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Giampaolo Malgeri Una politica per l’oltreconfine Le relazioni italo-britanniche nell’Etiopia nord-occidentale (1902-1914) ARACNE

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Giampaolo Malgeri

Una politica per l’oltreconfine

Le relazioni italo-britannichenell’Etiopia nord-occidentale

(1902-1914)

ARACNE

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via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0141–0

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I edizione: giugno 2005

Indice

Abbreviazioni 7

Introduzione 9

Capitolo 1Gli accordi confinari italo–anglo–etiopici del 15 maggio 1902 21

1. La ricerca di vie di penetrazione verso l’Etiopia nord–occidentale e le preoc-cupazioni di Martini per la politica britannica. L’avvio di negoziati per ladefinizione del confine sud–occidentale dell’Eritrea (p. 21) – 2. L’accordoitalo–inglese del 22 novembre 1901 (p. 45) – 3. Il viaggio di Martini nelleregioni tra Gash e Setit (p. 52) – 4. I negoziati con il negus e le convenzioni difrontiera del 15 maggio 1902 (p. 55) – 5. La polemica Vigoni–Martini sullanuova sistemazione territoriale dell’Eritrea (p. 62) – 6. La regione dei Cunama(p. 68)

Capitolo 2L’accordo tripartito sull’Etiopia 77

1. I progetti di penetrazione economico–commerciale italiana verso l’Etiopianord–occidentale e la concorrenza britannica (p. 77) – 2. Il tentativo di accor-do italo–britannico sull’Etiopia (p. 97) – 3. La convenzione tripartitasull’Etiopia del 19 dicembre 1906 (p. 122)

Capitolo 3L’incidente di Noggara (1906–1907) 145

1. La deposizione dello Scekh Ali Imam (p. 145) – 2. La missione di DanteOdorizzi presso il degiac Ghessesè (p. 157) – 3. La conclusione dell’incidentee lo scambio di note italo–britanniche del 22 febbraio – 1° marzo 1907 (p. 166)

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Capitolo 4Tra diplomazia e commercio. Il confronto politico e commerciale italo–britanniconel nord–ovest dell’Etiopia 179

1. Il problema della fair commercial competition nell’Etiopia nord–occidenta-le (p. 179) – 2. Il progetto d’istruzioni identiche (p. 192) – 3. La missioneRossetti e la proposta di accordo commerciale italo-britannico per l’Etiopia set-tentrionale (p. 197) – 4. La spedizione al Tana della Società Geografica Italiana(p. 205)

Capitolo 5L’egemonia su Gondar 213

1. Difficoltà e limiti dell’azione economica italiana nell’oltreconfine. Il trattatodi commercio e di amicizia italo-etiopico del 21 luglio 1906 (p. 213) – 2. Laconcorrenza italo-britannica a Gondar (p. 231) – 3. Le trattative sul lago Tana(p. 245)

Indice6

Abbreviazioni

ACS: Archivio Centrale dello Stato

AE: Archivio Eritrea

AP: Atti Parlamentari

ASMAE: Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri

ASMAI: Archivio Storico del Ministero dell’Africa Italiana

AUSSME: Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito

CDD: Camera dei Deputati

CM: Carte Martini

DDF: Documents Diplomatiques français

DDI: Documenti Diplomatici Italiani

DD, sc: Documenti Diplomatici, serie confidenziale

Disc.: Dicussioni

doc.: documento

f.: fascicolo

FO: Foreign Office

IES: Institute of Ethiopian Studies

Legisl.: Legislatura

n.: numero

p.: pacco

pos.: posizione

PRO: Public Record Office

RAS: Raccolta degli Atti Stampati

SDR: Senato del Regno

sess.: sessione

vol.: volume

7

9

INTRODUZIONE L’intesa con la Gran Bretagna1 costituì nel corso del decennio ed

oltre che precedette la disfatta di Adua il cardine della politica colo-niale italiana nel Corno d’Africa. Proprio attraverso l’appoggio bri-tannico l’Italia poté, infatti, nel 1885, occupare e stabilirsi a Massaua e Beilul ed accrescere così la propria presenza sul Mar Rosso, fino a quel momento limitata al piccolo centro di Assab e al protettorato sul piccolo sultanato di Raheita2.

Negli anni successivi, poi, la Gran Bretagna assecondò le aspira-zioni dell’Italia crispina in direzione dell’Etiopia ed accettò il protetto-rato italiano sull’impero abissino, conseguito, secondo la contestata interpretazione del governo di Roma, con il trattato di Uccialli del 2 maggio 18893. Per comprendere questo favore inglese nei confronti degli interessi italiani in Abissinia è necessario tener presente che a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, cioè all’indomani del-l’evacuazione anglo–egiziana del Sudan a causa delle rivolta mahdi-sta, una delle priorità della politica africana dell’Inghilterra fu la sal-vaguardia dell’indipendenza della vallata del Nilo, dalle cui acque di-pendeva l’esistenza economica dell’Egitto, dal pericolo che una qual-che potenza straniera potesse affermare la propria egemonia su di essa

1 Sui rapporti italo–inglesi in Africa orientale prima di Adua, si vedano William

L. LANGER, Diplomazia dell’imperialismo, Milano, Istituto per gli Studi di Politica In-ternazionale, 1942, vol. I, pagg. 181–184, 216–217, 441 e segg.; Carlo GIGLIO, La po-

litica africana dell’Inghilterra nel XIX secolo, Padova, Cedam, 1950, pagg. 403–405, 443–460, 464–469, 470–479; George Neville SANDERSON, A study in the partition of

Africa. England, Europe and Upper Nile 1882–1899, Edinburgh, Edinburgh University Press, 1965, pagg. 67–87; Cedric James LOWE, The Reluctant Imperialists.

British Foreign Policy 1878–1902, London, Routledge & Kegan Paul, 1967, vol. I, pagg. 137–146; Giampaolo CALCHI NOVATI, La debolezza fatale dell’opzione diplo-

matica: il colonialismo italiano fra Europa e Africa, in Adua. Le ragioni di una

sconfitta, a cura di Angelo DEL BOCA, Roma–Bari, Laterza, 1997, pagg.117–142; Christopher SETON–WATSON, La politica inglese nei confronti della colonizzazione

italiana in Africa Orientale (1880–1896), in ivi, pagg. 143–158; ID., Adua 1896: timo-

ri e perplessità britanniche, in “Studi Piacentini”, 1993, n. 13, pagg. 117–133. 2 Cfr. Carlo ZAGHI, P.S. Mancini, l’Africa e il problema del Mediterraneo 1884–

1885, Roma, Casini, 1955; Carlo GIGLIO, L’Italia in Africa. Serie storica. Etiopia –

Mar Rosso, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958, vol. I, tomo I. 3 Cfr. SETON–WATSON, La politica inglese nei confronti della colonizzazione ita-

liana in Africa Orientale, cit., pagg. 145–146.

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approfittando del ritiro britannico. Di conseguenza, agli occhi degli inglesi la supremazia sull’Etiopia di un Paese amico ed alleato come l’Italia presentava il grande vantaggio di assicurare una copertura, sul versante orientale, alle regioni sudanesi attraverso le quali scorreva il grande fiume africano.

Londra, quindi, non esitò ad accogliere le aspirazioni del governo italiano in direzione dell’Etiopia, giungendo fino al punto di ricono-scere anche sul piano politico e giuridico, con la firma dei protocolli italo–britannici del 24 marzo e 15 aprile 18914, l’egemonia esclusiva del Regno sabaudo sull’Abissinia. In base a tali accordi, infatti, i go-verni italiano e britannico si intesero su una divisione delle rispettive sfere d’influenza nel Corno d’Africa che attribuiva all’Italia la quasi totalità dell’Etiopia: in particolare tutti i territori ad est di una linea che da Ras Kasar, sulle coste del Mar Rosso, raggiungeva il fiume A-tbara, ne seguiva il corso fino all’altezza di Metemma, lasciando ad o-riente la colonia Eritrea e l’Etiopia, e di qui arrivava fino alla foce del Giuba sull’Oceano Indiano. In cambio gli inglesi si assicuravano il porto di Chisimaio sull’Oceano Indiano, ma soprattutto conseguivano l’obiettivo fondamentale di ottenere da Roma il riconoscimento di-plomatico delle “sue pretese sui territori del Sudan meridionale e della zona dei laghi”5 e quindi la rinuncia italiana ad ogni aspirazione sulla vallata del Nilo6. Il governo di Roma, infatti, abbandonava qualunque

4 Il testo di questi protocolli in Carlo ROSSETTI, Storia diplomatica dell’Etiopia

durante il regno di Menelik II, Torino, S.T.E.N., 1910, pagg. 119–122. Sull’argo-mento si vedano Carlo ZAGHI, I protocolli italo–britannici del 1891 e la guerra con-

tro i dervisci, in “Rassegna di politica internazionale”, dicembre 1937, pagg. 936–947; ID., Il problema di Cassala e l’Italia. Le trattative italo–britanniche del 1890 al-

la luce del carteggio Dal Verme–Crispi, in “Storia e politica internazionale”, 1940, fasc. III, pagg. 412–464.

