I beni del comune di Vercelli. Dalla rivendicazione all’alienazione (1183-1254) - Rao

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SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE

RICCARDO RAO

I beni del comune di Vercelli.Dalla rivendicazione all’alienazione

(1183-1254)

VERCELLI 2005

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BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

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Pubblicazione realizzata con il contributo del MIUR e del Dipartimento diStudi Umanistici dell’Università degli Studi del Piemonte OrientaleAmedeo Avogadro.

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SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE

RICCARDO RAO

I beni del comune di Vercelli.Dalla rivendicazione all’alienazione

(1183-1254)

VERCELLI 2005

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA2005

SOCIETÀ STORICA VERCELLESEVia Fratelli Garrone, 20 - Tel. 0161.254269 - 13100 Vercelli

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Sommario

INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1. I “comunia” nell’età comunale: un tema storiografico? . . 11

2. Il campo d’indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

CAPITOLO I: I beni comunali e il governo cittadino tra fase consolaree prime esperienze podestarili (1192-1208)

1. Il recupero delle proprietà comunali nel 1192 . . . . . . . . . 23

2. “Multitudo populi vociferando”: il ruolo del popolo . . . . 32

3. La provenienza sociale dei possessori espropriati . . . . . . . 35

4. L’equiparazione delle molte a comunia e il sorgere della questionedei diritti sulle acque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

5. Le cause: i terreni requisiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

6. Le sentenze dei consoli di giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

7. Dall’uso comune ad una gestione remunerativa delle comu-nanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

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CAPITOLO II: I beni comunali e il governo podestarile (1208-1229)

1. Trasformazioni istituzionali e gestione dei beni comunali . 73

2. Il governo podestarile e la razionalizzazione della gestione dellecomunanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

3. Una magistratura per i beni comunali . . . . . . . . . . . . . . . 89

4. L’assegnazione degli uffici relativi ai beni comunali: la profes-sionalizzazione della politica tra popolo e nobiltà . . . . . . . 95

5. “In curia Vercellarum”: l’appalto del mezzano del Cervo . 102

6. Le case ed il mercato immobiliare . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

7. Il comune e il contado: le terre di Trino e di Tricerro . . 110

8. Lo sfruttamento economico delle pertinenze dei castelli . 113

CAPITOLO III: I mulini comunali

1. La costruzione dei mulini comunali . . . . . . . . . . . . . . . 124

2. I diritti sulle acque e la politica nei confronti dei mulini cittadini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134

3. I mulini comunali nel distretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141

4. La gestione dei mulini cittadini e i consules molariarum . . 144

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CAPITOLO IV: Il governo popolare e il controllo del territorio: l’estin-zione dei beni comunali

1. Indebitamento e tensioni sociali alla base dell’alienazione deibeni comunali negli anni 1229-1231 . . . . . . . . . . . . . . 153

2. L’alienazione dei beni comunali (1229-1231) . . . . . . . . 162

3. L’ascesa dei paratici e il governo del territorio sotto il popolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168

4. Crisi finanziaria ed alienazione degli ultimi beni comunali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

CAPITOLO V: Conclusioni

1. I beni del comune: una parabola politica . . . . . . . . . . . . 187

Appendice 1: i possessori espropriati del 1192 e le loro famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195

Appendice 2: extimatores, iudices, inquisitores e procuratores comunium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215

Fonti e bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239

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Ringraziamenti

Questo libro è nato dalla mia tesi di laurea, seguita da Rinaldo Combae discussa, con la correlazione di Giorgio Chittolini, nel maggio 2001presso l’Università degli Studi di Milano. Nel corso di questi ultimi annilo scritto ha avuto modo di passare tra le mani di numerosi studiosi,ognuno dei quali, con la sua paziente lettura e con gli utili suggerimen-ti, mi ha permesso di migliorarlo: in ordine rigorosamente alfabetico,Alessandro Barbero, Andrea Degrandi, Gianmario Ferraris, PaoloGrillo, Jean-Claude Maire Vigueur, Patrizia Mainoni. A tutti costorodevo la mia più viva riconoscenza.

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Abbreviazioni utilizzate

AcoV: Archivio comunale di VercelliAcquisti: AcoV, Libro degli Acquisti, tomo I e IIACV: Archivio del capitolo cattedrale di S. EusebioAOSAV: Archivio dell’Ospedale di S. Andrea di VercelliASVc: Archivio di Stato di Vercelli

Biscioni, 1/I: I Biscioni, a cura di G.C. Faccio e M. Ranno, Torino 1934(BSSS, 145), tomo 1, vol. IBiscioni, 1/II: I Biscioni, a cura di G.C. Faccio e M. Ranno, Torino1939 (BSSS, 146), tomo 1, vol. IIBiscioni, 1/III: I Biscioni, a cura di R. Ordano, Torino 1956 (BSSS,178), tomo 1, vol. IIIBiscioni, 2/I: I Biscioni, a cura di R. Ordano, Torino 1970 (BSS, 181),tomo 2, vol. IBiscioni, 2/II: I Biscioni, a cura di R. Ordano, Torino 1976 (BSS, 189),tomo 2, vol. IIBiscioni, 2/III: I Biscioni, a cura di R. Ordano, Torino 1994 (BSS, 211),tomo 2, vol. III

BSBS: Bollettino storico-bibliografico subalpinoBSS: Biblioteca Storica SubalpinaBSSS: Biblioteca della Società Storica SubalpinaDAC: Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea, a cura di G.

Colombo, Pinerolo 1901 (BSSS, 8)HPM: Historiae Patriae MonumentaInvestiture: AcoV, Libro delle investiture, tomo I e IIMGH: Monumenta Germaniae HistoricaPC: Il libro dei «pacta et conventiones» del comune di Vercelli, a cura di G.C.

Faccio, Novara 1926 (BSSS, 97)Statuta: Statuti del comune di Vercelli dell’anno MCCXLI aggiuntivi altri docu-

menti storici dal MCCXLIII al MCCCXXXV ora per la prima volta editie annotati, a cura di G.B. Adriani, Torino 1877.

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Tavola delle misure (i valori sono tratti da F. PANERO, Terre in concessione, Bologna1984, p. 13)

Misure di superficie1 manso = 30 moggi1 moggio = 8 staia1 staio = 12 tavolemoggio vercellese = 33,33872 are

Misure per aridi1 moggio = 8 sestari1 sestario = 2 mine1 mina = 2 quarteronimoggio vercellese = 41 litri circa

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Introduzione

1. I “comunia” nell’età comunale: un tema storiografico?

I beni collettivi urbani ricevettero l’attenzione degli storicisoprattutto tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimosecolo, quando, principalmente da parte di giuristi, si tentò diindagare la continuità delle proprietà municipali dall’età romanalungo tutto il periodo longobardo, fino agli esordi del comune: ildibattito, volto sostanzialmente a comprendere le mutazioni avve-nute all’interno dell’istituto giuridico, non presentava rilevantidifferenze nella trattazione dei patrimoni pertinenti alle cittàrispetto a quelli inerenti ai comuni rurali. Il maggiore punto didisaccordo era costituito dall’origine dei comunia medievali: con-tro coloro che asserivano l’origine germanica di questi ultimi, peresempio Francesco Schupfer1, presto prevalse la teoria che li met-teva in connessione con i possedimenti municipali romani.

1 F. SCHUPFER, Allodio, lemma contenuto nel Digesto italiano, vol. II, parte seconda,Torino 1893, pp. 445-502. La tesi dell’influenza germanica sulle comunalie italiane, vistecome derivazione dell’allmende, è stata successivamente ripresa da F. SCHNEIDER, Le originidei comuni rurali in Italia, Firenze 1980 (prima edizione in lingua tedesca Berlino 1924),pp. 69-156: un contributo importante, seppure vincolato ad un rigido filogermanesimo,che rischia di ridurre il discorso alla già nota contrapposizione di un’interpretazione nazio-nale germanica ad un’interpretazione nazionale italiana (cfr. per esempio: “L’elemento ger-manico del comune rurale non ha potuto scacciare lì col suo fresco alito il deleterio e mefi-tico latifondo romano”, ibidem, p. 74); questo lavoro è stato recensito da G.P. BOGNETTI,in “Archivio storico lombardo”, 52 (1925), fasc. III-IV, pp. 383-394, ora riproposto in ID.,Studi sulle origini del comune rurale, a cura di F. Sinatti d’Amico e C. Violante, Milano 1978,pp. 339-352 (le divergenze tra il Bognetti e lo Schneider sono attentamente vagliate da G.TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia e postcarolingia, Spoleto 1966, pp. 13-17).Recentemente il problema dell’influenza della storiografia tedesca, in particolare degli studidel Gierke, sulle ricerche italiane sui beni comuni è stato preso in esame da E. CONTE,Comune proprietario o comune rappresentante? La titolarità dei beni collettivi tra dogmatica estoriografia, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, tome 114 (2002), pp. 73-94 (sui lavori del Gierke cfr. anche il fondamentale studio di G.I. CASSANDRO, Storia delleterre comuni e degli usi civici nell’Italia meridionale, Bari 1943, pp. 66-70). Per un’analisi

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Per comprendere quali fossero le diverse posizioni, può essereutile ripercorrere per sommi capi la tesi del Roberti: questa, infat-ti, oltre ad essere stata tra le più discusse dalla storiografia nove-centesca, è anche tra quelle che maggiormente si è concentratasulla situazione cittadina. L’Autore faceva risalire la diffusionedella proprietà collettiva in Italia ai beni comuni delle città roma-ne, che vennero indistintamente incamerati dal fisco dopo l’inva-sione longobarda. In questo modo si dissolse l’antico uso civicodelle terre di pertinenza urbana, che sarebbe risorto solo duranteil regno franco, quando “lo Stato […], ridotto senza mezzi finan-ziari, doveva concedere all’arimanno i beni stabili della corona”2.Seguirono tra IX e XI secolo numerose donazioni di diritti e pos-sedimenti ai vescovi da parte degli imperatori. “Al dominio vesco-vile doveva già, dopo il mille, sostituirsi nelle città italiane il gover-no autonomo dei cittadini. E quasi contemporaneamente […]dovevano riapparire le proprietà comuni di diritto pubblico”3. Unsolo paragrafo l’autore dedicava alla piena età comunale, ricordan-do l’attenzione rivolta dai podestà al controllo ed al recupero diquesti beni4: la scelta era del resto coerente con le finalità dellaricerca, che si proponeva come campo d’indagine il periodo ante-cedente all’affermazione delle autonomie urbane.

Il medesimo taglio venne mantenuto anche da chi criticò ilRoberti. Il Solmi, per esempio, mise in dubbio il valore della pre-sunta infiscatio longobarda delle terre comuni, sostenendo che“regolarmente i diritti sovrani si risolsero in un dominio eminen-te e in un’autorità di supremo regolamento interno, che non riu-scirono mai ad escludere il carattere della proprietà comunale o amutare la loro destinazione”5. Pur su posizioni diverse, il proble-

delle correnti filosofiche che influenzarono le posizioni storiografiche sui beni collettivi traXIX e XX secolo cfr. P. GROSSI, ‘Un altro modo di possedere’. L’emersione di forme alternativedi proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano 1977, in particolare da p. 191 perla vicenda italiana e alle pp. 246-252 per il pensiero dello Schupfer.

2 M. ROBERTI, Dei beni appartenenti alle città dell’Italia settentrionale dalle invasioni bar-bariche al sorgere dei comuni, Modena 1903, p. 39.

3 ROBERTI, Dei beni appartenenti alle città cit., pp. 45-46.4 ROBERTI, Dei beni appartenenti alle città cit., pp. 59-60.5 Oltre a A. SOLMI, Ademprivia. Studi fondiari sulla proprietà in Sardegna, in Studi sto-

rici sulla proprietà fondiaria nel Medioevo, Roma 1937, pp. 229-326 (la citazione è tratta dap. 246), tra coloro che si occuparono del tema occorre citare almeno G. MENGOZZI, La cittàitaliana nell’alto Medioevo. Il periodo longobardo-franco, Firenze 1931 (prima edizioneFirenze 1914), pp. 85-130, in cui si sostiene la criticata identificazione di campanea e benisuburbani della città; cfr. inoltre CASSANDRO, Storia delle terre comuni cit., in cui vengono

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ma delle comunanze era posto sul lungo periodo e veniva fattorisalire almeno al regno franco. La questione così impostata, fintroppo attenta all’origine degli usi civici6, finiva con il disinteres-sarsi della piena età comunale: quand’anche la documentazionedelle amministrazioni cittadine ne avesse suggerito la presenza,difficilmente tali beni venivano considerati più che un’appendicedell’epoca precedente, una sopravvivenza, priva d’interesse, dellafase antecedente al sorgere delle autonomie urbane.

Pochi studiosi, fra i quali è opportuno ricordare Angelo Mazzi7,Carlo Calisse8 e Alessandro Lattes9, pur adottando un approccioprevalentemente descrittivo, si discostarono da questo modellostoriografico, i cui limiti sono stati messi in evidenza in tempi piùrecenti da Andrea Castagnetti: egli ha significativamente indicato,contro quanto si era allora sostenuto, la prima età comunale comemomento di creazione dei comunia cittadini10.

Se fu possibile un progresso nella conoscenza di questi ultimi,ciò avvenne soprattutto in margine allo sviluppo del dibattito suirapporti tra città e contado, avviato antecedentemente al primoconflitto mondiale dalla scuola economico-giuridica e vivacemen-te ripreso solo dopo la pubblicazione nel 1956 di un articolo daparte del Fiumi11; in esso vennero ridimensionate le posizioni del

trattate le principali vicende storiografiche; alle pp. 90-93 egli critica inoltre l’ipotesi delMengozzi.

6 L’ossessione delle origini richiamata da Bloch è stata messa in connessione con la sto-riografia sui beni comunali sia da J.-C. MAIRE VIGUEUR, Premessa, in I beni comuninell’Italia comunale: fonti e studi. Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – Tempsmodernes, tome 99 (1987), vol. II, pp. 553-554, dove ripercorre le principali vicende storio-grafiche e i temi di ricerca di più promettente sviluppo riguardo alle comunanze, sia da S.CAROCCI, Le comunalie di Orvieto fra la fine del XII e la metà del XIV secolo, ibidem, pp.701-728.

7 A. MAZZI, Note suburbane, Bergamo 1892.8 C. CALISSE, Storia di Civitavecchia, Roma 1898, pp. 128-135.9 A. LATTES, Il Liber potheris del comune di Brescia, in “Archivio storico italiano”, 29

(1902), pp. 228-307. 10 A. CASTAGNETTI, La «campanea» e i beni comuni della città, in L’ambiente vegetale nel-

l’alto Medioevo, XXXVII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo(30 marzo – 5 aprile 1989), Spoleto 1990, vol. I, pp. 137-174. Il problema della “campa-nea” è stato affrontato anche da R. BORDONE, La città e il suo «districtus» dall’egemonia vesco-vile alla formazione del comune di Asti, in “BSBS”, 75 (1977), pp. 535-625, anche se questocontributo è rivolto piuttosto alla determinazione del territorio cittadino e accenna sola-mente al tema dei beni comuni, e, per Torino, da A.A. SETTIA, Fisionomia urbanistica e inse-rimento nel territorio (secoli XI-XIII), in Storia di Torino. 1. Dalla preistoria al comune medie-vale, a cura di G. Sergi, Torino 1997, pp. 785-831, con particolare riferimento alle pp. 824-827.

11 E. FIUMI, Sui rapporti economici tra città e contado nell’età comunale, in “Archivio sto-rico italiano”, 114 (1956), pp. 18-68. Per una bibliografia più recente sul tema rimandiamo

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Salvemini e del Caggese, mentre le esigenze annonarie della cittàvennero indicate come il vero motore della politica comunalenelle campagne.

Il Salvemini, infatti, aveva posto il problema dell’amministra-zione dei beni comunali come una delle manifestazioni del con-flitto tra popolo e magnati12. Con la consueta sensibilità nei con-fronti della documentazione presa in esame, Gioacchino Volpe nelsuo fondamentale studio su Pisa mise piuttosto in luce i fenome-ni di usurpazione delle terre collettive e la loro messa a coltura alfine di affrontare la crescente pressione demografica cittadina13. Asua volta Romolo Caggese nel 1906 aveva accennato a proprietàfiscali nell’ambito dell’opera di assoggettamento condotta daSiena nei confronti del contado14. Tali temi erano stati ripresi nelsecondo volume di Classi e comuni rurali nel Medio evo italiano15,in cui l’Autore si era soffermato sui possessi comunali per mostra-re il carattere di iniziativa economica della città, volta a trarre ilmaggior profitto possibile dal suo comitatus. Egli sottolineò l’in-traprendenza del governo urbano in questo settore: “nel Dugentonon v’è quasi Comune che non abbia il suo patrimonio e che nonlo accresca continuamente con compre, con usurpazioni e confi-sche, con donazioni ricevute dai sovrani, e non v’è quasi Comune,

ai lavori di A.I. PINI, Dal comune città-stato al comune ente amministrativo, in Comuni esignorie: istituzioni, società e lotte per l’egemonia, La storia d’Italia, diretta da G. Galasso,Torino 1981, vol. IV, pp. 449-587, con particolare riferimento alle pp. 451-524 e di G.M.VARANINI, L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV(Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia), in L’organizzazione del territorio in Italia eGermania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna 1994, pp. 133-233.

12 G. SALVEMINI, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Torino 1960, p. 234-236. Il passo è già stato messo in rilievo da J.-C. MAIRE VIGUEUR, Il problema storiografico:Firenze come modello (e mito) di regime popolare, in Magnati e popolani nell’Italia comunale.Quindicesimo convegno di studi del Centro italiano di studi di storia e d’arte di Pistoia. Pistoia15-18 maggio 1995, Pistoia 1997, pp. 1-16, con particolare riferimento alle pp. 11-12.

13 G. VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa (città e contado, consoli e podestà). Sec.XII-XIII, Pisa 1902, pp. 32-34 e pp. 111-113. Il Volpe accennò anche all’uso di vendere i“guariganghi” nel tentativo di saldare l’ingente debito pubblico; queste intuizioni vennerosuccessivamente riprese da Cinzio Violante (v. oltre, testo corrispondente alla nota 45).

14 R. CAGGESE, La Repubblica di Siena e il suo contado nel secolo decimoterzo, Siena 1906,pp. 12 e sgg., pp. 29-30, p. 39.

15 R. CAGGESE, Classi e comuni rurali nel Medio Evo italiano. Saggio di storia economicae giuridica, Firenze 1908, vol. II, pp. 209-226, dove Caggese affronta il problema della crea-zione dei borghi franchi (con particolare riferimento a Vercelli), delle bonifiche promossedal comune, della politica annonaria della città, ma soprattutto ibidem, pp. 273-282, doveviene affrontato il problema dei patrimoni comunali (anche qui viene trattato il caso diVercelli).

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quindi, che non abbia la sua amministrazione organizzata più omeno bene per sfruttare i suoi beni patrimoniali”16.

