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CONSERVATORIO DI MUSICA “CESARE POLLINI” DI PADOVA Dipartimento di Nuove Tecnologie e Linguaggi Musicali DIPLOMA ACCADEMICO DI 1° LIVELLO IN MUSICA ELETTRONICA Indirizzo Tecnico di Sala di Registrazione Tesi di laurea DIGITAL STORYTELLING: UNA RISORSA PER IL MUSEO CONTEMPORANEO Relatore Prof. GIORGIO KLAUER Laureando ALBERTO VEDOVATO Matricola 11237 Anno Accademico 2014-2015

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CONSERVATORIO DI MUSICA “CESARE POLLINI” DI PADOVA

Dipartimento di Nuove Tecnologie e Linguaggi Musicali

DIPLOMA ACCADEMICO DI 1° LIVELLO IN MUSICA ELETTRONICA

Indirizzo Tecnico di Sala di Registrazione

Tesi di laurea

DIGITAL STORYTELLING: UNA RISORSA PER IL MUSEO CONTEMPORANEO

Relatore

Prof. GIORGIO KLAUER

Laureando

ALBERTO VEDOVATO

Matricola 11237

Anno Accademico 2014-2015

3

INDICE

Capitolo 1. Il Museo .................................................................................................... 5

1.1. Il mito: le Muse e Mnemosyne ........................................................................... 5

1.2. Origini del museo ............................................................................................... 7

1.3. La destinazione pubblica del museo .................................................................... 8

1.4. I primi musei in senso moderno: il British Museum e il Louvre .......................... 9

1.5. Le caratteristiche e le finalità del museo moderno............................................. 11

1.6. La didattica museale ......................................................................................... 12

1.6.1. Il museo come esperienza sociale. Il Convegno ......................................... 12

1.7. Il carattere interdisciplinare della didattica museale .......................................... 14

1.7.1. La teoria costruttivista ............................................................................... 15

1.8. La comunicazione nel museo ............................................................................ 16

1.9. Musei e nuove tecnologie ................................................................................. 19

1.9.1. Il concetto di edutainment .......................................................................... 22

1.9.2. L’Experience Design ................................................................................. 23

1.9.3. Dispositivi mobili, tecnologia RFID e più recenti soluzioni ....................... 24

1.9.4. La Augmented Reality ................................................................................ 25

1.9.5. Natural User Interfaces ............................................................................. 27

Capitolo 2. Il ruolo della narrazione nella comunicazione ...................................... 29

2.1. La memoria collettiva ....................................................................................... 29

2.2. Il racconto nell’antichità ................................................................................... 30

2.3. Narrazione e apprendimento ............................................................................. 31

2.4. I musei narranti ................................................................................................ 33

2.4.1. I primi musei emotivamente coinvolgenti .................................................. 34

2.4.2. Gli ambienti sensibili di Studio Azzurro .................................................... 35

2.4.3. Il Museum Theatre ..................................................................................... 37

Capitolo 3. Il Digital Storytelling.............................................................................. 39

3.1. Il Center for Digital Storytelling ....................................................................... 39

3.1.1. Le motivazioni profonde alla base della metodologia ................................. 40

3.1.2. Perché Digital: l'apprendimento multimediale ............................................ 41

3.1.3. La centralità della teoria di Mayer .............................................................. 43

3.2. Alcuni esempi di DST ...................................................................................... 47

3.3. Il Digital Storytelling varca le soglie del museo ................................................ 50

3.3.1. Digital Storytelling diretto: lo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen .. 53

3.3.2. Digital Storytelling partecipativo: il Museum of Modern Art di New York 53

4

3.3.3. Digital Storytelling indiretto: il Delaware Art Museum .............................. 54

3.3.4. Digital Storytelling immersivo: i Giardini di Castel Trauttmansdorff di Merano ................................................................................................................ 56

Capitolo 4. Digital Storytelling@Museo Bottacin .................................................... 59

4.1. L'idea nel dettaglio ........................................................................................... 62

4.2. La realizzazione ............................................................................................... 63

4.2.1. La parte informatica ................................................................................... 64

4.2.2. Il codice elaborato ..................................................................................... 65

4.2.3. La produzione audio .................................................................................. 67

4.3. L’installazione .................................................................................................. 69

4.4. L’esordio: la Notte Europea dei Musei ............................................................. 72

4.4.1. I difetti del sistema e le conseguenti modifiche .......................................... 75

Capitolo 5. Considerazioni finali e possibili prospettive .......................................... 79

INDICE DELLE FIGURE ....................................................................................... 81

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA.......................................................................... 83

5

Capitolo 1. Il Museo

Il termine “museo”, nella sua etimologia, è permeato di un universo concettuale

assai ricco ed è legato all’indissolubile rapporto che lega le Muse e Mnemosyne, dea

della memoria.1 A loro, ispiratrici dei poeti e protettrici dei dotti, era intitolato un luogo

che, nel palazzo di Alessandria d’Egitto, ospitava il più famoso cenacolo intellettuale

dell’antichità, il Mouséion, ovvero “tempio delle Muse” (Simpson, 1998),

rappresentazione di come tutto il sapere potesse trovare sua confacente dimora in un

unico complesso. Con la sua straordinaria biblioteca (che contava circa 700.000 volumi

nei quali era raccolta tutta la letteratura allora conosciuta), l’osservatorio astronomico, il

giardino botanico e zoologico e il laboratorio di anatomia, esso sorse al tempo di

Tolomeo I Soter (322-283 a.C.), su ispirazione di Demetrio Falereo, che era stato

tiranno d’Atene ma anche, e soprattutto, allievo di Aristotele che, a detta di Strabone,

«insegnò ai re d'Egitto un sistema bibliotecario».2

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire quale fosse il ruolo di queste

divinità, in che modo la loro essenza permei il concetto di museo e perché esse abbiano

una posizione di assoluto rilievo nell'economia del nostro discorso.

1.1. Il mito: le Muse e Mnemosyne3

Nella Grecia arcaica la Musa, invocata all'inizio di ogni canto, aveva la funzione

di far conoscere gli avvenimenti del passato, e non solo:

Muse dell'alto Olimpo abitatrici, / or voi ne dite (ché voi tutte, o Dive, / riguardate le cose e le sapete: / a

noi nessuna è conta, e ne susurra / di fuggitiva fama un'aura appena)[...] (Omero, Iliade, II, 484).

1 Interessante, nel delineare l’etimologia del termine, l’articolo di Paula Findlen del 2001. 2 Sul museo e la biblioteca di Alessandria, nonché sull'influenza esercitata dal modello aristotelico vedi, tra gli altri: Carettoni, 1980; Canfora, 1988; Cavallo, 1988; Assmann, ed. 1997, p. 233. 3 La Teogonia, il poema di Esiodo che espone nomi e discendenza di dei e semidei, è introdotta da un lungo inno in tre parti indirizzato a tutte e nove le Muse, celebrante la loro attività e le loro opere. Si legge: «Le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,/ Mnemosine dei clivi d’Eleutere regina,/ che fossero oblio dei mali e tregua alle cure. […]allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto/ è caro nel petto, e intatto da cura hanno il cuore[…]» (Esiodo, vv. 53-55; vv. 60-61). E più oltre: «[…]le nove figlie dal grande Zeus generate,/ Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,/ Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,/ e Calliope[…]».

6

Fin da Omero le Muse vengono citate, esattamente come Mnemosyne in Esiodo,

come le dee sempre presenti, che tutto sanno: è dalla loro esperienza diretta che il

sapere umano viene reso capace di quella “rappresentazione interiore” che rende le cose

comprensibili e trasmissibili.

È grazie a lei se la parola del cantore, assumendo i connotati di un dono per

iniziati, permette all'uomo di sfuggire al silenzio e alla morte; le imprese di cui si tace,

infatti, sono destinate a svanire nel nulla. Sul piano della parola parlata, dunque, la

Memoria ha un valore duplice: da un lato è un dono di veggenza che permette al poeta

di esprimersi con parole efficaci, di formulare la parola cantata; dall'altro, è essa stessa

la parola cantata (Detienne, ed. 1977, p. 12).

Con l'affermarsi della scrittura, se è vero che il modo di concepire la memoria

cambiò radicalmente, è altrettanto vero che la poesia recitata continuava a mantenere il

suo ruolo di principale veicolo di educazione dei giovani.

I Greci seppero mantenere ed anzi accentuare l'arcaica divinizzazione della

memoria che non può non essere tipica di tutte le civiltà essenzialmente orali. In

un'epoca in cui altri strumenti di memorizzazione si stavano ormai ampiamente

affermando, i Greci conservavano l'idea di una memoria come dea ed elaboravano

un'ampia mitologia della reminiscenza.

Da quanto detto fino ad ora, emerge come nella mentalità greca risultasse ben

presente l'idea di una memoria capace di ergersi a difesa dell'uomo dalla morte e

dall'oblio, e anzi, capace di “resuscitare i morti” non nella loro reale identità, ma nelle

loro opere, nelle cose che amano, negli scritti, nell'arte. Dea protettrice dei musei,

dunque, poiché se esiste un organismo capace di questa risurrezione trasposta del

passato, degli uomini e delle cose, questo è proprio il museo.

In un articolo apparso su Nuova Museologia, Pinna si esprime in questi termini:

«È ben noto che i musei sono luoghi in cui si conservano gli oggetti che rappresentano

il passato, la storia e l'identità, di una comunità, e cioè i simboli della comunità, ed è

chiaramente riconosciuto il loro ruolo di istituzioni attraverso cui i significati simbolici

di cui sono impregnati gli oggetti vengono disseminati all'interno della comunità e

trasferiti alle generazioni future, è quindi riconosciuta la loro natura di luoghi di

identificazione delle comunità. Assolutamente meno discusso è il ruolo che i musei

7

hanno nella creazione dei significati simbolici, e quindi nella costruzione del patrimonio

culturale delle comunità, della memoria e delle identità collettive» (2003, pp. 25-25).

Non solo l'oggetto conserva la memoria, ma anche noi, recependo il suo messaggio,

prolunghiamo la sua esistenza nel nostro ricordo.

Il ricordo, che è uno degli scopi primari dell'istituzione museo non può limitarsi

a situare gli avvenimenti nella loro banale diacronia, ma deve sempre giungere al fondo

dell'essere, per scoprire l'originario, l'archetipo, la realtà primordiale di cui è intessuto il

cosmo. In fondo, già Platone (Menone, 81c-d) affermava che apprendere è soprattutto

ricordare.

1.2. Origini del museo L’uso moderno del termine risale al Rinascimento italiano quando con musaeum

si vennero a designare sia gli “studioli” degli umanisti,4 che possedevano una qualche

organicità di intenti e di finalità, che le collezioni signorili e principesche. Queste

ultime, espressione di una grandissima varietà di interessi, presentavano di conseguenza

una notevole promiscuità di reperti: meraviglie dell’arte e della natura, dipinti, disegni,

libri e manoscritti, ma anche reliquie, strumenti scientifici, modelli di macchine e di

architettura, raccolte di minerali, animali impagliati, resti archeologici, ecc. In entrambi

i casi, però, ciò che caratterizzava il museum tradizionale era di essere uno spazio

privato, un luogo di isolamento, un rifugio sottratto al disturbo del mondo esterno.

A cavallo fra Cinquecento e Seicento, si assiste, in un’ ottica del tutto opposta, ai

primi tentativi di specializzazione, di enucleazione, cioè, della collezione d'arte dal

gabinetto di storia naturale. Vede la luce una nuova tipologia di musaeum, a esso

antitetica e complementare, rappresentata dalla galleria. Se lo studiolo di matrice

umanistica ed elitaria, esaltava in uno spazio esiguo, ma armonico e funzionale, quei

valori di introspezione, di mediazione intellettuale ed estetica, tipici della spiritualità

quattrocentesca, la galleria, al contrario, trae origine dalla tensione verso un più

coinvolgente contatto con il pubblico esercitando, allo stesso tempo, una duplice

4 Erasmo da Rotterdam nel suo Convivium religiosum del 1523 utilizza il termine museion (ed. 2002, p. 304) per indicare i luoghi in cui gli umanisti non solo rievocavano la civiltà classica attraverso lo studio dei codici antichi, ma anche attraverso oggetti che la richiamavano direttamente come monete o piccoli reperti archeologici, o indirettamente come i ritratti degli uomini illustri del passato (Marini Clarelli, 2005, p. 9).

8

funzione: autocelebrativa del committente, all'interno di una ristretta cerchia di pubblico

selezionatissimo (Galluzzo, 1997, p. 8), e conservativo-espositiva delle glorie artistiche

e delle imprese eccellenti del casato di appartenenza.

Un secolo dopo “museo” è già il nome comune di tutte le raccolte di naturalia e

artificialia che, in base alle caratteristiche e alle modalità di allestimento, si chiamano

gallerie, gabinetti, studioli, stanze delle rarità e delle meraviglie.5 Con il passare degli

anni l’assetto spaziale del museo stesso comincia a cambiare: la necessità di spazio

moltiplica la presenza di armadi, prima aperti repositoria con mensole, poi sempre più

chiusi, che divengono contenitori universali;; inoltre, l’ansia classificatoria del

collezionista suggerisce soluzioni sempre più distanti dalle spettacolari scenografie

barocche. Dunque, ad una musealizzazione sostanzialmente visiva e teatrale si viene

sostituendo progressivamente una musealizzazione per classi sostanzialmente

ordinativa.

«La parola museo ha nel tempo assunto un senso sempre più ampio, che si applica

oggi a ogni luogo nel quale sono raccolte le cose che hanno un rapporto diretto con le

arti e con le muse», scrive nel 1765 il cavaliere de Jaucourt nel compilare la voce Musée

dell’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert (1765, X, p. 894).

Infine, il termine subì un’altra, decisiva variazione di significato, quando si trattò

di distinguere le collezioni destinate all’uso privato da quelle che, nella seconda metà

del XVIII secolo, cominciarono a essere aperte al pubblico. Tra i compiti loro assegnati

rientrano quelli di educare, produrre e diffondere sapere. Al contrario delle collezioni

private da cui traevano origine, i nuovi musei dovevano essere spazi il cui accesso era

garantito a tutta la popolazione.

1.3. La destinazione pubblica del museo

La destinazione pubblica sembra oggi una caratteristica imprescindibile

dell'istituzione che comunemente riconosciamo con il nome di museo, l'elemento senza

il quale essa non avrebbe motivo di essere, ma, da quanto detto fino ad ora, emerge che

5 Nella scienza dell'epoca si assisteva alla netta distinzione tra naturalia ed artificialia, cioè tra oggetti che venivano trovati in natura e quindi raccolti, catalogati e studiati dagli scienziati, e gli oggetti realizzati con l'artificium, ovvero dall'uomo, con materiali che si trovavano sì in natura, ma che venivano modificati e lavorati (Gabrielli, 2001, p. 14).

9

non è sempre stato così. L'apertura al pubblico, al contrario, è il frutto di una lenta

conquista avvenuta nei secoli.

Se nel Medioevo l’unico vero luogo di esposizione al pubblico era stata la chiesa,

nella quale le ragioni del culto si erano integrate con la rappresentanza dei valori della

comunità, in età umanistica fu proprio un papa che attribuì alla fruizione del patrimonio

culturale una destinazione prevalentemente civile, favorendo la costituzione del primo

esempio di museo a carattere pubblico. Nel 1471 Sisto IV, infatti, si preoccupò di

valorizzare il patrimonio artistico della capitale imperiale, limitandone il commercio

privato e imponendo il monopolio pontificio sui traffici, atto, questo, teso ad affermare

in maniera spettacolare il ruolo e l’importanza del papato nei confronti della

magistratura (Binni, Pinna, 1980, p. 24). Fu così che alcune sculture legate alla storia

della città e, per questo, dal valore fortemente evocativo ed emblematico, come la Lupa,

il Camillo, lo Spinario, la testa di Costantino, le divinità fluviali e l’Ercole furono

donate, corredate dell’iscrizione «priscae excellentiae virtutisque monumentum», al

popolo romano grazie alla loro collocazione nel Palazzo dei Conservatori sul

Campidoglio (Pietrangeli, 1980, p. 11). Siamo di fronte al primo museo aperto al

pubblico in cui, per volontà del pontefice, viene recuperato il principio, già enunciato

nel diritto romano, della libera accessibilità delle raccolte; le opere, inoltre, per la prima

volta non sono conservate né in un palazzo né in una chiesa, ma rese accessibili alla

comunità in uno spazio appositamente predisposto.6

Al di là di Roma, però, la coscienza della fruizione pubblica del patrimonio

culturale non si manifesterà in modo altrettanto chiaro se non alla fine del Cinquecento

con l’apertura degli Uffizi e dello statuario pubblico di Venezia. Le corti rinascimentali,

infatti, riscoprono il luogo delle Muse, ma in forma assolutamente privata.

1.4. I primi musei in senso moderno: il British Museum e il Louvre Lo spartiacque tra la preistoria e la storia del museo è l’impegno dello Stato a

conservare e rendere fruibili le raccolte per finalità di educazione e godimento pubblico.

La data simbolo è il 1759, anno in cui fu consentito ai visitatori l’accesso al British

Museum di Londra, fondato sei anni prima grazie al lascito di sir Hans Sloane che

6 Sul gesto avanguardistico di Sisto IV vedi, oltre ai testi già citati, Pietrangeli, 1980; De Benedictis, 1991, pp. 46-47.

10

stabilì che le sue collezioni di scienze naturali e di antichità fossero destinate ad

un’istituzione disposta a renderle accessibili al pubblico e a pagare ai suoi discendenti

una cifra considerevole. L’apertura al pubblico, introdotta come una concessione,

divenne progressivamente un diritto e il museo assunse i caratteri di un’istituzione con

finalità sia educative sia di conservazione del patrimonio culturale e dei valori della

società dalla quale traeva sempre più la propria legittimazione.7

In Francia l'accesso libero al museo sarà una conquista della fine del secolo,

quando, sull'onda della Rivoluzione, si decretò il possesso pubblico delle collezioni reali

francesi, anche se già Diderot, nel 1765, aveva suggerito il trasferimento e l'apertura al

pubblico della pinacoteca reale nella Grande Galerie (Rossini, 1999, p. 12). Ed è stata

la Rivoluzione Francese a proclamare il diritto per tutti di visitare, studiare e frequentare

i musei con il gesto avanguardistico di statalizzare le raccolte d’arte reali (decreto della

Costituente del 26 luglio 1791) e di aprire il museo dei re di Francia, il Louvre, il 10

agosto 1793, e intitolarlo «Musée Révolutionnaire», ovvero MUSÉE FRANÇAIS

(decreto dell’Assemblea Nazionale del 27 settembre 1792). L’ingresso era libero il

sabato e la domenica dalle 9 alle 16; alle opere furono applicate, per la prima volta nella

storia dei musei, le didascalie; fu pubblicato un catalogo in formato tascabile,

acquistabile ad un prezzo accessibile a tutti e furono addirittura previste le visite guidate

alle gallerie (Mottola Molfino, 1991, p. 22). In Italia, la prima metà dell’Ottocento vede, sotto l’aspetto museale, il periodo

forse più triste della nostra storia. Caduta la Serenissima, passati in mano straniera molti

stati i cui signori avevano curato, seppur ciascuno a suo modo, la raccolta delle opere

d’arte, molti dei capolavori italiani andarono ad abbellire le collezioni dei principi

europei. Solo successivamente all’unità d’Italia, si fece largo la necessità di una tutela

legislativa che ovunque, in Europa, aveva spinto alla creazione del museo pubblico,

quale modello e regolatore delle raccolte in cui si riconosceva una funzione primaria

alla vita culturale del paese, al pari di quanto avveniva per l’Università. Si giunse, cioè,

a poco a poco, all’idea di museo come scuola, ad un museo altro, non più semplice

organismo di tutela e di difesa di cose belle (Forlati Tamaro, 1967, p. 508; Aa. Vv.,

1967, p. 383).