5 Carlo GIGLIO, La questione del Lago Tana [1902–1941), in “Rivista di studi po-litici internazionali”, 1951, n.4, pag. 643.

6 Come ha osservato Carlo Giglio, “A spese di territori altrui, l’Inghilterra ottene-va il riconoscimento italiano alle sue aspirazioni. […] L’Etiopia […] veniva […] at-tribuita alla sfera italiana, ma l’Inghilterra ci fermava a ben 200 km. dal Nilo. Obbiet-tivo supremo della politica inglese era di tener lontano dall’Alta Valle del Nilo qua-lunque altro Stato, Italia ed Etiopia comprese. All’Italia riconosceva volentieri il pro-tettorato sull’Etiopia a condizione che rimanesse ben lontana dal Nilo e che, attraverso di essa, l’Etiopia non nutrisse progetti ostili”. GIGLIO, La politica africana

dell’Inghilterra nel XIX secolo, cit., pagg. 405 e 453. Allo scopo, peraltro, di impedire qualunque alterazione al volume delle acque che dall’Atbara si riversavano nel Nilo, con l’articolo 3 del protocollo del 15 aprile 1891, l’Italia si assumeva l’impegno a non costruirvi, a scopo di irrigazione, alcuna opera che avrebbe potuto sensibilmente mo-dificarne il deflusso.

Introduzione

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ambizione nei riguardi delle pianure sudanesi, impegnandosi, peraltro, a rispettare i diritti egiziani di sovranità su Cassala, importante località commerciale sul fiume Gash, anche nel caso in cui esso fosse stato co-stretto, per necessità militari, a procedere ad una sua occupazione temporanea7.

Da parte italiana i protocolli furono considerati un notevole succes-so, in quanto assicuravano una preziosissima base diplomatica alle ambizioni italiane sull’Etiopia. Ed anche all’indomani della battaglia di Adua, nonostante la disastrosa sconfitta che chiudeva la fase crispi-na della politica espansionistica italiana in Abissinia, la Consulta con-tinuò a ribadire l’importanza e la validità di quegli accordi. Come ha osservato Luciano Monzali, infatti, “se l’Italia rinunciò con il trattato di Addis Abeba dell’ottobre 1896 alla rivendicazione di un protettora-to coloniale sull’Etiopia, non vi fu però alcuna denuncia (dei) proto-colli […]. Anche dopo Adua il governo italiano proclamò la validità di tali protocolli […]”8.

Pur accettando, quindi, attraverso l’abrogazione del trattato di Uc-cialli, l’“indipendenza assoluta e senza riserve dell’Impero etiopico come Stato sovrano e indipendente” il governo di Roma mostrò, in so-stanza, di non voler rinunciare ad un prezioso strumento diplomatico che garantiva il riconoscimento britannico di un’influenza esclusiva dell’Italia sulla gran parte dello Stato negussita. Un atto che esprime-va, peraltro, con chiarezza l’importanza che l’Etiopia continuava ad avere, anche all’indomani di Adua, per una parte rilevante del mondo politico nazionale, che si mostrava ancora favorevole all’affermazione di una forte presenza dell’Italia nel Corno d’Africa. I protocolli erano infatti destinati a costituire il perno, il necessario fondamento per le future rivendicazioni territoriali italiane: il mezzo attraverso il quale “difendere la legittimità politica e diplomatica” delle proprie ambizio-ni “in caso di possibili sviluppi che avessero portato alla crisi dell’impero abissino e alla ridefinizione dei confini territoriali nel Corno d’Africa”9.

7 Il 5 maggio 1894, con un ulteriore scambio di note Londra e Roma completava-

no la delimitazione delle proprie sfere d’influenza anche nella regione etiopico–somala sul golfo di Aden.

8 Luciano MONZALI, L’Etiopia nella politica estera italiana 1896–1915, Parma, Università degli Studi di Parma – Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza, 1996, pag. 413.

9 Ivi, pag. 103.

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Negli anni immediatamente successivi alla sconfitta militare in A-frica orientale, tuttavia, l’iniziativa italiana fu in gran parte dedicata al consolidamento politico e territoriale della colonia Eritrea. Superate, infatti, le tentazioni rinunciatarie che attraversarono una parte dello schieramento politico nazionale come reazione al disastro di Adua e al velleitarismo di Crispi, il governo di Roma promosse in questi anni una politica di raccoglimento diretta a stabilizzare la presenza italiana nel Corno d’Africa attraverso la ricomposizione dei rapporti diploma-tici con l’Etiopia e la conclusione di una serie di accordi confinari10.

Soltanto con l’avvio del nuovo secolo l’attenzione della Consulta e del suo Ufficio coloniale, guidato dall’attivo Giacomo Agnesa11, si ri-volse di nuovo all’oltreconfine etiopico. Tale interesse, che riguardava evidentemente gran parte dell’Etiopia e che faceva leva sull’esistenza dei protocolli del 1891 e del 1894, si concentrò, in particolare, sulle regioni nord–occidentali dell’impero negussita. Queste, infatti, veni-vano considerate — e su questo giudizio influivano molto le opinioni espresse a riguardo dalle autorità coloniali periferiche e, in particolare,

10 L’accordo Martini–Parsons del 7 dicembre 1898, che dava esecuzione alla con-

venzione Kitchener–Baratieri del 1895, definendo il tratto di confine eritreo–sudanese tra Ras Casar e il Barca; l’atto Walter–Bongiovanni del 1° giugno 1899 che fissava sul terreno la linea di frontiera tra Eritrea e Sudan dal Barca a Sabderat; la convenzione di frontiera italo–etiopica del 10 luglio 1900, che fissava lungo la linea Tomat–Todluc–Mareb–Belesa–Muna il confine tra Eritrea e Tigrè; l’accordo italo–britannico del 16 aprile 1901 con il quale venne delineato sul terreno il confine eritreo–sudanese tra Sabderat a Todluc; i protocolli italo–francesi del 24 gennaio 1900 e del 10 luglio 1901, che definivano il confine tra la colonia francese di Gibuti e l’Eritrea. Su questi accordi Federica GUAZZINI, Le ragioni di un confine coloniale. Eritrea 1898–1908, Torino, L’Harmattan Italia, 1999.

11 Pervicace sostenitore dell’espansione coloniale italiana in Africa orientale e di una politica diretta all’affermazione dell’egemonia italiana sull’Etiopia, Giacomo A-gnesa fu uno dei principali artefici della politica coloniale italiana nel periodo com-preso tra Adua e la fine della prima guerra mondiale. Dopo aver guidato l’ufficio co-loniale, nell’ottobre del 1905 fu nominato da Tittoni, direttore centrale degli affari co-loniali del Ministero degli Esteri. A partire dal 1912, poi, con l’istituzione del Mini-stero delle Colonie, andò a coprire la posizione di direttore generale degli affari politi-ci di quel dicastero. Sul personaggio si veda Maria Antonietta MULAS, Un funzionario

del Ministero degli esteri nello Stato liberale: Giacomo Agnesa (1860–1919), in Fonti

e problemi della politica coloniale italiana. Atti del convegno Taormina–Messina,

23–29 ottobre 1989, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali – Ufficio cen-trale per i beni archivistici, 1996, vol. II, pagg. 914–940; un profilo biografico di A-gnesa in L’Italia in Africa. Serie giuridico–amministrativa, volume primo, Il governo

dei territori oltremare (1869–1955), testi di Cesare MARINUCCI e Tomaso COLUMBA-

NO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1963, pagg. 33–35; MONZALI, L’Etiopia

nella politica estera italiana, cit., pagg.202–203.

Introduzione

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le valutazioni e le prese di posizione di Ferdinando Martini12, governa-tore13 dell’Eritrea a partire dal 1897 — le zone dell’Abissinia più pro-mettenti dal punto di vista economico, sulle quali si sarebbe dovuta concentrare l’opera di penetrazione politico–commerciale dell’Italia nella prospettiva di inserirle stabilmente nell’orbita dell’influenza ita-liana.

