GIANNI DI CAPUA - repo.sme-ccppd.inforepo.sme-ccppd.info/did/tesi/2014_Bonfanti.pdf · Di Capua...

37
1 Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO DI MUSICA ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE “Cesare Pollini” - PADOVA Tesi di diploma accademico di 1° livello in TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE GIANNI DI CAPUA REGISTA, DOCUMENTARISTA E COMPOSITORE Diplomando: Tommaso Nicolò Bonfanti Matricola: 00160 Relatori: Alessandra Possamai, Giorgio Klauer Anno Accademico 2012-2013

Transcript of GIANNI DI CAPUA - repo.sme-ccppd.inforepo.sme-ccppd.info/did/tesi/2014_Bonfanti.pdf · Di Capua...

1

Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO DI MUSICA

ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE “Cesare Pollini” - PADOVA

Tesi di diploma accademico di 1° livello in

TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE

GIANNI DI CAPUA

REGISTA, DOCUMENTARISTA E COMPOSITORE

Diplomando: Tommaso Nicolò Bonfanti

Matricola: 00160

Relatori: Alessandra Possamai, Giorgio Klauer

Anno Accademico 2012-2013

2

Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO DI MUSICA

ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE “Cesare Pollini” - PADOVA

Tesi di diploma accademico di 1° livello in

TECNICO DI SALA DI REGISTRAZIONE

GIANNI DI CAPUA

REGISTA, DOCUMENTARISTA E COMPOSITORE

Diplomando: Tommaso Nicolò Bonfanti

Matricola: 00160

Relatore: Alessandra Possamai, Giorgio Klauer

Anno Accademico 2012-2013

3

INDICE

1.Prefazione……………………………………………………………...p.4

2.Percorso Formativo………………………………………………….p.5

3.Prime Esperienze Formative…………………………………………p.7

- 3.1 L’ Harlekin di Karlheinz Stockhausen…………………………...p.7

- 3.2 La Voixe Humaine di Francis Poulenc…………………………..p.8

- 3.3 Collaborazione con Luca Ronconi……………………………….p.8

- 3.4 La Caduta di Casa Usher di Pierluigi Pieralli……………………p.9

- 3.5 Le Produzioni con Beppe Menegatti…………………………….p.9

4.Collaborazione con la Rai…………………………………………...p.11

5.Produzioni tra il 1987 e il 1992...........................................................p.12

6.Biennale musica 1992-1993 Con Luigi Nono………………………p.13

7.Corti D’Autore………………………………………………………p.15

8.Produzioni Rai Sat su Luigi Nono………………………………….p.21

9.Satyricon e la Medea……………………………………………….p.24

10.Altri Incarichi…………..…………………………………………..p.27

11.Intervento su Quaderni dell’I.R.TE.M………………………...….p.28

12.Conclusioni sull’autore…………………………………………….p.36

13.Sitografia a altri documenti………………………………………..p.37

4

1. PREFAZIONE

Gianni di Capua è un regista, documentarista e un compositore padovano. La sua

opera si sviluppa e dirama in svariati ambiti artistici: dalla direzione scenografica

teatrale all’arrangiamento per balletto di opere musicali, ha coordinato di

programmi radiofonici ed è stato il principale documentarista televisivo di

spettacoli di musica elettroacustica. Questo artista polimorfico si definisce

attraverso la scelta accurata dei dettagli e delle più efficaci sintassi

cinematografiche per distaccare particolare cura Plasmato da un percorso di

studi ed esperienze variegato e ricco, fondato sullo studio sia musicale che

dell’arte performativa della danza oltre che dalla sperimentazione costante e da

un’attenzione di carattere fortemente formativo di grandi personaggi con i quali

ha potuto collaborare. Una figura importante che ho deciso di approfondire in

tutto il suo percorso artistico in quanto fondamentale narratore e testimone del

progresso e dello stravolgimento tecnologico e culturale degli ultimi decenni, nei

quali lo sviluppo dei media ha svolto un ruolo chiave dettando nuovi standard di

intrattenimento e di “bello”.

1 Gianni Di Capua

5

2. PRECORSO FORMATIVO

Il primo incontro con la musica per Di Capua avviene in Svizzera dove inizia a

studiare pianoforte alla scuola dell’obbligo. Qui nasce la sua passione per lo

strumento che lo condurrà ad un’ammirazione per la musica ed in particolare alla

predilezione per carattere libero e sperimentale del Jazz. Studia all’ “Accademia

di Belle Arti” di Venezia e nel 1978 inizia a nutrire interesse per il corso di

Musica Elettronica del Conservatorio “C. Pollini” di Padova tenuto al tempo da

Teresa Rampazzi, figura che risultò poi fondamentale per la sua formazione.

Quando poco dopo la sua iscrizione al corso la docente abbandona

l’insegnamento Di Capua decide di smettere di frequentarlo reputando più

proficuo seguire la Rampazzi nei suoi corsi privati, che teneva a casa propria e

dove questa possedeva un’incredibile quantitativo di strumentazione

all’avanguardia sul quale poter lavorare. Grazie alla possibilità di un approccio

pratico alle macchine (in particolare il Revox a quattro piste) e alla diretta di

sperimentazione sonora qui ebbe approfondisce a lungo con la propria maestra la

ricerca del suono e del timbro, i quali dovevano essere drammaturgici ed essere

mezzi per il compositore al fine di ampliare la tavolozza compositiva.

L’ideologia che aveva sviluppato la Rampazzi in merito alla musica concreta

infatti era molto lontana e quasi in opposizione a quella dei compositori che si

definiscono più puramente attraverso una ricerca matematica del suono e che si

distanziano dalla musicalità prendendo in considerazione unicamente la forza del

suono e quindi spesso rifuggendone la delizia dell’ascolto. Grazie all’esperienza

con una pioniera di questo calibro della musica elettroacustica Di Capua ha

potuto sentirsi a contatto con i grandi compositori della tradizione novecentesca

con i quali questa aveva collaborato. Una testimonianza diretta senza

rielaborazione da parte intermediari di quello che è stato il passaggio da un primo

periodo embrionale alla conseguente più ampia e profonda sperimentazione di

questa materia. Contestualmente a questi studi agli inizi degli anni Ottanta ebbe

l’opportunità di seguire a Parigi corsi sul perfezionamento sull’esecuzione della

6

musica contemporanea e sull’improvvisazione presso l’INEP (Istituto Nazionale

di Educazione Popolare). A Parigi in quel momento vi era un forte fermento

verso la sperimentazione e la musica elettroacustica, e qui trova quindi

l’ambiente di ricerca consolidato ed improntato verso un approccio immediato

sulle macchine che stava cercando. Nella capitale francese viene anche per la

prima volta a contatto con la dimensione della danza facendo da assistente a

Francette Lavieux, una delle più grandi fotografe di danza contemporanea

francese. Lei lo introduce personalmente ai più apprezzati coreografi dell’ epoca

