Giannetti No

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Collodi

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CARLO COLLODI 1 CHI ERA GIANNETTINO Ora, ragazzi, se starete attenti, vi racconter per filo e per segno la storia di Giannettino. Giannettino, quando l'ho conosciuto io, poteva avere su per gi l'et vostra, vale a dire fra i dieci e i dodici anni. Ne volete il ritratto? Figuratevi un bel giovinetto, sano e svelto nella persona, con un paio d'occhi c elesti e anche un tantino birichini, e con un gran ciuffo di capelli rossi, che a guisa di ricciolo, gli ricascava gi in mezzo alla fronte. Giannettino era figlio unico; e, come potete immaginare, il suo babbo gli voleva un bene dell'anima, e la sua mamma, per dir come si dice, non lo guardava, dall a paura di consumarlo. Ma il troppo bene alle volte appunto quello che sciupa i ragazzi; e tanto era av venuto di Giannettino. Il quale, a furia di averle tutte vinte e di vedersi contentato in tutti i capri cci, si era tirato su un piccoso e un prepotente, da non averne pace n in casa, n fuori di casa. La voglia di studiare non la conosceva neppur di vista. I suoi libri e i suoi quaderni erano tutti fioriti di scarabocchi e arabescati d alla prima all'ultima pagina di omini, di alberini e di soldatini fatti con la p enna e colorati con la matita rossa e turchina, e qualche volta anche col sugo di ciliegie. Quando, la mattina, andava a scuola, vi andava con lo stesso piacere e con lo st esso viso allegro col quale sarebbe andato da un dentista a farsi levare un dent e. E poich le domeniche e i gioved erano giorni di vacanza, cos quella birba diceva se mpre a sua madre, credendo forse di dire una bella cosa: Vedi, mamma! Se fossi io che avessi inventato il lunario, avrei messo quattro do meniche e tre gioved per ogni settimana! In casa Quando Giannettino ritornava a casa era lo scompiglio e la disperazione di tutto il casamento. I pigionali degli altri piani, che lo sentivano strillare e saltare su per le sc ale, dicevano subito bofonchiando: Eccola questa saetta!... Il suo servitore e la cameriera, alla prima scampanellata fatta senza garbo n gra zia, si scambiavano fra loro un'occhiata e quell'occhiata voleva dire: Ecco finit o il benestare! Dio ce la mandi buona!... E perfino Buricchio, il venerabile Buricchio, un vecchio gatto soriano, che in q uesto mondo non aveva mai dato noia a nessuno, nemmeno ai topi, appena sentiva l a voce del padroncino se la dava subito a gambe, e scappava in cucina a rimpiatt arsi in fondo al corbello della brace. 2 GIANNETTINO E IL DOTTOR BOCCADORO n casa della signora Sofia (cos si chiamava la mamma di Giannettino) c'era tutte le sere una conversazione fiorita. Ma Giannettino non si faceva mai vedere. Con la scusa di ripetere la lezione, rimaneva sempre in un'altra stanza; e l, bal occandosi e sciupando il tempo, passava le serate intere a fabbricare dei teatri ni per le marionette e a insegnare la lingua italiana a due pappagalli, che gli erano stati regalati dal suo zio Ferrante, famoso capitano di mare, di ritorno d al Brasile. Quand'ecco che una sera Giannettino, per uno dei suoi soliti estri, volle andare in sala con tutti gli altri; e quella sera ne fece d'ogni colore e d'ogni sapor e. Sfogli, a una a una, alcune bellissime rose, che erano al fresco dentro un vaso c inese; ritagli con le forbici le figurine del ventaglio di sua madre; ruppe un ca

lamaio di vetro di Venezia, per la curiosit di vedere com'era fatto dentro; tir a segno con una palla elastica negli occhiali di un Cavour di marmo, che stava sul caminetto; e quando non seppe pi che cosa inventare, allora leg una sonagliera di bbboli alla coda di Buricchio; on de la povera bestia, fuggendo impaurila fra le gambe delle seggiole e dei tavoli ni, fece uno scampanello cos indiavolato, da levare di cervello anche i sordi. Ripetendosi quasi tutte le sere queste monellerie di Giannettino, accadde che le persone che andavano a conversazione dalla signora Sofia, perduta la pazienza, cominciarono a diradare in un batter d'occhio. Da sedici che erano dapprincipio, diventarono otto; da otto quattro; da quattro due. Una sera la signora Sofia si trov sola. Di tanti amici e conoscenti, l'unico che alla solita ora si present in casa fu il dottor Boccadoro, un bel vecchietto, asciutto e nervoso, lindo negli abiti e ne lla persona, il quale era conosciutissimo per la sua bella virt di parlar chiaro e di dire a tutti la verit, anche a costo di passare qualche volta per un po' les to di lingua. I ragazzi e i puledri Mentre il Dottore si metteva a sedere, entr Giannettino, il quale vedendo la sala vuota, domand tutto meravigliato a sua madre: Perch stasera non venuto nessuno? Perch sei tanto noioso e impertinente, che dove capiti tu, tutti gli altri scappa no. Giannettino rimase cos mortificato da queste parole, che soggiunse subito: Dimmi, mamma: quando me le compri le marionette per il teatrino? Oh! Dovrai aspettarle un pezzo!... E io, allora, domani non vado a scuola. Lo sente eh, come risponde? disse la signora Sofia, voltandosi verso il dottor B occadoro. Lo sento rispose il Dottore e non mi stupisce. Perch i ragazzi, vede, sono come i puledri. I puledri hanno bisogno di accorgersi fin da principio che sono guidat i da una mano forte e sicura, che sa carezzarli a tempo e che a tempo sa tenerli in briglia, valendosi, in certi casi, anche di un briciolino di frusta... Di frusta? disse Giannettino, alzando vivacemente il capo. Sissignore, di frusta replic il Dottore con lo stesso tono di voce; poi continu: G uai se i ragazzi... cio, volevo dire, guai se i puledri si accorgono di potersi s bizzarrire a loro capriccio!... Pigliano subito dei vizi e cominciano a impuntar si, a mordere, a tirar calci, finch una volta o l'altra c' anche il pericolo che v adano gi a capofitto in qualche burrone, tirandosi dietro il calesse e chi c' sopr a. Mentre il Dottore parlava cos, Giannettino, tanto per non stare in ozio, si diver tiva a mandare in su e in gi, a tempo di musica, la calza del lume. Se stai fermo cinque minuti... cinque minuti soli d'orologio disse il Dottore a cui prudevano gi le mani una di queste sere ti condurr a vedere la Lanterna Magica . Oh bene! la Lanterna Magica! cominci a gridare Giannettino, saltando dall'allegre zza; e per dimostrare la sua gratitudine al Dottore, gli pest i piedi, gli mont a cavallo sui ginocchi, allung una mano per arricciargli i baffi... insomma gliene fece tante e poi tante, che il brav'uomo, soffiando come un istrice, si alz da se dere e prese in mano il suo cappello. La storia del canino Bib Se ne va cos presto? gli disse la signora Sofia. Me ne vado: e ho paura che star un pezzo, prima di farmi rivedere disse il Dottor e. E il motivo? Mi permette di parlare con la mia solita franchezza? Allora le dir che, tempo add ietro, io avevo preso l'abitudine di passare le mie serate in casa della moglie del Sindaco. Una brava donnina quella moglie del Sindaco!... ma per me aveva un grandissimo difetto... quello, cio, di tenersi sempre vicino, o sulle ginocchia,

il suo caro Bib, un canino bizzoso e spelacchiato, il quale tutte le volte che mi vedeva, o abbaiava con un guaito stridulo, che entrava nel cervello, o brontola ndo mostrava una fila di dentini appuntiti e sottili come tanti aghi: e quando p oi era di buon umore e voleva farmi le feste, allora m'impelacchiava tutto dalla testa ai piedi. Una sera Bib prese un brutto equivoco, ossia credette che le mie gambe fossero una cantonata o un piolo, e senza darmi il tempo di avvertirlo de ll'errore, lasci sui miei calzoni chiari uno di quei ricordi indelebili, che tutt i i cani sogliono lasciare ai pioli e alle cantonate. Da quella sera in poi, non ho pi rimesso i piedi in quella casa; ma domani sera comincer a tornarvi. Che forse Bib morto? domand la signora Sofia. No! Bib vivo! purtroppo vivo! ma che vuol che le dica? Seccatura per seccatura, t ormento per tormento, confesso la verit, signora Sofia, preferisco sempre Bib al s uo signor Giannettino. La lettera di Giannettino Giannettino, che a tutto questo racconto aveva fatto delle grandi risate, quando sent la chiusa, si rannuvol a un tratto e cominci a strofinarsi gli occhi e a soff iarsi il naso, per trattenere le lacrime; ma non vi riusc. Appena il Dottore fu fuori della stanza, Giannettino dette in uno scoppio di pia nto. La mattina dopo, al dottor Boccadoro venne recapitata una lettera. La lettera diceva cos: Pregatissimo Signiore, (pregatissimo invece di pregiatissimo: v'era una i di meno; e signiore, invece d i signore: v'era una i di pi). Siccome lei mi disse ieri sera che io sono peggio di un cane spelacciato (invece di spelacchiato: l'h gli era rimasta nella penna) questa cosa mi ha fatto piang ere molto dal gran dispiacere. Ho promesso anche alla mamma di corregermi (invece di correggermi: vi mancava un a g) e per questo la prego di voler tornare qui in casa per fargli (invece di fa rle) vedere che sono diventato buono e per condurrai alla Lanterna Magica, con l a quale la saluto e anche la mamma che non sa nulla che gli ho scritto. Suo aff.mo Giannettino. La sera il Dottore and subito a trovare la signora Sofia; la quale, quando seppe della lettera, disse sospirando: Meno male! segno che quel monello sente ancora un po' di vergogna... Meno male davvero! replic il Dottore perch i ragazzi che hanno la fortuna (io la c hiamo cos) di fare il viso rosso sui propri mancamenti, o prima o poi finiscono c ol ravvedersi e col pigliare la buona strada. I ragazzi che non danno da sperare , sono quelli che non si vergognano di nulla!... In questo mentre, apparve Giannettino; e la signora Sofia si alz e li lasci soli. L'ha ricevuta?... domand il ragazzo. L'ho ricevuta disse il Dottore e l'ho trovata gremita di spropositi. Di spropositi?... E Giannettino fece un gesto di meraviglia, come se il Dottore l'avesse calunniato. Perch bisogna sapere che Giannettino, come accade a tutti i ragazzi buaccili e svo gliati, era pieno di presunzione, e si figurava sempre di non sbagliar mai e di saperne pi degli altri. Ah! non lo credi? ripigli il Dottore ridendo. Lascia fare a me: rileggeremo insie me la lettera, e cos vedremo chi di noi due abbia torto o ragione. E tir fuori la lettera: ma Giannettino, lesto come un baleno, gliela strapp di man o; e fattala in minutissimi pezzi, la butt fuori della finestra. Poi, con voce di pianto e di bizza, cominci a dire: Gi, anche lei di quelli che mi vogliono male... e che mi danno addosso... Vorrei sapere perch in questa casa tutti ce l'hanno con me... Nessuno mi pu sopportare e fra questi c' anche lei... Sissignore, c' anche lei! Verissimo! rispose secco il Dottore. D'altra parte, caro mio, bisogna capacitars

i che in questo mondo vi sono due specie di ragazzi: vi sono i ragazzi che per l e loro buone maniere, e per essere compiti, educati e ammodo, si fanno benvolere da tutti; ve ne sono poi molti altri, sgarbati, molesti, impertinenti... e ques ti, in una sola parola, sai come si chiamano? Si chiamano ragazzacci. Sicch a sentir lei disse Giannettino mortificato il mio posto sarebbe... fra i ra gazzacci? Caro mio, un posto che ti tocca di diritto. Grazie del complimento! Vi furono due minuti di silenzio. Tutt'a un tratto Giannettino, rialzando vivacemente il capo e tirandosi indietro quella gran ciocca di capelli rossi che gli scendeva sugli occhi, disse con una cert'aria di fierezza: Se volessi, non potrei diventare anch'io uno di quei ragazzi che, come dice lei, si fanno benvolere da tutti?... Perch no? M'insegnerebbe il modo? Volentieri. Vai l a quel tavolino: tira fuori un lapis e un foglio di carta, e pi glia nota di quel che ti dico. Giannettino obbed.

