Gianfranco Ravasi Misericordia - Rebecca libri

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Gianfranco Ravasi Misericordia 12 riflessioni per vivere il Giubileo Illustrazioni di Gustave Doré Ecra

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Gianfranco Ravasi

Misericordia12 riflessioni per vivere il Giubileo

Illustrazioni di Gustave Doré

Ecra

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G. Ravasi Misericordia. 12 riflessioni per vivere il Giubileo

© 2015 Ecra Srl www.ecra.it

ISBN 9788865581735

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Indice

Introduzione 7

GENNAIO 11I numeri dell’odio e della misericordia 15

FEBBRAIO 19Su una pista del deserto 23

MARZO 27Una voce dall’abisso 31

APRILE 35Un Padre prodigo di amore 39

MAGGIO 43Una vedova e il profeta 47

GIUGNO 51Misericordia per Caino! 55

LUGLIO 59Un ricco senza misericordia 63

AGOSTO 67Non schiavo ma fratello 71

SETTEMBRE 75Il Signore amante della vita 79

OTTOBRE 83Sulla spianata del tempio 87

NOVEMBRE 91Due cortili e un muro 95

DICEMBRE 99Alla sera della vita 103

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Introduzione

C’è un ideale vessillo che sventola sui mesi di questo anno: è quello della misericordia. Anzi, c’è un volto che sorride sul-le opere e i giorni dell’umanità, ed è quello del Dio misericor-dioso e pietoso le cui «vie sono misericordia e verità», come lo invoca un personaggio biblico paziente e giusto, Tobia (3,2). Non per nulla papa Francesco ha intitolato la bolla di indi-zione del Giubileo Misericordiae vultus, un volto che è appunto quello di Dio il quale così si confessa al profeta Geremia: «Io sono il Signore che pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, e di queste cose mi compiaccio» (9,23).

In quella bolla il papa definiva in modo limpido e attra-verso una trilogia di affermazioni questa virtù cara a Dio e a Gesù Cristo:

«Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sin-ceri il fratello che incontra nel cammino della vita.

Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (n.2).

Abbiamo, così, pensato di accompagnare ogni mese dell’anno giubilare con una pagina biblica che faccia brillare questa virtù nelle sue diverse iridescenze. L’Antico e il Nuovo Testamento, tra l’altro, curiosamente convergono tra loro an-che a livello di vocabolario, pur nella diversità delle lingue, l’ebraico e il greco. Infatti il termine principale per designa-re la misericordia – in ebraico il plurale rahamîm e in greco il verbo splanchnízomai – rimandano entrambi alle “viscere”

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materne e paterne, al grembo che genera, quasi a voler di-mostrare che il vero amore è appunto “viscerale”, radicale, totale, assoluto.

È interessante notare che lo stesso vocabolo ebraico ap-pare anche in arabo e, così, tutte le 114 “sure” o capitoli del Corano iniziano con questa professione di fede: «Nel nome di Dio misericorde (rahman) e misericordioso (rahim)». Il dialogo interreligioso, quindi, deve basarsi su questa quali-tà divina, cioè la clemenza, la compassione, il perdono, una caratteristica primaria rispetto alla giustizia. Bellissima è, al riguardo, un’affermazione di Lutero: «La misericordia di Dio è come il cielo che rimane sempre fermo sopra di noi. Sotto questo tetto siamo al sicuro, dovunque ci troviamo».

Iniziamo, allora, questo nostro itinerario di riflessione sulla Parola divina attraverso alcune pagine bibliche cele-bri e altre meno note, così da scoprire in pienezza il volto del Signore, «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore... perché come tenero è un padre verso i suoi fi-gli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono [cioè, credono in lui]» (Salmo 103,8.13). Attraverso queste medita-zioni scopriremo anche il nostro volto migliore perché, come suggerisce san Paolo, dobbiamo «rivestirci di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magna-nimità, sopportandoci a vicenda e perdonandoci gli uni gli altri» (Colossesi 3,12-13).

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“Mosè, la grande guida di Israele, è lassù con le nuove tavole del Decalogo, dopo che ha infranto le prime scagliandole contro il vitello d’oro idolatrico”.

Mosé scende dal Monte Sinai, illustrazione di Gustave Doré, La Bibbia, 1866

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«Il Signore disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle ta-vole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per domani matti-na: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte”. Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Si-gnore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazio-ni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Mosè si curvò in fret-ta fino a terra e si prostrò. Disse: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità”».

Esodo 34,1-9

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I numeri dell’odio e della misericordia

È l’alba, ma già il sole batte implacabile sulla vetta del Si-nai. Mosè, la grande guida di Israele, è lassù con le nuove tavole del Decalogo, dopo che ha infranto le prime scaglian-dole contro il vitello d’oro idolatrico. Ed ecco, Dio si presenta davanti a lui, le sue parole sono simili a una sorprendente “carta d’identità”, costruita curiosamente su un’equivalenza numerica: «terza e quarta generazione» e «millesima gene-razione». Ebbene, noi ora vorremmo spiegare questa simbo-logia inserendola all’interno di una serie di equazioni che la Bibbia ci offre per illustrare sia la misericordia sia il suo anti-podo, cioè l’odio e la violenza.