Brigitte LeFevre, Roland Petite, Rudol’f Nureev. In particolare a Maurice Bejàrt

il quale costantemente si rifaceva all’impiego di musica elettronica e che

utilizzava al fine di creare il gesto coreografico per la rappresentazione di soli da

inserire in quelle che erano invece opere di tipo prettamente classico, esemplare

risulta il suo primo capolavoro “Sinfonia per un uomo solo”: in questo balletto

sono caratteristiche essenziali la brutalità degli accenti, la mescolanza del

vocabolario classico e moderno, la stretta coesione tra il gesto drammatico, il

ritmo e il suono. Di Capua divideva il suo tempo tra Parigi e Padova, città inoltre

al tempo gemellate nella ricerca dal Centro di Sonologia Computazionale presso

la facoltà di Ingegneria dell’Università, un polo di promozione e diffusione

culturale della musica informatica attivo dagli anni settanta che consiste nella

collaborazione e nella ricerca multidisciplinare di esponenti di vari ambiti

dell’ingegneria. In Italia oltre a seguire gli studi con Teresa Rampazzi Di Capua

contribuisce alla fondazione del Pollini Interensemble, attivissimo organico

strumentale di studenti e docenti del Conservatorio nato dal bisogno di comporre

ed eseguire musica contemporanea attuando una rottura con gli schemi della

musica tradizionale, e qui poté cimentarsi nelle sue prime esperienze di regista e

compositore.

7

3. PRIME ESPERIENZE DI PRODUZIONE

3.1 L’Harlekin di Karlheinz Stockhausen

Nel 1984 Di Capua decide di inscenare una sua versione dell’opera “Harlekin”

composta nel 1975 da Karlheinz Stockhausen. Un’opera per clarinetto e danza

della durata di quarantacinque minuti che offre tre tipologie differenti di

esecuzione ed interpretazione: nella prima il clarinettista è contemporaneamente

sia strumentista che danzatore, la seconda esecuzione è puramente musicale ed il

clarinettista è accompagnato solo da un tamburo mentre la terza possibilità

consiste nell’esecuzione del brano da parte di un clarinettista per la sezione

strumentale e di un danzatore con il clarinetto tra le mani che mimi l’atto

musicale durante la danza. Scelse di mettere in scena la terza versione scegliendo

come clarinettista Elio Peruzzi, al tempo docente di clarinetto al “Pollini”, e

come danzatrice Zaza Disdier, una ballerina francese incontrata nei suoi viaggi a

Parigi. Gli studi di musica concreta lo aiutarono a seguire in maniera diretta la

partitura per il musicista, preferendo maggiormente coordinare l’opera ricalcando

il più possibile il volere del compositore. Lo spettacolo risultò un successo e

venne portato in scena anche a Trieste oltre che essere presentato più volte a

Padova. Durante la preparazione il compositore decide di incontrare e mettere al

corrente della propria rappresentazione lo stesso Stockhausen, il quale si trovava

a Bologna per una rassegna in suo onore nella quale veniva proposta “Hymnen”

(Inni). Riceve dal compositore tedesco sostegno ed interesse che sfociò in una

conseguente corrispondenza epistolare nella quale questo gli fornisce addirittura

le partiture ufficiali per l’ “Harlekin” e che Di Capua rispetta nella maniera più

totale, prendendosi un'unica licenza sul costume della protagonista, preferendolo

bianco alla tenuta multicolore.

8

3.2 La Voix Humanie di Francis Poulenc

Tra il 1984 e il 1985 Di Capua si adopera alla messa in scena di “La Voix

Humanie” (La voce umana), una tragedia lirica di Francis Poulenc tratta

dall’omonimo monologo drammatico scritto da Jean Cocteau, che ripropone

nella versione per pianoforte e cantante solista. Si tratta di un lungo soliloquio

nel quale la protagonista intrattiene una telefonata d’addio con il proprio amante

e che viene percepita dal pubblico come straziante monologo. Padrona della

scena e al centro del dramma rimane dunque la voce della soprano, la sua agonia

ed il suo canto disperato, accompagnata dal pianoforte. Di Capua cura l’opera in

ogni suo aspetto, la regia, la musica, i costumi, le scene e presta particolare

attenzione alla recitazione stessa della cantante. L’impiego sapiente e ponderato

delle luci di scena in quest’opera svolgono un ruolo importante quasi quanto

quello dell’attrice, interpretata da Cinzia Monefeltri, dovendo compensare la

staticità del palco e la presenza di un singolo interprete. I colori delle luci

accompagnano i vari stati d’animo e le emozioni che travolgono la protagonista,

passando dal rosso caldo della speranza iniziale al bianco dedicato alla fredda

consapevolezza di non rivedere più il suo amato.

3.3 Collaborazione con Luca Ronconi

Il desiderio di cimentarsi in qualcosa di più grande ed impegnativo porta Di

Capua a proporsi come aiuto regista a grandi figure del tempo con l’intento di

imparare e formarsi lavorando a contatto diretto con i migliori coreografi di

scena. Per primo contatta Luca Ronconi al fine assistere all’allestimento delle

sette giornate dedicate all’opera di Stockhausen presso la Scala di Milano e vi

riesce a partecipando alle prove e alla messa in scena al fianco di Stockhausen

stesso. Questa esperienza risulta incredibilmente formativa per Di Capua, che ha

la possibilità di osservare nel dettaglio la maestria di Ronconi e il suo raffinato

senso dello spazio sulla scena, viene introdotto ad tutta una serie di pensieri e

lessico a lui totalmente nuovi. Impara a focalizzare la propria attenzione sul

9

dettaglio scenografico e prestare infinita cura verso il particolare narrativo,

rendendosi sensibile ed elementi che prima non destavano alcun interesse. Qui si

rende conto dell’importanza che acquisiscono le luci, le maschere e i tempi nel

definire l’equilibrio dello spazio teatrale.

3.4 La Caduta di Casa Usher di Pierluigi Pieralli

Nel 1986 Di Capua contatta il regista toscano Pierluigi Pieralli (noto anche come

Pier Luigi Pier’Alli) offrendosi nuovamente come aiuto alla regia. Ottiene

invece l’inaspettata proposta di interpretare il ruolo di Claude Debussy in “La

Caduta di Casa Usher”, omaggio drammaturgico di Pieralli a Debussy,

impiegandovi le sue musiche, e ad Edgar Allan Poe sviluppato su testi oltre che

di questi ultimi anche di Paul Verlaine, Stephane Mallarme e Philippe Villers De

l’Isle-Adam. Grazie a questa inattesa collaborazione con il maestro ha

l’opportunità di consolidare la propria visione coreografica da un punto di vista

interno alla scena, osservando le scelte stilistiche peculiari e il linguaggio

creativo di Pieralli, il quale rendeva lo spazio scenico il protagonista assoluto,

luogo nel quale la parola, privata del suo significato, diviene suono puro.