3 UNA LEZIONE DI BUONA EDUCAZIONE Allora il dottor Boccadoro cominci: Devi dunque sapere che un ragazzo della tua et, se vuol essere visto di buon occh io e accarezzato da tutti quelli che lo avvicinano, bisogna, prima d'ogni altra cosa, che metta una grandissima attenzione alla pulizia della sua persona e dei suoi vestiti. Tienilo bene a mente: un ragazzo col viso e con le mani sporche, e coi capelli a rruffati, con le unghie orlate di nero e con i vestiti polverosi e pieni di stra ppi e di macchie, sia pure il pi bel ragazzo del mondo, far sempre, agli occhi del le persone pulite, la figura di un fagotto di panni sudici. Quanto a me disse Giannettino smettendo di scrivere so che il viso me lo lavo tu tte le mattine e l'ho sempre pulito... E le mani? domand il, Dottore con un sorrisetto maligno. Di certo anche le mani le ho sempre pu... Ma non pot finir la parola, perch nell'atto di far vedere le sue mani, si accorse che l'indice e il pollice della mano destra erano tinti d'inchiostro. E quella macchia d'inchiostro? Ecco... dir... rispose il ragazzo cercando una scusa che stamani ho dovuto ricopi are il componimento... e la penna era tanto cattiva... Poi, non ho mai sentito d ire che l'inchiostro sia una cosa sudicia. Finch l'inchiostro nel calamaio replic il Dottore non davvero una cosa sudicia; m quando lo vedo sulle dita dei ragazzi, dico la verit, non m' parsa mai una cosa m olto pulita. Non mangiarti le unghie, non grattarti il capo... Giannettino, lesto lesto, si port le due dita macchiate alla bocca, per lavarsele con la saliva. Fermati! gli grid il Dottore. In codesto caso il rimedio peggio del male. Perch? Perch non sta bene lavarsi le mani con la saliva. Andiamo avanti: e le unghie? A questa domanda inaspettata, Giannettino torn a nascondersi le mani, e rispose u n po' confuso: Le ripulisco tutte le mattine, ma dopo cinque minuti mi si anneriscono daccapo.. . E perch non porti in tasca un fuscello, o uno stecchino d'osso per potertene serv ire al bisogno? Ha ragione: lo far. In quanto alle unghie, ho notato in te un altro brutto vizio. E sarebbe? Quello di mangiartele. Sta' un po' a vedere che non sar nemmeno padrone di mangiarmi le unghie!... Mangi

o forse la roba degli altri? Io ti ripeto che un brutto vizio, e che bisogna correggersi per tempo... Ebbene, mi corregger... disse Giannettino; e senza avvedersene, si avvicin l'unghi a del pollice alla bocca. Gi quel dito! grid il Dottore. A quell'urlo il ragazzo ritir la mano con tanta velo cit, come se se la fosse scottata; poi soggiunse: E proprio destino! Si dice di volersi correggere di un difetto; e subito ci si r icasca... E che bisognerebbe avere... non so come dire... E che bisognerebbe che tutti i ragazzi avessero... E poich non gli riusciva di trovar la parola, Giannettino cominci a grattarsi il c apo. Ecco un altro vizio bruttissimo disse il dottor Boccadoro. Quale? Quello di grattarsi il capo. Lo so; anche la mamma mi sgrida sempre... ma come si fa? Basta che io cerchi una parola... e che questa parola non mi voglia venire, la prima cosa che faccio, p roprio senza avvedermene, quella di grattarmi... E credi che a grattarsi il capo vengano le parole? replic il Dottore ridendo. Nossignore, non dico questo... Bisogna insomma, Giannettino, che tu ci stia attento, e molto; perch quel grattar si il capo un atto sconvenientissimo... e che pu far nascere dei sospetti e mette re di malumore tutte le persone che ti stanno accanto... Ha ragione! non ci avevo mai pensato! Dunque, riepiloga e scrivi disse il Dottore, pigliando il garbo di un maestro ch e detta la lezione: Viso pulito. Mani e unghie sempre pulite. Non lavarti le mani con la bocca. Non pulirti le unghie n a tavola, n in faccia alle persone, e non roderle con i den ti. Pettina i tuoi capelli ma senza troppa ricercatezza; non perdere tempo dinanzi al lo specchio... _ Scusi, scusi lo interruppe Giannettino smettendo di scrivere. Non devo dunque guardarmi nello specchio? _ Ho detto: non perdere tempo dinanzi allo specchio, a vagheggiarti, a farti la divisa, il ciuffo, i riccioli. Per gli antichi lo specchio era simbolo d'una virt, la prudenza; per i moderni in vece simbolo di un difetto, la vanit. Anzi, a rappresentare la vanit, spinta all'e ccesso, gli antichi inventarono la favola di Narciso, che, specchiandosi ad una fonte, s'innamora della propria bellezza e muore. Doveva essere molto stupido! esclam Giannettino. T'ho detto che un racconto favoloso... Dunque concludiamo. Un uso discreto dello specchio, te lo permetto anche tutti i giorni; ma ti raccomando di consultarlo specialmente quando ti fai prendere dalla collera, quando ti senti pungere dall' invidia o quando hai commesso una cattiva azione. Anche Socrate, il sapiente ant ico, consigliava di guardarsi nello specchio nei momenti nei quali l'animo turba to da qualche malvagio sentimento... E ora seguitiamo e scrivi: Camicia pulita e vestito sempre decente. Intendiamoci bene: la camicia per esser pulita non c' bisogno che sia di cambr fine o di tela batista; e la giacchettina, per esser decente, non importa averla di panno o di velluto di seta. Alle volte per le campagne si vedono dei ragazzetti andare a scuola con la loro camicia di filo grosso di canapa e col loro giubbettino di lana o di bordatino: avranno, ma gari, le toppe ai gomiti e i calzoni pieni di rammendi; eppure, a vederli, appai ono pi lindi di tanti altri ragazzi della citt, vestiti di roba fine e costosa, ma tutti frittellosi, sgualciti e sbrindellati. Non grattarti mai n in testa n altrove. Non metterti mai le dita in bocca, e tanto meno nel naso. Non sdraiarti sulle seggiole; non ti prendere i piedi in mano; non sbadigliare ru morosamente; non soffiarti il naso con fracasso, e quando te lo sei soffiato, no n ti lasciar vincere dalla brutta curiosit di guardare nel fazzoletto.

Procura di non sbadigliare e di non far versacci d'impazienza in faccia alle pers one con le quali parli. Non tossire n starnutire sul viso alla gente: e se ti accade di non poterti tratte nere, ricordati di voltare il viso da un'altra parte e di metterti una mano sull a bocca. A teatro non essere mai il primo a battere le mani, o a disapprovare; e quando gl i attori o i cantanti sono sulla scena, ricordati di non ridere troppo forte e d i non parlare a voce troppo alta. Non ti prendere mai confidenze con le mani; nemmeno con gli amici e coi ragazzi d ella tua et, e nemmeno con l'intenzione di fare una carezza o uno scherzo innocen te. Tieni le mani sempre a posto disse il Dottore e te ne troverai bene. A tavola non mangiar troppo, n troppo in fretta; non porgere mai il tuo piatto pri ma degli altri; non sbrodolarti le mani e i vestiti; non mettere sgarbatamente i gomiti sulla tavola. Quando ti trovi in compagnia di gente da pi di te cerca di parlar poco, di non int errompere i discorsi degli altri, e di non metter bocca nelle cose delle quali n on t'intendi. Non dare mai delle risposte troppo recise e insolenti. Alle persone, con le quali parli, non dir mai: Questo non vero. impossibile. Non pu essere. Questa una menz ogna. Ma, se credi di aver ragione di opporti, serviti piuttosto di altri modi n on offensivi e pi gentili, e che in fondo dicono lo stesso; per esempio: Mi pare che la tal cosa non stia precisamente cos. Io dubito che tu sia stato male inform ato. Non fo per contraddirti, ma credo che la cosa sia andata diversamente. Scherzando con gli amici, non ti abituare a far uso di parolacce scorrette, perch c' il caso che ti scappino dette anche quando non le vorresti dire. Mostrati cortese e bene educato con tutti: e soprattutto coi sottoposti, con la g ente di servizio e con le persone da meno di te. l'unica maniera per essere risp ettato da tutti. Quando parli con una persona, non ti dondolare, come fanno le lampade attaccate a l soffitto; non ti piegare da una spalla o dall'altra; non ti appoggiare di qui o di l, ma procura di star sempre diritto. Se hai bisogno di scomodare qualcuno, o di passargli davanti, ricordati di dir se mpre con buona maniera: Scusi, Abbia pazienza, Se mi permette. A proposito di doveri La sera successiva, appena Giannettino rivide il dottor Boccadoro, gli and subito incontro e gli disse: Sa una cosa? quei ricordi che ella mi dett sulle buone creanze e sul modo di star e in questo mondo da persone educate e per bene, li ho imparati tutti a memoria. Vuole che glieli rip eta? Sentiamoli. Bravo! esclam il Dottore dopo che ebbe ascoltato quella ripetizione ma ricordati che certe cose non basta impararle a mente: la parte pi difficile e pi importante quella di ricordarsele a tempo e luogo e di saperle mettere in pratica. Si capisce! esclam Giannettino. Non c' dunque pericolo che tu faccia come un certo mio compagno di scuola, e prop rio nella quarta classe elementare, la quale ai miei tempi era l'ultima... Allora parecchi anni fa. Eh, figurati! Una quarantina almeno. Ora anche lui ha i capelli bianchi come me. .. Ma lei non li ha bianchi. Se mai, sono pepe e sale... S, con molto sale. E che fece quel ragazzo? Senti: Piccolo Padre Zappata Di solito il nostro maestro cominciava la sua lezione o con la revisione dei com piti o con la lettura; ma una mattina, appena si fu messo a sedere al suo banco, disse cos: Facciamo un po' di riassunto su quanto abbiamo detto fin qui intorno ai nostri do