Un contributo innovativo, per quanto isolato, venne daGiorgio Falco, che considerò i possessi comunali della Campagnae della Marittima come una delle principali ragioni di contrastotra pedites e milites17. Se da una parte questa interpretazione haforti legami con quella di Salvemini, dall’altra se ne discosta inmaniera rilevante. Per lo storico pugliese la lotta di classe si river-berava su tutti i settori della vita comunale e quindi anche sulleproprietà civiche. Il punto nodale dell’attrito sociale era tuttaviaspostato altrove, nello scontro tra due diversi sistemi di produzio-ne, quello “feudale” e quello borghese. Il Falco, invece, avevariscontrato condizioni affatto diverse per l’area laziale, caratteriz-zata piuttosto da un’economia agraria e da un mancato sviluppomercantile: in questo contesto i beni pubblici erano uno dei“nuclei di interessi” attorno ai quali si formò il comune, assieme asignoria, vita religiosa, organizzazione tributaria, giudiziaria emilitare18. Essi rimasero, per tutto il XII secolo, il cespite piùimportante delle finanze urbane19. Il conflitto tra popolo e militespiù che una lotta di classe nell’accezione salveminiana è dunqueper l’Autore la contrapposizione tra “una classe agraria ed agrico-la” cittadina ed una “classe feudale”, che si concentra nel contado;esso divampava “per l’elezione alle magistrature e per l’ammini-strazione dei proventi comunali”20.

Si trattò di intuizioni decisive, che tuttavia per molto temponon ebbero seguito nella medievistica. La discussione sui beni col-lettivi rimase, infatti, a lungo un tema frequentato solo dalla sto-riografia altomedievale e dai giuristi, soprattutto in relazione alproblema della formazione del comune rurale, ed in questi setto-ri giunse ad arricchirsi di numerosi interventi21. Gli studiosi del-

16 CAGGESE, Classi e comuni rurali cit., vol. II, p. 275.17 G. FALCO, I comuni della Campagna e della Marittima nel Medioevo, Roma 1919. 18 FALCO, I comuni della Campagna e della Marittima cit., p. 26.19 FALCO, I comuni della Campagna e della Marittima cit., p. 59.20 FALCO, I comuni della Campagna e della Marittima cit., pp. 106-107. Le differenze

della concezione del Salvemini rispetto a quella del Falco sono state recentemente oggettodi un articolo di MAIRE VIGUEUR, Il problema storiografico cit.

21 Cfr., tra i tanti, BOGNETTI, Studi sulle origini del comune rurale cit.; CASSANDRO, Storiadelle terre comuni cit.; M. LUZZATO, A proposito della «guariganga», in “Bollettino storico pisa-no”, 3 (1934), pp. 57-63, dove si possono trovare indicazioni bibliografiche per il comples-so problema dei “guariganghi” pisani; TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia cit. e, peruna recente messa a punto, C. WICKHAM, Comunità e clientele nella Toscana del XII secolo. Leorigini del comune rurale nella Piana di Lucca, Roma 1995, con ampia bibliografia.

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l’età comunale tardarono invece a soffermarvi la loro attenzione:le sporadiche eccezioni, quando non liquidarono gli usi civicicome un’anomalia nella struttura della proprietà fondiaria, li con-siderarono comunque un settore limitato, difficilmente rilevante,dell’amministrazione finanziaria urbana, che sarebbe invece statadominata dalle diverse forme di imposizione22.

Significativa fu la posizione assunta nel secondo dopoguerradal Peyer nella sua sintesi sulle politiche annonarie dei comunidell’Italia centro settentrionale, che, pur mostrando sensibilitàverso il problema, forse anche a causa del tipo di documentazioneutilizzata, affermava: “non abbiamo trovato, tra le fonti facentiparte della nostra bibliografia, riferimenti alle entrate di granoprovenienti dalle proprietà terriere dei comuni. Anche nell’elencocompleto delle entrate comunali non era fatta menzione di ciò.Questo significa che tali entrate non erano di particolare impor-tanza, né per il fisco, né, tantomeno, come quota parte dei rifor-nimenti di grano”23.

Si dovette a Giuseppe Mira una serie di contributi contro ten-denza, stimolati anche dallo spazio occupato dai comunia nelladocumentazione della città umbra24, e incentrati sulle proprietàpatrimoniali dell’amministrazione perugina25: a lui il merito di

22 Cfr. per esempio W.M. BOWSKY, Le finanze del comune di Siena. 1287-1355, Firenze1976, pp. 82-92; o G. CHERUBINI, Aspetti della proprietà fondiaria nell’Aretino durante ilXIII secolo, in “Archivio storico italiano”, 121 (1963), pp. 3-40, con particolare riferimentoa p. 3.

23 H.C. PEYER, Zur Getreidepolitik oberitalienischer Städte im 13. Jahrhundert, Zurigo1949, p. 27.

24 L’osservazione appartiene a J.-C. MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare, in Società e isti-tuzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Perugia 6-9 novembre 1985,Perugia 1988, vol. I, pp. 41-56, con particolare riferimento a p. 44. Proprio la situazioneanomala di Perugia ha fatto sì che questa città e più in generale l’Umbria divenissero delleteste di ponte nello studio delle comunanze (cfr. oltre): Perugia può, infatti, contare, oltreai lavori del Mira, anche su quelli di J. GRUNDMAN, The Popolo at Perugia, Perugia 1992,dello stesso Maire Vigueur e di M. VALLERANI, Le comunanze di Perugia nel Chiugi. Storiadi un possesso cittadino tra XII e XIV secolo, in Risorse collettive, a cura di D. Moreno e O.Raggio, “Quaderni storici”, 81 (1992), pp. 625-652, ID., Il Liber terminationum del comu-ne di Perugia, in I beni comuni nell’Italia comunale cit., pp. 649-699. Sull’Umbria si posso-no inoltre ricordare J.-C. MAIRE VIGUEUR, Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio, inComuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Storiad’Italia, diretta da G. Galasso, Torino 1987, vol. VII, tomo 2, pp. 321-606; CAROCCI, Lecomunalie cit.

25 G. MIRA, Le entrate patrimoniali del comune di Perugia nel quadro dell’economia dellacittà nel XIV secolo, in “Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università diCagliari”, anno accademico 1959-60, Cuneo 1961, pp. 1-55. ID., Il fabbisogno di cereali inPerugia e nel suo contado nei secoli XIII-XIV, in Studi in onore di Armando Sapori, Milano1957, pp. 505-517.

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avere posto l’accento sull’aspetto sociale del problema e di averneevidenziato la rilevanza economica.

Un’attenzione così discontinua impedì la creazione di un setto-re di studi di storia comunale specificatamente dedicato ai benipubblici delle città italiane. Una svolta in questo senso avvennenegli anni Ottanta, per merito soprattutto di storici impegnati inindagini sulle realtà urbane dell’Italia centrale, Jean-Claude MaireVigueur in primis. Egli suggerì un nesso tra lo sfruttamento delleterre possedute dai governi cittadini e l’attuazione di strategieannonarie. La questione delle comunanze venne così collegata alleistanze affermate dai comuni di popolo, particolarmente sollecitiall’approvvigionamento della collettività, ma soprattutto attentiad avocare a sé le risorse del territorio26. Lo storico francese inol-tre delineò una parabola politica, che interessò le proprietà pub-bliche di molte città, debitrice nei confronti dei lavori diSalvemini e Falco27, giacché individuava negli stessi beni comuna-li “uno dei più scottanti motivi di attrito tra milites e peditesdurante il periodo consolare e podestarile”28: inizialmente ammi-nistrati per porte o parrocchie, essi vennero rivendicati ad usoesclusivo dei milites, che ne pretesero una fruizione privilegiata “incompenso delle prestazioni militari da loro fornite alla collettivi-tà”29. Contro questa gestione, che favoriva le usurpazioni nobilia-ri, si impegnarono i governi podestarili, spinti dal malcontento delpopulus: il recupero delle proprietà comunali si protrasse per diver-

26 MAIRE VIGUEUR, Premessa cit.; ID., Les rapports ville-campagne dans l’Italie communa-le: pour une revision des problèmes, in La ville, la bourgeoisie et la genèse de l’état moderne (XII-XVIII siècle), a cura di N. Bulst e J.-Ph. Genet, Parigi 1988, pp. 21-34, con particolare rife-rimento alle pp. 32-33. Il nesso con le politiche annonarie cittadine era stato già suggerito,oltre che dal Mira, anche da A. CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria nell’Italiacomunale. La bonifica della “palus comunis Verone,, (1194-1199), in “Studi medievali”, 15(1974), pp. 363-481; tuttavia è merito di Maire Vigueur l’avere riportato l’attenzione sullecomunanze come terreno di scontro tra popolo e milites.

27 È probabilmente esagerata la necessità di definizione, che caratterizza oggi la medie-vistica italiana e che individua una contrapposizione quasi ideologica fra le due categorie di“Salveminiani e di “Ottokariani”. La scelta di campo può comunque avere senso quandocorrisponde ad un generale modo di interpretare la storia dell’età comunale, come caratte-rizzata dalla “natura di classe dei conflitti politici” (MAIRE VIGUEUR, Il problema storiografi-co cit., pp. 1-2, in cui per altro l’Autore professa la sua simpatia per Salvemini) rispetto a chiritiene i contrasti della storia cittadina semplici aggiustamenti di equilibrio all’interno del-l’oligarchia dominante. Sulle differenze tra la concezione salveminiana della storia e quellaottokariana cfr. E. SESTAN, Nicola Ottokar, in ID., Scritti vari – III. Storiografia dell’Otto eNovecento, a cura di G. Pinto, Firenze 1991, pp. 345-354.

28 MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare cit., p. 46.29 MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare cit., p. 46.

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si anni, spesso attraverso inchieste e cause30. Entratine in possesso,i rettori urbani intrapresero un sistema di conduzione centralizza-to delle comunanze, considerato una delle grandi conquiste deiregimi popolari31.

In questo modo i beni comunali cittadini uscirono faticosa-mente dall’oblio, ricevendo un taglio interpretativo che li legò adoppio filo alla storia sociale e che assegnò loro un ruolo determi-nante, fino allora sottovalutato, all’interno dei bilanci comunali32:proprio la loro importanza economica spinse, infatti, gli studiosia rivolgersi ad essi come ad una cartina al tornasole per individua-re le contrapposizioni urbane tra popolo e nobiltà. Si suggerì,inoltre, che i patrimoni civici “rivestivano sovente un’importanzastrategica”, sicché il loro studio avrebbe contribuito “a gettare lucesu un problema di portata più generale, quello del peso e dell’in-cidenza diretta degli organismi pubblici cittadini sui territorirurali”33.

Confluirono quindi nel più generale problema della gestionedel patrimonio civico singoli settori che già da qualche tempo ave-vano assorbito le fatiche degli storici, portando ad un’estensionedella definizione di comunanze. Infatti, non ponendosi più il pro-blema della ricerca delle loro remote origini, tali beni apparveroun aspetto rilevante, tutt’altro che residuale, dell’economia urba-na. Si mise quindi in evidenza che essi non erano costituiti solo dapochi pascoli passati dalle mani dei cittadini – o, come presuppo-sto dalla storiografia di inizio Novecento, da quelle degli ariman-ni – a quelle dei consoli34: spesso si trattò invece di fondi di gran-de consistenza, acquisiti nel corso del processo di formazione deldistrictus e valorizzati dalle amministrazioni podestarili. Tra i benicomunali poteva dunque essere annoverata in senso lato tutta la

30 MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare cit., p. 47.31 MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne cit., p. 32.32 A portare l’attenzione su questo campo di studi contribuì anche la pubblicazione di

due raccolte esclusivamente dedicate al problema dei beni comuni: I beni comuni nell’Italiacomunale cit. e Risorse collettive cit.

33 P. CAMMAROSANO, Città e campagna: rapporti politici ed economici, in Società e istitu-zioni dell’Italia comunale cit., vol. I, pp. 303-349, con particolare riferimento alle pp. 324-325.

34 Cfr. per esempio SCHNEIDER, L’origine cit., p. 238: “Una storia delle libertà cittadinein Italia può ora essere intrapresa con successo e deve partire dai rapporti degli arimanni cit-tadini con i terreni collettivi; da questi, dai communia, la comunità cittadina prende il nomedi Comune”. La ben nota tesi dello Schneider, fondata su un’interpretazione datata del ter-mine arimanni, è stata analizzata dal Tabacco (cfr. supra, nota 1).

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gamma di proprietà cittadine: le superfici ad uso civico, ma anchei terreni di recente bonifica35, i castelli ed i territori di cui il gover-no urbano era entrato in possesso durante l’assoggettamento delcontado36, i mulini37, le miniere.

Le modalità di recupero e di gestione dei beni comunali deli-neate da Jean-Claude Maire Vigueur, la cui cronologia varia aseconda delle aree prese in considerazione, sono state studiate perdiverse zone dell’Italia centrale e sembrano valide nelle linee gene-rali anche per le autonomie cittadine della pianura padana, seppurcon alcune varianti: per esempio, in parecchi casi una precoce alie-nazione del patrimonio civico fu la necessaria conseguenza delledifficoltà economiche in cui incorsero molti comuni settentriona-li durante la guerra con Federico II.

Tuttavia molte verifiche rimangono ancora da fare e, se si eccet-tuano poche ricognizioni38, non sono ancora stati prodotti studiesaurienti sui beni comunali di quest’area, malgrado le pochenotizie di cui siamo in possesso lascino presagire interessanti svi-luppi.

35 A. CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria cit.36 VALLERANI, Le comunanze cit.; CAROCCI, Le comunalie cit.37 Sui mulini cittadini cfr. per un inquadramento generale C. DUSSAIX, Le moulins a

Reggio d’Emilie aux XIIe et XIIIe siècles, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge –Temps modernes, tome 91 (1979), vol. I, pp. 8-147. D. BALESTRACCI, Approvvigionamento edistribuzione dei prodotti alimentari a Siena nell’epoca comunale. Mulini, mercati e botteghe,in “Archeologia medievale”, 8 (1981), pp. 127-154. A.I. PINI, Canali e mulini a Bologna traXI e XV secolo, in ID., Campagne bolognesi. Le radici agrarie di una metropoli medievale,Firenze 1993, pp. 15-38. Cfr. inoltre quanto esposto nel corso del III capitolo con i relati-vi rimandi bibliografici.

38 P. GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici fra XII e XIII secolo: daun processo del 1207, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – temps modernes,tome 113 (2001), vol. I, pp. 433-451; sempre per Milano, ma in età viscontea, si ricordal’articolo di E. SAITA, I beni comunali a Milano ed alcuni esempi della loro amministrazionefra Tre e Quattrocento, in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo, a curadi L. Chiappa Mauri, L. De Angelis Cappabianca, P. Mainoni, Milano 1993, pp. 217-268.Per Brescia: R. RAO, Beni comunali e governo del territorio nel Liber potheris di Brescia, inContado e città in dialogo. Comuni urbani e comunità rurali nella Lombardia medievale, acura di L. Chiappa Mauri, Milano 2003, pp. 171-199. Per i beni comunali di Mondovì, unborgo con aspirazioni urbane e con dinamiche istituzionali simili a quelle dei comuni citta-dini cfr. invece R. RAO, «Beni comunali» e «bene comune»: il conflitto tra Popolo e hospitia aMondovì, in Storia di Mondovì e del Monregalese. II – L’età angioina (1260-1347), a cura diR. Comba, G. Griseri, G. Lombardi, Cuneo - Mondovì 2002, pp. 7-74. Nuove conoscen-ze sui beni immobiliari delle città italiane sono pervenute grazie a studi che si occupavanodella ricostruzione dei paesaggi urbani: per Bologna si segnala il lavoro di J. HEERS, Espacespublics, espaces privés dans la ville. Le Liber Terminorum de Bologne (1294), Parigi 1984,dove l’Autore tratta degli accaparramenti e delle confische effettuate dal comune dopo la vit-toria dei Geremei; l’analisi è volta soprattutto a delineare la politica urbanistica cittadina e

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2. Il campo d’indagineLa gestione dei beni del comune di Vercelli, per il quale man-

cano interventi in proposito se si eccettuano poche ricognizioni diMassimo Vallerani e di Francesco Panero, rimane dunque unargomento tutto sommato poco approfondito39.

In primo luogo occorre effettuare qualche precisazione sull’og-getto del lavoro. Come è richiamato nel titolo, ho scelto di parla-re di “beni del comune”. Tale opzione non è del tutto arbitraria inquanto è in accordo con la stessa interpretazione che i notai ed ilegislatori vercellesi del XIII secolo applicavano ai comunia, voca-bolo che veniva utilizzato per designare genericamente i beni spet-tanti all’amministrazione cittadina: per esempio un documentodel 2 marzo 1203, riguardante un mulino posseduto dal comunein Arborio, venne rubricato come “carta comunium”40. Dellanomenclatura medievale tale definizione è rispettosa anche sottoun altro aspetto, strettamente legato all’impostazione del lavoro.Credo, infatti, che l’espressione “beni del comune” o “beni comu-nali” sia in grado di includere egualmente sia le terre su cui grava-vano usi civici – cioè i diritti, detenuti dai cittadini, di fruizionecollettiva di alcuni pascoli e boschi –, sia le proprietà gestite dalgoverno urbano, non necessariamente assegnate a più individui osfruttate gratuitamente dalla cittadinanza. Vengono quindi com-presi sia i beni pubblici, sia quelli patrimoniali. Del passaggio

i conflitti di parte che presiedono all’azione comunale, in accordo con la visione che lo stes-so Autore aveva espresso in ID., Le clan familiale au Moyen Âge. Étude sur les structures poli-tiques et sociales des miliex urbains, Parigi 1974. Per Pavia altomedievale cfr. invece P.J.HUDSON, L’evoluzione urbanistica di una capitale altomedievale (774-1024), in AA.VV.,Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bologna 1988, pp. 15-69, con parti-colare riferimento alle pp. 33-34. Su questi due lavori e sullo sviluppo della storia dell’inse-diamento in ambito urbano cfr. le osservazioni di R. COMBA, Premessa, in Paesaggi urbanidell’Italia padana cit., pp. 7-12. Importante il recente lavoro di G. MILANI, L’esclusione dalcomune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma2003, pp. 329-375 sull’amministrazione comunale dei beni dei banditi a Bologna.

39 M. VALLERANI, L’affermazione del sistema podestarile e la trasformazione degli assetti isti-tuzionali, in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, Storia d’Italia, direttada G. Galasso, vol. VI, Torino 1998, pp. 385-426, con particolare riferimento a p. 416; F.PANERO, Terre in concessione, Bologna 1984, pp. 75-76; ID., Istituzioni e società a Vercellidalle origini del comune alla costituzione dello studio (1228), in L’università di Vercelli nelMedioevo. Atti del Secondo Congresso Storico Vercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 otto-bre 1992), Vercelli 1994, pp. 77-165, con particolare riferimento a p. 98; ma soprattuttoID., Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico di Trino e Tricerro nel seco-lo XIII, Vercelli 1979. Da ultimo cfr. R. RAO, La proprietà allodiale civica dei borghi nuovivercellesi (prima metà del XIII secolo), in “Studi storici”, 42 (2001), pp. 373-395.

40 PC, doc. 62, pp. 134-135. Cfr. anche capitolo IV.

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dagli uni agli altri, indifferentemente chiamati comunia nelladocumentazione, ci si occuperà dunque nel corso di questa ricer-ca. Inoltre l’ampiezza di significato del vocabolo consente nonsolo di approfondire le vicende delle comunanze propriamentedette, che pure hanno fornito le coordinate storiografiche in cuisituare la discussione, ma anche di affrontare la trattazione di altrisettori, come i mulini, i castelli o la miniera: tale allargamento per-metterà sia di cogliere sviluppi e problematiche comuni, sia diavere un più ampio quadro delle risorse di cui disponeva il gover-no urbano41. Si dovrebbe, quindi, pervenire ad una visione com-plessiva delle forme di conduzione attuate dalle autorità cittadinenel periodo preso in considerazione.

