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1 Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva, orientamento e lavoro PSICOLOGIA POSITIVA ED ORGANIZZAZIONI IN AZIONE IL CONTRIBUTO DEL DIVERSITY MANAGEMENT di Paola Magnano, Giuseppe Santisi, Tiziana Ramaci, Anna Paolillo 1. Premessa Nel dicembre del 2003 la Commissione dell’Unione Europea, nel sintetizzare i risultati dei Piani di Azione Nazionale 2003-2005 rivolti all’integrazione sociale, rilevò come: il deterioramento generale dell’economia di cui l’Europa soffre da alcuni anni (…) associata al rallentamento della crescita dell’occupazione e all’aumento della disoccupazione, ha frenato (…) i progressi dell’Unione europea verso gli obiettivi d’occupazione di Lisbona e di Stoccolma 1 . A distanza di un decennio la situazione del contesto di riferimento non è sicuramente migliorata; anzi, in taluni casi le crisi economiche nazionali hanno raggiunto seri livelli di attenzione, con profonde criticità relativamente alle strategie d’intervento da proporre a livello sovranazionale (si vedano i casi della Grecia, nonché quelli Portogallo, dell’Irlanda, della Spagna e della stessa Italia). Un tale contesto di riferimento mette ovviamente in seria crisi, in primo luogo, il processo di attuazione degli obiettivi di Lisbona, il primo dei quali – la riduzione della povertà entro il 2010 – è quello dal quale si delineano le strategie di promozione e d’intervento rivolte all’integrazione ed all’inclusione sociale. A solo titolo di chiarimento, ricordiamo che secondo l’Unione Europea il raggiungimento dell’obiettivo di Lisbona implica che le persone esposte al rischio di povertà ed esclusione sociale non subiscano in modo sproporzionato gli effetti delle crisi economiche nazionali. I vari Stati membri sono dunque invitati ad attribuire la massima importanza a sei importanti CHLDMRHNMH CHMSDQUDMSN RSQ@SDFHBN CDjMHSD C@KK4$ BNLD KD sei grandi priorità politiche. Esse riguardano: - misure che favoriscano un mercato del lavoro attivo, armonizzato sulle necessità D RTKKD B@Q@SSDQHRSHBGD CDH RNFFDSSH BGD HMBNMSQ@MN L@FFHNQH CHEjBNKSĐ CH @BBDRRN all’occupazione; - sistemi di protezione sociale adeguati, accessibili a tutti, nonché idonei ad assicurare pari opportunità di accesso agli impieghi; - strategie di accesso delle persone fortemente esposte al rischio di esclusione sociale ad alloggi e assistenza sanitaria di qualità, all’istruzione e alla formazione continua; - misure di prevenzione rivolte all’abbandono precoce della scuola, nonché rivolte ad agevolare il passaggio dalla scuola al lavoro; - strategie ed azioni concrete volte alla eliminazione della povertà infantile; - politiche di riduzione della povertà e dell’esclusione sociale degli immigrati e delle 1 Comunicazione della Commissione del 12 dicembre 2003 - Relazione comune sull’integrazione sociale contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei piani d’azione nazionali per l’integrazione sociale (2003-2005) - COM(2003)773.

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

PSICOLOGIA POSITIVA ED ORGANIZZAZIONI IN AZIONE IL CONTRIBUTO DEL DIVERSITY MANAGEMENT

di Paola Magnano, Giuseppe Santisi, Tiziana Ramaci, Anna Paolillo

1. Premessa

Nel dicembre del 2003 la Commissione dell’Unione Europea, nel sintetizzare i risultati dei Piani di Azione Nazionale 2003-2005 rivolti all’integrazione sociale, rilevò come:

il deterioramento generale dell’economia di cui l’Europa soffre da alcuni anni (…) associata al rallentamento della crescita dell’occupazione e all’aumento della disoccupazione, ha frenato (…) i progressi dell’Unione europea verso gli obiettivi d’occupazione di Lisbona e di Stoccolma1.

A distanza di un decennio la situazione del contesto di riferimento non è sicuramente migliorata; anzi, in taluni casi le crisi economiche nazionali hanno raggiunto seri livelli di attenzione, con profonde criticità relativamente alle strategie d’intervento da proporre a livello sovranazionale (si vedano i casi della Grecia, nonché quelli Portogallo, dell’Irlanda, della Spagna e della stessa Italia).

Un tale contesto di riferimento mette ovviamente in seria crisi, in primo luogo, il processo di attuazione degli obiettivi di Lisbona, il primo dei quali – la riduzione della povertà entro il 2010 – è quello dal quale si delineano le strategie di promozione e d’intervento rivolte all’integrazione ed all’inclusione sociale.

A solo titolo di chiarimento, ricordiamo che secondo l’Unione Europea il raggiungimento dell’obiettivo di Lisbona implica che le persone esposte al rischio di povertà ed esclusione sociale non subiscano in modo sproporzionato gli effetti delle crisi economiche nazionali. I vari Stati membri sono dunque invitati ad attribuire la massima importanza a sei importanti CHLDMRHNMH�C�HMSDQUDMSN�RSQ@SDFHBN��CDjMHSD�C@KK�4$�BNLD�KD�sei grandi priorità politiche. Esse riguardano:

- misure che favoriscano un mercato del lavoro attivo, armonizzato sulle necessità D� RTKKD� B@Q@SSDQHRSHBGD� CDH� RNFFDSSH� BGD� HMBNMSQ@MN� L@FFHNQH� CHEjBNKSĐ� CH� @BBDRRN�all’occupazione;

- sistemi di protezione sociale adeguati, accessibili a tutti, nonché idonei ad assicurare pari opportunità di accesso agli impieghi;

- strategie di accesso delle persone fortemente esposte al rischio di esclusione sociale ad alloggi e assistenza sanitaria di qualità, all’istruzione e alla formazione continua;

- misure di prevenzione rivolte all’abbandono precoce della scuola, nonché rivolte ad agevolare il passaggio dalla scuola al lavoro;

- strategie ed azioni concrete volte alla eliminazione della povertà infantile;

- politiche di riduzione della povertà e dell’esclusione sociale degli immigrati e delle

1 Comunicazione della Commissione del 12 dicembre 2003 - Relazione comune sull’integrazione sociale contenente una sintesi dei risultati dell’esame dei piani d’azione nazionali per l’integrazione sociale (2003-2005) - COM(2003)773.

Sergio
enti di afferenza
Sergio

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minoranze etniche.

Questi sei grandi assi d’intervento hanno dunque ispirato i Piani Nazionali di Azione per l’inclusione sociale che, a partire dal 2003, sono stati chiamati ad implementare le dichiara-zioni di principio contenute nell’Obiettivo di Lisbona.

Dal punto di vista delle concrete azioni messe in atto dai vari paesi a livello comunitario, giova ricordare che le nazioni che si sono formalmente impegnate nei confronti delle politi-che di inclusione e riduzione della diversità sono state la Francia (2004), il Belgio (2005), la Germania (2006), la Spagna (2009), l’Italia (2009), e, per ultime come più recenti, l’Austria (2010) e la Svezia (2010).

1HRODSSN�@H�LNCDKKH�HRSHSTYHNM@KH��@KBTMH�O@DRH�DTQNODH�G@MMN�CDBHRN�CH�CDjMHQD�CDKKD�f"@Q-te” in cui le istituzioni e le imprese si impegnano, volontariamente, a promuovere e garantire, sia nei posti di lavoro che nella società, l’adesione ai principi di uguaglianza e inclusione. Tutte le Carte prevedono alcuni punti focali, accuratamente pensati per intervenire attiva-mente sulla cultura del lavoro e sulla comunità in cui le organizzazioni sono inserite. Mirano inoltre a sensibilizzare i vertici aziendali sul tema delle discriminazioni e delle minoranze, OTMS@MCN�RTKK@�ENQL@YHNMD��RTH�LNLDMSH�CH�CHA@SSHSN�D�BNMEQNMSN�D�ODQ�jMHQD�RTKKN�RB@LAHN�D�la diffusione delle buone prassi. Va sottolineato che l’adesione alle Carte è assolutamente volontaria (lasciando alla libera iniziativa e alle necessità organizzative la scelta delle stra-tegie da utilizzare, fornendo, nel contempo, un quadro di riferimento a guida dell’azione) e non vincolante. Le Carte sono aperte a qualsiasi impresa, pubblica o privata, e la loro sottoscrizione non determina di fatto alcun processo formale vincolante, ma, ribadiamo, solo volontario. Un elemento di positività delle Carte della diversità risiede nella possibilità di attivare un processo istituzionale forte che spinge verso la diffusione dei principi di in-tegrazione, convivenza e relazione di reciproche simmetrie che si rivolge alle imprese per implementare nelle normali prassi organizzative un nuovo modo di gestire il capitale umano.

Da queste considerazioni introduttive, emerge in maniera evidente che essere consa-pevoli dell’esistenza di ambiti, più o meno ampi, di diversità all’interno di qualunque orga-nizzazione, diventa il primo passo da compiere per una effettiva valorizzazione delle risorse umane. Riteniamo che la chiave di lettura ideale per comprendere il valore del Diversity Management stia proprio in questa considerazione. Gestire le risorse umane secondo i OQHMBHOH�CDK�#,�RHFMHjB@�BNFKHDQD�KD�ODBTKH@QHSĐ�CH�NFMH�HMCHUHCTN��QHBNMNRBDQKD�D�U@KNQHYY@QKD�in una prospettiva che, dal punto di vista degli approcci psico-organizzativi, sposi in pieno i presupposti e le dimensioni analitiche del Positive Organizational Behaviour (POB) (Luthans, 2002; Nelson & Cooper, 2007; Luthans & Avolio, 2009), ossia di quell’orientamento analiti-co e di intervento che declina nelle realtà organizzative presupposti e costrutti ampiamente consolidati nell’ambito della Psicologia positiva.

2. Il Diversity Management: nascita, evoluzione e modelli operativi

Il nesso tra diversità e pratiche organizzative si è palesato in maniera evidente intorno @FKH�@MMH� �����RNOQ@SSTSSN�FQ@YHD�@KK�HMkTDMY@�CH�PTDH�L@M@FDQ�BGD�@UUDQSHU@MN� HM�L@MHDQ@�pressante la necessità di gestire le differenze insite nella forza lavorativa che via via veniva @BBNKS@ �2D�BH�QHEDQH@LN��@C�DRDLOHN��@H�B@LAH@LDMSH�QDFHRSQ@SH�C@KK�@ODQSTQ@�CDH�BNMjMH�SQ@�H� O@DRH� DTQNODH�� NUUDQN� @H� MTNUH� kTRRH� CH� HLLHFQ@YHNMD� C@� @QDD� O@QSHBNK@QLDMSD� BQHSHBGD��diventa estremamente chiaro come alcune particolari dinamiche di globalizzazione hanno condizionato la composizione sociale dei gruppi e le loro relazioni quotidiane (Janssens & Steyaert, 2003).

+�@OOQNBBHN�SDNQHBN�CDK�#HUDQRHSX�,@M@FDLDMS�QHR@KD�@K�������PT@MCN�S@KD�CDjMHYHNMD�

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venne utilizzata dallo Hundson Institute in occasione della pubblicazione del Workforce 2000 (Johnston, Packer & Workforce, 1987). Il report in questione sosteneva che entro il 2000 la maggioranza dei lavoratori sarebbe stata composta da afro-americani, ispanici, donne o soggetti appartenenti ad altri gruppi allora minoritari. Si registrava dunque, la pro-gressiva crescita delle minoranze etniche e del personale femminile rispetto al maschio cau-B@RHBN��OQNSNSHON�jMN�@�PTDK�LNLDMSN�CDK�K@UNQ@SNQD�MNQC@LDQHB@MN �3@KD�MNSHYH@�RNQOQDRD�molti imprenditori americani che, allarmati, iniziarono a porsi il problema della valorizzazione e del mantenimento dei livelli di produzione in un contesto lavorativo in cui le razze, le reli-gioni, le etnie e gli stili di vita erano destinati a mescolarsi in modo variegato.

Il Diversity Management nasce quindi dalla necessità di un modello di gestione di risor-se umane mirato a valorizzare le svariate differenze etnico-culturali presenti nelle aziende statunitensi, considerando l’elevata eterogeneità della forza lavoro. Non è quindi casuale il fatto che la tematica sia emersa in un contesto, quello nord-americano (Stati Uniti e Cana-da), caratterizzato da una popolazione storicamente multiculturale e che abbia dato il via al proliferare di teorie e modelli di riferimento incentrati tutti attorno a tali tematiche (tanto più che l’irrompere di processi di avanzata globalizzazione dettavano, giocoforza, l’adozione di pratiche di convivenza forzata tra modelli culturali e stili di vita differenti).