3.5 Le produzioni con Beppe Menegatti

Successivamente decide di proposi sempre come aiuto regista a Beppe Menegatti,

regista di spicco nella scena operistica italiana del tempo, attivissimo e molto

noto anche grazie alla moglie Carla Fracci, al tempo protagonista indiscussa

della danza italiana ed internazionale. Menegatti, letto nel curriculuum di Di

Capua il suo percorso di studi musicali, gli propone di reinterpretare le musiche

di Joseph Anton Bruckner, principalmente dalla sua settima sinfonia, adattandole

alla rappresentazione di una scenografia per balletto ispirato a “Senso” di

Camillo Boito, già rivisitato precedentemente da Luchino Visconti, con libretto

elaborato da Suso Checchi D’Amico. Accetta nuovamente un ingaggio diverso

rispetto a quello al quale ambisce questa volta si ritrovò a dover affrontare una

commissione incredibilmente impegnativa. Di Capua decide di dedicarsi ad un

10

profondo studio iniziale delle composizioni di Burckner, al fine di interiorizzarne

la poetica e i caratteri essenziali che definiscono l’artista rispettando nel delicato

compito della riduzione della monumentale e prolissa stesura dell’opera.

Rifacendosi alla sperimentazione e agli studi con la Rampazzi decise di

scomporre le partiture in voci, sezioni e “tracce” per poter eliminare e quindi

ricomporre, mediante un mixer, in maniera assimilabile all’odierno “Editing” una

versione su misura della sinfonia. L’opera, presentata al “Politeama” di Palermo,

risulta un successo data anche l’eccezionale performance di Carla Fracci nel

ruolo della contessa Livia Serpieri. Nel 1989 Menegatti gli commissionò una

particolare versione di “La Voixe Humaine”, opera già familiare e messa in scena

da Di Capua, che venisse inserita in uno spettacolo atto a celebrare il centenario

di Cocteau. Per questa propose un mixaggio di tutte le celebri interpreti

dell’opera creandone una partitura per voce sorretta dal piano che accompagnasse

la Fracci per una durata complessiva di circa dodici minuti.

11

4. COLLABORAZIONE CON LA RAI

Nel 1989 riesce, attraverso ai contatti acquisiti durante le molteplici esperienze,

a proporsi alla Rai ottenendo un ingaggio da RadioTre. Il lavoro consiste nella

creazione di palinsesti della durata di sessanta minuti inerenti alla musica classica

che vengano messi in onda sul quinto canale della filodiffusione. Propone alla

direzione come prima produzione un ciclo di trasmissioni su Jean Cocteau

composto da dodici episodi e che può ritenersi il primo studio approfondito

dell’artista e che fu lui stesso a presentare in radio. Successivamente idea,

sostenuto anche dalla novizia capostruttura proveniente da Padova, una

trasmissione sulla sua mentore Teresa Rampazzi per la quale aveva sempre

nutrito una profondissima ammirazione.

2. Teresa Rampazzi nel suo studio privato, la compositrice nel 1992

12

Per raccogliere il materiale necessario torna a Padova e la incontra quindi, dopo

dieci anni, in “Villa Margherita” a Bassano, dove la Rampazzi aveva deciso di

ritirarsi pur rimanendo comunque attivissima. Messa al corrente della volontà di

produrre una trasmissione riguardante la sua persona concede a Di Capua di

rimediare le informazioni ed il materiale necessario per la produzione dei tre

episodi di “Teresa Fino all’Ultimo Suono” trasmesso nel 1992. Vista con gli

occhi di Di Capua la storia della Rampazzi descrive il fondamentale momento di

passaggio tra la musica classica e la prima musica atonale-elettronica

pionieristica degli anni ‘50-’60: racconta di come è avvenuta la sua svolta verso

la musica elettronica grazie ad un incontro con John Cage e la fondazione del

gruppo Nuove Proposte Sonore nel quale con Enzo Chiggio inizia a lavorare con

macchine analogiche rendendolo uno dei principali studi di ricerca musicale

privati; di come agli inizi degli anni settanta inizia a dedicarsi alla didattica

affiancata da Alvise Vidolin e Giovanni de Poli e di come lei ottiene la cattedra

al Conservatorio.

5. PRODUZIONI TRA IL 1987 E IL 1992

Nel 1987 cura l’allestimento dell’opera da camera di Igor Srawinsky “Historie du

Soldat”, proposta durante la quarta edizione di “Incontri d’Estate” presso la

“Villa Grimani” a Vigodarzere. .

Nel 1990 segue la regia di “Il Telefono”, opera in atto con parole e musica di

Giancarlo Menotti, presentata ad un Festival teatrale di Radicondoli. Nello stesso

anno debuttò anche nella regia per opera lirica con “L’italiana in Algeri”,

dramma di Gioacchino Rossini, allestita presso il Teatro Comunale di Lecco.

13

6. BIENNALE MUSICA 1992-1993 CON LUIGI NONO

Nel 1993 la Biennale di Venezia dedica alla memoria di Luigi Nono la sua

sezione musicale. Il direttore Mario Messinis istituì presso la Fondazione Levi

dei laboratori musicali all’interno dei quali chiamò i più grandi interpreti che

furono accanto a Nono nella sua elaborazione musicale dell’ultimo periodo,

ovvero gli anni Ottanta. Artisti del calibro di Roberto Fabbriciani, Ciro

Scarponi, Giancarlo Schiaffini, Alvise Vidolin, Stefano Scodanibbio vi tengono

seminari nei quali il compositore viene esposto attraverso rappresentazioni delle

sue massime opere e delle sue prassi esecutive. Di Capua si propone al direttore

per una ripresa dell’intera rassegna al fine di creare un documentario da

presentare come attività collaterale alla stessa Biennale e che aiuti a rendere più

appetibile al pubblico un genere di musica come quella elettronica non

propriamente di facile approccio. Il documentario viene intitolato “Respiri,

silenzi e altri ascolti. Il suono della prassi esecutiva dell’ultimo Nono”, della

durata iniziale di trentasette minuti, ampliata in un secondo momento nel 1997

grazie alla collaborazione con la Fondazione Luigi Nono, raccoglie le

testimonianze di Mario Messinis, Mimma Guastoni, André Richard, Alvise

Vidolin, Ciro Scarponi e Roberto Fabbriciani attraverso i loro racconti e a

frammenti di sue interpretazioni musicali, citando opere come “Omaggio a

Gyorgy Kurtag”, “Dat Admende Klarsein”, “Post-Prae-ludium N.1 per

Donoau”, “A Pierre. Dell’ Azzurro Silenzio, inquietum” e “Hay que caminar,

sognando”. Viene proiettato nel Settembre del 1994 in “Sala Volpi” e qui sotto

riporto l’intervista fatta a Di Capua da Il Mattino:

“Raccontare la musica contemporanea mediante un supporto come la televisione voleva

dire per me raccogliere una sfida. Per questo è giusto non rivolgersi solo alla

prospettiva degli addetti ai lavori, ma confidare nel grande desiderio di approfondire e

di esplorare l’arte, la musica; c’è una grande richiesta di capire che non sempre è

soddisfatta nel momento in cui varca il portone di un teatro. Ho pensato ad un lavoro

che avesse la finalità di incuriosire, non di dare giudizi; per questo ho evitato