Come si è accennato, inoltre, il lavoro manterrà un taglio rigo-rosamente socio - istituzionale. Sarà proprio l’analisi delle vicendeinerenti ai possedimenti comunali a suggerire la natura e le moda-lità dei conflitti che dividevano la cittadinanza. La struttura delleistituzioni urbane e la pressione su di esse operata da parte di mili-tes e populus riceveranno quindi ampio spazio, soprattutto relati-vamente ai periodi meno studiati dalla storiografia vercellese.

L’arco cronologico all’interno del quale verrà preso in esame ilcomplesso rapporto tra le amministrazioni urbane ed il loro patri-monio partirà dalla pace di Costanza, che già Castagnetti ha ricor-dato come momento decisivo per l’affermarsi dell’attenzione delcomune nei confronti delle proprietà collettive42. Anzi, fu propriocon l’accordo tra imperatore e comuni che si posero le basi perl’equiparazione dei beni collettivi a diritti pubblici. Del resto inquesto stesso periodo si assistette alle prime attestazioni di pasco-li civici per Vercelli43. Termine ideale dell’indagine sarà invece lapacificazione del 1254 tra il comune e gli esuli guidati dagliAvogadro: essa segnò - assieme all’esaurirsi del problema dei benidei fuoriusciti, al minore controllo sul contado, al declino delleistituzioni popolari vercellesi e all’alienazione della maggior partedelle comunanze - anche una minore importanza da parte di que-gli stessi possedimenti che a lungo avevano occupato un postocentrale all’interno delle scritture pubbliche44.

41 Questo è anche il metodo adottato nel suo studio da CAROCCI, Le comunalie cit.42 CASTAGNETTI, La «campanea» cit., p. 167.43 Cfr. capitolo I.44 Sulla pacificazione del 1254 cfr. V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo,

Vercelli 1857-61, vol. I, pp. 323-338; R. ORDANO, Storia di Vercelli, S. Giovanni in

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Al fine di non ricadere nel pericolo, più volte richiamato, ditrattare la storia del patrimonio civico nella piena età comunalecome un episodio marginale, si cercherà da un lato di considerar-lo nel contesto degli avvenimenti politici, dall’altro di scorgere ilsuo ruolo all’interno delle finanze vercellesi: si tenterà, ad esem-pio, di mostrare il legame che intercorre tra fiscalità, proventiapportati dai comunia e gestione del deficit cittadino. A questoproposito non sarà fuori luogo citare il noto intervento di CinzioViolante sulle origini di un procedimento di disavanzo consolida-to a Pisa, in cui la comparsa della pratica dell’indebitamento daparte dell’amministrazione urbana - nella quale si “riesce a coglie-re bene anche lo sviluppo costituzionale del Comune in sensopubblicistico” - coinvolge pure lo sfruttamento dei “guariganghi”,le terre ad uso collettivo pisane45. A fianco di questa tematica nonsarà neppure trascurato l’utilizzo delle comunanze al fine di sod-disfare le crescenti esigenze annonarie della città, costretta tra XIIIe XIV secolo “a considerare il sistema degli approvvigionamentinell’insieme dell’azione economica e politica che andava svilup-pandosi”46.

In questo modo si tenterà di restituire alle proprietà civiche illoro giusto peso, se non tramite una stima quantitativa della loroimportanza all’interno dei bilanci comunali - operazione che l’as-senza di documenti contabili consente solo a tratti -, per lo menoattraverso la messa in rilievo dei nessi economici e istituzionali chene determinarono la valorizzazione e la gestione.

Persiceto 1982, pp. 178-180; F. PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie nella politi-ca territoriale del comune di Vercelli (secoli XII-XIII), in ID., Comuni e borghi franchi cit., pp.73-99, con particolare riferimento alle pp. 92-93; sul rapporto tra beni comunali vercellesie scritture pubbliche cfr. anche L. BAIETTO, La politica documentaria dei comuni piemontesifra i secoli XII e XIII, in “BSBS”, 98 (2000), pp. 105-165. Cfr. inoltre capitolo IV, pp. 174-186.

45 C. VIOLANTE, Le origini del debito pubblico e lo sviluppo costituzionale del Comune, inEconomia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo, Bari 1980, pp. 67-81: i “guariganghi” veni-vano dati in pegno per i debiti contratti dal comune.

46 FIUMI, Sui rapporti economici tra città e contado cit., p. 39.

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I. I beni comunali e il governo cittadino tra fase con-solare e prime esperienze podestarili (1192-1208)

1. Il recupero delle proprietà comunali nel 1192

La documentazione vercellese non offre consistenti segnalazio-ni dell’esistenza di beni collettivi sino alla fine del XII secolo: èstato possibile rintracciarne una prima menzione solo in un attodell’archivio arcivescovile, in cui, nel 1179, tra i confini di unappezzamento “in territorio de Vercellis ubi dicitur ad pissinamAsinariam” è indicato un “pasculum comune”, senza che si possacapire a chi fosse destinata la fruizione e se ci fossero limitazioni alriguardo, in particolare nei confronti di cives o milites1.

Per rinvenire maggiori informazioni sulle comunanze a Vercellioccorre attendere il mese di febbraio dell’anno 1192: in quelladata la collettività lamentava che le antiche terre comuni, abitual-mente utilizzate per il pascolo degli animali2, erano state chiuse edinglobate nelle proprietà dei confinanti3 e che, sia quelle che veni-vano inondate dalle acque, sia quelle asciutte4, erano condivise da

1 Le carte dell’archivio arcivescovile di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, Pinerolo 1917 (BSSS,85/2), doc. 15, p. 232. Il tema dei beni comunali non è stato indagato dagli storici vercel-lesi, se non per accenni, comunque posteriori al 1192: la bibliografia non soccorre dunquesul silenzio della documentazione per il periodo precedente. Sull’esclusività del godimentodei pascoli cittadini cfr. J.-C. MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare, in Società e istituzionidell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Perugia 6-9 novembre 1985,Perugia 1988, vol. I, pp. 41-56, con particolare riferimento alle pp. 44-48; P. GRILLO, IlComune di Milano e il problema dei beni pubblici fra XII e XIII secolo: da un processo del 1207,in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – temps modernes, tome 113 (2001), vol.I, pp. 433-451, qui alle pp. 433-436. R. RAO, «Beni comunali» e «bene comune»: il conflittotra Popolo e hospitia a Mondovì, in Storia di Mondovì e del Monregalese. II – L’età angioina(1260-1347), a cura di R. Comba, G. Griseri, G. Lombardi, Cuneo - Mondovì 2002, pp.7-78, qui alle p. 32.

2 PC, doc. 60, p. 128: “vetera comunia ad vescendum animalibus solita”.3 PC, doc. 60, p. 128: “cum terris, turris et possessionibus illorum qui coherebant”; sul-

l’interpretazione del riferimento alle torri cfr. oltre.4 PC, doc. 60, p. 128: “de his quas aque moluerant et de illis que non molute fuerant”.

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5 PC, doc. 60, p. 128: “cuius cohartatione actus maximum dampnum seu periculumcivitatis universitati conferebatur”.

6 PC, doc. 60, p. 128: “iamdicto clamori adquiescentes”.7 Cfr. oltre, nel corso di questo stesso capitolo, pp. 43 e sgg.8 PC, doc. 60, p. 128: “cum […] comoda civitatis et episcopatus populique universi

beneplacita multipliciter decretarent inter cetera potissimum et dignissimum illis visum fuitut comunia huius civitatis, tam pascuis et ierbis, quam insulis et glariis et moltis, per vete-res homines per portas electos, sub iuramento ab ipsis electis prestito consignarentur”.

9 PC, doc. 60, pp. 128-134.10 In questo periodo a Vercelli agivano diversi notai di nome Ottone: confrontando il

suo segno notarile si può escludere una sua identificazione con il notaio Ottone da Bussero,anch’egli presente sia nella documentazione comunale sia in quella dell’archivio del capito-lo cattedrale (PC, doc. 32, p. 69, documento relativo all’anno 1170; Le carte dello archiviocapitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi e F. Gabotto, Pinerolo 1914 (BSSS, 71), vol. II,doc. 391, p. 91, documento relativo all’anno 1180), mentre è stato possibile attribuirgli unatto rogato per il comune nel 1181 in cui si definiva “Otto vercellensis notarius sacri pala-cii” (Acquisti, I, f. 92, edito in DAC, doc. 9, pp. 19-22). Per il capitolo cattedrale rogò inve-ce numerosi atti, più volte in funzione di racionator terrarum (Le carte dell’archivio capitola-re cit., vol., II, doc. 520, pp. 277-278; doc. 562, p. 317; doc. 630, p. 402); nel 1194 agìcome missus della canonica (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol., II, doc. 565, pp. 322-323). Sul notariato vercellese di questo periodo cfr. I. SOFFIETTI, Problemi relativi al nota-riato vercellese nel XIII secolo, in Vercelli nel XIII secolo. Atti del primo congresso storico vercel-

più persone, sicché dalla loro recinzione derivava un grave perico-lo per l’intera città5. Accondiscendendo alla protesta6, i consoliCorrado Salimbene, Corrado Avogadro, Bonifacio de Ugucione,Nicola de Fontaneto, Ottone Preve, Buongiovanni Mangino eGilberto Caroso decretarono con grande solennità che i comuniadella città, sia pascoli e incolti, sia isole, ghiaieti e molte - ossia ter-reni che si trovavano ad essere bagnati durante le piene deifiumi7 -, venissero individuati da uomini anziani eletti dalleporte8. In ragione di ciò vennero convocati Matteo Bondoni,Martino de Tronzano, Simone Cavagliasca, Giovanni Rubeus,Ruffino Pomario ed Enrico Scannagatta, della Pusterla, di portaUrsona e di porta Gribaldi e quattro uomini “bone memorie etsane”: Bartolomeo Panclerico, Vercellino Rossello detto Seroa,Porco e Guido de Faraianua. Costoro furono costretti dai consolia stimare i comunia et molta, secondo ciò che ricordavano ed ave-vano visto. I dieci estimatori testimoniarono allora sotto giura-mento a Corrado Avogadro, ad Ottone Preve e a BuongiovanniMangino, che agivano in vece dei loro colleghi, quali terre fosserocomuni e, riportatele in un lungo elenco, le consegnarono aglistessi tre consoli e ad Ottone, earum rationator9. Quest’ultimo eraun notaio Sacri Palacii vercellese, che rogò numerosi atti per ilcapitolo cattedrale cittadino, solo episodicamente menzionato trai rogatari comunali10.

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Due furono i requisiti di cui si tenne conto nell’affidare l’inca-rico agli estimatori: l’anzianità e l’appartenenza alle porte.L’elevata età degli eletti dimostra che l’accaparramento fu un pro-cesso lento, sviluppatosi nel corso di parecchi anni, tuttavia in unperiodo non superiore alla durata di una vita umana, poiché sipresupponeva che uomini, seppur veteres, potessero ricordarel’ubicazione degli antichi pascoli comuni11. La seconda caratteri-stica pone maggiori problemi interpretativi: infatti, se è probabil-mente vero, non essendo specificate limitazioni, che tutte le portecittadine parteciparono all’elezione degli estimatori, è anche veroche questi ultimi provenivano esclusivamente da quelle dellaPusterla, Gribaldi e Ursona, site nella parte orientale della città,sul perimetro delle mura longobarde12. La nuova cinta, terminatanel secolo successivo, venne iniziata tra il 1162 e il 116413; inquell’epoca però il nuovo fossato era già stato completato14: l’uti-lizzazione delle antiche entrate della città potrebbe quindi indica-re che l’organizzazione per porta era da tempo consolidata. È inol-tre possibile che in questo modo, già in passato, fossero gestiti ibeni collettivi deputati al pascolo degli animali, come del restoavveniva anche in altre città15, o che, nel caso in cui al tempo della

lese, Vercelli 1982, pp. 65-79; P. CANCIAN, Attività notarile urbana e di contado nella societàvercellese del XIII secolo, ibidem, pp. 379-392; E. BARBIERI, Notariato e documentazione aVercelli tra XII e XIII secolo, in L’università di Vercelli nel Medioevo. Atti del Secondo CongressoStorico Vercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994, pp. 255-292.

11 Nei processi in seguito scaturiti se il possessore riusciva a dimostrare di detenere il ter-reno da almeno 40-45 anni veniva legittimato (cfr. oltre, pp. 57 e sgg.).

12 D. ARNOLDI, Vercelli vecchia e antica, a cura di G. Tibaldeschi, Vercelli 1992, pp. 20;48-49; G. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec.XIV, a cura di G. Tibaldeschi, Vercelli 1995, pp. 35-52; G. GULLINO, Uomini e spazio urba-no. L’evoluzione topografica di Vercelli tra X e XIII secolo, Vercelli 1987, pp. 9-18.

13 ID., Inurbamenti ed espansione urbana a Vercelli tra XII e XIII secolo, in Vercelli nel XIIIsecolo cit., pp. 279-320, con particolare riferimento alle pp. 293-294.

14 Nel 1184 si dice: “Casamentum itaque de Vercellis iacet in porta Sancte Agathinecum tota terra ipsi casamento pertinenti existente supra Barbacanam usque in fossatumveteris fossati civitatis et usque foris” (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 443,pp. 150-152). Se si accenna ad un vecchio fossato significa che già esisteva quello nuovo,tuttavia anche in questo atto, facendo riferimento alla porta di S. Agata, si utilizzaronoancora i vecchi parametri. La costruzione del nuovo fossato, in attesa che fossero completa-te le mura, veniva a costituire il perimetro della civitas, essenziale per la definizione degliobblighi fiscali e militari dei cittadini (GULLINO, Uomini e spazio urbano cit., pp. 18; 38-42).

15 Il rapporto tra circoscrizioni territoriali cittadine e pascoli comuni è reperibile inMAIRE VIGUEUR, Il comune popolare cit., p. 46 per Perugia; GRILLO, Il Comune di Milano eil problema dei beni pubblici cit., per Milano; A. CASTAGNETTI, La «campanea» e i beni comu-ni della città, in L’ambiente vegetale nell’alto Medioevo, XXXVII Settimana di studio delCentro italiano di studi sull’alto Medioevo (30 marzo – 5 aprile 1989), Spoleto 1990, vol.I, pp. 137-174, qui alle pp. 160-161 per Verona. Cfr. anche il caso di Alessandria, dove nel

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fruizione collettiva dei pascoli cittadini le porte non avesseroancora acquisito un ruolo amministrativo, tali beni fossero antica-mente sfruttati solo dagli abitanti della zona. Il fatto che fosserostati tali organismi ad eleggere gli inquisitores è significativo: ilruolo delle porte a Vercelli è ricostruibile solo attraverso pochetestimonianze16. La documentazione a partire grosso modo da que-sto periodo assegna invece ampio spazio alle vicinie, che nei primidecenni del XIII secolo arrivarono non solo a prevalere nelle indi-cazioni toponomastiche, ma anche a legare ad una serie di obbli-ghi i loro abitanti, ad eleggere rappresentanti e ad occupare unaposizione di rilievo nelle mansioni di interesse pubblico17. Si puòcomunque ipotizzare che nel 1192 le porte estendessero la loroautorità sul suburbio, tanto più che il documento precisò che glieletti compirono la stima “omnes per eorum portas et vicos terri-toria huius civitatis circuendo”18: la menzione di sole tre porte

1191 i cittadini di Porta Roboreto vendettero i loro beni collettivi (Le carte dello archiviocapitolare di Tortona (sec. IX-1220), a cura di F. Gabotto, V. Legé, Pinerolo 1905 (BSSS, 29),doc. 117 bis, p. 368; ulteriori disposizioni della porta sui beni comuni nei docc. 244, pp.282-283; 275, pp. 315-316, anni 1207-1215).

16 Sicuramente le porte detenevano un ruolo fiscale: nel 1222 gli uomini di Biandratenell’accettare il cittadinatico si sottoposero alle stesse condizioni degli abitanti della Pusterlae di porta Ursona (GULLINO, Uomini e spazio urbano cit., p. 47). Inoltre in particolari casialcuni ufficiali comunali cui venivano assegnati incarichi particolarmente delicati potevanoessere eletti per porta: questo era il caso previsto da due norme statutarie, prive di datazio-ne, la prima tuttavia anteriore al 1240 e relativa agli “accusatori” (Statuta, 63, pp. 54-55),la seconda all’elezione di 12 sapienti (Statuta, 137, pp. 104-105; al riguardo cfr. anche capi-tolo IV; p. 167). Prima del 1192 le porte comparvero nelle designazioni toponomastichediverse volte: nei cittadinatici a partire dal 1186 (“in porta S. Agatine”, PC, doc. 134, p.228) fino al 1218 (“in porta Santina”, PC, doc. 299, p. 312) si localizzarono le case deinuovi cittadini con la porta. Si tratta di testimonianze importanti, poiché indicano che esi-steva un territorio che dipendeva dalla porta. Tuttavia, già nel medesimo periodo, è attesta-to l’utilizzo delle vicinie, destinato a diventare dominante a partire dal secondo decennio delXIII secolo (del 1191 è la concessione ad alcune vicinie del Rivus Gualdricus: cfr. capitoloIII, p. 131). Divenne invece meno frequente la designazione tramite il borgo, la via o laporta per indicare l’ubicazione, causa anche l’ambiguità che veniva a crearsi con la costru-zione della nuova cerchia muraria. Questi problemi sono trattati in GULLINO, Uomini e spa-zio urbano cit., pp. 43-67, che ipotizza che l’amministrazione per porta sia precedente aquella per hora, a sua volta sostituita dal termine “vicinia”, con essa identificabile.

R. BORDONE, La città e il suo «districtus» dall’egemonia vescovile alla formazione delcomune di Asti, in “BSBS”, 75 (1977), pp. 535-625, con particolare riferimento alle pp.560-571 è riuscito a ricostruire il ruolo circoscrizionale delle porte astigiane valendosi delleindicazioni toponomastiche, unitamente però a una serie di testimonianze (ruolo fiscaledelle porte, tarda apparizione delle vicinie, esplicite menzioni di un rapporto amministrati-vo porta – cives) non frequenti a Vercelli.

17 Al riguardo cfr. GULLINO, Inurbamenti ed espansione cit., p. 285. Nel 1191 il sistemaamministrativo per vicinie era probabilmente in corso di affermazione (cfr. oltre, testo cor-rispondente alla nota 42).

18 PC, doc. 60, p. 129. Sul nesso tra porte e suburbio cfr. anche G.M. VARANINI,

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potrebbe quindi essere spiegata, poiché i beni accaparrati si con-centravano proprio nell’area da loro dipendente19.

Un’altra peculiarità dell’atto, in parte legata a quanto appenadetto, è la presenza tra gli estimatori di individui non legati allacredenza e di chiara ascendenza popolare: generalmente la prassiprevedeva l’assegnazione degli uffici a personaggi esperti dellapolitica comunale20. Infatti, tra gli eletti dalle porte, solo i primitre, Matteo Bondoni, Simone Cavagliasca e Martino de Tronzano,facevano parte dell’aristocrazia consolare. Matteo, console delcomune nel 1180 e nel 1194, di giustizia nel 1188 e nel 1191,proveniva da una famiglia che faceva parte della vassallità vescovi-le21. Simone, console del comune nel 1148 e di giustizia nel 1178,aveva contatti anche con la società di Santo Stefano, di cui resse ilconsolato nel 1182 e nel 118622. Anche i de Tronzano, pur nonpotendo beneficiare dell’appartenenza alla curia vassallatica delpresule, erano saldamente inseriti nelle schiere della nobiltà citta-dina23: Guala fu console di giustizia nel 117924, Nicola fu consoleL’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (MarcaTrevigiana, Lombardia, Emilia), in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoliXIII-XIV, a cura di G. Chittolini e D. Willoweit, Bologna 1994, pp. 133-233, con partico-lare riferimento alle pp. 147-150. Il rapporto tra organizzazioni territoriali urbane e subur-bio è messo in rilievo anche da F. BOCCHI, La città e l’organizzazione del territorio, in EAD.,Attraverso le città italiane nel Medioevo, Casalecchio di Reno 1987, pp. 7-22, con particola-re riferimento a p. 10.