A prescindere dall’appena citato manifesto che portò all’attenzione di policy-makers e manager il fenomeno della gestione della diversità, nel corso degli ultimi decenni impor-tanti e varie sono state le misure adottate dai sistemi nazionali a favore del diritto al lavoro ed all’eguaglianza tra le varie categorie di lavoratori. Misure, ovviamente, rappresentanti le diverse sensibilità e le diverse culture in cui i sistemi economici erano incardinati e che pre-sentavano spesso strumenti di gran lunga lontani da procedure di vera e propria inclusione di categorie marginalizzate.

Da questo punto di vista è possibile individuare alcune distinte fasi di maturazione dell’attenzione alle diversità nelle organizzazioni.

La prima tappa (1950-1970) – la c.d. età della disuguaglianza – coincide con il periodo del boom economico del dopoguerra, caratterizzato da una fase di forte crescita economi-B@�D�C@K�ONSDMSD�RUHKTOON�HMCTRSQH@KD �2H�HCDMSHjB@�BNM�K@�QHRONRS@�C@�O@QSD�CDKKD�@YHDMCD�@C�un obbligo politico esterno (pressioni delle forze sociali e dei governi nazionali) che richiede la tutela del diritto al lavoro delle minoranze etniche e delle donne. In questa fase, la gestio-ne della diversità mira essenzialmente a garantire una condizione di uguaglianza nel lavoro, obbligando le aziende a trattare tutti i lavoratori nel medesimo modo, assicurando ampia tolleranza delle differenze di razza, genere, etnia e culturali.

La seconda fase evolutiva (1970-2000), denominata età dell’uguaglianza, è caratteriz-zata da ragioni morali, etiche ed economiche delle imprese (Wilson, 1998). Sono gli anni caratterizzati dall’emanazione di leggi che contrastano le discriminazioni nei confronti di gruppi di minoranza, ovvero gli anni delle Pari Opportunità. In questa fase si tende a con-siderare ogni individuo come un soggetto intrinsecamente diverso da un altro; si tende, dunque, a valorizzarne le differenze, nell’ipotesi che il benessere individuale possa tradursi in esiti positivi per l’azienda.

+@�SDQY@�E@RD��PTDKK@�@SST@KD��OTŁ�DRRDQD�CDjMHS@�BNLD�K�età dell’equità e si collega es-senzialmente ad imperativi di natura meramente economica. Nel mondo globalizzato pos-sedere una manodopera eterogenea permette alle imprese, impegnate prevalentemente a differenziare i propri prodotti e servizi, di poter rispondere ai bisogni sempre più diversi dei clienti. In questa fase, si tende a tirare fuori il meglio da ogni dipendente, in modo da massi-LHYY@QD�K@�BNLODSHSHUHSĐ�D�ONSDMYH@QD�HK�OQNjSSN �+�DPTHSĐ�CHUDMS@��CTMPTD��HK�LDYYN�DRRDMYH@KD�per riconoscere e valorizzare le differenze.

Con il termine Diversity Management si sono dunque designate quelle politiche di ge-

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stione e sviluppo del personale tese a valorizzare le diverse necessità e aspettative delle persone che operano in una organizzazione, in funzione del miglioramento delle performan-ce complessive dell’azienda (Mauri & Visconti, 2009).

-NM�UH�Ġ��STSS@UH@��TM@�CDjMHYHNMD�TMHUNB@�CH�PTDRSN�NQHDMS@LDMSN�OQ@SHBN �0TDRS@�OQ@R-RH�UHDMD�U@QH@LDMSD�CDjMHS@�BNLD��fTM�@OOQNBBHN�plurale�D�CHUDQRHjB@SN�MDKK@�FDRSHNMD�CDKKD�QHRNQRD�TL@MD��jM@KHYY@SN�@KK@�BQD@YHNMD�CH�TM�@LAHDMSD�K@UNQ@SHUN�HMBKTRHUN��CNUD�K�DROQDR-sione del potenziale individuale è favorita ed utilizzata come leva strategica per il raggiun-gimento degli obiettivi organizzativi” (Barabino, Jacobs & Maggio, 2001, p.184); l’impiego fRHRSDLHBN�D�OH@MHjB@SN�C@�O@QSD�CDKK�NQF@MHYY@YHNMD�ODQ�QDBKTS@QD�D�SQ@SSDMDQD�CHODMCDMSH�BNM�CHUDQRN�A@BJFQNTMC�D�@AHKHSĐ�: <�@K�jMD�CH�CHRSQHATHQD�HK�ONSDQD�NQF@MHYY@SHUN��@KK@QF@QD�K@�partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli organizzativi e contribuire allo sviluppo CDKKD�NOONQSTMHSĐ�CH�B@QQHDQ@�CH�NFMTMNt��!@RRDS�)NMDR��������O �������HK�fOQNBDRRN�CH�BQD@-zione di una cultura che consente a tutti i dipendenti di contribuire agli obiettivi organizzativi e sperimentare la crescita personale” (Noe, Hollenbeck, Gerhart & Wright, 2008, p.319); NOOTQD�BNLD�fK�HMRHDLD�CDKKD�ONKHSHBGD�D�CDKKD�OQ@SHBGD�BGD�K�NQF@MHYY@YHNMD�@CNSS@�UNKNMS@-QH@LDMSD�@K�jMD�CH�F@Q@MSHQD�TM�SQ@SS@LDMSN�DPTN�@�STSSH�H�RTNH��LDLAQHt��)@BJRNM��2BGTKDQ���Werner, 2009, p.135).

2HMSDSHYY@MCN�KD�CDjMHYHNMH�ENQLTK@SD�C@�CHUDQRH�RSTCHNRH��HK�#HUDQRHSX�,@M@FDLDMS�OTŁ�essere, dunque, visto come un approccio nella gestione delle risorse umane; come un pro-cesso interno all’organizzazione che coinvolge tutto il personale; ma anche come una po-KHSHB@�BGD�K�NQF@MHYY@YHNMD�OTŁ�@CNSS@QD�LDSSDMCN�HM�@SSN�RODBHjBGD�@YHNMH�BGD�BNHMUNKF@MN�tutti i soggetti che ne fanno parte. Gli studiosi sono tutti concordi in merito agli obiettivi che il Diversity Management�RH�OQNONMD��U@KNQHYY@QD�KD�QHRNQRD�TL@MD�CDKK�@YHDMC@�@EjMBGġ�NFMH�membro abbia un trattamento equo e possa contribuire, attraverso la diversità delle carat-teristiche personali2, a favorire l’elaborazione di idee creative e prospettive differenziate che aiutino raggiungimento degli obiettivi aziendali (Ivancevich e Gilbert, 2000; Kirton e Green, 2005; Rullani, 2009).

Un approccio di notevole interesse allo studio del DM, in tal senso, è quello formu-lato circa un ventennio orsono da Cox (1993) e denominato come Modello Organizzativo CDKK�(LO@SSN�@KK@�CHUDQRHSď�RTKKN�2UHKTOON�CDFKH�(MCHUHCTH�D�RTKK�DEkB@BH@�NQF@MHYY@SHU@�- (IMDI). Tale modello si sviluppa su tre dimensioni - Clima di diversità, Sviluppo individuale ed $EkB@-cia sistemica - ciascuna delle quali articolata poi in differenti livelli operativi.

Nella prima dimensione, ovvero il Clima di diversità, vengono analizzati una serie di fattori, correlati a tre livelli:

2 Appare interessante notare, da questo punto di vista, come la letteratura, nel corso degli anni, ab-bia sentito la necessità di categorizzare tali differenze in maniera ben chiara. Ecco dunque emergere K@�BK@RRHjB@YHNMD�&@QCDMRV@QSY�D�1NVD���������BGD��RTKK@�A@RD�CH�PT@MSN�CHBGH@Q@SN�C@KK�.EjBD�NE�Affermative Action Compliance, distinguono tra diversità personali, interne, esterne e organizzative. +D�OQHLD�E@MMN�QHEDQHLDMSN�@KKD�fB@Q@SSDQHRSHBGD�TMHBGDt�CH�NFMH�HMCHUHCTN��KD�RDBNMCD�@KKD�B@Q@SSDQHRSH-BGD�fHLONRSDt�@KK�HMCHUHCTN��MNM�BNMSQNKK@AHKH�C@�DRRN�L@�BGD�KN�HMkTDMY@MN�BNLD�@C�DRDLOHN�K�DSĐ��HK�genere, l’etnia; le terze hanno ad oggetto i fattori sociali ed il background esperienziale della persona; KD�PT@QS@�SHONKNFH@��HMjMD��RH�BNMBDMSQ@�RTKKD�B@Q@SSDQHRSHBGD�BGD�CHEEDQDMYH@MN�TM@�ODQRNM@�C@KK�@KSQ@��all’interno del singolo contesto organizzativo di riferimento (status, ruolo, differenze retributive, ti-pologia contrattuale, anzianità di servizio). Sul medesimo piano si sviluppa il modello proposto da O’Reilly, Williams & Barsade (1998), laddove si fa riferimento alle diversità individuali; a quelle di livello organizzativo, a quelle in relazione ai sottogruppi; a quelle relative alle differenze di status e di potere �ENQL@KD�D�MNM���@�PTDKKD��HMjMD��@UDMSH�@C�NFFDSSN�KD�CHEEDQDMYD�HMRHSD�@KKD�B@O@BHSĐ�CH�CHRSQHATYHNMD�gestione delle risorse aziendali.

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- Fattori individuali: ossia quelle caratteristiche relative alla struttura dell’identità personale che comprende gli stereotipi, i pregiudizi, la personalità.

- Fattori relativi al gruppo-intergruppo: in questo caso l’accento è posto sulle differenze BTKSTQ@KH��H�BNMkHSSH�CH�FQTOON��K�DSMNBDMSQHRLN�

- Fattori strutturali: ovvero tutto ciò che risulta ancorato alla cultura ed ai processi di accul-turazione, all’integrazione strutturale ed informale, ai vincoli istituzionali che gravano sui sistemi di gestione delle risorse umane.

La seconda dimensione, quella dello Sviluppo individuale, si concentra sugli aspetti LNSHU@YHNM@KH��K�HCDMSHjB@YHNMD�D�HK�BNHMUNKFHLDMSN�MDK�K@UNQN��H�QHRTKS@SH�CDH�OQNBDRRH�CH�RUHKTO-po di carriera, la job performance, gli strumenti di compensazione, promozione e mobilità orizzontale.

La terza dimensione d’analisi – $EkB@BH@�RHRSDLHB@ – vede un focus centrato sulla varia-bili di natura prettamente quantitativa. Tali variabili includono:

a) tassi di turn-over, assenteismo, qualità del lavoro, successi nella selezione del persona-le, creatività, innovazione, coesione, comunicazione del gruppo;

b) quota di mercato e di raggiungimento degli obiettivi.

Dal punto di vista delle concrete pratiche di applicazione, la crescente importanza che via via ha acquisito il Diversity Management ha incoraggiato e dato luogo all’uso diffuso di una versione aggiornata di questo modello. È stato possibile infatti aggregare i vari modelli d’intervento, aventi ad oggetto il management della diversità, in tre distinte categorie: i mo-delli valutativi, i modelli prescrittivi, ed i modelli operativi (De Vita, 2011).

I modelli valutativi analizzano i possibili modi in cui le organizzazioni rispondono ai cam-AH@LDMSH�CDLNFQ@jBH�CDKK@�ENQY@�K@UNQN �3Q@�PTDRSH��BH�KHLHSH@LN�@�BHS@QD�PTDKKH�BGD��@�MNRSQN�giudizio, si presentano come i più esaustivi: il modello strategico di Dass e Parker (1999) e quello dell’equity-continuum di Wilson (1996).

Secondo il modello di Dass e Parker (1999) le organizzazioni utilizzano differenti stra-tegie nel tentativo di gestione della diversità. Lo studio è fondato sull’analisi di come le aziende possano adottare differenti strategie rivolte a potenziare il vantaggio competitivo insito nella tutela delle diversità. Le strategie in questione vengono individuate dagli autori in tre pratiche: le strategie d’integrazione, separazione e pluralismo; le strategie di assimi-lazione; le strategie di espulsione. Nella prima pratica, le aziende preliminarmente valutano @SSDMS@LDMSD�BNRSH�D�ADMDjBH�CDK�#,��@K�jMD�CH�TSHKHYY@QD�K@�CHUDQRHSĐ�BNLD�QHRNQR@��RNKN�HM�un secondo tempo, esse diventano consapevoli che per ottenere vantaggi occorre cogliere le differenze e trovare il modo di valorizzarle. Nella seconda tipologia di pratiche – quelle di assimilazione – le differenze vengono assimilate all’interno della cultura dominante con K@�BNMRDFTDMSD�ODQCHS@�CDKKD�RODBHjBHSĐ�CH�BH@RBTM@ � (MjMD��BNLD�SDQY@�OQ@SHB@�@YHDMC@KD��emerge quella tendente ad implementare strategie di espulsione, in cui la linea di gestione la diversità è vista come una minaccia e pertanto da allontanare.