veri. Sentiamo te, Marinuzzi soggiunse rivolto a quel mio compagno che sedeva ne l primo banco Qual l'ordine dei nostri doveri? Il Marinuzzi, pronto e sicuro di s, rispose: Dio, l'Umanit, la Patria, la famiglia, noi stessi. Benissimo! esclam il maestro. Gi, lo studio dei doveri, lo so, il tuo forte. Il ragazzo gongol, e sorridente e soddisfatto pass in rivista rapidamente le facce di tutti noi, suoi compagni di scuola. Parliamo particolarmente continu il maestro dei doveri verso la famiglia, anzi del la gratitudine che devono i figli ai genitori. Sai dirmi in che consiste questo sentimento di gratitudine? Nel conservare caro e continuo il ricordo dei benefizi ricevuti. Ma benone!... E perch dobbiamo gratitudine ai genitori? Perch essi ci hanno allevati, nutriti, educati; perch spesso hanno dovuto soffrire e sacrificarsi per noi. Ma bravo! Non si potrebbe rispondere con pi prontezza e precisione. E il Marinuzzi a sorridere di nuovo, tutto contento di quelle lodi; e di nuovo a guardare in faccia noi compagni che lo ammiravamo. Ora dimmi seguit il maestro come si dimostra ai genitori questo sentimento di grat itudine. Il Marinuzzi rispose cos bene, che ci fu tra noi un tentativo di applauso, impedi to a tempo dal maestro. Stupendamente! Non si potrebbe rispondere meglio di cos! badava a dire il maestro. Tu li conosci i doveri dei figli verso i genitori, ma... c' un ma, e questo ma.. . eccolo qui. Si tolse di tasca un foglietto, lo spieg e lo lesse. Era una lettera della madre del Marinuzzi. La povera donna, non potendone pi, rac contava al maestro che quel suo figliuolo era cos disubbidiente, che ella pi d'una volta ne aveva pianto. E pregava caldamente il maestro di mortificare quel catt ivo innanzi a tutti noi, e di adoperare tutta la sua autorit per vedere di miglio rarlo almeno un poco. Com' facile immaginare continu a dire il Dottore a misura che il Maestro procedeva nella lettura, l'aria di trionfo e di baldanza spariva dalla faccia del Marinuz zi. E quando quella lettura termin, il ragazzo stava a capo basso, immobile e con gli occhi a terra, fatto bersaglio agli sguardi di tutti noi, che, per dire la verit, eravamo stupiti e anche addolorati, perch volevamo bene a quel compagno. E dopo un breve silenzio il Maestro disse: Sicch tu, Marinuzzi, hai creduto finora che io ti insegnassi i tuoi doveri solamen te per il gusto di sentirteli poi ripetere come esercizio di memoria? Ma io te l i ho insegnati perch tu li mettessi in pratica; se no, queste lezioni sarebbero u na perdita di tempo. Tu fai precisamente come quel certo Padre Zappata, che pred icava bene e razzolava, male. Dopo un altro breve silenzio, il Maestro scese dal banco, e avvicinatosi al Mari nuzzi, gli porse la lettera della madre, dicendogli: Tieni: conservala tu. Tra un anno la renderai a tua madre e le dirai: "Ecco la le ttera che tu scrivesti con tanto dolore, che io sentii leggere con tanta vergogn a, ma che mi ha fatto tanto bene! In un anno non ti ho dato pi motivo di lagnarti di me: dunque ora puoi distruggerla. Il Marinuzzi prese la lettera. Lo farai? gli domand il maestro. S, rispose il ragazzo sempre a capo basso. Ti senti dunque la ferma volont di adempiere tutti i tuoi doveri verso il babbo e la mamma? S. Guardami. Il Marinuzzi alz la faccia: il maestro lo guard e disse ponendogli la mano sul cap o: Ti credo! La promessa del Dottore Oh, io non far davvero come quel Marinuzzi! esclam con risolutezza Giannettino. Io

non sar un Padre Zappata. Il dottor Boccadoro fu tanto soddisfatto della buona piega presa da Giannettino, che gli promise di condurlo la sera seguente alla Lanterna Magica. Ma aggiunse ad un patto. Come? un altro patto? esclam Giannettino diventando subito di cattivo umore. Sicuro! un altro patto; ed ecco quale: tu fai ora la quarta, bench alla tua et avr esti dovuto aver finito da un pezzo le classi elementari; ma lasciamo correre! P er, siccome non si pu cominciar bene una classe se non siamo sicuri di aver beh ca pito quello che il maestro ha insegnato nella precedente, cos non ti avrai a male se io ti far delle interrogazioni su quanto ti venne insegnato in terza... Oh! ma lei vuol farmi fare un altro esame. Si figuri che ho ancora addosso la tr emarella che mi prese in luglio davanti al presidente della Commissione, un sign ore vecchiotto con tanto di barba ed un vocione profondo. Ah! non mi ci rimetto in simili impicci, io. Ho il mio bravo certificato di promozione... Con tanti sei e un sette solo! interruppe la signora Sofia. Il certificato, ad ogni modo, me lo guadagnai riprese Giannettino rannuvolandosi . I sei piovvero per colpa di quella benedetta tremarella... E poi... e poi la C ommissione fu severa, ed il maestro ce l'aveva con me... - Eh via! Sono le solite scuse, anzi le solite cattiverie degli scolari sbuccion i! ammon il Dottore. Giannettino, imbronciato, abbass il capo, facendo una leggera spallata. Un tal atto non sfugg al Dottore, che disse calmo: Questo sarebbe, carino mio, il caso ed il momento della frustata al puledro! Due lucciconi fecero capolino negli occhi dolenti di Giannettino, e gli corsero sulle guance rosse, mentre la signora Sofia esclamava con tristezza: Povera me! E dette in un gran sospiro di sgomento, che arriv proprio al cuore di Giannettino . Ci furono alcuni minuti di silenzio. Poi il dottor Boccadoro, domand: Ebbene, accetti il patto? E Giannettino: Come vuole... s... ma per domani. E lo disse con un leggero tremito di voce, alza ndo timidamente la testa e fissando i suoi occhi umidi verso il Dottore. Bene, bene! A domani sera, dunque. Io verr per tempo, e se la prova riuscir, subit o dopo andremo a vedere la Lanterna Magica. 4 LA LANTERNA MAGICA Il dottor Boccadoro era stato per parecchi anni medico condotto in un piccolo Co mune dell'Appennino toscano, e per molto tempo vi aveva esercitato anche l'uffic io di soprintendente scolastico. Arrivando la sera dopo in casa di Giannettino, a cui voleva un gran bene, perch f iglio di un suo vecchio amico, entr nel salotto fregandosi le mani, e disse: Eccomi puntuale: ogni promessa debito. Tu, Giannettino, non avrai cambiato parer e, eh? Il fanciullo, che aveva ripreso, pare impossibile, la sua solita vivacit e pronte zza, rispose franco: Proviamo! S'incomincia Bene! Sediamo. E sedettero entrambi alla tavola tonda del salotto, mentre la signora Sofia, per non dar loro soggezione, spieg un giornale che aveva ricevuto allora allora, e s i mise a leggere. Il Dottore, preso il lapis, tracci sopra un foglio di carta un disegno in forma q uasi di cuore, e poi cominci: Supponiamo che questo mio informe disegno raffiguri esattamente la regione Tosca na. Qui, a sinistra, cio a...? Ponente rispose pronto Giannettino. Bravo! A ponente, dunque segner?... Il mar Tirreno, ed a levante gli Appennini. Bene! Ora io faccio nell'interno di questa regione un piccolo tondo per fissare

la citt principale della Toscana. Qual ? Firenze, ove nacque Dante Alighieri, il pi grande fra i poeti italiani. E puoi aggiungere che Firenze, per le sue bellezze artistiche e naturali, una de lle citt pi meravigliose d'Italia. Le sue chiese e i suoi palazzi sono tanti capol avori; le sue gallerie e i suoi musei godono una fama mondiale. E il Dottore continu a interrogare Giannettino, il quale, spinto dal vivo desider io di farsi condurre alla Lanterna Magica, aveva imparato, ma un po' a pappagall o, quelle cosucce e alla meglio riusciva a cavarsela. Dopo aver parlato delle ricchezze naturali del suolo della regione toscana e del le condizioni dell'industria e del commercio, il dottor Boccadoro termin, com'era suo costume, con alcune sagge massime che aveva sempre pronte e sempre a propos ito: Il lavoro ricchezza, Il lavoro nobilita, Il tempo denaro, Uomo sollecito no n fu mai povero. Un po' di riposo A questo punto Giannettino non stava pi nella pelle dalla gran voglia di andare a lla Lanterna Magica, e scosso dal tic tac dell'orologio a pendolo, che era sulla parete dirimpetto alla tavola, diede un'occhiata significativa al quadrante. Il Dottore se n'avvide, e gli disse, sorridendo: - Non aver fretta: sono appena le sette, e fino alle otto lo spettacolo non inco mincia. E poi, dalle tue risposte incerte, io non posso ancora decidere se merit i o no di venirci, come ti ho promesso. Per ora, un poco di riposo: anzi, ti per metto dieci minuti di moto, e poi un'altra mezz'oretta di prova. Tanto, il teatr o non molto lontano di qui. Fare un po' di moto! Giannettino non se lo fece dire due volte. Aveva l'argento vivo addosso, l'abbiamo gi detto; onde, appena il Dottore ebbe finito di parlare, e fu uscito dalla stanza, in men che non si dica Giannettino fece due, tre diec i salti nel salotto; poi, come un baleno, lo percorse in giro, al galoppo. Trema rono tutti i vetri delle finestre: pareva che fosse il finimondo. La signora Sof ia, con quel fracasso, non pot continuare la lettura del suo giornale; ed il paci fico Buricchio, che era accoccolato ai piedi della padrona, s'impauri talmente c he, nella furia di scappare, batt la testa nell'uscio del salotto. Il fanciullo lo vide, e proruppe in una risata cos rumorosa, che raddoppi i terror i del gatto, il quale, prendendo la rincorsa attraverso le stanze, si credette a ppena in salvo in fondo al corbello della brace, ch'era in cucina. Quel riso clamoroso fu come l'ultimo razzo di un fuoco d'artificio; ma la calma dur poco. Giannettino, avvicinatosi alla tavola, prese gli occhiali della mamma, e se li mise sul naso, tenendo la testa all'indietro, perch non cadessero; si mis e in capo il cappello del Dottore, che gli dondolava come un pendolo, gli prese il bastone e camminando lentamente, con comica gravita, sporgeva il petto e batt eva, ad ogni passo, la punta della mazza, sul pavimento. Fece cos il giro della s ala, e poi, mettendosi il bastone sotto il braccio destro, spieg il giornale e le sse nella quarta pagina, con voce nasale e stentorea: Non pi calli! Guarigione in fallibile e garantita! Rimedio di incontrastata ed incontrastabile efficacia! Ciarlatanerie!... interruppe il dottore rientrando. Ciarlatanerie per i gonzi che si lasciano ingannare dai paroloni.... I ciarlatan i e le ciarlatanerie ci sono sempre stati: ma non si mai fatto tanto spreco di s trombazzature, di specchietti da allodole quanto ai nostri giorni, nonostante il nostro vantato progresso morale e civile. L'invenzione pi semplice, e spesso inu tile, se non ingannevole, viene annunciata con grandi manifesti, nei quali per s olito spicca una figura umana o un Icone che lecca una scatola, o un'aquila che stringe fra gli artigli, volando, una bottiglia, o si vedono altre figure anche pi esagerate. La gente passa, si arresta, osserva, e colpita dagli smaglianti car telloni e dai superlativi insuperabile, miracoloso, non plus ultra, corre a comp rare l'unguento che gli sciuper la pelle, l'estratto che gli sgretoler lo smalto d ei denti, la pillola o la polverina che finir di guastargli lo stomaco. E questa pubblicit smaccata sui muri e sui giornali si fa per ogni cosa nuova o r imessa a nuovo: per la vernice da scarpe e un lavoro letterario, per una scatola di fiammiferi e un'opera musicale, per una corsa podistica e una conferenza d'a rte o di scienza...