Iniziamo con l’equazione 7 a 77, che è immersa nella te-nebra della brutalità vendicativa. È un discendente di Cai-no a proclamarla. Celebre è quel suo terribile canto della spada sempre insanguinata: «Io uccido un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte è vendicato Caino; settantasette volte sarà vendicato Lamek» (Genesi 4,23-24). È quell’immensa scia di sangue che per-vade la terra e la storia e che non si arresta mai. Lo scritto-re francese Charles Péguy nel suo Mistero dei Santi Innocenti (1912) metteva in bocca a Dio queste parole: «Gli uomini preparavano tali errori e mostruosità che io stesso, Dio, ne fui spaventato. Non ne potevo sopportare l’idea. Ho dovuto perdere la pazienza; eppure io sono paziente perché eterno. Ma non ho potuto trattenermi. Era più forte di me. Io ho anche un volto di sdegno». Il giudizio divino è, alla fine, la protezione delle vittime.

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Passiamo a un’altra equazione numerico-simbolica: 1 a 1, quella sottesa alla cosiddetta legge del taglione. Si legge, in-fatti, nel libro dell’Esodo: «Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatu-ra per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido» (21,23). La brutalità della formulazione di taglio semitico ci impe-disce di vedere il progresso reale che qui si ha rispetto alla legge di Lamek: si ha, infatti, la codificazione della giustizia distributiva che sarebbe già un bel passo di civiltà. Non è for-se vero che ebrei, cristiani e musulmani ancor oggi nelle loro guerre adottano la norma della rappresaglia più feroce e non certo l’equilibrio della risposta giusta e proporzionata? Tutta-via è indiscutibile che anche in questa regola sangue chiama sangue ed è per questo che Cristo, pur attento alla giustizia, non esiterà a spezzare la catena del «taglione» introducendo proprio la scelta della mitezza e del perdono.

Egli lo fa innanzitutto riprendendo dall’Antico Testamen-to un’altra equazione 1 a 1 positiva: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Levitico 19,18; Matteo 22,39). Ma lo fa anche nel Discorso della montagna, ricorrendo a una trilogia esem-plificativa: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio. Anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra. A chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tuni-ca, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne due con lui» (Matteo 5,38-41). Ci stiamo, quindi, spostando nella regione luminosa della mitezza ove al radicalismo sanguinario di Lamek e al realismo duro del taglione subentra l’«utopia» dell’amore misericordioso, un progetto che dev’essere incarnato con pazienza nella storia.

Possiamo così passare a un’altra equivalenza: 7 a 1000, quella del testo che abbiamo citato in apertura. Essa, da un lato, calibra la giustizia nella sua pienezza (il 7, cioè il 3 e 4) ma esalta il perdono e la misericordia fino all’infinito, raffi-gurato nel numero 1000. È ciò che viene espresso, nell’auto-ritratto divino da noi presentato, secondo il linguaggio semi-tico «generazionale» (per indicare che il peccato non è mai solo una questione esclusivamente individuale ma sociale).

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La giustizia divina è severa e rigorosa perché il Signore è un Dio morale. Superiore, però, è la misericordia divina che non ha limiti. Da accostare a questa dichiarazione ce n’è un’altra, sempre messa in bocca a Dio, che ribadisce la scelta fonda-mentale della misericordia del Signore: «Forse che io ho pia-cere della morte del malvagio e non piuttosto che si converta e viva?... Io non godo della morte di chi muore. Convertitevi e vivrete!» (Ezechiele 18,23.32).

La nostra sequenza numerica può, così, approdare a un’ul-tima equazione: 7 a 70 x 7. È questa la formula del perdono, della mitezza e dell’amore cristiano che Gesù delinea in una risposta a un modello numerico suggerito dall’apostolo Pie-tro: «Signore, quante volte dovrò perdonare il mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?». Gesù gli risponde: «Non dico fino a sette ma fino a settanta volte sette!» (Matteo 18,21-22). Come si vede, c’è un’allusione per contrasto alla legge della vendetta, formulata da Lamek, da cui siamo parti-ti, quell’equazione 7 a 77. Qui essa è radicalizzata e condotta, invece, a una pienezza assoluta positiva.

Ormai siamo giunti alla meta suprema della misericordia e del perdono, incarnata dall’agire stesso di Dio che fa piovere su giusti e ingiusti e fa risplendere su tutti il suo sole (Matteo 5,45-46). Con Gesù l’appello supera ormai anche le frontie-re dell’amico-nemico e giunge fino all’invito che è lanciato sempre nel Discorso della montagna: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5,45).

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