A differenza del precedente, quello dell’equity-continuum proposto da Wilson (1996) è un modello molto adoperato nel campo degli studi organizzativi. Si dimostra particolarmen-te utile poiché tramite l’uso del modello è possibile individuare con assoluta precisione ciò che si è raggiunto (risultati) nelle concrete pratiche di gestione delle diversità.

Esso risulta molto vantaggioso perché, una volta individuato lo step in cui si posiziona l’organizzazione, si può procedere con la progettazione di ciò che si vuole raggiungere (in-SDQUDMSN�RODBHjBN� �(K�LNCDKKN�OQDUDCD�RDH�KHUDKKH�CH�@YHNMD�

Livello 0 (Espulsione)�� KD�@YHDMCD�FHTMSD�@�PTDRSN� KHUDKKN�LNRSQ@MN�TM�MDSSN�QHjTSN�MDH�

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confronti delle diversità; la motivazione di ciò spesso può essere la carenza di informazioni in merito al DM, oppure una forte omogeneità interna;

Livello 1 (Conformità): a questo livello troviamo le aziende che si conformano alle leggi per non incorrere in sanzioni e nei termini legali rispettano le diversità al suo interno;

Livello 2 (Oltre la conformità): vi è sempre un’ottima conformità con la legge ma oltre a questa si possono trovare anche alcune iniziative mirate per aiutare i gruppi generalmente discriminati;

Livello 3 (Business case): giunti a questo livello troviamo il business case; vi è una piena BNMR@ODUNKDYY@�CDH�ADMDjBH�CDQHU@MSH�C@KK@�FDRSHNMD�CDKKD�CHUDQRHSĐ�

Livello 4 (Diversità integrata): a questo livello si può realmente parlare di integrazione CDKKD�CHUDQRHSĐ��RH�BNLHMBH@MN�@�RODQHLDMS@QD�H�ADMDjBH��@MBGD�jM@MYH@QH��CH�TM@�ENQY@�K@UNQN�CHUDQRHjB@S@�

Livello 5 (Sistemi di equità organizzativa): è il massimo livello previsto, ci troviamo da-vanti ad un’azienda che gode di un sistema organizzativo orientato all’equità.

Relativamente alla seconda tipologia, quella relativa ai modelli prescrittivi di Diversity Management, l’attenzione non viene limitata alla sola valutazione del livello raggiunto ri-RODSSN�@KKD�OQ@SHBGD�NODQ@SHUD��L@�UDMFNMN�OQDUHRSH�@MBGD�RODBHjBH�D�ADM�CDjMHSH�OQNFQ@LLH�operativi. In Italia, il caso più noto è quello della SDA-Bocconi che nel 2010 ha creato un .RRDQU@SNQHN�RTK�#HUDQRHSX�,@M@FDLDMS��BNRSHSTHSN�C@�TM�MDSVNQJ�CH�@YHDMCD�OQHU@SD�D�OTA-bliche che hanno tra i propri obiettivi quello di una corretta gestione delle diversità, intesa in termini di genere, fasi del ciclo di vita, cultura e abilità personali.

Il modello dell’Osservatorio SDA-Bocconi propone un percorso basato su due principi, certamente molto realistici: non esiste un’unica corretta soluzione per affrontare il problema della diversità in azienda; è sempre più diffusa, fra le aziende italiane, l’idea che la diversità nei luoghi di lavoro in termini di sesso, età, provenienza territoriale e cultura costituisca un vantaggio per le aziende medesime. Secondo tale modello, ogni realtà organizzativa, per raggiungere obiettivi di gestione e valorizzazione consapevole della diversità, deve ricercare la modalità d’intervento adeguata alla propria cultura organizzativa, senza tralasciare le informazioni in merito alle risorse di cui può disporre ed alla contingenza produttiva che sta attraversando. Il percorso si articola in sette fasi:

q� L’analisi della situazione aziendale: in questa fase si analizzano alcune dimensioni quali la cultura, le caratteristiche del personale, le tipologie contrattuali e le modalità di gestione del personale.

q� La manifestazione di interesse e di impegno del vertice aziendale: l’obiettivo in que-sta fase è di assicurarsi dell’esistenza del supporto da parte dei vertici aziendali.

q� Il carico della responsabilità dell’intervento��QHDMSQ@�HM�PTDRS@�E@RD�K�HCDMSHjB@YHNMD�CH�chi avrà la responsabilità dell’intervento.

q� +�HCDMSHkB@YHNMD�CDKKD�@QDD�BQHSHBGD�BGD�MDBDRRHS@MN�CDKK�HMSDQUDMSN.

q� +@�CDkMHYHNMD�CDFKH�NAHDSSHUH: in base ai risultati raggiunti, in questa fase vengono CDjMHSH��FKH�NAHDSSHUH�ETSTQH�ODQRDFTHAHKH

q� La progettazione delle azioni: che deve avvenire con assoluta accuratezza pre-stando particolare attenzione al livello culturale, a quello simbolico, ed al sistema organizzativo in senso lato.

q� Il monitoraggio dei risultati: è il momento conclusivo, in cui entrano in gioco i vertici

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CDKK�@YHDMC@�DC� H� QDRONMR@AHKH� �HCDMSHjB@SH� MDKK@� E@RD�� �� H� PT@KH� @UQ@MMN�BTQ@�CDKK@�valutazione, sia in itinere che ex post, della correttezza delle strategie impiegate.

(MjMD��H�Modelli operativi di Diversity Management, si concentrano principalmente sugli ostacoli che potrebbero rallentare o intralciare la concreta applicazione delle strategie di DM. Tra i modelli operativi più noti vi è sicuramente quello di Dass e Parker (1999). Tale studio presuppone che l’adozione del DM, da parte dell’azienda, dipenda principalmente da tre principali elementi:

q� le pressioni (interne o esterne) che potrebbero avere un peso sulla modalità di azio-ne delle organizzazioni nei confronti delle diversità;

q� il livello di importanza che le politiche di gestione delle diversità assumono rispetto agli obiettivi aziendali;

q� lo stile adottato dal management, con particolare riferimento alla presenza o assen-za di soggetti riconducibili ad alcune tipologie di diversità.

Sin qui sono stati descritti alcuni tra i modelli su cui si fonda il Diversity Management ed i fattori che ne hanno agevolato la diffusione tra le imprese, spingendole ad adottare come politica di gestione delle risorse umane la promozione, la valorizzazione e l’accentuazione CDKKD�CHEEDQDMYD��@MBGD�RD�@MBNQ@�HMRTEjBHDMSH�RNMN�KD�RTD�@OOKHB@YHNMH�HM�(S@KH@ �1HL@MD�C@�affrontare la questione che riguarda i vantaggi che tale politica può apportare alle organiz-zazioni.

Rajvinder Kandola e Johanna Fullerton (2012), intravedono nel DM la necessità che ROHMFD�KD�NQF@MHYY@YHNMH�@�fB@OHQD�BGD�BH�RNMN�CHEEDQDMYD�SQ@�KD�ODQRNMD�BGD�K@UNQ@MN�D�BGD�queste differenze, se opportunamente gestite, sono una risorsa per far diventare il lavoro OHŔ�DEjB@BD�D�OHŔ�DEjBHDMSDt��O ���� �3Q@�FKH�@RODSSH�ONRHSHUH�UH�Ġ�RHBTQ@LDMSD�HK�LHFKHNQ@LDMSN�degli stili manageriali, le competenze in aree come la comunicazione, la gestione del per-sonale, la diminuzione dei tassi di assenteismo, la possibilità di apertura a mercati e culture diverse (Keil, Amershi, Holmes, Jablonski, Luthi, Matoba, Plett, & von Unruh, 2007).

Secondo altri autori (Lorbiecki & Jack, 2000; Mor Barak, 2011; Cuomo & Mapelli, 2007; Mazzei & Ravazzani, 2008), invece, le ragioni che, nell’adozione di politiche orientate alle diversità, fungono da incentivo per le organizzazione sono legate a tre tipologie di fattori:

q� quelli di natura legale: è la cosa giusta da fare al fine di non incorrere in sanzioni penali che potrebbero mettere in cattiva luce l›azienda;

q� PTDKKH�@UDMSH�@C�NFFDSSN�ADMDjBH�CH�M@STQ@�DBNMNLHB@��HM�SDQLHMH�CH�OQNjSSN���è la cosa più conveniente da fare per poter mantenere o aumentare i guadagni dell’azienda.

q� PTDKKH��HMjMD��HMDQDMSH�@�Q@FHNMH�DSHBN�LNQ@KH��è corretto farlo nel rispetto della politica etica adottata dall’azienda� �0TDRSH�U@MS@FFH�RNMN�PTDKKH�BGD�OHŔ�CH�STSSH�HMkTHRBNMN�sul capitale umano, migliorando la diversità della forza lavoro tramite processi di RDFLDMS@YHNMD��BNMCHYHNMD��PTDRS@��ENMC@LDMS@KD�ODQ�ONSDQ�NSSDMDQD�ONH�ADMDjBH�in termini economici.

Bisogna avere, tuttavia, ben chiaro che non sempre risulta semplice implementare un percorso di DM all’interno delle organizzazioni, poiché (a prescindere dalla dichiarata dispo-MHAHKHSĐ�@C�@BBNFKHDQD�D�U@KNQHYY@QD�K@�CHUDQRHSĐ��H�ADMDjBH�CH�TM@�S@KD�FDRSHNMD�RH�HMSQ@UDCNMN�non nel breve, ma nel lungo termine.

In conclusione, possiamo affermare che l’orientamento (nonché le diverse prassi) di #HUDQRHSX�,@M@FDLDMS� RH�OQDjFFD�TM@�LNKSDOKHBHSĐ�CH� RBNOH�� HMC@F@QD� H�OQNBDRRH� BGD��MDH�BNMSDRSH� K@UNQ@SHUH�� ONRRNMN�FDMDQ@QD� BNMkHSSH� RTKK@�A@RD�CDKK@�ODQBDYHNMD�CDKK@� QDBHOQNB@�

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

CHUDQRHSĐ�SQ@�KD�ODQRNMD��HMSDQUDMHQD�ODQ�LNCHjB@QD�FKH�DEEDSSH�HMCDRHCDQ@SH�CH�S@KH�OQNBDRRH�RTKK@�produttività, favorendo un clima di gruppo positivo e il benessere lavorativo; potenziare all’interno dei gruppi di lavoro quei comportamenti creativi e innovativi idonei a generare OQNjSSN�D�ADMDRRDQD�RTKK�NQF@MHYY@YHNMD�D�RTFKH�HMCHUHCTH�LDCDRHLH

Il DM, inoltre, vuole essere un’alternativa rispetto alle politiche di pari opportunità o antidiscriminatorie; esso ambisce ad essere uno strumento innovativo che vada oltre le esigenze delle politiche di riduzione della discriminazione, poiché non mira ad introdurre soltanto programmi contro le disuguaglianze sociali e le pratiche discriminatorie, ma cerca di conciliare le necessità dettate dal business con il riconoscimento del valore della diversità (Negri & Briante, 2010). La diversità, in quest’ultimo caso, emerge non già come un con-cetto astratto, ma piuttosto come un insieme di pratiche di generazione di valore, declinate attraverso processi di inclusione di soggetti diversi all’interno della vita organizzativa, volti a conciliare i valori dei lavoratori con quelli delle organizzazioni a cui appartengono.