14

accuratamente commenti, sia dal mio punto di vista di narratore, sia di musicologi o

critici. Quindi si è preferito l’oggettività all’impressionismo. La forza della televisione è

di far vedere le cose così come sono; poi di conservarle. Ho voluto fermare il tempo di

quella Biennale, perché ne vengano ricordati gli irripetibili eventi. Non mediante

un’oggettività didascalica, ma mediante informazioni di un certo tipo, lavorando su

linguaggi che non ne sostituiscano altri ma che ne allarghino la comprensione. Non un

sostituirsi alla monografia né alla sala da concerto ma, mediante il linguaggio

televisivo, sovrapposizione di formazioni con cui immaginare al di là del suono. Un

creare quel margine necessario all’interno del quale lo spettatore costruisce la propria

realtà, la sua interpretazione. Inventando porte d’accesso che non siano solo quelle

della sala da concerto. Nel caso di Luigi Nono è solo salvando dall’oblio del quotidiano

le testimonianze di tutti coloro che hanno formato la sua mutevole galassia che si potrà

conservare la sua opera come materializzazione di “un’utopia concreta” corsa

parallelamente a quanto macinato da etica, filosofia e pensiero politico di questi

decenni” 1 Settembre 1994

3 Prima rappresentazione del Prometeo

15

4 Partitura di Nono

16

7. CORTI D’AUTORE

Il documentario di Nono risulta un successo e Di Capua decide di produrre a

livello indipendente e senza commissione una serie di cortometraggi incentrati

su compositori di musica elettronica protagonisti della successiva edizione della

Biennale Musica. La pubblicazione di questi è stata concessa solo recentemente

sulla piattaforma web “medici.tv”. La Biennale Musica del 1995 venne intitolata

“L’ora al di là dal tempo” in onore a Eugenio Montale e pone al centro

dell’attenzione dei compositori la spiritualità alla quale lo scrittore si riferiva in

questo verso, al trascendentale e al sacro. Tematiche decisamente particolari da

affiancare alla musica elettronica che si vede incaricata di riattualizzare le

tematiche di una tradizione millenaria di musicalità liturgica attraverso linguaggi

d’avanguardia. Il festival dura tutto Luglio dividendo le proprie rappresentazioni

tra la “Fenice”, il “Teatro Goldoni”, la chiesa di San Marco e quella di Santo

Stefano. Di Capua riprende sei opere e i relativi artisti presentandoceli, seppur in

pochi minuti, in tutte le fasi delle rappresentazioni: il trasporto dei materiali,

l’allestimento delle scene, le prove con i vari protagonisti e l’esibizione vera e

propria. Amalgama il tutto mediante interviste con i compositori, nelle quali

individualmente esprimono le loro considerazioni sulle tematiche delle loro opere

e del rapporto tra queste e il soggetto della sacralità al centro della Biennale. Di

Capua con le scelte di sequenze che propone sembra proiettare lo spettatore non

solo all’interno degli spettacoli, ma riesce a fargli respirare l’aria stessa della

Biennale.

Il primo segmento, che si apre con un’intervista al direttore Mario Messinis,

tratta uno dei due concerti di inaugurali tenuto nella Chiesa di S. Stefano, ovvero

il “Quare Tristis” di Adriano Guarnieri su testo di Raboni per soli, cori,

orchestra e Live Electronics. Guarnieri qui espone anche a parole il suo

sentimento in merito al bisogno che la musica contemporanea prosegua nel suo

17

percorso verso nuove sonorità che abbiano come fine quello di sensibilizzarsi a il

pubblico, segnando una svolta epocale per il genere. Durante la messa le tre

diverse partiture, orchestrale, corale e quella del Live Electronics, si incrociano

perfettamente ad arco, al culmine del quale si trova l’orazione centrale in latino.

Il secondo corto espone il “Requiem” di Hans Werner Henze, nove concerti

spirituali per pianoforte e solo, tromba concertante e grande orchestra da camera,

presentato l’11 Luglio nella Basilica di San Marco. Le tematiche dei nove brani

strumentali sono proposte come un tributo di Henze al suo scomparso amico

Michael Vyner, direttore artistico della Sinfonietta di Londra, trattano del lutto,

delle paure e delle sofferenze degli uomini d’oggi, della malattia e della morte,

dell’amore e della solitudine e riporta in termini laici e terreni la riflessione sulla

mortalità, il dolore e la separazione. A seguire la “Missa-Dahlmer Messe” di

Dieter Schnebel per soli, due cori, orchestra, organo e suoni elettronici. Opera di

grande complessità esecutiva che intreccia testi diversi, in una contaminazione

del testo tradizionale della messa con frammenti liturgici in greco antico e

ebraico e “parole privilegiate” di lingue europee moderne. L’opera è un omaggio

di Schnebel alla memoria della “Bekennende Kirche”, (Chiesa Confessante)

movimento evangelico di resistenza antinazista e di rinnovamento cristiano

fondato in Germania nel 1933 da Martin Niemӧller, pastore di Dahlem-Berlino.

Di Capua mostra con grande maestria l’impegnativo allestimento e gli strumenti

a dir poco peculiari che vengono utilizzati, soprattutto si sofferma su quegli

elementi molto cari a Schnebel e che vengono inseriti per confortare l’ascoltatore

in un presente “ostile e secolarizzato”, ovvero suoni riprodotti da oggetti di uso

quotidiano e rumori prettamente ambientali come riferimento alla realtà.

18

5 Dahlerm Messe

Il corto successivo propone lo “Scardanelli-Zyklus I II III” di Heinz Holliger,

opera per flauto, orchestra da camera, coro e suoni elettronici su versi di

Friedrich Hӧlderin presentata nella Chiesa di Santo Stefano. Il testo è posto qui

al centro dell’attenzione ed è attorno alle sue intonazioni liriche si che svolge e

bilancia l’insieme di fraseggi vocali e strumentali. Holliger compone

assemblando diversi suoi precedenti lavori e creazioni e creando una musica

stabile e calma che accompagni i poemi di Scardanelli al fine di esprimere il

rapporto tra spiritualità e natura tanto caro all’autore. Il quinto episodio presenta

lo spagnolo Louis de Pablo ed il suo “Romancero”, composizioni per voci miste

che rivisitano un testo del 1100 circa. Di Capua questa volta rivolge la sua

attenzione direttamente all’autore il quale disquisisce liberamente sul suo

rapporto con la musica, la sacralità e la morte. L’ultimo corto girato nel 1995 è

incentrato sul compositore giapponese Toshio Hosokawa e al solo per flauto che

19

ha scritto per Roberto Fabbriciani intitolata “Vertical song”. Lo stesso titolo del

brano rimanda all’intento di Hosokawa di comporre una musica che portasse il

pubblico a percepire un movimento verso l’alto, a far percepire uno scorrere

verticale del tempo, a simboleggiare l’innalzamento dell’essere umano dalla

propria condizione soggettiva terrena. Questi ultimi due corti vengono girati al

Teatro la Fenice, divorato dalle fiamme nel 29 Gennaio 2006, e al quale Di

Capua dedica la chiusura mostrando una panoramica completa della struttura

oramai persa.

