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Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO DI MUSICA
ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE “Cesare Pollini” - PADOVA
Tesi di diploma accademico di 1° livello in
TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE
GIANNI DI CAPUA
REGISTA, DOCUMENTARISTA E COMPOSITORE
Diplomando: Tommaso Nicolò Bonfanti
Matricola: 00160
Relatori: Alessandra Possamai, Giorgio Klauer
Anno Accademico 2012-2013
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Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO DI MUSICA
ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE “Cesare Pollini” - PADOVA
Tesi di diploma accademico di 1° livello in
TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE
GIANNI DI CAPUA
REGISTA, DOCUMENTARISTA E COMPOSITORE
Diplomando: Tommaso Nicolò Bonfanti
Matricola: 00160
Relatore: Alessandra Possamai, Giorgio Klauer
Anno Accademico 2012-2013
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INDICE
1.Prefazione……………………………………………………………...p.4
2.Percorso Formativo………………………………………………….p.5
3.Prime Esperienze Formative…………………………………………p.7
- 3.1 L’ Harlekin di Karlheinz Stockhausen…………………………...p.7
- 3.2 La Voixe Humaine di Francis Poulenc…………………………..p.8
- 3.3 Collaborazione con Luca Ronconi……………………………….p.8
- 3.4 La Caduta di Casa Usher di Pierluigi Pieralli……………………p.9
- 3.5 Le Produzioni con Beppe Menegatti…………………………….p.9
4.Collaborazione con la Rai…………………………………………...p.11
5.Produzioni tra il 1987 e il 1992...........................................................p.12
6.Biennale musica 1992-1993 Con Luigi Nono………………………p.13
7.Corti D’Autore………………………………………………………p.15
8.Produzioni Rai Sat su Luigi Nono………………………………….p.21
9.Satyricon e la Medea……………………………………………….p.24
10.Altri Incarichi…………..…………………………………………..p.27
11.Intervento su Quaderni dell’I.R.TE.M………………………...….p.28
12.Conclusioni sull’autore…………………………………………….p.36
13.Sitografia a altri documenti………………………………………..p.37
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1. PREFAZIONE
Gianni di Capua è un regista, documentarista e un compositore padovano. La sua
opera si sviluppa e dirama in svariati ambiti artistici: dalla direzione scenografica
teatrale all’arrangiamento per balletto di opere musicali, ha coordinato di
programmi radiofonici ed è stato il principale documentarista televisivo di
spettacoli di musica elettroacustica. Questo artista polimorfico si definisce
attraverso la scelta accurata dei dettagli e delle più efficaci sintassi
cinematografiche per distaccare particolare cura Plasmato da un percorso di
studi ed esperienze variegato e ricco, fondato sullo studio sia musicale che
dell’arte performativa della danza oltre che dalla sperimentazione costante e da
un’attenzione di carattere fortemente formativo di grandi personaggi con i quali
ha potuto collaborare. Una figura importante che ho deciso di approfondire in
tutto il suo percorso artistico in quanto fondamentale narratore e testimone del
progresso e dello stravolgimento tecnologico e culturale degli ultimi decenni, nei
quali lo sviluppo dei media ha svolto un ruolo chiave dettando nuovi standard di
intrattenimento e di “bello”.
1 Gianni Di Capua
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2. PRECORSO FORMATIVO
Il primo incontro con la musica per Di Capua avviene in Svizzera dove inizia a
studiare pianoforte alla scuola dell’obbligo. Qui nasce la sua passione per lo
strumento che lo condurrà ad un’ammirazione per la musica ed in particolare alla
predilezione per carattere libero e sperimentale del Jazz. Studia all’ “Accademia
di Belle Arti” di Venezia e nel 1978 inizia a nutrire interesse per il corso di
Musica Elettronica del Conservatorio “C. Pollini” di Padova tenuto al tempo da
Teresa Rampazzi, figura che risultò poi fondamentale per la sua formazione.
Quando poco dopo la sua iscrizione al corso la docente abbandona
l’insegnamento Di Capua decide di smettere di frequentarlo reputando più
proficuo seguire la Rampazzi nei suoi corsi privati, che teneva a casa propria e
dove questa possedeva un’incredibile quantitativo di strumentazione
all’avanguardia sul quale poter lavorare. Grazie alla possibilità di un approccio
pratico alle macchine (in particolare il Revox a quattro piste) e alla diretta di
sperimentazione sonora qui ebbe approfondisce a lungo con la propria maestra la
ricerca del suono e del timbro, i quali dovevano essere drammaturgici ed essere
mezzi per il compositore al fine di ampliare la tavolozza compositiva.
L’ideologia che aveva sviluppato la Rampazzi in merito alla musica concreta
infatti era molto lontana e quasi in opposizione a quella dei compositori che si
definiscono più puramente attraverso una ricerca matematica del suono e che si
distanziano dalla musicalità prendendo in considerazione unicamente la forza del
suono e quindi spesso rifuggendone la delizia dell’ascolto. Grazie all’esperienza
con una pioniera di questo calibro della musica elettroacustica Di Capua ha
potuto sentirsi a contatto con i grandi compositori della tradizione novecentesca
con i quali questa aveva collaborato. Una testimonianza diretta senza
rielaborazione da parte intermediari di quello che è stato il passaggio da un primo
periodo embrionale alla conseguente più ampia e profonda sperimentazione di
questa materia. Contestualmente a questi studi agli inizi degli anni Ottanta ebbe
l’opportunità di seguire a Parigi corsi sul perfezionamento sull’esecuzione della
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musica contemporanea e sull’improvvisazione presso l’INEP (Istituto Nazionale
di Educazione Popolare). A Parigi in quel momento vi era un forte fermento
verso la sperimentazione e la musica elettroacustica, e qui trova quindi
l’ambiente di ricerca consolidato ed improntato verso un approccio immediato
sulle macchine che stava cercando. Nella capitale francese viene anche per la
prima volta a contatto con la dimensione della danza facendo da assistente a
Francette Lavieux, una delle più grandi fotografe di danza contemporanea
francese. Lei lo introduce personalmente ai più apprezzati coreografi dell’ epoca
Brigitte LeFevre, Roland Petite, Rudol’f Nureev. In particolare a Maurice Bejàrt
il quale costantemente si rifaceva all’impiego di musica elettronica e che
utilizzava al fine di creare il gesto coreografico per la rappresentazione di soli da
inserire in quelle che erano invece opere di tipo prettamente classico, esemplare
risulta il suo primo capolavoro “Sinfonia per un uomo solo”: in questo balletto
sono caratteristiche essenziali la brutalità degli accenti, la mescolanza del
vocabolario classico e moderno, la stretta coesione tra il gesto drammatico, il
ritmo e il suono. Di Capua divideva il suo tempo tra Parigi e Padova, città inoltre
al tempo gemellate nella ricerca dal Centro di Sonologia Computazionale presso
la facoltà di Ingegneria dell’Università, un polo di promozione e diffusione
culturale della musica informatica attivo dagli anni settanta che consiste nella
collaborazione e nella ricerca multidisciplinare di esponenti di vari ambiti
dell’ingegneria. In Italia oltre a seguire gli studi con Teresa Rampazzi Di Capua
contribuisce alla fondazione del Pollini Interensemble, attivissimo organico
strumentale di studenti e docenti del Conservatorio nato dal bisogno di comporre
ed eseguire musica contemporanea attuando una rottura con gli schemi della
musica tradizionale, e qui poté cimentarsi nelle sue prime esperienze di regista e
compositore.