3. Il Diversity Management come modello di Comportamento Organizzativo Positivo

Quanto riportato sinora ha mostrato le applicazioni di pratiche di DM direttamente QHBNMCTBHAHKH�@�LNCDKKH�ENQL@KH�OQNONRSH��BNM�U@QHD�jM@KHSĐ��HM�CHEEDQDMSH�QD@KSĐ�M@YHNM@KH �#@�TM�diverso punto di vista, è opportuno sottolineare come non sono molte le ricerche che dimo-strano concretamente gli effetti nel breve e nel lungo termine del Diversity Management. A STSS�NFFH��KD�QHBDQBGD�DLOHQHBGD�BGD�G@MMN�BNMBQDS@LDMSD�UDQHjB@SN�FKH�DEEDSSH�CH�PTDRSD�ONKH-tiche organizzative, non sono ancora numerose (Wise & Tschirhart, 2000; Weigand & Grein, ����� �0TDKKD�BGD�MD�RNRSDMFNMN�H�ADMDjBH�RNMN�ONBGD�D�fKHLHS@SDt��MDK�RDMRN�BGD�RNMN�state effettuate o attraverso studi realizzati in laboratorio o con classi di studenti, oppure sono il risultato di autovalutazioni (Williams & O’Reilly, 1998; Wrench, 2001; Foster Curtis & Dreachslin, 2008). Veramente minimo il numero di quelle condotte in Italia.

Quali le ragioni di tali limiti? Sembra che oggi il Diversity Management stia attraversan-do una fase critica, dovuta in primis�@C�TM@�CDjMHYHNMD�SQNOON�@LOH@�CDK�SDQLHMD�fdiversità”. Così come spesso utilizzato nell’accezione più generica, l’applicazione di pratiche concrete di DM implica per le minoranze una protezione non adeguata poiché le risorse andrebbero divise e articolate su un numero di soggetti molto ampio (De Vita, 2011).

Inoltre, l’attuazione di politiche di DM richiede, in genere, costi organizzativi molto ele-vati (costi di adeguamento alla normativa, d’implementazione delle politiche in generale, costi legati ai rischi). Le spese da sostenere per questa tipologia d’interventi, oltre a rap-presentare per molte aziende un limite in sé, qualora non siano inserite in un disegno del tutto coerente con la cultura, la missione e gli obiettivi dell’impresa, possono portare ad un precoce abbandono di queste iniziative, soprattutto in periodi di crisi e allorquando soprag-giungono problemi organizzativi più urgenti.

+�DRSQDL@�CHEjBNKSĐ�MDKK@�FDRSHNMD�CDKKD�U@QH@AHKH�NQF@MHYY@SHUD�BGD�HMRHRSNMN�RTKKD�OQ@SH-che concrete fa allora emergere la necessità di cambiare prospettiva, immaginando pos-sibili proposte di sviluppo. La soluzione potrebbe essere quella di partire dal basso, per esplorare nei minimi dettagli quali fattori – individuali ed organizzativi – possono favorire, od ostacolare, l’instaurazione ed il consolidamento di un clima favorevole alle diversità. Il modello di analisi concepito e costruito all’interno del gruppo di ricerca IHRT – International Hope Research Team – e promosso dal Larios dell’Università di Padova, si propone ap-punto di individuare ed indagare i comportamenti e le azioni resilienti che, all’interno delle organizzazioni, si rivelano in grado di favorire la promozione e il sostegno della diversità.

Partendo dal presupposto che le organizzazioni si presentano, oggi più che nel pas-

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

sato, come sistemi costruiti sulle persone e sulle relazioni, l’attenzione viene rivolta agli atteggiamenti ed alle concrete azioni con cui management, supervisori e co-workers con-tribuiscono alla realizzazione e alla diffusione di una cultura della diversità, piuttosto che LDSSDQD�HM�@SSN�@YHNMH�CH�DRBKTRHNMD�D�CHRBQHLHM@YHNMD �-DKKN�RODBHjBN��K�NFFDSSN�CH�RSTCHN�CH�PTDRSN�jKNMD�CH�QHBDQB@�Ġ�BNRSHSTHSN�C@�PTDKKD�CHLDMRHNMH�ORHBNRNBH@KH��HMCHUHCT@KH��CH�FQTOON�DC�NQF@MHYY@SHUD��BGD�ONRRNMN�DMSQ@QD�HM�FHNBN�MDKK@�ODQBDYHNMD�CDKK@�CHUDQRHSĐ��HMkTDMY@M-done conseguentemente la gestione.

In particolare, si farà riferimento – come già accennato all’inizio del capitolo – a quello BGD�MDKK@� KDSSDQ@STQ@�CDKK@�ORHBNKNFH@�ONRHSHU@� UHDMD�CDjMHSN�BNLD�/NRHSHUD�.QF@MHY@SHNM@K�Behavior (POB), un orientamento che pone il suo focus su un approccio positivo allo svi-luppo e alla gestione delle risorse umane (Luthans & Youssef, 2007; Luthans, Youssef, & Avolio, 2007). I costrutti della psicologia positiva applicati al comportamento organizzativo HMBKTCNMN�K@�RODQ@MY@��K@�QDRHKHDMY@��K�NSSHLHRLN�D�K�@TSNDEjB@BH@��TM@�BNLAHM@YHNMD�BGD�G@�dato vita a quello che è stato denominato Psychological Capital – PsyCap (Luthans & Yous-sef, 2004; Luthans et al. 2007).

3.1 – Il modello della ricerca

(K�LNCDKKN�BGD�PTH�RH�OQNONMD�QHOQDMCD�HK�PT@CQN�SDNQHBN�CDjMHSN�C@� UDQX������� �$RRN�si sviluppa sull’analisi degli effetti che fattori individuali (Status di minoranza, Pregiudizio, Credenze verso la diversità, Egualitarismo, Apertura al cambiamento, Resilienza) e fattori organizzativi (Supporto Organizzativo Percepito, Commitment verso il cambiamento, Min-dfulness) rivelano nei confronti di quella atmosfera di convivenza interna alle organizzazione BGD�,NQ�!@Q@J��������CDjMHRBD�BNLD�Diversity Climate. A partire da tale costrutto, il Gruppo di Ricerca dell’IHRT, piuttosto che prendere in considerazione le politiche di sostegno alla diversità formalizzate dalle varie organizzazioni, entra all’interno delle dinamiche organizza-tive, concentrandosi su due particolari effetti che il Diversity Climate determina: l’Endorse-ment e l’Activism; atteggiamenti, questi, che possono incidere fortemente sull’engagement, RTKK@�RNCCHRE@YHNMD�K@UNQ@SHU@�D�RTKK�DEjB@BH@�ODQRNM@KD�D�BNKKDSSHU@

UDQX� �������� MDKK@� RT@� QHkDRRHNMD� SDNQHB@� QHRODSSN� @KK@� CHUDQRHSĐ� MDKKD� NQF@MHYY@YHNMH��distingue tra endorsement e activism�� HK�OQHLN�E@�QHEDQHLDMSN�@K�RTOONQSN�fHMSQHMRDBNt��@KK@�sensibilizzazione che le persone nelle organizzazioni mostrano rispetto a questo tema; il secondo, invece, si riferisce a quanto la diversità è supportata od ostacolata attraverso il comportamento. Rispetto a queste due dimensioni, si possono individuare quattro diffe-renti condizioni, che danno luogo ad atteggiamenti e comportamenti ben delineati: a) un supporto passivo alla diversità; ossia delle forme di valorizzazione implicita di essa, che, tuttavia, non si manifestano attraverso il comportamento delle persone; b) atteggiamenti e comportamenti che sostengono attivamente la diversità; c) un’opposizione passiva, pregiu-diziale, alla diversità, senza che però siano assunti comportamenti apertamente oppositivi; d) il comportamento apertamente discriminatorio.

Il vantaggio di includere Endorsement e Activism in un unico modello è duplice. In primo luogo, aiuta a contestualizzare la ricerca sulla diversità nelle organizzazioni, indivi-duando atteggiamenti e comportamenti facilmente individuabili nei contesti reali, all’interno CDH�PT@KH�Ġ�ONRRHAHKD�HM�PT@KBGD�LNCN�fBNKKNB@QDt�H�K@UNQ@SNQH�HM�ETMYHNMD�CDKKD�KNQN�CHM@LHBGD�relazionali. In secondo luogo, questo modello rappresenta il punto di partenza per un’analisi LTKSHCHLDMRHNM@KD�D�LTKSHKHUDKKN�CDK�OQNAKDL@ �#@�MNM�SQ@RBTQ@QD�HMjMD�K@�ONRRHAHKD�QHB@CTS@�operativa: la comprensione di questo processo potrebbe aiutare infatti gli operatori a svi-luppare strumenti per affrontare le diverse forme di comportamento (o la mancanza di esso)

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Psicologia positiva, orientamento e lavoro

derivanti dal grado di accettazione della diversità da parte dei lavoratori.Le caratteristiche personali, la volontà dei lavoratori coinvolti a tutti i livelli (dal vertice al

ODQRNM@KD���KD�BNMUHMYHNMH�CH�DEjB@BH@��MNMBGġ�K@�jCTBH@�MDKK@�FDRSHNMD�CDKK@�BNMNRBDMY@��RH�rivelano dunque come tra i più importanti asset�C@�SDMDQD�HM�BNMRHCDQ@YHNMD��ODQ�TM@�DEjB@-ce e reale strategia di DM. Intenzioni ed impegni capaci di sviluppare, diffondere e praticare questo approccio, nella consapevolezza che, seppur nel lungo periodo, gli esiti del DM po-SQDAADQN�UDQ@LDMSD�Q@OOQDRDMS@QD�K@�QHRONRS@�@K�AHRNFMN�CH�@ODQSTQ@��kDRRHAHKHSĐ��RNRSDMHAHKHSĐ�richiesta sempre più alla imprese.

Nell’applicazione di tale modello sul piano empirico, nello studio che di seguito si pre-senta vengono inoltre prese in considerazione altre due dimensioni psicologiche individuali: la resilienza e l’apertura al cambiamento. Nel modello di Avery inoltre, erano sono previste alcune dimensioni contestuali che sono state integrate, nel nostro modello di ricerca, con @KSQD�CH�SHON�NQF@MHYY@SHUN��UDCH�jF ��� �

Di seguito verranno approfonditi i fattori individuali e organizzativi che, collegandosi ai costrutti della Psicologia positiva applicata alle organizzazioni, sono stati considerati dal gruppo di ricerca nella proposta del Modello.

3.2 - I fattori individuali

La Resilienza

-DKK@�CDjMHYHNMD�BGD�+TSG@Q dà del concetto di resilienza, questo è considerato come un processo dinamico che comprende un adattamento positivo ad un contesto di significativa avversità. Implicite in questa idea emergono due condizioni fondamentali: l’esposizione si-FMHjB@SHU@� @C�TM@�LHM@BBH@� N� @C�TM@�FQ@UD� @UUDQRHSĐ�� HK� Q@FFHTMFHLDMSN�CH� @C@SS@LDMSN�positivo nonostante la grave minaccia al processo di sviluppo (Luthar & al., 2000). La re-RHKHDMY@�LDSSD� HM�FHNBN�@MBGD� HK�LNCN� HM�BTH�NFMH� HMCHUHCTN� HMkTDMY@� HK�OQNOQHN�@LAHDMSD��nell’affrontare o adattarsi ad eventi o minacce gravemente avversi; questo impegno attivo MDKK�HMkTDMY@QD�TM@�RHST@YHNMD�HMBKTCD�K�@RODSSN�BNFMHSHUN�CDK�ODQBDOHQD�CHUDQRD�NOYHNMH�SQ@�KD�@YHNMH�C@�HMSQ@OQDMCDQD��TM�OQNBDRRN�CH�fBNMNRBDQD�CDBHCDQD�E@QDt���D�FKH�@SSDFFH@LDMSH�D�H�U@KNQH�BGD�BNMRDMSNMN�@C�TM@�ODQRNM@�CH�BQDCDQD�BGD�OTŁ��HM�PT@KBGD�LNCN��HMkTDMY@QD�il proprio ambiente (Henley, 2010). In questo caso, la resilienza è un potenziale adattativo che può essere promosso e sostenuto in una persona, non importa in quale età o fase di sviluppo essa si trovi (Luthar, 2003; Luthar & Cicchetti, 2000).

È proprio questa particolare articolazione che rende il costrutto applicabile anche ai BNMSDRSH�K@UNQ@SHUH��BNMSDRSH�BGD��NFFH��RH�BNMjFTQ@MN�BNLD�KTNFGH�HM�BTH�KD�RHST@YHNMH�BQHSHBGD�sono tali da rappresentare una minaccia per le persone che vi lavorano ed in cui le avver-sità sono spesso impreviste e imprevedibili. In particolare, se riletta secondo i canoni della /RHBNKNFH@�ONRHSHU@�� K@�QDRHKHDMY@�@OOKHB@S@�@H� KTNFGH�CH� K@UNQN��OTŁ�DRRDQD�CDjMHS@�BNLD�K@�fB@O@BHSĐ�ORHBNKNFHB@�ONRHSHU@�CH�QHOQDMCDQRH�C@KKD�@UUDQRHSĐ��C@KK�HMBDQSDYY@��C@K�BNMkHSSN��C@K�fallimento, o anche da un cambiamento positivo [inteso come] un avanzamento [nella car-riera] o un aumento di responsabilità” (Luthans, 2002, p. 702).