Nell’Ottobre del 1996 durante la programmazione del Festival dedicato al

compositore Luciano Berio presso il Teatro Studio a Milano e promosso

dall’associazione per la musica contemporanea Milano Musica, viene presentato

un concerto di Tempo Reale, Centro di ricerca produzione e didattica musicale di

Firenze del quale Berio è il direttore artistico. Il concerto comprendeva una

rivisitazione di brani del passato e creazione di composizioni contemporanee tra

queste la prima esecuzione italiana di “Quanta Oscura Selva Trovai” di Giacomo

Manzoni, scritta per trombone, coro da camera, processori elettronici e nastro

magnetico, e la prima assoluta del “Passacaglia” di Aldo Clementi, opera per

flauto e nastri. La sperimentazione e l’avanguardia sonora vengono catturate da

Di Capua mediante una meticolosa ripresa dell’allestimento e dei dialoghi tra i

compositori e gli esecutori. Qui la componente elettroacustica, curata da Alvise

Vidolin e Nicola Bernardini, svolge un ruolo quasi da protagonista e si trova a

ricreare la monolitica severità dell’ “Inferno” dantesco in “Quanta Oscura Selva

Trovai” e generando l’imponente foresta di suoni nel “Passacaglia”. Di Capua

ci mostra come sempre ogni aspetto della produzione, ne intervista sia i

compositori che i solisti, riesce a far assaporare la complessa ed articolata

spazializzazione della musica nel teatro anche attraverso il video dimostrando

una profonda conoscenza delle dinamiche della musica concreta ed una

sopraffina capacità nel delinearne l’andamento del brano.

20

21

8.PRODUZIONI RAI SAT SU LUIGI NONO

Con l’introduzione in Italia dei canali tematici satellitari nel 1997 la direzione dei

programmi dedicati alla musica e alla danza di Rai Sat viene affidata a Di Capua.

Gli viene proposto in quell’anno la direzione e la regia televisiva del primo

documentario prodotto per il canale e con soggetto l’ “Io, frammento dal

Prometeo”, una delle ultime opere di Luigi Nono, rimasta incompiuta, scritta per

tre soprani, piccolo coro, flauto basso, clarinetto, contrabbasso in Si bemolle e

Live Electronics con testi a cura di Massimo Cacciari. L’esecuzione del brano è

avvenuta nel contesto di un recupero dell’opera di Nono dopo quattordici anni

dalla sua ultima rappresentazione alla Biennale del 1983 e si inserisce in un

ampio progetto di restauro e di ripristino delle partiture noniane da parte di Casa

Ricordi. Si tratta di un documentario-concerto realizzato nell’ambito della

rassegna musicale Civiltà Musicale Veneziana promossa dal Teatro La Fenice.

Viene intitolato “Io, frammento dal Prometeo, una ricognizione, documentario

concerto di Gianni di Capua” e, similmente ai Corti d’Autore, si sviluppa in una

singola giornata di riprese e dura all’incirca un’ora. Si articola lungo una

ricognizione del pezzo attraverso dei materiali di repertorio e di alcune parti che

lo compongono. Di Capua apre con una rapida carrellata biografica del

compositore e prosegue mostrando in tre tagli i protagonisti della composizione

ovvero prime le macchine, ovvero gli strumenti fondamentali per il linguaggio e

la ricerca di Nono, l’esecutore con le mani sul mixer e l’organo orchestrale. La

difficoltà e la magnificenza che caratterizzano questa opera vengono illustrate da

Massimo Cacciari, Mario Messinis, Ciro Scarponi, Roberto Fabbriciani, Andrè

Richard, Alvise Vidolin e Hans Peter Haller. E’ peculiare infatti la dualità del

documentario dove ai nove movimenti del concerto si alternano le interviste agli

esecutori, che in questo caso possono spesso identificarsi come autori collaterali

dell’opera stessa. Di Capua tesse un filo narrativo che si districa tra le prove, gli

studi di partiture, il problema della necessità di riadattare l’opera ad ogni

ambiente nel quale viene riprodotta pur mantenendo l’estetica imposta da Nono.

22

23

Nel 1999 Di Capua, sempre per la programmazione RAI SAT, cura la regia di un

documentario simile e anche questo incentrato su un’opera di Nono intitolata “A

floresta è jovem et cheja de vida”. Una composizione scritta nel 1966 per

soprano, tre voci di attori, clarinetto in si bemolle, lastre di metallo e nastro

magnetico e della quale non vi è una partitura scritta ma solo una registrazione su

vinile. Anche questo concerto viene presentato nell’ambito di Milano Musica al

Piccolo Teatro di Milano nel 1998, a conclusione del ripristino della partitura

realizzata da Casa Ricordi. Qui Di Capua lavora alla ripresa in modo che questa

sia interna all’esecuzione, e non esterna come una ripresa della rappresentazione.

La musica in questa composizione è fortemente gestuale e il documentarista

riesce perfettamente a riprendere lo spazio scenico al fine di introdurre il

telespettatore nella raffigurazione come se fosse nel teatro. Di Capua restituisce

ottimamente il senso di attesa per l’ingresso delle voci e dei suoni, generato dal

nastro inizialmente solo, evitando inquadrature totali dell’intero schieramento di

voci e strumenti presentando piuttosto inquadrature parziali. Quello che potrebbe

essere un elemento di disturbo nel caso di una ripresa dal vivo, dove si dovrebbe

anzitutto fornire a chi guarda l’intero teatro a sipario aperto per vedere come

sono disposti i vari arredamenti scenici, non costituisce invece per lo spettatore

televisivo alcun motivo di fastidio. La “Floresta” di suoni viene riprodotta e

presentata dalla vera e propria foresta di antenne che reggono i microfoni. Di

Capua utilizza svariate riprese particolareggiate degli strumenti sonori reali e crea

un parallelismo tra la partitura di Nono e la ripresa mediante astrazioni create

avvicinando l’obiettivo fino a non far più percepire l’oggetto visivo. Un’altra

cosa interessante è la capacità del regista nel cogliere la gestualità dell’esecutore,

la consapevolezza che non solo l’oggetto sonoro è un elemento del gesto, ma che

anche i corpi sono elementi del suono.

24

9. IL “SATYRICON” E LA “MEDEA”

Tra le varie produzioni Rai Sat di Di Capua spicca senza dubbio il “Satyricon”

ripreso l’Luglio del 2000 nel Teatro Lauro Rossi di Macerata. L’ultima

composizione di Bruno Maderna, un’opera da camera su testi di Petronio, una

satira sociale verso la corruzione mondana moderna che si sviluppa attraverso

diciannove diversi episodi, sempre sottoposta a modifiche e rifacimenti dallo

stesso autore attraverso l’impiego di materiali sia acustici che elettronici redatta

da Giancarlo Cobelli. Di Capua riesce per la prima volta ad ottenere una prova

dedicata appositamente alla regia televisiva e oltre a questo la possibilità di

montare fisicamente nella scena con la ripresa. Vi è quindi sia un’interpretazione

per il concerto che svariati elementi posti per la ripresa filmografica in se, ad

esempio la possibilità di far cantare gli interpreti guardando in camera, quindi

mutando il rapporto tra il pubblico televisivo e la ripresa classica dell’opera.