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, è noto che la sconfitta di Adua, riaccendendo la competizione tra le diverse potenze per il controllo dell’Alto Nilo e prefigurando, in particolare, il pericolo di un’alleanza franco–etiopica14 per la spartizione dei territori sulle due rive del Nilo,

12 Esponente della sinistra liberale, consigliere di Zanardelli per le questioni colo-

niali, Ferdinando Martini era un ottimo conoscitore della realtà eritrea, avendola, tra l’altro, percorsa e studiata come membro della commissione reale d’inchiesta che nel 1891 vi si recò per far luce sull’operato delle autorità militari coloniali. Un’e-sperienza, questa, che segnò in maniera decisiva le sue future convinzioni in materia coloniale. Partito, infatti, da posizioni anticolonialiste, alimentate probabilmente dalla profonda impressione suscitata su di lui dalla disfatta militare di Dogali del 1887, pas-sò, proprio in conseguenza del viaggio compiuto nella colonia, che gli consentì di ac-quisire una nozione più precisa di essa, ad un atteggiamento “favorevole più che all’espansione coloniale, al rafforzamento di quello che già si era faticosamente con-quistato fino ad allora” (Vittorio DE MARCO, Ferdinando Martini, in Il Parlamento I-

taliano. Storia parlamentare e politica dell’Italia 1861–1988, vol. 9°, 1915–1919

Guerra e dopoguerra. Da Salandra a Nitti, Milano, Nuova CEI, 1988, pag. 204). Al-l’indomani di Adua, a dispetto del sentimento anticolonialista che aveva pervaso la classe politica italiana, Martini aveva continuato con fermezza a sostenere la necessità che l’Italia restasse in Africa orientale, sia pure in modo diverso e, soprattutto, meno oneroso per il bilancio dello Stato. Coerentemente con questi suoi orientamenti, dopo la sua designazione a commissario civile dell’Eritrea nel novembre del 1897, egli svolse un ruolo decisivo per contrastare, con successo, le intenzioni liquidatorie del governo Di Rudinì, deciso a restituire a Menelik buona parte dei territori del-l’altopiano appartenenti alla colonia italiana.

13 In realtà il titolo con il quale Martini assumeva l’incarico di governare la colo-nia eritrea era quello di Regio commissario civile straordinario.

14 Le aspirazioni etiopiche sulle pianure sudanesi erano note da tempo. Nell’aprile del 1891 Menelik aveva inviato una lettera alle cancellerie delle grandi Potenze colo-niali nella quale indicava i territori che egli rivendicava come parte integrante dell’Abissinia storica, e tra questi era compresa tutta la regione situata tra l’acrocoro e la riva destra del Nilo (cfr. ROSSETTI, Storia diplomatica dell’Etiopia, cit., pag. 95). All’indomani di Adua, poi, l’imperatore etiopico, nel tentativo di dare realizzazione concreta a queste ambizioni territoriali si rese artefice di una serie di spedizioni milita-ri che ebbero l’effetto di ampliare verso sud e verso ovest i confini dell’impero abissi-no fino a ricomprendervi le vaste regioni dei Borana a sud, e, in direzione del Sudan, del Caffa e dei Beni Sciangul. La Francia tentò di sfruttare questa carta dell’espansionismo etiopico per ostacolare l’avanzata inglese e per assicurarsi un pre-zioso alleato nella lotta per il controllo del Sudan. In particolare, dopo aver concluso,

Una politica per l’oltreconfine

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rafforzò la decisione di Londra di intraprendere sollecitamente la ricon-quista del Sudan. L’avanzata inglese, che si concluse con la vittoriosa battaglia di Omdurman del settembre 1898, cui fece seguito il ritiro fran-cese da Fascioda, si risolse in un vistoso successo tanto militare, quanto politico–diplomatico per la Gran Bretagna che, liberatasi di tutti i suoi concorrenti, vide realizzato il suo progetto di assicurarsi il controllo e-sclusivo dell’intero corso del grande fiume africano.

Tuttavia, la rioccupazione del Sudan ebbe anche l’importante ef-fetto di modificare gli obiettivi ed i caratteri della politica inglese nei confronti dell’Etiopia. Proprio a partire da quell’avvenimento, infatti, Londra cominciò a manifestare un crescente interesse nei confronti dei territori occidentali e nord–occidentali dell’Abissinia, in prece-denza trascurati dalla diplomazia inglese, come dimostra la cessione all’Italia della esclusività dei diritti di influenza sull’intera Etiopia re-

agli inizi del 1897, alcuni importanti accordi diplomatici che miravano ad affermare la propria influenza politica ed economica sull’Abissinia, nel marzo del 1897 Parigi ot-tenne dal negus la firma di una convenzione che prevedeva una reciproca assistenza tra i due Paesi per assicurarsi l’egemonia sul Nilo. L’accordo riservava la riva destra del grande fiume africano, e i relativi territori, all’impero abissino, mentre la Francia si assicurava il controllo della riva sinistra. “Questo trattato sanciva un vero e proprio progetto di spartizione franco–abissino delle pianure sudanesi avente una chiara finalità antibritannica e mostrava che Parigi aveva trovato un utile alleato nella lotta per la conquista del bacino del Nilo” (MONZALI, l’Etiopia nella politica estera italia-

na, cit., pag. 86). Tuttavia Parigi non sarebbe riuscita ad approfittare concretamente dei grandi successi diplomatici ottenuti. Privi di risultati rimasero, infatti, i tentativi francesi di anticipare gli inglesi nella loro discesa verso il Sudan stabilendo una base lungo il corso del Nilo attraverso l’invio di spedizioni che, con la collaborazione etio-pica, avrebbero dovuto raggiungere il grande fiume africano muovendo da est. Nello stesso tempo Menelik, da politico realista e prudente qual era, preoccupato della sof-focante pressione francese e allo stesso tempo consapevole della necessità di mantene-re rapporti amichevoli anche con Londra, evitò di spingere l’intesa con la Francia fino alla rottura con Londra. Anzi, proprio allo scopo di controbilanciare la portata degli impegni assunti con Parigi, il negus sottoscrisse il 14 aprile 1897 con il diplomatico britannico James Rennell Rodd, un trattato di amicizia e di commercio che prevedeva, tra l’altro, l’impegno di Menelik ad impedire che attraverso il territorio dell’impero passassero armi e munizioni destinate ai madhisti e a considerare questi ultimi “en-nemis de son empire”. Non fu possibile però giungere, come sperato da Rodd, ad una delimitazione dei rispettivi territori ad occidente dell’Abissinia. L’imperatore si mo-strò, infatti, irremovibile rispetto alle sue rivendicazioni nilotiche, per cui il rappresen-tante britannico ritenne opportuno rinviare ad un momento successivo — quando gli inglesi e gli egiziani fossero arrivati a Khartum — la soluzione di questa difficile con-troversia. Cfr. ROSSETTI, Storia diplomatica dell’Etiopia, cit., pagg. 221–228; SAN-

DERSON, Op. cit., pagg. 258–259, 293–294; LANGER, Op. cit., pagg. 209–219; MON-

ZALI, L’Etiopia nella politica estera italiana, cit., pagg. 85–88.

Introduzione

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alizzatasi con i protocolli del 1891. Furono soprattutto i programmi per la valorizzazione agricola delle pianure sudanesi formulati dalle autorità anglo–egiziane all’indomani della riconquista ed incentrati sulla produzione in massa del cotone nelle vaste province equatoriali del Gezira, del Sennar e del Cordofan, a determinare questo nuovo o-rientamento della politica britannica. Tali progetti, infatti, richieden-do la disponibilità di enormi quantità di risorse idriche per l’ir-rigazione, evidenziarono la necessità di impostare un piano unitario di disciplina delle acque del Nilo in grado di far fronte, “imparzial-mente”15 ed in maniera efficace, alle relative esigenze del Sudan e dell’Egitto.