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3. PRIME ESPERIENZE DI PRODUZIONE
3.1 L’Harlekin di Karlheinz Stockhausen
Nel 1984 Di Capua decide di inscenare una sua versione dell’opera “Harlekin”
composta nel 1975 da Karlheinz Stockhausen. Un’opera per clarinetto e danza
della durata di quarantacinque minuti che offre tre tipologie differenti di
esecuzione ed interpretazione: nella prima il clarinettista è contemporaneamente
sia strumentista che danzatore, la seconda esecuzione è puramente musicale ed il
clarinettista è accompagnato solo da un tamburo mentre la terza possibilità
consiste nell’esecuzione del brano da parte di un clarinettista per la sezione
strumentale e di un danzatore con il clarinetto tra le mani che mimi l’atto
musicale durante la danza. Scelse di mettere in scena la terza versione scegliendo
come clarinettista Elio Peruzzi, al tempo docente di clarinetto al “Pollini”, e
come danzatrice Zaza Disdier, una ballerina francese incontrata nei suoi viaggi a
Parigi. Gli studi di musica concreta lo aiutarono a seguire in maniera diretta la
partitura per il musicista, preferendo maggiormente coordinare l’opera ricalcando
il più possibile il volere del compositore. Lo spettacolo risultò un successo e
venne portato in scena anche a Trieste oltre che essere presentato più volte a
Padova. Durante la preparazione il compositore decide di incontrare e mettere al
corrente della propria rappresentazione lo stesso Stockhausen, il quale si trovava
a Bologna per una rassegna in suo onore nella quale veniva proposta “Hymnen”
(Inni). Riceve dal compositore tedesco sostegno ed interesse che sfociò in una
conseguente corrispondenza epistolare nella quale questo gli fornisce addirittura
le partiture ufficiali per l’ “Harlekin” e che Di Capua rispetta nella maniera più
totale, prendendosi un'unica licenza sul costume della protagonista, preferendolo
bianco alla tenuta multicolore.
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3.2 La Voix Humanie di Francis Poulenc
Tra il 1984 e il 1985 Di Capua si adopera alla messa in scena di “La Voix
Humanie” (La voce umana), una tragedia lirica di Francis Poulenc tratta
dall’omonimo monologo drammatico scritto da Jean Cocteau, che ripropone
nella versione per pianoforte e cantante solista. Si tratta di un lungo soliloquio
nel quale la protagonista intrattiene una telefonata d’addio con il proprio amante
e che viene percepita dal pubblico come straziante monologo. Padrona della
scena e al centro del dramma rimane dunque la voce della soprano, la sua agonia
ed il suo canto disperato, accompagnata dal pianoforte. Di Capua cura l’opera in
ogni suo aspetto, la regia, la musica, i costumi, le scene e presta particolare
attenzione alla recitazione stessa della cantante. L’impiego sapiente e ponderato
delle luci di scena in quest’opera svolgono un ruolo importante quasi quanto
quello dell’attrice, interpretata da Cinzia Monefeltri, dovendo compensare la
staticità del palco e la presenza di un singolo interprete. I colori delle luci
accompagnano i vari stati d’animo e le emozioni che travolgono la protagonista,
passando dal rosso caldo della speranza iniziale al bianco dedicato alla fredda
consapevolezza di non rivedere più il suo amato.
3.3 Collaborazione con Luca Ronconi
Il desiderio di cimentarsi in qualcosa di più grande ed impegnativo porta Di
Capua a proporsi come aiuto regista a grandi figure del tempo con l’intento di
imparare e formarsi lavorando a contatto diretto con i migliori coreografi di
scena. Per primo contatta Luca Ronconi al fine assistere all’allestimento delle
sette giornate dedicate all’opera di Stockhausen presso la Scala di Milano e vi
riesce a partecipando alle prove e alla messa in scena al fianco di Stockhausen
stesso. Questa esperienza risulta incredibilmente formativa per Di Capua, che ha
la possibilità di osservare nel dettaglio la maestria di Ronconi e il suo raffinato
senso dello spazio sulla scena, viene introdotto ad tutta una serie di pensieri e
lessico a lui totalmente nuovi. Impara a focalizzare la propria attenzione sul
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dettaglio scenografico e prestare infinita cura verso il particolare narrativo,
rendendosi sensibile ed elementi che prima non destavano alcun interesse. Qui si
rende conto dell’importanza che acquisiscono le luci, le maschere e i tempi nel
definire l’equilibrio dello spazio teatrale.
3.4 La Caduta di Casa Usher di Pierluigi Pieralli
Nel 1986 Di Capua contatta il regista toscano Pierluigi Pieralli (noto anche come
Pier Luigi Pier’Alli) offrendosi nuovamente come aiuto alla regia. Ottiene
invece l’inaspettata proposta di interpretare il ruolo di Claude Debussy in “La
Caduta di Casa Usher”, omaggio drammaturgico di Pieralli a Debussy,
impiegandovi le sue musiche, e ad Edgar Allan Poe sviluppato su testi oltre che
di questi ultimi anche di Paul Verlaine, Stephane Mallarme e Philippe Villers De
l’Isle-Adam. Grazie a questa inattesa collaborazione con il maestro ha
l’opportunità di consolidare la propria visione coreografica da un punto di vista
interno alla scena, osservando le scelte stilistiche peculiari e il linguaggio
creativo di Pieralli, il quale rendeva lo spazio scenico il protagonista assoluto,
luogo nel quale la parola, privata del suo significato, diviene suono puro.
3.5 Le produzioni con Beppe Menegatti
Successivamente decide di proposi sempre come aiuto regista a Beppe Menegatti,
regista di spicco nella scena operistica italiana del tempo, attivissimo e molto
noto anche grazie alla moglie Carla Fracci, al tempo protagonista indiscussa
della danza italiana ed internazionale. Menegatti, letto nel curriculuum di Di
Capua il suo percorso di studi musicali, gli propone di reinterpretare le musiche
di Joseph Anton Bruckner, principalmente dalla sua settima sinfonia, adattandole
alla rappresentazione di una scenografia per balletto ispirato a “Senso” di
Camillo Boito, già rivisitato precedentemente da Luchino Visconti, con libretto
elaborato da Suso Checchi D’Amico. Accetta nuovamente un ingaggio diverso
rispetto a quello al quale ambisce questa volta si ritrovò a dover affrontare una
commissione incredibilmente impegnativa. Di Capua decide di dedicarsi ad un
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profondo studio iniziale delle composizioni di Burckner, al fine di interiorizzarne
la poetica e i caratteri essenziali che definiscono l’artista rispettando nel delicato
compito della riduzione della monumentale e prolissa stesura dell’opera.