L’Apertura Mentale

Il costrutto di Apertura Mentale viene preso a prestito dalla teoria dei Big Five Factors, i cinque grandi fattori che descrivono la personalità in senso transculturale; esso fa riferi-mento all’apertura a culture diverse (Norman, 1963) e all’apertura verso esperienze nuove (Costa & McCrae, 1985).

L’apertura mentale sembra predisporre positivamente verso esperienze di apprendi-

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

mento rispetto alle quali si è fortemente motivati; essa rappresenta, quindi, un facilitato-re nell’acquisizione di nuove competenze e nuovi comportamenti organizzativi (Barrick & Mount, 1991). Questa particolare disposizione, diventa, pertanto, facilmente associabile all’apertura che determinati soggetti rivelano nei confronti della diversità organizzativa. Inol-tre, come suggerisce Froman (2010), è possibile ipotizzare un collegamento tra alcuni fattori della personalità con costrutti della psicologia positiva. Ad esempio, la capacità di essere jCTBHNRH��QHBNMNRBDMSH�D�NSSHLHRSH�ODQLDSSD�CH�RTODQ@QD�MNM�RNKN�KD�@UUDQRHSĐ��BHNĠ��CH�DRRDQD�resilienti), evitando nel contempo una spirale di negatività (ad esempio, il nevroticismo), ma di impegnarsi in comportamenti proattivi, lungimiranti, e goal-oriented.

Fig. 1 - Il modello della ricerca (adattato da Avery, 2011)

Fattori organizzativi

Fattori individuali

Supporto Organizzativo

Commitment to change

Giustizia Organizzativa

Mindfulness

Status di minoranza

Pregiudizio

Credenze verso la diversità

Egualitarismo

Resilienza

Apertura al cambiamento

DIVERSITY CLIMATE

Engagement

$XWR�HIŷFDFLDSoddisfazione lavorativa

Diversity Endorsement

Diversity Activism

3.3 - Fattori contestuali, organizzativi e la relazione con il Diversity Climate

Il grado di presenza delle caratteristiche individuali appena descritte sembrerebbe, a PTDRSN�OTMSN��RTEjBHDMSD�@�OQDCHQD�BNLONQS@LDMSH�CH�NOONRHYHNMD�N�CH�RTOONQSN�@KK@�CHUDQ-sità organizzativa. In verità, gli atteggiamenti sono spesso predittori imperfetti del com-portamento reale (Ajzen, 1991), poiché uno dei fattori di maggior rilievo nel determinare la natura della relazione tra endorsement e activism rispetto alla diversità nelle organizzazioni è il contesto organizzativo nel quale si interagisce.

La forte incidenza del contesto di riferimento sul comportamento degli attori è ormai un dato incontrovertibile delle scienze organizzative (Morgan, 1997; Daft, 2001; Johns, 2006; Knights & Willmott, 2009). Qualunque tipologia di lavoratore, a qualunque livello, non agisce in un vuoto relazionale rispetto al proprio luogo; i comportamenti messi in atto sono, infatti, HMkTDMY@SH�C@�CHM@LHBGD�BGD�RH�attivano sia livello interpersonale, che a livello di intra ed inter-gruppo��!QNVM������� �-NM�RNKN��L@�FQ@M�O@QSD�CDKKD�CHM@LHBGD�@SSHU@SD�HM�PT@KTMPTD�scena organizzativa appaiono fortemente ancorate ai processi di costruzione sociale che li hanno ispirati ed alle pratiche situate che i soggetti hanno via via appreso nel corso della loro esperienza (Bruni, Gherardi, 2007; Kaneklin & Scaratti, 1998; Scaratti, 2012). I fattori situazionali, per un verso, e le credenze che i lavoratori hanno riguardo ai propri colleghi o superiori, per un altro verso, possono facilitare o limitare il legame tra approvazione e

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

BNLONQS@LDMSN�ONRHSHUN�UDQRN�K@�CHUDQRHSĐ��BQD@MCN�OQDRRHNMH�MNQL@SHUD��DC�HMkTDMY@MCN�K@�fM@STQ@KDt�OQNODMRHNMD�CH�BH@RBTM�@C�agire il proprio supporto o la propria opposizione alla diversità.

La ricerca che verrà di seguito presentata si allinea con questa prospettiva, prendendo in considerazione le modalità con cui il clima di diversità strutturatosi nell’organizzazione ONSQDAAD�HMkTDMY@QD�L@MHEDRS@YHNMH�CH�@OOQNU@YHNMD�N�CHR@OOQNU@YHNMD�UDQRN�@KBTMD�B@SD-gorie di lavoratori.

Nel modello di Avery (2011), il Diversity Climate assume un ruolo centrale nella spiega-zione del diversity endorsement e activism; tale costrutto, ancora poco indagato nel conte-RSN�DTQNODN��QHRTKS@�HMUDBD�RDLOQD�OHŔ�BDMSQ@KD�C@�CHUDQRN�SDLON�MDKK@�KDSSDQ@STQ@�RBHDMSHjB@�internazionale, la quale ne ha fornito diverse articolazioni, alcune delle quali vengono ripor-S@SD�CH�RDFTHSN �(K�BKHL@�CH�CHUDQRHSĐ�UHDMD��HME@SSH��CDjMHSN�BNLD�TM@�RODBHjB@�ENQL@�CH�clima organizzativo3 (Glick, 1985), riferibile alle percezioni condivise dai lavoratori relativamente @K�LNCN�HM�BTH�HK�BNMSDRSN�NQF@MHYY@SHUN��ONKHSHBGD��OQ@SHBGD�D�OQNBDCTQD��QHRTKS@�HMkTDMY@SN�C@KK�@OO@QSDMDMY@�CDH�K@UNQ@SNQH�@�FQTOOH�CHUDQRH�ODQ�B@Q@SSDQHRSHBGD�RNBHN�CDLNFQ@jBGD��,B�*@X���@K ������� � KSQD�CDjMHYHNMH�RNSSNKHMD@MN��HMUDBD��MNM�RNKN�HK�QTNKN�CDKKD�RSQTSSTQD�ENQL@KH��ma anche quello dei valori che sostenuti dall’organizzazione rispetto al tema della diversità (Gonzalez & DeNisi, 2009), con particolare riferimento al grado in cui il clima organizzativo promuove le differenze culturali come risorsa positiva (Hofhuis & al. 2012).

Mor Barak et al. (1998) propongono un modello bi-dimensionale relativo al clima di diversità rispetto al quale questo sarebbe costituito da una dimensione organizzativa (ine-rente alle percezioni di equità e inclusione dei dipendenti appartenenti a minoranze nelle politiche e procedure organizzative attuate dalla direzione) e una dimensione individuale, at-SHMDMSD�HK�U@KNQD�ODQRNM@KD�@SSQHATHSN�@KK@�CHUDQRHSĐ��NKSQD�BGD�HK�KHUDKKN�CH�fBNLENQSt�RODQHLDMS@SN�da parte dell’individuo nei confronti di persone provenienti da contesti diversi dal proprio.

Come accennato in precedenza, vari fattori di natura organizzativa assumono un im-portante funzione nello strutturarsi di atteggiamenti e comportamenti di sostegno o disap-provazione nei confronti di particolari momenti della vita organizzativa. Da questo punto di vista, i fattori che abbiamo ritenuto rilevanti nella creazione di un Diversity Climate supporti-vo si sono rivelati il Supporto Organizzativo Percepito (Eisenberger, Huntington, Hutchison, ��2NV@��������2GNQD���2GNQD��������� HK�"NLLHSLDMS� SN�"G@MFD� �'DQRBNUHSBG���,DXDQ��2002), la Giustizia Organizzativa (Colquitt, 2001), la Mindfulness Organizzativa (Weick & Sutcliffe, 2007).

3.4 - Gli esiti nelle organizzazioni

(MjMD��@BB@MSN�@H�E@SSNQH�HMCHUHCT@KH�D�BNMSDRST@KH��MDK�LNCDKKN�CH�QHBDQB@�UDMFNMN�BNM-RHCDQ@SH�@KBTMH�ONRRHAHKH�DRHSH�CDQHU@MSH�C@�TM�DEjB@BD�@OOKHB@YHNMD�CDK�LNCDKKN�CH�FDRSHNMD�della diversità da parte delle organizzazioni. In sostanza ci si aspetterebbe che un clima RTOONQSHUN�MDH�BNMEQNMSH�CDKK@�CHUDQRHSĐ�@AAH@�BNLD�DEEDSSN�OHŔ�DKDU@SH�KHUDKKH�CH�@TSNDEjB@BH@��

3 Sul piano organizzativo il clima fa riferimento a percezioni (reazioni, idee) condivise dai lavoratori e derivanti dalle iniziative messe in atto (o non) dall’organizzazione per promuovere la diversità (Kossek & Zonia, 1993). Sul piano individuale invece si parla di clima psicologico, in quanto ci si riferisce alla percezione individuale di ciò che è considerato importante per l’organizzazione rispetto alla questio-ne della diversità (James, 1982). Le percezioni di clima fanno parte di un processo di attribuzione di RHFMHjB@SH�� H�CHODMCDMSH�TR@MN�KD�HMENQL@YHNMH�CDQHU@MSH�C@�RSHLNKH�R@KHDMSH�ODQ�HMSDQOQDS@QD�HK� KNQN�@L-biente lavorativo e, nel fare questo, integrano le loro percezioni relative a singoli eventi o condizioni in percezioni di clima più ampie e strutturate (Schneider, 1975; Schneider & Reichers, 1983).

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Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

DMF@FDLDMS�D�RNCCHRE@YHNMD�K@UNQ@SHU@��HMkTDMY@MCN�HM�L@MHDQ@�ONRHSHU@�K@�ODQENQL@MBD�CDH�lavoratori ed il cambiamento nelle organizzazioni. Avey et al. (2008) dimostrano come lavo-ratori che presentano capitale psicologico positivo ed emozioni positive (Fredrickson, 1998; +NQC��*KHLNRJH����*@MEDQ��������2S@V��2TSSNM����/DKKDC��������ONRRNMN�LNRSQ@QD�@SSDFFH@-LDMSH�D�BNLONQS@LDMSH�E@UNQDUNKH�@C�TM�DEjB@BD�D�ONRHSHUN�B@LAH@LDMSN�NQF@MHYY@SHUN � KSQH�RSTCH�QHUDK@MN�HMjMD�BNLD�HK�/RX"@O�RH�QHUDKH�ONRHSHU@LDMSD�BNQQDK@SN�@KK@�ODQENQL@MBD��@KK@�soddisfazione e al commitment, mentre il clima supportivo è correlato con la soddisfazione lavorativa e il commitment; sembra pertanto confermato che rappresenti anche un media-tore della relazione tra clima supportivo e performance dei lavoratori (Luthans, Norman, Avolio, & Avey, 2008).

4. La ricerca

+N�RSTCHN�G@�K@�jM@KHSĐ�CH�UDQHjB@QD�DLOHQHB@LDMSD�K�@C@SS@LDMSN�CDK�LNCDKKN�CH� UDQX��realizzato dal gruppo di lavoro, valutando, nel contempo, gli esiti in termini di output nelle organizzazioni. Il gruppo di lavoro ha dapprima formulato una serie di interrogativi che ten-S@MN�CH�QDMCDQD�NODQ@SHUD�@KBTMD�fBTQHNRHSĐt�DLDQRD�CNON�K�@M@KHRH�@OOQNENMCHS@�CDK�LNCDKKN �Gli interrogativi, cui il lavoro di ricerca ha dato parzialmente risposta sono:

q� (M�BGD�LHRTQ@�TM�NQF@MHYY@YHNMD�Ġ�BNMR@ODUNKD�CDKKD�fCHUDQRHSĐt�@K�RTN�HMSDQMN�

q� In che misura un’organizzazione è in grado di pensare in un’ottica di valorizzazione delle diversità?

q� Come integra nella sua politica complessiva il DM?

q� Quanto delle caratteristiche dei lavoratori – incluso il management – in termini di resilienza, e apertura al cambiamento, possono contribuire a migliorare la perce-zione del DM?

q� (M�BGD�LNCN�DEjB@BH�@YHNMH�CH�U@KNQHYY@YHNMD�CDKKD�CHUDQRHS�@FHRBNMN�RTKKD�CHLDMRHN-MH�CH�DEjB@BH@�NQF@MHYY@SHU@�

q� Organizzazioni resilienti sono maggiormente in grado di gestire la diversità al pro-prio interno?

