto da compiere in un totale di 40 partecipanti alla ricerca. Nello specifico, i sog-getti venivano osservati durante l’esecuzione di alcuni lanci, di fronte ad un pubblico e con un rin-forzo economico, in presenza di diversi distrattori: in una condizione i dettagli di come effettuare un tiro ottimale venivano forniti durante la prestazione; altri soggetti, al contrario, venivano osservati duran-te un secondo compito interferente che coinvolgeva

la presentazione casuale di lettere dell’alfabeto (una stimolazione, quindi, lontana dal rievocare i gesti motori richiesti durante l’esperimento); altri ancora erano osservati in una condizione di controllo che non prevedeva distrattori. I risultati della ricerca hanno documentato come la prestazione peggiorasse nel gruppo a cui venivano fornite istruzioni relati-vamente al movimento da compiere, probabilmente a causa del reinvestimento in regole esplicite che queste determinavano nei soggetti, interferendo con la loro memoria automatica implicita.

Successivamente Master e collaboratori (1993) hanno condotto uno studio al fine di verificare la variabilità individuale in questo processo di anco-raggio a regole esplicite. I soggetti venivano suddivisi in due categorie sulla base delle loro rispo-ste a tre questionari differenti: grandi re-investitori (persone cioè che di fronte ad un compito stressante tendono a ricorrere alle istruzioni necessarie per svolgerlo) e scarsi re-investitori (individui che affi-dano la loro sorte ai propri automatismi motori). La prestazione nel primo gruppo di soggetti era signifi-cativamente inferiore a quella del secondo, in quanto i primi ponevano la loro attenzione sulle componenti periferiche del gesto da compiere (come il movimento del braccio).

Una delle principali evidenze al riguardo è costi-tuita dal fatto che nelle persone solitamente predisposte a porre l’attenzione sui propri gesti il degrado della prestazione in un compito motorio tenderebbe ad essere limitato, presumibilmente a causa della ripetuta esperienza al controllo dei mo-vimenti che porterebbe i soggetti a vivere in maniera meno problematica il naturale spostamento dell’attenzione verso i gesti in condizioni di stress (Baumeister, 1984). Questa ipotesi trova conferme in una recente ricerca condotta in psicologia della musica da Wan e Huon (2005). I partecipanti a questo studio, un totale di 72 studenti universitari, venivano suddivisi inizialmente in tre gruppi, ognu-no dei quali veniva addestrato a suonare la tastiera in tre diverse condizioni. Un gruppo doveva solo imparare a suonare quanto richiesto e fungeva da controllo; un secondo gruppo imparava durante la presentazione di uno stimolo interferente (la fuga 865 del catalogo Bach-Werke-Verzeichnis di J.S. Bach veniva continuamente presentata durante la pratica); il terzo gruppo infine veniva addestrato in condizione di video-monitoraggio: in questo caso veniva chiesto ai partecipanti di prestare attenzione ai propri gesti durante gli esercizi e l’attività veniva videoregistrata dietro la fittizia affermazione che il loro esercizio sarebbe stato utile a musicisti esperti per una migliore comprensione del modo di porre le

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mani sulla tastiera nelle prime fasi di apprendimen-to. I risultati della ricerca possono essere così sintetizzati: gli errori complessivi (intesi come errori nella esecuzione di note e nella loro durata) si diffe-renziavano sensibilmente nei primi due gruppi in condizioni di pressione psicologica. In entrambi i casi la prestazione peggiorava. L’andamento del ter-zo gruppo invece era in contrasto con i primi due sotto-campioni nel momento in cui la prestazione in condizione di alta pressione emotiva era persino mi-gliore di quella fornita dagli altri individui dello stesso gruppo non sottoposti alla situazione stressan-te. Il peggioramento delle prestazioni dei primi due gruppi in contesti emotivamente forti e l’eccezione fornita dai soggetti addestrati a rivolgere sempre l’attenzione sui propri movimenti deporrebbero a favore della teoria del monitoraggio volontario dei gesti. Secondo Wan e Huon (2005) la prova più consistente a favore del fatto che sarebbe stato il monitoraggio volontario dei gesti a determinare gli errori durante il test sarebbe costituita dal fatto che la prestazione nella terza condizione (il gruppo che veniva videoregistrato durante l’addestramento) era persino migliorata rispetto al training iniziale. Gli autori ipotizzano che l’allenamento continuo a con-centrare l’attenzione verso i propri gesti abbia portato i soggetti ad essere meno danneggiati dal na-turale spostamento dell’attenzione verso i movimenti che un evento ad alta pressione emotiva determinerebbe.