Finalmente si va! L'orologio del salotto batt le sette e tre quarti, e il Dottore, alzatesi, disse: Vogliamo dunque andare alla Lanterna Magica? Giannettino fece un salto dalla gran contentezza: - Arrivederci, mammina. - Addio, caro; e sii buono. - Non dubitare. In pochi momenti si trovarono dinnanzi al baraccone della Lanterna Magica, ed en trarono. La platea era piena, stipata di babbi e di un nuvolo di ragazzi di ogni et, i qua li, cinguettando tutti insieme, facevano con le loro voci squillanti e argentine un tal chiasso da mettere in pericolo il soffitto della sala. Quella sera si rappresentava la Creazione del mondo. Giannettino, un po' con le buone maniere e un po' coi gomiti, seppe lavorare cos bene, da trovarsi un posticino in mezzo a un gruppetto di giovinetti, la maggior parte suoi conoscenti e suoi compagni di scuola. Accanto a lui vi era, fra gli altri, un fanciulletto di circa nove anni, biondo come una spiga di grano maturo, con un viso bianco e rosso come una melarosa, co n la bocca sempre mezza aperta e sempre ridente, e con due labbra fresche e verm iglie, che parevano due fragole colte allora allora e messe l'una sull'altra. Questo bambinetto aveva nome Arturo; ma poich era minuto di fattezze e alto, come suol dirsi, come un soldo di cacio, cos Giannettino, per la sua smania di metter e il soprannome a tutti, lo chiamava Minuzzolo. Guarda chi c'! c' Minuzzolo grid Giannettino, indicandolo col dito e ridendogli sul viso in atto di canzonatura. Che cosa ci fai qui? ti pare che la Creazione del m ondo sia pane per i tuoi denti? Sicuro! rispose Arturo pi per i miei denti che per i tuoi. Se non fosse altro, la Creazione del mondo io la so tutta a memoria, e tu non la sai!... Te la posso insegnare! E io scommetto che non la sai! Scommettiamo mille scudi! grid Giannettino. Scommettiamoli pure rispose Minuzzolo ma poi chi li paga? A quest'uscita, tutti i ragazzi, che erano l intorno, scoppiarono in una grandiss ima risata. Giannettino, trovandosi oramai compromesso agli occhi dei suoi compagni, dovette accettare per forza la sfida, e cominci cos: La Creazione del mondo. Iddio fece il cielo e la terra... Ecco subito uno sproposito grid Minuzzolo scattando ritto in piedi, come se avess e avuto sotto la seggiola un saltaleone. E dove lo sproposito? domand Giannettino, turbandosi e facendo il viso cattivo. Tu hai detto: Iddio fece, E come dovevo dire? Dovevi dire Iddio cre il cielo e la terra. E fare e creare non forse la stessa cosa? Nossignore, che non la stessa cosa: perch anche il maestro, se te lo ricordi, c'i nsegn che altro fare altro creare. Il cappellaio, col pelo del castoro o con la f elpa, fa i cappelli; il legnaiuolo col legno fa le seggiole e gli armadi; il sar to col panno fa i vestiti; il pasticcere e qui il ragazzo tir fuori la lingua e s i lecc le labbra con la farina, con le uova e con lo zucchero fa i pasticcini: in somma, tutti abbiamo bisogno d'una materia o di un'altra per poter fare qualcosa . Iddio invece non ha bisogno di nessuna materia. Iddio trasse il mondo dal null a: e questo appunto si chiama creare. Dio solo pu creare: e perci Dio solo creator e. _ Bravo Arturino! gridarono i compagni battendo le mani. La prima veduta Appena Minuzzolo ebbe finito, il direttore d'orchestra dette il segnale della si nfonia. L'orchestra non era molto numerosa: tre suonatori in tutto: un clarinetto, un ta mburo e un uomo che faceva il violino con la bocca. Dopo la sinfonia furono spenti i lumi, e il teatrino rimase

al buio. Allora cominci lo spettacolo. La prima veduta a quadro trasparente raffigurava le tenebre, ossia un gran buio come quello delle nottate d'inverno, quando non c' n luna, n stelle, n lampioni acce si. In mezzo a questo buio si vedeva una macchia pi nera dell'inchiostro: e quella ma cchia era la Terra. A poco a poco la Terra cambi colore e, da nera, si fece verdolina chiara... e poi pi verde; e sempre pi verde; finch si videro spuntare l'erba, i fiori e gli alberi d'ogni specie. Gli alberi nascevano piccini piccini, e crescendo a vista d'occhio diventavano g randi come piante di limoni. Tutt'a un tratto brill una gran luce, e il teatro apparve illuminato come di gior no. Oh bene! ecco il Sole! gridarono tutti i ragazzi nella platea. La questione sui pesci Mentre la prima veduta si scioglieva a poco a poco come nebbia soffiata dal vent o, un'altra ne usciva fuori a rappresentare l'acqua del mare; e nell'acqua si ve deva un brulicho di pesci, di tutte le forme e di tutte le grandezze, i quali sco dinzolavano e boccheggiavano cos bene che parevano proprio vivi e da potersi pren dere, magari, con le mani. Guarda quel pesciolino che passa ora diceva un bambino scommetto che una triglia !... Ma che triglia! ripigliava un altro e io scommetto che un'acciuga. Un'acciuga? Ma non vedi che ha il capo? Se fosse un'acciuga sarebbe senza capo.. . Hai ragione!... non ci avevo pensato!... Ecco una sogliola! grid Giannettino, vedendo un pesce biancastro, luccicante e sc hiacciato come una mestola da muratori Come mi piacciono le sogliole!... A me piacciono pi le anguille disse un ragazzetto accanto. Vuoi mettere le anguille in confronto alle sogliole? Secondo i gusti! Ma che gusti?... bisogna non aver palato. E l, una gran questione fra i due ragaz zi, per sapere se fosse migliore la carne di sogliola o quella d'anguilla. Facciamola decidere al gran Minuzzolo disse Giannettino, col solito tono canzona torio. Minuzzolo, tu che sei un gran professore e che conosci a menadito anche l a Creazione del mondo... qual fra tutti i pesci quello che ti piace di pi? Il pollo arrosto disse Minuzzolo. E tutti risero. Cos al povero Giannettino accadde anche questa volta quel che tocc ai pifferi di m ontagna: che andarono per sonare e furono sonati. 5 LA FESTA DI NATALE Al pranzo del giorno di Natale in casa di Giannettino presero parte, come faceva no da parecchi anni, anche il capitano Ferrante e il dottor Boccadoro. Alla fine del pranzo, dopo aver parlato di cose diverse, e in particolare della carit che in un giorno come quello tanto pi da raccomandarsi ed esercitarsi, il Do ttore prese a dire cos: La storia che vi racconto oggi, non una di quelle novelle come se ne raccontano tante, ma una storia vera, vera, vera. Dovete dunque sapere che la contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuto benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina. Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni; Alberto, il secondo, ne finiva sette, e Ada, la minore di tutti, era entrata appena nei s ei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di pi a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.

La Contessa passava molti mesi dell'anno in una sua villa, e non lo faceva gi per divertimento, ma per amore dei suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di un a salute molto delicata. Finita l'ora della lezione, il pi gran divertimento di Luigino era quello di cava lcare un magnifico cavallo sauro,un animale pieno di vita che sarebbe stato capa ce di fare cento chilometri in un giorno, se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cio, di essere un cavallo di legno! Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola; e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manci ata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo: Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza! I lupini li manger io. Addio a domani, e dormi bene. E perch il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra un materassino ri pieno di ovatta; e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire a pposta dal tappezziere di casa. Alberto, il fratello minore, aveva un'altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, muoveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero; e per essere un uomo vero, non gli mancav a che una cosa sola: il parlare. Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva farsi una ragione del perch il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, ave sse preso la cocciutaggine di non voler discorrere come discorrono tutte le pers one per bene, che hanno la bocca e la lingua. E fra lui e il Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un ta ntino risentiti, sul genere di questo: - Buon giorno, Pulcinella, gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo f uori dal piccolo armadio dove stava riposto. Buon giorno, Pulcinella. E Pulcinella non rispondeva. - Buon giorno, Pulcinella, ripeteva Alberto. E Pulcinella zitto, come se non dicessero a lui. - Suvvia, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella. E Pulcinella, duro. Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso diceva Alberto un po' stizzi to. E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava. Ma perch gridava Alberto arrabbiandosi sempre di pi ma perch se ti dico guardami a ra mi guardi; e se ti dico buon giorno non mi rispondi? E Pulcinella, zitto. Brutto dispettoso! Alza subito una gamba! E Pulcinella alzava una gamba. Dammi la mano! E Pulcinella gli dava la mano. Ora fammi una bella carezzina! E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso. Ora spalanca tutta la bocca! E Pulcinella spalancava una bocca che pareva un forno. Di gi che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno. Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva l a bocca aperta, fermo e intont ito, come, generalmente parlando, il vizio di tutti gli uomini di legno. Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizio che proprio di molti ragazzi, comin ci a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare n rispondergli , perch era indispettito con lui. Indispettito!... e di che cosa? Forse di veders i mal vestito, con un cappellaccio di lana bianca in capo, una carnicina tutta s brindellata, e un paio di calzoncini cos corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba. Povero Pulcinella! disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di

un accattone... ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allor a potr rompere il mio salvadanaio, e con quei quattrini, voglio farti una bella g iubba, mezza d'oro e mezza d'argento. Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa era so lita regalare ai suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s'intende b ene, del loro buon comportamento. Questi soldi andavano in tre diversi salvadana i: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello di Ada. Otto giorni pri ma delle feste di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi denari che vi si trov avano dentro, tanto la bambina come i due ragazzi erano padronissimi di comprars i qualche cosa di loro genio. Luigino, com' naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, una bella gualdrappa da potergli getta re addosso quando era sudato. Ada che aveva una bambola pi grande di lei, non vedeva l'ora di'farle un vestitin o di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate p er andare alle feste da ballo. In quanto al desiderio di Alberto, facile immaginarselo. Il suo vivissimo deside rio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli veri. Intanto il Natale s'avvicinava, quand'ecco che una mattina mentre i due fratelli ni con la loro sorellina andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovar ono dinnanzi a una casupola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c'era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo t remava come una foglia. Zio Bernardo, ho fame!... disse il bambino con una voce sottile sottile, voltand osi appena con la testa verso l'interno della stanza terrena. Nessuno rispose. In quella stanza terrena c'era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbac cia rossa, che teneva i gomiti puntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani . Zio Bernardo, ho fame!... ripet dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena. Insomma vuoi finirla? grid l'uomo dalla barbaccia rossa. Lo sai che in casa non c ' un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo! E nel dir cos, quell'uomo bestiale si lev dal piede uno zoccolo e glielo tir. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colp al capo. Allora Luigino, Alberto e Ada, commossi da quella scena, tirarono fuori alcuni p ezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliuolo. Ma il bambino, prima si tocc con la mano la ferita del capo, poi, guardandosi la manina tutta insanguinata, balbett a mezza voce piangendo: Grazie... ora non ho pi fame... Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma: e di quel caso se ne parl per due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si fin per dimenticarlo e per non parlarne pi. Alberto solamente non se l'era dimenticato: e tutte le sere, andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva crogio landosi fra il calduccio delle lenzuola: Oh come dev'essere cattivo il freddo! Brrr... E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte: Oh come dev'essere cattivo il freddo! si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina. Pochi giorni dopo, accadde che Alberto incontr per le scale di cucina Rosa, l'ort olana, che veniva a vendere le uova fresche alla villa. Sor Albertino, buon giorno, signora, disse Rosa quanto tempo che non passato dall a casa dell'Orco? Chi l'Orco? Noi chiamiamo con questo soprannome quell'uomo dalla barbaccia rossa, che sta la ggi sulla via maestra. Dimmi, Rosa, il suo bambino che fa?

