GIORDANO BRUNO E IL VINCOLO DI CUPIDO

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n. 3 – marzo 2015 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno vii EDITORIA Divertito elogio dei refusi di massimo gatta SUL NOLANO Giordano Bruno e il vincolo di Cupido di guido del giudice LIBRO DEL MESE La grotta delle meraviglie della “marchesana” di riccardo braglia GUERRA E LETTERATURA Gli intellettuali e la I Guerra Mondiale di marco cimmino FONDO IMPRESA Ferrero: una dolce storia di gianluca montinaro

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La passione del filosofo per il "gentil sesso"

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n. 3 – marzo 2015

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno vii

EDITORIADivertito elogiodei refusidi massimo gatta

SUL NOLANOGiordano Bruno e il vincolo di Cupidodi guido del giudice

LIBRO DEL MESELa grotta dellemeraviglie della“marchesana”di riccardo braglia

GUERRA ELETTERATURAGli intellettualie la I GuerraMondialedi marco cimmino

FONDO IMPRESAFerrero: una dolce storiadi gianluca montinaro

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Borgo di Santo Antonio, unacontrada presso Santa Maria delCarmino».

A eccitare le sue fantasieerotiche ci si mise anche il suomaestro ideale di arte della me-moria: «Ancora ero un fanciulloche potei attingere agli insegna-menti del Ravennate». Si trattadi quel Pietro Tomai da Ravennache nel 1506 a Colonia era statosospeso dall’insegnamento e co-stretto a ritornarsene in Italia,perché accusato di comporta-mento disdicevole (scholares italinon poterant vivere sine meretrici-bus). Nella Phoenix seu de artificio-sa memoria, egli suggeriva: «Sebrami richiamar tosto una cosa,affida ai luoghi giovinette assaibelle, poiché la memoria mira-

bilmente si scuote colla collocazione di fanciul-le(...). Vero è che questo utile precetto non potràgiovare a quelli che hanno in odio e disprezzo ledonne: costoro peraltro più difficilmente racco-glieranno il frutto di quest’arte». Insomma l’eroti-smo al servizio della mnemotecnica, come espe-diente emotivo utile a fissare i ricordi. Il Nolano sene servì ampiamente, per l’elaborazione delle im-magini del De umbris idearum: «La prima immagi-

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Il filosofo e la passione per il “gentil sesso”

«Mi disse che lipiacevano assaile donne, e che

non era arrivato ancora al nume-ro di quelle di Salomone; e che laChiesa faceva un gran peccato infar peccato quello con che si ser-ve così bene alla natura, e che luil’haveva per grandissimo meri-to»: così riferisce al processo ve-neto il traditore Giovanni Moce-nigo.

Di fronte a queste contesta-zioni, Giordano Bruno non dis-simula, come fa per altri argo-menti che giudica di minore im-portanza, ma ammette con co-raggio di aver sostenuto «che ilpeccato della carne, parlando ingenere, era il minor peccato dellialtri» e «che il peccato dellasemplice fornicazione sia tanto leggero che fossevicino al peccato veniale», pur sostenendo di averlodetto per leggerezza, in compagnia, ragionando dicose oziose e mondane.

Il debole per il gentil sesso Bruno lo palesò findalla giovinezza, e ce lo attestano le pagine del Can-delaio in cui dimostra una precisa conoscenza dellepiazze di meretricio di Napoli: «cqui in Napoli ab-biamo la Piazetta, il Fundaco del Cetrangolo, il

Sul Nolano

GUIDO DEL GIUDICE

Disegno di Maurizio di Bona,

the Hand

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ne di Venere è una fanciulla coronata di mirto, nu-da, con i capelli lunghi fino alle caviglie, e davanti alei una cagnetta bianca che salta».

Frammenti che lasciano intuire una consuetu-dine del filosofo con le donne sono sparsi in moltedelle sue opere. In particolare nel De vinculis in ge-nere, dove egli analizza gli aspetti “fisiologici” delvincolo d’amore, al fine di conquistare il favoredell’oggetto del desiderio: «Una ragazza assoluta-mente casta e del tutto priva di alcun germe di sti-molo erotico non può essere indotta alla passionesensuale da nessun artificio o influsso astrale, se pri-ma non viene toccata, se non viene tastata: se - vo-glio dire - non si dà una sua collaborazione con lamano di colui che getta il vincolo, unita ad un flusso

che, dalla mano di questi, corre fino a lei».Bruno non nascose mai le sue opinioni sull’ar-

gomento, con quella franchezza, a volte esagerata,che lo spingeva a esprimersi liberamente anche sul-le questioni più pericolose. Queste esternazionifornirono il pretesto ai suoi denigratori, nel corsodell’acceso scontro politico-religioso scatenatosisul finire dell’Ottocento in seguito alla realizzazio-ne del monumento di Campo de’ Fiori, per una va-sta campagna, a base di prediche e sermoni, tesa ascreditarne la figura agli occhi del pubblico femmi-nile. Sentite cosa dice il preposto Nazareno Cervi-gni alle sue parrocchiane nel 1911, dopo l’inaugu-razione di una lapide a Bruno nel comune di Calda-rola: «Ma ancora, ancora, mie care consorelle: chi