Quando le due teorie vengono contrapposte Un metodo riscontrato a più riprese in letteratu-

ra per studiare la validità di una o l’altra teoria consiste nel sottoporre ai soggetti lo stesso compito ma in condizioni attentive differenti (Beilock et al. 2002). Ad esempio inizialmente può essere richiesto di effettuare il test prestando attenzione anche ad una lista di parole che periodicamente viene presen-tata durante l’esperimento, specificando che al termine della prova verrà chiesto loro di rievocare tale lista. Successivamente il compito può consistere nell’effettuare il test prestando attenzione alle com-ponenti che ne determinano la riuscita. Nel caso di un compito motorio come l’esecuzione di un calcio di rigore, tali componenti potrebbero essere la velo-cità di corsa, il numero di passi effettuati, l’angolo di impatto con il pallone e la forza impressa nel calcio.

In uno studio sulla prestazione di giocatori di ba-seball professionisti e non professionisti nell’atto di effettuare un lancio, Gray (2004) ha manipolato l’attenzione in due direzioni opposte: nel primo caso

il compito motorio veniva accompagnato da un e-sercizio parallelo che richiedeva lo spostamento dell’attenzione verso un evento extra sportivo (come un suono); nel secondo caso l’attenzione veniva di-rezionata alle componenti strettamente esecutive (come la direzione che lo sportivo imprimeva alla mazza da baseball). I risultati documentano una dif-ferenza nella prestazione e nella cinematica di movimento sulla base del livello di expertise dei sog-getti: nei compiti che prevedevano lo spostamento dell’attenzione verso eventi slegati al gesto da com-piere la prestazione dei giocatori apprendisti peggiorava significativamente, mentre non si regi-stravano cali in quella degli esperti. Viceversa, il pensare al movimento da compiere determinava un maggior numero di errori tra gli esperti ma non ave-va influenza sull’altro gruppo di giocatori.

Ford e collaboratori (2005) hanno esteso la me-todologia di Beilock e colleghi (2002) sui calciatori. Soggetti esperti e non esperti nella pratica calcistica dovevano effettuare alcuni dribbling in tre diverse condizioni attentive: nel primo caso veniva chiesto di focalizzare l’attenzione verso un un evento ester-no, come la presentazione di alcune parole durante il compito; nel secondo caso si chiedeva invece di focalizzarsi internamente sui movimenti del proprio braccio (una componente corporea sostanzialmente irrilevante rispetto al compito da svolgere) o del proprio piede (una componente, al contrario, fon-damentale per il gesto calcistico). Un terzo gruppo, infine, fungeva da controllo e doveva svolgere il compito in assenza di specifiche richieste attentive. I risultati documentano come, per i giocatori poco esperti, focalizzare l’attenzione verso il piede non influenzi la prestazione, mentre pensare al proprio braccio determini un peggioramento della presta-zione. Al contrario, il degrado della performance nei calciatori professionisti si verificava in entrambe le circostanze in cui l’attenzione veniva rivolta ad even-ti interni come il movimento del braccio o del piede. Queste differenze scomparivano se i dribbling venivano effettuati utilizzando il piede non domi-nante.