È a questo scopo che il governo anglo–egiziano incaricò nel 1899 l’ingegnere William Garstin, Sottosegretario di Stato presso il Mini-stero egiziano degli affari pubblici, di una serie di missioni di studio su tutto il sistema idrofluviale nilotico. A conclusione del suo impo-nente lavoro il tecnico britannico trasse una serie di conclusioni desti-nate ad influire prepotentemente sulle direttive della politica inglese in Africa orientale negli anni a venire: prima fra tutte la sottolineatura del carattere fondamentale del contributo del Nilo Azzurro alla cresci-ta e al deflusso del Nilo Bianco verso l’Egitto. Garstin dimostrò, infat-ti, che la portata e il valore delle acque di questo fiume “dense, rossa-stre, cariche di limo” costituivano l’elemento chiave di tutto il sistema, senza il quale i progetti di sviluppo del Sudan erano destinati a restare senza esito16. In particolare, l’ingegnere inglese mise in evidenza l’enorme importanza delle acque del Lago Tana, nel cuore dell’Etiopia nord–occidentale, per garantire un regolare scorrimento del Nilo Az-zurro che da esso ha origine e fece presente l’utilità che avrebbe avuto — considerato il regime torrentizio di questo fiume e l’incostanza del suo andamento nel corso dell’anno — allestire nello stesso lago un serbatoio per “assicurare la provvista d’acqua necessaria tanto all’Egitto quanto al Sudan e per agevolare la navigazione del Nilo Az-zurro nei mesi estivi”17. Secondo il tecnico britannico, poi, il Nilo Az-

15 Ettore ANCHIERI, Storia della Politica Inglese nel Sudan (1882–1938), Milano, Bocca, 1939, pag. 132.

16 Italo NERI, La questione del Nilo, Roma, Edizioni Italiane, 1939, pag. 132. 17 Tugini a Prinetti, 14 agosto 1901, in ASMAI, Sudan, pos. 90/5, f.62. “Le con-

clusioni di Sir W. Garstin — continuava l’agente diplomatico al Cairo — sono in massima parte accettate da Lord Cromer con alcune osservazioni di carattere generale. La più significativa è quella che concerne la costruzione del serbatoio al Lago Tsana, che situato sul territorio abissino non potrebbe essere intrapresa senza il consenso di Menelik. Le parole di Lord Cromer mostrano il grande interesse, per non dire ansietà,

Una politica per l’oltreconfine

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zurro sarebbe stato addirittura più facilmente utilizzabile rispetto al Nilo Bianco per irrigare le piantagioni di cotone del Sudan. Da qui la famosa formula con la quale lord Cromer sintetizzò la politica delle acque adottata nell’Africa nilotica dal governo britannico: il Nilo Bianco all’Egitto, il Nilo Azzurro al Sudan.

In maniera non dissimile si sarebbe espresso, di lì a qualche anno, anche il funzionario del Servizio di irrigazione egiziano, Dupuis, che in seguito ad una spedizione compiuta nel 1902 sul Tana, avrebbe se-gnalato l’opportunità di erigere una diga sul grande lago etiopico al fine di aumentarne il livello di almeno cinque metri e rendere, così, costante il volume delle acque destinate ad irrigare, attraverso il Nilo, le desertiche pianure sudanesi. “La convenienza del Tana come serba-toio per il Nilo Azzurro — scriveva Dupuis — è talmente ovvia che ci sembra quasi inevitabile che prima o poi debba trovarsi qualche solu-zione alle difficoltà politiche inerenti per alimentare i canali che irri-gano la Gezira”18.

Il contenuto di queste analisi, che ponevano in evidenza quanto es-senziale dovesse considerarsi per il destino economico delle colonie britanniche il controllo delle risorse idriche dell’ovest etiopico19, eser-citò una notevole influenza sugli ambienti imperialistici inglesi. Que-sti, infatti, cominciarono a convincersi “che anche l’Etiopia Occiden-tale doveva entrare nell’orbita dell’influenza politica inglese poiché essa costituiva un sistema unico con la zona dei Laghi e dell’alto Su-dan: tale intero sistema — che aveva la spina dorsale nel Nilo e nei suoi affluenti, molti dei quali di origine abissina — doveva appartene-re all’Inghilterra”20. Si verificava, quindi, un importante cambiamento di rotta nella politica della Gran Bretagna, che da questo momento a-vrebbe cominciato a considerare l’Abissinia — o almeno la zona occi-dentale di questa — parte integrante del suo sistema di interessi geo-

che il governo inglese ha di conservarsi l’amicizia del Negus; d’altra parte è da avver-tre che se mai quel progetto fosse tradotto in atto, è assai probabile che l’Inghilterra nell’eventualità di una conflagrazione, cui darebbe forse luogo la morte di Menelik, potrebbe prendere pretesto dal maggior interesse che il serbatoio al lago Tsana ha per il regime delle acque del Nilo Azzurro, per reclamare in uno spartimento dell’Impero Etiopico il possesso di quella parte dell’Abissina. Questa eventualità sembra oggi dubbia e remota: ma è bene il non escluderla dai calcoli di probabilità”.

18 Citato in NERI, Op. cit., pag. 148. 19 Ha scritto Italo Neri: “Esisteva […] in quel momento, nella mente degli inglesi,

i più direttamente interessati alla questione, la più profonda convinzione che tutto l’avvenire del Sudan dipendesse dal Tana e dal Nilo Azzurro”. Ivi, pag.148.

20 GIGLIO, La questione del lago Tana, cit., pag. 644.

Introduzione

17

politici nell’area. Una circostanza, questa, che ebbe però l’effetto di introdurre inevitabili motivi di contrasto nei rapporti con l’Italia, for-temente interessata, come si è detto, a fare del nord–ovest etiopico un’area riservata alla propria influenza economica e politica, e dispo-sta a riconoscere al governo di Londra solamente diritti di natura i-draulica sul lago Tana e sugli affluenti del Nilo. Un dissidio che non trovò soluzione efficace neanche con l’accordo tripartito del 13 di-cembre 1906 tra Gran Bretagna, Italia e Francia. Concluso proprio allo scopo di definire le rispettive aree di interesse di ciascun contraente all’interno dell’Etiopia, esso fece emergere ulteriori incomprensioni e disaccordi tra di essi a causa della sua genericità e delle divergenze in-terpretative cui dette luogo.

Questo lavoro intende dunque analizzare il modo in cui il rispettivo interesse verso le regioni nord–occidentali dell’Etiopia abbia influito sulle relazioni italo–britanniche riguardo all’Abissinia negli anni che vanno dal 1902 al 1914.

Vastissima risulta la letteratura storica sull’azione italiana nel Cor-no d’Africa che si è venuta sedimentando a partire dagli inizi del seco-lo scorso e di cui si è tenuto utilmente conto per la realizzazione di questa ricerca: dal volume di Carlo Rossetti sulla politica diplomatica di Menelik, del 191021, ai lavori di Mario Pigli22 sull’Etiopia nella po-litica italiana ed europea, risalenti agli anni Trenta; dagli importanti studi di Carlo Giglio sul lago Tana23 e sulla politica africana della Gran Bretagna nell’Ottocento24, pubblicati agli inizi degli anni Cin-quanta, ai contributi di Alberto Aquarone25 sulla politica coloniale del

21 ROSSETTI, Storia diplomatica dell’Etiopia, cit. 22 Mario PIGLI, L’Etiopia moderna nelle sue relazioni internazionali 1859–1931,

Padova, Cedam, 1933; ID., L’Etiopia nella politica europea col testo di tutti i trattati

ed accordi, Padova, Cedam, 1936. 23 GIGLIO, La questione del lago Tana (1902–1941), cit. 24 ID., La politica africana dell’Inghilterra nel XIX secolo, cit. 25 Alberto AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua: Ferdinando

Martini governatore in Eritrea, in “Rassegna storica del Risorgimento”, 1975, n.3, pagg. 346–377 (parte I); 1975, n. 4, pagg. 449–483 (parte 2); ID., Politica estera e or-

ganizzazione del consenso nell’età giolittiana: il Congresso dell’Asmara e la fonda-

zione dell’Istituto Coloniale Italiani, in “Storia Contemporanea”, 1977, n.1, pagg. 57–119 (parte 1); 1977, n.2, pagg. 291–334 (parte 2); 1977, n.3, pagg. 549–570 (parte 3); ID., Ferdinando Martini e l’amministrazione della Colonia Eritrea, in “Clio”, 1977, n.4, pagg. 341–428; ID., La ricerca di una politica coloniale dopo Adua. Speranze e

delusioni fra politica ed economia, in Opinion publique et politique extérieure, I, 1870–1915. Colloque organsé par l’École française de Rome et le Centro per gli studi di politica estera e opinione pubblica de l’Université de Milan, Rome 13–16 février

Una politica per l’oltreconfine

18

Regno d’Italia dopo Adua, di Angelo Del Boca26 sul colonialismo ita-liano in età liberale e di Giovanni Buccianti27 sulla questione etiopica all’indomani della prima guerra mondiale apparsi a cavallo dei decen-ni Settanta e Ottanta.

In tempi più recenti, in particolare, il tema della politica coloniale italiana, segnatamente in Africa orientale, ha conosciuto un notevole incremento di interesse testimoniato dalla pubblicazione di importanti volumi di ricerca, che da prospettive scientifico–culturali diverse han-no cominciato ad esplorare temi e periodi finora rimasti in ombra sul piano storiografico28. Tra questi, utilissimi per la realizzazione del pre-sente studio sono risultati, soprattutto, il già citato libro di Luciano Monzali29, che ha studiato la questione etiopica nella politica estera i-taliana, in particolare esaminando il peso e l’importanza del problema all’interno dei rapporti italo–franco–britannici, e la più recente opera di Federica Guazzini30, che ha ricostruito la trama dei negoziati diplo-matici attraverso i quali, dopo Adua, l’Italia assestò sul piano territo-riale–confinario il proprio possedimento eritreo.