Trionfa qui la tecnica del piano sequenza mediante la steady cam, ovvero una

ripresa unica che segua il fraseggio del musicista senza stacchi adattando il

linguaggio cinematografico a quello musicale della partitura, ed è il modulo

chiave che accomuna al “Satyricon” anche la ripresa di “Risonanze”, un concerto

documentario del 2001 nel quale Elena Casoli interpreta Steve Reich, Michele

Tadini e Maurizio Piasati.

E’ con la produzione della “Medea” di Adriano Guarnieri del 2007, opera video

in tre parti liberamente ispirate ad Euripide, che Di Capua usufruisce in maniera

completa di tutta la sintassi televisiva a sua disposizione. Tre diverse

protagoniste di scena, flauto basso e contrabbasso, flauto, pianoforte, Live

Electronics e proiezioni su pannelli posti di fronte agli interpreti. La

rappresentazione viene decostruita dal punto di vista dell’immagine applicando

una sovrapposizione tra le immagini proiettate e gli interpreti in scena, lavorando

su tutto il materiale ripreso e dalle immagini, curate da Giorgio Barberio

Crosetti, poste direttamente in sovraimpressione in post produzione. Le

telecamere, entrando fisicamente nella scena e mimetizzandosi nella coreografia,

25

creano prospettive a tutto campo che ne favoriscono la dinamicità di narrazione,

e che raggiungono punti di vista unici alla ripresa e non condivisi da nessuno

fisicamente presente nel teatro. Di Capua si pone quindi l’obiettivo di proporre

una “Medea” puramente televisiva, un’opera ex novo distante da quella alla

quale lo spettatore teatrale ha la possibilità di assistere, destinata unicamente alla

televisione.

26

27

10. ALTRI INCARICHI

Gianni Di Capua durante il suo percorso artistico oltre che alla regia e alla

produzione, ricopre anche cariche direttive e cattedre scolastiche. Nel 1999 fu tra

i soci fondatori e tra i primi componenti del direttivo di DOCIT, ovvero

“Associazione Documentaristi Italiani”, che aveva il proposito di affermare il

genere documentaristico anche in Italia, e sempre nello stesso anno, durante la

riforma universitaria, venne chiamato dal professor Giovanni Morelli presso l’

Università “Ca’Foscari” di Venezia per coprire la cattedra di “Storia e Tecnica

del Documentario d’Arte” e la cattedra di “Produzione Consumo dell’Arte Cine-

Video Riprodotta” nella facoltà di Economia e Commercio. Insegna “Economia e

Organizzazione dello Spettacolo” ancora oggi al Dams di Gorizia. Nel 2004, con

la “Medea” di Guarnieri, Di Capua termina la sua collaborazione con RAI SAT e

viene incorporato nella Fondazione Benetton, dove gli viene conferita la carica di

Direttore artistico delle Iniziative Culturali, dove vi curò le iniziative proponendo

artisti e innumerevoli concerti di musica contemporanea fino al 2007,

producendo anche film come “Memoriae Causa” e “Quando l’Arte si Tace” di

Riccardo De Cal.

28

11. INTERVENTO SU “QUADERNI DELL’IR.TE.M”

Ritengo utile alla mia tesi concludere con le riflessioni che Di Capua stesso

esprime, scendendo nel dettaglio del proprio modus operandi e delle proprie

tecniche di sintassi televisiva, in un intervento sulle tematiche proposte dal

venticinquesimo volume dei “Quaderni dell’I.R.TE.M” in merito ai modi di

riproduzione in televisione della musica dal vivo o in studio.

Limiterò il mio intervento al minimo necessario per dare spazio alla proiezione

dei documenti e un eventuale scambio di opinioni a seguire. Condivido molte

delle cose dette dai miei colleghi intervenuti perché sono frutto di un'esperienza

maturata sul campo. Le cose si complicano ulteriormente se applicate alla musica

contemporanea, perché la presenza del compositore rende la verifica del proprio

lavoro immediata: il compositore è vivo, presente, al lavoro del regista si

aggiunge, quando le circostanze lo consentono, quello del documentarista, la

ripresa di un concerto diventa quindi un documento; un’opportunità per

conoscere i presupposti poetici che informano il brano della diretta testimonianza

del suo autore. Un concerto di musica cosiddetta "contemporanea" costituisce, tra

l'altro, il più delle volte un'esperienza concertistica rara se non addirittura unica,

difficilmente udibile in altre occasioni, fatta naturalmente eccezione per i brani di

compositori già affermati, la ripresa televisiva rappresenta per questo

essenzialmente un documento ed è secondo questa prospettiva che va intesa la

visione del primo lavoro che vi presenteremo. Il primo lavoro che vedrete dura

tredici minuti e fa parte di una serie di brevi documentari intitolata "Corti

d'autore, pensare la musica"; il ciclo risale al 1995, a tutt'oggi ho completato una

dozzina di cortometraggi dedicati ad altrettanti compositori. Al centro di ogni

"Corto" un brano musicale, più esattamente dei frammenti del brano, che

costituisce il pretesto per un dialogo con il proprio compositore al fine di

comprenderne la poetica, il pensiero; "Pensare la musica" per l'appunto. Il

"Corto" che vi propongo è dedicato a un giovane compositore giapponese,

29

Toshio Hosokawa, allievo di Thoru Takemitsu. Hosokawa è particolarmente

interessato alle esperienze delle avanguardie musicale europee, in particolare al

pensiero di Luigi Nono, sul quale ritorneremo con il prossimo documento in

programma. In questo "Corto" il mio intento non era affatto quello di riprodurre

il concerto ma di documentarlo: il concerto è avvenuto nella sala Apollinea della

Fenice. Il destino ha voluto che qualche mese dopo la Fenice fosse distrutta da un

incendio, il che ha reso questo cortometraggio un prezioso documento storico. Il

video è sottotitolato in inglese. Il "Corto" è stato trasmesso in Giappone

all'interno di un programma televisivo; l'edizione della rassegna della Biennale

Musica del 1995, nell'ambito della quale è stato presentato il brano in questione,

era intitolata "Momenti di spiritualità nella musica contemporanea". Il titolo del

brano è "Vertical Song" per flauto solo interpretato da Roberto Fabbriciani.