19 L’indipendenza delle porte, capaci di agire separatamente, è testimoniata anche perMilano: per esempio Annales mediolanenses minores, in MGH, Scriptores, XVIII, a cura diG.H. Pertz, Hannover 1863, pp. 396-397.

20 Nel XIII secolo venne inserita negli statuti una norma, che non avrebbe conosciutoderoghe, attraverso cui si prevedeva l’assegnazione degli uffici ai credenziari (Statuta, 23, p.30). L’uso tuttavia si era probabilmente già affermato prima della codificazione degli statu-ti: per esempio, nel 1200, furono incaricati di compiere una stima dei danni subiti daGuglielmo di Castello per la costruzione del ponte sulla Dora presso Saluggia, Alisio DeBenedetti e Pietro Carraria, appartenenti a famiglie abitualmente rappresentate nelle cre-denze di quegli anni (Acquisti, I, f. 49).

21 V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1857-1861, vol. III, pp. 268-269; Acquisti, I, f. 45-46; Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 479, p. 192. Suquesta famiglia cfr. Appendice 1.

22 Cfr. Appendice 1.23 Guido de Tronzano nel 1207 è definito assieme a alcuni suoi concittadini nobilis civis

vercellensis (DAC, doc. 53, pp. 77-79). Sulla cautela che occorre usare nell’interpretare que-sto appellativo cfr. G. ROSSETTI, Ceti dirigenti e classe politica, in AA.VV., Pisa nei secoli XIe XII: formazione e caratteri di una classe di governo, Pisa 1979, pp. XXV-XLI, con partico-lare riferimento alle pp. XXVI-XXVII; tuttavia il fatto che per tutti costoro si possa rintrac-ciare un’ascendenza militare indirizza verso un utilizzo del termine volto a rimarcare ancheil rilievo sociale di tali famiglie (cfr. anche l’interpretazione data da F. PANERO, Istituzioni esocietà a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello studio (1228), in L’universitàdi Vercelli nel Medioevo cit., pp. 77-165, con particolare riferimento a p. 146).

24 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 14, p. 231.

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del comune nel 1180 e nel 118425, Guido resse il consolato di giu-stizia nel 1203 e nel 120426. La loro famiglia, vassalla della cano-nica di S. Eusebio, riusciva a fare eleggere suoi appartenenti nelcapitolo cattedrale27 e contemporaneamente aveva un solido rap-porto con la società popolare, tanto che i suoi esponenti ne resse-ro più volte il consolato28. È invece incerta l’identificazione diGiovanni Rubeus. Una famiglia denominata in questo modo par-tecipò in quegli anni alla vita politica comunale: Uberto Rubeus diArborio fu console del comune nel 119829 e credenziario nel 1199e nel 120130; inoltre un personaggio di tale nome è menzionatonel 1233 come pelliparius31. Tuttavia, considerata la diffusionedell’appellativo Rubeus e il fatto che i personaggi citati non eranodi origine vercellese, bensì provenienti dal contado32, risultaimprobabile che Giovanni appartenesse a questo gruppo parenta-le. Nessuno Scannagatta o Pomario, questi ultimi bubulci33, èinvece riferito come credenziario34.

25 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, pp. 268-269; PC, doc. 273, pp. 296-297.26 Biscioni, 1/III, doc. 620, p. 185; Biscioni, 1/III, doc. 621, p. 187. Nel 1224 egli venne

indicato come dominus (Il libro rosso del comune di Ivrea, a cura di G. Assandria, Pinerolo1914 (BSSS, 74), doc. 142, p. 127).

27 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 156. Buongiovanni nel 1203 era cano-nico di S. Eusebio (ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 8 ottobre1203).

28 Nicola fu console di Santo Stefano nel 1182 (Acquisti, I, f. 27), Ardizzone nel 1192(Acquisti, I, f. 47), Guido nel 1200 (Acquisti, I, f. 30), nel 1202 (DAC, doc. 25, p. 45) e nel1208 (ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208),Giovanni nel 1207 (DAC, doc. 53, p. 77).

29 Cartario Alessandrino fino al 1300, a cura di F. Gasparolo, Torino 1928 (BSSS, 113),vol. I, doc. 146, p. 208.

30 Biscioni, 1/II, doc. 288, pp. 136-138; Gli atti del comune di Milano fino all’anno 1216,a cura di C. Manaresi, Milano 1919, doc. 217, p. 309.

31 A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, pp. 70-71.32 Gli estimatori dovevano, infatti, ricordare l’antica collocazione delle comunanze: è

dunque verosimile che vivessero a Vercelli da molto tempo.33 Nicola Pomario, testimone ad un processo nel 1208, ricordò che da 14 anni risiede-

va a Caresana pro bubulco (ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 6 luglio 1208).Giovannino Pomario nel 1231 era iscritto nel libro del comune dove erano annotati i cam-parii dei cives e dei milites per la città e per il vescovo, come campario a Caresana e a Gazzoper il conte Ruffino di Langosco, per Ostachio di Caresana, per i figli di Dionisio Pelliccia,per Pietro Bentivoglio e per Maifredo Cagnola (ACV, Atti privati, cartella XXV, doc. in data28 novembre 1231). Pietro, figlio dell’estimatore Ruffino, già morto nel 1202, era fittavo-lo dei preti Giacomo e Giovanni Carosa, dai quali venne investito di due bubulconie di terrain Cantarana (ACV, Atti privati, cartella XI, documento relativo all’anno 1202). BenedettoPomario era fittavolo del capitolo di S. Eusebio da cui deteneva un sedime e delle terre inCaresana (ACV, Atti privati, cartella XIV, doc. in data 7 aprile 1210).

34 Enrico Scannagatta fu testimone ad una vendita nel 1165 (Le carte dell’archivio capi-tolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, G.C. Faccio, F. Gabotto e G. Rocchi, Pinerolo 1912(BSSS, 70), vol. I, doc. 185, p. 225).

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Fra gli uomini bone memorie, non necessariamente provenientidalle predette porte35, solo Bartolomeo Panclerico apparteneva aduna famiglia discretamente documentata: di recente ascesa socia-le, sartores di professione36, i Panclerico erano legati alla società diSanto Stefano, di cui Giulio fu console nel 118237; lo stesso inca-rico avrebbe rivestito Bartolomeo nel 120438. Giulio Panclerico,inoltre, era stato tra i fondatori dell’ospedale di S. Bartolomeo39.Degli altri personaggi non si ha menzione tra i credenziari40.

Dunque a quattro esponenti di famiglie cospicue, stabilmenteinserite nella vita politica del comune, di cui tre facenti parte del-l’aristocrazia consolare, si affiancavano sei individui più schietta-mente popolari. Inoltre, la stessa scelta di nominare altri quattrouomini di buona memoria, in aggiunta a quelli delle tre porte,potrebbe essere dovuta alla volontà di ridimensionare ulterior-mente l’influenza degli appartenenti al gruppo dirigente cittadino.L’atipicità può essere spiegata con il fatto che non erano stati iconsoli o la credenza a eleggere gli estimatori, ma le stesse porte,dove era rappresentata una fascia di cives più eterogenea41, puressendo ormai consolidato, nel caso vercellese, l’inserimento dellemaggiori famiglie nelle strutture vicinali e a radicamento territo-riale. Analizzando, infatti, i nomi degli otto rappresentanti dialcune parrocchie del settore meridionale della città per l’annoprecedente, il 1191, emerge il dominio dei maggiori gruppi

35 Bartolomeo Panclerico possedeva casa “in hora S. Andree” (PC, doc. 238, p. 272),dunque in un’area dipendente da Porta Aralda.

36 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 71. La citazione risale tuttavia solo alla metàdel secolo successivo; in questo stesso periodo si ha menzione di un Antonio Panclericonotaio (cfr. per esempio Biscioni, 1/II, doc. 369, p. 276). La famiglia doveva disporre dicospicue risorse: infatti nel 1247 Giovanni Panclerico era creditore del comune per 500 liredi pavesi (Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 70, p. 467).

37 Acquisti, I, f. 27. Giulio Panclerico fu anche credenziario nel 1170 (Biscioni, 1/II, doc.369, pp. 276-278).

38 PC, doc. 110, p. 203.39 Una menzione che, oltre a ragguagliarci sulla consistenza della famiglia, riveste un

interesse politico: infatti l’ospedale di S. Bartolomeo era una delle istituzioni in cui si rico-noscevano i gruppi parentali vicini al movimento popolare. La maggior parte dei suoi fon-datori e diversi tra i suoi benefattori furono, infatti, legati alla società di Santo Stefano(DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 143; cfr. anche le osservazioni fatte da E. MAYER,Die Funktion von Hospitälern in städtischen Kommunen Piemonts (11.-13. Jahrhundert),Frankfurt am Main 1992, pp. 78-90).

40 Porco potrebbe essere figlio di Negro Gastaldo di Vercelli, proprietario di terreni inCaresana (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 288, pp. 329-330).

41 Cfr. quanto detto sulle organizzazioni territoriali vercellesi da PANERO, Istituzioni esocietà a Vercelli cit., pp. 94-95 e da DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 136-139.

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parentali vercellesi, nobili e di origini popolari42: compaiono i DeBenedetti43, i de Tronzano44, i Bondoni45, i Culbaatus46, i Tizzoni47,i Bigurracane48, i Buttino49, i Rusullo50 ed i de Artaldo51. Si tratta-va in ogni caso di famiglie di grande peso politico: anche quelleche non esprimevano consoli del comune, non avevano esponen-ti nel capitolo cattedrale o non vantavano un legame privilegiatocon il presule - come era il caso dei Tizzoni, dei Buttino, deiRusullo e dei Culbaatus -, erano comunque inserite negli appara-ti di potere, imparentate con casate di ascendenza militare, in pos-sesso di diritti signorili e talora esse stesse esprimevano milites. Delresto, in questo periodo, rispetto agli anni Quaranta del secolosuccessivo52, la vicinia non si presenta ancora nella documentazio-ne come organizzazione locale di popolo: essa si propone piutto-sto come “una comunità da tempo avvezza a comportarsi in modosolidale e unitario”53. La rilevante presenza di maggiorenti a capodelle circoscrizioni territoriali non impediva comunque all’interacollettività di fare valere le proprie idee nei consigli: allo stessomodo è probabile che anche all’elezione effettuata dalle porteavesse partecipato buona parte della cittadinanza54.

42 Acquisti, I, f. 45-46. Il documento è interessante anche per comprendere il ruoloamministrativo della parrocchia, forse identificabile con l’hora o vicinia, che in questa datasembra già essere dominante su quello della porta. Al riguardo cfr. anche capitolo III.

43 Cfr. Appendice 1. 44 Su questa famiglia cfr. quanto detto in precedenza.45 Cfr. Appendice 1.46 Buongiovanni Culbaato nel 1195 possedeva assieme a Vercellino Robollione la deci-

ma su terre tra Larizzate e Asigliano (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 578,pp. 337-338; doc. 580-582, pp. 340-342). Lo stesso Buongiovanni nel 1197 deteneva l’ho-nor e il districtus su un manso (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 603, pp. 373-374). I Culbaato vantavano precoci presenze nel consiglio cittadino: Bartolomeo fu creden-ziario nel 1170 (Biscioni, 1/II, doc. 369, pp. 276-278).

47 Cfr. Appendice 1.48 Cfr. Appendice 1.49 Essi erano imparentati con i Tetavegia (Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 17,

pp. 234-235); Guala Buttino nel 1172 fu monaco di Muleggio (Le carte dell’archivio capi-tolare cit., vol. I, doc. 277, pp. 318-320); Buongiovanni fu credenziario nel 1222 (Biscioni,1/II, doc. 323, pp. 197-198).

50 Nel 1199 Rusullo transige le sue differenze con il capitolo di S. Eusebio (Le carte del-l’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 634, pp. 404-405).

51 Questa è l’unica famiglia scarsamente documentata; suoi esponenti si inserirono pertre volte nella credenza cittadina negli anni 1184-1202 (PANERO, Istituzioni e società aVercelli cit., p. 113).

52 Cfr. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 65, con particolare riferimento alla par-tecipazione dei Seicento delle vicinie nel periodo 1243-1247.

53 ARTIFONI, Tensioni sociali e istituzionali nel mondo comunale cit., p. 473.54 In G. CAMINITI, La vicinia di S. Pancrazio a Bergamo. Un microcosmo di vita politico-

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Era stato, dunque, lo stesso populus, qui inteso come totalitàdella popolazione cittadina55 - pur, come si vedrà, avvalendosidello stretto legame con la società di Santo Stefano - a sollecitarel’inchiesta. Esso aveva forse individuato una precisa connotazionesociale nelle famiglie che si erano rese responsabili dell’accaparra-mento di terre sentite di proprietà dell’intera collettività: i civesrecriminavano, infatti, che gli appezzamenti erano stati inglobatinei fondi dei possessori urbani56. Tale protesta, nata dalle frangepopolari che trovavano difficoltà ad esprimere le proprie istanzenel consiglio di credenza, si indirizzò, secondo Panero, contro i

sociale (1283-1318), Bergamo 1999, in special modo alle pp. 32-40; 55-83 vengono tratta-te le modalità di elezione e la dialettica tra consoli e vicini; cfr. inoltre i classici lavori di G.DE VERGOTTINI, Il «popolo» nella costituzione del comune di Modena sino alla metà del XIIIsecolo, in ID., Scritti di storia del diritto italiano, a cura di G. Rossi, Milano 1977, vol. I, pp.263-332 e ID., Arti e «popolo» nella prima metà del secolo XIII, ibidem, pp. 387-467; E.ARTIFONI, Una società di “popolo”. Modelli istituzionali, parentele, aggregazioni societarie e ter-ritoriali ad Asti nel XIII secolo, in “Studi Medievali”, 24 (1983), pp. 545-616; ID., Tensionisociali e istituzioni nel mondo comunale, in La storia. Il Medioevo. 2. Popoli e strutture politi-che, a cura di N. Tranfaglia e G. Firpo, Torino 1986, pp. 461-491, con particolare riferi-mento alle pp. 470-477; ID., Corporazioni e società di «popolo»: un problema della politicacomunale nel secolo XIII, in “Quaderni storici”, 74 (1990), pp. 387-404; S. BORTOLAMI, Leforme «societarie» di organizzazione del popolo, in Magnati e popolani nell’Italia comunale.Quindicesimo convegno di studi del Centro italiano di studi di storia e d’arte di Pistoia. Pistoia15-18 maggio 1995, Pistoia 1997, pp. 41-79; J. KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord nelXIII secolo, Bologna 1986, pp. 203-219; A.I. PINI, Le ripartizioni territoriali urbane diBologna medievale. Quartiere, contrada, borgo, morello e quartirolo, Bologna 1977; ID., Dalcomune città – stato al comune ente amministrativo, in Comuni e Signorie: istituzioni, societàe lotte per l’egemonia, Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Torino 1981, vol. IV, pp. 449-587, con particolare riferimento alle pp. 485-490; D. WALEY, Le città-repubblica dell’Italiamedievale, Torino 1980, pp. 153-167. P. GRILLO, Milano in età comunale (1183-1276).Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001, pp. 444-449. Cfr. anche ID., Il Comune diMilano e il problema dei beni pubblici cit.

55 Sui termini utilizzati nell’Italia dei secoli XI-XII per indicare la popolazione cittadinacfr. O. BANTI, «Civitas» e «Commune» nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, in ID., Studi distoria e di diplomatica comunale, Roma 1983, pp. 1-19.

56 Il Faccio trascrive “vetera comunia […] forent clausa et continuata cum terris, turriset possessionibus illorum quibus coherebant”, dove appare sospetta l’errata declinazione delsostantivo “turris”. La copia dei primi decenni del Duecento (sulla compilazione del librodei Pacta et conventiones cfr. PC, pp. III-XI e A. ROVERE, I “libri iurium” dell’Italia comuna-le, in Civiltà comunale: Libro, Scrittura, Documento. Atti del Convegno. Genova, 8-11 novem-bre 1988, Genova 1989, pp. 157-199, con particolare riferimento a p. 170 e, più nel detta-glio, A. DEGRANDI, I libri iurium duecenteschi del comune di Vercelli, in Comuni e memoriastorica. Alle origini del comune di Genova (Atti del convegno di studi, Genova, 24-26 settem-bre 2001), Genova 2003, pp. 131-148) attraverso cui ci è pervenuto il documento presen-ta un segno di croce sopra la parola turris; a margine del foglio il notaio riportò lo stessosegno seguito dalla parola terris, da interpretare piuttosto in sostituzione del termine neltesto. Tuttavia anche il lapsus calami del notaio, che probabilmente aveva vissuto il recupe-ro delle comunanze ed i processi che si erano conclusi solo pochi anni prima della trascri-zione in codice del documento del 1192, può essere indicativo della connotazione socialeche egli attribuiva ai possessori, segnalando un modello abitativo tipicamente nobiliare. Sul

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“cives appartenenti alla vecchia classe dirigente (nella quale ormainon si faceva più distinzione tra vassalli vescovili e non)”57.

2. “Multitudo populi vociferando”: il ruolo del popolo

In questo caso lo scarso ricorso ai meccanismi tradizionali delladialettica politica sembrerebbe apparentemente lasciare poco spa-zio all’associazione popolare. In realtà il ruolo rivestito dalla socie-tà di Santo Stefano fu fondamentale nel sostegno al movimentoche richiedeva l’operazione di avocazione delle terre comuni:infatti, tre dei consoli del comune autori della disposizione, sep-pur vincolati per interessi familiari al gruppo dirigente cittadino,erano legati a questa associazione58. Grazie a tale circostanza ilpopolo riuscì in quell’anno a esercitare un’influenza sul governoconsolare decisamente eccezionale rispetto agli anni precedenti(ma anche a quelli successivi), quando più netto apparve il domi-nio delle famiglie aristocratiche59.

La natura prettamente politica della protesta è suggerita ancheda altre considerazioni. È significativo che questa sollevazione,all’apparenza così fluida e spontanea, avesse dato concretezza allesue istanze proprio in un momento di forte sviluppo della societàdi Santo Stefano, quello stesso anno ben rappresentata nel gover-no della città. In realtà l’ascesa dell’associazione andò di pari passocon la maturazione del movimento popolare e con la presa di con-sapevolezza delle sue finalità. Sotto questa visuale l’atto del 1192

significato nobiliare e aristocratico delle torri si ricordano A.A. SETTIA, L’esportazione di unmodello urbano: torri e case forti nelle campagne del nord Italia, in “Società e Storia”, 12(1981), pp. 273-297, ID., Lo sviluppo di un modello: origini e funzioni delle torri private urba-ne nell’Italia centrosettentrionale, in AA.VV., Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bologna 1988, pp. 155-171, ID., I luoghi e le tecniche dello scontro, in Magnati e popo-lani nell’Italia comunale cit., pp. 81-115 e G.M. VARANINI, Torri e casetorri a Verona in etàcomunale: assetto urbano e classe dirigente, in Paesaggi urbani dell’Italia padana cit., pp. 173-249. Sul modello delle torri suburbane cfr. invece R. COMBA, Metamorfosi di un paesaggiorurale. Uomini e luoghi del Piemonte sud – occidentale dal X al XVI secolo, Torino 1983, pp.131-161.

