Gianmarco Pinciroli - Luogo · mai detto una volta per tutte ... non detta poiché non si può dire...

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GIANMARCO PINCIROLI

L U O G O

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Quaderni di RebStein, XLIX, Novembre 2013

Gianmarco PINCIROLI

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(Immagine: Rennes, Château branlant au pont Saint Martin) (Fonte: http://www.verdeau.com/verdeaunew/adminphotos/upload/P034.jpg)

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LUOGO (2013)

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I. Château-branlant (dedicato a via Madonnine, Chiso di Laveno-Mombello, e a coloro che vi abitarono)

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“Ah ah! – disait le grillon en se grattant le bourrion avec une corde de violon” “Bébé s’amuse”

(Canton Vaud)

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Il tempo

Il tempo, un lupo, mangia le foglie, forma di parola limpida cicatrice avvampata in cima agli occhi Si muove dentro uno spazio immobile il tempo, la rovina dell’idea come tutto s’accartoccia sulla soglia e ognuno prende commiato, indenne Udire, passi, l’atto alchemico trapassa di radura in radura fino alla città-diamante pietrificata nel giro della frase Mangiare, beatitudine sommersa di favori concessi alla divinità che siamo sappiamo anche il nome della luce che cambia, idolo voga nel sorriso controcorrente

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Una sottile carie

Hai offerto sacrifici al dio dell’ambiguità, sofferenza volta a più segreti destini fino all’inganno dei risarcimenti Poi, hai afferrato il pugno degli altri e l’hai gettato nel fuoco: qui, ora giace inerte il possibile e ogni cosa invita alla condivisione Una sottile carie insinua il necessario pretesto e si esibisce, ventaglio di ragioni a monti e valli, ricolmi comportamenti dotati di capo, coda, senso, termine

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Accanto all’onere, rimpianto

fingere appartenenza al destino comune che stringe i giorni in una morsa Maturare un’insolita piega dell’essere sul versante dell’alba e amare il segreto dell’ozio dilatando la bolla del piacere già molto in ombra nella vicinanza del tramonto

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Diffusione

Diffusione, hai detto giustizia intima dovunque e mancanza di pegno, di cuore questo solo risponde a tanta fede vile come vile è la risposta Il fondo si trascina sempre più esile fuoco di senno, sempre più impossibile l’azzardo del gesto l’opinione gridata vicino al vero tanto da mimarne l’araldica virtù Domani, hai detto, vedremo chi sarà e non sarà qui, ora: è già un enigma non esige disvelamento per la pietà di desiderare l’occultazione del vuoto

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Luogo

Dove l’elogio della sopravvivenza perde dinamica ed inventa regole incapaci di resistere alla piena del gioco Dove inciampano fringuelli nella gola di mandolino dell’alba spalancata dagli occhi affondati nel sonno Dove innumerevoli tracce sono rimaste malgrado l’anima sia stata gettata nel cesto di pane Dove l’incanto dell’origine aveva un tetto bianco di mani profumate dai fiori colti sulla veranda

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Luogo: amore della casa

Dicono che tutto traballa dopo qualche tempo che si abita le quattro mura si asciugano e inteneriscono gli occhi i colori fatti più tenui dalla coscienza di durare ancora Dicono che dentro la casa i gesti si ripetono per valere qualcosa in più oltre la semplice manipolazione delle cose alla fine ci si sente seminati attorno dai giorni accumulati nel paniere per il nutrimento delle tarme golose dell’essere che ci veste Dicono che l’amore della casa ha forza di radice non conosce rassegnazione e affonda nella terra quanto più vicino è il suo cuore oscuro

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Dall’albero del fico

Dall’albero del fico morto di stenti per l’intemperanza del vento autunno del sessantasei l’ombra di una forma dichiara di essere foglia del giorno il cuore fruttifica la casa diventa grande cantina piena di sigilli, guizzi, minìn Immagine di parola le prime capriole del gatto sul canapè verde brucato dall’unghia cigolio deforme al calare atterrito nel pozzo la nonna, improvvisamente mai conosciuta se non nell’immagine di una parola scritta nella bocca nella terra della bocca