7 Sull’istituzione del British Museum: Gabrielli, 2001, p. 34;; Schubert, ed. 2004, pp. 20-21; Marini Clarelli, 2005, pp. 10-11.

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1.5. Le caratteristiche e le finalità del museo moderno

«Un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del

suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimonianze dell’uomo e

del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di

studio, di educazione e di diletto», questa è la definizione ufficiale di “museo”,

formulata nel 1951 dall’International Council of Museums (ICOM), che l’ha poi inserita

nel 1975 nel proprio statuto e nel 1986 nel proprio codice di deontologia professionale

(in Tomea Gavazzoli, 2003, p. 202).8

Analizzando nel dettaglio tali assunti, ne deriva che il museo viene a configurarsi

come un’istituzione permanente, in quanto, per poter svolgere i suoi compiti, esso ha la

necessità non solo di mantenersi nel tempo, ma anche di integrarsi con il territorio in cui

nasce e si sviluppa; senza scopo di lucro perché il suo scopo primario, lungi dall’essere

quello di arricchire economicamente se stesso, è, al contrario, quello di accrescere

culturalmente la popolazione e dunque al servizio della società e del suo sviluppo;

aperto al pubblico, dal momento che un museo è tale solo quando le sue collezioni sono

visitabili, fruibili; per questo motivo esso deve essere pensato e costruito intorno

all’uomo e alle sue esigenze. Il museo, poi, effettua ricerche in quanto esso,

raccogliendo ogni tipologia di testimonianza, siano essi reperti archeologici o

etnografici, dipinti o sculture, viene ad essere un coacervo di storie, una miniera

immensa di conoscenza che per sopravvivere ed essere tramandata deve essere studiata;

acquisisce, conserva, comunica rispecchiano i tre compiti fondamentali del museo:

conservazione, ricerca, comunicazione. Affinché le opere possano essere ammirate e

studiate, l’istituzione museale ha il compito innanzitutto di acquisirle, successivamente

di fare in modo che esse vengano correttamente conservate, nonché di escogitare i

metodi comunicativi più efficaci per divulgarne i contenuti; infine, le espone a fini di

studio, di educazione e di diletto. Un museo espone, come detto, per fini di studio, uno

studio finalizzato a conoscere il passato, capire il presente e programmare il futuro. Una

sorta di studio educativo, insomma, dal quale non può prescindere il diletto, la

piacevolezza derivata dall’ammirarne le opere e dalle emozioni suscitate dalla visita

stessa. 8 Il Codice di deontologia professionale dell’ICOM è stato adottato all’unanimità dalla 15° Assemblea Generale dell’ICOM, riunita a Buenos Aires (Argentina), il 4 novembre 1986. Vedi Tomea Gavazzoli, 2003, p. 201.

12

1.6. La didattica museale

In Italia la nascita della didattica museale è legata ad una serie di iniziative

istituzionali che si sono susseguite in maniera frenetica, ad evidenziarne l’urgenza, tra

gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento. Tra le principali da ricordare, il

Convegno di Perugia (1955), in collaborazione con l'Accademia Americana, che mise in

evidenza la necessità di distinguere il problema conservativo da quello didattico del

museo e con il quale nacque il concetto di museologia (e, forse, ad essere obiettivi, a

questo esito si giunse grazie soprattutto all'apporto degli Americani, i cui musei, di

relativa recente formazione all'epoca, avevano fatto della funzione educativa, e del

concetto di entertainment, il proprio carattere distintivo9); la Prima Settimana dei Musei

in Italia (1956), nel quadro della Campagna Internazionale dei musei promossa

dall’UNESCO;; il Convegno di Gardone Riviera (1963) dal titolo Didattica dei musei e

dei monumenti, promosso dal Centro Didattico Nazionale per l’Istruzione Artistica;;10 la

formazione della Commissione di studio per la didattica dei musei, costituita presso il

Ministero della Pubblica Istruzione, presieduta da Pietro Romanelli (1970).

1.6.1. Il museo come esperienza sociale. Il Convegno L'evento che segnò il punto di svolta nell’affermazione dell’importanza della

didattica museale in Italia è rappresentato dal Convegno Il museo come esperienza

sociale, tenutosi a Roma nel dicembre del 1971. Già dal titolo, risulta evidente il

carattere di innovazione che sarebbe stato alla base di ogni singolo intervento: il

9 Sorti verso la seconda metà dell'Ottocento, principalmente da donazioni di collezioni da parte dei privati e dall'iniziativa di grossi industriali interessati al collezionismo sia come forma di investimento che come simbolo di prestigio sociale, i musei americani sono stati la manifestazione del clima culturale del tempo. Rifiutando la visione classica europea, essi utilizzarono i grandi magazzini come modello a cui guardare per le strategie espositive, la capacità di comunicare e dialogare con la gente, per le innovazioni che mostravano e che stimolavano nuova progettualità. Inoltre, fin dall'inizio era stato esplicito il loro orientamento didattico che sottolineava l'orgoglio locale, calando i musei sempre più nelle vesti di istituzioni civiche e scapito di una visione nazionalistica o universalistica. Infine, novità assoluta, è stata l'idea di museo legato all'entertainment: stupire, divertire, incuriosire, creare spettacolo diventano scelte condivise anche per educare. I musei americani sono stati sin dall'inizio molto attenti a questo aspetto di comunicazione e coinvolgimento dello spettatore, che spostava l'attenzione dall'oggetto al fruitore (Binni, Pinna, 1980, pp. 56-59). Infine, proprio negli Stati Uniti, nel 1899, nacque il primo museo per bambini del mondo, il Brooklyn Children's Museum, che rivoluzionò il concetto di visita al museo, puntando l'attenzione più sull'esperienza che sugli oggetti (Mottola Molfino, 1991, pp. 195-200). 10 In quell’occasione i musei, le gallerie e i monumenti in generale vennero definiti come mezzi di formazione e di informazione e si auspicava che essi potessero dedicare una parte della loro attività e organizzazione alle esigenze della scuola. Di qui la necessità dell’istituzione di Sezioni Didattiche funzionanti almeno presso i musei principali (Aa.Vv., 1965).

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concetto di “esperienza”, fino a quel momento avulso da quanto avesse a che fare con

l'idea di istituzione museale, viene invece ora a rivestire un ruolo di primaria importanza

quale elemento propulsore di crescita della società, grazie al suo connubio con il museo.

Lo stesso Romanelli, richiamandosi alle iniziative intraprese dalla direttrice della

Galleria Borghese di Roma, Paola Della Pergola, evidenziava come «essa ha voluto

applicare alle visite delle scuole e dei gruppi di lavoro il metodo dell'educazione attiva,

oggi entrato in pieno nella dottrina e nella prassi pedagogica, chiamando a collaborare

pedagogisti, storici dell'arte, insegnanti ed anche studenti e guide volontarie»

(Romanelli, 1972, p. 16). Romanelli individuava, così, il principio cardine della

didattica museale: al visitatore del museo, di qualsiasi età, veniva riconosciuto il ruolo

fondamentale di protagonista nello sviluppo del suo essere e del suo modo di

apprendere.

L'altro concetto di primaria importanza emerso dallo stesso convegno ci viene

enunciato da un'altra figura di spicco della cultura artistica di quegli anni, Palma

Bucarelli, che già venticinque anni prima aveva organizzato la prima “mostra didattica”

e che, in quell'occasione, affermava:

Poiché la cultura è educazione, è chiaro che in tutti i musei la finalità educativa deve aggiungersi alla

finalità scientifica, ed integrarla. In un museo d'arte moderna l'attività informativa e didattica si identifica

con quella scientifica, anche, e soprattutto, sul piano metodologico, al punto da potersi affermare che, in

un paese culturalmente progredito, il museo d'arte moderna è parte costitutiva e integrante del sistema

dell'informazione e della cultura di massa. Data questa premessa, è nella logica delle cose che il problema

della funzione didattica del museo si sia posto per il museo d'arte moderna prima che per quelli d'arte

antica, e che la sua impostazione abbia assunto un carattere quasi paradigmatico (Bucarelli, 1972, p. 85).

Per la prima volta in Europa, dunque, direttori di musei, pedagogisti, sociologi,

esperti della comunicazione sociale, psicologi, studiosi delle più diverse discipline si

riunivano per discutere la crisi dei musei (poco popolari e ancor meno frequentati,

ridotti a depositi di testimonianze del passato, isolati tra loro e nella società). Si trattava

di studiare quale nuovo ruolo potesse svolgere il museo nella società moderna. Da

questo punto di vista il Convegno rappresentò un grosso salto di qualità nello studio

della tutela del patrimonio storico, artistico e naturale, tutela non più vista in chiave

museografica e di mera protezione, ma chiaramente finalizzata ad un uso socio-culturale

ed educativo dei beni culturali.

14

1.7. Il carattere interdisciplinare della didattica museale La molteplicità delle esperienze realizzate nei primi anni di sperimentazione della

didattica museale mettono in luce, ad uno stadio precoce, il carattere interdisciplinare

sia delle finalità, sia delle metodologie proprie di questa disciplina.

Innanzitutto si evidenzia una finalità di natura sociale nel tentativo di accostare il

grande pubblico al mondo dei musei. Fra le principali considerazioni che portavano a

rilevare l'improrogabile necessità di un immediato approccio al mondo della cultura,

infatti, vi era quella dei gravi problemi sollevati dalle migrazioni interne al Paese.

Queste avevano prodotto la perdita delle radici socioculturali da parte di individui o

gruppi che avevano dovuto abbandonare le comunità di appartenenza originaria, con

tutti i legami affettivi e i modelli di vita tradizionali, per emigrare nelle periferie delle

grandi città, in contesti ambientali del tutto nuovi e sconosciuti. Conoscere e apprezzare

il patrimonio contribuisce a sviluppare nei cittadini la coscienza dell’importanza

dell’impegno civico nella tutela dei beni culturali, aiuta nella formazione della propria

identità culturale e facilita il riconoscimento del valore e dell’importanza della diversità

(Fabietti, Matera, 1999, p. 37).

In un documento approvato dalla Commissione legislativa per l'istruzione e le

belle arti della Camera dei Deputati del 7 gennaio 1966 si legge:

La Camera, preoccupata dall'estendersi ovunque in Italia delle deturpazioni di Centri storici monumentali,

del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché dei furti e delle manomissioni di Beni archeologici e

artistici, rileva alle radici di tali dolorosi fenomeni[...]una manchevole consapevolezza, in troppo larghi

strati della popolazione, dell'immenso valore spirituale, morale ed economico rappresentato dai Beni

culturali e paesistici d'ogni genere, che costituiscono prezioso retaggio della civiltà italiana ed umana;

ravvisa in una diuturna e tenace opera educativa ad ogni livello l'antidoto più efficace contro le

negligenze e gli abusi[...]e il mezzo più valido per formare una salda coscienza nazionale[...] (Aa. Vv.,

1967, vol. I, pp. 138-139).

Per tutti questi motivi risultava urgente favorire un’idonea iniziazione culturale

attraverso l’azione congiunta di scuola e museo fin dai primi anni dell’età scolare,

quando l’individuo è più ricettivo, più disponibile ad acquisire nuovi valori attraverso la

conoscenza delle opere d’arte e della cultura in generale (in anni recenti, anche la

concezione del ruolo del museo come educatore esclusivamente di ragazzi di età scolare

sia stata superata).

15

Nella prospettiva di un approccio interdisciplinare alla didattica museale, un

importante contributo fu offerto anche dagli psicologi, che per primi hanno posto

l'accento sull'importanza di indagare le caratteristiche cognitive (attenzione, memoria,

linguaggio) e i diversi modi di comprensione e assimilazione del messaggio culturale da

parte dei destinatari. Il museo, infatti, esattamente come la scuola, deve promuovere

forme di apprendimento “significativo”, in grado di “legarsi” agli interessi e alle

esperienze reali dei visitatori, di qualsiasi età (Hooper-Greenhill, 1999, p. 67). Di qui,

l'esigenza di sviluppare strategie di educazione secondo molteplici canali di

comunicazione.

1.7.1. La teoria costruttivista La teoria costruttivista (Hein, 1998), prendendo le mosse dal concetto secondo cui

l’individuo costruisce la propria realtà basandosi sulla percezione delle proprie

esperienze, giunge ad affermare che in qualsiasi discussione sull’insegnamento e

sull’apprendimento sia necessario focalizzare l’attenzione su chi apprende e non

sull’argomento che deve essere appreso. Per i costruttivisti, infatti, apprendere significa

collegare informazioni e costruire forme di conoscenza. Da ciò deriva che i musei

pensati secondo i dettami di questa teoria, partendo dal presupposto che il visitatore

costruisca la propria conoscenza personale da ciò che ha visto, puntino l’attenzione sul

visitatore.

Per questo motivo il museo costruttivista non ha un percorso espositivo

determinato a priori dal curatore, ma, al contrario, dà la possibilità al visitatore di

muoversi a piacimento negli spazi, consentendogli di fare collegamenti con oggetti ed

eventi che gli sono familiari. Inoltre, il significato dell’oggetto dato dal curatore non è

concepito come verità assoluta e non è trasmesso dallo specialista al non specialista

attraverso metodi didattici tradizionali. Il metodo costruttivista offre piuttosto al

visitatore molteplici modalità e possibilità di relazionarsi con gli oggetti e di imparare,

secondo il modello free choice learning (Falk, Dierking, 1992; Falk, Dierking, 2000;

Hein, 1998).

Secondo quanto affermano gli studiosi, i musei costruttivisti devono:

1. provvedere rappresentazioni multiple della realtà;

16

2. evitare una ipersemplificazione dell’istruzione, rappresentando la naturale

complessità del mondo esterno;

In questo nuovo museo improntato al dialogo, secondo i dettami della teoria

costruttivista (Hein, 1998), la vecchia concezione di educazione intesa come flusso

unidirezionale di conoscenze da un fonte autorevole ad un interlocutore generico e

passivo, viene soppiantata da un «modello culturale» di comunicazione, dove il

visitatore, dotato degli strumenti necessari alla comprensione e all'analisi, partecipa

attivamente alla costruzione e alla rappresentazione di significati (Hooper-Greenhill,

2003); egli viene dunque invogliato a non essere spettatore passivo, ma viene stimolato

a cercare una propria via verso la conoscenza, utilizzando il proprio bagaglio culturale e

il proprio vissuto.

Tutto questo è assai importante in quanto è sintomo di un profondo mutamento

della società e del ruolo assunto dal pubblico, non più visto come un contenitore vuoto

da riempire, o una ristretta élite di intellettuali con la quale intessere un dialogo

esclusivo. Al contrario, la grande conquista degli ultimi vent'anni è questo nuovo

carattere inclusivo, in cui il visitatore, coinvolto attraverso alla sollecitazione di

molteplici sue capacità, diventa interlocutore, non più mero destinatario di un

messaggio precostituito, ma parte attiva di un processo di comunicazione più ampio,

universale (Ruggieri Tricoli, Vacirca, 1998, p. 96).

1.8. La comunicazione nel museo

Da quanto detto emerge come in due secoli di storia il museo abbia subito un

lento ma costante sviluppo che ha portato l’utente a rivestire un ruolo sempre più

centrale nella pratica museale. Tale spostamento di prospettiva ha contribuito a

modificare il modo stesso in cui il museo viene concepito: non più solo un luogo di

conservazione e di ricerca, ma anche un mezzo di comunicazione di massa.

Il fenomeno della comunicazione può essere affrontato da due diverse prospettive: la

comunicazione come processo di trasmissione di informazioni, oppure come realtà

culturale legata all’interpretazione costruttivista, riconducibile ad una sensibilità post-

moderna. Nel pensiero moderno l’apprendimento si configura come un processo

meccanico in cui un messaggio viene inviato da un emittente ad un destinatario. In

17

ambito museale l’emittente corrisponde al curatore che interpreta il messaggio

dell’opera e lo trasmette, attraverso mediazioni al visitatore/ricevente che contempla

l’opera. Sintesi di questa tipologia di comunicazione museale è il dibattito svoltosi alla

fine degli anni Sessanta sulle pagine della rivista Curator fra Cameron (1969) e Knez e

Wright (1971). Cameron propone un modello molto semplice nel quale l’oggetto

centrale della comunicazione è l’opera d’arte considerata il medium principale di un

processo che coinvolge il curatore e il visitatore secondo una relazione unidirezionale.

Due anni dopo, Knez e Wright, pur concordando nel considerare il museo un

sistema di comunicazione in cui gli emittenti sono i diversi professionisti del museo e i

riceventi i visitatori, ne contestano l’enfasi sull’opera, sostenendo che la funzione

principale della comunicazione museale è la produzione di idee ed esperienze cognitive.

Fig. 1 Modello di comunicazione di Cameron (1968).

18

Fig. 2 Modello di comunicazione di Knez e Wright (1970).

Con il passare degli anni, tale modello ha subito diverse altre modifiche, fino a

giungere, oggi, a riconoscere nel museo un vasto apparato di relazioni e scambi. Il

museo, infatti, viene a configurarsi come un sistema di comunicazione in cui

interagiscono gli oggetti esposti, i progetti espositivi, gli strumenti editoriali ed anche il

complesso architettonico in cui la mostra è collocata; gli oggetti, inoltre, comunicano un

messaggio differente a seconda delle finalità che il museo intende perseguire. L’azione

di diffusione del sapere è attuata mediante l’esposizione della collezione e

l’interpretazione che di essa viene elaborata tramite l’allestimento. L’interpretazione

degli allestimenti da parte del visitatore, poi, è filtrata a sua volta dalla percezione

soggettiva, dal vissuto di ogni singola persona, dai suoi valori e dal suo modo di

relazionarsi al mondo circostante. Infine, grazie al concetto di pubblico attivo, già

popolare negli studi sulla comunicazione di massa, e tradotto in ambito museale alla

fine degli anni Ottanta del secolo scorso, si è iniziato anche a comprendere il significato

che il fruitore costruisce rispetto alla visita. In base agli assunti costruttivisti analizzati

in precedenza, i soggetti, infatti, danno senso alle proprie esperienze e stabiliscono cosa

19

accade intorno a loro comunicando, dialogando e confrontandosi con gli altri. Il

visitatore diviene, dunque, il punto focale verso cui convergono e da cui si diramano i

benefici sociali e culturali che l’istituzione museo racchiude.

1.9. Musei e nuove tecnologie

Il museo, da sempre coerente con la più generale evoluzione sociale e culturale,

non poteva pensare di trasformare la propria immagine senza ricorrere agli strumenti

che più di tutti rappresentano l'evoluzione e la modernità, che ci permettono di vivere

attualmente nel presente e che, proprio per questo, ci proiettano nel futuro: le nuove

tecnologie della comunicazione.

The adoption of ICT has accelerated the trends begun with the new museography that, since the last third

of the 20th century, has looked to transform the Victorian conception of the museum as a temple to

knowledge, broadcaster of a standardised and static discourse based on objects, converting it into a node

to transmit a range of information and circulate ideas (Pujol, 2001, p. 1).

Già le riflessioni avviate nel 1996 dal New London Group avevano riletto alcuni

capisaldi della letteratura pedagogica e avevano indagato possibili alleanze tra modelli

educativi e tecnologie. 11 La finalità di questi ricercatori era quella di potenziare,

sostenere e innovare le pratiche di insegnamento e apprendimento, adattandole ai

contesti socio-culturali del presente e del futuro.