57 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 98.58 Si tratta di Buongiovanni Mangino, Gilberto Caroso e Nicola de Fontaneto:

Buongiovanni era stato console della società nel 1185 (Biscioni, 1/III, doc. 563, p. 143); peri rapporti tra Santo Stefano e le altre due famiglie cfr. invece Appendice 1.

59 Sulla composizione del governo consolare vercellese cfr. PANERO, Istituzioni e societàa Vercelli cit., pp. 86-98 e R. RAO, Politica comunale e relazioni aristocratiche: gli Avogadrotra città e campagna, in Vercelli nel XII secolo, IV Congresso della Società storica vercellese(Vercelli, 18-20 ottobre 2002), in corso di stampa.

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offre un testimonianza preziosa e decisiva sull’esistenza di unostretto raccordo tra popolo e associazione di Santo Stefano, mapermette anche di superare un’analisi della natura sociale dell’as-sociazione che si basi esclusivamente sulla prosopografia dei suoiconsoli. Sicuramente il gruppo dirigente vercellese era reso note-volmente coeso dai legami familiari ed economici, dalla condivi-sione dei medesimi attributi distintivi – per esempio l’attestazionedi milites e di iudices all’interno delle casate che lo componevano- e, a giudicare dall’estrazione sociale di chi aveva occupato ipascoli collettivi, anche dalla presenza di comuni interessi, tra cuil’appropriazione dei beni pubblici60. Ciononostante, la partecipa-zione all’élite cittadina di individui contemporaneamente rappre-sentanti della società popolare non aveva indebolito, ma piuttostoconsolidato, la capacità di intervento dell’intero populus, che in talmodo poteva avvalersi di uomini di governo autorevoli ed espertidella politica urbana. Il movimento popolare, che trovava espres-sione politica nell’associazione di Santo Stefano, riuscì agevolmen-te a fare prevalere le istanze antinobiliari anche nella scelta degli“inquisitori” delle terre comuni, di cui tre erano legati alla societàed altri cinque erano comunque esclusi dal gruppo dirigente61. Inquesto modo veniva garantita una maggiore imparzialità, essendoproprio i maggiorenti vercellesi i più coinvolti nell’estimazione.

È bene sottolineare che l’operazione di recupero del 1192 pre-senta quindi due componenti: da un lato una protesta spontaneada parte della popolazione; dall’altro un incanalamento di taleprotesta in un contesto istituzionale, funzionale alle istanze popo-lari e comunali. Le vivaci frasi utilizzate nella scrittura del docu-mento – per esempio “multitudo populi vociferando clamaret” o“iamdicto clamori adquiescentes” - inducono a ritenere che i con-soli fossero stati costretti dalla violenta reazione della popolazione

60 Sull’appartenenza cetuale degli iudices cfr. J.-C. MAIRE VIGUEUR, Gli “iudices” nellecittà comunali : identità culturale ed esperienze politiche, in Federico II e le città italiane, acura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 161-176; cfr. anche, perun’epoca precedente, H. KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino1995, pp. 178-184; G. ROSSETTI, Elementi feudali nella prima età comunale, in Il feudalesi-mo nell’Alto Medioevo, XLVII Settimana di studi del Centro italiano di studi sull’AltoMedioevo (8-12 aprile 1999), Spoleto 2000, vol. II, pp. 875-909, con particolare riferimen-to alle pp. 881-886. Sui costumi e sulle caratteristiche dell’aristocrazia vercellese cfr. inveceA. BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo, in Vercelli nel XIIsecolo cit.; R. RAO, Fra comune e marchese. Dinamiche aristocratiche a Vercelli (seconda metàXII - XIII secolo), in “Studi storici”, 44 (2003), pp. 43-93, qui alle pp. 68-70.

61 Sull’origine sociale degli estimatori cfr. quanto detto in precedenza.

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cittadina a prendere provvedimenti che finirono con il danneggia-re le famiglie a loro legate ed il raggruppamento sociale a cuiappartenevano62. L’impressione è rafforzata dalla solennità che ilnotaio Ottone volle mostrare nel redigere l’atto, sottolineandonell’arenga che era l’interesse per i “comoda civitatis et episcopa-tus populique universi” – veniva dunque richiamata l’attenzione“all’intero popolo” - a muovere l’azione dei consoli, pur senza riu-scire a mascherare la palese tensione che pervadeva la cittadinan-za63. Proprio lo stato di latente conflitto sociale rendeva ancora piùdelicato il ruolo degli estimatori, che rischiavano di condizionarela loro decisione secondo gli interessi familiari, gli odi sociali e difazione, o di farsi influenzare da forme di pressione e di corruzio-ne da parte degli inquisiti: i consoli si premunirono non solo insi-stendo più volte sul giuramento e sulla bona fide degli inquisitores,ma anche raccomandando loro “quod non debeant vitare perodium aut per amorem ad ipsam consignationem faciendam, sedbona fide et absque timore et amore seu odio illud consignamen-tum facere”64.

Il movimento popolare, probabilmente guidato dalla società diSanto Stefano, fu dunque alla base dell’operazione volta al recupe-ro delle terre di cui si ricordava un antico uso collettivo: ad esso iconsoli furono costretti a venire incontro. Non bisogna tuttaviapensare ad un ruolo esclusivamente passivo da parte del comune,nel quale, come si è visto, le istanze popolari erano ben rappresen-tate. La stessa ampollosità dell’atto, preceduto da una lunga aren-ga, dimostra l’attenzione delle autorità comunali a cercare solidecorroborazioni ad un’operazione, che, coinvolgendo superfici pos-sedute da tempo da privati ed inserendosi in un clima di conflit-

62 Cfr. anche M. VALLERANI, L’affermazione del sistema podestarile e le trasformazioni degliassetti istituzionali, in Comuni e Signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, Storia d’Italiacit., Torino 1998, vol. VI, pp. 385-426, con particolare riferimento a p. 416 e L. BAIETTO,La politica documentaria dei comuni piemontesi fra i secoli XII e XIII, in “BSBS”, 98 (2000),pp. 105-165, con particolare riferimento alle pp. 128-131.

63 L’espressione “multitudo populi” ricorre anche in un atto del vescovo Leone del 1022,conservato presso l’archivio capitolare (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 40, p.49). Risulta valida anche per il caso vercellese l’osservazione di J.C. MAIRE VIGUEUR,Premessa, in I beni comuni nell’Italia comunale: fonti e studi. Mélanges de l’École française deRome. Moyen Âge – Temps modernes, tome 99 (1987), vol. II, pp. 553-554, il quale sottoli-nea che “i documenti più ricchi di informazioni sui beni comuni quasi sempre vengono pro-dotti in concomitanza di conflitti o nei momenti di più forte competizione tra gruppi o entirivali”.

64 PC, doc. 60, p. 133.

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tualità sociale, poteva incontrare la contrapposizione di parte dellacittadinanza, come effettivamente accadde. Le espressioni cherichiamano al clamor e al consenso dell’intera collettività urbanasono infatti caratteristiche della presenza e della costruzione diuna publica fama: esse vennero adoperate poiché costituivano unargomento giuridico in grado di giustificare la presa di possessodei comunia da parte del comune65. Significativamente nei proces-si scaturiti, come si vedrà in seguito, il sindaco cittadino difese irecuperi comunali adducendo l’esistenza di una publica fama66. Ilcomune dunque, in una situazione di diritto non chiara, utilizzòil malcontento popolare per organizzare un’operazione che benpresto assunse contenuti più ampi, di consolidamento dell’eserci-zio delle funzioni pubbliche67.

3. La provenienza sociale dei possessori espropriati

Un’altra suggestione da sottoporre a verifica è l’eventualità diun collegamento tra i possessori dei pascoli comuni e i milites cit-tadini: in tal senso una conferma del movente sociale della prote-sta può venire solo da un’analisi delle proprietà recuperate dagliestimatori e da un’indagine prosopografica sugli individui dan-neggiati. Di costoro si cercherà di rintracciare la condizione socia-le attraverso la partecipazione alla vita politica cittadina, ma anchetramite criteri quali l’individuazione nelle loro famiglie di milites,

65 Sulla publica fama cfr., in generale, F. MIGLIORINO, Fama e infamia: problemi dellasocietà medievale nel pensiero giuridico nei secoli XII e XIII, Catania 1985 e gli atti del conve-gno L’enquête au moyen âge, Roma, 29, 30, 31 gennaio 2004, in corso di stampa.Ultimamente la storiografia insiste sull’utilizzo sempre maggiore della publica fama come“quasi prova” nei processi del XII secolo. Una riflessione giuridica compiuta su tale argo-mento, interpretato, nella forma della denunciante fama, come passaggio fondamentale perpervenire all’inquisitio, avvenne tuttavia solo pochi anni dopo l’atto in questione, conInnocenzo III (J. THÉRY, Fama: l’opinion publique comme preuve judiciaire. Aperçu sur larévolution médiévale de l’inquisitoire (XIIe-XIVe siècle), in La Preuve en justice de l’Antiquité ànos jours, a cura di B. LEMESLE, Rennes 2003, pp. 119-147; M. VALLERANI, I fatti nella logi-ca del processo medievale: note introduttive, in “Quaderni storici”, 108 (2001), pp. 665-693;ID., Inchieste penali e inchieste politiche: costruzione del reato e sistemi di validazione delle provenelle procedure delle città italiane fra XIII e XIV secolo, in L’enquête au moyen âge cit.).L’episodio vercellese deve dunque essere inquadrato in tale periodo di crescente ricorso allapubblica fama nei procedimenti giudiziari e di fluida problematicità del rapporto tra siste-ma accusatorio ed inquisitorio.

66 Cfr. oltre, paragrafo 6, p. 66.67 Cfr. oltre, paragrafo 4, pp. 43 e sgg.

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iudices, canonici del capitolo cattedrale o potenti vassalli vescovili(queste ultime due categorie a Vercelli costituivano un indicatoreparticolarmente importante, a cui spesso corrispondeva una presadi posizione filonobiliare nella politica urbana)68.

Innanzitutto la superficie totale delle terre requisite ammonta-va a dieci mansi, otto moggi, tre staia e mezza tavola, pari a quasi103 ettari, tenendo conto che di alcuni lotti gli estimatori appros-simarono per difetto l’estensione69. Le aree in cui si localizzaronogli espropri furono due, entrambe nel suburbio vercellese, pocofuori delle mura cittadine. La prima era ubicata a sud – est dellacittà, tagliata orizzontalmente dal canale della Varola, oggi scom-parso, fino in località Biliemme70, e verticalmente dalle strade cheda Vercelli conducevano a Larizzate e a Casale. Qui le tenute,molte delle quali situate lungo la Varola, erano piuttosto fram-mentate e le estensioni contenute: si trattava, infatti, di 56 appez-zamenti, mai superiori ai quattro moggi, divisi fra 38 possessori.Parecchie pecie (dieci) furono menzionate nel documento comevigne: poiché la cittadinanza reclamava terreni che inizialmentevenivano adibiti al pascolo degli animali, evidentemente gli usur-patori, annettendoli alle loro proprietà, li avevano convertiti aduna coltura maggiormente redditizia. Del resto le tipologie coltu-rali dei lotti requisiti, quando indicate, mostravano una certa

68 Sul prestigio di cui godevano i vassalli vescovili vercellesi si rimanda ai lavori diKELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città cit., di A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassal-li rurali nel Vercellese del XII secolo, in “BSBS”, 91 (1993), pp. 5-45 e di PANERO, Istituzionie società a Vercelli cit.; ID., Capitanei, valvassores, milites, nella diocesi di Vercelli durante isecoli X-XII, in La vassallità maggiore del Regno Italico. I capitanei nei secoli XI-XII, a cura diA. Castagnetti, Roma 2001, pp. 129-150. Per l’estrazione nobiliare dei canonici del capito-lo cattedrale segnalo H. KELLER, Origine sociale e formazione del clero cattedrale dei secoli XIe XII nella Germania e nell’Italia settentrionale, in Le istituzioni ecclesiastiche della «societaschristiana» dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie. Atti della sesta Settimana internazio-nale di studio. Milano 1-7 settembre 1974, Milano 1977, pp. 136-186; A. RIGON, Il ruolodelle chiese locali nella lotta tra magnati e popolani, in Magnati e popolani nell’Italia comuna-le cit., pp. 117-135. Cfr. anche Appendice 1. Per una valutazione complessiva dell’aristocra-zia vercellese si rimanda al saggio di BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare cit.

69 Per esempio si dice, specie in relazione alle terre presso la Sesia: “modiorum XII etplus” o “ultra tres mansos terre continentes”; inoltre, talora non è riportata l’estensione (PC,doc. 60, pp. 134-138). La cifra calcolata è dunque inferiore alla reale estensione dei beniconsegnati.

70 Una testimonianza è rimasta nel toponimo “Cascina Varola”, sita a nord – est diLarizzate; da qui il corso d’acqua doveva digradare leggermente, passando per l’attualeCascina S. Giovanni e seguire un percorso parallelo alle mura vercellesi: esso è, infatti, neldocumento preso in esame, menzionato presso Biliemme, località che riceve il nome dallachiesa di S. Maria di Betlemme. Infine confluiva nella Sesia, non lontano dalla foce delCervo.

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varietà: terra, campus, pratum cum arboribus, ma non mancavanoanche zone fangose e fossati.

Ben dieci dei proprietari erano enti ecclesiastici, che tuttavia,naturalmente, raramente coltivano gli appezzamenti direttamente:talora alcuni individui tenevano il terreno a nome della chiesa71.Costoro solo in parte possono essere individuati in rustici chelavoravano la terra dietro corresponsione di un fitto: la presenza diun personaggio come Buongiovanni Oliva, appartenente ad unafamiglia inserita nell’aristocrazia consolare72, tra i possessori diterre del capitolo di S. Eusebio, induce piuttosto a ritenere o cheegli la desse in affitto versando un censo ai canonici, oppure chel’avesse ricevuta in feudo da questi ultimi73.

Nove possessori facevano invece parte dell’aristocrazia consola-re: Guglielmo Biterno, probabilmente appartenente alla famigliadei Bigurracane74, Simone Cavagliasca, Bartolomeo75, Gilberto eVercellino Caroso, Centorio, Uberto De Benedetti, Nicola deFontaneto e Dromone Tizzoni76. Tra costoro i De Benedetti, iBigurracane e i Caroso potevano vantare un rapporto vassallaticocon il vescovo77. I Caroso, di cui vennero menzionati ben tre espo-nenti, così come i Centorio, i Cavagliasca e i de Fontaneto, erano,invece, legati anche alla società di Santo Stefano78: da queste fami-glie, che si erano inserite solo tardivamente nel consolato maggio-re, discendevano anche due dei consoli autori del documento,Gilberto Caroso e Nicola de Fontaneto.

71 Per esempio: “de S. Lazaro picionus campi quem tenet Andreas de Montonario”,oppure “de illa S. Eusebii XV staria quam tenet Bonusiohannes de Oliva” (PC, doc. 60, p. 129).

72 Cfr. Appendice 1.73 Non è stato possibile riscontrare un legame diretto tra capitolo di S. Eusebio e Oliva:

si sa tuttavia che questa famiglia era imparentata con i Traffo, ramo di un’antica famigliacapitaneale vassalla del capitolo (cfr. Appendice 1). Anche la presenza tra i possessori diAndrea de Montonario è significativa: egli discendeva da una casata che nei primi decennidel secolo successivo avrebbe espresso notai e che possedeva terre a Larizzate. Lo stessoAndrea è ricordato nei necrologi eusebiani come donatore di un campo (I necrologi eusebia-ni, a cura di G. Colombo, in “BSBS”, 2 (1897), pp. 210-221, con particolare riferimento ap. 213). Per un confronto con le relazioni intrattenute dal capitolo cattedrale cremonese coni suoi fittavoli cfr. G. CHITTOLINI, I beni terrieri del capitolo della cattedrale di Cremona frail XIII e il XIV secolo, in “Nuova rivista storica”, 49 (1965), pp. 213-274, con particolareriferimento alle pp. 227-234; 258-261.

74 Per tutti questi personaggi cfr. Appendice 1.75 Si dice in realtà “in vinea que fuit Barthlomei Carosi”, senza indicare chi allora la pos-

sedesse (PC, doc. 60, p. 129).76 Cfr. Appendice 1.77 Cfr. Appendice 1.78 Cfr. Appendice 1.

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Numerosi erano anche gli appartenenti a gruppi parentalicospicui, che, pur senza esprimere consoli maggiori, ebberonumerose menzioni nei consolati di giustizia e di Santo Stefano etalora adottarono costumi di vita militari: si tratta di Tetavegia,Guido Biandrate, Vercellino Crispo, Giacomo Fata, Maifredo deCarengo e Giacomo Calvo79. Facevano, invece, parte di famiglieabbienti, che, pur non contando tra le loro fila consoli, erano rap-presentate nella credenza, il popolare Antonio Pelliccia e l’aristo-cratico Giovanni Garbagna: i Pelliccia erano una famiglia di bec-cai legata alla società di Santo Stefano80, mentre i Garbagna eranoun ramo dei Bentivoglio, vassalli vescovili81. Lo stesso Giovanni,inoltre, era sposato con Mantropola de Guidalardis ed era cosìimparentato con una delle maggiori casate vercellesi82.

Alcuni possessori, seppur di ascendenza militare, ebbero pochirapporti con la vita politica cittadina: Pietro di Asigliano era val-vassore del vescovo, Guala de Fossato apparteneva ad una stirpe divassalli della canonica di S. Eusebio, mentre da una famiglia dipiccoli feudatari discendevano probabilmente i figli di Cona83.

Gli altri possessori di terre requisite in quest’area, ossia Anfossodi Uberto Rufino, Abate, Pelagallus, Zanardo84, appartenevanoinvece a gruppi parentali di origine popolare, scarsamente rappre-sentati nelle credenze cittadine. Per gli individui di nomeOstachio ed Aichino, invece, non è stato possibile effettuareun’identificazione sicura. Tra gli “usurpatori” vennero infine men-zionati anche “illi de Vezolano” ed i consorziali “super aqua”, pro-babilmente proprietari di terre costiere che avevano unito i lorodiritti sull’uso delle acque della Varola85.

In conclusione, oltre a sei vassalli vescovili, anche per moltialtri individui è stato possibile determinare, attraverso lo spogliodi una documentazione che dagli anni antecedenti l’atto preso inesame si spinge fino ai primi decenni del secolo successivo,un’ascendenza militare o giuridica: questa era propria deiCentorio, dei de Fontaneto, dei Tizzoni, dei Tetavegia, dei

79 Cfr. Appendice 1.80 Cfr. Appendice 1.81 Cfr. Appendice 1.82 Cfr. Appendice 1.83 Cfr. Appendice 1.84 Cfr. Appendice 1.85 Cfr. il caso dei possessori privati di diritti sulle rive dei fiumi milanesi studiato da L.

CHIAPPA MAURI, Paesaggi rurali di Lombardia, Bari 1990, pp. 142-150.