Gli obiettivi della ricerca si collocano su due livelli:

a. Rispetto alle organizzazioni:

��QHKDU@QD�K@�BNMNRBDMY@�BNMR@ODUNKDYY@�CDK�#,�MDH�BN�VNQJDQR�D�RTODQUHRNQR�

- confrontare le dimensioni individuali e organizzative nei lavoratori appartenenti a gruppi di minoranza vs. gruppi di maggioranza.

b. Rispetto al modello:

��UDQHjB@QD�RD�QDRHKHDMY@�D�@ODQSTQ@�@K�B@LAH@LDMSN�Q@OOQDRDMS@MN�E@SSNQH�HMCHUHCT@KH�predittori del Diversity Climate supportivo;

��UDQHjB@QD�RD�BNLLHSLDMS�SN�BG@MFD��LHMCETKMDRR�NQF@MHYY@SHU@��FHTRSHYH@�NQF@MHYY@SHU@�e supporto organizzativo percepito rappresentano fattori contestuali e organizzativi predittori del Diversity Climate supportivo;

��UDQHjB@QD�RD�HK�#HUDQRHSX�"KHL@SD�RTOONQSHUN�OQDCHBD�DRHSH�ONRHSHUH�RTK�OH@MN�NQF@MHYY@-SHUN�HM�SDQLHMH�CH�OHŔ�DKDU@SH�KHUDKKH�CH�DMF@FDLDMS��@TSNDEjB@BH@�K@UNQ@SHU@�ODQRNM@KD�

14

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

e collettiva e soddisfazione lavorativa.

4.1 - Aspetti metodologici

Il reclutamento dei partecipanti ha previsto una fase coinvolgimento delle organizza-YHNMH�@SSQ@UDQRN�H�CHQHFDMSH�RTODQUHRNQ��BGD�G@MMN�BNMCHUHRN�KD�jM@KHSĐ�CDKK@�QHBDQB@�D�LNRSQ@SN�sensibilità verso la tematica. Questa procedura ha consentito ai ricercatori di ottenere la disponibilità in termini di tempi e luoghi per condurre la somministrazione – avvenuta sem-pre all’interno del contesto organizzativo e in orario lavorativo – dei questionari, proposti in forma individuale e senza limiti di tempo, alla cui compilazione, comunque i lavoratori erano liberi di aderire o meno, con assunzione di responsabilità personale. A tutti i partecipanti, e all’organizzazione, è stato garantito l’anonimato e il trattamento dei dati in forma aggregata. Alcune organizzazioni, che ne hanno fatto esplicita richiesta, hanno ottenuto un report di sintesi dei principali risultati emersi dallo studio relativi al proprio contesto.

Gli strumenti utilizzati sono questionari che rilevano opinioni e percezioni individuali, quasi tutti con modalità di risposta strutturata, validati nel contesto italiano; unica eccezione è rappresenta dal Questionario sul Diversity Management, costruito ad hoc per gli scopi dello studio, che contiene anche domande a risposta aperta e che non è stato prelimi-M@QLDMSD�U@KHC@SN��@UDMCN�K�NAHDSSHUN�CH�BNMNRBDQD�KN�fRS@SN�CDKK�@QSDt�QHRODSSN�@K�#,�MDKKD�organizzazioni coinvolte.

4.1.1 - Strumenti

Per l’analisi dei Fattori individuali sono stati utilizzati:Il Questionario sul Diversity Management. È costituto da due sezioni: la prima ha lo

scopo di rilevare percezioni e opinioni relative alla diversità e al DM nella propria orga-nizzazione. Le diversità indagate all’interno dell’organizzazione riguardano: genere, etnia, disabilità, orientamento sessuale, religione, tipologia contrattuale, retribuzione. La seconda sezione indaga, invece, alcune dimensioni personali come sesso, età, stato civile, titolo di studio, settore lavorativo, mansione, nazionalità, anni di lavoro, tipologia di contratto e NQHDMS@LDMSN�QDKHFHNRN �2NMN�PTDRSD�U@QH@AHKH�BGD�BNMRDMSNMN�CH�HCDMSHjB@QD�DUDMST@KH�FQTOOH�di minoranza tra i partecipanti allo studio.

- Resilience Scale for Adult (RSA, Friborg, 2005; ad. it. Laudadio & al. 2011). La Resi-lience Scale for Adults rileva il costrutto di resilienza attraverso 6 fattori: Supporto So-ciale; Percezione del futuro; Supporto familiare; Percezione di sé; Competenze Sociali; Stile strutturato.

- Scala Apertura Mentale del BFQ-2 (Caprara & al., 2007). La scala è dal Big Five Que-stionnaire; è composta da due sottodimensioni: Apertura alla cultura, che analizza l’interesse verso nuove conoscenze; Apertura all’esperienza, che analizza l’interesse verso un nuovo modus vivendi.

Per l’analisi dei Fattori organizzativi sono stati invece utilizzati:

- Il Questionario Diversity Climate��,NQ�!@Q@J��������@C �HS �/@NKHKKN���@K ��TMCDQ�QDUHDV� �Il questionario di Mor Barak e colleghi (1998) valuta il clima di diversità attraverso 3 fattori:

Organizational Fairness, che fa riferimento al grado di imparzialità percepito nelle politiche e pratiche attuate dalla direzione nei confronti delle minoranze (specialmen-te quelle etniche e di genere), come discriminazioni o trattamenti preferenziali nelle

15

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

procedure di assunzione o promozione del personale.

Organizational Inclusion�� HK�PT@KD� E@� QHEDQHLDMSN�@KK@�ODQBDYHNMD�CH� HMBKTRHNMD�DRBKT-sione delle minoranze dal contesto organizzativo, come l’esistenza o meno di pro-FQ@LLH�RODBHjBH�ODQ�KN�RUHKTOON�CH�B@QQHDQ@�CDCHB@SH�@KKD�E@RBD�K@UNQ@SHUD�OHŔ�CDANKH��o di programmi di formazione per sensibilizzare i dipendenti sul tema della diversità.

Personal Diversity Value, che fa riferimento invece alla visione soggettiva che l’indivi-duo ha della diversità in termini di valore e importanza ad essa accordata.

-DKKN�RODBHjBN��H�OQHLH�CTD�E@SSNQH�U@MMN�@�BNRSHSTHQD�K@�CHLDMRHNMD�NQF@MHYY@SHU@��LDMSQD�l’ultimo va a costituire la dimensione individuale.

- Perceived Organizational Support (POS, Eisenberger et al., 1986; ad. it. Battistelli, Mariani, 2011).

- Measurement of Organizational Justice (JM 20, Colquitt, 2001; ad. it. Magnavita et al., 2008). Il questionario valuta la Giustizia Organizzativa nelle sue 4 dimensioni: Corret-tezza procedurale: fa riferimento alla correttezza percepita del processo decisionale; Correttezza distributiva: si riferisce alla percezione dei risultati del processo decisio-nale; Correttezza interpersonale: è la percezione di ricevere un trattamento franco e corretto da parte dei superiori; Correttezza informativa: fa riferimento al rapporto di comunicazione che c’è tra il lavoratore ed il proprio referente o superiore.

- Mindfulness Organizing Scale (MOS, Vogus & Sutcliffe, 2007). È una misura self-report che indaga sulla sicurezza dell’organizzazione, o meglio su come il lavoratore percepisce tale sicurezza. Essa è fondata su comportamenti concreti che rispecchiano il rapporto che il lavoratore intrattiene con l’organizzazione e con i colleghi.

- Scala di Impegno al cambiamento di Herscovitch e Meyer (ad. it. Mari et al., 2005). Lo strumento si basa sul modello di Meyer e Allen (1991, 1997) e considera il commit-ment to change articolato in tre componenti: impegno affettivo; impegno normativo; impegno per continuità.

(MjMD��ODQ�FKH�DRHSH�ODQ�NQF@MHYY@SHUH��RNMN�RS@SH�TSHKHYY@SH�

- Utrecht Work Engagement Scale (UWES, Schaufeli e Bakker, 2003; ad. it. Pisanti, Paplomatas & Bertini, 2008). La scala indaga le tre dimensioni costituenti il costrutto, ossia: il Vigore, la Dedizione ed il Coinvolgimento.

- Scala sulla Soddisfazione Lavorativa tratta da Occupational Stress Indicator (OSI, Co-NODQ�DS�@K ������������� �+@�RB@K@�U@KTS@�K@�RNCCHRE@YHNMD�K@UNQ@SHU@�QDK@SHU@�@�RODBHj-che dimensioni, di seguito elencate, oltre che un punteggio totale: Soddisfazione per la carriera; Soddisfazione per il lavoro stesso; Soddisfazione per l’impostazione e la struttura organizzativa; Soddisfazione per i processi organizzativi; Soddisfazione per le relazioni interpersonali.

���$EkB@BH@�/DQRNM@KD�D�"NKKDSSHU@�/DQBDOHS@ (EPOP e ECOP, Borgogni et al., 2001). La 2B@K@�CH�$EjB@BH@�/DQRNM@KD�/DQBDOHS@�LHRTQ@�KD�BNMUHMYHNMH�CDFKH�HMCHUHCTH�QDK@SHUD�@KKD�loro capacità di padroneggiare con successo le situazioni problematiche legate alle @SSHUHSĐ� K@UNQ@SHUD� RUNKSD �+@�2B@K@�CH�$EjB@BH@�"NKKDSSHU@�/DQBDOHS@�LHRTQ@�� HMUDBD�� KD�convinzioni dei membri dell’organizzazione circa le capacità di riuscire, come insieme, a far fronte con successo alle richieste del mercato e di realizzare l’eccellenza.

4.1.2 - I partecipanti

16

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

I partecipanti coinvolti nello studio sono 456 lavoratori italiani (50,1% maschi, 49,9% femmine), di età compresa tra 25 e i 60 anni; il 10,1% di essi ricopre un ruolo dirigenzia-le l’84,9% un ruolo non dirigenziale (subordinato); sono occupati prevalentemente presso Pubbliche Amministrazioni (39,5%), terziario privato rivolto a persone (31,1%), terziario pri-vato rivolto a imprese (8,1%), sanità (17,3%).

2TKK@�A@RD�CDKKD�U@QH@AHKH�RNBHN�@M@FQ@jBGD�D�CDK�QTNKN�K@UNQ@SHUN�Ġ�RS@SN�ONRRHAHKD�HMCH-viduare alcuni gruppi di minoranza, rappresentati nella Tab. 1. Essi riguardano l’età, l’orien-tamento religioso, la tipologia di contratto, l’anzianità di lavoro e il ruolo lavorativo. Essendo il campione pareggiato per genere non si rilevano minoranze legate a questa dimensione.

Tab. 1. Suddivisione del campione per status di minoranza

età f % religione f %

25-55 anni 441 86% cattolica 400 87.7%

< 25 anni 14 13.8% altre 51 11.2%

missing 1 0.2% missing 5 1.1%

totale 456 100% totale 456 100%

tipologia di contratto f % anzianità di lavoro f %

tipico 413 90.6% da 1 a 10 anni 423 92.8%

atipico 43 9.4% < 1 anno 33 7.2%

totale 456 100% totale 456 100%

ruolo lavorativo f %

esecutivi 388 85.09%

dirigenti 46 10.09%

missing 22 4.82%

totale 456 100%

4.2 - Risultati

� � ����+N�fRS@SN�CDKK�@QSDt�CDK�#,�MDKKD�NQF@MHYY@YHNMH

Una prima analisi ha riguardato la percezione del DM da parte dei partecipanti, rilevata il 0TDRSHNM@QHN�RTK�#, �1HONQSH@LN�KD�QHRONRSD�L@FFHNQLDMSD�RHFMHjB@SHUD�@H�jMH�CH�TM@�LHFKHNQD�comprensione delle opinioni e delle percezioni del DM nei luoghi di lavoro. Relativamente all’item 1 (“Secondo lei cos’è il DM?”), le risposte sono state innanzitutto categorizzate a posteriori in due macro-aree, corrette e scorrette. Per ogni macroarea, vengono riportate MDKK@�3@A ���KD�CDjMHYHNMH�BNM�L@FFHNQD�EQDPTDMY@�D�KD�QDK@SHUD�ODQBDMST@KH �"NLD�RH�DUHMBD�dalle percentuali riportate, solo una metà del campione ha un’idea precisa di cosa sia il DM D�MD�CĐ�TM@�CDjMHYHNMD�ODQSHMDMSD��@MBGD�RD�MNM�@CDFT@S@LDMSD�@QSHBNK@S@�N�@OOQNENMCHS@ �/DQ�K@�QDRS@MSD�O@QSD���� �����UH�Ġ�TM@�L@FFHNQ@MY@�BGD�MNM�QHDRBD�@�CDjMHQKN�D�TM@�LHMN-Q@MY@�BGD�KN�HCDMSHjB@�FDMDQHB@LDMSD�BNLD�ETMYHNMD�CDKKD�CHQDYHNMD��OQNFDSSN�@YHDMC@KD�N�lo lega alle relazioni tra capo e collaboratori. Rispetto a questo item sono state indagate

17

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

eventuali differenze tra dirigenti ed esecutivi nella percezione del DM, ipotizzando che un ruolo professionale dirigenziale, che presuppone consapevolezza e senso di responsabilità dei processi organizzativi e decisionali, implichi anche una più articolata e precisa percezio-MD�CDK�#,��KD�@M@KHRH�CDKKD�ODQBDMST@KH��KD�CHEEDQDMYD�MNM�RNMN�RHFMHjB@SHUD�@K�BGH�PT@CQ@SN��evidenziano che, in entrambe le categorie considerate, meno della metà degli intervistati MD�CĐ�TM@�CDjMHYHNMD�OQDBHR@���� ����CDH�CHQHFDMSH�D��� ����CDFKH�DRDBTSHUH���HM�DMSQ@LAH�H�sottogruppi, una percentuale di risposte considerevole (23.91% dei dirigenti e 27.65% degli esecutivi) si distribuisce intorno alla risposta non so.