In uno studio pionieristico sempre del 1996, Antinucci affermava che

l’introduzione delle nuove tecnologie avrebbe portato in un primo momento ad

un’estensione e ad un potenziamento di compiti analoghi a quelli tradizionalmente

svolti da altri strumenti (cataloghi, pubblicazioni, didascalie, ecc.), in un secondo tempo

sarebbe stato il fare museale stesso ad essere modificato. Questo cambiamento sarebbe

stato determinato principalmente da tre loro caratteristiche specifiche: l’essere a base

visiva, in quanto il centro della comunicazione è l’immagine e non il testo;; l’essere

interattive, in quanto richiedono all’utente di agire, scegliere, rispondere;; l’essere

connesse, fatto che permette di accedere in tempo reale e in forma interattiva a un 11 A onor del vero, sono stati i musei della scienza e della tecnica, tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, ad essere affascinati per primi delle possibilità che le innovazioni tecnologiche proponevano in ambito museale, suggerite dalle primitive postazioni interattive hands-on (Belaën, 2003).

20

numero pressoché illimitato di fonti di informazione (Antinucci, 1997, pp. 121-122).

L’essere a base visiva è rilevante per un settore nel quale gli oggetti trattati sono di

natura principalmente visiva: dipinti, sculture, monumenti, siti archeologici sono

elementi la cui comprensione e il cui apprezzamento estetico avviene principalmente

attraverso la vista. Per quanto riguarda l’interattività, essa agisce direttamente sul modo

in cui avvengono la comunicazione, l’apprendimento e l’elaborazione delle conoscenze.

I nuovi media, infine, in quanto connessi, permettono di contestualizzare l’opera in

modo più completo, aiutando l’utente a riappropriarsi di quegli elementi persi durante la

museificazione della stessa (Galluzzi, 1997). I diversi modi in cui i nuovi media

possono migliorare la visita al museo e renderla più coinvolgente analizzati da

Antinucci, risultano avvalorati se analizzati all’interno della tassonomia delle esperienze

museali proposta da Kotler&Kotler (1999, p. 48) che si suddivide in:

- esperienza ricreativa collegata al bisogno di partecipare attivamente.

L’interattività propria degli strumenti informatici concorre a creare una

situazione in cui il visitatore è chiamato ad agire in prima persona, non tanto

dal punto di vista prettamente fisico dell’utilizzo delle macchine, quanto

piuttosto da quello cognitivo;

- esperienza socializzante che soddisfa il bisogno di condivisione proprio

dell’essere umano è resa possibile dalla connessione propria dei nuovi media;;

- esperienza educativa: l’interattività dei nuovi media risulta essere una

componente fondamentale per la realizzazione di percorsi personalizzati che

sono la base di un apprendimento di questo tipo;

- esperienza estetica: è caratterizzata da attività sensoriali e soprattutto da un

coinvolgimento emotivo, stimolato dalla multimedialità consentita dalle

nuove tecnologie;

- esperienza celebrativa: riguarda sia il bisogno cognitivo che quello emotivo

ed è soddisfatta dalla capacità dei nuovi media di contestualizzare le opere in

modo più ampio e completo di quanto lo spazio dell’esposizione permetta;;

- esperienza emotiva ruota attorno ad un bisogno emotivo che le nuove

tecnologie sempre più concorrono a soddisfare attraverso l’immersione. In

questa prospettiva esse non solo migliorano l’esperienza museale, ma la

modificano fornendo una gamma di servizi che arricchiscono la visita di

21

nuove esperienze e, allo stesso tempo, stimolano il visitatore ad assumere un

comportamento attivo

L’ausilio dei nuovi strumenti informatici multimediali e interattivi nella comunicazione museale modifica

sia l’entità dei soggetti posti in relazione, sia la natura del rapporto tra emittente e ricevente in quanto

l’interattività consente un tipo di comunicazione che privilegia lo scambio rendendola piuttosto

bidirezionale anziché unidirezionale ed etero diretta (Forte, Franzoni, 1996, p. 208).

In anni recenti, il binomio cultura-tecnologia ha permesso di immaginare nuovi

orizzonti in cui le opere d'arte diventassero sempre di più mezzi di conoscenza, oggetti

da guardare, ma anche da toccare e far vivere. Imparare al museo significa oggi partire

dall'osservazione dell'opera d'arte per giungere ad una conoscenza profonda di essa, tale

da farla vivere in noi stessi, a lungo o forse per sempre. Le tecnologie informatiche,

sotto questo punto di vista, hanno dato un forte impulso alle attività di comunicazione

dei musei, venendo ad offrire un'ampia varietà di canali attraverso cui veicolare i propri

contenuti, grazie al moltiplicarsi delle soluzioni tecnologiche in grado di migliorare il

livello e la qualità dell'interazione che ha luogo sia all'interno delle sale del museo,

durante la visita, sia al di là dei confini fisici, per mezzo della sua presenza in rete

(Solima, 2008).

Grazie alle ICT (Information Communication Technology) il museo oggi non è

più solo un luogo fisico, ma una rete di servizi che iniziano prima della visita vera e

propria e terminano molto dopo. Il tour stesso è completamente reinventato e modellato

attraverso modalità di fruizione dinamiche e coinvolgenti come i sistemi di virtual o

augmented reality. Siamo entrati, dunque, in quella che Cecilia Prete (1998, p. 25)

definisce la terza generazione del museo (la prima riguarda l’allestimento tradizionale

con supporti informativi tipici del museo come didascalie, pannelli esplicativi, audio

guide, mentre la seconda generazione prevede l’utilizzo di strumenti meccanici) che,

grazie alla multimedialità, consente di aggiornare in tempo reale numerosi dati,

collegare informazioni distribuite nello spazio e nel tempo tramite archivi digitali,

simulare la realtà attraverso ricostruzioni tridimensionali di ambienti reali.

Strumenti multimediali interattivi, percorsi ipertestuali, virtualità e reti, dunque,

stratificano l'informazione, consentendo ad ogni utente di muoversi secondo le proprie

22

esigenze ed il proprio stile di apprendimento, e, di conseguenza, di programmarne

l'andamento e di verificarne gli esiti.

Il museo che voglia allinearsi al mondo contemporaneo grazie anche al contributo

delle ICT deve necessariamente mettere in atto una serie di riflessioni su nuove

metodologie di progettazione, introducendo concetti che verranno a costituire, dunque,

le basi del museo stesso.

1.9.1. Il concetto di edutainment

Coloro che fanno distinzione fra

intrattenimento ed educazione forse non

sanno che l’educazione deve essere

divertente e il divertimento deve essere

educativo (McLuhan, 1964).

Nell'ambito degli studi sull'educazione, in anni recenti, sempre più si è sentita

l'esigenza di facilitare l'apprendimento, rendendo piacevoli le metodologie didattiche

adottate. Di qui il concetto di edutainment, dato dall'unione dei termini “educazione” e

“enterteinment” (già ampiamente usato in ambito americano;; Walker, 2006), che

acquista una primaria importanza se applicato al contesto museale, soprattutto in un

momento storico in cui il museo si è trovato a dover competere sul mercato del tempo

libero con altre offerte di consumi culturali, viste dai fruitori come meno impegnative e

quindi spesso preferite.12 Se, come abbiamo visto, il museo non può e non deve limitarsi

a svolgere il proprio ruolo educativo rivolgendosi esclusivamente alle scuole e a pochi

addetti ai lavori, è chiaro che esso debba impegnarsi nell’escogitare strategie per

suscitare l'interesse della “gente comune”, soprattutto perché il museo esercita appieno

il ruolo sociale che gli è proprio solamente nel momento in cui paritariamente rende le

sue collezioni accessibili e comprensibili a tutti.

Le riflessioni dei due economisti Kotler&Kotler (1999) che affermano che il museo, per

competere con le altre industrie che forniscono servizi per il tempo libero, deve essere

attrattivo, sono condivise anche da museologi come Kirshenblatt-Gimblett che scrive:

12 Sul concetto di edutainment vedi, fra gli altri: Camin, 2008;

23

Museums are experiencing a crisis of identity as they compete with other attractions within a tourism

economy that privileges experience, immediacy, and what the industry calls adventure (1998, p. 7).

I progetti di edutainment, realizzati grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie, sono

in grado, pertanto, di assolvere efficacemente ad una triplice funzione: consentire al

visitatore di vivere nel museo un'esperienza di apprendimento piacevole che, grazie al

coinvolgimento emotivo, si connoti come memorabile (Bertuglia, Infusino, Stanghellini,

2004, p. 9), conferire un valore aggiuntivo alla visita (non bisogna dimenticare che la

scoperta casuale, guidata da emozioni e intuizioni ha anch'essa valore di esperienza

educativa), contribuire all'attività di comunicazione e promozione del museo stesso.

1.9.2. L’Experience Design Partendo dalla teoria del Phenomenal Field, teorizzata dagli psicologi Snyggs e

Combs, secondo la quale la personalità è data dai comportamenti e le nozioni che ogni

individuo assume e impara nell’arco della propria vita, elementi che a loro volta

interagiscono col mondo esterno e si modellano a seconda delle diverse esperienze che

ognuno vive, l’Experience Design è una disciplina che progetta ambienti e scenari

immersivi in cui l’utente vive e percepisce un’esperienza unica che coinvolge tutti i

sensi, dalla quale potrà quindi assimilare nuovi stimoli che contribuiranno a formare il

proprio Io.

Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie interattive sono oggi innumerevoli:

ricontestualizzazioni e ricostruzioni virtuali di opere smembrate e distrutte, visite e

restauri virtuali, mostre virtuali di opere sparse per il mondo, interconnessione in rete di

vari musei per ulteriori possibilità di approfondimenti di studio e di gioco. L’utilizzo di

tecnologie 3D, concepite per ricostruire l’ambiente tridimensionale di uno spazio

museale non più operativo o per presentare esposizioni esistenti, consente l’accesso

anche da remoto prima della visita reale o in sostituzione della stessa. Le tecnologie

utilizzate per creare musei virtuali sono sostanzialmente tecnologie di visualizzazione e

di interattività, impiegate per offrire rappresentazioni visive globali, di particolari e

dettagli o ricostruzioni dell’aspetto passato di oggetti o costruzioni immaginifiche;;

24

spesso queste tecnologie si rivelano particolarmente utili per colmare le lacune dovute

all’inaccessibilità o alla lontananza o alla distruzione totale o parziale degli stessi.

Rimanendo nel campo delle applicazioni tecnologiche di tipo visivo, ma

spostando l’attenzione sugli strumenti per la fruizione, troviamo le installazioni, le

ricostruzioni tridimensionali virtuali o anche semplicemente normali videoproiezioni

collocate in appositi ambienti creati all’interno del museo. Installazioni di questo tipo

utilizzano per lo più forme di coinvolgimento fatte di pochi elementi testuali, giocando

piuttosto sulla interazione fra immagini e sonoro, sulla realizzazione di effetti grafici, in

grado di creare una particolare atmosfera, catturare l’attenzione del visitatore, stupirlo,

coinvolgerlo e consentirgli di vivere un’esperienza emotivamente rilevante (Bonacini,

2011, p. 162). Le tipologie di tecnologie impiegate per queste installazioni possono

essere molto semplici, quando vengano utilizzati videoproiettori, schermi, un computer,

lettori DVD e/o lettori audio. Nel caso si tratti di ricostruzioni tridimensionali

immersive, realtà virtuale, ologrammi, ambientazioni audio/video o ricostruzioni

ambientali, la tecnologia utilizzata è certamente più complessa. Si tratta di una

tecnologia a base visiva che può diventare interattiva, necessitando dunque di una

adeguata progettazione e dell’utilizzo di una serie di elementi strumentali come

proiettori, luci, sensori, schermi, ecc. connessi e coordinati da software in grado di

gestire il tutto e, nel caso siano previste, anche le interazioni con l’utente.

1.9.3. Dispositivi mobili, tecnologia RFID e più recenti soluzioni Il trend evolutivo che caratterizza i musei contemporanei ha iniziato a delinearsi

con l’introduzione delle tecnologie mobili che hanno consentito nel tempo sia la nascita

di nuove tipologie di applicazioni sia l’evoluzione delle soluzioni informatiche già

disponibili.

Il primo forse a superare la tradizionale audioguida fu Musée d’Orsay di Parigi

che nel 2003 cominciò ad utilizzare dei file .mp3 da caricare negli iPod dei visitatori. Si

è poi passati all’utilizzo di PDA dotati di piccole antenne con tecnologia RFID o lettore

GPS esterno che, connessi wireless alla rete del museo, attraverso un software user-

friendly fornito al visitatore dal museo stesso, consentivano l’accesso alle informazioni

sugli oggetti esposti, organizzati in database in grado di sincronizzarsi automaticamente

con il database del museo. Oggi, grazie alla diffusione dei telefoni cellulari di ultima

25

generazione, si è realizzato quel salto a cui Nickerson aspirava nel 2005, quando,

presentando il progetto History calls per tours museali, scriveva: Why not capitalize on the most ubiquitous of these machines by delivering automated audio tours directly

to visitors’ own hardware: their personal cell phones? (p. 5).

Con l’integrazione di sistemi di positioning, infatti, diventa ora possibile guidare

il visitatore all’interno del percorso museale o lungo un percorso personalizzato e,

mediante la tecnologia delle tags RFID, è possibile avere la selezione automatica dei

contenuti legati agli oggetti esposti nelle sale del museo: una piccola etichetta RFID, se

inserita nel supporto della didascalia dell’opera d’arte, permette al visitatore,

semplicemente avvicinando il sistema di guida ad un’icona, di accedere a video, foto,

musiche d’epoca, ricostruzioni tridimensionali delle opere esposte.

La prima guida multimediale, realizzata per nel 2009 e lanciata come applicazione

per Apple, è stata il Musée du Louvre, scaricabile gratuitamente da iTunes in francese e

in inglese, strumento didattico con immagini ad alta risoluzione, video, descrizioni delle

opere e informazioni su prezzi e orari. Non molto diversa la ArtFirstGuide® introdotta

nella primavera del 2010 alla Galleria degli Uffizi di Firenze, app per iPhone, iPod

Touch e iPad, sempre scaricabile da iTunes in italiano, inglese e spagnolo.

Se simile alla tecnologia RFID è quella dei QR codes, di cui avremo modo di

parlare più oltre, la loro più recente evoluzione è rappresentata della NFC (Near Field

Communication) in grado di far comunicare due dipositivi semplicemente accostandoli

tra loro o un dispositivo dotato di un NFC-reader accostato a un tag. La tecnologia

NFC, di tipo bidirezionale a differenza della RFID che è monodirezionale, e wireless a

corto raggio (entro i 10 centimetri, raggio all’interno del quale si crea una rete peer-to-

peer) ha attualmente una posizione marginale nel campo della fruizione culturale,

sfruttata principalmente per utilità quali il ticketing, ma potrebbe, a breve, raggiungere

un posto di primo piano in ambito didattico.

1.9.4. La Augmented Reality

Il concetto di Augmentation – che è da intendersi nell’accezione di “fare più

grande” sia per dimensione che in quantità, allargare, dunque – è stato introdotto da

Douglas C. Engelbart nel 1962 per sottolineare il ruolo della tecnologia nel contesto

26

umano. La tecnologia, infatti, stando alla teoria dell’ingegnere statunitense, deve essere

concepita per aumentare la capacità umana, per estenderla in immaginati e in non

immaginati modi, per cambiare le caratteristiche di base della comunità e per renderle

più efficienti. Il fuoco è posto sull’uomo (human centered perspective): le componenti

di un sistema di allargamento di capacità sono l’insieme di tutto ciò che può essere

aggiunto al sistema percettivo sensoriale dell’uomo. La realtà aumentata, integrando

informazioni sintetiche sensoriali con la percezione che l’utente ha dell’ambiente in cui

si trova, dà luogo ad una sovrapposizione di livelli informativi differenti che si

integrano all’esperienza reale degli oggetti. In sintesi, dunque, la Augmented Reality è

una reinvenzione della realtà mediante l’utilizzo di combinazioni di tecnologie

all’avanguardia: sensori in primis, ma anche tutte le possibilità crescenti offerte dai

nuovi dispositivi mobili con una connettività al web a tutto campo.

In ambito museale, l’Augmented Reality ha trovato la sua prima applicazione nel

2001, con l’Archaeological Virtual Dig, progetto di “scavo” multimediale realizzato

dallo Seattle Art Museum in collaborazione con l’Università di Washington, che

prevedeva la simulazione dello scavo archeologico di un sito dell’antica cultura cinese

Sichuan, attraverso un’esperienza interattiva di apprendimento che facesse comprendere

al visitatore il percorso di un reperto dallo scavo alla vetrina del museo.

In anni recenti, e tutt’oggi attivo, è il progetto Steetmuseum, realizzato dal

Museum of London, che si avvale della più moderna tecnologia mobile

(http://www.museumoflondon.org.uk/Resources/app/you-are-here-app/home.html). Si

tratta infatti di un’applicazione per iPhone, grazie alla quale poter girare per la città di

Londra ed ammirarne in Augmented Reality gli scorci urbani così come apparivano in

dipinti, litografie o foto antiche (dall’incendio del 1666 agli anni Sessanta del

Novecento). All’utente appare una mappa di Londra nella quale è georeferenziata la sua

posizione e sono indicati con dei tags una serie di punti di interesse della città di cui

l’applicazione fornisce le immagini storiche. Una volta giunti esattamente sul posto, è

possibile visionare l’immagine attraverso lo schermo dell’iPhone e, cliccando sul

dispositivo come se si stesse facendo una fotografia e scegliendo l’opzione di

visualizzazione in 3D, si può ammirare la fotografia storica in esatta sovrapposizione

all’immagine reale attuale.

27

L’Augmented Reality trova applicazione anche nei musei, con ricostruzioni

virtuali e tridimensionali, come nel caso, per esempio, dei Jurascopes, telescopi in realtà

aumentata in grado di dare vita allo scheletro di un dinosauro al Berlin Museum für

Naturkunde.

1.9.5. Natural User Interfaces Una delle più nuove modalità d’interazione sta indicando la strada della prossima

evoluzione dei sistemi multitouch, visti ormai come obsoleti e in qualche modo ancora

troppo innaturali. I tradizionali sistemi di input come la testiera e il mouse, infatti, ma

anche la tecnologia touchscreen, basandosi su meccanismi di comunicazione (digitare,

puntare, selezionare) non tipici della comunicazione umana, obbligano l’utente a

pensare e a muoversi in una maniera che non gli è propria e che per questo lo vincola.

Le Natural User Interfaces (NUI), invece, mirando all’assoluta “naturalizzazione”

dell’interazione fra uomo e macchina, studiano le possibili soluzioni per rendere questa

comunicazione quanto più umana possibile grazie all’utilizzo delle modalità con cui

l’uomo esprime i propri sentimenti e le proprie emozioni a se stesso e all’altro: voce,

gesti, movimenti, scrittura, attività elettrica muscolare, cardiaca, cerebrale. È il corpo,

dunque, a divenire il mezzo tramite il quale viene governata l’interfaccia. Le NUI, le cui

potenzialità si sono enormemente allargate negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di

tecnologie sempre più sofisticate, stanno realmente modificando il modo in cui i musei

espongono le proprie collezioni e i visitatori interagiscono con i loro contenuti. Il

desiderio del fruitore di toccare e di manipolare gli oggetti esposti si sta facendo sempre

più urgente e, sebbene le norme di conservazione e di tutela limitino l’interazione diretta

con l’opera d’arte, le NUI vengono a svolgere una funzione di primaria importanza nel

creare una sorta di surrogato dell’esperienza tattile o della possibilità di osservare gli

oggetti da punti di vista inconsueti.