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Nella seta del pozzo

Ah brivido d’assenzio nella seta del pozzo lentissima una corda, trarne l’odio d’acqua in estate Immergevi, tu, la luna sognando nella sabbia meridiana la penitenza della sete Immense foglie di vite potavano incanti con lingua ginevrina l’almanacco del valligiano decretava che fare agli snodi stagionali Fienagione delle idee in autunno quando sei troppo giovane ancora per panificare il cumulo dei detriti ma non sei più abbastanza giovane per maturare al calore della sosta

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Seduto in una goccia

Dal legno del trave partono segnali: il cielo, il mare verdi di presagi Fugge a perdifiato il serpentello beccato dal fulmine della gallina, uova insaporite dalla paura Temporale profumato di tralci

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Il resto della casa

Il resto della casa è in fiamme forestieri occupano le stanze affittate dalla disattenzione al desiderio di stabilità crolla il muretto disegnato attorno alla sabbia, malinconica passa seminando segni la polvere, invidia la ruota della carriola immobile da anni accanto al pollaio La mia casa è uno strano pendolo corre avanti e indietro con identica avventatezza s’illumina del sogno di un giardino che non avrà mai naviga a ritroso mentre scruta l’orizzonte dei figli che verranno

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Il nonno

Compiute tracce, sintassi incenerite nel camino quieto della castagna il nonno racconta qualcosa che ha già raccontato, forse tu ascolti, forse qualcosa non è nemmeno accaduto, ma è stato raccontato nel riccio di poche parole, questo è accaduto Compiutezza di chi sorveglia l’avventura nel segno delle mani e gli occhi altrove sulla piastra della stufa dentro la pentola d’acqua bollente, poi tiepida, ridono gli anni mentre tu dimentichi di avere già raccontato qualcosa a proposito di un tetto che crollava una cornice alla tomba prestigiosa del vicino un arabesco di ottone al cancello di gente che continua ogni giorno a morire e non sei stato tu nemmeno a lavorare il superfluo, sei stato sempre al centro, il cuore della stagione che ci precede tutti

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Già allora

Già allora la mia casa era più bassa degli alberi di mele che poi sono morti con lo schianto delle stelle nell’occhio di Dio quando distribuisce il bene e il male ai suoi giardini d’antan Già allora la mia casa non trovava una giusta rilegatura e di stagione in stagione voltava il dorso al sole sperando di non perdere fogli con parole o parole senza fogli quando mancava l’aria, sempre più spesso Già allora il mio tu faceva ombra al niente che compone il carattere di uno sciocco privo di quel santo sterco che il nonno pigiava nel grande buco pigro quando l’inverno era vicino all’assurdo

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Nell’angolo dell’Eden

Come sei fitta di radici nel risentimento arcaico verso l’ombra puntigliosa degli altri che s’affollano alla luce del sole sul prato tambureggiato dai figli che non meritano la gioia del ciliegio A primavera, quest’anno, mille bruchi assaliranno il corpo dell’albicocco nell’angolo dell’Eden dietro il cancelletto rotto da una spallata della capra nel quadro che tutti da allora ci rappresenta Dio è sceso una volta pulendo le suole sulla veranda quel poco di luce offuscata poi dalla polvere melagrana del mio sacrificio Il gatto fu ucciso per forza c’erano troppe bocche da sfamare nell’aperto della gabbia

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Dimenticare

Ah il piacere di dire finalmente il dire-piacere tornare d’un tratto all’evento da cui tutto è partito e dire, dire il già detto mai detto una volta per tutte Far conto che non sei più che una manciata di parole pubblicate nella malinconia dall’aria di un vecchio respirata insieme al calendario e ai consigli sul modo migliore di utilizzare le stagioni Dimenticare, dimenticarsi il mondo è una parola ormai casa in rovina per i secoli dei secoli luogo dell’esercizio numero d’attesa al varco del sonno dove ti raggiungo, vi conduco soffermàti nel buio dell’ultima meta, in forma di canto