Sul piano documentario la ricerca è il risultato di una indagine ar-chivistica compiuta, in gran parte, presso l’Archivio storico diplomati-co del Ministero degli Affari Esteri. Nucleo centrale di tale documen-tazione consultata sono i fondi del Ministero dell’Africa italiana, al

1980, Milano, Università di Milano – École française de Rome,1981, pagg. 295–327. Tutti questi saggi sono stati successivamente raccolti in un unico volume: Dopo Adua:

Politica e amministrazione coloniale, Roma, Ministero per i beni culturali, Pubblica-zioni degli Archivi di Stato, 1989.

26 Angelo DEL BOCA, Gli italiani in Africa orientale. I, Dall’unità alla marcia su

Roma, Roma–Bari, Laterza, 1976. 27

Giovanni BUCCIANTI, L’egemonia sull’Etiopia (1918–1923). Lo scontro diplo-

matico tra Italia, Francia e Inghilterra, Milano, Giuffré, 1977. 28 Tra gli studi pubblicati negli ultimi tempi che trattano della politica italiana in

Africa orientale negli anni compresi tra Adua e la prima guerra mondiale sono da menzionare: Stefano MAGGI, Colonialismo e comunicazioni. Le strade ferrate nell’A-

frica italiana (1887–1943), Napoli, ESI, 1996; Gian Luca Podestà, Sviluppo indu-

striale e colonialismo. Gli investimenti italiani in Africa orientale 1869–1897, Mila-no, Giuffrè, 1996; Marco Scardigli, Ascari, irregolari e bande nella conquista del-

l’Eritrea 1885–1911, Milano, Franco Angeli, 1996; Andrea FRANCIONI, Medicina e

diplomazia. Italia ed Etiopia nell’esperienza africana di Cesare Nerazzini, 1883–

1897, Siena, Nuova immagine, 1999; Barbara SÒRGONI, Etnografia e colonialismo.

L’Eritrea e l’Etiopia di Alberto Pollera (1873–1939), Torino, Bollati Boringhieri, 2001; Giancarlo MONINA, Il consenso coloniale. Le Società geografiche e l’Istituto

coloniale italiano (1896–1914), Roma, Carocci, 2002. 29 MONZALI, L’Etiopia nella politica estera italiana 1896–1915 cit. 30 GUAZZINI, Le ragioni di un confine coloniale, cit.

Introduzione

19

cui interno sono conservate le carte dell’Ufficio coloniale della Con-sulta e del Ministero delle Colonie, e quelle dell’Archivio Eritrea, che custodisce la ricca documentazione prodotta dagli uffici centrali e pe-riferici del governo della colonia italiana sul Mar Rosso.

Particolarmente utile è inoltre risultato l’esame delle carte di Fer-dinando Martini, Regio commissario civile e poi governatore dell’Eri-trea, depositate presso l’Archivio centrale dello Stato, interessanti so-prattutto per la prospettiva e gli interessi “locali” di cui il personaggio si rende interprete nei suoi rapporti con la Consulta e per essere egli stesso il principale sostenitore dell’importanza del nord–ovest etiopico per gli sviluppi dell’azione italiana in Africa orientale.

Due brevi soggiorni a Londra hanno, inoltre, consentito di ampliare il quadro delle fonti inedite ad alcuni documenti del Foreign Office, disponibili presso il Public record office, relativi, in particolare, all’azione economico–politica britannica nell’Etiopia nord–occi-dentale ed alla ricostruzione di alcuni momenti del confronto italo–inglese in quell’area, come nel caso dell’incidente di Noggara.

Non mi è possibile concludere queste note introduttive senza mani-

festare i miei profondi sentimenti di gratitudine nei confronti di quanti mi hanno guidato, in questi ultimi anni, lungo il difficile cammino della ricerca storica: ai professori Giuseppe Ignesti e Maria Grazia Melchion-ni, in primo luogo, fondamentali punti di riferimento intellettuale ed umano, sempre prodighi di preziosi ed utili consigli, che mi hanno so-stenuto con il loro costante aiuto ed incoraggiamento; al prof. Gianluigi Rossi, che mi ha seguito nel corso del dottorato di ricerca pisano duran-te il quale questo studio è stato avviato; al prof. Matteo Pizzigallo, che mi onora della sua amicizia e della sua attenzione.

Un pensiero affettuoso desidero rivolgere, infine, agli amici e col-leghi, dottoresse Antonella De Carlo e Tiziana Di Maio e dottor Mas-simo Di Giorgi, cui mi lega da anni la quotidiana e stimolante attività di assistenza alla cattedra di Storia delle relazioni internazionali presso il Corso di laurea in Scienze Politiche della Lumsa.

A Marina Ottaviano, impagabile compagna di vita, e ai miei geni-tori questo libro è dedicato.

21

CAPITOLO 1

Gli accordi confinari italo–anglo–etiopici del 15 maggio 1902

1. La ricerca di vie di penetrazione verso l’Etiopia nord–occidentale e le preoccupazioni di Martini per la politica britannica. L’avvio di nego-ziati per la definizione del confine sud–occidentale dell’Eritrea. L’interesse italiano nei confronti delle regioni del nord–ovest etio-

pico cominciò a prendere corpo agli inizi del secolo scorso, all’in-domani, cioè, della raggiunta stabilizzazione territoriale della colonia eritrea, che fece seguito alla conclusione delle convenzioni di frontiera con l’impero etiopico dell’estate del 19001. È questo, infatti, il mo-mento nel quale le autorità coloniali italiane cominciarono a porsi il problema della valorizzazione economica del possedimento sul Mar Rosso nella speranza di farne una realtà autosufficiente, svincolata, per la sua sopravvivenza, dalla dipendenza finanziaria dalla madre pa-tria. Si trattava, evidentemente, di un obiettivo di non facile realizza-zione se solo si considerano l’arretratezza della colonia, con una strut-tura di produzione povera e semplificata, ed i suoi precari rapporti e-conomici con la penisola, impossibilitata, a causa delle sue tradiziona-li debolezze, a pilotare verso l’Eritrea investimenti privati o aiuti fi-nanziari del governo. Apparve quindi ben presto chiaro che bisognava cercare oltreconfine, nei rapporti economico–commerciali, ma anche politici, con le adiacenti regioni dell’impero etiopico i necessari stru-menti per lo sviluppo della colonia.

L’attenzione dell’Italia per le regioni dell’Etiopia nord–occidentale nacque, dunque, in questo contesto e si alimentò della convinzione che venne maturando in questi anni nei responsabili della politica coloniale nazionale che fossero quelle le aree economicamente più prospere del-l’impero abissino, le uniche in grado di rendere effettivamente vantag-giosa una politica di espansione commerciale dell’Eritrea verso l’esterno.

Sul consolidarsi di questa opinione, che si sarebbe conservata a lungo, influendo sulle strategie e gli orientamenti della politica colo-

1 Sulla sistemazione confinaria della colonia eritrea si veda GUAZZINI, Le ragioni

di un confine coloniale, cit., e ID., La geografia variabile del confine eritreo–etiopico tra passato e presente, in “Africa”, 1999, n.3, pagg. 309–348.

Una politica per l’oltreconfine 22

niale italiana verso l’Etiopia nei successivi decenni, giocarono senza dubbio un ruolo decisivo le analisi e le riflessioni condotte da Ferdi-nando Martini, che fu il primo ad indicare nel Goggiam, nell’Uolcait, nel Beghemeder i necessari obiettivi della politica di penetrazione e-conomico–commerciale e, in prospettiva, politica dell’Italia in Etiopia. A giudizio del governatore, infatti, considerato il quadro politico–economico complessivo dell’area, non esistevano alternative credibili a questo programma.

Assolutamente improbabile gli sembrava la speranza di poter atti-vare un consistente sistema di scambi con il Sudan. Nel corso del viaggio compiuto nel febbraio–marzo del 1901 nel Barca per conclu-dere con il Mudir di Cassala, colonnello John Collinson rappresentan-te del governo anglo–egiziano, la convenzione sui pascoli eritrei, il politico toscano si era infatti venuto persuadendo che fosse del tutto il-lusorio ritenere che il futuro commerciale dell’Eritrea potesse essere cercato sul versante sudanese. La riconquista britannica e la cessione italiana di Cassala agli inglesi, dirottando in pratica tutto il commercio del Ghedaref e del Gallabat verso i porti di Suakin e Port Sudan, ave-vano chiuso definitivamente la colonia sul suo fianco orientale. Spera-re, quindi, “in larghi scambi col Sudan – scriveva Martini a Prinetti – (era) presuntuosa follia”.