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fu Giordano Bruno? Anche voi donne, ne dovetefare la personale conoscenza. Ebbene apprendetelovoi da ciò che Giordano Bruno diceva della donnaitaliana. La donna italiana, secondo lui, “è una cosasenza fede (sono sue parole) priva d’ogni costanza,destituita d’ogni ingegno, vuota di ogni merito,senza riconoscenza e gratitudine alcuna; è una cosadove non può capire più senso, intelletto, e bontadeche trovar si possa in una statua o immagine dipintanel muro. E dove è più superbia, arroganza, ira,sdegno, falsitade ed altri crimini esiziali che avesse-ro potuto uscire veleni ed istromenti di morte dalVasello di Pandora”. E quasi, mie care sorelle, pertutto questo voi foste poca cosa per quel buon frati-no, aggiunge anche: “esser voi a tacer di altro unabottega, una dogana, un mercato di quante sporca-rie, tossichi e veleni che abbia potuto produrre lanostra madrigna natura”. Povere le mie donne!».

Chi, però, legga l’intero dialogo, e non soltan-to i passi estrapolati ad arte dal contesto, si accorge-rà che il bersaglio delle invettive del filosofo è in re-altà «quel studioso e disordinato amor venereo chesogliono alcuni spendervi de maniera che se gli fan-no servi con l’ingegno, e vi ve-gnono a cattivar le potenze edatti più nobili de l’anima intel-lettiva».

Anche in altri luoghi Bru-no mette in bocca a personaggicome Poliinnio, il «sacrilegopedante… perpetuo nemicodel femineo sesso» del De lacausa, giudizi spregiativi chevengono poi contraddetti daFiloteo, il suo alter ego: «tuttivizii, mancamenti e delitti sonmaschi; e tutte le virtudi, eccel-lenze e bontadi son femine».

Come sua abitudine ilNolano vuole che «quel ch’è diCesare sia donato a Cesare, equel ch’è de Dio sia renduto a

Dio. Voglio dire che a le donne, benché talvolta nonbastino gli onori et ossequii divini, non perciò se glidenno onori et ossequii divini. Voglio che le donnesiano cossì onorate et amate, come denno essereamate et onorate le donne». Se non hanno altra vir-tù che quella naturale «denno esser stimate più va-namente nate al mondo che un morboso fungo». Idue ruoli, quello di genitrice e perpetuatrice dellaspecie e quello di Diana rivelatrice del vero nonvanno mai confusi. Per lo stesso motivo Bruno fu-stiga le mollezze dei petrarchisti, che nei loro lan-guidi versi esaltano particolari profani dell’amorvolgare, anziché innalzare gli animi alle sublimi al-tezze dell’amore spirituale.

Certo qualsiasi considerazione al riguardo vastoricizzata, inquadrandola in un’epoca in cui lacondizione di gran parte della popolazione femmi-nile era di sottomissione e sfruttamento, ma a piùriprese il Nolano attestò la propria stima per il gen-til sesso. Diana, Minerva, Sophia, Mnemosyne: tut-ti i grandi miti bruniani, nella loro sublimazione,assumono aspetto femminile.

Non a caso, quando nel De la causa dovette far-si perdonare le invettive controla rozza plebe inglese pronun-ciate nella Cena de le Ceneri, chenon furono naturalmente ap-prezzate dall’ambiente londi-nese, egli fece ricorso ad unelogio entusiasta delle “Mused’Inghilterra”, i cui pregi appa-rivano sublimati nella diva Eli-sabetta: «A voi altre, dunque,dico, graziose, gentili, pastose,morbide, gioveni, belle, delica-te, biondi capelli, biancheguance, vermiglie gote, labrasucchiose, occhi divini, petti dismalto e cuori di diamante; perle quali tanti pensieri fabricone la mente, tanti affetti accol-go nel spirto, tante passioni

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concepo nella vita, tante lacrime verso da gli occhi,tanti suspiri sgombro dal petto e dal cor sfavillo tan-te fiamme (...)». Saranno state le abitudini del cleroanglicano a rafforzarlo nell’opinione, riferita alprocesso dai suoi compagni di cella, che non ci sa-rebbe nulla di male nel consentire anche ai religiosile gioie della famiglia: «poiché vogliono tenerequesti preti ignoranti, bisogna almeno ordinare,ch’ognuno abbia la sua donna».