Povera creatura, che vuol che faccia?... E rimasto senza babbo e senza mamma, ne lle mani di quello zio Bernardo... Che dev'essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non vero? soggiun se Alberto. Purtroppo! Meno male che domani parte per l'America, e forse non ritorner pi. E il nipotino lo porta con s? Nossignore; quel povero figliuolo l'ho preso con me, e lo terr come se fosse mio. Brava Rosa! A dir la verit gli volevo fare un vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono a corto di quattrini. Se Dio mi d vita, lo rivestir alla meglio in prima vera. Alberto stette un po' soprappensiero, poi disse: Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui alla villa: ho bisogno di vede rti. Non dubiti. Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammenta to: il giorno cio, in cui si celebrava solennemente la rottura dei tre salvadanai . Luigino trov nel suo salvadanaio dieci lire; Ada trov nel suo undici lire, e Alber to vi trov nove lire e mezzo. Il tuo salvadanaio gli disse la mamma stato pi povero degli altri due; e sai perc h? perch in quest'anno tu hai avuto poca voglia di studiare. La voglia di studiare l'ho avuta replic Alberto ma bastava che mi mettessi a stud iare, perch la voglia mi passasse subito. Speriamo che quest'altr'anno non ti accada lo stesso soggiunse la mamma; poi vol gendosi a tutti e tre i figli seguit a dire: Da oggi a Natale, come sapete, vi so no otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi padronissimo di fare l'uso che vorr dei denari trovati nel proprio salvad anaio. Quello poi, di voialtri, che sapr farne l'uso migliore, avr da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Luigino, pensando ai ricchi finim enti e alla gualdrappa, che aveva ordinato per il suo cavallo. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Ada, pensando alle belle scarpine da ballo, che aveva ordinate al calzolaio per la sua bambola. Il bacio tocca a me di certo! disse dentro di s Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella. Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sent la voce della Rosa, che, chiama ndolo a voce alta dal prato della villa, gridava: Sor Alberto! sor Alberto! Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so; ma so che quella buo na donna, nell'andarsene, ripet pi volte: Sor Albertino, creda a me: lei ha fatto proprio una carit fiorita, e Dio mander de l bene anche a lei e a tutta la sua famiglia! Otto giorni passarono presto; e dopo otto giorni arriv la festa di Natale. Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre fi gli: Oggi Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai . Ricordatevi intanto che quello di voialtri che li avr spesi meglio, ricever da m e, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino: tu sei il maggiore e to cca a te essere il primo. Luigino usc dalla sala, ritorn quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di l egno, ornato di finimenti cos ricchi, e d'una gualdrappa cos sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani. Non c' che dire osserv la mamma, sempre sorridente quella gualdrappa e quei finime nti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto: il difetto, cio, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te. No, no grid il ragazzetto, turbandosi leggermente prima di me, tocca ad Ada. E Ada, senza farsi pregare, usc dalla sala, e dopo poco rientr tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l'ultimo figurino .

Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo! disse Ada compiacendosi di mettere i n mostra la graziosa calzatura della sua bambola. Quelle scarpine sono un amore! replic la mamma. Peccato per che debbano calzare i piedi d'una povera bambina fatta di cenci e di stucco; e che non sapr mai ballare! E ora, Alberto, vediamo un po' come tu hai speso le nove lire e mezzo che hai tr ovate nel tuo salvadanaio. Ecco... io volevo... ossia avevo pensato di fare..., ossia credevo... ma poi ho creduto meglio... e cos oramai l'affare fatto, e non se ne parli pi. Ma che cosa hai comprato? Non ho comprato nulla. Sicch avrai sempre in tasca i denari? Ce li dovrei avere... Li hai forse perduti? No. E, allora, come li hai spesi? Non me ne ricordo pi. In questo mentre si sent bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse: permesso? Avanti! Apertasi la porta, si present sulla soglia... indovinate chi? Si present la Rosa, che teneva per la mano un bambinetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuov o, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e ai piedi un paio di stivale tti di pelle bianca da campagnolo. tuo Rosa, questo bambino? domand la Contessa. Ora lo stesso che sia mio, perch l'ho preso con me e gli voglio bene, come a un f igliuolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo n on lo patisce pi perch ha trovato un angelo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi. E chi quest'angelo di benefattore? chiese la Contessa. L'ortolana si volt verso Alberto, e guardandolo in viso e indicandolo alla sua ma mma, disse tutta contenta: Eccolo l. Alberto divent rosso come una ciliegia; poi rivolgendosi impermalito a Rosa, comi nci a gridare: Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!... Scusi, ma c' forse da vergognarsi per aver fatto una bell'opera di carit come la s ua? Chiacchierona! chiacchierona! chiacchieronaccia! ripet Alberto, arrabbiandosi sem pre pi; e tutto stizzito fugg via dalla sala. La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiam pi volte: ma siccome Alberto no n rispondeva, allora si alz dalla poltrona e and a cercarlo dappertutto. Trovatelo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracci amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno pi di cento. 6 LE MARIONETTE Giannettino, se ve lo ricordate, aveva promesso al dottor Boccadoro di volersi c orreggere dei suoi molti difetti. Ma altro il promettere, altro il mantenere. E quando i ragazzi hanno fatto tanto di prendere dei vizi e delle brutte pieghe, torna quasi impossibile, anche badandovi, che arrivino a sapersene emendare da un giorno all'altro. E per questo motivo sarebbe bene che i ragazzi tenessero a mente un vecchio dett o che dice cos: A prendere un vizio, ci vuol poco o nulla: basta la forza di un canarino; mentre poi a liberarsene bisogna fare una sudata, peggio che a tirar l'alzaia. Ad ogni modo conviene rendere a Giannettino questa giustizia: era migliorato mol to da quello d'una volta. In certi momenti pareva un altro ragazzo.

Quando si trovava in compagnia con persone da pi di lui, stava composto e perbene . Tutte le volte che entrava in casa d'altri non si scordava mai di levarsi il cap pello. Non si ficcava pi le dita negli stivaletti. Aveva il vestito quasi sempre lindo e le mani quasi sempre pulite. Ma in quanto a molti altri viziarelli, vi ricascava... e vi ricascavi spesso: co me, per esempio, il vizio di grattarsi, quello d mangiarsi le unghie, e quell'alt ro di rispondere qualche volta sgarbatamente. Il Dottore lo sgridava, e Giannettino prometteva che non l'avrebbe fatto pi, ma p oi s'era daccapo alle solite storie. Lascia correre La brutta abitudine di grattarsi cost, pochi giorni fa, a Giannettino, proprio a scuola, una canzonatura clamorosa che lo mortific non poco e lo fece montare in f uria. Il Maestro aveva dato un problema da risolversi in classe, come fa spesso, perch dei problemi risolti a casa si fida poco. Giannettino, il quale, come sappiamo, non ha mai veduto di buon occhio l'aritmet ica, non trovando la soluzione, ne soffriva, e via via si dava una grattatina. Il suo compagno di banco, Gigetto, che aveva quasi subito imbroccato il problema , si volse a Giannettino e gli disse per scherzo: Lascia correre! Non glielo avesse mai detto! Giannettino divent rosso come un gambero cotto e, mo strando il pugno, disse abbastanza forte: Guarda come parli, sai! perch io ne ho pochi di spiccioli! Che c'? che stato? domand il Maestro. Gigetto mi ha offeso; ma fuori me la paga. No, no: lei non gli far pagar nulla n qui n fuori di qui. Perch, se veramente l'ha o ffeso, penso io a punirlo. Signor Maestro, stato uno scherzo, senza intenzione di offendere. Siccome si gra ttava, io gli ho detto, ma cos per ridere; Lascia correre! A quella dichiarazione tutti gli alunni dettero in una gran risata, e Giannettin o, stizzito pi che mai, e non potendo sfogarsi, cominci a piangere. Ma poco dopo il Maestro lo calm dicendogli che Gigetto non aveva creduto affatto di offenderlo. Quando il dottor Boccadoro seppe quel fatto, il giorno dopo disse a Giannettino, vergognoso, s, ma non pi arrabbiato: Speriamo che la lezione ti giovi. Un nuovo patto Ma veduto che il ragazzo non si correggeva, allora il Dottore immagin un rimedio. Sapendo che Giannettino si struggeva da tanto tempo di avere una compagnia di ma rionette per farle recitare, gli disse un bel giorno: Ho comprato una scatola di marionette, di quelle finissime, fabbricate a Norimbe rga. Le vuoi? Si figuri!... rispose Giannettino; e stava per fare un salto dalla gran contente zza. E io te le do, ma, bene inteso, a un patto. Accetto tutti i patti. Il patto questo: le marionette sono ventiquattro; ma tu, ogni volta che ricasche rai in qualcuno dei tuoi soliti difetti, dovrai rendermene una. Sta bene. Bada! disse il Dottore, distendendo l'indice della mano destra bada, perch c' il c aso che fra pochi giorni non ti resti pi un solo attore di tutta la compagnia... E io credo invece replic Giannettino che fra un anno avr sempre tutta intera la co mpagnia... Vedremo chi la indovina. I principali attori di legno Il dottor Boccadoro, puntuale, mand il giorno dopo a Giannettino la grande scatol a, con dentro le ventiquattro marionette.