A Tomat ci siamo e ci resteremo; — continuava il politico toscano — ma i lauti commerci ve li attenderemo con vana speranza. La riva sinistra del fiume è per larga distesa deserta: dal mercato del Gallabat le merci volgono al Nilo: da quel di Ghedaref no, perché da Cartum Ghedaref è separato, tra l’altro, per 84 miglia di strada senz’acqua: ma ciò a noi nulla giova. Gli Inglesi padroni del taca dirigono e dirigeranno le derrate a Cassala e di lì a Suakim: oggi per la via del Longueb arida e malagevole, ma ridotta ormai sufficiente al transito delle carovane, in seguito per la ferrovia, cui, se la guerra del Transval non era avrebbero già posto mano2.

Ma di difficile realizzazione egli giudicava anche l’ipotesi di ali-

mentare il commercio di transito in direzione del Sudan, il cui regime doganale vigente era fortemente penalizzante per l’Eritrea: “Le caro-vane — scriveva in proposito al ministro degli Esteri — da qualunque luogo muovano importano in Ghedaref cotonate, zucchero e via di-cendo: ne esportano la dura, la gomma e gli altri prodotti indigeni: Ora il commercio di importazione non è per noi neppure da tentare: in quanto che le merci da Suakim entrano nel Sudan in franchigia e, se

2 Martini a Prinetti, 27 aprile 1901, in ASMAI, Eritrea, pos.4/6, f. 45.

Gli accordi confinari del 15 maggio 1902 23

provenienti da Massaua, gravate di dazi capricciosi, che talora rag-guagliano al 20% del valore”3.

Ancor meno, secondo Martini, c’era da aspettarsi dalle regioni a-bissine settentrionali del Tigrè e dell’Yeggiù. Si trattava, infatti, di province “povere di prodotti naturali, fatte anche più povere dalle condizioni politiche”, dove peraltro la recente epidemia epizooica a-veva quasi distrutto la popolazione bovina e ridotto al nulla il com-mercio delle pelli che costituiva il principale articolo di esportazione. Certo, osservava il governatore, “con lavoro attento, assiduo, paziente, si giungerà forse a sostituire colà le cotonate nostre alle indiane, e in-trodurvi qualche altra delle merci di nostra manifattura: miseri scambi ad ogni modo”4.

Data questa situazione, quindi, la colonia doveva volgere la propria attenzione principalmente verso le floride regioni nord–occidentali dell’Abissinia. Anzi, il politico toscano si diceva convinto che la vita-lità economico–commerciale della colonia dipendesse proprio dalla sua capacità di stabilire solide relazioni commerciali con quei territori dell’Etiopia, gli unici in grado di offrire un adeguato e sostanzioso movimento di scambi. “Di là — scriveva, infatti, il governatore — vengono i prodotti più abbondanti e più ricchi”5. Bisognava, cioè, guardare ai mercati di Noggara e soprattutto di Gondar, località nelle quali affluiva l’abbondante produzione agricola del Goggiam, del Caf-fa e di molte regioni galla.

Tali progetti, tuttavia, erano destinati a scontrarsi con gli obiettivi geopolitici del governo di Londra, che proprio in quei mesi venivano prendendo forma più precisa, orientando l’azione espansiva inglese verso le regioni comprese tra il Nilo e l’acrocoro etiopico. Come si è già detto, infatti, all’indomani della riconquista del Sudan e del suc-cesso di Fascioda le autorità britanniche cominciarono a mostrare un forte interesse su quell’area — la cui importanza dipendeva principal-mente dal sistema di affluenti del Nilo (Sobat, Nilo Azzurro, Atbara) che in esse hanno origine6 — cercando di assicurarsene il controllo.

3 Ibidem. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 In pratica, l’80% delle acque del Nilo sono fornite dai suoi affluenti abissini.

Sulla questione del Nilo nel corso del XIX e XX secolo, si vedano NERI, La questione del Nilo,cit.; GIGLIO, La questione del lago Tana, cit., pagg. 643–686; SANDERSON, Op.cit., cit.; Nurit KLIOT, Water Resources and conflict in the Middle East, London

Una politica per l’oltreconfine 24

La prima occasione nella quale ebbe modo di manifestarsi questo contrasto italo–britannico si colloca nel 1899, in occasione dell’avvio delle trattative anglo–etiopiche per la definizione confinaria tra il Su-dan e l’Abissinia. Coerentemente con quelli che erano i suoi interessi “idraulici”, infatti, Londra aveva impostato tale negoziato mirando ad ottenere una linea che allontanasse, quanto più possibile, la frontiera e-tiopica dai distretti niliaci, nella prospettiva di mantenere sotto il suo controllo gran parte del sistema degli affluenti del Nilo che dall’al-topiano scendevano verso le pianure sudanesi7. Come osservò, infatti, l’Agente diplomatico al Cairo, Tugini, “assicurare contro ogni in-fluenza straniera il corso dell’Alto Nilo” era il “porro unum per la dife-sa degli interessi del Sudan e dell’Egitto”8. Nello stesso tempo Londra “mirava ad acquisire privilegi ed ipoteche — se non di natura territo-riale, per lo meno idraulica — anche nella zona del lago Tana”9.

L’iniziativa britannica però, se si fosse realizzata, avrebbe decisa-mente compromesso quei programmi di potenziamento dell’inter-scambio economico–commerciale tra Eritrea ed Etiopia nord–oc-cidentale che le autorità coloniali italiane sembravano considerare di grande importanza per lo sviluppo della colonia sul Mar Rosso. Il nuovo assetto territoriale, infatti, avrebbe attribuito al Sudan il vasto territorio a sud del fiume Gash e la colonia si sarebbe vista costretta ad interrompere ogni tipo di relazione con le regioni ed i mercati del-l’Uolcait, del Dembea e del Beghemeder. Ciò avrebbe significato non soltanto rinunciare per sempre ai propositi di espansione economico–commerciale dell’Eritrea in quella direzione, ma anche a qualunque aspirazione territoriale da far valere nel caso di una decomposizione dell’impero etiopico e di una sua spartizione fra le potenze interessate.

and New York, Routledge, 1994; Girma AMARE, The Nile Waters, in “Ethioscope”, 1997, n.2, pagg.3–12.

7 Nelle istruzioni ricevute, Harrington veniva incaricato di impostare il negoziato

con Menelik sulla base del principio che all’Inghilterra spettasse l’intero territorio tra l’Abissinia ed il Nilo che precedentemente era appartenuto all’Egitto. Cfr. Harrington’s instructions: Cromer to Creagh, Cairo 24 November 1898, in PRO, FO, 403/275, cit. in Harold G. MARCUS, Ethio–British Negotiations concerning the Western Border with Su-dan, 1896–1902, in “Journal of African History”, 1963, n.1, pag. 88.

8 Tugini comunicava inoltre alla Consulta che il criterio adottato dall’Inghilterra per la delimitazione della frontiera del Sudan verso l’Abissinia era quello di “prendere a limite estremo del Sudan i territori che si trovano al piano e lasciare gli altipiani all’Abissinia”. Tugini a Visconti Venosta, Cairo 31 luglio 1899, in ASMAE, Amba-sciata d’Italia in Egitto, p.83.

9 GIGLIO, La questione del lago Tana, cit., pag. 643.

Gli accordi confinari del 15 maggio 1902 25

Da parte italiana, quindi, si cercò di influire sul negoziato in corso tra l’Imperatore e il governo britannico per impedire la realizzazione del-le ambizioni di Londra.

A riguardo, infatti, il governo di Roma poteva ancora vantare la va-lidità dei protocolli italo–britannici del 24 marzo e del 15 aprile 1891, mai denunciati dalle parti, che stabilivano i limiti territoriali entro i quali “l’Inghilterra rinuncia(va) a qualsiasi ingerenza in Abissinia”10, riconoscendo all’Italia un diritto d’influenza esclusiva su gran parte del territorio etiopico. Essi erano definiti, ad occidente, da una linea che dal Ras Kasar sulle coste del Mar Rosso raggiungeva il fiume Atbara, ne seguiva il corso fino all’altezza di Metemma, lasciando ad oriente la Colonia Eritrea e l’Etiopia, e di qui arrivava fino alla foce del Giuba sull’Oceano Indiano. Secondo la Consulta, il Foreign Office avrebbe dovuto tener conto di questa intesa nel procedere alla delimitazione del confine sudanese–abissino e rispettare, quindi, i diritti sui territori etio-pici che con quegli accordi Londra aveva riconosciuto all’Italia.