Rifacendosi alla sperimentazione e agli studi con la Rampazzi decise di
scomporre le partiture in voci, sezioni e “tracce” per poter eliminare e quindi
ricomporre, mediante un mixer, in maniera assimilabile all’odierno “Editing” una
versione su misura della sinfonia. L’opera, presentata al “Politeama” di Palermo,
risulta un successo data anche l’eccezionale performance di Carla Fracci nel
ruolo della contessa Livia Serpieri. Nel 1989 Menegatti gli commissionò una
particolare versione di “La Voixe Humaine”, opera già familiare e messa in scena
da Di Capua, che venisse inserita in uno spettacolo atto a celebrare il centenario
di Cocteau. Per questa propose un mixaggio di tutte le celebri interpreti
dell’opera creandone una partitura per voce sorretta dal piano che accompagnasse
la Fracci per una durata complessiva di circa dodici minuti.
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4. COLLABORAZIONE CON LA RAI
Nel 1989 riesce, attraverso ai contatti acquisiti durante le molteplici esperienze,
a proporsi alla Rai ottenendo un ingaggio da RadioTre. Il lavoro consiste nella
creazione di palinsesti della durata di sessanta minuti inerenti alla musica classica
che vengano messi in onda sul quinto canale della filodiffusione. Propone alla
direzione come prima produzione un ciclo di trasmissioni su Jean Cocteau
composto da dodici episodi e che può ritenersi il primo studio approfondito
dell’artista e che fu lui stesso a presentare in radio. Successivamente idea,
sostenuto anche dalla novizia capostruttura proveniente da Padova, una
trasmissione sulla sua mentore Teresa Rampazzi per la quale aveva sempre
nutrito una profondissima ammirazione.
2. Teresa Rampazzi nel suo studio privato, la compositrice nel 1992
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Per raccogliere il materiale necessario torna a Padova e la incontra quindi, dopo
dieci anni, in “Villa Margherita” a Bassano, dove la Rampazzi aveva deciso di
ritirarsi pur rimanendo comunque attivissima. Messa al corrente della volontà di
produrre una trasmissione riguardante la sua persona concede a Di Capua di
rimediare le informazioni ed il materiale necessario per la produzione dei tre
episodi di “Teresa Fino all’Ultimo Suono” trasmesso nel 1992. Vista con gli
occhi di Di Capua la storia della Rampazzi descrive il fondamentale momento di
passaggio tra la musica classica e la prima musica atonale-elettronica
pionieristica degli anni ‘50-’60: racconta di come è avvenuta la sua svolta verso
la musica elettronica grazie ad un incontro con John Cage e la fondazione del
gruppo Nuove Proposte Sonore nel quale con Enzo Chiggio inizia a lavorare con
macchine analogiche rendendolo uno dei principali studi di ricerca musicale
privati; di come agli inizi degli anni settanta inizia a dedicarsi alla didattica
affiancata da Alvise Vidolin e Giovanni de Poli e di come lei ottiene la cattedra
al Conservatorio.
5. PRODUZIONI TRA IL 1987 E IL 1992
Nel 1987 cura l’allestimento dell’opera da camera di Igor Srawinsky “Historie du
Soldat”, proposta durante la quarta edizione di “Incontri d’Estate” presso la
“Villa Grimani” a Vigodarzere. .
Nel 1990 segue la regia di “Il Telefono”, opera in atto con parole e musica di
Giancarlo Menotti, presentata ad un Festival teatrale di Radicondoli. Nello stesso
anno debuttò anche nella regia per opera lirica con “L’italiana in Algeri”,
dramma di Gioacchino Rossini, allestita presso il Teatro Comunale di Lecco.
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6. BIENNALE MUSICA 1992-1993 CON LUIGI NONO
Nel 1993 la Biennale di Venezia dedica alla memoria di Luigi Nono la sua
sezione musicale. Il direttore Mario Messinis istituì presso la Fondazione Levi
dei laboratori musicali all’interno dei quali chiamò i più grandi interpreti che
furono accanto a Nono nella sua elaborazione musicale dell’ultimo periodo,
ovvero gli anni Ottanta. Artisti del calibro di Roberto Fabbriciani, Ciro
Scarponi, Giancarlo Schiaffini, Alvise Vidolin, Stefano Scodanibbio vi tengono
seminari nei quali il compositore viene esposto attraverso rappresentazioni delle
sue massime opere e delle sue prassi esecutive. Di Capua si propone al direttore
per una ripresa dell’intera rassegna al fine di creare un documentario da
presentare come attività collaterale alla stessa Biennale e che aiuti a rendere più
appetibile al pubblico un genere di musica come quella elettronica non
propriamente di facile approccio. Il documentario viene intitolato “Respiri,
silenzi e altri ascolti. Il suono della prassi esecutiva dell’ultimo Nono”, della
durata iniziale di trentasette minuti, ampliata in un secondo momento nel 1997
grazie alla collaborazione con la Fondazione Luigi Nono, raccoglie le
testimonianze di Mario Messinis, Mimma Guastoni, André Richard, Alvise
Vidolin, Ciro Scarponi e Roberto Fabbriciani attraverso i loro racconti e a
frammenti di sue interpretazioni musicali, citando opere come “Omaggio a
Gyorgy Kurtag”, “Dat Admende Klarsein”, “Post-Prae-ludium N.1 per
Donoau”, “A Pierre. Dell’ Azzurro Silenzio, inquietum” e “Hay que caminar,
sognando”. Viene proiettato nel Settembre del 1994 in “Sala Volpi” e qui sotto
riporto l’intervista fatta a Di Capua da Il Mattino:
“Raccontare la musica contemporanea mediante un supporto come la televisione voleva
dire per me raccogliere una sfida. Per questo è giusto non rivolgersi solo alla
prospettiva degli addetti ai lavori, ma confidare nel grande desiderio di approfondire e
di esplorare l’arte, la musica; c’è una grande richiesta di capire che non sempre è
soddisfatta nel momento in cui varca il portone di un teatro. Ho pensato ad un lavoro
che avesse la finalità di incuriosire, non di dare giudizi; per questo ho evitato
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accuratamente commenti, sia dal mio punto di vista di narratore, sia di musicologi o
critici. Quindi si è preferito l’oggettività all’impressionismo. La forza della televisione è
di far vedere le cose così come sono; poi di conservarle. Ho voluto fermare il tempo di
quella Biennale, perché ne vengano ricordati gli irripetibili eventi. Non mediante
un’oggettività didascalica, ma mediante informazioni di un certo tipo, lavorando su
linguaggi che non ne sostituiscano altri ma che ne allarghino la comprensione. Non un
sostituirsi alla monografia né alla sala da concerto ma, mediante il linguaggio