Tab. 2. Percezioni del DM

macro-aree categorie di risposta % % per macro-area

CDjMHYHNMH�BNQQDSSDgestione della diversità 45.8%

54.5%diversità in genere 8.7%

CDjMHYHNMH�RBNQQDSSD

funzione della direzione 9%

16.5%relazione capo-collaboratore

relazione obiettivi individuali-aziendali3.3%

progetto di ricerca 4.2%

non saprei 29% 29%

totale 100% 100%

All’item 3, che ha richiesto ai lavoratori se “L’organizzazione in cui lavora prevede la kFTQ@�CDK�1DRONMR@AHKD�#HUDQRHSX�u, le risposte affermative sono il 12.25%; il 30.51% ritiene che questa funzione non sia prevista all’interno della propria organizzazione di appartenen-za, la maggioranza (57,24%), invece, non ha informazioni a riguardo.

Alla domanda “Ritiene che la sua organizzazione attui delle politiche e/o strategie di ge-stione delle diversità?”, il 45.40% dei partecipanti dichiara di non avere alcuna informazione a riguardo, il 26.97% risponde negativamente e il 23.90% affermativamente (il 3.73% non risponde).

Riguardo, poi, alla presenza di diversità nelle organizzazioni, sono state poste alcune domande per indagare se esse possano interferire con il raggiungimento degli obiettivi produttivi e se possano costituire elemento di discriminazione. Nella tab. 3 sono riportate le percentuali di risposte riguardo a questi due aspetti. Come si evince dai dati, le differenze contrattuali sono considerate dai lavoratori intervistati come l’elemento di maggiore ete-rogeneità e potenzialmente discriminatorio all’interno delle organizzazioni, ancor prima di disabilità e genere, che nell’accezione di senso comune sono probabilmente quelle con cui ci si rappresenta il concetto di diversità.

Tab. 3. La diversità nelle organizzazioni

criticità nel raggiungimento degli obiettivi % elementi di discriminazione %

nessuna 29.5% nessuna 27.39%

differenze contrattuali 18.29% differenze contrattuali 15.61%

differenze retributive 14.16% disabilità 12.74%

disabilità 10.32% genere 9.55%

genere 6.79% orientamento sessuale 7.96%

18

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

criticità nel raggiungimento degli obiettivi % elementi di discriminazione %

etnia 5,31% differenze retributive 6.05%

religione 4.43% etnia 4.46%

altro 11.2% religione 4.14%

altro 12.1%

totale 100% totale 100%

5.2.2 - Differenze tra gruppi di maggioranza e gruppi di minoranza

K�jMD�CH�UDQHjB@QD�RD� K�@OO@QSDMDMY@�@�FQTOOH�CH�LHMNQ@MY@�@KK�HMSDQMN�CDKKD�NQF@MHY-zazioni caratterizzasse in maniera differente i lavoratori rispetto alle dimensioni individuali e NQF@MHYY@SHUD�@M@KHYY@SD��@AAH@LN�TSHKHYY@SN�HK�SDRS�S�CH�2STCDMS��O� ����ODQ�UDQHjB@QD�DUDMST@KH�CHEEDQDMYD�RS@SHRSHB@LDMSD�RHFMHjB@SHUD�SQ@�OTMSDFFH�LDCH �$RRD�RNMN�RHMSDSHYY@SD�MDKKD�3@AA ��@�D��A��QHONQS@MCN�RNKN�KD�CHEEDQDMYD�RS@SHRSHB@LDMSD�RHFMHjB@SHUD

Tab. 4a. Differenze per gruppi di minoranza – dimensioni individuali

criterio di

minoranzadimensioni maggioranza minoranza p

M DS M DS

età resilienza – coesione familiare 19.94 3.79 21.43 3.67 0.021

religioneapertura al cambiamento 29.57 7.28 32.33 7.30 0.011

apertura mentale 73.01 13.83 77.88 14.04 0.019

contratto

apertura al cambiamento 29.64 7.28 32.70 7.01 0.009

apertura all’esperienza 43.39 7.91 46.44 7.15 0.015

apertura mentale 73.03 13.91 79.14 12.29 0.006

ruolo lavorativo resilienza – percezione del futuro 10.13 3.30 9.11 3.04 0.046

Tab. 4b. Differenze per gruppi di minoranza – dimensioni organizzative

criterio di minoranza

dimensioni fattori maggioranza minoranza p

età

M DS M DS

commitment to change affettivo 47.94 22.94 62.43 15.26 0.019

mindfulness

organizzativa18.99 4.41 21.43 4.05 0.042

19

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

criterio di minoranza

dimensioni fattori maggioranza minoranza p

contratto

commitment to change affettivo 47.08 23.29 60.12 14.37 <0.001

giustizia organizzativa

procedurale 2.95 0.80 3.46 0.72 <0.001

distributiva 3.02 1.04 3.45 1.02 0.01

interpersonale 3.52 1.03 3.99 0.82 0.004

informativa 3.22 0.88 3.53 0.78 0.027

mindfulness

organizzativa18.90 4.41 20.65 4.12 0.013

supporto organizzativo 23.12 7.40 27.44 6.00 <0.001

diversity climate

organizational

fairness24.23 7.40 26.86 6.90

0.026

personal

diversity value22.29 5.34 25.56 3.92

<0.001

totale 124.22 24.23 136.37 18.96 0.002

anzianità

lavorativa

diversity climatepersonal

diversity value22.45 5.34 24.49 4.60 0.034

commitment to changeaffettivo 47.54 23.22 58.15 15.59 0.01

normativo 25.10 5.26 27.24 5.20 0.025

giustizia organizzativa

procedurale 2.97 0.82 3.40 0.58 0.003

distributiva 3.03 1.05 3.41 0.94 0.045

interpersonale 3.52 1.03 4.11 0.76 0.001

supporto organizzativo 23.27 7.41 26.88 6.26 0.007

ruolo lavorativo commitment to change affettivo 48.75 22.64 39.91 22.85 0.013

Come si può osservare, gli status di minoranza rispetto ai quali emergono un maggior numero di differenze riguardano le dimensioni lavorative (contratto e anzianità lavorativa). /HŔ�RODBHjB@LDMSD��H�K@UNQ@SNQH�BNM�BNMSQ@SSN�@SHOHBN�LNRSQ@MN�OHŔ�DKDU@SH�KHUDKKH�CH�@ODQSTQ@�mentale e – tra le dimensioni organizzative – un maggiore impegno di natura affettiva nei confronti dei cambiamenti organizzativi (il desiderio di sostenere il cambiamento è basato sulla percezione della sua utilità) e, inaspettatamente, anche più elevati livelli di giustizia NQF@MHYY@SHU@�� OTMSDFFH� RHFMHjB@SHU@LDMSD� OHŔ� @KSH� RNMN� OQDRDMSH� @MBGD� MDKK@� CHLDMRHNMD�della mindfulness organizzativa, nel supporto organizzativo percepito e nella percezione del clima di diversità, rispetto al quale non soltanto sul piano individuale viene attribuito in misura maggiore un valore positivo alle diversità, ma anche sul piano organizzativo, vi è una sensazione di imparzialità e di assenza di discriminazione.

Riguardo alle differenze legate all’anzianità di lavoro nell’organizzazione, anche in que-sto caso il gruppo di minoranza – coloro, cioè che lavorano in azienda da meno di un @MMN�l�OQDRDMS@�OTMSDFFH�RHFMHjB@SHU@LDMSD�OHŔ�@KSH�MDKKD�RDFTDMSH�CHLDMRHNMH�NQF@MHYY@SHUD��diversity climate, in una delle sue dimensioni individuali (valore positivo attribuito alla diver-sità); impegno verso situazioni di cambiamento di tipo affettivo e normativo (è un dovere sostenere il cambiamento); giustizia organizzativa procedurale, distributiva e interpersonale; supporto organizzativo percepito. Poche, e poco rilevanti le differenze legate al ruolo lavo-rativo (dirigenti vs. esecutivi).

� ����+@�UDQHjB@�CDK�LNCDKKN

20

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

/DQ�UDQHjB@QD�DLOHQHB@LDMSD�K�HONSDRH�CH�LNCDKKN�CH�ROHDF@YHNMD�CDK�#HUDQRHSX�"KHL@SD��OQDRDMS@S@�@KK�HMHYHN�CDK�B@OHSNKN�D�Q@OOQDRDMS@S@�MDKK@�jFTQ@����@AAH@LN�UDQHjB@SN�l�SQ@LHSD�@M@KHRH�CH�QDFQDRRHNMD�LTKSHOK@�RSDOVHRD�l�PT@KH��SQ@�H�E@SSNQH�HMCHUHCT@KH�DC�NQF@MHYY@SHUH�ENRRDQN�predittori di un clima di supporto alla diversità e quali tra gli esiti organizzativi ipotizzati (au-SNDEjB@BH@��RNCCHRE@YHNMD�DC�DMF@FDLDMS��ENRRDQN�CDSDQLHM@SH�C@�TM�BKHL@�ONRHSHUN�MDH�BNM-EQNMSH�CDKKD�CHEEDQDMYD�MDKKD�NQF@MHYY@YHNMH �(�QHRTKS@SH�CDKKD�@M@KHRH�l�Q@OOQDRDMS@SH�FQ@jB@LDMSD�nelle Figg. 2 e 3 – mostrano che, tra i fattori individuali ipotizzati come predittori del diversity climate, solo l’apertura all’esperienza e una delle dimensioni della resilienza, la percezione CH� Rġ��OQDRDMS@MN� QDK@YHNMH�CH�B@TR@KHSĐ�RS@SHRSHB@LDMSD�RHFMHjB@SHUD � (� E@SSNQH�NQF@MHYY@SHUH��HMUDBD��BGD�OQDRDMS@MN�QDK@YHNMH�CH�B@TR@KHSĐ�RHFMHjB@SHUD�BNM�HK�#HUDQRHSX�"KHL@SD�RNMN��MDKK@�jFTQ@�UDMFNMN�OQDRDMS@SD�C@�RHMHRSQ@�HM�RDMRN�NQ@QHN�ODQ�HMSDMRHSĐ�CDKK@�QDK@YHNMD���RTOONQSN�organizzativo, mindfulness, due delle dimensioni del commitment to change – affettivo e di continuità – tra le quali, tuttavia, va precisato che la dimensione di continuità è un predittore negativo, e la giustizia organizzativa, nelle due dimensioni, interpersonale e informativa.