Quelle marionette (io le ho vedute e lo posso dire) erano tanti piccoli capolavo ri. Basti dire che muovevano le gambe, le braccia, la testa, il collo e qualcuna anc he la lingua. La signora Rosaura, ossia la prima attrice, grazie ad una macchinetta che aveva nel cervello, apriva e chiudeva i suoi grandi occhi di vetro turchino, tale e qu ale come fanno i gatti sdraiati al sole. L'amoroso, ovvero il signor Florindo, a tirargli un certo filo che gli corrispon deva alla bocca dello stomaco, sospirava come un soffietto. Il Tiranno poi metteva paura soltanto a guardarlo! Aveva un gran barbone color verde bottiglia; due baffi quasi gialli dalla gran b ile che lo rodeva in corpo, e un paio di sopraccigli cosi grossi e cosi neri, ch e parevano due chifelli messi a rinvenire in una tazza di cioccolata. Per via di un ordigno armonico, attaccato in fondo al filo delle reni, tutte le volte che il Tiranno si dondolava un poco sulla vita, cominciava subito a fare b au! bau!! bau!!!... proprio come fanno i tiranni nelle tragedie. I quattro compagni Figuratevi l'allegrezza di Giannettino! Senza mettere tempo in mezzo and subito a chiamare quattro suoi compagni di scuola, che stavano di casa accanto a lui. Questi compagni erano quattro fratelli, cio: Ernesto, Gigetto, Adolfo e Arturino, detto anche Minuzzolo; quello stesso che si era fatto tanto onore nel ridire a mente la Creazione del mondo. Fissarono la commedia da doversi recitare per prima: si distribuirono fra di lor o le parti; e la domenica dopo, in casa della signora Sofia, c'era, come suoi di rsi, teatro. La sala traboccava di gente, e gli applausi non finivano mai. Chiamati da grandi applausi, gli attori di legno venivano fuori, strisciavano un a bella riverenza al pubblico, e se ne tornavano dietro le quinte, saltellando e camminando per traverso, com' costume di tutti i grandi artisti di legno. Sul pi bello la Rosaura se ne va Per altro, ed era facile a prevedersi, dopo un corso appena di quattro o cinque recite, la compagnia drammatica del capocomico Giannettino si trov assottigliata di molto. Diciannove marionette, in poche settimane, erano tornate a casa del dottor Bocca doro. A Giannettino ne rimanevano cinque sole, cio: il Lelio, il Florindo, il Padre Nob ile, la Rosaura e il Tiranno. Bisogn allora mettere da parte le commedie, dove di solito i personaggi sono molti, e attaccarsi alla recita delle tragedie. E fra tutte le tragedie antiche e moderne venne scelta a pienissimi voti la Fran cesca da Rimini, scritta da Silvio Pellico, uno dei martiri dello Spielberg. Gi l e prove di scena erano avanti e procedevano a meraviglia, quando accadde che Gia nnettino, rispondendo una mattina a sua madre, disse con voce risentita: Ti ho detto che oggi non ho tempo per andare a scuola, e quando ho detto che non ho tempo, mi pare inutile lo starmi a seccare!... Impertinente! grid il dottor Boccadoro, che per l'appunto si trovava l. questo il modo di rispondere?... e poi, a chi?... a tua madre!... Ricordati che con me, ch i rompe, paga: dunque va' subito di l, e portami una marionetta! Quale? domand Giannettino tutto dispiacente. Portami la Rosaura! La Rosaura? url il ragazzo con un grido acutissimo di dolore e di disperazione. M a se lei mi leva la Rosaura, come vuole che faccia domenica sera a rappresentare la Francesca da Rimimi Io non voglio sapere nulla n di Francesca n di Franceschi! I nostri patti sono que sti; e portami subito la Rosaura! Il povero Giannettino si raccomand, pianse, preg, si inquiet, pest i piedi per terra ; ma tutto fu inutile... Dovette andare nella stanza del teatrino a prendere la Rosaura, e dal modo col q uale la consegn in mano al Dottore, si cap benissimo che gli avrebbe consegnato pi volentieri un morso nel na

so. Quel che accadde al Tiranno Quando i quattro compagni di Giannettino vennero a sapere della gran disgrazia t occata alla prima attrice, si lasciarono scappar di bocca un Ohhh! cos lungo e co s straziante, che avrebbe intenerito un macigno. Qui non c' tempo da perdere disse Giannettino. Oramai per domani sera stata prome ssa la Francesca, e la Francesco, deve andare in scena!... Ma senza la Rosaura, chi far la parte della Francesca? domandarono in coro i quat tro fratelli. La far fare al Tiranno! replic il piccolo capocomico. A questa risposta temeraria e inaspettata, i quattro fratelli cacciarono fuori u n altr'Ohhh! molto pi lungo e pi straziante del primo. Giannettino, senza perdersi in ciarle inutili, usc correndo dalla stanza. Quando ritorn brandiva con la destra un coltello da cucina, e con la sinistra ten eva per i piedi, e a capo all'ingi, il povero Tiranno, sbatacchiandolo di qua e d i l, come se fosse un pollastro bell'e pelato. E ora? domandarono i compagni, che in tutto questo armeggo non ci sapevano legger e una parola. Lasciate fare a me! rispose Giannettino; e ficcatosi il Tiranno fra le ginocchia , cominci col coltello a scorticarlo e a raschiargli, senza ombra di carit, il bar bone, i baffi e le due grandi sopracciglia. Quando l'ebbe raschiato ben bene, lo vest da capo a piedi con gli abiti di France sca: e quasi non fosse avvenuto nulla, annunzio per la sera dopo la recita della tragedia. Il capitan Ferrante Quella sera la sala del teatrino, secondo il solito, sudava dalla gran gente; e, in mezzo alla folla, lo spettatore che dava pi nell'occhio era il gigantesco cap itan Ferrante, lo zio materno di Giannettino, quello medesimo che tempo addietro aveva fatto al nipote il regalo dei due pappagalli. Immaginatevi un bell'uomo sulla cinquantina, alto come un cipresso, con due spal le larghe quanto un pianerottolo di scale, e uno stomaco che pareva un armadio a perto. Quando il Capitano rideva (e rideva spesso) le sue risate facevano un tal fracas so assordante, che somigliavano a quelle saette che si sentono sul palcoscenico nei balli e nelle opere in musica, allo scoppio del temporale. La recita non finisce bene La rappresentazione della tragedia nei primi due atti cammin piuttosto bene. Ma s ul pi bello, e quando per l'appunto le mamme, le ragazze e le fanciulline cominci avano a tirar fuori i fazzoletti e a piangere e a soffiarsi il naso sui casi del la bella Riminese, il diavolo, come suol dirsi, ci volle mettere la coda, e acca dde uno di quegli scandali che non si dimenticano pi per tutta la vita. Ecco come and. Giannettino, che era sempre stato uno sventato e uno sbadataccio e che in tutte le cose che faceva non aveva mai il capo l, s'era dimenticato di staccare la macc hinetta cucita in fondo al filo delle reni del Tiranno, trasformato in donna per un caso urgentissimo: cos quella sciagurata Francesca, nel gran bollore dell'azi one, ripiegandosi forse un po' troppo sulla vita cominci a fare: bau! bau! bau! Immaginatevi allora gli urli e il chiasso di tutto l'uditorio! Bisogn per forza calare il sipario nel bel mezzo dello spettacolo; e appena calat o, si sent una risata che fece tremare tutti i vetri delle finestre. Quella risata era del capitan Ferrante. 7 I PREGIUDIZI Quando la sala del teatro fu un poco sfollata, il capitan Ferrante pass nella sta nza accanto, e l trov il nipote Giannettino con i suoi quattro compagni, tutti sed uti per terra, che si guardavano in faccia l'un l'altro, senza far parola. A quel che pare la recita di stasera non andata troppo bene disse il Capitano, s cherzando.

Anzi, andata malissimo replic Giannettino ma io lo prevedevo fin da stamani! E perch lo prevedevi? Ecco: stamani sono andato dal legnaiuolo per fare scorciare una gamba a Lanciott o, ossia al marito di Francesca da Rimini, perch il babbo, che conosce la storia, mi aveva detto che il marito di Francesca era zoppo da un piede. Ebbene, lo vuo l sapere? la prima persona che ho incontrato, appena fuori dell'uscio, stato un cavallo bianco. Male! ho detto subito fra me: la giornata non pu finir bene, e qu alche disgrazia mi deve succedere... Non vero, ragazzi, che ve l'ho raccontato s ubito anche a voi altri? E tu credi a queste sciocchere? disse lo zio. Saranno sciocchere, ma io ci credo! Povero Giannettino! E dire che io finora ti avevo preso per un ragazzo intellige nte!... Il sale e l'olio Il signor Capitano ha ragione interruppe Minuzzolo. Queste son bambinate, che fa rebbero torto anche a me, che sono il pi piccolo di tutti. Io so che ho incontrat o tanti cavalli bianchi, e non mi mai accaduta nessuna disgrazia. Oh! se mi dite del sale rovesciato sulla tavola, allora un altro paio di maniche. A quello, s, ci credo anch'io. E che cosa credi? domand il Capitano, che aveva pronta un'altra risata pi forte. Gu! credo che il sale rovesciato porti disgrazia... E qui c' poco da ridere, perch s'immagini, che l'altro giorno, a desinare, rovesciai la saliera sulla tavola, e Adolfo, che stava accanto a me, mi disse: Bada, ti succeder qualche disgrazia! E m i successe davvero! Appena arrivato a scuola, il Maestro mi mise in ginocchioni! Ma perch ti mise in ginocchioni? Perch non sapevo la Geografia! Un'altra volta disse il Capitano se ti avviene di rovesciare la saliera, cerca d 'imparare bene la Geografia, e vedrai che non ti accadranno disgrazie. Quella del sale mi pare una ragazzata osserv Gigetto io credo piuttosto all'olio versato per terra. Bravo! grid il Capitano ridendo. Se avessi dei figliuoli, confesso la verit, all'o lio versato ci crederei anch'io. Perch l'olio caro, oggi specialmente, e se lo ve rsate per terra, tocca al babbo doverlo ricomprare. E quella davvero una gran di sgrazia!

Il venerd Giannettino, che aveva la testa piena di pregiudizi, e che pigliava per moneta c ontante tutte le superstizioni, s'ebbe a male delle grandi risate dello zio Capi tano, e un po' risentito gli domand: Dunque lei non crede neanche al venerd? A quale venerd? domand il vecchio lupo di mare perch io, dei venerd ne conosco due. Conosco un Venerd, che era segretario e cuoco di Robinson Crusoe, e conosco poi u n altro Venerd, che sta di casa nel lunario e rappresenta onoratamente uno dei se tte giorni della settimana. Io parlo appunto di questo disse Giannettino. Che opinione ne ha lei? Buonissima! Io lo credo un giorno per bene, come tutti gli altri: se ne sta dove l'hanno messo: mangia di magro tutto l'anno, e, per quanto sappia, non ha mai a ttaccato briga con nessuno, nemmeno col Gioved e col Sabato, che sono i suoi vici ni. Eppure soggiunse Giannettino vi sono molte persone, e persone d'ingegno, che pot rebbero provarle coi fatti alla mano che il venerd stato sempre un giorno disgraz iato e di malaugurio per tutti, in particolare per quelli che devono mettersi in viaggio. Ho avuto un amico anch'io replic il Capitano il quale credeva fermamente che il v enerd portasse disgrazia ai viaggiatori. In tutta la sua vita non si era mosso un a volta sola di casa in giorno di venerd. Quand'ecco una mattina sente dire che u n suo parente, ritorto in America, gli ha lasciato una grossa eredit. Che cosa fa l'amico? Senza perdere un minuto di tempo, corre a imbarcarsi sul mio legno che