televisivo, sovrapposizione di formazioni con cui immaginare al di là del suono. Un
creare quel margine necessario all’interno del quale lo spettatore costruisce la propria
realtà, la sua interpretazione. Inventando porte d’accesso che non siano solo quelle
della sala da concerto. Nel caso di Luigi Nono è solo salvando dall’oblio del quotidiano
le testimonianze di tutti coloro che hanno formato la sua mutevole galassia che si potrà
conservare la sua opera come materializzazione di “un’utopia concreta” corsa
parallelamente a quanto macinato da etica, filosofia e pensiero politico di questi
decenni” 1 Settembre 1994
3 Prima rappresentazione del Prometeo
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7. CORTI D’AUTORE
Il documentario di Nono risulta un successo e Di Capua decide di produrre a
livello indipendente e senza commissione una serie di cortometraggi incentrati
su compositori di musica elettronica protagonisti della successiva edizione della
Biennale Musica. La pubblicazione di questi è stata concessa solo recentemente
sulla piattaforma web “medici.tv”. La Biennale Musica del 1995 venne intitolata
“L’ora al di là dal tempo” in onore a Eugenio Montale e pone al centro
dell’attenzione dei compositori la spiritualità alla quale lo scrittore si riferiva in
questo verso, al trascendentale e al sacro. Tematiche decisamente particolari da
affiancare alla musica elettronica che si vede incaricata di riattualizzare le
tematiche di una tradizione millenaria di musicalità liturgica attraverso linguaggi
d’avanguardia. Il festival dura tutto Luglio dividendo le proprie rappresentazioni
tra la “Fenice”, il “Teatro Goldoni”, la chiesa di San Marco e quella di Santo
Stefano. Di Capua riprende sei opere e i relativi artisti presentandoceli, seppur in
pochi minuti, in tutte le fasi delle rappresentazioni: il trasporto dei materiali,
l’allestimento delle scene, le prove con i vari protagonisti e l’esibizione vera e
propria. Amalgama il tutto mediante interviste con i compositori, nelle quali
individualmente esprimono le loro considerazioni sulle tematiche delle loro opere
e del rapporto tra queste e il soggetto della sacralità al centro della Biennale. Di
Capua con le scelte di sequenze che propone sembra proiettare lo spettatore non
solo all’interno degli spettacoli, ma riesce a fargli respirare l’aria stessa della
Biennale.
Il primo segmento, che si apre con un’intervista al direttore Mario Messinis,
tratta uno dei due concerti di inaugurali tenuto nella Chiesa di S. Stefano, ovvero
il “Quare Tristis” di Adriano Guarnieri su testo di Raboni per soli, cori,
orchestra e Live Electronics. Guarnieri qui espone anche a parole il suo
sentimento in merito al bisogno che la musica contemporanea prosegua nel suo
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percorso verso nuove sonorità che abbiano come fine quello di sensibilizzarsi a il
pubblico, segnando una svolta epocale per il genere. Durante la messa le tre
diverse partiture, orchestrale, corale e quella del Live Electronics, si incrociano
perfettamente ad arco, al culmine del quale si trova l’orazione centrale in latino.
Il secondo corto espone il “Requiem” di Hans Werner Henze, nove concerti
spirituali per pianoforte e solo, tromba concertante e grande orchestra da camera,
presentato l’11 Luglio nella Basilica di San Marco. Le tematiche dei nove brani
strumentali sono proposte come un tributo di Henze al suo scomparso amico
Michael Vyner, direttore artistico della Sinfonietta di Londra, trattano del lutto,
delle paure e delle sofferenze degli uomini d’oggi, della malattia e della morte,
dell’amore e della solitudine e riporta in termini laici e terreni la riflessione sulla
mortalità, il dolore e la separazione. A seguire la “Missa-Dahlmer Messe” di
Dieter Schnebel per soli, due cori, orchestra, organo e suoni elettronici. Opera di
grande complessità esecutiva che intreccia testi diversi, in una contaminazione
del testo tradizionale della messa con frammenti liturgici in greco antico e
ebraico e “parole privilegiate” di lingue europee moderne. L’opera è un omaggio
di Schnebel alla memoria della “Bekennende Kirche”, (Chiesa Confessante)
movimento evangelico di resistenza antinazista e di rinnovamento cristiano
fondato in Germania nel 1933 da Martin Niemӧller, pastore di Dahlem-Berlino.
Di Capua mostra con grande maestria l’impegnativo allestimento e gli strumenti
a dir poco peculiari che vengono utilizzati, soprattutto si sofferma su quegli
elementi molto cari a Schnebel e che vengono inseriti per confortare l’ascoltatore
in un presente “ostile e secolarizzato”, ovvero suoni riprodotti da oggetti di uso
quotidiano e rumori prettamente ambientali come riferimento alla realtà.
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5 Dahlerm Messe
Il corto successivo propone lo “Scardanelli-Zyklus I II III” di Heinz Holliger,
opera per flauto, orchestra da camera, coro e suoni elettronici su versi di
Friedrich Hӧlderin presentata nella Chiesa di Santo Stefano. Il testo è posto qui
al centro dell’attenzione ed è attorno alle sue intonazioni liriche si che svolge e
bilancia l’insieme di fraseggi vocali e strumentali. Holliger compone
assemblando diversi suoi precedenti lavori e creazioni e creando una musica
stabile e calma che accompagni i poemi di Scardanelli al fine di esprimere il
rapporto tra spiritualità e natura tanto caro all’autore. Il quinto episodio presenta
lo spagnolo Louis de Pablo ed il suo “Romancero”, composizioni per voci miste
che rivisitano un testo del 1100 circa. Di Capua questa volta rivolge la sua
attenzione direttamente all’autore il quale disquisisce liberamente sul suo
rapporto con la musica, la sacralità e la morte. L’ultimo corto girato nel 1995 è
incentrato sul compositore giapponese Toshio Hosokawa e al solo per flauto che
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ha scritto per Roberto Fabbriciani intitolata “Vertical song”. Lo stesso titolo del
brano rimanda all’intento di Hosokawa di comporre una musica che portasse il
pubblico a percepire un movimento verso l’alto, a far percepire uno scorrere
verticale del tempo, a simboleggiare l’innalzamento dell’essere umano dalla
propria condizione soggettiva terrena. Questi ultimi due corti vengono girati al
Teatro la Fenice, divorato dalle fiamme nel 29 Gennaio 2006, e al quale Di
Capua dedica la chiusura mostrando una panoramica completa della struttura
oramai persa.