Nel 1899, tuttavia, durante le trattative tra il rappresentante britan-nico ad Addis Abeba Harrington e Menelik, il governo italiano, desi-deroso di ribadire la validità dei protocolli, aveva accettato, su richie-sta di Londra, che fosse apportata una modificazione al loro tracciato per venire incontro alle aspirazioni britanniche di ottenere dal negus una frontiera più vantaggiosa nell’Abissinia nord–occidentale, consi-derevolmente spostata più ad est di quanto prevedessero le intese con l’Italia. La variazione autorizzata da Roma consentiva, infatti, che la regione degli Hamram, il Gallabat con l’omonimo centro, e le località di Famaka e Fazogli, territori che il Protocollo del 15 aprile 1891 as-segnava alla sfera d’influenza italiana, venissero incorporati all’in-terno dei confini sudanesi. La Consulta accettava così un non trascu-rabile spostamento ad oriente — sull’asse Todluc–Ombrega–Metem-ma [Gallabat)–Famaka11 — della linea di demarcazione tra le due aree d’influenza, quella italiana e quella britannica, così come era stata de-

10 Augusto TORRE, Origini dell’accordo tripartito per l’Abissinia, in “Nuova An-

tologia”, 16 febbraio 1936, n. 1534, pag. 393. 11 Dopo una serie di conversazioni svoltesi a Roma nel novembre 1899 tra

l’incaricato d’affari britannico al Cairo James Rennell Rodd, l’ambasciatore britanni-co a Roma lord Currie, Martini, Visconti Venosta e Giacomo Agnesa, l’intesa venne perfezionata con uno scambio di note tra Currie e Visconti Venosta nel successivo di-cembre. Si veda Currie a Visconti Venosta, 6 dicembre 1899; Visconti Venosta a Cur-rie, Roma 26 dicembre 1899, in ASMAI, Sudan, pos. 90/5, f.55.

Una politica per l’oltreconfine 26

terminata dall’accordo dell’aprile ’9112. Per comprendere le ragioni di questa concessione, che può apparire contraddittoria rispetto agli scopi della politica eritrea nel nord–ovest dell’Etiopia13, si deve tener conto che il governo italiano era impegnato in quei giorni nella delicatissima trattativa con Menelik per la definizione dell’assetto confinario tra Eri-trea ed Etiopia. Probabilmente Visconti Venosta temette che negando a Londra la modificazione richiesta, Harrington avrebbe potuto creare difficoltà e complicazioni al rappresentante italiano ad Addis Abeba, Federico Ciccodicola14, e magari compromettere una positiva conclu-sione del suo negoziato con il negus15. Nello stesso tempo, l’aggiusta-mento al tracciato del confine sudanese–etiopico quale risultava dal testo dei protocolli 24 marzo e 15 aprile 1891, offriva alla Consulta l’occasione di ottenere dalla Gran Bretagna la riaffermazione e con-

12 A sud di Famaka, invece, il nuovo confine etiopico–sudanese lasciava all’im-

pero negussita una porzione consistente di territorio, soprattutto la regione dei Beni Sciangul — che il protocollo del 24 marzo 1891 attribuiva all’Egitto. Anche in questo caso l’Italia avrebbe accettato, con lo scambio di note Baccelli–Bertie del 29 gennaio–9 febbraio 1903, una modifica all’accordo italo–britannico. Cfr. Trattati, Convenzioni, Accordi, Protocolli, ecc., relativi all’Africa – (1825–1906), Roma, Tipografia del Mi-nistero degli Affari Esteri, 1906, vol.II, pagg.1112–1113.

13 Non troppo entusiasta il commento di Martini a questa decisione della Consulta. Scrisse infatti sul suo diario: “Noi abbiamo consentito a modificare il protocollo an-glo–taliano del 1891 renunziando ai nostri diritti sul Gallabat, platonici diritti oramai, ma che insomma verso l’Inghilterra, se non più verso l’Abissinia, noi potevamo sem-pre vantare”. MARTINI, Diario Eritreo, Firenze, Vallecchi, 1947, vol. II, pag. 63.

14 Il capitano Federico Ciccodicola si trovava ad Addis Abeba, in qualità di rappre-

sentante del Governo italiano presso l’Imperatore Menelik II, dal dicembre del 1897. 15 Questa interpretazione della vicenda è confermata da Martini che in una lettera

a Ciccodicola del 9 aprile 1901 scriveva: “Sulla fine del 1899 Sir Rennell Rodd venne a Roma ed esposta la necessità in cui trovavasi il Governo Sudanese di ben determina-re un confine tra i suoi territori e quelli dell’Etiopia, ci chiese di modificare il proto-collo del 1891, rinunziando noi ai diritti in esso affermati circa il Galabat e i territori a sud della linea Tomat–Todluc, cioè il bacino del Setit fino ad Ombrega. Non si poteva illudersi sugli effetti dolorosi di una tale renunzia, onde il dominio sudanese si sosti-tuiva al dominio etiopico a sud della linea Tomat–Todluc. Tracciata fra il Sudan e l’Etiopia una linea di confine che tagliando ad Ombrega il Setit raggiunge il Gasc a Todluc è tolta a noi una delle principali linee di comunicazione con l’Abissinia Set-tentrionale e ci son fatti più difficili gli scambi con quelle regioni. Ma noi, e nessuno lo sa meglio di lei, stavamo allora lottando con Menelic l’assetto del confie meridio-nale: il Marchese Visconti temé che, negando, il Rappresentante inglese costà potesse crearci difficoltà e complicazioni circa questione importantissima e la domanda pre-sentata da Sir Rennell Rodd fu accolta”. Martini a Ciccodicola, Mai Mafellis 9 aprile 1901, in ACS, CM, p.4, f.12.

Gli accordi confinari del 15 maggio 1902 27

ferma della validità dei protocolli stessi16 (che si realizzava attraverso l’atto della richiesta inglese di consenso italiano alla modifica della frontiera”17), nonché il risultato di vincolare l’Inghilterra all’impegno di non estendere in maniera troppo penalizzante per gli interessi italia-ni la propria presenza nelle regioni nord–occidentali dell’Etiopia, sulle quali, come si è visto, le autorità coloniali eritree coltivavano le mag-giori aspirazioni di espansione economica.

La questione sembrava, quindi, destinata a risolversi senza ulteriori ostacoli, vista la chiarificazione e l’accordo intervenuti tra la Consulta e il Foreign Office. In realtà, nel corso dei mesi successivi, il procedere del negoziato tra Londra ed Addis Abeba sulla frontiera nord–occidentale dell’Etiopia, portò con sé nuovi e non trascurabili motivi di contrasto e difficoltà tra i governi italiano e britannico, producendo, tra l’altro, un notevole rallentamento delle trattative tra Harrington e Menelik.

Agli inizi di marzo del 1901, infatti, Martini nel corso del suo viaggio nelle estreme regioni occidentali della Colonia, di cui si è già fatto cenno, venne fortuitamente a conoscenza18 del fatto che gli ingle-si — a differenza di quanto concordato con Roma nel dicembre del 1899 — erano interessati a includere nel territorio del Sudan gran par-te delle tribù Cunama che vivevano tra i fiumi Gash e Setit e di do-mandare al negus che l’estremo meridionale della nuova frontiera e-tiopico–sudanese, facente capo a Todluc, non fosse più Ombrega, ma bensì il punto di confluenza del Maiteb nel Setit: talché sarebbero pas-sati al Sudan — oltre al paese degli Hamran e dei Cunama — buona parte dell’Uolcait e alcune delle regioni adiacenti al lago Tana.

Tale notizia veniva confermata, soltanto pochi giorni dopo, dal re-sidente del Barca e Mogareb, Giuseppe Colli di Felizzano19, il quale,

16 Cfr. MONZALI, L’Etiopia nella politica estera italiana, cit., pagg. 174–177. 17 Ivi, pag.177. 18 Durante la sua permanenza a Cassala, il 2 marzo 1901, Martini venne avvertito

da Colli di Felizzano che il Colonnello Collinson si era lasciato sfuggire che il gover-no sudanese aveva proposto a Menelik che “gran parte dei Cunama (entrassero) nel territorio da cedersi dal Negus e destinato a diventar territorio sudanese”. MARTINI, Diario Eritreo, cit., vol. II, pag. 371.