stava appunto per partire. Rammentati che oggi venerd! gli dissi celiando, in tono tragico. Ebbene, sapete come mi rispose? Mi rispose cos: Caro mio, quando c', una grossa eredit che mi aspetta a braccia aperte, non mi fanno paura neanche tutti i venerd del calendario. Ma volete una prova schiacciante concluse il Capitano che uno sciocco pregiudizio credere nefasto il venerd? Eccola: Cristoforo Colombo par t da Palos di venerd nell'agosto del 1492 e vi rientr trionfante il 15 marzo dell'a nno seguente, pure di venerd. I tredici a tavola E questo caso qui seguit a dire il Capitano me ne fa ricordare un altro. Ho conos ciuto una volta un baccellone, uno di quei disgraziati imbottiti di pregiudizi, i quali, fra le altre cose, si spaventano a trovarsi a tavola in tredici persone . Il tredici egli diceva un numero fatale, e qualcuno dei tredici o prima o poi dev e morire. Un giorno lo invitai a desinare da me in campagna, e ordinai apposta la cosa in modo che tutti i commensali, contato me, fossero tredici per l'appunto. Quando il brav'uomo se ne accorse, entr subito di malumore; e, avvicinandosi all 'orecchio, mi disse: Ho visto che siamo in tredici!... Ma io non voglio saper di disgrazie; dunque ti saluto e me ne vado. E tu vattene! gli risposi senza tanti com plimenti. Detto fatto, il buon uomo prese il suo cappello e se ne and: ma quando fu a mezza scala sent aleggiare intorno al naso un odorino di tartufi e di polli in umido da far tornare l'appetito a un morto. Allora si ferm, e dopo aver riflet tuto lungamente, e dopo essere stato per cinque minuti con un piede sospeso in a ria fra i due scalini, alla fine si decise a tornare indietro, borbottando fra i denti: Se oggi siamo in tredici a tavola, pazienza! Oggi ho troppo appetito, e m i manca il tempo di aver paura! Insomma, ragazzi, se andate avanti con queste gio ccate, finirete col credere anche voi che il canto della civetta annunzi la mort e; che le farfallette che si posano sul vestito portino fortuna; che i morti rit ornino; crederete ai castelli abitati dagli spiriti, ai fantasmi, alle streghe, alle fate, ai vampiri notturni e a mille altre grullere, che non hanno n capo n cod a. Iettature E dello iettatore non avete mai udito parlare? domand il capitano Ferrante. un di sgraziato, secondo certa stupida gente, che il solo avvicinarlo porta disgrazia, perch nato con una maligna influenza. Io ne ho conosciuto uno, e ricordo, con dolore e vergogna, che talvolta, incontr andolo per via o in altro luogo, mi allontanavo da lui. Ma quasi subito arrossiv o dell'atto, e ancor pi del sentimento di paura superstiziosa da cui ero preso. A ltri invece, ed erano molti, non solo lo sfuggivano, ma si nascondevano le mani in tasca o dietro la schiena per fare gli scongiuri. E di quel tale, non solo le donnicciole, ma anche le signore colte e di spirito, ed uomini con tanto di baffi, narravano una lunga storia di disgrazie cagionate dal suo malefico influsso. Un giorno, era passato appena davanti ad un gran palazzo in costruzione, che cad de gi un ponte con quattro operai; due dei quali restarono morti sul colpo e gli altri due gravemente feriti. Un altro giorno, bast che salutasse un signore incontrato per via, perch quel disg raziato fosse colto da un colpo apoplettico. Un'altra volta si ferm in un viale a veder potare un grosso platano, e il potator e cadde a terra di schianto e si fracass una spalla. Un'altra volta era montato in una carrozza pubblica, la quale fu investita da un 'automobile. La carrozza and in pezzi, il cavallo si ruppe una gamba, il vetturin o ebbe parecchie contusioni, e lui, lo iettatore, non riport nemmeno una graffiat ura. Un teatro s'era incendiato durante una rappresentazione perch in prima fila, tra gli spettatori, c'era lui! In un Caff era scoppiato il deposito del gas, producendo molto danno e molto spav ento, perch lui, quella sera, era stato li a prendere una bibita e n'era uscito p ochi momenti prima dello scoppio. Tante ne raccontavano delle disgrazie cagionate da lui con la sola sua malefica

presenza. E tanti vi prestavano fede, e in modo tale, da diventar crudeli con qu el disgraziato. Al Caff, al teatro, in qualunque altro luogo pubblico egli si vedeva sfuggire da tutti come un appestato. Anzi, non di rado, se un avventore, entrando, per esemp io, in un Caff, scorgeva lui, faceva le viste di cercare qualcuno che non trovava e se ne tornava via. Per anche i padroni di bottega nutrivano una grande avversione contro quel disgraziato, e spesso gliela manifestavano con delle sgar berie. E dire che lui, quel terribile iettatore, vittima innocente dell'ignoranza super stiziosa di tanta gente, era un'anima mite, affettuosa, gentile. Era un uomo che non avrebbe fatto male a una mosca, che adorava la sua famiglia, che voleva ben e a tutti. E quando uno dei suoi pochissimi amici gli ebbe detto un giorno lo sciocco motiv o dell'avversione da cui era perseguitato e della quale egli non sapeva rendersi ragione, esclam: Ora capisco! e pianse. Pianse; e da quel giorno era lui che cercava l'isolamento. Ma dopo qualche tempo , non potendo pi condurre quella vita, fece un sacrificio, e cambi paese. I vampiri Eppure i vampiri, che succhiano il sangue ai bambini, ci sono di certo disse Min uzzolo. E chi te l'ha detto? Un mio cugino che ha studiato la Storia Naturale. Il tuo cugino ti avr detto che il vampiro una specie di pipistrello. Anch'io l'ho veduto pi volte nei paesi dell'America meridionale. Questo pipistrello, verissim o, succhia il sangue degli animali addormentati, e qualche volta anche degli uom ini, ma qui, nei nostri paesi, non ci sono vampiri. Eppure insist Minuzzolo a me pare di averli veduti! I vampiri che tu hai veduti replic il Capitano, preparandosi a ridere succhiano i l sangue anche quelli; ma qui da noi si chiamano con un altro nome. Come si chiamano? Zanzare. Tutti risero di cuore; ma Minuzzolo non rise. Mortificato nel suo amor proprio, tir fuori di tasca una grossa pera, e, dalla bizza che aveva addosso, la divor in quattro bocconi, senza nessun riguardo n al torsolo n alla buccia. Le cabale per il lotto Scommetto, signore zio, che lei non crede nemmeno alle cabale per indovinare i n umeri del lotto. Il Capitano, invece di rispondere, dette una scrollatina di capo in segno di com passione. C' poco da far cosi! grid Giannettino impermalito, alzando la voce. Lo conosce il signor Giacemmo, quello che sta su, all'ultimo piano di casa nostra? Ebbene, qua ndo il signor Giacomino ha fatto una cabala, son quattrini sicuri per l'estrazio ne del lotto! E che cosa ne fa, delle sue cabale, il signor Giacomino? Oh bella! le vende a quei giocatori che voglion vincere. E perch disse il Capitano invece di venderle, non gioca le sue cabale per s? Gliel ho suggerito anch'io; ma il signor Giacomino mi ha sempre risposto: Io non gi oco mai. Mi dispiacerebbe troppo di rovinare il Governo! E tu dai retta a quest'impostori? Allora puoi credere anche ai ciarlatani di pia zza, che vendono il cerotto miracoloso per guarire tutte le malattie. Il diavolo e i giocatori di bussolotti Mi levi una curiosit disse Gigetto ma i giocatori di bussolotti ce l'hanno qualch e volta un po' di diavolino in corpo? Ma che diavolino ti vai indiavolando? Certe domande i ragazzi un po' svegli non dovrebbero farle. Nei giochi di bussolotti, per vostra regola, anche in quelli c he paiono meravigliosi, non v' nulla di miracoloso e di soprannaturale. Tutto il gran segreto dei prestigiatori sta nella destrezza delle loro dita, nella perfez ione delle scatole e delle macchine che adoperano, e in quella naturalezza di da

re ad intendere che fanno una cosa mentre poi ne stanno facendo un'altra. Perch i giochi di prestigio riescano bene davvero, mi diceva un vecchio prestigiatore, ci vogliono due cose: molta destrezza in quello che li fa, e molta buona fede in chi li sta a vedere. Del resto, ragazzi, quando non vi sapete spiegare qualche gioco di prestigio, qualche esperimento di magnetismo e di chiaroveggenza, invec e di andare fantasticando col diavolino in corpo, con le stregonerie e altre bam bocciate, pigliatevela sempre con la vostra ignoranza e con la vostra poca scalt rezza. 8 LA SCELTA D'UNA PROFESSIONE Prima di ripartire per il suo nuovo viaggio, il capitano Ferrante si volt al nipo te Giannettino e gli domand: E tu, che arte o che professione intendi fare? Il ragazzo si strinse nelle spall e. Non hai ancora scelto? La mamma vorrebbe che facessi l'impiegato. Governativo? Gi. Tutte a un modo queste benedette mamme! disse il Capitano ridendo e guardando la sorella. Basta che abbiano un figliuolo, non sono contente fino a tanto che non lo vedono accomodato in qualche Ufficio o Azienda dello Stato. Non ti dir che la strada degli impieghi non possa condurre un galantuomo a guadag narsi onestamente un pezzo di pane. Ma non credere, amico mio, che questa strada sia seminata di rose e di viole! Il giorno che sarai impiegato, comincerai subi to a perdere i due pi grandi beni della vita, cio l'indipendenza e la libert, e tut ti i giorni avrai un orario fisso, come i treni delle strade ferrate. La vocazione del signore Allora, secondo lei, che cosa dovrei fare in questo mondo? domand Giannettino. Tocca a te a dirlo. Qual la tua vocazione? La mia vocazione rispose il ragazzo dopo averci pensato un poco sarebbe quella d i fare il signore. Male! male! url il Capitano con una vociona che fece tremare tutta la stanza. Car o mio, l'arte di fare il signore, come costumava una volta, oggi non c' pi. Ai nos tri tempi e in mezzo alla societ presente, tutti abbiamo bisogno di lavorare: tut ti... tienilo bene a mente: ricchi e poveri, artigiani e possidenti. Un uomo, al giorno d'oggi, che per l'unica e sola ragione di essere ricco non sapesse far n ulla, o non volesse far nulla, non sarebbe pi nemmeno un uomo; ma diventerebbe un o zero, un cinese di gesso, da mettersi per figura sopra il caminetto. Debbo fare l'avvocato? chiese Giannettino. Ce ne sono troppi... osserv scherzando il Capitano. Il medico? Ce ne sono abbastanza... Allora non so pi che cosa scegliere!... Ah, ora che ci penso: studier il disegno e far il pittore. Perch no? Ma bada bene, ci vuole una vocazione, una vera vocazione, una fortissim a vocazione. Guai ai giovinetti che dicono: Far il pittore, lo scultore o l'archit etto e lo dicono con la stessa svogliatezza o indifferenza, come se dicessero: Far l'usciere di tribunale, il merciaio, il giovane di banco, il fabbricante di cand ele o di sapone. L'arte una cosa bella e divina, non lo nego; ma l'artista, se vu ol davvero procacciarsi un bel nome e una vita comoda e onorata, bisogna che sappia uscire dall'oscura e malinconica mediocrit: perch, credilo a me , la vita degli artisti oscuri e mediocri, cio di quegli artisti che non hanno n i ngegno per far bene, n coraggio per cambiar mestiere, tutta una vita di patimenti , di disinganni e di afflizioni. E dunque? disse Giannettino. Io forse ti parr di difficile contentatura soggiunse lo zio ma non vero. Ho detto il mio parere chiaro e tondo, e nulla pi. Del rimanente, convengo anch'io che tu tte le arti e tutte le professioni possono essere eccellenti, specialmente se es