In aggiunta, Beilock e colleghi (2004a) hanno sottoposto a test giocatori di golf esperti e non e-sperti, fornendo loro due diverse istruzioni: nel primo caso, veniva chiesto di effettuare il lancio nel-la maniera più accurata possibile; nella seconda situazione, invece, si richiedeva di svolgere il compi-to il più velocemente possibile. Gli esperti si sono dimostrati maggiormente precisi quando veniva ac-centuata l’importanza della rapidità, probabilmente in quanto questo riduceva la possibilità di porre e-splicite attenzioni al compito da svolgere. Al

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contrario, gli apprendisti golfisti miglioravano la performance nella prima condizione, quella in cui si richiedeva di essere accurati a scapito del tempo, mentre diventavano altamente imprecisi se doveva-no risolvere il compito in modo celere, probabilmente perchè il loro livello di competenza in materia richiedeva ancora un’attenzione passo per passo.

Ad influenzare la prestazione quindi non sarebbe solo la direzione dell’attenzione in termini assoluti, la natura del compito (motorio, matematico o altro) o il tipo di memoria coinvolta (di lavoro o a lungo termine), ma anche il livello di esperienza all’interno del dominio di conoscenze della memoria a lungo termine. È ormai una nozione scientifica assodata come la memoria degli esperti in specifici ambiti di conoscenza differisca notevolmente da quella di per-sone non ugualmente competenti nella stessa materia. È noto, ad esempio, come i più abili gioca-tori di scacchi possano ricordare meglio l’esatta posizione dei singoli pezzi nella scacchiera rispetto a giocatori meno avvezzi alla pratica scacchistica (Chase e Simon, 1973), così come i giocatori di ba-seball ricordano un’ampia quantità di informazioni legate al proprio sport rispetto ad un gruppo di con-trollo (Voss et al., 1980). Al tempo stesso, esistono evidenze secondo cui in alcune circostanze le presta-zioni mnestiche degli esperti in un settore possano risultare inferiori rispetto ad individui senza la me-desima esperienza, quando ad esempio il materiale di competenza degli esperti deve essere elaborato e processato in un contesto differente dall’ambito tra-dizionale (Castel et al., 2007). In questo senso classificare in un’unica categoria i soggetti di una ricerca sul degrado della prestazione sotto stress può risultare riduttivo.

Anche lo studio precedentemente citato di Wan e Huon (2005), che aveva fornito prove a favore della teoria del monitoraggio volontario dei gesti, si proponeva di porre a confronto le due teorie. Se-condo la teoria della distrazione infatti nessuno dei compiti previsti avrebbe dovuto essere penalizzato nel momento in cui il compito strumentale era stato appreso ed automatizzato dai soggetti: il coinvolgi-mento della memoria di lavoro sarebbe stato limitato e le risorse mnestiche interessate sarebbero state sufficientemente grandi da sopportare sposta-menti dell’attenzione dovuti ad altri ragionamenti extra musicali in condizioni di pressione. Viceversa, secondo la teoria del monitoraggio volontario dei gesti, la prestazione negli individui addestrati nel primo e nel secondo gruppo avrebbe dovuto drasti-camente peggiorare di fronte alle condizioni di stress. In particolare il confronto tra i due gruppi in

cui l’addestramento avveniva parallelamente ad un'altra attività cognitiva (l’ascolto di un brano nel secondo gruppo e l’analisi dettagliata dei propri mo-vimenti nel terzo) avrebbe dimostrato una sostanziale differenza a favore degli individui eserci-tatisi ad osservare i singoli gesti durante lo studio, come di fatto è avvenuto.

Una visione unificatrice In realtà le due teorie non devono necessaria-

mente essere poste a confronto, ma potrebbero essere viste come complementari all’interno di un continuum di conoscenza del compito da svolgere. Alla luce di quanto esposto, potremmo generica-mente riassumere la relazione tra attenzione, memoria e prestazione in eventi ad alto contenuto emotivo come segue (Figura 1):

Figura 1. Una possibile visione d’insieme del rapporto tra direzione dell’attenzione e prestazione finale in funzione del grado di conoscenza delle procedure di risoluzione del compito.