Dovete sapere che questa è una delle prime produzioni televisive relative a un

compositore di musica contemporanea realizzate per il canale satellitare RAI

SAT; la RAI dedica molto raramente spazio a questo genere musicale (questo

sarebbe un altro capitolo penoso da aprire). Occorre quindi considerare che

proporre un concerto senza farlo precedere da un'introduzione oggi sembra

inevitabile se desideriamo consentire al pubblico televisivo di dotarsi di quegli

strumenti per poter esercitare un minimo di critica. L'esecuzione del concerto di

“A Floresta è jovem e cheja de vida” di Luigi Nono è avvenuta nell'ambito di

un'interessante progetto di ripristino della partitura che ha offerto al regista il

materiale per costruire una premessa alla ripresa del concerto. A differenza del

primo documento visionato, qui ci troviamo di fronte a un prodotto diversamente

articolato: la ripresa è riferita a tutto il concerto e non solo a una parte; i mezzi

posti a disposizione della ripresa televisiva sono quelli generalmente impiegati

per la registrazione di un concerto da camera ossia quattro telecamere e una regia

mobile; la regia televisiva di questo brano poneva tuttavia delle difficoltà di

ordine strutturale poiché la partitura nella specificità sviluppa una poetica

musicale assai complessa, ostica e di difficile presa "armonica"; per la regia

30

televisiva si sono poste quindi delle questioni di natura formale che una partitura

di tipo tradizionale risolve di per sé; la regia infatti procede per "stacchi" sulle

diverse sezioni orchestrali che sviluppano "colore" e la melodia del brano. La

questione meriterebbe naturalmente un approfondimento e non certo la "traccia"

che qui si sta delineando in modo davvero sommario. La Floresta televisiva è

quindi sostanzialmente una traduzione di quella rappresentata al Piccolo di

Milano. E' con la consapevolezza del "tradimento necessario" che è stato

realizzato il programma di cui vedremo un breve frammento, una ripresa

ricostruita essenzialmente in sala di montaggio facendo largo uso della sintassi

televisiva, realizzando un prodotto specifico per la televisione. Casa Ricordi, è

interessante notarlo - Ilio Catani è testimone di questa vicenda - ha promosso la

realizzazione televisiva di questa partitura. RAI SAT aveva già realizzato

qualche mese prima ancora un programma su Nono, anche questo da me

realizzato. Il filmato che vedremo è stato montato solo due settimane fa da Marco

Denna, che è qui fra il pubblico, ed è stato realizzato presso il Centro Produzione

di Milano. Devo precisare che in quest'occasione, a differenza del "Corto" visto

prima, non avevamo a che fare con il compositore, ma con gli interpreti storici

del brano. La prima parte di questo filmato, infatti, documenta la polemica che ha

animato l'esecuzione alla vigilia della sua rappresentazione, tra gli interpreti

storici, critici nei confronti di una riesecuzione della partitura poiché

imprescindibile dalla presenza del suo autore Nono, e i fautori che ne

sostenevano l'esecuzione. Con A Floresta non esisteva un testo musicale, ma solo

note e alcune pagine riferite a un concerto avvenuto all'epoca della sua

composizione, il lavoro di ripristino della partitura si è rivelato un'indagine

complessa e affascinante che ci è sembrato opportuno documentare in forma di

dialogo con gli autori del recupero, con alcuni degli amici del compositore

veneziano. La complessità della musica contemporanea, complessità di pensiero,

di segni, di elementi che caratterizzano l'opera, nonché di contaminazioni di ogni

genere, consente al regista un approccio alla musica forse più libero rispetto a

quello che può avere nei confronti di un brano classico, e quindi anche nel

31

decidere di posizionare delle telecamere si ha molto più gioco, naturalmente se le

circostanze lo permettono. Qui abbiamo addirittura potuto intervenire sulla

qualità della fotografia, disegnando in un certo senso le luci dell'esecuzione. Ci

siamo inoltre avvantaggiati della tecnologia che ci offriva la RAI, attraverso l'uso

di telecamere dell'ultima generazione sensibilissime alla luce e che ci hanno

permesso di lavorare su alcuni aspetti chiaroscurali della fotografia che ci

sembravano pertinenti alla fruizione di questo tipo di musica. Qualcuno mi

chiedeva se sono un musicista. Ho studiato a fondo la partitura. Per spiegare

perché io abbia deciso di mettere la telecamera vicino a sei lastre di rame in

scena, bisognerebbe spiegare prima perché il compositore abbia deciso di mettere

delle lastre. Il regista cerca di intuirne la ragione e scopre che alla base di questo

pezzo c'è un nastro magnetico. La mediazione tra quello che accade nel nastro e

quello che accade dal vivo sulla scena è costantemente mediata attraverso le

lastre: ogni volta che intervengono le lastre accade qualcosa in scena mentre

lasciamo qualcosa sul nastro e viceversa. Questa è una interpretazione mia

personale tra le tante nel “pensare” la ripresa televisiva. Voglio dire che

assolutamente nulla è lasciato al caso nelle nostre scelte. Abbiamo lavorato in

una situazione difficile (il teatro non ci ha consentito di fare delle prove),

abbiamo per questo registrato il concerto con le camere separate ossia senza

master, cinque telecamere, una delle quali sempre puntata sul direttore

d'orchestra, camera tuttavia non utilizzata in postproduzione poiché la “visione”

del direttore non aggiungeva alcunché alla percezione “critica” e dovrei

aggiungere anche della “forma” del brano. A Floresta rimane sicuramente un

capitolo affascinante della musica di questi ultimi decenni, tutta da scoprire, e

spero che nella televisione dei canali satellitari questo racconto della musica

contemporanea e del pensiero che la informa possa essere riportato all'attualità.

Sembra celarsi una contraddizione in termini, nel dire l'attualità del

contemporaneo", ma non c'è purtroppo nulla di più inattuale nel contemporaneo

della musica contemporanea.

32

ILIO CATANI Vorrei aggiungere una nota a margine che riguarda la difficoltà

della ripresa audio, perché in Nono spesso il suono assume una dimensione

assolutamente particolare. Il concetto di circolarità del suono, la dislocazione di

altoparlanti intorno alla sala, il banco mixer che abbiamo visto anche nel

Prometeo: tutto questo in televisione - ahimè - non si riesce ancora a realizzare se

non con impianti particolari.

GIANNI DI CAPUA Ha ragione Ilio Catani, quindi tenete presente anche questo

aspetto. Nel filmato, che dura venti minuti, c'è stato un attentissimo utilizzo del

vocabolario che il linguaggio televisivo mette a disposizione del regista. Buona

visione.

FRANCESCA NESSLER Vorrei chiedere a Gianni Di Capua come ha diretto il

lavoro degli operai.

GIANNI DI CAPUA Abbiamo seguito insieme la prova strumentale con la

partitura in mano, dopo di che abbiamo stabilito quali fossero la camere. Si è

trattato innanzitutto di dar loro motivazioni per far sì che il lavoro diventasse

veramente di equipe; e i risultati sono visibili. Ognuno aveva un compito preciso

ed è entrato nel proprio ruolo, ma soprattutto ognuno sapeva cosa stesse

riprendendo. E' importante motivare l'operatore, perché bisogna fargli capire che

egli fotografa un pensiero. Devo dire che la produzione di programmi per la

televisione riduce il coinvolgimento dell'operatore a una funzione limitata delle

sue possibilità di "inquadrare" la realtà in termini "creativi".

VOCE DAL PUBBLICO [A causa di un difetto nella registrazione, la domanda

risulta incomprensibile][N.d.R.]

GIANNI DI CAPUA Com’è detto più volte nell'introduzione, ne esiste

un’incisione su disco. Quelli che sostenevano che l'opera non fosse realizzabile,

una volta realizzata, hanno asserito che avrebbe dovuto assomigliare al disco. Ma

il disco produceva il segnale in stereofonia voluto da Nono e, quindi, esisteva un

problema di carattere filologico che ha reso la realizzazione di questo concerto

33

molto interessante, tanto che ho ritenuto di doverla riproporre nella prima parte

senza tuttavia produrre documenti; si cono semplicemente dei volti in primo

piano che raccontano ciò che li ha informati in questa esperienza. Questo lavoro,

A Floresta, è multilingue e viene dedicato al Vietnam. Quando mi è stato

proposto mi sono chiesto che senso avesse riportare oggi una partitura così

fortemente connotata dal punto di vista ideologico al punto da poter essere intesa

alla stregua di una operazione connotata di nostalgia; naturalmente questa è una

provocazione attraverso la quale ho inteso suscitare delle riflessioni tra coloro

che ho avuto modo di poter intervistare.