Un esempio di questo è rappresentato dalla mostra “Riflettori sul Velo di

Antinoe”, tenutasi al Louvre all’inizio del 2013. Il manufatto, che risale probabilmente

al IV secolo a.C. e che è decorato con scene della vita di Dioniso, è ovviamente molto

28

prezioso e delicato. Ora, grazie alla tecnologia basata sul movimento di Kinect, il

visitatore può interagire con le diverse parti di esso senza, di fatto, toccarlo realmente.13

13 Una delle interfacce NUI più sperimentate, oggi, è sicuramente Kinect di Microsoft, che integra la modalità gestuale con quella vocale. Pensata inizialmente come consolle per videogiochi, Kinect si basa su un sensore video (telecamera Rgb) combinato con due sensori infrarossi per la rilevazione della posizione spaziale dell’utente. In aggiunta, essa dispone di una configurazione di cattura audio basata sulla tecnologia degli array microfonici che, misurando e modellando l’ambiente in cui è immerso l’utilizzatore tramite tecniche basate sulla riflessione (direzione e attenuazione), riesce appunto a catturarne la voce per eseguire funzioni di riconoscimento vocale da combinare a quelli gestuali.

29

Capitolo 2. Il ruolo della narrazione nella comunicazione

2.1. La memoria collettiva

L'esistenza di una dimensione sociale della memoria è stata teorizzata nella prima

metà del Novecento, in particolare da Maurice Halbwachs, ed era vista non come la

capacità di immagazzinare dati passati, ma come uno sforzo di ricostruzione che,

partendo dagli interessi e dalle conoscenze presenti nel soggetto, tenta di ricostruire a

posteriori il significato del ricordo. Inoltre il ricordo che i soggetti mostrano di

conservare a proposito di un determinato evento è, di solito, fortemente influenzato dai

ricordi degli altri, stabilizzandosi e trovando la propria ragion d'essere nelle reti sociali.

Si giunge a parlare, dunque, di memoria collettiva che, lungi dall'essere una mera

somma, a posteriori, di contenuti di diverse memorie individuali, viene invece ad essere

il quadro, logicamente antecedente, che consente il funzionamento della memoria del

singolo. In ogni momento della sua evoluzione una famiglia, un gruppo religioso, un

popolo, parte dalla concezione che di sé ha acquisito per comprendere, interpretare e, al

tempo stesso, ritrovare il suo passato.

In se stessa, la nozione di memoria collettiva intende l'insieme delle

rappresentazioni riguardanti il passato che ogni gruppo sociale produce, istituzionalizza,

custodisce e trasmette fra i propri membri: nessuna di queste attività può avvenire se

non nell'interazione di questi stessi membri fra loro. Il singolo, infatti, non potendo

vivere in una dimensione che si possa definire realmente umana se è completamente

isolato, sente naturalmente e istintivamente l'esigenza di divenire membro di forme

sociali nelle quali, di volta in volta, viene ad inserirsi nel corso della sua vita. Affinché

l'esistenza del singolo nel gruppo acquisti significato, c'è bisogno di un elemento che

venga sentito come comune, che faccia da collante tra i vari membri dello stesso: la

memoria, grazie alla quale gli esseri umani stabiliscono una connessione tra passato e

presente. Jan Assmann, a questo proposito, scriveva: «Come è facile capire, l'identità è

una questione concernente la memoria e il ricordo: proprio come un individuo può

sviluppare un'identità personale e mantenerla attraverso lo scorrere dei giorni e degli

anni solo in virtù della sua memoria, così anche un gruppo è in grado di riprodurre la

sua identità di gruppo solo attraverso la memoria» (1997, p. 61).

30

La memoria, per costruirsi e raccontarsi ha bisogno della narrazione. La sfera

principale entro cui si cristallizza la memoria collettiva presso i popoli senza scrittura, è

quella che dà un fondamento, apparentemente storico, all’esistenza di etnie o di

famiglie, cioè i miti d’origine.

La narrazione, quindi, si costruisce come concetto trasversale all'oralità e alla

scrittura, dal momento che sia le civiltà alfabetizzate che quelle illetterate, ne hanno

conosciuto forme più o meno sviluppate. Prendendo a prestito le parole di Eco, lo scopo

originario del narrare verrebbe dunque a corrispondere a quella che era anche la

funzione dei miti e cioè «dare forma al disordine delle esperienze».

2.2. Il racconto nell’antichità

Fin dai tempi più antichi, gli uomini sentirono il bisogno di comunicare, di

esprimere all'altro le proprie impressioni, i propri sentimenti, le proprie idee. Prima

dell'avvento della scrittura, l'unico strumento attraverso il quale gli individui, assieme

alle proprie comunità, potessero preservare la propria eredità erano le storie che

venivano trasmesse oralmente. Tali racconti non solo spiegavano la vita, tramandavano

la storia, offrivano modelli e morali, vie d'accesso al passato e al futuro, ma

assicuravano anche che l'esperienza venisse perpetuata da una generazione all'altra. È

stato proprio grazie al raccontare storie se la civilizzazione è potuta sopravvivere e se si

è lentamente, ma progressivamente, evoluta.

In questa fase, la parola dei poeti, dei bardi e dei cantori appare indissolubilmente

legata alle due essenze complementari - la Musa e la Memoria – che abbiamo già

incontrato quali elementi costitutivi del museo e che, alla luce di quanto detto fino ad

ora, vengono a rappresentare il trait d’union che collega le parti del nostro discorso.

È questa, dunque, l’immagine di un essere umano come homo narrans o

storyteller, ovvero di un soggetto che trova la sua ragione di essere nel narrare.

Un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato dalle sue storie e dalle storie altrui, tutto quello

che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere le sua vita come se la raccontasse (Sartre, ed.

1977, p. 72).

31

Il potere delle storie risiede nella loro capacità di mediazione nel rapporto tra le

persone e la realtà che le circonda.

Se è vero, infatti, che tutte le storie hanno bisogno di essere raccontate, è

altrettanto necessario che esse, per vivere, abbiano bisogno di essere ascoltate. Nel

raccontare, infatti, così come nell'ascoltare, c'è un richiamo alla collettività, un desiderio

di partecipazione, un invito ad entrare in un mondo altro e a parteciparvi.

In un romanzo del 1989 intitolato L'oblio, Elie Wiesel narra la storia di un giovane

e brillante giornalista newyorkese, Malkiel. Nel pieno della sua carriera, Malkiel si

trova improvvisamente a dover affrontare il dramma di dover aiutare suo padre,

psicoterapeuta e professore universitario, colpito da una grave malattia che causa una

graduale, ma inesorabile, perdita della memoria. Per impedire che l'oblio abbia il

sopravvento, il figlio e la sua compagna gli chiedono di continuo di narrare episodi della

sua vita. Una larga parte del libro li descrive nell'atto di ascoltare queste storie, via via

più lacunose e sconnesse, in una sorta d'incantamento nato dal loro affetto, ma anche dal

fascino delle narrazioni.

Dunque le storie, grazie a chi le accoglie e, facendole proprie, dona loro nuova

vita, sono destinate a sopravvivere oltre il racconto, dal momento che esse divengono

una parte fondamentale della realtà sociale, una chiave per comprendere l'umanità. Non

saremmo infatti in grado di capire la nostra cultura, né tanto meno un'altra cultura, se

non ne conoscessimo le storie. È per questo che il narratore, per essere veramente tale,

deve chiedere e ottenere, grazie alla sua capacità di coinvolgimento, la collaborazione

attiva del suo uditorio. Affinché tutto questo si riveli anche utile strumento per la

memorizzazione dei concetti trasmessi, sarà necessario sfruttare le risorse psicologiche

latenti nella coscienza di ciascun individuo. Il funzionamento di tale meccanismo può

essere sintetizzato come «uno stato di totale partecipazione e quindi di identificazione

emotiva con la sostanza dell'enunciato poetico che si è chiamati a ritenere» (Assmann,

ed. 1997, p. 43).

2.3. Narrazione e apprendimento

La narrazione, lungi dall'essere semplicemente una questione di letteratura, viene

piuttosto a connotarsi come il più tradizionale strumento di legittimazione e di

32

trasmissione dei valori e delle norme culturali di ogni società. Riappropriazione del

vissuto, che avviene attraverso l'attribuzione di senso ai fatti, e condivisione della

conoscenza acquisita, vengono ad essere i due momenti indissolubili attraverso i quali la

narrazione si delinea come atto conoscitivo e comunicativo.

Nel narrare le gesta dei propri personaggi, i racconti raffigurano degli esempi

concreti di comportamento che costituiranno dei veri e propri modelli, dei casi

paradigmatici che entreranno a far parte, talvolta anche inconsciamente, del sostrato

emotivo e intellettuale di colui che di tali storie è il fruitore. Inoltre, come abbiamo

visto, attraverso i racconti è possibile creare appartenenza e produrre un senso di

comunità: conoscere le storie che circolano all’interno di un gruppo o di una comunità

aiuta le persone a comprenderne e a gestirne le relazioni al suo interno.

Ma non è solo questo. Ascoltare narrazioni, attraverso una lettura cognitiva ed

emotiva che attivi processi di identificazione e di confronto, permette all'individuo,

implicitamente, di raccontarsi e nel raccontare se stesso anche di conoscersi.

Convogliando in ambito strettamente educativo tutto quanto detto fino ad ora, ne

deriva che, se la mente umana riesce ad organizzare meglio ed in maniera più duratura

le informazioni che vengono fornite sottoforma di storie, allora la rilevanza della

narrazione nell’esperienza di apprendimento degli individui, lungi dall’essere

circoscritta unicamente all’età infantile, viene al contrario a rappresentare una costante

di tutto il corso della vita.

L’utilizzo di ambienti di apprendimento centrati sulla narrazione si rivela allora

una mossa vincente nella maggior parte dei percorsi curricolari. Essi, infatti, vengono ad

essere particolarmente promettenti nel raggiungimento di due dei principali obiettivi

pedagogici: efficacia e motivazione. L’attenzione nei confronti dell’efficacia educativa

si è notevolmente ampliata negli anni più recenti grazie al contributi degli educatori che

hanno abbracciato le proposte della teoria costruttivista in alternativa al più consueto

“apprendimento meccanico”. Le sperimentazioni condotte seguendo l’approccio

costruttivista, infatti, con l’enfasi posta sulla necessità che il discente giochi un ruolo

attivo nella costruzione della propria educazione, hanno evidenziato miglioramenti

sostanziali rispetto ad una formula didattica più tradizionale. In virtù della natura attiva

della narrazione, gli ambienti didattici centrati su di essa, sono infatti in grado di

coinvolgere profondamente i discenti, in particolare in tre modi: facendoli partecipare

33

alla costruzione della storia;; facendoli cimentare nell’esplorazione dei sentimenti più

profondi dei personaggi e nell’esame degli effetti e delle conseguenze che le azioni

narrate possono produrre nell’evolvere della storia;; mettendo in moto meccanismi di

riflessione generati dalle attività di analisi successive all’esperienza.

2.4. I musei narranti

Anche nel campo della didattica museale, si è cominciata a sentire come

stringente la necessità di fare un passo avanti, di comprendere le reali finalità che

l’azione educativa dovrebbe perseguire per dimostrasi realmente efficace, nonché di

indagare quali mezzi siano i più idonei per renderla tale. Si è giunti, così, a concepire

l’azione educativa del museo come un qualcosa dai confini ben più ampi e profondi

della semplice comunicazione dei contenuti culturali e simbolici del museo stesso o

dell'insieme di azioni ed eventi per attuare e consolidare un rapporto diretto fra il

pubblico e la struttura museale; essa, bensì, deve trovare il suo scopo primario nella

riscoperta delle radici di una comunità. Nell'ottica di una reale funzione educativa del

museo, intesa come capacità di comunicare con l'intera comunità, non è più sufficiente

rispondere alle aspettative dei fruitori mostrando semplicemente oggetti e mettendo

insieme una serie di eventi pubblici; è necessario inserire nuove forme di

comunicazione che possano far accedere ogni tipologia di visitatore ad ogni tipo di

museo. Il percorso museale dovrà essere vissuto dal fruitore come un racconto, in cui si

comprendano l'inizio, lo sviluppo e la fine. L'esperienza del visitatore ne risulterà

maggiormente gratificata, eliminando la sensazione di sentirsi spaesati durante il

percorso (Cataldo, 2011).

La finalità dell'educazione museale, dunque, grazie alla sua capacità di attivare

meccanismi di riflessione, contemplazione e conoscenza, sarà di favorire

l'interiorizzazione del patrimonio culturale da parte del cittadino, visto come elemento

imprescindibile della comunità di cui fa parte, in modo che egli possa poi conservarlo e,

soprattutto, tramandarlo. Se l'incontro con l'oggetto musealizzato viene supportato

efficacemente, infatti, si attiverà quel processo conoscitivo ed emozionale,

indispensabile presupposto per la piena comprensione del bene culturale come bene

comune.

34

L’idea di unire lo Storytelling al museo nasce dal concetto di museo stesso,

dunque, visto non più come verità assoluta da sottoporre tal quale al visitatore, ma come

contenitore di storie. I suoi contenuti, infatti, influenzati dalle idee e dalla personalità di

chi ha creato le opere, di chi le ha collezionate e di chi le ha esposte, ma anche di coloro

che ne fruiscono, vengono a connotarsi come immense miniere cariche di preziosissime

storie da ascoltare e da narrare.

Cronologicamente, il primo museo ad avvalersi dello Storytelling è stato il

Metropolitan Museum of Art di New York, nel 1917, grazie alle teorie educative

avanguardistiche di Anna Curtis Chandler 14 che ampliò il programma didattico del

museo scrivendo e riadattando storie ispirate alle opere d’arte accompagnandole con

diapositive.

Gelmini, ricercatrice presso l’Università di Nottingham, individua le ragioni per le

quali i musei sarebbero i luoghi ideali per lo Storytelling. Innanzitutto, afferma la

studiosa, perché il museo può essere visto come un laboratorio culturale che porta con

sé, in maniera imprescindibile, creatività ed elaborazione di conoscenze condivise. È

creando storie, infatti, che l’uomo riesce a dare un senso alle cose e ad esprimere le

proprie sensazioni, idee ed opinioni in una forma che possa essere condivisa con gli

altri.

2.4.1. I primi musei emotivamente coinvolgenti Rimanendo in ambito museale, in anni relativamente recenti, accanto al più

tradizionale uso dello storytelling finalizzato a coinvolgere il visitatore mediante il

racconto piacevole di storie ispirate alle opere d’arte esposte e ai loro esecutori, si è

sentita l’esigenza di sperimentare nuove strade e di declinare in maniera più ampia il

concetto, grazie soprattutto alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. È il caso della

scuola museologica francese che, sulla scia delle idee innovative di George-Henry

Rivière, ha dato vita ai musei “teatralmente efficacissimi”, quali, per esempio, quello

della Tapisserie de Bayeux, in cui attraverso l'utilizzo di musiche, clangori, ombre cinesi

e luci intermittenti il visitatore, trasportato indietro nel tempo, nell'XI secolo, si ritrova a

14 Anna Curtis Chandler lavorava presso il Dipartimento di Fotografia della Biblioteca del Metropolitan Museum.

35

vivere nei panni ora di Guglielmo il Conquistatore, ora di un cavaliere nella battaglia di

Hastings; oppure del Musée National des Arts et Traditions Populaires di Parigi,

recentemente smantellato, in cui le didascalie erano state sostituite dalle voci dialettali

fuori campo degli abitanti della cucina rustica o del malconcio peschereccio che

abitavano le sue sale espositive. Mi viene in mente anche il progetto “Orpheus”

promosso dal Museu de la Música di Barcellona, inaugurato nel 2007. Mettendo

insieme musica, immagini e testi, il museo avvicina i visitatori al mondo della musica in

modo diretto: nel percorso attraverso le sale museali, infatti, l’istituzione propone una

sorta di viaggio che conduce alla scoperta di come la musica sia stata e sia un potente

mezzo espressivo e di comunicazione.

Un altro esempio di come un museo possa coinvolgere emotivamente i propri

visitatori fino a farli sentire parte della vicenda ci viene offerto dal The Sixth Floor

Museum at Dealey Plaza di Dallas. Qui non sono tanto le nuove tecnologie ad avere un

posto di rilievo nel creare l’atmosfera immersiva e neppure il racconto orale in prima

persona dei personaggi, ma sono proprio la sede espositiva e la ricostruzione degli

ambienti a rendere il tutto suggestivo oltre misura. Il museo, che testimonia la storia e

l’assassinio di John F. Kennedy, sorge infatti al sesto piano dell’edificio conosciuto

come Deposito dei libri scolastici del Texas (Texas School Book Depository) da cui nel

1963 vennero sparati i colpi che uccisero il presidente USA. All’interno, insieme alla

testimonianze documentarie della storia di Kennedy che mescolano video, ritagli di

giornale, dipinti e fotografie, il visitatore si trova a vestire addirittura i panni del

cecchino, grazie alla realistica ricostruzione della postazione in cui l’assassino stette in

attesa, appoggiato ad alcuni cartoni impilati a ridosso della finestra d’angolo.

2.4.2. Gli ambienti sensibili di Studio Azzurro L'espressione “ambienti sensibili” è stata utilizzata per la prima volta da Studio

Azzurro per indicare degli spazi capaci di reagire agli stimoli che provengono dai

soggetti presenti al loro interno 15 Tali ambienti, generati dalla triangolazione tra

ambiente fisico, narrazione virtuale e presenza attiva del fruitore, sono basati

15 Su Studio Azzurro e gli ambienti sensibili vedi, in particolare: Di Marino, 2007; Quintieri, 2010; Rollo, s.d.

36

sull'interattività e fanno il loro punto di forza nel dialogo fisico con il visitatore che può

toccare le immagini e gli oggetti, trasformarne il contenuto, intervenire nella narrazione.

Queste installazioni multimediali, che si avvalgono di tecnologie assai sofisticate e

sempre meno visibili, utilizzando videoproiettori, sensori che rilevano la presenza

umana e che azionano video, suoni, immagini e computer che elaborano le informazioni

creano ambienti che puntano alla partecipazione emozionale e al coinvolgimento di

coloro che ne fruiscono.

Uno degli esempi più suggestivi in tal senso è dato dall’allestimento del Forte

Belvedere a Lavarone (Trento). La fortezza delle emozioni, così chiamato dai curatori, è

un percorso che mira alla valorizzazione del patrimonio di memorie ancora custodite tra

le mura del forte e a far rivivere la dimensione intima degli uomini di guerra nella loro

quotidianità. Il percorso è costituito da diverse installazioni:

a. il plastico animato: la presenza del pubblico o un semplice gesto della mano

attivano automaticamente la proiezione di informazioni dinamiche (immagini

e suoni) che permettono di comprendere meglio la realtà della fortezza;

b. le sentinelle: una serie modulare di installazioni interattive costituisce un

sistema particolare di guide rappresentate attraverso la proiezione di

silhouette in controluce di soldati intenti a varie attività quotidiane, che si

attivano automaticamente;

c. gli obici dei suoni: nell’apertura della cupola dove era collocato l’obice è

stato installato un “cannone sonoro” che riproduce i suoni, i rumori e le

musiche che richiamano il periodo bellico;

d. gli occhi di luce: l’installazione rievoca il telegrafo ottico che durante la

prima guerra mondiale era collegato con la stazione di Monte Rust ed è

composta da un “tavolo delle comunicazioni” sul quale viene proiettato un

segno di luce seguito da immagini animate, attivate dal visitatore con il

movimento della mano;

e. i diari delle mitragliatrici: grazie a dei lampi che simulano le fiammate della

canna della mitragliatrice e al suono secco di una raffica, il visitatore riesce a

immergersi totalmente nell’atmosfera intensa vissuta dai soldati. L’attenzione

viene quindi convogliata verso uno schermo dove appare l'immagine di un

37

testimone del conflitto mentre una voce fuori campo legge brani tratti da

lettere e diari scritti proprio dalla persona ritratta nella foto;

f. l’angelo degli alpini: per non turbare con nessun intervento visivo la bellezza

dell’affaccio sulla Val d’Astico che si gode dalle aperture delle due

postazioni di mitragliatrici smantellate, anche questa installazione, situata nel

fortino anteriore, è sonora: voci femminili, attivate dal passaggio dei

visitatori, recitano brani tratti da Rigoni Stern e Jahier. 16

2.4.3. Il Museum Theatre

Accostabile dal punto di vista del coinvolgimento emotivo del visitatore alle

esperienze fino ad ora analizzate, ma totalmente diverso per quanto attiene alle modalità

attuative è il Museum Theatre, elaborato in area anglosassone e negli Stati Uniti negli

anni settanta del Novecento.