Nell’Ottobre del 1996 durante la programmazione del Festival dedicato al
compositore Luciano Berio presso il Teatro Studio a Milano e promosso
dall’associazione per la musica contemporanea Milano Musica, viene presentato
un concerto di Tempo Reale, Centro di ricerca produzione e didattica musicale di
Firenze del quale Berio è il direttore artistico. Il concerto comprendeva una
rivisitazione di brani del passato e creazione di composizioni contemporanee tra
queste la prima esecuzione italiana di “Quanta Oscura Selva Trovai” di Giacomo
Manzoni, scritta per trombone, coro da camera, processori elettronici e nastro
magnetico, e la prima assoluta del “Passacaglia” di Aldo Clementi, opera per
flauto e nastri. La sperimentazione e l’avanguardia sonora vengono catturate da
Di Capua mediante una meticolosa ripresa dell’allestimento e dei dialoghi tra i
compositori e gli esecutori. Qui la componente elettroacustica, curata da Alvise
Vidolin e Nicola Bernardini, svolge un ruolo quasi da protagonista e si trova a
ricreare la monolitica severità dell’ “Inferno” dantesco in “Quanta Oscura Selva
Trovai” e generando l’imponente foresta di suoni nel “Passacaglia”. Di Capua
ci mostra come sempre ogni aspetto della produzione, ne intervista sia i
compositori che i solisti, riesce a far assaporare la complessa ed articolata
spazializzazione della musica nel teatro anche attraverso il video dimostrando
una profonda conoscenza delle dinamiche della musica concreta ed una
sopraffina capacità nel delinearne l’andamento del brano.
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8.PRODUZIONI RAI SAT SU LUIGI NONO
Con l’introduzione in Italia dei canali tematici satellitari nel 1997 la direzione dei
programmi dedicati alla musica e alla danza di Rai Sat viene affidata a Di Capua.
Gli viene proposto in quell’anno la direzione e la regia televisiva del primo
documentario prodotto per il canale e con soggetto l’ “Io, frammento dal
Prometeo”, una delle ultime opere di Luigi Nono, rimasta incompiuta, scritta per
tre soprani, piccolo coro, flauto basso, clarinetto, contrabbasso in Si bemolle e
Live Electronics con testi a cura di Massimo Cacciari. L’esecuzione del brano è
avvenuta nel contesto di un recupero dell’opera di Nono dopo quattordici anni
dalla sua ultima rappresentazione alla Biennale del 1983 e si inserisce in un
ampio progetto di restauro e di ripristino delle partiture noniane da parte di Casa
Ricordi. Si tratta di un documentario-concerto realizzato nell’ambito della
rassegna musicale Civiltà Musicale Veneziana promossa dal Teatro La Fenice.
Viene intitolato “Io, frammento dal Prometeo, una ricognizione, documentario
concerto di Gianni di Capua” e, similmente ai Corti d’Autore, si sviluppa in una
singola giornata di riprese e dura all’incirca un’ora. Si articola lungo una
ricognizione del pezzo attraverso dei materiali di repertorio e di alcune parti che
lo compongono. Di Capua apre con una rapida carrellata biografica del
compositore e prosegue mostrando in tre tagli i protagonisti della composizione
ovvero prime le macchine, ovvero gli strumenti fondamentali per il linguaggio e
la ricerca di Nono, l’esecutore con le mani sul mixer e l’organo orchestrale. La
difficoltà e la magnificenza che caratterizzano questa opera vengono illustrate da
Massimo Cacciari, Mario Messinis, Ciro Scarponi, Roberto Fabbriciani, Andrè
Richard, Alvise Vidolin e Hans Peter Haller. E’ peculiare infatti la dualità del
documentario dove ai nove movimenti del concerto si alternano le interviste agli
esecutori, che in questo caso possono spesso identificarsi come autori collaterali
dell’opera stessa. Di Capua tesse un filo narrativo che si districa tra le prove, gli
studi di partiture, il problema della necessità di riadattare l’opera ad ogni
ambiente nel quale viene riprodotta pur mantenendo l’estetica imposta da Nono.
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Nel 1999 Di Capua, sempre per la programmazione RAI SAT, cura la regia di un
documentario simile e anche questo incentrato su un’opera di Nono intitolata “A
floresta è jovem et cheja de vida”. Una composizione scritta nel 1966 per
soprano, tre voci di attori, clarinetto in si bemolle, lastre di metallo e nastro
magnetico e della quale non vi è una partitura scritta ma solo una registrazione su
vinile. Anche questo concerto viene presentato nell’ambito di Milano Musica al
Piccolo Teatro di Milano nel 1998, a conclusione del ripristino della partitura
realizzata da Casa Ricordi. Qui Di Capua lavora alla ripresa in modo che questa
sia interna all’esecuzione, e non esterna come una ripresa della rappresentazione.
La musica in questa composizione è fortemente gestuale e il documentarista
riesce perfettamente a riprendere lo spazio scenico al fine di introdurre il
telespettatore nella raffigurazione come se fosse nel teatro. Di Capua restituisce
ottimamente il senso di attesa per l’ingresso delle voci e dei suoni, generato dal
nastro inizialmente solo, evitando inquadrature totali dell’intero schieramento di
voci e strumenti presentando piuttosto inquadrature parziali. Quello che potrebbe
essere un elemento di disturbo nel caso di una ripresa dal vivo, dove si dovrebbe
anzitutto fornire a chi guarda l’intero teatro a sipario aperto per vedere come
sono disposti i vari arredamenti scenici, non costituisce invece per lo spettatore
televisivo alcun motivo di fastidio. La “Floresta” di suoni viene riprodotta e
presentata dalla vera e propria foresta di antenne che reggono i microfoni. Di
Capua utilizza svariate riprese particolareggiate degli strumenti sonori reali e crea
un parallelismo tra la partitura di Nono e la ripresa mediante astrazioni create
avvicinando l’obiettivo fino a non far più percepire l’oggetto visivo. Un’altra
cosa interessante è la capacità del regista nel cogliere la gestualità dell’esecutore,
la consapevolezza che non solo l’oggetto sonoro è un elemento del gesto, ma che
anche i corpi sono elementi del suono.
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9. IL “SATYRICON” E LA “MEDEA”
Tra le varie produzioni Rai Sat di Di Capua spicca senza dubbio il “Satyricon”
ripreso l’Luglio del 2000 nel Teatro Lauro Rossi di Macerata. L’ultima
composizione di Bruno Maderna, un’opera da camera su testi di Petronio, una
satira sociale verso la corruzione mondana moderna che si sviluppa attraverso
diciannove diversi episodi, sempre sottoposta a modifiche e rifacimenti dallo
stesso autore attraverso l’impiego di materiali sia acustici che elettronici redatta
da Giancarlo Cobelli. Di Capua riesce per la prima volta ad ottenere una prova
dedicata appositamente alla regia televisiva e oltre a questo la possibilità di
montare fisicamente nella scena con la ripresa. Vi è quindi sia un’interpretazione
per il concerto che svariati elementi posti per la ripresa filmografica in se, ad
esempio la possibilità di far cantare gli interpreti guardando in camera, quindi
mutando il rapporto tra il pubblico televisivo e la ripresa classica dell’opera.
Trionfa qui la tecnica del piano sequenza mediante la steady cam, ovvero una
ripresa unica che segua il fraseggio del musicista senza stacchi adattando il
linguaggio cinematografico a quello musicale della partitura, ed è il modulo
chiave che accomuna al “Satyricon” anche la ripresa di “Risonanze”, un concerto
documentario del 2001 nel quale Elena Casoli interpreta Steve Reich, Michele
Tadini e Maurizio Piasati.