ercitate con amore e con coscienza, e anche con un tantino di fortuna; perch nell e cose di questo mondo un po' di fortuna non guasta mai! Per conseguenza, fai pu re, se cos ti piace, o l'impiegato, o l'avvocato, o il medico, o il pittore; ma r ammentati che qui in Italia c' un campo quasi vergine, e che promette tesori: e q uesto campo quello delle arti meccaniche, dell'industria, dell'agricoltura e del commercio. Se i nostri ragazzi rivolgessero al commercio, all'agricoltura e all 'industria i loro studi e la loro operosit, sono sicuro che farebbero la propria fortuna e quella del paese. Giannettino, la prima volta che si trov col dottor Boccadoro, gli rifer, per filo e per segno, come la pensasse lo zio Ferrante a proposito della scelta di una pr ofessione, e concluse: Lo zio, alle volte, ha delle idee curiose! Vorrebbe che si fosse tutti agricolto ri, industriali e commercianti. Quasi quasi desidera, forse, che suo nipote impa ri a guidar l'aratro. E', carino mio, prese a dire il Dottore che tuo zio un uomo pratico, un uomo che ha imparato a conoscere il mondo, gli uomini e le cose, non sui libri, ma dal v ero, e studiando il gran libro della Natura. Forse si sar sentito stringere il cuore allo spettacolo della folla di emigranti italiani assiepati s ulla tolda del suo bastimento. Bisogna dire bens aggiunse il Dottore che molti vanno all'estero spinti dalla bra mosa e dalla speranza di far presto fortuna; e, del resto, l'emigrazione per noi necessaria, perch la nostra popolazione cresce continuamente, ci che non avviene, per esempio, in Francia, dove invece diminuisce. Ma che c'entrano in tutto questo gli avvocati, i medici, gli ingegneri, gli impi egati contro i quali se la prende lo zio Ferrante? domand Giannettino. Tu, vero, sei ancora un fanciullo e certe considerazioni non puoi farle; ma prov er a mettere qualche idea in codesto tuo cervellino. E nel dir questo, diede una leggera tiratina d'orecchio al ragazzo. Poi riprese: Parlandoti cos, lo zio ha vo luto alludere a coloro che pure avendo la fortuna di possedere campi, prati e vi gne, sono presi dalla stolta vanit di fare dei loro figli tanti dottori, avvocati e professori, credendo di nobilitare il proprio casato. Invece lo zio vorrebbe che essi impiegassero la loro energia e i loro capitali nel promuovere il miglio ramento della scienza agraria, incoraggiando gli agricoltori e adoperandosi per il loro benessere: vorrebbe che essi impiantassero nuove industrie produttive, a ffinch gli Italiani non fossero obbligati a richiedere dalla Francia, dall'Inghil terra e dalla Germania tante e tante merci, per le quali scappano di l dalle Alpi parecchi milioni di lire. Capisci, ora? Cos ragionando, il Dottore si era accalorato, con gran meraviglia di Giannettino, il quale non intendeva forse molto chiaramente quelle dolorose verit: verit sulle quali anche i fanciulli devono riflettere, perch un giorno saranno adulti, e avr anno l'obbligo di lavorare per il bene proprio e per quello della Patria. E tu, invece riprese il Dottore hai detto con dispiacere: Come? lo zio vorrebbe c he io imparassi a guidar l'aratro? Sicch il contadino che ha le mani incallite dal la vanga e il volto abbronzato dal sole, il contadino, che riempie le nostre can tine e i nostri granai, non stimabile quanto un signore? E l'uomo annerito dal f umo delle oscure officine, lo credi inferiore al professionista, solo perch quest i va in guanti? Scommetto che con la fantasia gi corri al giorno in cui potrai av ere sul tuo biglietto da visita tanto di Dottore o di Ingegnere. E credi tu che sarebbe minor soddisfazione, invece di andare alla caccia dei clienti, dopo otte nuta la laurea, di attendere, vestito di una semplice giacca di frustagno alla c oltivazione delle tue terre, e vederle, di anno in anno, prosperose e fiorenti, ricche di viti, di frutti e di grano? Giannettino non sapeva proprio che cosa rispondere. Ascoltava bens con attenzione il Dottore, persuaso dalla seriet e dal calore con cui esso gli parlava. 9 GIANNETTINO SI TAGLIA IL CIUFFO Un bel giorno Giannettino torn a casa, che s'era tagliato il ciuffo: quel gran ci uffo di capelli, come sapete, che era il suo orgoglio e la sua ambizione.

Questo strano avvenimento fece caso a tutti. Perch bisogna sapere che la sua mamma e il Dottore e quante persone bazzicavano p er la casa, gli avevano sempre predicato: Giannettino, tagliati codesto ciuffaccio! Non solo t'imbnittisce, ma, scendendot i sugli occhi, finir col farti prendere un vizio di guardatura. E Giannettino, duro! L'ammonirlo e il dargli dei buoni consigli era tutto fiato buttato via. Piuttosto che tagliarsi quel ciuffo, che secondo il suo poco giudizio gli dava u na certa aria di fierezza e di originalit, Giannettino avrebbe preferito tagliars i l'indice o il pollice della mano destra. Disgraziati quei ragazzi che credono di aver sempre ragione, e che quando inciam pano in qualcuno che abbia la pazienza di correggerli, lo pigliano subito in sos petto di una persona che parli per gelosia, o che brontoli per la smania di bron tolare. Com' che ti sei tagliato il ciuffo? gli domand il Dottore, guardandolo fisso negli occhi. Giannettino, senza scomporsi, invent una bella bugia, e rispose: Le dir... Ieri sera, mentre leggevo la Storia Romana, avvicinai un po' troppo la testa al lume, e mi abbronzai tutti i capelli. Ecco la ragione perch stamani me l i sono dovuti tagliare. Ma il dottor Boccadoro, che non era un uomo da comprar carote per fragole di gia rdino, gli fece, ridendo sul viso: Cuc! Proprio, la verit. Cio, una bugia. Parola d'onore. Non giurare! Hai detto una delle tue solite bugie, e basta cos. Giannettino, con tutta la sua disinvoltura, divent rosso come un cocomero dipinto . Carlino Volle il caso che il Dottore, appena uscito di casa, s'imbattesse in un ragazzet to che era compagno di scuola di Giannettino; e, andandogli incontro, gli domand: Vorrei levarmi una curiosit: che cosa accaduto a Giannettino in questi giorni? Il ragazzo sorrise e non rispose. Tu sai che di me ti puoi fidare insist il Dottore. Lo so disse il giovanetto esitando ma mi faccia il piacere, per carit, di non and argli a raccontare che l'ha saputo da me: se no, Giannettino sarebbe capace di m angiarmi vivo. Il ragazzo che parlava cos, si chiamava Carlino: ed era un bambinetto gracile, mi ngherlino, patito, tutto pelle e ossa. Aveva un viso bianco come la cera, e due labbra cos pallide e scolorite, che pare vano due foglie di rosa in una tazza di latte. Badi ve'! cominci a dire Carlino, rispondendo al Dottore Giannettino, in fondo, i n fondo un buon figliuolo, e io gli voglio bene; proprio gli voglio bene, bench m i abbia fatto piangere tante volte. Ma Giannettino... che vuol che le dica? un b enedetto ragazzo, che oramai ha il vizio di canzonar tutti, e di mettere a tutti il soprannome. Bruttissima abitudine! disse il Dottore. Ci sono dei soprannomi che non fanno n caldo n freddo; ma ce ne sono di quelli che scottano e che arrivano proprio al cuore! Si figuri che viene alla nostra scuol a un ragazzo, che, poverino, nato con una spalla un po' pi grossa dell'altra; e G iannettino, per divertirsi, gli dice sempre: O Gabbino! Un altro ragazzo, perch z oppo da un piede e cammina con le grucce, lo chiama Zoppo Vulcano. C' poi un altro povero figliuolo: da piccino disgraziatamente gli rovesciarono su l capo una scodella di minestra bollente, e i capelli, in un punto della testa, non gli tornarono pi; e Giannettino a dirgli: O Pelato! A un altro ragazzo, perch figlio di povera gente e non pu vestirsi bene come noi, ha messo il nome di Maestro Miseria. E poi ci sarebbero tanti e tanti altri... e fra questi ci sono anch'io...

Come! disse il Dottore quella birba di Giannettino ha messo il soprannome anche a te? Ce ne fosse! Mi becc subito il primo giorno che entrai nella scuola. E sa perch? p er la ragione che io sono cos malatino e sbiancato di pelle, mi mise il soprannome di... E poich si vedeva bene che Carlino ci pativa a ripetere il suo soprannome, il Dot tore lo interruppe subito, dicendogli: Non m'importa di saperlo: anzi, non lo voglio sapere. Gi... riprese il ragazzetto diventando sempre pi malinconico glielo posso anche di re: a ogni modo sono quasi due anni che Giannettino mi chiama cos... e oramai ci comincio a far l'orecchio. Insomma, visto che sono pallido e sbiancato, mi chiam a... Ricotta! Ora lo domando a lei seguitava a dire Carlino quasi piangendo e co n un fil di voce che si sentiva appena che colpa ho io, se sono sbiancato e se h o poca salute? Lo faccio forse per divertimento? Crede Giannettino che io ci pro vi gusto a tossire tutti i giorni e a sentire il medico che dice sempre alla mam ma: Questo ragazzo ha bisogno di molti riguardi, se no... questo ragazzo bisogna cu stodirlo, se no... questo ragazzo bisognerebbe tenerlo nel cotone, se no.... Crede che io non lo capisca quel se no? Quel se no, vuol dire: se no alla prima rinfres cata quel ragazzo se ne va in Paradiso!.... Eppure, vede, signor Dottore, non dic o che quel soprannome di... Ricotta sia una parolaccia che offenda...; ma tutte le volte che me lo sento dire, mi rammenta che sono malato, e questa cosa mi met te addosso un malumore... e alle volte mi piglia una serratura qui... e si tocc l a gola che mi pare proprio di morire. Se sapesse per questo nomaccio di Ricotta quanti pianti ho fatto!... E Carlino, senza avvedersene, piangeva, e le lacrime gli cascavano gi per le gote , grosse come perle. Che Giannettino grid il Dottore indignatissimo fosse un grande sguaiato, lo sapev o da un pezzo; ma, confesso la verit, non avrei mai e poi mai creduto che fosse p er giunta anche cos cattivo di cuore! Cattivo di cuore, no!... disse Carlino con la vivacit affettuosa dell'amico che v uol difendere l'amico. Sissignore! Cattivo di cuore ripet il dottor Boccadoro perch il canzonare la gente e il metterla in berlina con versacci o soprannomi ridicoli, sta sempre male, a nzi malissimo; ma la cosa poi di mortificare le persone infelici e di mortificar le in quelle malattie e in quei difetti fisici, nei quali non hanno nessuna colp a, non solo una crudelt, ma mi pare una vera vigliaccheria! Oh se Giannettino mi capita davanti!... No disse Carlino mi faccia il piacere: non stia a sgridarlo; tanto pi che ieri, e bbe una lezione da ricordarsene per un pezzo. Quel che fatto reso Davvero? e questa lezione quale fu? Bisogna sapere che batti oggi, picchia domani, tutti i ragazzi di scuola cominci avano a essere stufi di sentirsi offendere e canzonare da Giannettino. Allora ch e cosa fecero? Ordirono fra loro una congiura, per trovare un soprannome anche a Giannettino. E poich aveva quel ciuffo di capelli rossi sulla testa, fissarono, tutti d'accordo, di chiamarlo Capirosso. Detto fatto, ieri appena uscirono dalla scuola, gli fecero ruota intorno e cominciarono a gridare: Eccolo Capirosso! Ev viva Capirosso! Fuori Capirosso! e con la bocca e col fischio rifacevano il vers o che fanno i capirossi quando sono in gabbia. Si figuri Giannettino! Con la bil e che gli schizzava dagli occhi, si prov a rivoltarsi...; ma lui era solo, e gli altri erano tanti: perci, quando s'accorse che a pigliarli con le cattive ci avre bbe rimesso, si avvicin ai caporioni che urlavano pi forte e disse: Perch mi chiamate Capirosso? E' un soprannome gli risposero. Ma perch pe