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Biandrate e dei de Fossato, cui si possono probabilmente aggiun-gere Calvo, de Carengo e Fata, nonché Montenario, Oliva eCona86. Circa la metà dei possessori di quest’area appartenevanodunque a famiglie di milites o di iudices.

La seconda zona oggetto delle requisizioni comunali era ubica-ta in posizione orientale rispetto alle mura cittadine, demarcatadal fluire della Sesia e dalla confluenza in essa del Cervo e dellaVarola87: assai diversa si presentava la situazione dei beni avocatidagli estimatori in quest’area, a causa soprattutto della sua diversaconformazione idrica. Infatti, la presenza dei fiumi Sesia e Cervo,soggetti a straripamenti e a cambiamenti di letto, rendeva più osti-ca la delimitazione della proprietà e meno appetibile lo sfrutta-mento agricolo88.

Qui le estensioni risultavano essere maggiori, raggiungendo inun caso una superficie superiore ai tre mansi (30 ettari) e misuran-do, di norma, diversi moggi. Le terre richiamate alla mano pub-blica consistevano in isole, letti fluviali abbandonati, ghiaieti, ter-reni che costeggiavano la Sesia. Sembra, però, che gli stessi estima-tori non avessero una cognizione chiara della loro delimitazione:essi, infatti, spesso come punto di riferimento, al posto dei confi-ni dell’appezzamento, preferivano fornire più genericamente ilnome del suo occupante. Il possesso qui non era frammentato, manelle mani di pochi individui, dei quali appare omogenea l’estra-zione sociale: in maggioranza provenivano, infatti, dalle fila del-l’aristocrazia consolare. Di questo gruppo facevano parte Uberto eGiovanni De Benedetti, Filippo Burro, Ottone e MaifredoCamex, Trancherio de Iudicibus, Giacomo de Guidalardis,Bartolomeo de Fontaneto, Alberto Bondoni, Dromone Tizzoni,Oliverio Capella e forse Guiscardo89. Da un’importante famiglia

86 Cfr. Appendice 1.87 Per il possesso di Bartolomeo de Fontaneto si dice: “ibidem prope intra terram

Bartholamei de Fontaneto, longora que incapitat in Sarvum et in Verolam” (PC, doc. 60, p.131), dove l’avverbio ibidem si riferisce a località nei pressi della Sesia.

88 È del resto usuale anche nel resto d’Italia la presenza di beni comunali in concomi-tanza di aree paludose o fluviali (A. CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonarianell’Italia comunale. La bonifica della “palus comunis Verone,, (1194-1199), in “Studi medie-vali”, 15 (1974), pp. 363-481; S. CAROCCI, Le comunalie di Orvieto fra la fine del XII e lametà del XIV secolo, in I beni comuni nell’Italia comunale cit., pp. 701-728, con particolareriferimento alle pp. 706-707; A. PADOA SCHIOPPA, Aspetti della giustizia milanese dal X alXII secolo, in Atti dell’11° congresso di studi sull’Alto Medioevo. Milano 26-30 ottobre 1987,Spoleto 1989, vol. I, pp. 459-549, con particolare riferimento alle pp. 525-528).

89 Cfr. Appendice 1. Guiscardo aveva possessi in questa zona già prima dell’accaparra-mento: aveva infatti un mulino presso il vecchio letto del Cervo (PC, doc. 60, p. 131).

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inserita nel capitolo cattedrale, ma pressoché assente dalla vitapolitica cittadina proveniva Ostachio de Bugella90. Più limitata era,invece, la presenza di chiese, ossia S. Orso, S. Giuliano e S.Graziano. In compenso vennero menzionati anche alcuni ecclesia-stici: prete Pietro, forse legato ad Alberto Bondoni, assieme a cuipossedeva un mulino, e Bertramo capellarius. I soli popolari pre-senti erano Uberto Bigura, Mesclavinus e Rainaldo Barletarius91.Tra gli espropriati figuravano infine “illi de ponte”, “illi deVezolano” e un non meglio identificato Opizzone.

Emerge abbastanza chiaramente la connotazione sociale deipossessori di queste terre: numerosi (sette) appartenevano a fami-glie vassalle del vescovo, ossia Alberto Bondoni, Giacomo deGuidalardis, Filippo Burro, Trancherio de Iudicibus, Giovanni eUberto De Benedetti, Guiscardo92. Anche la maggior parte deirimanenti era comunque di ascendenza militare, ossia Maifredoed Ottone Camex, Bartolomeo de Fontaneto, Dromone Tizzoni,Oliverio Capella, Ostachio de Bugella93.

Uno sguardo d’insieme sulle due aree mostra che su 57 posses-sori indicati nel documento, 11 erano enti ecclesiastici, tutti citta-dini ad eccezione di S. Orso di Aosta, cui il presule vercellese donòla chiesa di S. Paolo presso la Sesietta nel 117394; 46 erano invecelaici, di cui due consorzi, ossia i “ponterii” e i “consortiales superaqua”.

Gli ecclesiastici erano proprietari di terreni di estensione abba-stanza limitata, complessivamente 18 moggi ed una tavola, equi-valenti a circa sei ettari, tuttavia ubicati nell’area più fertile, quel-la presso la Varola. Tra i laici primeggiavano invece gli appartenen-ti all’aristocrazia consolare (19), per un’estensione di cinquemansi, quattro moggi e nove tavole (più di 51 ettari), di cui lamaggioranza era concentrata nella zona presso la Sesia, per unasuperficie superiore ai cinque mansi; essi tuttavia erano presentianche nell’altra area, grazie ad appezzamenti per tre moggi, uno

Inoltre gli inquisitori non requisirono le terre di S. Giuliano e di Dromone “que aquisivit aGuiscardo” (PC, doc. 60, p. 133).

90 Cfr. Appendice 1. 91 Cfr. Appendice 1.92 Cfr. Appendice 1.93 Cfr. Appendice 1.94 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 282, pp. 323-324. Il fatto ricorda che

la stessa chiesa di S. Paolo era stata beneficiata dai Garbagna, che comparivano tra i posses-sori abusivi di terreni comunali (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 262, p. 305).

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staio e nove tavole di terreni, circa un ettaro. La quasi totalità deirimanenti possessori laici era comunque inserita negli organi digoverno comunale ed apparteneva a cospicue famiglie vercellesi:costoro, otto individui, rivendicavano terre per quattro moggi,due staia e 11 tavole (poco più di un ettaro) la cui esiguità eracompensata dalla localizzazione nei pressi della Varola, maggior-mente favorevole. Tra gli espropriati che non partecipavano allapolitica cittadina pochi erano i milites, mentre più numerosi gliindividui, sette, che sembrano essere riconducibili, pur con unineliminabile margine di dubbio, a discendenze popolari: questiultimi possedevano due mansi, dieci moggi e quattro staia (24ettari), di cui circa due moggi e due staia (approssimativamente 50are) presso la Varola ed i rimanenti due mansi e più in prossimitàdella Sesia, concentrati quasi esclusivamente nelle mani diRainaldo Barletarius e di Mesclavinus.

Infine, due dati si impongono alla nostra attenzione: per circala metà dei possessori (26) è stato possibile rintracciare un’ascen-denza militare, per un gruppo consistente (14) un legame con lasocietà popolare. Il primo concorre a provare che furono per lopiù milites a portare avanti con decisione l’accaparramento dellecomunanze95. La seconda caratteristica non deve fare scordare chei consoli di Santo Stefano venivano scelti in prevalenza tra fami-glie cittadine nobili o eminenti, e che in questa società trovaronoun punto di riferimento probabilmente anche i milites inurbati96:una così ampia presenza dei vertici societari tra i danneggiati daun’azione che dalla stessa società, come abbiamo visto in prece-denza, fu voluta e patrocinata, dimostra che le istanze associativeseppero farsi valere sugli interessi particolaristici dei propri consoli97.

Non sempre i possessori erano identificabili con gli autori del-l’accaparramento: talora, nell’area della Varola, questi ultimi ave-vano alienato le terre occupate, come nel caso di Enrico Caroso in

95 Cfr. per esempio i casi studiati da G. FALCO, I comuni della Campagna e dellaMarittima nel Medioevo, Roma 1919, pp. 26; 59; 106-107; MAIRE VIGUEUR, Il comunepopolare cit., p. 46; GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit.

96 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 83-86.97 PINI, Dal comune città – stato al comune ente amministrativo cit., pp. 535-537 e

ARTIFONI, Corporazioni e società di «popolo» cit., pp. 392-393 hanno mostrato come la pre-senza dei maggiorenti cittadini a capo delle istituzioni popolari non vada affrettatamenteinterpretata come dominio di un’oligarchia, ma occorra considerare “le regole del giocointrinseche a ogni specifico assetto istituzionale” e che il ristretto accesso alle maggiori cari-che di governo “avverrà sempre in ogni democrazia anche in quelle più avanzate e a più largabase popolare”.

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favore dei figli di Cona, del vassallo vescovile Giacomo di Lentanei confronti dell’ospedale di S. Graziano (forse una donazione)98,dei figli di Guiscardo verso un tal Pelagallus, di Pietro de Bugella aGuido Biandrate. Ciò sposta ulteriormente a favore di individui diestrazione militare l’azione di presa di possesso dei pascoli comu-ni e suggerisce forse un aumento della proprietà popolare nei con-fronti di quella dei milites: questa ipotesi trova riscontro negliavvenimenti politici di quegli anni che videro l’ascesa di nuovediscendenze nel gruppo dirigente cittadino99.

Le caratteristiche dei terreni requisiti variavano sensibilmenteda un’area all’altra: presso la Varola si riscontrava una minoreestensione degli appezzamenti, la frammentazione dei fondi, ladiffusione del possesso cittadino ed ecclesiastico, l’esistenza di unmercato fondiario, la conversione a vigna di molti terreni. Questidati fanno ipotizzare che qui l’accaparramento fosse avvenuto giàprecocemente, su una struttura della proprietà da tempo consoli-data: le comunanze, come ricorda il documento, erano state unitealle petie dei confinanti, sicché la consapevolezza dell’appartenen-za delle terre alla collettività andava perdendosi. In quest’area,infatti, gli estimatori difficilmente indicarono intere tenute, masolo parti di esse, poche tavole o poche staia de terra o de vinea,accorpate in più ampie proprietà. Inoltre la descrizione dei terre-ni era estremamente accurata e di ognuna si segnalò il possessore,eventualmente i suoi antecessori, l’ubicazione e la precisa misura-zione. A proposito dei lotti situati presso la Sesia il notaio fu moltopiù reticente, limitandosi spesso a fornire una generica indicazio-ne toponomastica, approssimando la misura degli appezzamenti otralasciandola del tutto, scegliendo di non riportare gli autori del-l’accaparramento o elencando insieme quelli presenti su ciascunfondo requisito dal comune. Mancano o sono attestati con fre-quenza molto minore, infine, accenni a passaggi di proprietà100 ea conversioni colturali di terreni fluviali; inoltre le terre richiama-te alla mano pubblica non si presentavano come piccoli appezza-

98 Giacomo Lenta, che effettivamente possedeva terre presso la Varola, nel suo testamen-to, rogato nel 1175, beneficiò, tra gli altri, anche la canonica di S. Graziano, per la sommadi venti soldi (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 312, pp. 7-9).

99 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 101-108.100 L’unica indicazione in tale senso è l’acquisto di terre di Guiscardo da parte della chie-

sa di S. Giuliano e di Dromone Tizzoni. Queste tuttavia erano detenute legittimamentedallo stesso venditore (PC, doc. 60, p. 133).

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menti inglobati in preesistenti tenute, ma come ampie estensioniautonome101. Anche la caratterizzazione sociale dei possessori eradifferente, essendo maggiormente presente l’aristocrazia consolaree circoscritta la proprietà ecclesiastica.

Tutto ciò concorre a suggerire che qui l’accaparramento fu piùrecente, e riguardò l’occupazione di lotti poco redditizi in un’areadove la struttura della proprietà era abbastanza fluida o incerta,forse anche a causa delle frequenti inondazioni del fiume. A por-tare avanti quest’operazione furono coloro che già detenevanointeressi in questa zona e chi aveva il potere per farlo, ossia le fami-glie appartenenti al gruppo dirigente cittadino.

4. L’equiparazione delle molte a comunia e il sorgere della questio-ne dei diritti sulle acque

Si è già osservato come descrivendo i beni comuni il redattoredel documento del 1192, Ottone notarius, avesse utilizzato duecategorie: i pascoli ed i terreni fluviali (“tam pascuis et ierbis,quam insulis et glariis et moltis”)102. Egli aveva in seguito distintole terre molute dalle acque da quelle asciutte. Questa distinzioneera dunque ben presente nella mente dei consoli e contrapponevaai tradizionali pascoli cittadini quelle aree su cui il diritto era piùincerto, condizionate dai continui cambiamenti di corso delCervo e della Sesia: queste ultime venivano probabilmente acco-munate ai primi perché, proprio per la loro natura di incolti, veni-vano generalmente adibite al pascolo libero e alla raccolta dellalegna. Su tali superfici il governo civico voleva, dunque, imporrela sua volontà. La documentazione accenna ad una “vallis quecondam fuit lectus Sarvi”103. Inoltre, nei processi scaturiti dall’oc-cupazione comunale delle terre molute, si chiese “si ille molte etglare a XXX annis infra fuerint lectum aque Sarvi vel Sicide”104: una

101 Viene fatta una sola menzione a terreni requisiti messi a vite: alcune terre consegna-te in un passo sono definite terre et vinee (PC, doc. 60, p. 132).

102 PC, doc. 60, p. 128. Sul termine glarea, usato per indicare “le aree addossate ai lettidei torrenti”, cfr. A. RAPETTI, Campagne milanesi. Aspetti e metamorfosi di un paesaggio rura-le fra X e XII secolo, Cavallermaggiore 1994, p. 77.

103 PC, doc. 60, p. 131.104 PC, doc. 60, doc. 70, p. 146. È una domanda che compare spesso nei processi di

questi anni, legata alla prova della prescrizione acquisitiva e mostra che la situazione idricadella zona doveva essere caratterizzata da continue inondazioni e cambiamenti di alveo:

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situazione idrica assai incostante lasciava libere nuove superficicoltivabili e ne ricopriva altre. Si rese necessario dirimere, dunque,la questione sulla titolarità di questi fondi, soprattutto di quelli -rive, isole fluviali, ghiaieti - bagnati dalle acque durante la pienadel Cervo, ma fruibili, sulle quali accampavano diritti cittadini perlo più appartenenti all’aristocrazia consolare. Costoro già daparecchio tempo avevano iniziato a sfruttarne i suoli, “secando,boscando et colligendo et suum bonum inde faciendo”105, talorada un periodo superiore ai 40 anni.

La rivendicazione delle prerogative da parte del comune sulleisole e sulle molte della Sesia sollevava inoltre un problema piùcomplesso: i diritti sulle acque dei fiumi, i rapporti con il vescovoe, più in generale, la stessa giurisdizione cittadina. Ogni corsod’acqua perenne era per la giurisprudenza romana di pertinenzapubblica: quest’idea di demanialità dei fiumi rimase sempre pre-sente nella mente dei giuristi medievali, anche se durante l’altoMedioevo numerose concessioni imperiali trasmisero tali diritti avescovi, monasteri, talora a vassalli vescovili106. Ciononostantesecondo il Vaccari la cessione, pur attribuendo agli enti concessio-nari un uso esclusivo, non implicò l’adozione di “un concetto pri-vatistico di proprietà”107. Questi privilegi, per usare le parole diPierre Racine, vanno inquadrati nell’ambito dell’assunzione “didiritti di tipo pubblico” da parte dei vescovi, de iure o de facto, inun “processo di disintegrazione della funzione pubblica e didispersione del potere politico”108.

infatti, un testimone cui si era chiesto se la terra presa in considerazione fosse inondata dal-l’acqua rispose “quod credit a XXX annis infra” (PC, doc. 63, p. 136). Interessante ancheun passo dei Necrologi Eusebiani, dove, riferendosi alla morte dell’imperatrice Beatrice,avvenuta secondo la leggenda a Vercelli, si ricordò una pericolosa inondazione del Cervoverificatasi in quegli anni: “Ydus novembris anno Domini J. MCLXXXIV. obiit semperAugusta Beatrix imperatrix uxor invictissimi et gloriosissimi Domini Federici Rom. Imp. Etsemper Augusti quae cum multi Chrisianorum in transitu fluminis Servi eius innundationepericlitarentur” (V. MANDELLI, Del governo civile di Vercelli nel secolo XII, a cura di R.Ordano, Vercelli 1990, pp. 52-53).

105 PC, doc. 70, p. 146.106 P. RACINE, Poteri medievali e percorsi fluviali nell’Italia padana, in “Quaderni storici”,

61 (1986), pp. 9-32, con particolare riferimento alle pp. 12; 15-16. 107 P. VACCARI, I diritti concessi alle città lombarde sulle acque e sui fiumi nell’alto medioe-

vo, in “Archivio Storico Lombardo”, 85 (1958), pp. 204-212, con particolare riferimento ap. 208. Cfr. anche le osservazioni di E. CORTESE, voce Demanio, in Enciclopedia del diritto,a cura di F. Calasso, Varese 1964, vol. XII, Delitto – Diritto, pp. 70-83, qui alle pp. 77-78.

108 RACINE, Poteri medievali cit., p. 15; sull’argomento cfr. anche G. TABACCO, Egemoniesociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino 1979, pp. 189-218.

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Un freno alla patrimonializzazione delle acque e all’estensionesempre maggiore delle prerogative accampate dai domini e daiproprietari rivieraschi109 fu imposto alla dieta di Roncaglia del1158 da Federico I, che ricordò i fiumi navigabili (non più quelliperenni) ed i loro affluenti tra le regalie110. I diritti sulle acque per-vennero infine, con la pace di Costanza, tramite una generica con-cessione imperiale delle “consuetudines quas ab antiquo exercui-stis in aquis”111, ai comuni che iniziarono a legiferare in materia,trovandosi spesso in contrasto con la prassi e gli usi locali: sorse-ro, infatti, controversie con gli enti detentori di diplomi emanatiin tempi passati dagli imperatori112. Il contrasto nasceva non solopoiché gli antichi titolari di privilegi potevano legittimare le lororivendicazioni, ma anche perché i contenuti della regalia nonerano per niente chiari, andando ad interessare un campo, leacque, controverso per lo stesso diritto romano e poco formalizza-to nei secoli medievali113.

Ad ogni modo il riconoscimento espresso dalla pace diCostanza, fu utilizzato dai comuni cittadini solo a supporto diun’azione di recupero delle prerogative sulle acque che spesso eracominciata in tempi antecedenti, già nella fase del “primo comu-ne”114. I governi urbani non sempre si indirizzarono verso l’espro-prio, ma anzi in molti casi cercarono la strada dell’accordo. Abeneficiare di questa politica furono i concessionari di diplomiimperiali: gli enti ecclesiastici - dei quali, come nel caso diPiacenza già studiato dal Solmi115, furono riconosciuti i titoli

109 CHIAPPA MAURI, Paesaggi rurali cit., p. 134.110 MGH, Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, a cura di

L. Weiland, Hannover 1898, I, p. 244: “Regalia sunt hec: arimannie, vie publice, fluminanavigabilia, et ex quibus fiunt navigabilia” G. ASTUTI, Acque (storia), in Enciclopedia deldiritto, Milano 1958, vol. I, Ab-Ale, pp. 346-387, con particolare riferimento alle pp. 376-378. Cfr. inoltre il caso milanese studiato da P. BOUCHERON, Usages et partage de l’eau àMilan et dans le Milanais (XIIIe-XVe siècles), in Water Control in Western Europe, Twelfth-sixte-enth Centuries, a cura di E. Crouzet Pavan e J.-C. Maire Vigueur, Milano 1994, pp. 123-138.