E’ con la produzione della “Medea” di Adriano Guarnieri del 2007, opera video
in tre parti liberamente ispirate ad Euripide, che Di Capua usufruisce in maniera
completa di tutta la sintassi televisiva a sua disposizione. Tre diverse
protagoniste di scena, flauto basso e contrabbasso, flauto, pianoforte, Live
Electronics e proiezioni su pannelli posti di fronte agli interpreti. La
rappresentazione viene decostruita dal punto di vista dell’immagine applicando
una sovrapposizione tra le immagini proiettate e gli interpreti in scena, lavorando
su tutto il materiale ripreso e dalle immagini, curate da Giorgio Barberio
Crosetti, poste direttamente in sovraimpressione in post produzione. Le
telecamere, entrando fisicamente nella scena e mimetizzandosi nella coreografia,
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creano prospettive a tutto campo che ne favoriscono la dinamicità di narrazione,
e che raggiungono punti di vista unici alla ripresa e non condivisi da nessuno
fisicamente presente nel teatro. Di Capua si pone quindi l’obiettivo di proporre
una “Medea” puramente televisiva, un’opera ex novo distante da quella alla
quale lo spettatore teatrale ha la possibilità di assistere, destinata unicamente alla
televisione.
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10. ALTRI INCARICHI
Gianni Di Capua durante il suo percorso artistico oltre che alla regia e alla
produzione, ricopre anche cariche direttive e cattedre scolastiche. Nel 1999 fu tra
i soci fondatori e tra i primi componenti del direttivo di DOCIT, ovvero
“Associazione Documentaristi Italiani”, che aveva il proposito di affermare il
genere documentaristico anche in Italia, e sempre nello stesso anno, durante la
riforma universitaria, venne chiamato dal professor Giovanni Morelli presso l’
Università “Ca’Foscari” di Venezia per coprire la cattedra di “Storia e Tecnica
del Documentario d’Arte” e la cattedra di “Produzione Consumo dell’Arte Cine-
Video Riprodotta” nella facoltà di Economia e Commercio. Insegna “Economia e
Organizzazione dello Spettacolo” ancora oggi al Dams di Gorizia. Nel 2004, con
la “Medea” di Guarnieri, Di Capua termina la sua collaborazione con RAI SAT e
viene incorporato nella Fondazione Benetton, dove gli viene conferita la carica di
Direttore artistico delle Iniziative Culturali, dove vi curò le iniziative proponendo
artisti e innumerevoli concerti di musica contemporanea fino al 2007,
producendo anche film come “Memoriae Causa” e “Quando l’Arte si Tace” di
Riccardo De Cal.
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11. INTERVENTO SU “QUADERNI DELL’IR.TE.M”
Ritengo utile alla mia tesi concludere con le riflessioni che Di Capua stesso
esprime, scendendo nel dettaglio del proprio modus operandi e delle proprie
tecniche di sintassi televisiva, in un intervento sulle tematiche proposte dal
venticinquesimo volume dei “Quaderni dell’I.R.TE.M” in merito ai modi di
riproduzione in televisione della musica dal vivo o in studio.
Limiterò il mio intervento al minimo necessario per dare spazio alla proiezione
dei documenti e un eventuale scambio di opinioni a seguire. Condivido molte
delle cose dette dai miei colleghi intervenuti perché sono frutto di un'esperienza
maturata sul campo. Le cose si complicano ulteriormente se applicate alla musica
contemporanea, perché la presenza del compositore rende la verifica del proprio
lavoro immediata: il compositore è vivo, presente, al lavoro del regista si
aggiunge, quando le circostanze lo consentono, quello del documentarista, la
ripresa di un concerto diventa quindi un documento; un’opportunità per
conoscere i presupposti poetici che informano il brano della diretta testimonianza
del suo autore. Un concerto di musica cosiddetta "contemporanea" costituisce, tra
l'altro, il più delle volte un'esperienza concertistica rara se non addirittura unica,
difficilmente udibile in altre occasioni, fatta naturalmente eccezione per i brani di
compositori già affermati, la ripresa televisiva rappresenta per questo
essenzialmente un documento ed è secondo questa prospettiva che va intesa la
visione del primo lavoro che vi presenteremo. Il primo lavoro che vedrete dura
tredici minuti e fa parte di una serie di brevi documentari intitolata "Corti
d'autore, pensare la musica"; il ciclo risale al 1995, a tutt'oggi ho completato una
dozzina di cortometraggi dedicati ad altrettanti compositori. Al centro di ogni
"Corto" un brano musicale, più esattamente dei frammenti del brano, che
costituisce il pretesto per un dialogo con il proprio compositore al fine di
comprenderne la poetica, il pensiero; "Pensare la musica" per l'appunto. Il
"Corto" che vi propongo è dedicato a un giovane compositore giapponese,
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Toshio Hosokawa, allievo di Thoru Takemitsu. Hosokawa è particolarmente
interessato alle esperienze delle avanguardie musicale europee, in particolare al
pensiero di Luigi Nono, sul quale ritorneremo con il prossimo documento in
programma. In questo "Corto" il mio intento non era affatto quello di riprodurre
il concerto ma di documentarlo: il concerto è avvenuto nella sala Apollinea della
Fenice. Il destino ha voluto che qualche mese dopo la Fenice fosse distrutta da un
incendio, il che ha reso questo cortometraggio un prezioso documento storico. Il
video è sottotitolato in inglese. Il "Corto" è stato trasmesso in Giappone
all'interno di un programma televisivo; l'edizione della rassegna della Biennale
Musica del 1995, nell'ambito della quale è stato presentato il brano in questione,
era intitolata "Momenti di spiritualità nella musica contemporanea". Il titolo del
brano è "Vertical Song" per flauto solo interpretato da Roberto Fabbriciani.