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Questa è la perfezione

restare dove il bene è dimora nella casa passata al vaglio della più severa memoria Tanti piccoli animali offrono una decorosa militanza alle necessità del divenire altro dalla conoscenza del seme I frutti sono maturati nelle mani del ciliegio l’ombra sul ciglio dove la strada saliva insieme alle due Marie dopo il mercato I bachi volano, oggi, non resta che una foto del gelso morsicato pazientemente dalla farfalla quando ancora non sapeva d’ali Questa è la discreta perfezione non detta poiché non si può dire far parola è già inganno d’atleta che solleva le montagne con l’immaginazione del cuore

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Il compimento dell’anno

nella solitudine dell’anno non sa che cosa l’aspetta né cosa gli accade Il compimento è un gioco di specchi rovescia ogni prospettiva di chi guarda al riparo delle cianfrusaglie che lo riguardano

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II. Gli uomini vecchi

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Gli uomini vecchi

I Gli uomini vecchi hanno l’odio e le radici dentro l’intermittente erba degli occhi anche l’edera perde la fedeltà durata una vita, appassisce S’incurva la pena del vetro labbra schiudono l’incavo il segreto della parola: occorre bere fino al fondo e destare il cielo che si annuncia freddo E’ il tempo, il debito che paghi al cerchio d’oro della mente il sogno convenzionale stipulato tra le parti in perenne disaccordo sulle regole da far rispettare e in più: l’ansia della ruggine vestita del bianco di brina anima per sempre spenta in consonanti occluse, in tronchi dimenticati al margine Dal muschio un odore di pioggia antica sulle mani di carta dell’ultima parola

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II Gli uomini vecchi curano con mite vendemmia di sguardi la luce tenera delle cinque l’inverno che cambia il fogliame della neve in acqua l’incontro lentissimo di ombra e orologio sul polso del balcone In città, gli uomini vecchi cercano il verde delle panchine al sole, se c’è il sole-panchine se no caricano le spalle di cappotti fumiganti e disperano quel tanto che basta di tornare a rivedere il muso brutto dell’aria il giorno dopo e il giorno dopo prendono decisioni nei bar e pascolano i figli dei figli dando fondo alle monete e scrutano con occhi fragili il campanile, la romanica certezza dell’essere pietra su sabbia che cede alla fine imminente

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La verità

La verità: la verità non è mai bella, manca di quella giusta illuminazione che ritma la distanza delle colonne Spesso appare all’angolo di un libro letto in fretta perché non c’è mai tempo oppure ti cade nel piatto insieme alle briciole del pane Rosicchi la crosta delle cose la fame impedisce di fermarsi col palato sul sapore della mensa non resta che raccogliere a fine pasto, appunto, le briciole male illuminate dal tempo che ancora mastichi distratto appoggiato a una colonna di carta

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Alcuni giorni

I Il numero a termine, una sottile nebbia che lo rende fumo di cifra nessuno sa davvero quanto manchi Il pensiero declina verso l’abbrunarsi delle ciglia dopo battaglie non combattute e comunque perse Sfarina le sue ali di farfalla sulla sintassi gravida di verbi imponenti autorità nel fondo condizionale della presenza La notte è un computo paziente ad occhi bene aperti sul filo di luce che trapela da una fessura della persiana malchiusa

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II Alcuni giorni: il Fato che voglio ascoltare in vita per il giorno dopo non di più, si tratta di poche ore di sonno rubate alla lama che danza i suoi passi sul marciapiede in quella pellicola del ’59 con la Monroe Alcuni giorni: il telefono colma di cifre l’orecchio della casa di solito attento a ben altre tossi catarri antichi, la notte è un’erezione agitata dal sonno di tutto quello che è stato dimenticato perché è nato morto o è rimasto insepolto o semplicemente non è stato portato a termine e nessuna moneta di parola potrà mai riscattare il tuo abito male assortito: quella sera dovevi essere ubriaca di altre certezze, che non quelle solite, vestimentarie