JOHANNES SCHMIDT-SISTERMANNS I just wanted to share my

impressions: seeing this video made me concentrated, and I thought that this type

of music captures my attention much more than Mozart's, and the realization on

video becomes an inextricable part of the music itself. [Volevo rendervi partecipi

delle mie impressioni: trovo che questo video stimoli la concentrazione e che la

musica risulti molto più coinvolgente di quella di Mozart; la realizzazione in

video diventa parte della musica stessa.]

ERIC MARINITSCH Is this program only going to be broadcast on RAI SAT or

will it be sold to other networks? [Questo programma verrà trasmesso soltanto su

RAI SAT oppure verrà venduto anche ad altri network?]

ILIO CATANI La sua prima emissione sarà su RAI SAT, ma come tutti i

programmi che vengono prodotti dalla RAI apparterrà a tutte le strutture. Esiste

una sorta di diritto per la prima messa in onda, ma una volta in magazzino tutte le

strutture possono farne uso.

CARLO MARINELLI Di Capua si poneva il problema dell'attualità. A questo

proposito, credo che pochi sappiano, benché sia stato scritto su qualche giornale,

che i patrioti di Timor di lingua portoghese tuttora combattono una guerriglia,

che dura da moltissimi anni, contro l'invasione indonesiana. Già questo dovrebbe

34

bastare a rendere assolutamente attuale la partitura di Nono. Di qui il titolo in

lingua portoghese, A Floresta, che è l'ambientazione che Nono ha voluto dare.

GIANNI DI CAPUA E' il motto di un guerrigliero angolano che dice: <<Non ce

la faranno!>> Lo storico della musica Luigi Pestalozza spiega ampiamente quello

che il professor Marinelli sta dicendo.

CARLO MARINELLI Possedendo il disco di questo lavoro di Nono, vorrei

testimoniare che la realizzazione che abbiamo visto è superiore a quella del

disco, in quanto a mio avviso più vicino al discorso che Nono voleva fare. Mi è

tuttavia dispiaciuto che l'audio fosse così basso, perché in tal modo si è persa

parte della continuità del discorso: quelle improvvise emersioni delle grida erano

troppo improvvise proprio perché prima avevamo sforzato l'udito per seguire

quello che avveniva precedentemente. Probabilmente ciò è dovuto alla

riproduzione, non all'originale. Se si fosse potuto seguire si sarebbe visto che

esiste una struttura, un discorso, e che in questo Nono è un compositore

tradizionale, sebbene usi mezzi non tradizionali. Per tutte queste ragioni vorrei

aggiungermi a tutti coloro che hanno ringraziato Di Capua, Catani e RAI SAT,

perché questa è un'opera che ci ridà la speranza in un'epoca che ci sembrava

ormai finita per sempre. Facendo rivivere quest'opera e riattualizzandola, come

ho cercato di dire, ce la riporta nuovamente in vita. Grazie.

GIANNI DI CAPUA Quando ho posto la questione di che senso abbia riportare

oggi un'opera così fortemente ideologica, in un momento storico in cui le

ideologie non esistono più, ovviamente ho inteso lanciare una provocazione, che

peraltro i miei intervistati hanno raccolto. Personalmente sento di aver riportato

qualcosa al dialogo con la presente, prerogativa preziosa che è proprio della

televisione, nell'informare la nostra memoria e la nostra coscienza.

ILIO CATANI Vedendola per la prima volta, mi domandavo se un lavoro

musicale del genere possa essere realizzato televisivamente in maniera altrettanto

significativa, ma in modo diverso. Pensando ai diversi modi in cui una sinfonia di

35

Beethoven o un brano classico possono essere realizzati, mi domandavo se

altrettanto valesse per l'opera di Nono. A Floresta ha un impianto "scenotecnico",

una collocazione dei musicisti, delle lastre, secondo una precisa volontà

dell'autore che è scritta in partitura: nelle intenzioni dell'autore tutto era

funzionale a un certo effetto sonoro, tutto era lì perché doveva dare un risultato

preciso.

36

12. CONLUSIONI SULL’AUTORE

Attraverso la sua carriera Gianni Di Capua si afferma come artista completo e

dinamico, capace di riadattare le proprie capacità ad ambiti e commissioni

totalmente differenti. E’ il regista chiave per la raffigurazione televisiva di Luigi

Nono e per la complessa riproduzione delle sue opere dedicate alla

telediffusione, un ruolo difficile che è riuscito a svolgere grazie ad una profonda

conoscenza della musica elettroacustica e alla capacità di applicare una sintassi

televisiva misurata sulle dinamiche delle partiture. Di Capua riesce in maniera

magistrale a tradurre un linguaggio sonoro che muta tra astrazioni,

spazializzazioni, dissolvenze e riflessioni in movimento della telecamera, messa

a fuoco e defocalizzazione dell’obiettivo e un sapiente lavoro di post-produzione

tra la sovrapposizione delle immagini. Di Capua è sensibile alle gestualità degli

esecutori, allo spazio, al tempo scenico e musicale e li cura con la tecnica del

piano sequenza, attraverso l’impiego della steady cam, le tempistiche e i fraseggi

decidendo sulla partitura i punti di parenza e di arrivo della ripresa in modo che

coincidano. Sviluppa il bisogno nel documentario di creare un’attesa mediante

l’introduzione di elementi in conflitto tra loro e che creano una tensione

drammatica al fine di catturare l’attenzione del telespettatore evitando al regista

di giocarsi in poco tempo tutti i propri linguaggi mediatici. Il fondamento al

centro dell’opera Di Capua è quella riuscire come documentarista a generare una

drammaturgia nel filmato, distaccandosi dalla tipica rappresentazione statica,

fredda ed impersonale che caratterizza questo tipo di intrattenimento televisivo

spesso dettata da una superficiale conoscenza dell’opera che viene rappresentata

e dei suoi interpeti.

37

13.SITOGRAFIA e ALTRI DOCUMENTI

-www.wagnerinvenice.com

-www.cinemaitaliano.info

-www.milanomusica.org

-www.2venice.it

-www.archiviostorico.corriere.it

-www.milanoarteexpomusica.wordpress.com

-www.luiginono.it

-www.iltempo.it

-www.medici.tv

-www.mymovies.it

-www.rampadova.it

-www.trieste.com

-www.artedellascolto.it

-www.veneziadavivere.com

-www.cinemadeifabbri.it

-“Quaderni dell’I.R.TE.M-N.11 Modi di riproduzione in televisione della musica

dal vivo o in studio”

Il materiale è stato raccolto durante incontri e interviste svolti tra me e l’autore.