Dovete sapere che questa è una delle prime produzioni televisive relative a un
compositore di musica contemporanea realizzate per il canale satellitare RAI
SAT; la RAI dedica molto raramente spazio a questo genere musicale (questo
sarebbe un altro capitolo penoso da aprire). Occorre quindi considerare che
proporre un concerto senza farlo precedere da un'introduzione oggi sembra
inevitabile se desideriamo consentire al pubblico televisivo di dotarsi di quegli
strumenti per poter esercitare un minimo di critica. L'esecuzione del concerto di
“A Floresta è jovem e cheja de vida” di Luigi Nono è avvenuta nell'ambito di
un'interessante progetto di ripristino della partitura che ha offerto al regista il
materiale per costruire una premessa alla ripresa del concerto. A differenza del
primo documento visionato, qui ci troviamo di fronte a un prodotto diversamente
articolato: la ripresa è riferita a tutto il concerto e non solo a una parte; i mezzi
posti a disposizione della ripresa televisiva sono quelli generalmente impiegati
per la registrazione di un concerto da camera ossia quattro telecamere e una regia
mobile; la regia televisiva di questo brano poneva tuttavia delle difficoltà di
ordine strutturale poiché la partitura nella specificità sviluppa una poetica
musicale assai complessa, ostica e di difficile presa "armonica"; per la regia
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televisiva si sono poste quindi delle questioni di natura formale che una partitura
di tipo tradizionale risolve di per sé; la regia infatti procede per "stacchi" sulle
diverse sezioni orchestrali che sviluppano "colore" e la melodia del brano. La
questione meriterebbe naturalmente un approfondimento e non certo la "traccia"
che qui si sta delineando in modo davvero sommario. La Floresta televisiva è
quindi sostanzialmente una traduzione di quella rappresentata al Piccolo di
Milano. E' con la consapevolezza del "tradimento necessario" che è stato
realizzato il programma di cui vedremo un breve frammento, una ripresa
ricostruita essenzialmente in sala di montaggio facendo largo uso della sintassi
televisiva, realizzando un prodotto specifico per la televisione. Casa Ricordi, è
interessante notarlo - Ilio Catani è testimone di questa vicenda - ha promosso la
realizzazione televisiva di questa partitura. RAI SAT aveva già realizzato
qualche mese prima ancora un programma su Nono, anche questo da me
realizzato. Il filmato che vedremo è stato montato solo due settimane fa da Marco
Denna, che è qui fra il pubblico, ed è stato realizzato presso il Centro Produzione
di Milano. Devo precisare che in quest'occasione, a differenza del "Corto" visto
prima, non avevamo a che fare con il compositore, ma con gli interpreti storici
del brano. La prima parte di questo filmato, infatti, documenta la polemica che ha
animato l'esecuzione alla vigilia della sua rappresentazione, tra gli interpreti
storici, critici nei confronti di una riesecuzione della partitura poiché
imprescindibile dalla presenza del suo autore Nono, e i fautori che ne
sostenevano l'esecuzione. Con A Floresta non esisteva un testo musicale, ma solo
note e alcune pagine riferite a un concerto avvenuto all'epoca della sua
composizione, il lavoro di ripristino della partitura si è rivelato un'indagine
complessa e affascinante che ci è sembrato opportuno documentare in forma di
dialogo con gli autori del recupero, con alcuni degli amici del compositore
veneziano. La complessità della musica contemporanea, complessità di pensiero,
di segni, di elementi che caratterizzano l'opera, nonché di contaminazioni di ogni
genere, consente al regista un approccio alla musica forse più libero rispetto a
quello che può avere nei confronti di un brano classico, e quindi anche nel
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decidere di posizionare delle telecamere si ha molto più gioco, naturalmente se le
circostanze lo permettono. Qui abbiamo addirittura potuto intervenire sulla
qualità della fotografia, disegnando in un certo senso le luci dell'esecuzione. Ci
siamo inoltre avvantaggiati della tecnologia che ci offriva la RAI, attraverso l'uso
di telecamere dell'ultima generazione sensibilissime alla luce e che ci hanno
permesso di lavorare su alcuni aspetti chiaroscurali della fotografia che ci
sembravano pertinenti alla fruizione di questo tipo di musica. Qualcuno mi
chiedeva se sono un musicista. Ho studiato a fondo la partitura. Per spiegare
perché io abbia deciso di mettere la telecamera vicino a sei lastre di rame in
scena, bisognerebbe spiegare prima perché il compositore abbia deciso di mettere
delle lastre. Il regista cerca di intuirne la ragione e scopre che alla base di questo
pezzo c'è un nastro magnetico. La mediazione tra quello che accade nel nastro e
quello che accade dal vivo sulla scena è costantemente mediata attraverso le
lastre: ogni volta che intervengono le lastre accade qualcosa in scena mentre
lasciamo qualcosa sul nastro e viceversa. Questa è una interpretazione mia
personale tra le tante nel “pensare” la ripresa televisiva. Voglio dire che
assolutamente nulla è lasciato al caso nelle nostre scelte. Abbiamo lavorato in
una situazione difficile (il teatro non ci ha consentito di fare delle prove),
abbiamo per questo registrato il concerto con le camere separate ossia senza
master, cinque telecamere, una delle quali sempre puntata sul direttore
d'orchestra, camera tuttavia non utilizzata in postproduzione poiché la “visione”
del direttore non aggiungeva alcunché alla percezione “critica” e dovrei
aggiungere anche della “forma” del brano. A Floresta rimane sicuramente un
capitolo affascinante della musica di questi ultimi decenni, tutta da scoprire, e
spero che nella televisione dei canali satellitari questo racconto della musica
contemporanea e del pensiero che la informa possa essere riportato all'attualità.
Sembra celarsi una contraddizione in termini, nel dire l'attualità del
contemporaneo", ma non c'è purtroppo nulla di più inattuale nel contemporaneo
della musica contemporanea.
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ILIO CATANI Vorrei aggiungere una nota a margine che riguarda la difficoltà
della ripresa audio, perché in Nono spesso il suono assume una dimensione
assolutamente particolare. Il concetto di circolarità del suono, la dislocazione di
altoparlanti intorno alla sala, il banco mixer che abbiamo visto anche nel
Prometeo: tutto questo in televisione - ahimè - non si riesce ancora a realizzare se
non con impianti particolari.
GIANNI DI CAPUA Ha ragione Ilio Catani, quindi tenete presente anche questo
aspetto. Nel filmato, che dura venti minuti, c'è stato un attentissimo utilizzo del
vocabolario che il linguaggio televisivo mette a disposizione del regista. Buona
visione.
FRANCESCA NESSLER Vorrei chiedere a Gianni Di Capua come ha diretto il
lavoro degli operai.
GIANNI DI CAPUA Abbiamo seguito insieme la prova strumentale con la
partitura in mano, dopo di che abbiamo stabilito quali fossero la camere. Si è
trattato innanzitutto di dar loro motivazioni per far sì che il lavoro diventasse
veramente di equipe; e i risultati sono visibili. Ognuno aveva un compito preciso
ed è entrato nel proprio ruolo, ma soprattutto ognuno sapeva cosa stesse
riprendendo. E' importante motivare l'operatore, perché bisogna fargli capire che
egli fotografa un pensiero. Devo dire che la produzione di programmi per la
televisione riduce il coinvolgimento dell'operatore a una funzione limitata delle
sue possibilità di "inquadrare" la realtà in termini "creativi".
VOCE DAL PUBBLICO [A causa di un difetto nella registrazione, la domanda
risulta incomprensibile][N.d.R.]
GIANNI DI CAPUA Com’è detto più volte nell'introduzione, ne esiste
un’incisione su disco. Quelli che sostenevano che l'opera non fosse realizzabile,
una volta realizzata, hanno asserito che avrebbe dovuto assomigliare al disco. Ma
il disco produceva il segnale in stereofonia voluto da Nono e, quindi, esisteva un
problema di carattere filologico che ha reso la realizzazione di questo concerto
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molto interessante, tanto che ho ritenuto di doverla riproporre nella prima parte
senza tuttavia produrre documenti; si cono semplicemente dei volti in primo
piano che raccontano ciò che li ha informati in questa esperienza. Questo lavoro,
A Floresta, è multilingue e viene dedicato al Vietnam. Quando mi è stato
proposto mi sono chiesto che senso avesse riportare oggi una partitura così
fortemente connotata dal punto di vista ideologico al punto da poter essere intesa
alla stregua di una operazione connotata di nostalgia; naturalmente questa è una
provocazione attraverso la quale ho inteso suscitare delle riflessioni tra coloro
che ho avuto modo di poter intervistare.