111 Constitutiones et acta publica imperatorum et regum cit., p. 412.112 ASTUTI, Acque cit., p. 378.113 ASTUTI, Acque cit., pp. 370-372.114 D. BALESTRACCI, La politica delle acque urbane nell’Italia comunale, in L’eau dans la

société médiévale: fonctions, enjeux, images. Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge,tome 104 (1992), vol. II, pp. 431-479, con particolare riferimento alle pp. 436-445. Unatrattazione completa dell’azione comunale di recupero dei diritti sulle acque deve rendereconto dei problemi inerenti i corsi d’acqua urbani, le opere di canalizzazione ed i mulini:per questi temi e per la relativa bibliografia si rimanda al capitolo III.

115 A. SOLMI, Le diete imperiali di Roncaglia, il diritto di regalia sui fiumi e le accessionifluviali, in ID., Studi storici sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo, Roma 1937, pp. 117-

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acquisiti in epoca precomunale - e il vescovo, che in quasi tutti lecittà italiane si era arrogato diritti in questo settore. Ne fruironoanche le famiglie aristocratiche, che avevano cercato di sfruttare lepotenzialità delle acque valendosi dei rapporti beneficiari con leistituzioni ecclesiastiche: esse costituivano una parte importantedel gruppo dirigente comunale che aveva intrapreso l’azione direcupero ed erano dunque le più interessate ad arrivare ad unasoluzione compromissoria116. Le scelte delle amministrazioni cit-tadine furono dunque improntate – come ha messo in evidenzaDuccio Balestracci - al coinvolgimento dei maggiorenti che giàavevano il possesso di mulini, porti e fiumi, piuttosto che alla loroesclusione117; tale politica si sviluppò durante la fase consolare, mavenne perseguita anche con l’evolversi delle istituzioni comunali,rispettando “la volontà di salvaguardare una molteplicità di inte-ressi”118.

Del resto era la stessa ambiguità del diritto a suggerire cautelaai consoli urbani. Alcuni casi erano particolarmente controversi,come la questione della insula in flumine nata, dell’alveus derelic-tus e delle rive dei corsi d’acqua. Presso i Romani la pubblicità del-l’alveo era, infatti, subordinata alla presenza del fiume: mutandoesso corso, le norme giustinianee escludevano la demanialità delletto abbandonato e delle isole fluviali eventualmente prodottesi.Già allora esisteva, tuttavia, un’interpretazione differente: un testoattribuito a Labeone affermava che “insula, quae in flumine publi-co nata est, publica esse debet”. Questa opinione fu sposata dallatradizione medievale, in particolare da quella sviluppatasi a parti-re dall’epoca carolingia, che prese a considerare le isole dei fiumipubblici come proprietà pubblica119: al riguardo è significativo ilcaso di due diplomi imperiali del X secolo in favore dei monaste-ri pavesi di S. Giovanni Domnarum e di S. Maria Teodote ineren-

211, con particolare riferimento alle pp. 151-152, nonché alla ricca documentazione appor-tata in appendice. Il caso piacentino è stato più recentemente oggetto dello studio di A.ZANINONI, Ponti, guadi, porti. I diritti d’acqua del monastero di S. Sisto di Piacenza tra XII eXVI secolo, in “Bollettino Storico Piacentino” 94 (1999), pp. 251-273.

116 BALESTRACCI, La politica delle acque cit., pp. 434-445; G.M. VARANINI, Energiaidraulica e attività economiche nella Verona comunale: l’Adige, il Fiumicello, il Fibbio (secoliXII-XIII), in Paesaggi urbani cit., pp. 333-372, con particolare riferimento alle pp. 348-349.

117 BALESTRACCI, La politica delle acque cit., pp. 442-445. 118 BALESTRACCI, La politica delle acque cit., p. 443.119 Per questi passaggi cfr. SOLMI, Le diete imperiali cit., pp. 148-155; ASTUTI, Acque

(storia) cit., p. 354.

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ti ad una concessione di insulae presso il Ticino e alla confluenzadell’Agogna nel Po120. I due esempi sono singolarmente interes-santi, perché presentano analogie con la situazione che venne averificarsi più di due secoli dopo a Vercelli, nel periodo trattato inquesto studio: i privilegi erano, infatti, assegnati su terre di spet-tanza dei due monasteri, in previsione di un cambiamento di lettodel fiume. Da essi il Vaccari inferì che “la concezione della regaliasui fiumi pur come espressione di quella del potere assoluto delloStato nella tradizione medioevale, aveva un contenuto rigoroso edi grande ampiezza, che soverchiava, e talvolta eliminava, come inquesto campo (alveo derelitto, isola nata nel fiume) il diritto deiproprietari rivieraschi”121. A conclusioni simili era pervenutoanche il Solmi nello studio delle isole fluviali del Po pressoPiacenza, qui pure di pertinenza regia122.

Demaniali, secondo alcuni giuristi, erano anche le rive deifiumi pubblici; vari invece erano i criteri utilizzati per determinar-le: Ulpiano riteneva si dovessero stimare in base al corso normaledell’acqua, Paolo secondo il livello massimo del fiume, escluse leinondazioni straordinarie. La stessa incertezza permaneva nel defi-nire la condizione delle rive esterne, ossia dell’avvallamento checonduce dal piano al pelo dell’acqua123. Fornisco tale sommariarassegna delle diverse interpretazioni giuridiche, nell’intento dirappresentare la complessità del problema con cui si dovetteroconfrontare le istituzioni comunali vercellesi, in grado di fruire ditesti di diritto romano124.

120 I documenti citati dal VACCARI, I diritti concessi alle città lombarde cit., pp. 211-212,sono pubblicati in Conradi I Enrici I et Ottonis I diplomata, in MGH, Diplomatum regum etimperatorum Germaniae, I, Hannover 1879-1884, doc. 144, pp. 224-225, quello relativo aS. Giovanni Domnarum del 952, dove si dice “concedimus ecclesie beati Ioannis Baptiste[…], quatenus si Ticini fluvius alveum deserens terram prefate ecclesie invaserit et ibi locumpiscationi aut alicui utilitati aptum effecerit, quidquid inde acquiri poterit iure propretario,parti ipsius ecclesie funditus donamus et perdonamus in usum et in potestatem predicto-rum canonicorum suorumque successoribus in perpetuum” e in I diplomi di Berengario I, acura di L. Schiaparelli, Roma 1903, doc. 27, pp. 79-83, quello inerente S. Maria Teodote,dove Berengario confermò nell’anno 899 “insulas iuxta predictam piscationem ex utraqueparte Padi, quicquid antiquo tempore idem monasterio seu moderno optinuit vel Padusinvasit aut in futurum irruperit de propriis ipsius monasterii rebus…”. Altre confermeavvennero nel 900 (I diplomi di Berengario I cit., doc. 30, pp. 88-92) e nel 932 (I diplomidi Ugo e di Lotario e di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1924,doc. 30, pp. 90-94).

121 VACCARI, I diritti concessi alle città lombarde cit., p. 212.122 SOLMI, Le diete imperiali cit., pp. 148-155.123 ASTUTI, Acque (storia) cit., pp. 354-355.124 Per la conoscenza di testi di diritto romano già durante l’alto Medioevo cfr. R.

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Anche a Vercelli, infatti, si aveva chiara coscienza della pubbli-cità dei corsi d’acqua del Cervo e della Sesia, i cui diritti gli impe-ratori diedero in concessione alla Chiesa vercellese: nel 945, allapresenza del vescovo, Ugo e Lotario, re d’Italia, assegnarono l’al-veo dei fiumi Cervo e Sesia “cum insulis et suis ripis nobis perti-nentibus” ai canonici di S. Eusebio125. Nelle conferme imperiali epapali dei possessi del capitolo e della Chiesa eusebiana compar-vero, inoltre, i porti sulla Sesia e sul Cervo, le insule di Casale126:l’attestazione delle isole nel diploma dimostra che anche le istitu-zioni vercellesi, laiche ed ecclesiastiche, potevano risalire ad unconcetto di pubblicità delle insulae e forse anche degli alvei abban-donati. Nei secoli XII-XIII, almeno nella nostra area, era del restousuale che le isole fluviali venissero consuetudinariamente consi-derate spettanza dei domini e di coloro che esercitavano i poterigiurisdizionali in loco127.

Ottone III nel 999 e Corrado II nel 1027 confermarono inol-tre al presule eusebiano “aquam de Scicida, aquam de Sarvo,aquam de Helveo cum utrisque ripis a loco ubi nascuntur usquein Padum, aquam de Pado cum duabus rippis a Lionna usque ple-bem Martori, aquam de Duria cum utrisque ripis a Petra grossa

BORDONE, Vescovi giudici e critici della giustizia: Attone di Vercelli, in La giustizia nell’AltoMedioevo (secoli IX-XI), XLIV Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’altoMedioevo (11-17 aprile 1996), Spoleto 1997, vol. I, pp. 456-490, con particolare riferi-mento alle pp. 464-465 e G. GANDINO, L’imperfezione della società in due lettere di Attone diVercelli, in “BSBS”, 86 (1988), pp. 5-37; A. BERSANO, Le antiche scuole del comune diVercelli, in “BSBS”, 59 (1961), pp. 453-594. Per Milano cfr. PADOA SCHIOPPA, Aspetti dellagiustizia milanese cit., pp. 541-548. In età comunale è testimoniata nel campo del dirittodelle acque una frattura tra i seguaci del diritto romano e quelli delle consuetudines (P.VACCARI, La regalia delle acque ed il diritto di navigazione sui fiumi, in ID., Ricerche di StoriaGiuridica, Pavia 1907, pp. 45-79, con particolare riferimento alle pp. 72-79; CHIAPPAMAURI, Paesaggi rurali cit., pp. 154-158). Numerosi testi di diritto possedeva nel 1205 l’ar-cidiacono vercellese Guala (ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 14 luglio 1205).

125 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 10, pp. 7-8.126 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 22, pp. 33-34; doc. 120, pp. 143-146;

doc. 148 ter., pp. 360-362; Biscioni, 1/I, doc. 38, p. 124. Estremamente interessante è ilcaso dell’isola Mediana di Caresana, che venne immessa in possesso di Oberto de Gaslia dal-l’imperatore Federico I nel 1176 (Friederici I. diplomata inde ab a. MCLII ad a. MCLVIII,in MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X/1, a cura di H. Appelt, Hannover1975, docc. 656-657; al riguardo cfr. H. GRONEUER, Caresana. Eine oberitalienischeGrundherrschaft in Mittelalter. 987-1261, Stoccarda 1970, p. 191).

127 Cfr. per esempio un documento casalasco in cui la chiesa eusebiana rivendicò che“insulas ad ecclesiam Vercellensem pertinere ex dato imperatoris, propter consuetudinemRegni, quem dicebat fore talem, ut qui habet iurisdictionem et districtum alicuius loci abimperio debeat habere insulas et moltas quas fuerint in curia ipsius loci” (V. DE-CONTI,Notizie storiche della città di Casale del Monferrato, Casale 1838, vol. I, p. 374. Tale attesta-zione spiega peraltro la ragione per cui l’operazione di recupero del comune eusebiano

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usque Verucham”128. Si generò in tal modo una situazione diincertezza riguardo alle prerogative del vescovo e del capitolo chescaturì in una lite sul possesso dei porti sulla Sesia e sul Cervoavvenuta nel 1146129. Il prelato frattanto aveva investito per feu-dum i de Guidalardis dei diritti a lui spettanti sugli stessi porti: nel1178 li recuperò nell’ambito di un’operazione finanziaria moltocomplessa, su cui già posero la loro attenzione Giancarlo Andennae Cosimo Damiano Fonseca, i quali mostrarono come alla transa-zione presiedesse l’interesse a patrocinare il partito filoimperialevercellese130. In questa sede si vorrebbe piuttosto sottolinearecome il vescovo Guala Bondoni fosse rientrato in possesso dei suoidiritti, dopo averli venduti a Federico I, attraverso Beatrice,moglie del Barbarossa, che glieli restituì in dono: in questo modoil presule ottenne un legame imperiale ad autorevole conferma delproprio possesso.

Diritti di competenza pubblica erano dunque stati dati in con-cessione alla chiesa vercellese e venivano realmente esercitati anchesulle isole fluviali: infatti, nel 1166 la canonica richiese un arbitra-to ad Ambrogio Camex e a Barozus de Burgo di Pavia per unamolta, posseduta dai de Sartirana ed ubicata tra il Lamporo e laSesia, affermando che gli alvei dei detti fiumi erano di sua perti-nenza131. Il dominio fu riconosciuto solo per metà al capitolo,mentre il rimanente restò nelle mani della controparte, che nel

avvenne all’interno della curia Vercellarum). Per una più approfondita trattazione del tema,in particolare per le connessioni tra possesso delle isole fluviali, esercizio della giurisdizionee concessioni imperiali, rimando alla mia tesi di dottorato in Storia medioevale, appena ulti-mata presso l’Università degli Studi di Milano (XVII ciclo), dal titolo “Comunia”. Risorse col-lettive e patrimoniali dei maggiori comuni subalpini (secoli XII-inizio XIV).

128 Ottonis III diplomata, in MGH, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, II/2,Hannover 1893, doc. 323, pp. 748-751; Conradi II diplomata, in MGH, Diplomata regumet imperatorum Germaniae, IV, a cura di H. Wibel e A. Hessel, Berlino 1957, doc. 84, pp.114-116. Il diploma di Ottone III, così come le concessioni alla canonica di S. Eusebio,sono ricordate anche da VACCARI, I diritti concessi alle città lombarde cit., p. 210, che peròconfonde il capitolo vercellese con un monastero.

129 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 130, pp. 160-161.130 G. ANDENNA, Per lo studio della società vercellese del XIII secolo. Un esempio: i Bondoni,

in Vercelli nel XIII secolo cit., pp. 203-225, con particolare riferimento alle pp. 205-206;C.D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII e XIII, inContributi dell’Istituto di Storia medioevale dell’Università Cattolica di Milano, Milano 1968,vol. I, pp. 207-262, con particolare riferimento alle pp. 213-214; l’atto è pubblicato in Lecarte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 369, pp. 65-67.

131 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 198, pp. 237-239: “adfirmantes ipsammoltam et alveos suprascriptorum fluminorum iuris ipsorum esse”. Al riguardo cfr. P.GRILLO, Origine ed evoluzione istituzionale del comune, in Vercelli nel XII secolo cit.

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1180 l’alienò in favore degli stessi canonici132. Nel 1203, inoltre,in un processo volto a determinare la legittimità della proprietà diun acquedotto, i possessori reclamarono di averne ricevuto i dirit-ti dal capitolo di S. Eusebio, che a sua volta aveva ottenuto l’alveodella Sesia dai re Ugo e Lotario: per provare quanto sostenevanoessi mostrarono tali privilegia, in seguito confermati da FedericoI133.

La situazione era però cambiata dopo la pace di Costanza: siindebolì notevolmente la supremazia del vescovo, che ancora nel1165 si fregiava del titolo di comes, forse a riconoscimento di unperiodo di predominio sulla città, probabilmente in connessionecon una fase di debolezza del comune, scarsamente attestato nelladocumentazione degli anni 1149-1165134. Egli, pur continuandoa mantenere poteri giurisdizionali anche in pieno Duecento,dovette cedere parte delle sue prerogative al comune, che avevaassunto sempre maggiore autorità135. L’azione di recupero dellemolte della Sesia e del Cervo aveva dunque una forte valenza poli-tica, poiché presupponeva una piena capacità di autogoverno daparte dei consoli urbani, anche in campi su cui l’episcopato ver-cellese tradizionalmente estendeva la propria tutela136.

Al recupero delle vecchie possessioni comunali si venne quindiad aggiungere una decisione a carattere generale, volta a risolvereil problema dei diritti sulle acque in concomitanza con il variaredelle rive dei fiumi. Gli oltre tre mansi di isole “que omnes delongo in longum sicut continent ripe universorum camporum

132 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 396, pp. 101-103.133 “Item allegabant istud ius illius aqueductus a canonicis Sancti Eusebii habere, qui-

bus canonicis alvei Sicide dati fuerunt pietatis intuitu a divina clemencia Ugone et Lotarioregibus, sicut per privilegia ostendebant confirmata etiam per Fredelicum” (ACV, Atti pub-blici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 27 dicembre 1203). Il richiamo alle concessio-ni antiche per giustificare il proprio uso nei casi contestati è ricordato da F. SINATTID’AMICO, L’immenso deposito di fatiche. Per la storia del territorio e dell’irrigazione inLombardia. I – Dal VII al XVI secolo, Roma 1988, p. 62.

134 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 78-83; GRILLO, Origine ed evoluzioneistituzionale del comune di Vercelli cit. Ancora nel XIII secolo si aveva coscienza del ruolo delvescovo come titolare di diritti pubblici sulle acque: il Libellus questionum di Giuliano daSesso ricordava: “Episcopus Vercellensis episcopus est et comes, episcopatum habet ab eccle-sia, comitatum ab imperio. Habet flumina navigabilia et non navigabilia” (L. SORRENTI, Trascuole e prassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo “Libellus questionum”, Roma 1999, p. 119:è molto probabile che il passo si riferisse a località su cui il vescovo deteneva ancora il distric-tus, come Santhià e il Biellese).

135 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 78-83.136 PINI, Dal comune città – stato al comune ente amministrativo cit., pp. 471-473.

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illinc esistentium” furono, infatti, consegnati dagli estimatori “permoltas et comunia”: si decretò dunque che quanto era contenutoda quelle rive fino alle acque della Sesia, essendo requisito dalcomune, fosse di pertinenza pubblica137. Il notaio Ottone, inoltre,al fine di accertare la consistenza delle terre “reducte ad comunia”nei pressi della Varola, specificò che i confini non solo dovesseroessere stabiliti tramite le indicazioni degli estimatori ed i fossatiscavati nei fondi degli usurpatori, ma anche che fossero estesi finoalle sponde del canale138. Il redattore del documento faceva evi-dentemente riferimento alla questione giuridica del possesso dellerive, cui si è già accennato: difficilmente il governo cittadinoavrebbe potuto fare una simile allusione, se non avesse avuto laconsapevolezza di dover affrontare il delicato tema della legislazio-ne sulle acque.

Più volte si ricorse nell’atto all’espressione comunia et molta,suggerendo così un’equiparazione dei due termini139. Iniziò in talmodo ad instaurarsi una stretta relazione tra le isole fluviali e lecomunanze, di cui il testo del 1192 divenne un punto di riferi-mento, ma anche un momento legislativo per l’assimilazione dellaterra inondata dalle acque a proprietà civica. Infatti, in un docu-mento stilato dieci anni dopo, il 31 dicembre 1202, i consolientrarono in possesso di una molta presso la confluenza dellaVarola e del Cervo, di tutte le “molte, i boschi, i ghiaieti e le comu-nanze infra Sarvum seu citra et ultra” contenute nella recognitio del1192, ma anche “di tutte le altre molte e comunia che nell’atto sti-lato dal notaio Ottone non vennero indicate e che si poté provareappartenere al comune”140: purtroppo non seguì l’elenco dei lottiche il comune aveva avocato a sé, ma è comunque evidente che ilprovvedimento si inseriva nel solco della precedente operazione direquisizione, estendendone il contenuto, forse in seguito al repe-rimento di ulteriori terreni fluviali.