In realtà, il Museum Theatre trova le sue origini in tempi ben più remoti, con i

tableaux vivants introdotti a Stoccolma dall'educatore svedese Arthur Hazelius già alla

fine dell'Ottocento. Con quest'espressione si veniva a designare un gruppo di attori che,

immobili, in costume, rappresentavano o un dipinto già esistente o una nuova opera

d'arte. Seguendo il suo esempio, nel 1909, negli Stati Uniti, apparvero per la prima volta

delle guide in costume: le ricostruzioni di luoghi di battaglie della storia americana

hanno in seguito preso sempre più piede nei Parchi Nazionali e, a partire dagli anni

Sessanta, nei siti storici e nei musei di storia nazionale si svilupparono narrative atte a

relazionare con la storia le nuove classi sociali, che avevano bisogno di comprendere le

proprie origini e il proprio passato. Il più recente concetto di Museum Theatre, dunque,

basandosi sull'idea che teatro e museo siano entità complementari nel comune obiettivo

di ottenere una risposta emotiva e cognitiva da parte del fruitore, pone la sua ragion

d'essere nell'impiego della rappresentazione scenico-teatrale e delle tecniche del teatro

nel museo. Sulla base di queste premesse e con lo scopo di mettere in moto processi

educativi e di apprendimento efficaci, il Museum Theatre ha individuato tre direzioni da

seguire:

16 Sono stato a visitare il Forte Belvedere nel luglio 2013 e ho potuto constatare, con grande rammarico, che solo un terzo delle installazioni erano funzionanti.

38

dimostrazione pratica di un argomento legato al museo allo scopo di catturare

l'attenzione del visitatore e di suscitare l'interesse per la collezione;

rappresentazione teatrale basata su personaggi in costume che introducono il

tema trattato, in modo da suscitare una maggiore partecipazione da parte del

fruitore;

rappresentazione teatrale basata sulla narrazione di storie con l'obiettivo di

creare attenzione, suspance e immedesimazione da parte del pubblico.

In Italia, pur non esistendo di fatto un vero e proprio indirizzo teatrale nella

pedagogia museale, alcuni musei, per lo più scientifici, stanno ricorrendo a

sperimentazioni performative già da alcuni anni. È il caso, per esempio, del Museo

Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano che ha

rappresentato, fin dalla sua nascita, un luogo di fondamentale importanza non solo per

la ricerca, lo studio e la conservazione, ma anche per la diffusione della cultura

scientifica e delle sue applicazioni. Accanto ai percorsi tematici interattivi e alle

proposte degli i-lab, c’è il teatro, con una vasta offerta di visite animate teatralizzate per

i diversi target, basate sull’esplorazione, l’osservazione e il coinvolgimento attivo dei

partecipanti. Visite-spettacolo e spettacoli di teatro scientifico sono quelle proposte

anche dalla compagnia di Teatro Stabile d’Innovazione Ragazzi Le Nuvole che lavora

principalmente presso la Città della Scienza di Napoli, ma di tanto in tanto realizza

rappresentazioni a tema anche per i musei d’arte (Museo di Capodimonte, Palazzo

Reale) o i siti archeologici della città.

Riassumendo, da quanto si può evincere da questo breve capitolo, le soluzioni

pratiche nel campo del Museum Theatre possono trovare diversi indirizzi applicativi: le

visite guidate teatralizzate che arrivano a creare una nuova forma di visita guidata che,

grazie al linguaggio teatrale della narrazione e della recitazione, crea una maggiore

interazione tra i visitatori e gli operatori; il teatro vero e proprio che prevede invece una

breve messinscena negli spazi del museo; le performances che reinterpretano in chiave

dinamica gli ottocenteschi tableaux vivants.

39

Capitolo 3. Il Digital Storytelling

Tirando le fila di quanto detto fino ad ora, dunque, il racconto si trova ad

assolvere le quattro funzioni classiche, efficacemente esplicitate da Atkinson (2002): la

funzione psicologica, consentendo di comprendere e dare ordine all’esperienza;; la

funzione sociale, dal momento che sancisce i valori, le norme, le consuetudini della

società di appartenenza; la funzione mistico-religiosa, perché permette di accedere alla

dimensione del sacro, suscitando la contemplazione per i misteri della vita; e, infine, la

funzione cosmologica-filosofica, aiutando a comprendere i meccanismi che regolano il

funzionamento del mondo (pp. 16-17).

È su queste basi che si pone la ragion d'essere del Digital Storytelling e la

fondamentale importanza dei suoi risvolti in ambito sociale ed educativo.

3.1. Il Center for Digital Storytelling

Il Center for Digital Storytelling, fondato nei primi anni novanta a San Francisco,

in California, da Joe Lambert e Dana Atchley nacque con l'obiettivo primario di

aggregare e rinsaldare i legami sociali ed emotivi di comunità che si sentivano ormai

disperse e frammentate nella percezione della propria cultura e prive di elementi comuni

di coesione (Petrucco, De Rossi, 2009, pp. 49-50).17 L'idea di base era che, mettendo

insieme l’antica arte di raccontare storie, legata alla tradizione orale dei popoli primitivi,

e le nuove tecnologie si potesse ottenere un connubio vincente nel processo di

riflessione e di apprendimento intorno a temi e situazioni di varia natura (Solidoro,

2009, p. 179).

L'espressione Digital Storytelling, coniata dalla Atchley, che in quegli anni

realizzò un sistema interattivo multimediale, presentandolo all'interno di una

performance teatrale, è in grado di racchiudere in solo due parole un vastissimo retaggio

culturale che ne fa il suo punto di forza.

17 Sul Digital Storytelling, vedi in particolare: Lambert, 2002; Petrucco e De Rossi, 2009; Fontana, 2009.

40

3.1.1. Le motivazioni profonde alla base della metodologia [...]l'arte di narrare si avvia al tramonto. Capita sempre più di rado d'incontrare persone che sappiano

raccontare qualcosa come si deve[...] È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile,

la più certa e la più sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze (Benjamin, ed. 1962, p. 235).

Quando sul finire del XX secolo Lambert e Atchley teorizzarono il DST come

disciplina, le parole di Walter Benjamin, risalenti al 1955, dovevano suonare quanto mai

attuali, in quel momento storico così importante, sul limitare del cambio di millennio,

in cui, volenti o nolenti, inevitabilmente ci si trovava a dover fare un bilancio di ciò che

era stato e a fare progetti per il futuro. Non stupisce, dunque, che il Centro sia nato nel

momento preciso in cui è nato: il tempo stringeva, si sentiva l'esigenza di scavalcare la

linea di confine del cambio di millennio preparati e con il bagaglio del proprio passato

ben saldo sulle spalle.

Fino a quando rifiuteremo di accettare il nostro passato, in nessun posto, in nessun continente avremo un

futuro davanti a noi […]. Abbi coscienza delle tue origini: se conosci le tue origini, allora non ci saranno

limiti ai quali tu non possa spingerti (ed. 1962, pp. 112, 16-17).

Questo scriveva all'inizio degli anni Sessanta il romanziere nero americano James

Baldwin al nipote quattordicenne nel libro La prossima volta, il fuoco.

Allo scadere del millennio, si cominciava a sentire l'esigenza impellente di un

cambiamento, di una svolta radicale che permettesse alle comunità e al singolo di

riappropriarsi del proprio passato, del proprio presente e, attraverso questi, dei rapporti

sociali interpersonali nonché, in ultima analisi, di sé. Anche perché, proprio allora,

risultavano quanto mai attuali le parole di Anthony D. Smith che all'inizio degli anni

Ottanta, rilevando con somma frustrazione che «il conflitto interetnico è diventato più

intenso e endemico nel ventesimo secolo rispetto a qualsiasi altro periodo della storia»

(ed. 1984, p. 27), così concludeva: «essere restituito alla propria famiglia culturale,

essere nel proprio ambito familiare, ricevere la protezione dei propri fratelli sembra

l'unica via sicura verso l'equilibrio e la dignità» (ibid., p. 17).

Oltre a questo, l'etnologo e antropologo francese Marc Augé registrava, proprio

negli anni Novanta, lo stato d'urgenza in cui versava il mondo contemporaneo,

dominato da una crisi d'alterità generalizzata che si esprimeva in fenomeni estremi:

41

fondamentalismi, nazionalismi, crisi dello Stato, spettacolarizzazione del mondo (ed.

1997, p. 118). Venendo meno i principali contesti di identificazione collettiva – dallo

Stato, alla famiglia, alle appartenenze politico-ideologiche – i soggetti, privati dei

riferimenti di memoria e di progettualità sociale, erano venuti a trovarsi allo sbando e

avevano cominciato, per questo, a ripiegarsi su se stessi, dando vita a pericolosi

fenomeni di individualismo. Le dirette conseguenze di ciò - il disimpegno dilagante, la

carenza di senso civico, cinismo, edonismo - sarebbero state suscettibili di mettere a

rischio la sopravvivenza stessa della democrazia e dei valori impliciti nell'idea moderna

di cittadinanza.

Cominciò, dunque, a sentirsi come stringente la necessità di porre rimedio a

questa profonda crisi d'identità (Augé parla di «morte delle ideologie» e di «fine dei

grandi racconti», 1997, p. 100) che stava investendo gli strati di quella società civile di

cui ci si era appropriati con così largo dispendio di energie e di vite umane nel corso dei

secoli. In questa volontà di riprendere le briglie di una situazione che stava ormai per

sfuggire di mano, si sentì il bisogno di rivalutare l’importanza del modello narrativo

come strumento fondamentale attraverso il quale l'uomo, reimpossessandosi della

propria storia, possa divenire uomo politico inteso come individuo che contribuisca a

definire il sentimento comune della società in cui vive e di cui è parte integrante.

3.1.2. Perché Digital: l'apprendimento multimediale Il tema dell'apprendimento multimediale ha interessato, negli anni, un numero

ingente di studiosi che, ciascuno nel proprio campo di indagine, ha sperimentato e

cercato di dimostrare come l'apprendimento possa migliorare e, di conseguenza,

risultare più efficace se supportato dall'utilizzo di più canali (visivo, auditivo, ecc.).

Ma cosa si intende per multimedialità? Il concetto, che in prima istanza si riferisce

all'insieme di diversi linguaggi che comunicano, attraverso formati differenti, un

determinato messaggio, è in realtà il risultato di una vera e propria integrazione

(mediata dalle tecnologie) di differenti modi di presentare l'informazione e di diversi

contenuti (Mammarella, Cornoldi, Pazzaglia, 2005, p. 7).

Dal momento che l'approccio multimediale nasce originariamente all'interno delle

scienze della comunicazione, gran parte dei lavori dedicati all'apprendimento

multimediale adotta una prospettiva centrata sul mezzo, ossia attribuisce un ruolo

42

primario alla tecnologia. In anni più recenti, la multimedialità ha trovato applicazione in

ambiti molteplici ed eterogenei: dal contesto aziendale a quello educativo, da quello

pubblicitario a quello dei videogiochi.

Uno dei modi principali in cui l'apprendimento elettronico agisce è attraverso l'uso

di informazioni che arrivano contemporaneamente a più organi di senso. Ne deriva che

per apprendere è necessario elaborare una serie di informazioni che fanno leva su

diverse modalità di presentazione. La multimedialità, resa definitivamente possibile

dall'avvento della tecnologia e ogni giorno migliorata e sperimentata nelle sue ulteriori

possibilità grazie a meccanismi sempre più sofisticati, a ben guardare è una tematica che

ha interessato, nei secoli, le generazioni sin dalle origini della civiltà.

Da sempre, la vista e l'udito si sono contese il primato e, a riprova di ciò, mi

sovvengono le parole di due eminenti personaggi dell'antichità che hanno sostenuto

l'uno la prima teoria, l'altro la seconda. Cicerone, nel De oratore, affermava che fosse la

vista il senso privilegiato, in quanto collegata alle capacità ritentive della memoria: «Il

più acuto dei nostri sensi è quello della vista e di conseguenza percezioni ricevute

attraverso gli orecchi o formate attraverso la riflessione possono essere ritenute più

agevolmente se vengono avviate alla nostra mente per mezzo degli occhi» (II, 37, 357).

Plutarco, dal canto suo, assegnava la palma al «senso dell'udito, che, a detta di

Teofrasto, è collegato più di ogni altro alle passioni, dato che non c'è niente che si veda,

si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti paragonabili

a quelli che afferrano l'anima quando l'udito è investito da certi frastuoni, strepiti o

rimbombi» (De recta ratione audiendi, II, 38a, ed. 1992, p. 241).

Gli approcci che si basano principalmente sulla tecnica della presentazione

multimodale, in particolare dell'insieme di figure e testo, hanno cercato di spiegare

l'apprendimento multimediale come risultato di un'elaborazione «attiva» di informazioni

che vengono mostrate in diversi formati. Tutte le principali teorie accettano come punto

di partenza l'approccio teorico che assume la coesistenza di differenti processi

linguistici e non verbali, come già era stato suggerito dalla teoria della doppia codifica

di Paivio (1991). Alcune, come quella di Schnotz (2001), sottolineano soprattutto

l'importanza delle caratteristiche sensoriali e fisiche degli stimoli: nel modo in cui noi

interagiamo con un ambiente multimodale ha un ruolo importante anche l'informazione

presentata ai nostri organi di senso, e quindi il formato fisico-simbolico della

43

presentazione multimediale ha un'influenza diretta sulla costruzione di un modello

mentale corrispondente e sull'apprendimento delle informazioni. Altre teorie, invece,

come quella di Chandler e Sweller (1991) o quella di Mayer (2001), mettono l'accento

sull'intervento di processi cognitivi secondo un approccio HIP (Human Information

Processing). Tra questi ci sono la memoria di lavoro, l'attenzione e le risorse cognitive

in generale, che interagiscono tra di loro nella costruzione di un modello mentale utile

all'apprendimento multimediale.

Fig. 3 La codifica multimediale di Paivio (Fonte: Paivio, 1991).

3.1.3. La centralità della teoria di Mayer Uno dei modelli teorici che in maniera più completa cercano di spiegare i

meccanismi cognitivi alla base dell'apprendimento multimediale è quello proposto da

Richard Mayer, psicologo e padagogista dell'Università di Santa Barbara in California.

Secondo Mayer, allo studio dell'apprendimento multimediale ci si può accostare

seguendo due approcci generali. Il primo, basato semplicemente sulla tecnologia,

presuppone che il ruolo principale vanga giocato dal software.

L'insegnamento/apprendimento viene visto come un processo passivo di semplice

44

consegna e acquisizione di informazioni e il punto focale d'interesse è per lo sviluppo di

software sempre più raffinati. Il secondo approccio, invece, centrato principalmente

sull'individuo, studia i processi cognitivi di base e come lo stesso interagisca col

sistema. L'apprendimento, in questo caso, viene visto come un processo «attivo». Gli

informatici tenderanno a focalizzarsi sul primo approccio, gli psicologi cognitivi

adotteranno il secondo.

Per sviluppare il suo modello integrato che tiene conto delle teorie

precedentemente elaborate da altri, Mayer, attingendo a una lunga serie di lavori

sperimentali, ha elaborato una teoria cognitiva dell'apprendimento multimediale che non

può prescindere da tre assunti di base:

g. il concetto di doppia codifica di Paivio (1991), secondo il quale esistono due

sistemi di codifica diversi per l'elaborazione e la rappresentazione

dell'informazione: un sistema verbale che si occupa dell'informazione di tipo

verbale e linguistico e un sistema non verbale che elabora le informazioni visive

e le immagini mentali;

h. il concetto di carico cognitivo elaborato da Chandler e Sweller (1991) che

sostiene che la quantità di informazioni che siamo in grado di elaborare in ogni

canale è limitata e che quindi un carico eccessivo danneggia l'elaborazione

dell'informazione, ritardandone o impedendone l'apprendimento;

i. il concetto di elaborazione «attiva», teorizzato dallo stesso Mayer (2000), che

sostiene che l'apprendimento richiede la partecipazione attiva del discente.

Costui, infatti, sarà impegnato in una serie di interventi cognitivi attivi sul

materiale in entrata:

- selezione del materiale: il soggetto presta attenzione alle informazioni rilevanti in

entrata, che possono essere testo e/o figure;

- organizzazione del materiale: il materiale selezionato viene organizzato in una

rappresentazione mentale adeguata creando delle relazioni tra parole e tra figure;

- integrazione del materiale: la rappresentazione verbale o pittorica costruita viene

integrata con la conoscenza già acquisita.

L'esito di tale processo attivo è la costruzione di una rappresentazione mentale

coerente utile all'apprendimento dei contenuti. La figura mostra il modello cognitivo di

45

Mayer, fortemente influenzato dai modelli classici cognitivisti proposti dall'approccio

HIP.

Fig. 4 Il modello cognitivo dell’apprendimento multimediale di Mayer (Fonte: Mayer, 2001).

Testo e figure provengono dal mondo esterno sotto forma di presentazione

multimediale ed entrano nella memoria sensoriale attraverso gli occhi e le orecchie.

Testo scritto e figura sono mantenuti per un tempo brevissimo come immagini visive

fedeli in un magazzino sensoriale visivo, mentre il testo pronunciato è mantenuto come

una immagine uditiva fedele nel sistema sensoriale uditivo. Dopo questa prima fase,

intervengono processi in cui la mente opera più attivamente. Un ruolo predominante

nell'apprendimento multimediale è svolto dal sistema della memoria di lavoro,

responsabile del mantenimento temporaneo e dell'elaborazione delle informazioni a

breve termine. Il modello prevede il coinvolgimento della memoria di lavoro con le sue

componenti fonologica e visuospaziale. La componente fonologica elaborerà il

materiale verbale in modo da selezionare le informazioni rilevanti, mentre la

componente visuospaziale sarà impegnata nell'elaborazione del materiale pittorico.