Le analisi di regressione riguardo agli esiti organizzativi hanno ipotizzato che un clima di maggiore supporto alla diversità predica migliore qualità lavorativa nelle organizzazioni, in SDQLHMH�CH�RNCCHRE@YHNMD��@TSNDEjB@BH@�D�DMF@FDLDMS �#@H�QHRTKS@SH��RBGDL@SHYY@SH�MDKKD�%HF �3 si osserva che il punteggio totale del Diversity Climate rappresenta un predittore di tutt’e tre le dimensioni considerate e delle loro componenti, confermando sostanzialmente l’ipo-SDRH�CH�O@QSDMY@ �/HŔ�@M@KHSHB@LDMSD��@AAH@LN�UDQHjB@SN�HM�BGD�LHRTQ@�H�RHMFNKH�E@SSNQH�BNL-presi nel Diversity Climate, contribuissero a tale relazione causale, ottenendo le seguenti evidenze: l’Organizational Inclusion (percezione di inclusione delle minoranze nel contesto NQF@MHYY@SHUN��OQDCHBD�ONRHSHU@LDMSD� K@� RNCCHRE@YHNMD� K@UNQ@SHU@�� HK� RDMRN�CH� @TSNDEjB@BH@�collettiva (la convinzione, quindi, che i membri dell’organizzazione hanno di riuscire, come gruppo, a far fronte con successo alle richieste di performance) e la dimensione della de-CHYHNMD�MDK�BNRSQTSSN�CDKK�DMF@FDLDMS��TM�HMkTDMY@�CHEEDQDMSD�G@�HMUDBD�HK�E@SSNQD�/DQRNM@K�Diversity Value – la visione soggettiva che l’individuo ha della diversità in termini di valore e importanza ad essa accordata – che risulta predittore negativo di tutt’e tre le dimensioni BNMRHCDQ@SD��RNCCHRE@YHNMD��@TSNDEjB@BH@�BNKKDSSHU@��DMF@FDLDMS �+�@SSQHATHQD�TM�OHŔ�DKDU@SN�valore personale alla diversità sembra determinare più bassi livelli di soddisfazione, autoef-jB@BH@�D�O@QSDBHO@YHNMD��RTK�OH@MN�BNFMHSHUN�DC�@EEDSSHUN��@KK�NQF@MHYY@YHNMD

Fig. 2 – Relazioni di causalità tra fattori individuali ed organizzativi e il Diversity Climate (indice di regressione Ǯ,

p<.05)

21

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

Diversity Climate

Commitment to changecontinuità

Mindfulness

Commitment to changeaffettivo

SupportoOrganizzativo

Giustizia organizzativainterpersonale

Resilienza - Percezione di sé

Apertura all’esperienza

Giustizia organizzativainformativa

Ǯ�̏�ʷƔʹʺ

Ǯ�̏�ƖʷƔʹʹ

Ǯ�̏�ʷƔʹʻ

Ǯ�̏�ʷƔʸˀ

Ǯ�̏�ʷƔʸʹ

Ǯ�̏�ʷƔʸʽ

Ǯ�̏�ʷƔʹʷ

Ǯ�̏�ʷƔʺʼ

Fattori individuali

Fattori organizzativi

Fig. 3 - Relazioni di causalità tra Diversity Climate ed esiti organizzativi (indice di regressione Ǯ, p<.05)

Diversity Climate

OrganizationalInclusion

OrganizationalFairness

PersonalDiversity Value

Soddisfazione

lavorativa

Ǯ�̏�ʷƔʼʸ

Ǯ�̏�ƖʷƔʸʺ

Ǯ�̏�ƖʷƔʹʸ

Diversity Climate

OrganizationalInclusion

OrganizationalFairness

PersonalDiversity Value

TSNDEjB@BH@collettiva

TSNDEjB@BH@personale

Ǯ�̏�ƖʷƔʹʻ

Ǯ�̏�ʷƔʹʼ

Ǯ�̏�ʷƔʺʺ

Ǯ�̏�ʷƔʹʸ

Diversity Climate

OrganizationalInclusion

OrganizationalFairness

PersonalDiversity Value

Engagement

coinvolgimento

Engagement

dedizione

Engagement

vigore

Ǯ�̏�ʷƔʹʽ

Ǯ�̏�ʷƔʹʽ

Ǯ�̏�ʷƔʸʼ

Ǯ�̏�ƖʷƔʸʻ

Ǯ�̏�ƖʷƔʸʼ

22

Psicologia positiva ed organizzazioni in azione

Psicologia positiva, orientamento e lavoro

4.4 – Note di sintesi

Riassumendo in poche note i principali rilievi emersi dallo studio, si evince che il con-cetto di Diversity Management appare poco diffuso e poco familiare nelle organizzazioni coinvolte, tanto per coloro che svolgono ruolo esecutivi, quanto nei supervisor.

La percezione delle dimensioni organizzative non presenta sostanziali differenze per livelli organizzativi (le differenze legate al ruolo lavorativo sono esigue), presentandone, inve-ce, di profonde in merito alla tipologia di contratto e all’anzianità di servizio. In particolare, i lavoratori atipici ed i neo-assunti sono, tra tutti, quelli maggiormente coinvolti sul piano affet-tivo nei processi di cambiamento organizzativo; disposti a mettere in gioco le proprie risorse BNFMHSHUD�ODQ�OHŔ�DEjB@BH�RSQ@SDFHD�CH�OQNAKDL�RNKUHMF�D�@C�@SSQHATHQD�TM�ENQSD�U@KNQD�ONRHSHUN�alla diversità. Probabilmente l’instabilità lavorativa rende queste categorie maggiormente motivate e sensibili verso tematiche cui si sentono in prima persona coinvolti.

Rispetto alla convalida del modello, l’appartenenza al gruppo di minoranza apporta TM�BNMSQHATSN�ONRHSHUN�D�RHFMHjB@SHUN�QHRODSSN�@KK@�CHUDQR@�ODQBDYHNMD�CDKKD�CHLDMRHNMH�NQF@-nizzative. Le altre dimensioni organizzative integrate nel modello (supporto organizzativo, mindfulness, due commitment to change e la giustizia organizzativa) sembrano, anch’esse, BNMSQHATHQD�RHFMHjB@SHU@LDMSD�@KK@�BNRSQTYHNMD�CH�TM�BKHL@�B@Q@SSDQHYY@SN�C@�HMBKTRHNMD��@B-cettazione e disponibilità verso l’utilizzo della diversità come risorsa unica ed utile nel gestire i costanti cambiamenti cui le organizzazioni sono sottoposte. Inoltre, il clima di diversità B@Q@SSDQHYY@SN�C@�RTOONQSN�D�SNKKDQ@MY@�BNMSQHATHRBD��@KSQDSS@MSN�RHFMHjB@SHU@LDMSD��@C�DRHSH�positivi per le organizzazioni, sia sul piano cognitivo che su quello affettivo. Certamente una dimensione non ancora esplorata, che ad oggi costituisce un punto di debolezza della convalida del modello, è rappresentata da misurazioni oggettive degli esiti: la soddisfazione K@UNQ@SHU@��K�DMF@FDLDMS�D�HK�RDMRN�CH�@TSNDEjB@BH@��RNMN�STSSD�CHLDMRHNMH�@TSN�ODQBDOHSD�DC�auto-valutate dai lavoratori, ma non confrontate con un criterio esterno; un primo ambito di approfondimento e di ampliamento dello studio riguarderà proprio il confronto con esiti rilevabili oggettivamente, quali, ad es. la performance.

Sul piano operativo, questi primi risultati suggeriscono che, al di là delle differenze HONSHYY@SD� C@H� CHUDQRH� jKNMH� CH� RSTCH�� KD� NQF@MHYY@YHNMD� ONSQDAADQN� ENB@KHYY@QD� K�@SSDMYHNMD�RTKKD�CHUDQRHSĐ�OQDRDMSH�@K�KNQN�HMSDQMN��D�PTHMCH�HLOKDLDMS@QD�RSQ@SDFHD�BGD�RH@MN�jM@KHYY@SD�ad una valorizzazione della qualità della vita lavorativa, anche in termini di performance e soddisfazione.

5. Considerazioni conclusive

+�HMSDFQ@YHNMD�RNBH@KD�RH�ONMD�BNLD�TM�NAHDSSHUN�CHEjBHKD�C@�Q@FFHTMFDQD�C@K�LNLDMSN�che le diversità si esprimono attraverso valori, abitudini e modi di vita differenti che impon-FNMN�K@�BNMRHCDQ@YHNMD�CH�TM@�LNKSDOKHBHSĐ�CH�U@QH@AHKH�CHEjBHKH�C@�BQHRS@KKHYY@QD�HM�TM�RHRSDL@�CH�QTNKH�CDjMHSN �-DH�BNMSDRSH�K@UNQ@SHUH��S@KD�NAHDSSHUN�ONSQDAAD�DRRDQD�QD@KHYY@SN�OHŔ�E@BHKLDMSD��proprio perché i ruoli sono (o dovrebbero essere) più stabili. Pertanto, la progettazione di politiche aziendali della differenza, può rivelarsi uno strumento importante anche per miglio-rare l’integrazione sociale, consentendo ai lavoratori di trovare nuovi spazi di socializzazione e di affermazione personale.

La gestione delle diversità potrebbe dunque rivelarsi una importante occasione per

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integrare la propria cultura adeguandola a nuovi contesti, prendendo le distanze da quelle rigidità personali che ciascuno mette in campo nella propria quotidianità.

La diversità viene interpretata come elemento appartenente a qualsiasi realtà, il cui RHFMHjB@SN�U@�ODQŁ�LNCHjB@SN�DC�@C@SS@SN�@KKN�RODBHjBN�BNMSDRSN�BTH�RH�QHEDQHRBD

+@�PTDRSHNMD�fCHUDQRHSĐt�Q@OOQDRDMS@�NFFH�TM@�RjC@�BGD�KD�NQF@MHYY@YHNMH�MNM�ONRRN-MN�DRHLDQRH�C@KK�@EEQNMS@QD��fCHUDQRHSĐt�BGD�NQHFHM@�MNM�RNKN�C@H�B@LAH@LDMSH�CDLNFQ@jBH��L@�@MBGD�C@KK@�CHUDQRHjB@YHNMD�CDH�BKHDMSH��C@KKD�MTNUD�LNC@KHSĐ�CH�K@UNQN�all’interno e tra le aziende (fusioni, acquisizioni, alleanze strategiche) e che passa attraverso la comunicazio-ne. Sono queste attenzioni�BGD�ODQLDSSNMN�CH�MNM�ODQCDQD�H�fS@KDMSHt��NUUDQN�ODQRNMD�BGD�C@MMN�RODRRN�KTNFN�@�QHBNMNRBHLDMSH�MDKK@�BNLTMHSĐ�RBHDMSHjB@��L@�BGD�RNMN�@MBGD�ONR-sessori di competenze non esplicitabili in termini documentali, ma che rappresentano nella catena del valore aziendale un anello importante (Bombelli, 2004).

Mettere in pratica un management positivo della diversità vuol dire dunque gettare le A@RH�ODQ�TM@�BNMBQDS@�fBHSS@CHM@MY@�K@UNQ@SHU@t��2@QBGHDKKH��������O ������E@UNQDMCN�QDK@YHNMH�ORHBNKNFHB@LDMSD�RHFMHjB@SHUD�BGD� KDFGHMN� KD�LNSHU@YHNMH�D�FKH� HMSDQDRRH�CDKKD�persone alle organizzazioni, a partire dalla presa di coscienza che le differenze che le caratterizzano pos-sono esser viste quali risorse collettive, nella piena valorizzazione della diversità che presen-terebbero. Si tratta di legittimare una partecipazione piena, e non solo periferica, all’interno CDKKD�NQF@MHYY@YHNMH��@SSQ@UDQRN�@CDFT@SH�OQNFQ@LLH�CH�BNTMRDKHMF��@EjMBGġ�H�FQTOOH�RNBH@KH�si impegnino a raggiungere un obiettivo fondamentale: generare conoscenza in modo or-ganizzato e partecipato.

+@� QHBDQB@� D� K@� OQ@SHB@� NQF@MHYY@SHU@� MNM� ONRRNMN� MNM� BNMjFTQ@QRH�� CTMPTD�� BNLD�l’alternativa valida per favorire politiche partecipate orientate a dare spazio e voce ai diversi attori nei contesti; per costruire insieme il copione della propria condizione e dotarlo di un RDMRN�RTEjBHDMSDLDMSD�BNMCHUHRN��@MBGD�HM�SDQLHMH�HCDMSHS@QH �2H�SQ@SS@��HM�@KSQH�SDQLHMH��CH�@SSH-U@QD�fOQNBDRRH�CH�LDRR@�HM�CH@KNFN��CH�LDRR@�HM�CHRBTRRHNMD��CH�CDBNRSQTYHNMD�D�QHBNRSQTYHN-ne di rappresentazioni, saperi, convinzioni, paure e desideri” (Kaneklin & Scaratti, 1998, p. 29). Il tutto in un’ottica di miglioramento della qualità delle relazioni all’interno delle diverse organizzazioni di cui siamo attori, anche se non protagonisti.

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