All’inizio di un processo di apprendimento (o

quando svolgiamo un compito che non richiede il coinvolgimento di procedure automatizzate) la me-moria di lavoro sarebbe prevalentemente coinvolta, ragion per cui un’attenzione rivolta ad eventi lonta-ni potrebbe inficiare la prestazione. Viceversa, l’attenzione rivolta verso i propri automatismi non sarebbe altrettanto deleteria e potrebbe aiutare ad apprendere meglio l’esercizio. Con l’aumentare degli automatismi motori e/o mentali coinvolti, l’attenzione rivolta ai movimenti o alla procedura svolta per risolvere il compito diverrebbe penalizzan-te, mentre lo stesso fenomeno non si verificherebbe quando l’attenzione sarebbe rivolta ad eventi lontani

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al compito. A riprova di quest’ultimo punto vi è un tipo di esperienza comune a molti musicisti profes-sionisti che consiste nel suonare, durante i concerti, brani conosciuti a memoria spostando l’attenzione su caratteristiche della sala o su altri fattori extra musicali, senza che questo determini alcun impedi-mento nella prestazione. Al contrario, soffermarsi su quali dita si stiano per muovere finisce per inter-rompere quella catena di automatismi rodati, con pesanti conseguenze nella performance (Agrillo, 2007).

In sintesi, la letteratura odierna riporta evidenze consistenti a favore di entrambe le teorie ipotizzate: ognuna di esse avrebbe un suo dominio di esistenza in funzione del magazzino di memoria coinvolto. Resta forse da approfondire quali potrebbero essere i risultati di uno spostamento intermedio dell’attenzione, ad esempio chiedendo ai partecipan-ti di prestare attenzione ai gesti effettuati da un altro individuo. È noto come nel cervello umano esistano dei neuroni specifici (i cosiddetti neuroni specchio) che permettono il riconoscimento dei gesti altrui (Rizzolati e Craighero, 2004), attivando alcune re-gioni cerebrali specifiche interessate anche nella realizzazione motoria dello stesso movimento. Non è da escludere che l’utilizzo di una procedura speri-mentale che preveda una condizione a metà strada tra un’attenzione rivolta ad eventi totalmente esterni ed una rivolta a eventi completamente interni po-trebbe arricchire il patrimonio di conoscenze della letteratura nel settore, fornendo eventuali prove ver-so una direzione o l’altra.

Lo studio dei processi mentali che intervengono durante lo svolgimento di un compito in eventi ad alto contenuto emotivo costituisce una delle frontie-re applicative in potenza più rilevanti della psicologia sperimentale, a causa delle ripercussioni pedagogiche che questa disciplina potrebbe avere in numerosi settori che fondano le proprie basi su pre-stazioni in condizioni di stress, come lo sport o la musica. Se in ambito europeo la psicologia è parte integrante del training di un atleta, diversa e meno sviluppata è la situazione attuale della psicologia nell’insegnamento musicale, soprattutto in Italia. Con l’avvento della riforma universitaria, tuttavia, anche i conservatori italiani si stanno aprendo a di-verse discipline extra-musicali e la psicologia rappresenta a pieno titolo uno degli insegnamenti complementari più assimilabili all’interno dell’attività didattica dei nuovi programmi.

La ricerca di Wan e Huon (2005) ha documen-tato come l’allenamento a concentrare l’attenzione verso i propri gesti porti ad un minor degrado della prestazione in contesti ad alto contenuto emotivo,

suggerendo interessanti prospettive pratiche per la pedagogia musicale. In questo senso, l’introduzione di corsi mirati ad una maggior consapevolezza del controllo attentivo potrebbe portare le nuove gene-razioni di musicisti ad un miglioramento della capacità di fronteggiare il palcoscenico.

Ringraziamenti Si ringrazia cordialmente Roberta Casati per aver

letto e commentato il manoscritto e i referee anoni-mi del Giornale di Psicologia per i loro utili suggerimenti.

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Ricevuto : 29 giugno 2009 Revisione ricevuta : 13 ottobre 2009