Accenti di delicato rimpianto in tal senso si av-vertono nei toni affettuosi con cui egli descrivequella Maria Bochetel de la Forest, consorte del-l’ambasciatore Michel de Castelneau, nella cui casavisse a Londra, di cui magnifica le doti di moglie e dimadre: «non solamente dotata di non mediocrecorporal beltade, che gli avvela ed ammanta l’alma,ma oltre, che, col triumvirato di molto discreto giu-dizio, accorta modestia ed onestissima cortesia,d’indissolubil nodo tien avvinto l’animo del suoconsorte ed è potente a cattivarsi chiunque la cono-sce». Bruno differenzia nettamente amore profanoe amore eroico; l’impulso passionale sta a quellospirituale come l’ombra alla luce: «quantunque unrimagna fisso su una corporal bellezza e culto ester-

no, può onorevolmente e degnamente trattenirsi;purché dalla bellezza materiale, la quale è un raggioe splendor della forma ed atto spirituale, di cui è ve-stigio ed ombra, vegna ad inalzarsi alla considera-zion e culto della divina bellezza, luce e maestade».Questa doppia lettura del vincolo di Cupido costi-tuisce l’argomento del De gl’heroici furori. Non a ca-so l’opera avrebbe dovuto chiamarsi Cantica, condichiarato riferimento al Cantico dei Cantici, che«sotto la scorza d’amori ed affetti ordinarii contie-ne similmente divini ed eroici furori».

Il suo ideale di donna è dunque quello che, in-carnando questi due aspetti, riesce ad innalzarel’amante a pensieri più alti: «La beltà dunque delcorpo ha forza d’accendere, ma non già di legare efar che l’amante non possa fuggire, se la grazia, chesi richiede nel spirito, non soccorre, come la onestà,la gratitudine, la cortesia, l’accortezza. Perciò dissibello quel fuoco che m’accese, perché ancor fu no-bile il laccio che m’annodava». Questo fuoco, que-sto laccio hanno un volto e un nome: quello dellamisteriosa Morgana B. (probabilmente una cuginaamata in gioventù), invocata nella breve dedica delCandelaio come femmina sensuale e al tempo stesso

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Sopra: George Gower (1540-1596), Elisabetta I Tudor (1588), abbazia di Woburn. A destra: Figura dal De imaginum,

signorum et idearum compositione

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Beatrice che accompagna per mano l’amato versola conoscenza superiore: «Per mia fé non è prenci-pe o cardinale, re, imperadore o pappa che mi levar-rà questa candela di mano in questo sollennissimooffertorio. A voi tocca, a voi si dona; e voi o l’attac-carrete al vostro cabinetto, o la ficcarrete al vostrocandeliero: in superlativo dotta, saggia, bella e ge-nerosa mia signora Morgana». Bruno si rivela, an-che in questo, uomo dal temperamento profonda-mente mediterraneo, fiero della propria virilità:«…per quanti regni e beatitudini mi s’abbiano pos-suti proporre e nominare, mai fui tanto savio o buo-no che mi potesse venir voglia de castrarmi o dove-nir eunuco...... Né credo d’esser freddo, se a refri-gerar il mio caldo non penso che bastarebbono lenevi del monte Caucaso o Rifeo».

Eppure non sono mancate alcune romanze-sche interpretazioni che hanno voluto identificare,nel rapporto con il giovane discepolo Jean Henne-quin, una liaison omosessuale, quasi che tra maestroe allievo essa dovesse essere, a quel tempo, una con-seguenza inevitabile. Basterebbe a smentirla il tonobeffardo con cui Bruno tratta il “Candelaio” dellasua commedia o «quell’altro Candelaio di carne edossa», il suo nemico fra Bonifacio da Napoli, cuipromette vendetta «si non in una in un’altra vita».

A fugare qualsiasi sospetto provvede lo stessofilosofo nel De immenso, opera densa di riferimentiautobiografici, in cui i suoi gusti sessuali sonoespressi in termini inequivocabili: «Io, poiché lanatura mi ha creato irsuto, non imparerò mai adadattare smeraldi alle mie rozze dita, ad arricciare lamia chioma, a tingere il mio volto di un roseo colo-re, ad adornare il mio capo di profumati giacinti, adatteggiarmi mollemente, a danzare dolcemente, afalsare la mia voce, quasi uscisse da una gola tene-rella, per non comportarmi da ragazzo, uomo comesono, e per non divenire da maschio, femmina. Secosì sono fatto, grazie agli Dei, mi conserverò qualsono, severo, virilmente forte nelle membra, intre-pido, indomito e con voce maschile dirò ai Narcisi:le Ninfe hanno molto amato anche me».