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Un niente che si vive

Se qualcuno è soggetto di un niente che vive o se qualcuno è oggetto di questo stesso vivere un niente io non saprei ma non pare la stessa cosa Cade: corda lanciata all’acqua senz’amo o sasso per l’aria verso un piccolo sole che vola e si scioglie in piume di grida Intermittenza di branchie morenti la solitudine sul letto sfatto mentre tonfi di gocce dai muri gonfi di tempo d’altri e tempo di cose che vanno e vengono e volano a mezzo, spezzano i vetri della finestra appena socchiusa sul corpo del gioco Dei bambini in giardino lì sotto, a quest’ora non domani o dovunque ma in una precisione abbagliata da stolida, murale ubiquità d’immagine, chiusa nella breccia breccia nel dovunque, si precisa l’immagine di un muro: la sua luce

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Il Fato

Alcuni giorni: è Fato riannodare il tempo alle favole Come una gualcita seta piega il cielo al desiderio! copre una mano la cenere trascorsa e forte, nel viaggio si corrompe e fatta pietra leviga il pensiero nel legno un dolce tac di giocattolo Si alza un’ombra dal geranio appena spalancato sulle stelle e la punta d’una freccia è conficcata, strappa corone accese, desta fiammiferi nelle tasche dei peccatori che ci provano un’altra volta per la prima volta, e dicono che sarà l’ultima avanti il giorno Alcuni giorni è scritta sulla fronte la parola che chiama

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Il valore qui-ora

Ecco, vedo, è sufficiente qualche parola di scommessa con l’estraneo per rinfocolare la fiamma del simbolo che fugge in mezzo agli altri e vi si perde e chiede pietà vogliatemi bene sono dei vostri scopritemi uguale o diverso ma scompaginate i valori, qui, ora e in nome di Dio, di un Dio che non esiste datemi l’essere di Dio, di un Dio che vale Un qui-ora distante una marea tirata alla fune della luna ogni notte e lascia in secco gamberi granchi ostriche tutti simboli che restano in mezzo alla sabbia il mattino dopo e sfanno la materia in viso di donna, in occhi d’aprile che ancora non c’è ma è imminente come il sonno alla fine Ecco, è bastata qualche frase senza verbo o nerbo e perdo la scommessa con tutti, sono felice, perché no?

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Un segnale: né piccolo né grande

la misura, la mezzura, l’esserci comunque a occupare un posto, dilatarsi un poco e avere dei confini come tutti, o quasi, ché qualcuno evade dal luogo ed è dovunque e vale tanto oro quanto pesa Ti do un segnale, un cenno semplicemente essendo e tu rispondi con l’assenso inglorioso di una consolazione non vendibile se non per conto terzi col mille per cento di sconto e a scadenze sine die sine ulla dubitatione Mi consegni in busta chiusa la certezza filigranata dai secoli che un mio discendente avrà pegni da spendere in gioia e mito per fortuna, dico io, per fortuna che prima o poi la morte rende priva di senso la farina del pane che cucini di giorno in giorno con pazienza Il mondo non premia chi legge e chi scrive non conoscendo la requie del sonno

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L’amore delle parole

Essere ama bosco si nasconde nelle pieghe d’erba l’amore dei grilli per le zolle che divengono terra di terra Essere ama foglia si rivela: è una bruma d’ansia l’amore del fiato per il cielo d’occhi all’alba oh alba nell’alba Essere ama fondo uccisione dei confini apertura del viaggio attraverso vocali in bilico sul buio della più tenera consonanza

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Quaderni di RebStein, XLIX, Novembre 2013