Le informazioni verbale e pittorica verranno successivamente organizzate ed

integrate in un unico modello grazie anche alle conoscenze precedenti che provengono

dalla memoria a lungo termine. Secondo Mayer (2001), gli obiettivi principali

dell'apprendimento multimediale devono essere, da una parte, il ricordo e cioè la

capacità di riprodurre e riconoscere il materiale presentato, dall'altra la comprensione,

ossia l'abilità di comprendere quanto si è studiato e di usarlo in situazioni nuove. È

proprio la capacità di costruirsi un modello integrato di testo e illustrazioni che

favorisce la comprensione di un brano e il successivo apprendimento. Affinché la

multimedialità si riveli un valido strumento di apprendimento, è necessario, però, che

46

essa si attenga a due principi di vitale importanza: la riduzione del carico cognitivo

estrinseco e l'incremento del coinvolgimento del soggetto. Le strategie da adottarsi per

rispondere a tali esigenze, sempre secondo Mayer, devono garantire:

a. presentazioni integrate, anziché separate: il soggetto apprende meglio, sia a

livello di memorizzazione che di comprensione, quando parole e immagini

corrispondenti sono presentate vicine (presentazione integrata), anziché lontane

(presentazione separata);

b. presentazioni simultanee, anziché successive: Mayer, a partire dai risultati di

alcune ricerche condotte con i suoi collaboratori, dimostra l'esistenza di un

«principio di contiguità temporale» (temporal contiguity principle – Mayer,

2001; 2005), secondo il quale il ricordo, ma soprattutto la comprensione, sono

migliori allorché le parole e le immagini corrispondenti sono presentate

simultaneamente piuttosto che successivamente;

c. la coerenza della presentazione: Mayer, definendo il «principio di coerenza»

(coherence principle - Mayer, 2001; 2005), sostiene che l'apprendimento risulti

migliore quando avviene a partire da una presentazione multimediale coerente,

ossia priva di materiale non rilevante;

d. combinare animazione e narrazione: Mayer, sulla base dei risultati di vari

studi (Mousavi, Low e Sweller, 1995; Mayer, 2001), elabora il «principio di

modalità» (modality principle – Mayer, 2001), secondo il quale il soggetto

apprende meglio (sia a livello di memorizzazione che di comprensione) quando

la presentazione multimediale è costituita da un'animazione narrata piuttosto che

da animazione e testo scritto.

Da tutti questi presupposti, Mayer è giunto a teorizzare i sei fondamentali principi

dell'apprendimento multimediale:

1. Multimediale: i soggetti apprendono meglio da una presentazione che associa

parole e figure, rispetto ad una presentazione che utilizza solo testo o solo

illustrazioni; l'utilizzo di testi, audio e immagini si è dimostrato particolarmente

efficace per migliorare l'apprendimento e la memorizzazione dei contenuti

rispetto alla sola modalità comunicativa del testo tradizionale (Mayer e

Anderson, 1991);

47

2. Contiguità spaziale e temporale: i soggetti apprendono meglio se le parole e le

figure corrispondenti sono vicine sulla pagina o sullo schermo e sono presentate

simultaneamente (Mayer e Anderson, 1992);

3. Rilevanza e coerenza del materiale: le componenti verbale e visuospaziale della

memoria di lavoro hanno una capacità limitata e quindi non possono gestire

troppe informazioni allo stesso tempo (Harp e Mayer, 1998);

4. Modalità diversa: i soggetti apprendono meglio da spiegazioni orali e

illustrazioni piuttosto che da testo scritto e figure (Mayer e Moreno, 1998);

5. Ridondanza: i soggetti incontrano difficoltà nell'apprendimento se

l'informazione è presentata in troppi formati (Mayer, Heiser e Lonn, 2001);

6. Personalizzazione: i soggetti apprendono meglio quando una spiegazione viene

presentata in stile non formale.

Le prove raccolte da Mayer per illustrare questi sei principi sono coerenti con un

significativo corpus di ricerche preesistenti rispetto ai lavoro dell'autore. Cornoldi

(1978), per esempio, aveva messo in luce i vantaggi che i bambini posso trarre da una

presentazione, contemporaneamente visiva e uditiva, di una storia di animazione.

Cornoldi e De Beni (1991) avevano poi provato l'effetto di presentazione orale, in base

al quale l'uso di immagini facilita la memorizzazione di un testo se questo è presentato

oralmente piuttosto che quando viene presentato unitamente a un testo scritto.

I sei principi appena elencati vengono ad assumere un'importanza fondamentale

per le finalità del Digital Storytelling come disciplina, in quanto, in alcuni casi

sovrapponibili a quelli che vedremo essere gli elementi imprescindibili teorizzati da Joe

Lambert affinché un DST risulti efficace, in altri, loro irrinunciabile estensione.

3.2. Alcuni esempi di DST

[[[murmur]]] è uno degli esempi più riusciti di quello che viene definito urban

digital storytelling. Il progetto, ideato a Toronto nel 2002 (ma ben presto esportato in

altre città del Canada, in Irlanda, Scozia, Australia, Usa e Brasile) da Shawn Micallef,

Gabe Sawhney e James Rousse, in collaborazione con CFC MediaLab, si pone come

obiettivo quello di creare dei momenti in cui le persone possano incontrarsi e

trasmettere ricordi ascoltando delle storie legate a dei luoghi della propria città.

48

[[[murmur]]] viene a configurarsi come «a location-based mobile phone documentary

project» che, grazie a dei punti di ascolto contrassegnati da delle grandi orecchie verdi

collocati in giro per la città, offre la possibilità ai visitatori, chiamando con il proprio

cellulare il numero segnalato (oggi, in realtà, grazie ai moderni smartphone dotati di

connessione a internet, è sufficiente collegarsi al sito e selezionare l’oggetto di

interesse), di ascoltare la storia legata a quel preciso luogo, narrata dalla voce di coloro

che in quel posto hanno vissuto, lavorato o giocato, rivivendone, dunque, esperienze ed

emozioni.

It's history from the ground up, told by the voices that are often overlooked when the stories of cities are

told. We know about the skyscrapers, sports stadiums and landmarks, but [murmur] looks for the

intimate, neighbourhood-level voices that tell the day-to-day stories that make up a city. The smallest,

greyest or most nondescript building can be transformed by the stories that live in it. Once heard, these

stories can change the way people think about that place and the city at large (dal sito

http://murmurtoronto.ca).

L’uso dell’audio al posto del testo scritto, inoltre, permette all’utente di muoversi

nello spazio e, contemporaneamente, di guardarsi attorno.

L’aspetto innovativo di [[[murmur]]], dunque, risiede nella sua capacità di

instaurare con il territorio in cui si opera un dialogo aperto, un confronto tra le persone

di tutti i ceti sociali che, in questo modo, possono scoprirsi elementi necessari alla

costruzione della storia del luogo che abitano (Bonini Baldini, 2013, p. 116).

Fig. 5 Homepage del sito [[[murmur]]].

49

Fig. 6 Esempio tratto da [[[murmur]]] Toronto – The Grange.

In ambito italiano, un progetto simile è stato creato nel 2008 a Bologna. Percorsi

Emotivi, questo il suo nome, è nato con lo scopo di analizzare la percezione che gli

abitanti hanno della propria città, ma ben presto è diventato un vero e proprio

contenitore digitale di storie, impressioni ed emozioni che scaturiscono negli animi dei

cittadini passeggiando per le vie di Bologna.

50

Fig. 7 Ricordo all’interno del progetto “Percorsi Emotivi”.

Molto più complesso e ambizioso è Comefacciamo che un architetto britannico, in

collaborazione con Google, ha promosso per la ricostruzione tridimensionale del centro

storico dell’Aquila, distrutto dal terremoto del 2009 e non ancora riedificato. Il progetto

è poi strettamente collegato al sito www.noilaquila.com (il cui slogan è paradigmatico:

“Esplora la città dell'Aquila, condividi i tuoi ricordi e contribuisci alla ricostruzione

della sua memoria per ispirarne il futuro”) dove gli utenti pubblicano i propri ricordi,

video e fotografie con il solo scopo di preservare, almeno in digitale, la memoria della

città e del suo importante patrimonio artistico e culturale.

3.3. Il Digital Storytelling varca le soglie del museo

In questi ultimi anni anche la comunicazione museale è sempre più orientata nella

direzione di un partecipatory museum, nel quale si attivino processi partecipativi in

grado di trasfigurarlo in una piattaforma che metta in connessione fra loro i vari soggetti

coinvolti. Oggi, come sostengono Hinton e Whitelaw, «people no longer simply view or

51

consume cultural content; they make it, reuse it, and annotate it, adding meaning and

creating new derivative media forms» (2010, p. 52). Queste attività costituiscono il

presupposto per la costruzione del senso di appartenenza a un gruppo sociale, per la

creazione di identità condivise e per l’ampliamento del proprio orizzonte

comunicazionale non solo con il museo, ma anche con tutti gli altri utenti che alla stessa

maniera partecipano alla co-produzione del valore museale. È il caso del progetto

sperimentale di partecipazione alla creazione collettiva di contenuti culturali attraverso

lo storytelling messo in atto nel 2003, con il progetto Every Objects Tells a Story, da un

network di istituzioni museali inglesi, in collaborazione con il Victoria & Albert

Museum di Londra, Channel 4 Television e Ultralab

(http://www.everyobjecttellsastory.org.uk/). Il progetto invitava gli utenti via web ad

interpretare gli oggetti proposti guardandoli attentamente con occhio nuovo e a creare

storie su di essi, inviando commenti, video, foto e files audio, che hanno contribuito a

creare una collezione digitale di oggetti che raccontano di sé.

In Italia, quanto a sperimentazione e adozione di tecnologie multimediali per la

fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale, particolarmente importante è il

ruolo rivestito dalla città di Torino. Uno dei momenti di riflessione più interessanti sulle

possibilità di cooperazione e compenetrazione tra lo storytelling e le nuove tecnologie è

rappresentato dal convegno Raccontare i Musei, tenutosi nel 2005, che ha indagato sia

gli effetti positivi del raccontare storie in un museo quali, fra gli altri, la maggiore

efficacia pedagogica data dalla partecipazione attiva del visitatore e dalla possibilità di

scambiare esperienze, sia quelli negativi come, per esempio, l’eccessiva distrazione dal

messaggio artistico di un’opera (Howard, 2005, p. 5). Proprio le tematiche discusse in

sede di convegno devono essere state la spinta determinante per la realizzazione pratica

di un ambizioso progetto che ha visto la luce nel 2006, in occasione dei XX giochi

olimpici invernali. In concerto con il Museo Diffuso della Resistenza, della

Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà della città di Torino sono stati

scelti una serie di punti di interesse sparsi per la città, fruibili sia attraverso il sito web

del museo, che forniva una mappa interattiva con schede localizzate dei punti, sia

attraverso i QR codes appositamente predisposti nei punti stessi, rendendo così

contestuale all’esperienza di visita quella della decodifica interattiva dei dati. I QR

codes, una volta decodificati sullo smartphone, consentono l’apertura della scheda o del

52

link di approfondimento e permettono anche di connettersi a un blog specifico

georeferenziato, chiamato geoblog, 18 che viene a costituire una sorta di mappa

emozionale di luoghi della memoria antifascista nella quale i visitatori sono stimolati a

lasciare un messaggio, un commento, un’emozione, che sarà condivisa con i fruitori

successivi, creando così quello che è stato definito un real social tagging, cioè una rete

di tags dislocate su un territorio realmente ed emozionalmente vissuto dai suoi cittadini.

Sulla scia di quest’esperienza, l’anno successivo, è stato realizzata una sorta di

grande museo diffuso europeo della memoria antifascista e dell’olocausto in Europa

intitolato StoriesOnGeographies. An European participatory geoblog of memory

(http://storiesongeographies.eu/) che si pone come obiettivo quello di conservare e

tramandare i ricordi legati ai luoghi che hanno fatto da scenario a quel terribile

momento storico (Bonacini, 2013).

Se le sperimentazioni analizzate fino a questo momento, che pur hanno ottenuto

largo consenso e ampia partecipazione da parte degli utenti, possono solo alla lontana

afferire al concetto di museo in senso stretto, l’idea di realizzare il social tagging anche

in riferimento alle istituzioni museali più tradizionali è stata concepita dal LUA

(Laboratorio di Usabilità ed Accessibilità) dell’Università La Sapienza di Roma che ha

ideato Artsonomy, una sorta di grande blog-database nel quale confluiscono i tags

emozionali-esperienziali che il visitatore può scrivere di fronte all’opera d’arte durante

la sua visita nelle sale di un museo. Il sistema, che funziona con la decodifica dei QR

codes, rimanda ad un sito web dedicato ad Artsonomy sul quale è richiesto all’utente,

partendo dall’ID dell’oggetto, di lasciare un commento. Il sito, predisposto come una

tagcloud, una volta accettato il tag aggiuntosi, è in grado di far visualizzare al fruitore

«the most relevant tags of that artwork» (Levialdi Ghiron et al., 2009, p. 378).

Da quanto detto, e dalle ricerche effettuate, emerge che, fatta eccezione per

qualche caso rimasto isolato, la realtà museale italiana non si è ancora sentita pronta a

sperimentare soluzioni che possano essere fatte rientrare a pieno titolo nell’ambito del

Digital Storytelling. Diverso è il caso dei musei nordeuropei e americani che dagli inizi

18 Il geoblog, nato dalla collaborazione tra il PerformingMedia Lab, fondato da Carlo Infante, e l’Associazione Acmos (quando ancora Google Maps non esisteva), utilizzando i matrix codes, traccia delle mappe emozionali scritte da chi, rivivendo determinati luoghi, «prova delle emozioni, elabora delle considerazioni e ha il desiderio di condividerle, di farne patrimonio collettivo legato a doppio filo con il territorio» (Pica, 2008).

53

del Duemila, accantonato il più tradizionale Storytelling, si sono aperti alla

sperimentazione del Digital.

3.3.1. Digital Storytelling diretto: lo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen Lo Statens Museum fur Kunst fin dal 1998, anno in cui è stata inaugurata la nuova

ala del museo, ha sempre perseguito la strada del rinnovamento e dell’innovazione.

Proprio in questa direzione si colloca l’interessante progetto “Stories from the

Conservator”. I restauratori del museo, attraverso brevi post, redatti utilizzando un

vocabolario semplice e corredati da belle immagini, raccontano momenti che fanno

parte del loro lavoro di tutti i giorni, permettendo in questo modo al visitatore di entrare

nella dimensione che solitamente non appare e che si cela, per così dire, dietro le quinte

di un museo. Nello stesso spazio c’è anche una sezione video in cui, sempre i

restauratori, in tre minuti, raccontano il lavoro che stanno svolgendo, come lo stanno

svolgendo e il perché delle loro scelte. Non sono previsti commenti diretti ai post, ma la

discussione, le domande e le curiosità possono essere esposte sulla pagina Facebook o

sul profilo Twitter del museo.

3.3.2. Digital Storytelling partecipativo: il Museum of Modern Art di New York Il Moma, a differenza delle istituzioni museali precedenti, ha scelto la soluzione

ancora più coinvolgente dello scambio diretto tra chi sta fuori dal museo e chi, invece,

sta dentro. Il blog, dunque, che già dal titolo “Inside/Out” rivela il suo obiettivo, vuole

mettere sullo stesso piano il punto di vista dei visitatori e quello degli operatori museali.

In particolare, nella sezione Viewpoints, incontriamo “I Went to Moma and”, spazio

dedicato ai visitatori, che qui possono raccontare la propria esperienza museale,

esternando le impressioni e le sensazioni derivatene;; ma anche ai post degli “addetti ai

lavori” che decidano di dare risalto a eventi particolari o anche semplicemente ai propri

pensieri. “Intern Chronicles”, invece, dà voce ai racconti dei ragazzi che hanno svolto

un periodo di stage all’interno del museo. Non bisogna dimenticare, poi, che i fruitori

possono dare un immediato riscontro alla loro visita, grazie agli ormai famosi cartoncini

che vengono forniti all’ingresso e sui quali essi possono scrivere, disegnare ed

esprimere nel modo ritenuto più congeniale le proprie impressioni.

54

Fig. 8 Il blog “Inside/Out” – Museum of Modern Art, New York.

3.3.3. Digital Storytelling indiretto: il Delaware Art Museum Nel 2007 il Delaware Art Museum, al fine di rendere più suggestive le visite

guidate delle scolaresche e i programmi formativi con un momento di coinvolgimento

diretto dei partecipanti, ha lanciato il progetto “The Art of Storytelling”. L’idea è quella

di rendere protagonisti i visitatori del museo facendo raccontare loro la storia che le

opere d’arte ammirate durante il tour hanno ispirato. Dopo le prime sei settimane i

racconti pervenuti erano trecentocinquanta e quindi il successo del progetto è stato tale

che si è pensato di ampliare il bacino di potenziali partecipanti pubblicando online una

galleria di immagini dei suoi dipinti più famosi per permettere anche a coloro che non

hanno mai visitato il museo di poter inventare la propria storia. Nella sezione “Picture a

story” è addirittura possibile disegnare il proprio racconto utilizzando dei launch

predisposti prendendo paesaggi e sfondi dei quadri e inserendovi all’interno oggetti,

personaggi ed altri elementi. A proposito del progetto, i curatori hanno scritto:

«abbiamo scoperto che stimolare la capacità di raccontare dei visitatori è un modo

55

efficace per coinvolgerli e per indurli a pensare e a guardare l’arte in maniera critica e

creativa allo stesso tempo. Inoltre queste iniziative hanno un riscontro positivo anche

per le istituzioni museali sia perché si raggiungono e si coinvolgono nuovi pubblici sia

perché permettono di ricevere un valido feedback dell’azione svolta del museo nella

comunità» (Fisher, Twiss-Garrity, Sastre, 2008).

Il sito, ad oggi, contiene migliaia di storie categorizzate per soggetto, valorizzate,

votate e incentivate dall’istituzione che “promuove” le migliori inserendole, una volta

registrate dagli utenti stessi, nelle audioguide ufficiali.

Ad avvalorare la tesi che fruire di un museo non significhi solo ricordare un’opera

d’arte, ma sia ricordare, soprattutto a livello emozionale, tutto quello che un’opera porta

con sé, ci sono i dati statistici ottenuti dalla compilazione di questionari post-fruizione:

il 92% dei visitatori che hanno sperimentato lo storytelling museale dichiara di aver

vissuto un’esperienza unica e di essersi sentito molto più connesso alle opere d’arte. Ma

non solo. I bambini che hanno fruito del tour nella modalità narrativa, dopo tre mesi

dalla visita riuscivano ancora a ricordare perfettamente sia le opere esposte che le storie

ad esse associate.

Fig. 9 Homepage del progetto “The Art of Storytelling” promosso dal Delaware Art Museum.

56

3.3.4. Digital Storytelling immersivo: i Giardini di Castel Trauttmansdorff di

Merano Il castello Trauttmansdorff di Merano, con i suoi giardini, è famoso in tutto il

mondo per esser stato la dimora dell’imperatrice Elisabetta, conosciuta da tutti come

Sissi. In anni recenti è stato appurato che, in realtà, l’imperatrice vi soggiornò solamente

in due occasioni, ma che il parco, con le relative passeggiate al suo interno, fossero state

realizzate per sua espressa volontà.

Solo alcuni dei viali e dei sentieri che compongono il parco, che oggi si estende

su una superficie di 12 ettari, sono gli stessi ideati e calpestati da Sissi: lasciati per molti

anni in uno stato totale di abbandono, cominciarono ad essere risistemati a partire dalla

seconda metà degli anni Ottanta, per essere poi aperti al pubblico nel 2001.19

Nel parco, che si configura come un vero e proprio immenso orto botanico, sia

per la varietà di fiori e piante che vi crescono rigogliose, sia per il suo scopo didattico,

sono presenti parecchie postazioni multimediali che, per il loro carattere ludico, rendono

più interessante l’apprendimento di alcuni aspetti della natura e delle sue molteplici

manifestazioni. L’ultima in ordine cronologico, inaugurata nel 2011, è classificabile

come esperienza di Digital Storytelling.

Si tratta de “Il regno sotterraneo delle piante”, un percorso sotterraneo lungo

circa 200 metri in cui il fruitore, grazie ad alcune stazioni che incontra sul suo cammino,

si trova faccia a faccia con i meccanismi sotterranei che favoriscono lo sviluppo delle

piante.20 Ogni stazione è costituita da una scenografia mobile in cui, di volta in volta,

tramite luci e movimenti meccanici, i sensi del visitatore vengono coinvolti a più livelli,

mentre i protagonisti si raccontano in prima persona.