19 Ufficiale di cavalleria, nacque a Torino il 9 settembre 1870. Giunto in Eritrea negli anni Novanta dell’Ottocento partecipò alla campagna del 1896–97, distinguen-dosi soprattutto nella difesa di Agordat dall’attacco dei dervisci. Durante il governato-rato di Martini ricoprì le cariche di residente a Mogolo presso i Baria Eghir e, succes-sivamente, del Barca Mogareb. Segretario della Legazione italiana ad Addis Abeba dal 1902, nel 1907 fu nominato presso questa sede Incaricato d’Affari per succedere al maggiore Ciccodicola e nel 1908 ministro plenipotenziario. Fu confermato alla gui-

Una politica per l’oltreconfine 28

impegnato con Talbot nelle descrizione sul terreno del confine eritreo–sudanese tra Sabderat e Tomat, segnalava20 al Governo di Asmara di aver ricevuto dallo stesso colonnello inglese la confidenza che era “in-tenzione del Governo del Sudan nelle trattative già in corso per la de-limitazione del confine tra il Sudan e l’Abissinia di ottenere una linea che da Sud, attraverso il Bar Salam e Bar Angareb (affluenti di destra dell’Atbara) raggiungesse il Setit al punto di confluenza del Maiteb […] e di qui si dirigesse al Gasc a Todluc”21. L’ufficiale britannico giustificava l’atteggiamento del suo governo con il richiamo alle esi-genze dell’economia e del commercio sudanesi, per i quali costituiva una necessità irrinunciabile “che la linea di confine (venisse) tracciata tra Maiteb e Todluc, perché solo da Maiteb vi (era) una strada che at-traverso i Baza conduce(va) al Gasc a Todluc, mentre colla linea Om-brega–Todluc non (sarebbe rimasta) in territorio sudanese nessuna via di comunicazione tra Setit e Gasc”22. E alle proteste di Colli, alle sue insistenze nel rilevare l’interesse italiano ad avere una via libera verso l’Etiopia al Setit e nel sottolineare l’infondatezza delle ragioni soste-nute dagli inglesi per giustificare il proprio comportamento, Talbot ri-spose in tono fermo che il territorio tra Gash e Setit apparteneva all’Abissinia e che l’Italia “colla rinunzia ad essa fattane” per effetto del trattato di Addis Abeba aveva “perso ogni diritto”23.

L’eventualità di una modifica, nei termini illustrati da Talbot, dell’accordo del dicembre 1899 fu subito motivo di apprensione in Martini, che vide nel tentativo britannico una seria minaccia ai suoi progetti di azione economica oltreconfine. La sistemazione territoriale che ne sarebbe scaturita, infatti, comportando un sensibile spostamen-to verso oriente della frontiera etiopico–sudanese, sembrava trasferire in territorio sudanese tutte le strade che, passando per il Setit, collega-vano la colonia all’Abissinia nord–occidentale, con il rischio quindi di compromettere per sempre qualunque possibilità di comunicazioni e scambi commerciali tra le due regioni.

da della rappresentanza italiana in Etiopia fino al 1919. Morì a Rapallo nel settembre 1937. Cfr. Giuliano CORA, Giuseppe Colli di Felizzano, in “Rivista di studi politici in-ternazionali”, 1943, n. 4, pagg. 415–450.

20 Colli di Felizzano a Martini, 26 marzo 1901, in ACS, CM, p.4, f.12. 21 Colli di Felizzano a Martini, 20 marzo 1901, ivi. 22 Colli di Felizzano a Martini, 26 marzo 1901, ivi. 23 Ibidem.

Gli accordi confinari del 15 maggio 1902 29

La differenza fra gli accordi stipulati nel 1899 e le domande attuali — scrive-va Martini — è notevole.; e ove quegli accordi non siano integralmente rispet-tati la Colonia ne avrà un danno grave e irreparabile. Infatti la linea Ombrega–Todluc ci lascia almeno libere le comunicazioni col breve tratto del Setit fra Ombrega e il Maiteb, cioè la strada che da Agordat per Todlus i villaggi Cu-nama e Maiteb va nel Uolcait e per Noggara al Lago Tsana. Invece la linea Maiteb–Todluc da in dominio al Governo Sudanese tutto quanto il Setit, ci to-glie le sole linee di comunicazione rimasteci e comprende in territorio sudane-se buona parte dei Cunama24.

Martini considerava assolutamente scorretto il comportamento in-

glese. Questa vicenda, infatti, stava dimostrando chiaramente, a suo giudizio, come, dietro il velo dell’ipocrisia britannica, si celasse una politica profondamente ostile agli interessi italiani in Africa orientale. “La colonia — osservava, infatti, con durezza il politico toscano, e-sprimendo una convinzione che non lo avrebbe più abbandonato nel corso della sua lunga esperienza africana — non ha ormai più che un nemico, l’Inghilterra la quale si adopera con ogni maligna industria ad avvolgerla per modo da toglierle ogni possibilità di commerci”25.

Di fronte al pericolo, dunque, che l’economia della colonia restasse gravemente limitata nelle sue possibilità di sviluppo commerciale da una delimitazione confinaria che, oltretutto, era contraria alle intese esistenti in proposito tra Roma e Londra, il governatore riteneva ne-cessario un intervento della Consulta. Il 5 marzo scrisse, quindi, un te-legramma a Prinetti, nel quale lo invitò ad appurare direttamente pres-so il Foreign Office la veridicità dell’informazione e, nel caso, a cerca-re di ottenere dal governo di Londra la dichiarazione ufficiale che i Cunama “rimanevano totalmente esclusi dai territori a lui ceduti Abis-sinia e perciò sempre nella zona di influenza” italiana. “La questione — avvertiva il politico toscano — è gravissima per la Colonia, che vedrebbesi così tolto ogni avvenire commerciale”26.

A Roma le sollecitazioni di Martini non rimasero prive di effetto. Il ministro degli esteri, infatti, si mosse tempestivamente ed il 10 marzo 1901 consegnò all’ambasciatore britannico a Roma, lord Currie, una nota nella quale, dopo aver riepilogato l’andamento delle trattative che avevano condotto alla modifica dei protocolli del 1891, scriveva: “Se-condo voce ora giuntaci, la linea proposta da Menelich all’Inghilterra, e comunicata dal governo britannico a questo ministero, sarebbe stata

24 Martini a Ciccodicola, 9 aprile 1901, ivi. 25 Ibidem. 26 Martini a Prinetti, 5 marzo 1901, in DDI, serie III, vol. 5, doc. 9.

Una politica per l’oltreconfine 30

modificata nel senso che da Todluc non volgerebbe più verso Ombre-ga, […] ma […] verso sud–est al confluente del Maatebbe col Setit […]. Il governo del Re ritiene che tale voce non abbia fondamento, poiché tale modificazione muterebbe la situazione di fatto e di diritto risultante dalla intesa costituita dallo scambio di note del 6–26 dicem-bre 1899 […] ma, ad ogni buon fine si reca la cosa a notizia di Sua Eccellenza l’ambasciatore d’Inghilterra, nell’intento di chiarire ogni eventuale malinteso”27.

Due giorni più tardi, il 12 marzo, lo stesso ministro inviò a Cicco-dicola un telegramma con il quale lo incaricava di parlare della que-stione con Harrington e di cercare di comprendere quali fossero gli in-tendimenti di Menelik a riguardo. Prinetti raccomandò, però, al rap-presentante italiano ad Addis Abeba di non far cenno al negus del-l’esistenza di accordi tra Italia ed Inghilterra relativi all’Etiopia e, in particolare, dei protocolli del 1891 sulla divisione in sfere d’influenza, che — scriveva — “non ci conviene assolutamente invocare presso di lui”28. Egli invitava, invece, Ciccodicola a far leva esclusivamente — e solo se necessario — sul tasto dei “reciproci interessi commerciali tra Eritrea e Etiopia”. Bisognava, cioè, far comprendere al negus che i due Paesi avevano un interesse comune a mantenere il territorio tra Gash e Setit e le strade commerciali che l’attraversavano sotto sovra-nità etiopica. La loro cessione al Sudan, infatti, si sarebbe risolta in grave danno di natura economico–commerciale: “a noi — osservava Martini in una successiva lettera allo stesso rappresentante italiano ad Addis Abeba — che attrarremmo a Massaua prodotti i quali af-fluiranno invece a Suakin o al Nilo, a lui che percepirebbe dazi doga-nali che gli sfuggono”29. Era comunque fondamentale per Prinetti non dare l’impressione di voler intralciare il negoziato anglo–abissino per il confine, ma di agire, al contrario, “con la massima lealtà”30 nel ri-spetto dei reciproci impegni assunti dai due governi ed evitando di su-scitare sospetti o eventuali proteste da parte di Londra31.

27 Prinetti a Currie, nota del 10 marzo 1901, in DD, sc, n.. LXXXIV, Zanzibar e

Sudan, 1901, doc. 1813bis. 28 Cfr. Prinetti a Reggente Consolato Generale in Aden, 12 marzo 1901, ivi, doc.

1816. 29 Martini a Ciccodicola, lett. non spedita del 9 aprile 1901, in ACS, CM, p.4,

f.12. 30 Prinetti a Reggente Consolato Generale in Aden, 12 marzo 1901, cit. 31 Cfr. ibidem.