JOHANNES SCHMIDT-SISTERMANNS I just wanted to share my
impressions: seeing this video made me concentrated, and I thought that this type
of music captures my attention much more than Mozart's, and the realization on
video becomes an inextricable part of the music itself. [Volevo rendervi partecipi
delle mie impressioni: trovo che questo video stimoli la concentrazione e che la
musica risulti molto più coinvolgente di quella di Mozart; la realizzazione in
video diventa parte della musica stessa.]
ERIC MARINITSCH Is this program only going to be broadcast on RAI SAT or
will it be sold to other networks? [Questo programma verrà trasmesso soltanto su
RAI SAT oppure verrà venduto anche ad altri network?]
ILIO CATANI La sua prima emissione sarà su RAI SAT, ma come tutti i
programmi che vengono prodotti dalla RAI apparterrà a tutte le strutture. Esiste
una sorta di diritto per la prima messa in onda, ma una volta in magazzino tutte le
strutture possono farne uso.
CARLO MARINELLI Di Capua si poneva il problema dell'attualità. A questo
proposito, credo che pochi sappiano, benché sia stato scritto su qualche giornale,
che i patrioti di Timor di lingua portoghese tuttora combattono una guerriglia,
che dura da moltissimi anni, contro l'invasione indonesiana. Già questo dovrebbe
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bastare a rendere assolutamente attuale la partitura di Nono. Di qui il titolo in
lingua portoghese, A Floresta, che è l'ambientazione che Nono ha voluto dare.
GIANNI DI CAPUA E' il motto di un guerrigliero angolano che dice: <<Non ce
la faranno!>> Lo storico della musica Luigi Pestalozza spiega ampiamente quello
che il professor Marinelli sta dicendo.
CARLO MARINELLI Possedendo il disco di questo lavoro di Nono, vorrei
testimoniare che la realizzazione che abbiamo visto è superiore a quella del
disco, in quanto a mio avviso più vicino al discorso che Nono voleva fare. Mi è
tuttavia dispiaciuto che l'audio fosse così basso, perché in tal modo si è persa
parte della continuità del discorso: quelle improvvise emersioni delle grida erano
troppo improvvise proprio perché prima avevamo sforzato l'udito per seguire
quello che avveniva precedentemente. Probabilmente ciò è dovuto alla
riproduzione, non all'originale. Se si fosse potuto seguire si sarebbe visto che
esiste una struttura, un discorso, e che in questo Nono è un compositore
tradizionale, sebbene usi mezzi non tradizionali. Per tutte queste ragioni vorrei
aggiungermi a tutti coloro che hanno ringraziato Di Capua, Catani e RAI SAT,
perché questa è un'opera che ci ridà la speranza in un'epoca che ci sembrava
ormai finita per sempre. Facendo rivivere quest'opera e riattualizzandola, come
ho cercato di dire, ce la riporta nuovamente in vita. Grazie.
GIANNI DI CAPUA Quando ho posto la questione di che senso abbia riportare
oggi un'opera così fortemente ideologica, in un momento storico in cui le
ideologie non esistono più, ovviamente ho inteso lanciare una provocazione, che
peraltro i miei intervistati hanno raccolto. Personalmente sento di aver riportato
qualcosa al dialogo con la presente, prerogativa preziosa che è proprio della
televisione, nell'informare la nostra memoria e la nostra coscienza.
ILIO CATANI Vedendola per la prima volta, mi domandavo se un lavoro
musicale del genere possa essere realizzato televisivamente in maniera altrettanto
significativa, ma in modo diverso. Pensando ai diversi modi in cui una sinfonia di
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Beethoven o un brano classico possono essere realizzati, mi domandavo se
altrettanto valesse per l'opera di Nono. A Floresta ha un impianto "scenotecnico",
una collocazione dei musicisti, delle lastre, secondo una precisa volontà
dell'autore che è scritta in partitura: nelle intenzioni dell'autore tutto era
funzionale a un certo effetto sonoro, tutto era lì perché doveva dare un risultato
preciso.
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12. CONLUSIONI SULL’AUTORE
Attraverso la sua carriera Gianni Di Capua si afferma come artista completo e
dinamico, capace di riadattare le proprie capacità ad ambiti e commissioni
totalmente differenti. E’ il regista chiave per la raffigurazione televisiva di Luigi
Nono e per la complessa riproduzione delle sue opere dedicate alla
telediffusione, un ruolo difficile che è riuscito a svolgere grazie ad una profonda
conoscenza della musica elettroacustica e alla capacità di applicare una sintassi
televisiva misurata sulle dinamiche delle partiture. Di Capua riesce in maniera
magistrale a tradurre un linguaggio sonoro che muta tra astrazioni,
spazializzazioni, dissolvenze e riflessioni in movimento della telecamera, messa
a fuoco e defocalizzazione dell’obiettivo e un sapiente lavoro di post-produzione
tra la sovrapposizione delle immagini. Di Capua è sensibile alle gestualità degli
esecutori, allo spazio, al tempo scenico e musicale e li cura con la tecnica del
piano sequenza, attraverso l’impiego della steady cam, le tempistiche e i fraseggi
decidendo sulla partitura i punti di parenza e di arrivo della ripresa in modo che
coincidano. Sviluppa il bisogno nel documentario di creare un’attesa mediante
l’introduzione di elementi in conflitto tra loro e che creano una tensione
drammatica al fine di catturare l’attenzione del telespettatore evitando al regista
di giocarsi in poco tempo tutti i propri linguaggi mediatici. Il fondamento al
centro dell’opera Di Capua è quella riuscire come documentarista a generare una
drammaturgia nel filmato, distaccandosi dalla tipica rappresentazione statica,
fredda ed impersonale che caratterizza questo tipo di intrattenimento televisivo
spesso dettata da una superficiale conoscenza dell’opera che viene rappresentata
e dei suoi interpeti.
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13.SITOGRAFIA e ALTRI DOCUMENTI
-www.wagnerinvenice.com
-www.cinemaitaliano.info
-www.milanomusica.org
-www.2venice.it
-www.archiviostorico.corriere.it
-www.milanoarteexpomusica.wordpress.com
-www.luiginono.it
-www.iltempo.it
-www.medici.tv
-www.mymovies.it
-www.rampadova.it
-www.trieste.com
-www.artedellascolto.it
-www.veneziadavivere.com
-www.cinemadeifabbri.it
-“Quaderni dell’I.R.TE.M-N.11 Modi di riproduzione in televisione della musica
dal vivo o in studio”
Il materiale è stato raccolto durante incontri e interviste svolti tra me e l’autore.