Da un sopralluogo effettuato personalmente ho potuto constatare che dal punto

di vista scenografico “Il regno sotterraneo delle piante” è decisamente un’opera

19 Per una storia approfondita dei giardini di Castel Trauttmansdorff vedi il sito http://www.trauttmansdorff.it/it , in particolare, le seguenti pagine e i riferimenti ivi contenuti (data ultima consultazione 03/07/ 2015) e, in particolare, le pagine: http://www.trauttmansdorff.it/it/mondo-di-emozioni/stazioni-multisensoriali/regno-sotterraneo-delle-piante.html; http://www.trauttmansdorff.it/it/i-giardini/retrospettiva-storica/storia-dei-giardini.html; http://www.trauttmansdorff.it/it/sissi-l-imperatrice-elisabetta/sissi-a-trauttmansdorff/al-castello.html. 20 Dal momento che non riuscivo a trovare alcuna specifica tecnica dell’installazione, mi sono rivolto al Dipartimento di Didattica del parco, che, molto gentilmente, mi ha fatto avere un documento relativo alla progettazione dell’installazione, il quale però è completamente in lingua tedesca e non aggiornato rispetto alla versione definitiva.

57

coinvolgente, attraverso le cui tappe si scopre l’importanza dell’acqua per la vita della

vegetazione (sicuramente d’effetto gli spruzzi d’acqua verso il pubblico quando si parla

della pioggia), delle radici e del loro funzionamento (una radice gigante ci mostra

attraverso dei tubi come l’acqua salga dal terreno fino alla cima dell’albero), le radici

commestibili e i tuberi (la stazione meno entusiasmante in quanto dotata solo di un

carrello con vari tuberi e radici di plastica e con solo il racconto a tenere viva

l’attenzione), i minerali e gli elementi che servono allo sviluppo della vita (rappresentati

da “robottini” semoventi, illuminati di volta in volta che ognuno di essi si descrive con

la propria voce) e infine la luce, l’ultima stazione, nella quale era presente

un’interessante gioco olografico che rappresentava la crescita di un fiore all’interno di

un vaso reale.

Se, appunto, scenograficamente l’installazione è coinvolgente, dal punto di vista

dei racconti e della produzione audio è invece molto deludente.

I racconti infatti, a mio avviso, risultano deboli nei contenuti e poco coinvolgenti

emotivamente, complice anche la pessima interpretazione degli attori, sicuramente non

italiani, che non hanno dato importanza all’aspetto interpretativo e al rendere credibili e

personali le storie raccontate.

Dal punto di vista tecnico, l’installazione pecca anche la cura nella posizione e

nella produzione del materiale audio. A un sound design poco incisivo si aggiunge in

alcuni momenti il fatto che, volendo creare delle spazializzazioni, i suoni si perdevano e

la voce diventava poco intellegibile. La sensazione di avvicinamento, per esempio, del

personaggio “acqua” nella prima stazione si perde completamente in quanto la prima

parte del suo racconto è riprodotta da un singolo altoparlante nascosto e distante

dall’ascoltatore. Forse si sarebbe potuto rendere meglio con una amplificazione

trasparente e con relativo movimento da lontano a vicino attraverso gli altoparlanti.21

Questi piccoli dettagli tecnici purtroppo tolgono molto valore a un’installazione

che altrimenti sarebbe potuta essere presa a esempio.

21 L’installazione è stata curata da una società svizzera, la AUDIOVISION di Heinz P. Müller, della quale purtroppo non esiste alcun riferimento online da cui trarre informazioni utili.

58

Fig. 10 ”Il Regno Sotterraneo delle Piante” - Stazione 2 "Le radici".

59

Capitolo 4. Digital Storytelling@Museo Bottacin

In questo capitolo lo scrivente vuole esaminare un caso di studio, a cui ha partecipato in

qualità di tecnico durante tutta la sua realizzazione, a cura della Dott. Iervolino.

L’idea di sviluppare un progetto di didattica museale che si avvalesse delle vaste

possibilità offerte dal Digital Storytelling era nata con un duplice scopo: da un lato,

quello di offrire ai visitatori un’esperienza memorabile, puntando a meravigliarli e a

stimolarli a livello plurisensoriale, facendo provare loro emozioni tali da imprimere in

modo durevole nella loro mente le sensazioni provate e i contenuti trasmessi; dall’altro,

quello di valorizzare un museo cittadino, il Museo Bottacin, che, per una serie di

ragioni, è poco conosciuto dai turisti e dai padovani stessi. Il Museo rientra nell’ambito

dei Musei Civici di Padova (pur rimanendone in qualche modo indipendente, per

espressa volontà del suo fondatore, Nicola Bottacin) occupa dal 2006 il secondo piano

di Palazzo Zuckermann che si trova a pochi passi dal complesso degli Eremitani, di

fronte ai giardini. Nel contesto del Museo Bottacin gli strumenti per la divulgazione

delle informazioni messi a disposizione gratuita del visitatore sono esclusivamente di

natura testuale e possono essere individuati in tre forme principali: didascalie, schede

mobili, depliant informativi. Non sono presenti in alcun punto del percorso pannelli di

grandi dimensioni contenenti informazioni sulle opere, sui cimeli o sul mobilio, così

come del tutto assente è la segnaletica necessaria a orientare il percorso. Tali strumenti

possono essere integrati, solo quando si tratti di classi scolastiche, da percorsi a tema o

da laboratori didattici, fruibili su prenotazione presso il Settore Attività Culturali del

Comune di Padova.

Iervolino, che ha sviluppato l’idea e si è occupata dell’ambito educativo/didattico

del progetto, si è rivolta a me affinché curassi l’aspetto tecnico dell’installazione,

comprendente tutta la produzione audio in primis e poi l’idealizzazione e la

realizzazione materiale dell’installazione.

Il concetto di fondo era di fare in modo che l'utente diventasse protagonista attivo

della visita al museo, grazie ad un'immersione nella vita di Bottacin e alla possibilità di

dialogare direttamente con l'eclettico collezionista e le sue opere d'arte, nonché di

scambiare impressioni, emozioni ed esperienze con gli altri visitatori. Iervolino, infatti,

a seguito dello studio approfondito di diversi casi, era giunta alla conclusione che poter

60

esperire il museo con il maggior numero di sensi, poter spaziare mentalmente al suo

interno, poter uscire dalle sue pareti fisiche e potersi avvicinare empaticamente alle sue

opere, potesse togliere il visitatore dalla condizione di ospite introducendolo in una

dimensione nuova, dove egli diventasse padrone delle cose e degli spazi, ma soprattutto

del proprio processo di apprendimento.

Per far in modo che questo fosse possibile, Iervolino aveva pensato ad

un'esperienza caratterizzata da due momenti tra loro connessi:

1. il tour del Museo, durante il quale il visitatore viene accolto da Nicola Bottacin

che, narrando di sé, lo prende per mano e lo conduce attraverso la sua collezione,

rendendolo partecipe della sua vita, delle sue gioie e dei suoi dolori, venendo così ad

instaurare un forte legame emotivo;

2. l’interazione con l’Altro e la narrazione del Sé, che, come è stato detto, si rivela

particolarmente utile all’attuazione di processi riflessivi e formativi: i visitatori

diventano protagonisti attivi grazie ad un luogo dove possono rielaborare,

confrontandole, le conoscenze appena acquisite, le proprie sensazioni ed emozioni,

nonché condividere con altri il proprio vissuto, le proprie esperienze di vita.

Il progetto, date queste premesse, si è composto di due momenti in sé distinti, ma

al contempo tra loro indissolubili, facenti capo a due fasi temporalmente e fisicamente

distinte. Innanzitutto la realizzazione, tramite brevi podcast e filmati (di massimo 3

minuti ciascuno), di alcuni Learning objects relativi alla vita e alle collezioni di Nicola

Bottacin il quale, in alcuni casi in prima persona, in altri lasciando la parola alle opere

d’arte stesse, si racconta al visitatore, al fine di rendere più accattivante e interessante la

visita, nonché più facile il ricordo di quanto proposto. In particolare, tali Learning

objects rispecchiano i sette punti fondamentali suggeriti da Joe Lambert, quali elementi

fondamentali per un efficace Digital Storytelling [Lambert, 2002]:

a. il punto di vista personale: la narrazione viene condotta sempre da un

personaggio, reale o immaginario, che racconta di sé e della propria esperienza:

abbiamo visto come il racconto in prima persona si riveli particolarmente efficace quale

mezzo per la conoscenza del Sé e come strumento utile all'immedesimazione da parte

degli altri, fatto questo, di vitale importanza per l'attivazione di tutti quei processi di

coinvolgimento e, in conseguenza a ciò, di apprendimento che il progetto si pone come

fine ultimo. La memoria, infatti, viene stimolata e attivata principalmente dalla

61

situazione esteriore o interiore in cui il soggetto si trova e dal suo stato emozionale e

passionale (Gallo, 1955, p. 61);

b. di conseguenza, la scelta della voce narrante ha tentato, quanto più possibile, di

soddisfare le caratteristiche precipue del narratore (età adeguata, intenzioni, carattere,

ecc.);

c. l’utilizzo di una colonna sonora adeguata, fatta di musiche e rumori, tesa a

sottolineare i diversi momenti del racconto: è risaputo, infatti, che i suoni, per la

radiofonia in particolare, e, in generale, per tutti i mezzi che non si avvalgono della

rappresentazione visiva della realtà, si rivelano uno strumento di particolare utilità

comunicativa e suggestiva, in quanto capaci di caratterizzare gli oggetti e i luoghi

narrati, nonché di stimolare l'immersione dell'ascoltatore nella vicenda;

d. una struttura narrativa che riesca a sorprendere ponendo domande e fornendo

risposte non banali: quando si progetta un'azione educativa, è bene non rinunciare mai

alla meraviglia, validissimo mezzo atto alla ritenzione di concetti ed emozioni.

e. i contenuti sono connotati da una forte soggettività ed emotività, al fine di

coinvolgere totalmente il visitatore;

f. la durata esigua: sia i podcast che i filmati in linea di massima non superano i

tre minuti: tale è infatti il lasso di tempo entro il quale l’attenzione dello spettatore è al

massimo e quindi ricettiva;

g. infine, il ritmo tende a rispecchiare sia il tenore e il contenuto della narrazione

che la “colloquialità” della stessa: il narratore non si pone mai su un piedistallo come

mero oratore o come depositario di conoscenza, ma si trova, nei confronti del suo

uditorio, in una posizione di pari fra pari.

I podcast inoltre sono pensati per due target d’utenza, adulti e bambini. Di

consegueza sia i testi che le recitazioni (con le relative sonorizzazioni) devono essere

diversificati.

La seconda fase è rappresentata dalla creazione di un blog come luogo destinato

alla condivisione da parte dei fruitori delle impressioni relative all’esperienza appena

vissuta.

Questo secondo aspetto del lavoro non verrà esaminato in questa sede, in quanto

non strettamente collegato al lato tecnico dell’installazione.

62

4.1. L'idea nel dettaglio

Partendo da queste riflessioni, l'idea iniziale era di mettere in evidenza quattro

momenti e/o opere della collezione grazie ad altrettanti Learning objects, studiati in

maniera specifica per i due target di utenza. L'auspicio era che in un secondo momento,

dopo una prima fase di sperimentazione (che sarebbe dovuta avvenire a seguito di

debita informativa e pubblicizzazione da parte del Comune presso le scuole e, più in

generale, attraverso i principali media cittadini), se il progetto avesse ottenuto il favore

del pubblico, il numero di questi Learning projects avrebbe potuto essere implementato.

Nello specifico, il visitatore, durante il suo tour in collezione, incontra personaggi

che raccontano di sé e di eventi salienti della propria vita:

- al suo ingresso egli viene accolto dalla voce di Bottacin che, in prossimità del

proprio busto in marmo, opera dello scultore Cameroni, narra la propria storia;

- nella sala delle sculture, è la statua di Flora a “prendere per mano” l’utente e ad

accompagnarlo nella scoperta del Bottacin mecenate preciso e puntiglioso e del clima

artistico tardo romantico in cui egli visse;

- nella sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo, prende ancora la parola Bottacin,

che, in un misto di gioia e commozione, narra la sua lunga amicizia con il futuro

imperatore del Messico, il tutto reso più affascinante e reale dalla presenza in loco di

oggetti e cimeli legati alla vita quotidiana del personaggio (armi, fotografie, il sombrero

che si ritiene egli indossasse quando venne fucilato a Queretaro, il suo ventaglio, ecc.);

Un ulteriore obiettivo era connotare il percorso con aspetti di socializzazione non

propri alla tradizionale audioguida, il cui metodo di fruizione ha una tendenza

individualizzante, con l’ambizione, al contrario, di realizzare un percorso per così dire

socializzante, in cui le esperienze dei visitatori si potessero incontrare ed intrecciare, si è

pensato alle soluzioni dell’Interaction Design. Affinché, dunque, l'esperienza presso il

Museo Bottacin si rivelasse immersiva ed emozionante, tale da produrre nel visitatore la

storylistening trance experience teorizzata da Sturm (2000), si è voluto utilizzare

sensori di movimento che, attivando un hardware programmato ad hoc, dessero l'input a

due altoparlanti posti in prossimità degli oggetti di interesse. Da qui prendeva forma

l'immagine del visitatore che, in contemplazione di fronte all'opera d'arte, grazie alla

suggestione procurata dalla voce narrante e dai suoni, ne fosse, per così dire, rapito.

63

4.2. La realizzazione

Una prima fase realizzativa allo stato di bozza, non a cura dello scrivente,

prevedeva l’utilizzo di un computer centrale dotato di interfaccia audio multicanale,

posto in un angolo del museo, collegato a una coppia di casse stereo posta vicino a ogni

singola opera d’arte coinvolta. I sensori di attivazione sarebbero stati anch’essi in

prossimità delle opere, con conseguente cablatura fino al computer centrale. Infine

questi sensori sarebbero stati a pressione, attivabili solo su volontà del visitatore.

Analizzata la situazione e fatte le dovute valutazioni, si è ridiscusso alcune delle

soluzioni precedentemente sposate. Affinché l'installazione risultasse il meno invasiva

possibile e affinché l’utente non dovesse attivare manualmente i racconti, ma al

contrario, si trovasse ad essere coinvolto nel racconto, destando in lui anche meraviglia

e stupore, si è optato per un’interazione non tattile. Era di fatto intenzione precipua di

Digital Storytelling@Museo Bottacin quella distaccarsi del tutto dall’idea di audioguida

in senso tradizionale, anche a livello funzionale: se in quel caso è il fruitore ad attivare e

a scegliere, selezionando con un tasto, la spiegazione relativa all’oggetto di suo

interesse, qui, invece, il proposito era, piuttosto, di dare al visitatore l’impressione di

venire accolto in un ambiente caloroso e familiare come se egli fosse un ospite di

riguardo.

Inoltre, l’allestimento museale non avrebbe permesso di dissimulare

sufficentemente la cablatura e a livello realizzativo presentava non pochi limiti:

innanzitutto, tenendo presente la delicatezza che gioca il fattore tempo in

un’installazione basata su dei sensori, i quali devono necessariamente essere collocati e

entrare in funzione rispettando la logica esperienziale dei visitatori, il sistema di cavi

(sia audio che, appunto, dei sensori) facente capo ad un computer posto in un luogo

lontano avrebbe inevitabilmente ritardato la trasmissione del segnale provocando un

gap non indifferente tra il passaggio del visitatore in prossimità del sensore e

l'attivazione dell'altoparlante, con il rischio non remoto che il racconto cominciasse

quando già la persona si fosse spostata, anche se magari solo di pochi metri, dall'oggetto

di interesse. In secondo luogo, come ben sappiamo, più un cavo è lungo più c’è il

rischio di interferenze, di perdita di frequenze e non ultimo, in carenza di soldi, maggior

facilità alla rottura. Infine, aspetto da non trascurare, l’installazione di tutti questi cavi -

64

che, trovandosi in un luogo pubblico, sarebbero dovuti essere ignifughi e rientrare negli

standard di sicurezza - avrebbe dovuto essere pianificata e realizzata con la

soprintendenza di un ingegnere della sicurezza, per far sì che tutto risultasse a norma di

legge. Si rendeva necessaria, pertanto, una soluzione alternativa e, soprattutto, più

funzionale.

L’intera installazione non avrebbe avuto un unico computer centrale e non

avrebbe avuto un’interfaccia audio unica, ma sarebbe stata composta di tre sistemi

indipendenti tra loro, circoscritti alla zona d’interesse per ogni singola opera. Il sensore

e l’audio sarebbero stati pilotati da Arduino, facilmente programmabile e soprattutto di

dimensioni contenute, rendendo quindi l’intero sistema molto ridotto dal punto di vista

dell’ingombro.

Sempre per contenere i costi totali, gli altoparlanti sarebbero stati dei semplici

speaker da computer desktop, di una potenza sonora adeguata a coprire la zona

d’interesse.

4.2.1. La parte informatica Con l’aiuto di un collega è stato pensato e costruito il circuito per Arduino e ne è

stato compilato il codice, nonché progettato il supporto che consta di una scatoletta di

piccole dimensioni (cm 11,5 x 7,5 x 5,5) al cui interno è stato posizionato il circuito

finito e esternamente fissato il sensore.

Dopo diversi tentativi per trovare la soluzione che più si confacesse alle nostre

esigenze, il circuito finale funziona in questo modo:

- il sensore è posto in prossimità dell’opera e il suo raggio d’azione è calcolato in

modo da attivarsi una volta che rilevi il passaggio di una persona nell’area di

interesse;

- il sensore dà l’input ad Arduino;;

- una volta ricevuto l’input, Arduino riprodurrà i file audio caricati al suo interno

attraverso i due altoparlanti, distanti non più di 3 metri dal circuito.

- il circuito è dotato di uno switch a leva per selezionare tra due file audio, la

versione “Adulti” e la versione “Bambini” dei testi.

65

I file audio sono caricati su una SD removibile. Essa è predisposta per poter essere

riutilizzata semplicemente cambiando i file audio al suo interno, permettendo così di

modificare o sostituire i contenuti, nel caso in cui l'Amministrazione avesse deciso di

prevedere una rotazione delle opere cui dare rilievo.

Quello che a livello teorico era sembrato lineare e di facile attuazione, si è

rivelato, mano a mano che il lavori procedevano, piuttosto complicato. Innanzitutto, si è

dovuto fare i conti con le limitazioni informatiche di cui, all’epoca, Arduino peccava in

ambito audio. Per non rendere troppo complicata la realizzazione, si è dovuto optare per

l’utilizzo solo di file audio raw mono con frequenza di campionamento a 31250 a 8 bit.

Questo, come verrà descritto a breve, sarà uno dei principali problemi che affrontati in

fase di realizzazione.

Entrando nello specifico, per garantire una visita ottimale agli utenti l’implementazione

del codice è stata pensata ponendo al termine della riproduzione dei singoli file audio un

periodo di tempo in cui, ad eventuale nuovo cambio di stato del sensore, non succeda

nulla. Lo scopo di questa pausa è dare il tempo al visitatore di guardarsi ancora un po’

attorno e quindi di passare alla stanza successiva senza riattivare il sensore. La durata

della pausa è stata adattata poi durante le varie prove.

4.2.2. Il codice elaborato #include <SimpleSDAudio.h>

const int sensore = 5; //radar

const int led_errore = 6; // led di notifica errore

const int led_bambino = 7; // funzione bambino attivo

const int tasto = 8; // INTERRUTTORE per funzione bambino: 1 funzione normale 0 funzione bambino

int stato = 0; // variabile di stato

int interruttore = 0; // variabile di stato

void setup()

pinMode(sensore, INPUT);

pinMode(led_errore, OUTPUT);

pinMode(led_bambino, OUTPUT);

pinMode(tasto, INPUT);

// If your SD card CS-Pin is not at Pin 4, enable and adapt the following line:

66

// SdPlay.setSDCSPin(10);

// Init SdPlay and set audio mode and activate autoworker

if (!SdPlay.init(SSDA_MODE_HALFRATE | SSDA_MODE_MONO |

SSDA_MODE_AUTOWORKER))

while(1); // Error while initialization of SD card -> stop.

void loop()

interruttore = digitalRead(tasto);

if (interruttore == LOW) // lettura stato interruttore

// se in modalità normale

digitalWrite (led_bambino, LOW);

stato = digitalRead(sensore); // lettura segnale radar

if (stato == LOW) // controllo segnale radar

SdPlay.setFile("AUDIO_1.AFM"); //Settaggio file

SdPlay.play(); // se verifica la presenza di persone nella sala fa partire la riproduzione

while(!SdPlay.isStopped())

; // PORTA A TERMINE LA RIPRODUZIONE

delay(60000);

else

digitalWrite (led_bambino, HIGH);

stato = digitalRead(sensore); // lettura segnale radar

if (stato == LOW) // controllo segnale radar

SdPlay.setFile("AUDIO_2.AFM"); //Settaggio file

SdPlay.play(); // se verifica la presenza di persone nella sala fa partire la riproduzione

while(!SdPlay.isStopped())

; // PORTA A TERMINE LA RIPRODUZIONE

delay(60000);

67

4.2.3. La produzione audio

Per quanto riguarda la produzione audio, innanzitutto è stato necessario trovare

le voci adatte a interpretare i personaggi. Dopo aver provinato attori dilettanti che

risultavano immancabilmente essere troppo impostati e attenti ad enfatizzare i testi in

maniera esasperatamente teatrale e speaker pubblicitari che mancavano di dinamismo

nel racconto, risultando in questo modo più adatti ad un’audioguida tradizionale, si è

optato per uno speaker non abituale, il M°Medeossi, la cui voce stentorea, chiara ed

espressiva, con una leggera inflessione dialettale friulana era perfetta per il personaggio

di Bottacin. Per la parte di Flora invece la voce è di una ragazzina di quindici anni,

frizzante e briosa, a tratti anche un po’ frivola, proprio come Iervolino aveva

immaginato dovesse essere la statua di Flora. Nonostante entrambi non avessero mai

avuto esperienze in studi di registrazione, in tre pomeriggi è stato registrato tutto e al

termine Iervolino ha avuto modo di scegliere i take con cui fare il montaggio finale.

A questo punto rimaneva da definire un ultimo elemento non di poco conto: la

musica. L’idea originaria di Iervolino era di inserire uno sfondo musicale all’intera

durata della recitazione. La parola, associata alla musica, fin dall’epoca arcaica, aveva

costituito il medium privilegiato, in quanto mezzo più idoneo nella trasmissione del

sapere. Secondo gli antichi la poesia può servirsi solo dell’udito attraverso la semplice

parola, ma non sempre essa è in grado di suscitare emozioni se non è accompagnata

dalla melodia (Gentili, 1996, p. X). Proprio questo ruolo centrale della musica nella

comunicazione e nell’educazione dovuto al suo enorme potere paideutico tale da

coinvolgere al massimo grado il pubblico sia a livello intellettuale che emotivo fa

propendere per una scelta in questo senso. Le musiche, dovendo fare da sfondo ai testi

narrati, dovevano in qualche modo rispecchiarne i contenuti. Dunque, per la sala di

presentazione inizialmente si è pensato a qualcosa di allegro, senza particolari picchi in

altezza, che sottolineasse la vita avventurosa e sempre alla ricerca di nuovi stimoli di

Nicola Bottacin; per la sala dedicata a Flora, invece, qualcosa di frizzante e gioioso per

rendere la vivacità della primavera; infine, per la storia Massimiliano d’Asburgo una

musica che cominciasse abbastanza serena per poi incupirsi fino a divenire triste e grave

(con quest’opera Bottacin ci racconta la morte del suo grande amico). Partendo da

queste idee si sono valutati innumerevoli brani classici, spaziando da Ravel a

Čajkovskij, da Mozart a Busoni, da Rossini a Beethoven e a Schubert.

68

Tuttavia, individuare il commento musicale più adatto era arduo in quanto

alcune musiche erano troppo dinamiche e tendevano a sovrastare con la loro impetuosità

l’importanza del parlato, altre erano troppo conosciute e finivano col richiamare alla

mente il loro utilizzo commerciale nell’advertising. In altre parole, nessuna musica già

esistente riusciva ad aderire perfettamente alle intenzioni e ai contenuti dei racconti. Per

superare l’alternativa tra l’inserimento di una musica che, per quanto bella ed

emozionante, rischiasse di risultare superflua o, che peggio ancora, distraesse

l’ascoltatore, si decise per una sonorizzazione seguendo il modello del radiodramma.

Per la sala di presentazione la scelta è caduta sulla Serenata per archi, op. 48, IV

di Pëtr Il'ič Čajkovskij, che sembrava particolarmente adatta ad evidenziare il clima

festoso delle serate di gala frequentate da Bottacin; inoltre, quando nel testo si racconta

di Trieste, si è reso più suggestivo l’ascolto, inserendo i rumori del porto, dei gabbiani e

la sirena di una barca in procinto di salpare. Infine, per descrivere l’immenso parco che

circondava l’abitazione del collezionista, sono presenti inserti di suoni della natura: il

cinguettio di diverse tipologie di uccelli, il ronzare delle api, il dolce suono di una

fontana e il gracidare di una rana.

Nella sala attigua, che ospita la collezione d’arte, la gioiosità della primavera

impersonata da Flora viene introdotta dalla VI Sinfonia – Pastorale di Ludwig Van

Beethoven punteggiata, qua e là, da versi di uccellini; nel momento in cui la statua legge

lo stralcio della lettera che Bottacin aveva inviato allo scultore Vincenzo Vela per

commissionargli l’opera, sono presenti invece il rumore di una penna stilografica che

scrivendo gratta leggermente il foglio e, più oltre, il suono dello scalpello che lavora il

marmo.

Infine, per la sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo, musiche, suoni e rumori

d’ambiente si susseguono, alternandosi, in modo da rendere dinamica ed emotivamente

forte l’intera narrazione di argomento importante e tragico: la storia si apre, dunque, con

il Ballet de Faust di Charles Gounod per sfumare sulle parole di Bottacin; nel momento

in cui quest’ultimo racconta della partenza di Massimiliano per il Messico, si sente

l’Inno imperiale di Napoleone III, fautore appunto di quest’impresa;; poi i suoni e i

rumori della battaglia, spari, urla e concitazione; infine, per preparare l’ascoltatore al

climax che sarebbe arrivato di lì a poco, sono presenti i suoni gravi del pianoforte della

69

Marcia Funebre che Franz Liszt22 scrisse proprio in onore di Massimiliano d’Asburgo e

che si addice in maniera perfetta a questo passaggio e che si interrompe,

improvvisamente, per lasciare spazio al rumore sordo dello sparo del fucile Remington

che uccide l’imperatore.23 Poi qualche istante di silenzio interrotto dopo alcuni secondi

dalle nude parole di Bottacin che riprende a parlare, smorzando la tensione creatasi, per

descrivere gli oggetti conservati nella sala.

4.3. L’installazione

Terminati, dunque, i file audio, si doveva affrontare il problema più grande:

come far “suonare bene” dei file audio con le specifiche richieste dal software. Se la

frequenza di campionamento si rivelava, tutto sommato, un problema relativo perché la

perdita delle alte frequenze rendeva, di fatto, i suoni solo meno brillanti (fatto che ad

ogni modo si notava poco, data la scarsa qualità del sistema di riproduzione) e la

rappresentazione in mono era ben mascherata da una posizione degli altoparlanti non

adeguata a una perfetta fruizione stereofonica, il problema maggiore è stata la

compressione da 16 a 8 bit.

In fase di mix, infatti, non si era tenuto conto dell’escursione dinamica e del

fatto che con una riquantizzazione a 8 bit essa avrebbe inevitabilmente portato una gran

quantità di rumore di fondo e, probabilmente, distorsione. Dopo la prima conversione, il

file audio era inutilizzabile in quanto il rumore di fondo copriva completamente la voce.

Il problema è stato risolto comprimendo prima, e con limiter poi, il più possibile

in modo da portare l’escursione dinamica entro quella consentita dagli 8 bit, il tutto

stando attenti a non distorcere il suono per l’eccessiva compressione.

Il risultato è stato abbastanza soddisfacente, date le premesse. Il rumore di fondo

si è ridotto a un leggero rumore bianco che può facilmente essere scambiato per il

rumore di fondo di livello analogo a quello degli altoparlanti utilizzati.

22 L’opera, scritta nel 1867, anno dell’uccisione di Massimiliano d’Asburgo, è inserita nel Terzo Anno delle suite Anni del Pellegrinaggio, che Listz scrisse durante i suoi tre anni di viaggio tra la Svizzera e l’Italia e che pubblicò poi nel 1883. 23 Documentandomi, infatti, su quelle che erano le armi utilizzate nel 1867 dall’esercito messicano nella sua battaglia per l’indipendenza dalla Francia sono giunta alla conclusione che il fucile che uccise Massimiliano d’Asburgo dovesse essere un Remington.

70

Fig. 11 Scatoletta con sensore e circuito interno.

Come detto le postazioni erano tre, identiche in tutto e per tutto dal punto di

vista tecnico, tranne che quella della prima sala. Essa infatti era composta di due

sensori, di cui uno applicato sullo stipite della porta che conduce fuori dalla sala e

introduce a quella con Flora (Fig.12). Questo sensore doveva inizialmente attivare un

secondo file audio di introduzione alla seconda stanza (vedremo che a lavoro ultimato

svolgerà un compito ben diverso).

L’installazione in museo è stata fatta dallo scrivente con il supporto della

dott.ssa Iervolino, con l’accortezza che il tutto risultasse quanto meno invasivo

possibile, nascondendo i cavi con canaline bianche e nastro adesivo anch’esso bianco;; le

scatolette sono state attaccate alle pareti a pochi centimetri da terra, con del nastro di

silicone, in modo da non dover forare il muro.

Nel complesso, ne è risultato un lavoro ben fatto e non particolarmente

appariscente, anche a detta del Direttore dei Musei Civici e Biblioteche di Padova, e

della responsabile dell’Ufficio Gestione sempre dei Musei Civici, durante il sopralluogo

finale per l’approvazione definitiva all’installazione e per testare anche la funzionalità

delle attrezzature.

71

Fig. 12 Progetto di posizionamento dei learning objects nelle sale del Museo Bottacin.

72

4.4. L’esordio: la Notte Europea dei Musei

L’opportunità di provare la reale funzionalità dell’installazione si è presentata in

occasione della Notte Europea dei Musei del 18 maggio 2013. Il Museo Bottacin, per

varie ragioni, solitamente non attira molti visitatori, ma questi frangenti, offrono ai

cittadini lo stimolo per dedicarsi alla cultura, con il risultato di una maggior

partecipazione anche nei musei meno rinomati. Per la nostra installazione era

sicuramente un banco di prova molto importante, anche se non completamente

rispondente alla reale situazione del nostro museo. Per quell’occasione Iervolino aveva

elaborato un questionario di gradimento che ha poi posizionato all’ingresso, in modo

che i visitatori potessero esprimere la loro opinione in merito all’idea di Digital

Storytelling applicato alla didattica museale e alle soluzioni tecniche adottate.

Inutile dire che l’affluenza, quella sera, è stata al di là di ogni aspettativa:

c’erano talmente tante persone che in alcuni momenti si riusciva a stento a sentire le

voci narranti. Nonostante questo, pur non essendo quella la condizione ideale, il

riscontro è stato molto positivo e le persone si sono dimostrate entusiaste e

piacevolmente sorprese dal trovarsi protagoniste di questa nuova esperienza di visita. Si

è ovviamente approfittato della serata per cogliere commenti ed impressioni e per

rendersi conto di eventuali difetti da aggiustare.

Fig. 13 Panoramica della Sala di Presentazione.

73

Fig. 14 Sala di Presentazione. Installazione.

Fig. 15 Particolare della collezione d’arte.

74

Fig. 16 Panoramica della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo.

Fig. 17 Particolare della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo.

75

4.4.1. I difetti del sistema e le conseguenti modifiche Durante la lunga serata è stato rilevato che:

a. il volume molto alto di un monitor video che riproduceva un documentario

copriva quasi completamente l’audio dagli altoparlanti;

b. i primi due racconti tendevano a disturbarsi a vicenda, a causa delle sale

comunicanti.

c. la breve introduzione di Bottacin alla collezione d’arte (ovvero il secondo

file della prima postazione a cui accennavo poc’anzi), che veniva

originariamente attivata dal sensore posto alla base dello stipite della porta

(lo si può vedere nella Fig. 18 e, in primo piano, nella Fig. 19), veniva persa

nella quasi sua totalità, proprio in conseguenza del fatto che appare alquanto

improbabile che una persona si soffermi sotto una porta di passaggio da un

ambiente ad un altro; si è, dunque, ovviato successivamente a

quest’inconveniente, trasferendo il file introduttivo nella scheda SD di Flora

e facendolo uscire dagli stessi altoparlanti da cui prenderà la voce

immediatamente dopo anche la statua della fanciulla.

d. con questa modifica si è risolto un quarto problema. Il museo non ha un

percorso univoco dall’entrata all’uscita, ma anzi, è circolare e quindi per

uscire al termine della visita o per dirigersi dalla parte opposta, dove si trova

la collezione numismatica, bisogna fare il percorso inverso. Questo

comportava quindi che il visitatore, uscendo, facesse ripartire il file audio del

primo sensore. È stato allora utilizzato il sensore sullo stipite della porta per

attivare un file audio vuoto impedendo cosi l’avvio involontario del file di

benvenuto.

76

Fig. 18 I due sensori posizionati nella prima sala.

Fig. 19 Sensore posizionato sullo stipite della porta d’accesso alla Collezione d’arte.

77

Il problema principale dell’installazione, dunque, era dato dal fatto che gli altoparlant i

erano troppo poco direzionali e posizionati, per adeguarsi alla struttura delle sale, nei

posti sbagliati. Questo dava origine a una sovrapposizione dei commenti audio nel caso

in cui ci fossero stati due visitatori in due stanze attigue.

78

79

Capitolo 5. Considerazioni finali e possibili prospettive

Per la valutazione statistica degli esiti del progetto, Iervolino aveva predisposto un

questionario, dal quale è emerso un generale apprezzamento per la tipologia di “visita

guidata” proposta, ritenuta dai visitatori molto più piacevole e coinvolgente rispetto alla

tradizionale audioguida.24

È risultato, infatti, che la maggior parte dei fruitori non solo ha provato la

sensazione calda e accogliente di entrare nella dimora di Bottacin, favorita soprattutto

dal tono colloquiale dei personaggi e dal loro modo di rivolgersi a lui, ma si è

immedesimata a tal punto da sentirsi essi stessi parte integrante di quel mondo, della sua

storia, dei suoi oggetti.

Alla luce dei risultati ottenuti dal progetto si può essere ottimisti sulla possibile

applicabilità, nei musei, di questa particolare modalità di Digital Storytelling e sulla

predisposizione dei visitatori ad accettare modalità di fruizione museale innovative. In

particolare, di grande impatto è risultata l’idea di dare voce alle opere d’arte esposte e ai

protagonisti della storia della collezione che, grazie a narrazioni dal carattere colloquiale

e spontaneo coinvolgono il visitatore e lo rendono partecipe delle vicende raccontate.

Tale tipologia di “visita guidata”, rimodulabile e declinabile sulle necessità individuate

dalle diverse istituzioni museali, viene a delinearsi innanzitutto come una strategia

didattica alternativa rispetto a quelle tradizionali, altrettanto valida e, in parecchi casi,

superiore, come abbiamo tentato di dimostrare nel corso di questo scritto; in secondo

luogo, essa, a differenza della guida effettuata dagli operatori (che deve essere

programmata con anticipo, che viene effettuata solo in determinati giorni e in

determinati orari, che, spesso, abbisogna di un numero minimo di partecipanti e che ha

un costo aggiuntivo rispetto al biglietto ordinario) e dell’audioguida, fornisce invece un

servizio stabile e continuativo; infine, se pubblicizzata adeguatamente, rappresenta un

motivo di richiamo forte per un pubblico sempre alla ricerca di nuovi stimoli e che nei

musei, soprattutto nei piccoli musei, vede il regno della noia e del silenzio.

Con un budget appropriato, i problemi tecnologici evidenziati sarebbero

superabili, grazie alle sofisticate apparecchiature che sono attualmente in fase di

24 Il dato mi è stato fornito da Iervolino ed è solo una minima parte dell’analisi puntuale dei risultati ottenuti dai questionari.

80

sperimentazione: mi riferisco, in particolare, alle docce sonore che basate sulla

tecnologia del pannello elettrostatico ad onda piana creano un campo audio altamente

focalizzato all'interno del quale si possono diffondere programmi sonori e annunci senza

disturbare le persona all’esterno della stessa o, meglio ancora, alla Wave Field Synthesys

che virtualizza la fonte sonora all’interno dello spazio, il che permetterebbe di

posizionare la fonte audio esattamente sull’opera interessata.

In conclusione, con gli accorgimenti e i mezzi appropriati, questa modalità di

Digital Storytelling può portare a risultati soddisfacenti dal punto di vista sia didattico

sia del rinnovamento della fruizione museale, con la conseguente rivalutazione del

pubblico nei confronti dei musei stessi.

81

INDICE DELLE FIGURE

Fig. 1 Modello di comunicazione di Cameron (1968). ........................................................................... 17 Fig. 2 Modello di comunicazione di Knez e Wright (1970). ................................................................... 18

Fig. 3 La codifica multimediale di Paivio (Fonte: Paivio, 1991). ............................................................ 43 Fig. 4 Il modello cognitivo dell’apprendimento multimediale di Mayer (Fonte: Mayer, 2001). ............ 45 Fig. 5 Homepage del sito [[[murmur]]]. ................................................................................................ 48

Fig. 6 Esempio tratto da [[[murmur]]] Toronto – The Grange. .............................................................. 49 Fig. 7 Ricordo all’interno del progetto “Percorsi Emotivi”. ................................................................... 50 Fig. 8 Il blog “Inside/Out” – Museum of Modern Art, New York. ......................................................... 54 Fig. 9 Homepage del progetto “The Art of Storytelling” promosso dal Delaware Art Museum. ........... 55

Fig. 10 ”Il Regno Sotterraneo delle Piante” - Stazione 2 "Le radici". ..................................................... 58 Fig. 11 Scatoletta con sensore e circuito interno. ................................................................................. 70 Fig. 12 Progetto di posizionamento dei learning objects nelle sale del Museo Bottacin. ...................... 71

Fig. 13 Panoramica della Sala di Presentazione. ................................................................................... 72 Fig. 14 Sala di Presentazione. Installazione. ......................................................................................... 73 Fig. 15 Particolare della collezione d’arte. ............................................................................................ 73 Fig. 16 Panoramica della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo. ...................................................... 74

Fig. 17 Particolare della Sala dedicata a Massimiliano d’Asburgo......................................................... 74 Fig. 18 I due sensori posizionati nella prima sala. ................................................................................ 76 Fig. 19 Sensore posizionato sullo stipite della porta d’accesso alla Collezione d’arte. .......................... 76

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Data dell’ultimo accesso 01/07/2015.