137 PC, doc. 60, pp. 130-131: “ita quod quantumcumque continetur ab illis ripis con-tinuantibus usque in Sicidam sit apertum comuni”.

138 PC, doc. 60, p. 130: “omnes igitur terre reducte ad comunia sunt continentes a con-signatione predictorum consignantium et a fossatis seu bosis factis in prediis et terris pos-sessorum et est essentia earum et protelatio usque ad aquam sicut est Verola viva et Verolamorta vel usque ad vias seu terras aliorum consortum sibi coerentes”.

139 L’accostamento dei due termini compare sette volte nel documento del 1192 (PC,doc. 60, pp. 128-134).

140 PC, doc. 61, p. 134: “ad nomen omnium aliarum moltarum, insularum, silvarum,et glarearum atque comunium que non sunt determinate neque designate in carta facta apredicto Ottone notario et que poterunt reperiri ad prefatum comune pertinere”.

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La consignatio del 1192 rimase presente nelle disposizioni deiconsoli e della collettività, tanto che nei successivi processi spessosi sarebbe chiesto ai testimoni se la terra oggetto di controversia“fuit ostensa a Matheo Bondonno et sociis”141. Essa divenne quin-di il punto di partenza per una più ampia indagine sulla pertinen-za delle isole fluviali, anche se i suoi autori dovevano essere consa-pevoli della delicatezza del problema sollevato e nella loro indagi-ne avevano incluso solo una parte delle molte vercellesi, rispar-miando probabilmente quelle su cui i diritti dei privati si eranoormai consolidati. A partire da tale ricognizione i rappresentantidel governo urbano interpretarono che le molte, a prescinderedagli eventuali titoli di proprietà su di esse, dovessero essere comu-nia.

Un momento cruciale di questo passaggio può essere indivi-duato nel problema delle investiture vescovili: il presule, che,come si è detto, aveva mantenuto estese prerogative sulla città,aveva imposto al comune il giuramento vassallatico. In questomodo egli, pur costretto a riconoscere l’autonomia cittadina, dete-neva intatto il suo prestigio e si assicurava la supremazia feudale ela conservazione di alcuni poteri giurisdizionali142. Di tali investi-ture è pervenuta testimonianza per gli anni 1208 e 1214, ma soloun atto trecentesco informa del loro contenuto: “feudum comunisest quod tenet ab episcopo et ecclesiam omnem iurisdictionemcivitatis, insulas, pedagium et mercatum, quae plenissime habetEcclesia ab Imperio secundum multa privilegia”143. La presenzadelle insulae nell’investitura aiuta a comprendere le basi dellarivendicazione comunale, anche se sarebbero utili maggiori preci-sazioni cronologiche sulla sua stipulazione144. Se il presule si

141 PC, doc. 63, pp. 136-137.142 MANDELLI, Del governo civile cit., pp. 61-64; ID., Il comune di Vercelli cit., vol. I, pp.

46-47; PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 80-83; R. BORDONE, «Civitas nobiliset antiqua». Per una storia delle origini del movimento comunale in Piemonte, in Piemontemedievale. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985, pp. 29-61 con particolare riferimento alle pp. 55-56; P.G. CARON, La giurisdizione ecclesiastica neglistatuti medioevali del comune di Vercelli, in Vercelli nel XIII secolo cit., pp. 357-378.

143 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, p. 79.144 Non solo il documento citato è pervenuto in copia trecentesca, ma anche l’atto di

investitura del 1208 ricorda che il giuramento fu prestato “in hac forma qua fidelitas illa, utubi dictum fuit, consueta est fieri”: la subordinazione feudale al vescovo è dunque preceden-te alla sua messa per iscritto (MANDELLI, Del governo civile cit., p. 64). Quando questa siaavvenuta è però incerto, probabilmente in un arco di tempo compreso tra la pace diCostanza e il 1205 (cfr. oltre); forse essa fu addirittura anteriore al 1202 ed in quel caso ilcomune se ne poté servire per supportare la sua causa.

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richiamò alle concessioni imperiali ricevute è tuttavia probabileche i suoi diritti fossero stati messi in discussione dal governo cit-tadino: in tal caso l’atto nasconderebbe un riconoscimento aposteriori dell’azione del comune, di cui verrebbe confermata l’as-sunzione di ampi poteri giurisdizionali già nell’ultimo quarto delXII secolo, anche in ragione dei mutamenti politici che, dopo lapace di Costanza, avevano investito l’Italia centro-settentriona-le145. Il percorso che condusse i consoli ad estendere alle acque laloro autorità fu dunque condizionato dalla vivace, ma anche oscu-ra dialettica con il vescovo: offre qualche chiarimento una senten-za del 1205, relativa ad una lite vertente tra il sindaco comunalePietro Pavia ed il capitolo di S. Eusebio, che reclamava la proprie-tà di una molta di cui l’amministrazione urbana si era impossessa-ta. Pietro Pavia, affermò che il comune teneva in feudo dal presu-le le molte e i ghiaieti generati dal Cervo e dalla Sesia “in curteVercellensi”146; lo contraddisse Stefano, il sindaco della canonica,cui i consoli di giustizia che giudicarono la causa, “habito eciamconplurium sapientum consilio”, diedero ragione147. L’investituravescovile fu dunque uno strumento utilizzato dal comune perrivendicare il dominio utile delle terre bagnate dalle acque fluvia-li, ma fu estremamente contestata e non riconosciuta dallo stessocapitolo, che, come abbiamo visto, ancora nel 1203 usava i diplo-mi imperiali per giustificare le proprie prerogative sui letti delCervo e della Sesia148. La controversia tra canonici e governi citta-dini sui diritti delle acque si protrasse anche negli anni successivi:nel 1225, quando ormai era stata risolta la situazione della mag-gior parte delle comunanze, il capitolo contendeva un’isola sullaSesia presso Oldenico ad Ottone Gambaruto, un affittuario delcomune149.

Comunque il legame beneficiario con il presule fu utilizzatodai rappresentanti urbani solo a corroborazione delle loro pretese:

145 Già in precedenza si è fatto richiamo alle liti che insorsero dopo la pace tra i comu-ni e i detentori di privilegi imperiali (cfr. supra,p. 45-46); il fatto che l’investitura riservasseal vescovo delle prerogative giurisdizionali potrebbe rendere applicabile anche al caso vercel-lese l’ipotesi di un compromesso con il presule, illustrata da BALESTRACCI, La politica delleacque cit., pp. 439-442, cui si è fatto riferimento.

146 “Cum etiam ipse Petrus allegaret quod Comune Vercellensis tenebat in feudum perepiscopum Vercellensem moltas et glareas factas a Sarvo et Siccida in curte Vercellensi”(ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205).

147 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205.148 Cfr. supra, p. 50.149 ACV, Atti privati, cartella XXII, doc. in data 25 aprile 1225.

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esse poggiavano direttamente sul fatto, contestato dai testimoni,che quelle terre erano state inquisite durante le requisizioni del1192, da cui era nata l’equiparazione delle molte a comunia150. Delresto l’investitura vescovile fu addotta come strumento probatorioesclusivamente in questa causa, che è la prima ad esserci pervenu-ta per i beni comunali. Di rilievo il fatto che l’atto sia stato con-servato nell’archivio del capitolo cattedrale e non nel liber deiPacta et conventiones, compilato negli anni Venti dello stesso seco-lo: è possibile che proprio il richiamo all’investitura vescovile,disconosciuta dai consoli giudicanti, avesse fatto ritenere pocoprudente il suo inserimento nel codice da parte dei notai vercelle-si redattori151. Nei successivi processi Pietro Pavia si limitò a recla-mare l’appartenenza delle molte al comune, senza specificare laprovenienza dei diritti accampati. In una lite scoppiata nel 1206tra Guido, Robaldo e Girardo de Mortario e lo stesso Pietro per ilpossesso di una molta ultra Sarvum, a Girardo, che testimoniavadi possedere da antico tempo il terreno in questione, il sindacocomunale oppose argomentazioni piuttosto tautologiche: eglisostenne che il bene conteso era inondato (“terram illam totammoltam fuisse et inundatam fuisse aqua”, fatto peraltro contesta-to dalla controparte), concludendo quindi che, poiché tutti ifondi paludosi erano di pertinenza municipale (“cum omnesmolte comuni Vercellarum pertinerent”), le richieste dei deMortario non dovessero essere accolte152. Ormai, che si trattasse diterre che in seguito al cambiamento di corso del Cervo e dellaSesia venivano ad essere bagnate, o che fossero isole da numerosianni sfruttate dai loro possessori, tutte venivano rivendicate dal-l’amministrazione cittadina.

L’iniziativa doveva, tuttavia, esulare dai propositi degli estima-tori del 1192 che, nel requisire numerose isole avevano esclusoquelle di Mesclavinus e di Rainaldo, “que antiquitus sua fuerat”153.

150 “Ad hec respondebat ipse Petrus Papia […] affirmando iamscriptam terram et insu-lam comune esse et moltam et pro comuni et molta consignata et detenta fuisse a consigna-toribus comunium quid iuraverant bona fide comunia et molta consignare” (ACV, Atti pub-blici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205).

151 DEGRANDI, I libri iurium duecenteschi del comune di Vercelli cit.: l’Autore chiarisce levarie fasi di redazione dei codici civici, mostrando come nella raccolta dei documenti viges-sero precisi criteri selettivi. Il liber raccoglie anche le cause in cui il comune uscì sconfitto:non fu quindi questo il motivo dell’esclusione dell’atto del 1205.

152 PC, doc. 63, pp. 136-137.153 PC, doc. 60, p. 132.

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Del resto nel 1205 Vercellino Seroa, uno degli inquisitori del1192, interrogato come testimone “si scit moltas et insulas a Sarvovel Siccida in curte Vercellensi pertinere comuni” rispose di nonsaperlo e che non aveva mai visto la terra oggetto della lite essereposta ad comune154. Quando in un processo del 1206 a Martinode Tronzano, un altro incaricato della prima operazione di avoca-zione dei comunia, venne rivolta la medesima domanda, egli repli-cò solo di crederlo e che “esisteva una tale opinione”155. GiovanniPomario, probabilmente imparentato con quel Ruffino Pomarioestimatore nel 1192, sempre alla stessa questione contestò “quodaudivit dici et fama terre talis est”156. Dunque la collettività, purnon essendo certa del buon diritto della rivendicazione comunale,aveva accettato l’ipotesi che esse fossero di pertinenza del governourbano; chiara la testimonianza di Martino Faxolaza: “iuramentotestatur et interrogatus de questionibus comunis si scit quod gla-ree et molte in curia Vercellarum sint comunis et pertineantcomuni, respondet quod nescit, […]. Interrogatus si publica famaest quod ille molte et glaree pertineant comuni, respondet sic”157.

Sorse una vera e propria inchiesta, difficile da dirimere per glistessi consoli di giustizia che chiesero la consulenza di giurisperitiprovenienti da altre città158. La cautela che essi usarono nel pro-nunciarsi deve essere messa in connessione con i mutamenti isti-tuzionali avvenuti sul finire del XII secolo: dopo la pace diCostanza il comune poteva esercitare nuovi diritti, rafforzati nelcaso vercellese dall’investitura ricevuta dal vescovo, ma fino a chepunto essi potessero prevalere sugli usi consuetudinari probabil-mente non era ancora del tutto chiaro. Aiutavano a dirimere laquestione i giuristi di Milano, Lodi e Cremona, centri che aveva-no sviluppato precocemente una legislazione sulla gestione deifiumi navigabili159, essenziali per i commerci e forse di un’impor-

154 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205.155 PC, doc. 70, p. 147: “respondet quod credit et quod talis fama est”.156 PC, doc. 70, p. 146.157 PC, doc. 70, p. 145.158 PC, doc. 63, p. 137: “quamplurium sapientum […], videlicet Mediolani, Laude et

Cremone”. Ma, come si è visto, già nel 1205 si richiese il consiglio di giurisperiti (ACV, Attipubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205). Anche nel 1203, per ilprocesso volto a determinare il possesso di un acquedotto (dunque ancora una volta per uncaso che sollevava il problema della giurisdizione delle acque cittadine), si richiese il consul-to di sapienti di Pavia, Piacenza e Lodi (ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII doc.in data 27 dicembre 1203).

159 VACCARI, La regalia delle acque cit., pp. 72-79, per primo e successivamente ASTUTI,

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tanza militare sottovalutata dalla storiografia160; costoro indirizza-rono la decisione dei consoli di giustizia verso una regolarizzazio-ne della situazione vercellese con le altre città lombarde che vive-vano il problema della giurisdizione sulle acque161.

5. Le cause: i terreni requisiti L’entrata in possesso degli appezzamenti non fluviali requisiti

dagli inquisitori nella zona sud – orientale della città non halasciato testimonianze nella documentazione, forse perché, dataanche la loro esiguità, essa avvenne in maniera indolore, senza farescaturire particolari lagnanze da parte dei possessori162. Al contra-

Acque (storia) cit., p. 381, L. MAGNOLI, Il regime giuridico delle sponde padane nei secoli XIIe XIII, in “Archivio Storico Lombardo”, 89 (1962), pp. 32-35 e RACINE, Poteri medievalicit., pp. 19-27 instaurarono una contrapposizione tra i comuni dotati di una legislazionesulle acque (tra cui Cremona, Lodi e Milano) e quelli che, rifacendosi al principio romanodella libera derivazione dei corsi d’acqua, ne erano privi (tra cui Vercelli), che Racine spie-ga, almeno parzialmente, con gli interessi dei governi delle città più vicine al Po, maggior-mente attente ad intervenire in questo campo. Il caso vercellese permette quantomeno disfumare questa rigida bipartizione e di concludere che una minore produzione statutaria inquesto settore non inferiva un disinteresse per i diritti sulle acque. La documentazione sucui il Vaccari fondò la sua argomentazione era, infatti, di stampo statutario e, per il caso ver-cellese, si basava su una norma degli statuti trecenteschi – prodotta dunque in un periodoposteriore a quello da me preso in considerazione - che vietava “che il comune possa aliena-re, dare in affitto, stipulare contratti intorno alle acque tutte” (VACCARI, La regalia delleacque cit., p. 74): in realtà atti del XII e del XIII secolo mostrano che i cittadini vercellesidovettero rivolgersi al comune per la derivazione delle acque (cfr. capitolo III): un recuperointegrale delle normative romane era dunque lontano. Critiche alla ripartizione del Vaccarisono state inoltrate, relativamente al caso milanese, da CHIAPPA MAURI, Paesaggi rurali cit.,pp. 154-158.

160 RACINE, Poteri medievali cit., pp. 25-26. Cfr. anche M. DI GIANFRANCESCO, Per unastoria della navigazione padana dal Medioevo alla vigilia del Risorgimento, in “QuaderniStorici”, 28 (1975), pp. 199-226. Più in generale sull’importanza delle acque all’internodella politica comunale cfr. SINATTI D’AMICO, L’immenso deposito di fatiche cit., pp. 96-100.

161 Bisognerebbe capire se nella vicenda vi sia stata un’influenza della Lega Lombarda: aproposito della diffusione di modelli giuridici comuni cfr. R. BORDONE, I comuni italianinella prima Lega Lombarda: confronto di modelli istituzionali in un’esperienza politico-diplo-matica, in Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich, a cura diH. Maurer, Sigmaringen 1987, pp. 44-59. Sugli accordi all’interno della Lega Lombarda perla libera circolazione fluviale cfr. invece RACINE, Poteri medievali cit., p. 22 e BALESTRACCI,La politica delle acque cit., pp. 445-446.

162 É pervenuta una sola causa, relativa all’anno 1230, tra il comune e l’ospedale di S.Spirito – fondato nel 1214 (sulla fondazione cfr. G. FERRARIS, I fratres et sorores de karita-te e la fondazione dell’ospedale di S. Spirito di Vercelli (1214), in “Bollettino storico vercelle-se”, 54 (2000), pp. 47-67), quindi in un periodo successivo al recupero dei terreni – alriguardo di due appezzamenti prativi nei pressi della Varola, lungo la strada che portavaLarizzate e a Trino (Biscioni, 2/II, doc. 239, pp. 11-12; ASVc, Corporazioni religiose,Monache cistercensi di S. Spirito, mazzo n. 111, Inventario di S. Spirito): questi erano stati

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rio l’occupazione delle isole della Sesia, del Cervo e della Varola,sia di quelle menzionate nel documento del 1192, sia di quellesegnalate nell’atto del 1202, fu estremamente contestata: i Pacta etconventiones e i Biscioni contengono 36 atti inerenti a cause tra ilcomune e gli antichi possessori. Queste liti, che si svolsero in unarco di tempo compreso tra il 1206 ed il 1211, tuttavia non furo-no le uniche. L’archivio capitolare, infatti, ci ha lasciato altre duesentenze: una relativa all’anno 1205, cui già si è fatto riferimentoed una del 1225 per terreni fluviali ad Oldenico163. Quest’ultimalocalità, peraltro, era posta all’esterno della “curia Vercellarum”,sicché la disputa potrebbe riguardare una fase successiva dell’azio-ne comunale. Dunque il corpo delle cause, sebbene sia stato pro-babilmente impoverito da lacune documentarie, fu accumulatoper lo più entro il 1211 e riguardò, nella maggior parte dei casi,località site all’interno del territorio cittadino. Esso ha innanzitut-to il merito di illuminarci su aree e possessori non menzionatinella descrizione fatta dal notaio Ottone e verosimilmente espro-priati in seguito alle decisioni stabilite con l’atto del 1202: la zonadove maggiormente si concentrarono le isole fluviali avocate fuancora la confluenza del Cervo nella Sesia. Qui, già in territorio diCasalvolone164, era situata la località Forcalda, dove si addensava-

dati in godimento all’ospedale dal podestà Guarnerio Castiglioni (in carica nello stessoanno) per 29 anni e gli inquisitores comunali riconobbero la legittimità della cessione; nel1247 il comune li vendette all’ospedale per una somma di 70 lire di pavesi (ASVc,Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, mazzo n. 111, Inventario di S.Spirito).

163 Per gli atti del 1205 e del 1225 cfr. quanto esposto in precedenza. Esiste inoltre unasentenza del 1215 a favore dei Traffo per alcuni terreni siti a Caresana, per i quali la fami-glia era in lite con il comune urbano e forse anche con quello locale (ACV, Atti privati, car-tella XVI, docc. in data 21 marzo e 8 ottobre 1215). Non è tuttavia dimostrabile che ladisputa vertesse su beni fluviali e non fosse piuttosto conseguenza del processo di indebita-mento della casata, vassalla del capitolo di S. Eusebio. Su Caresana – sita sulla destra dellaSesia, 12 chilometri a sud – est di Vercelli, quindi ai margini dell’area dove erano ubicate leterre recuperate dal comune cittadino - cfr. GRONEUER, Caresana. Eine oberitalienischeGrundherrschaft cit. (recensione di G. TABACCO in “BSBS”, 69 (1971), pp. 617-622); F.PANERO, Villenove e villefranche in Piemonte: la condizione giuridica e socio-economica degliabitanti, in I borghi nuovi, a cura di R. Comba e A. Settia, Cuneo 1993, pp. 195-217, conparticolare riferimento alle pp. 199-202 e H. ZUG TUCCI, Caresana: quali confini?, in“Bollettino storico vercellese”, 54 (2000), pp. 5-11. Cfr. inoltre le sintetiche considerazionidi TABACCO, Egemonie sociali e strutture del potere cit., pp. 252-253. Sui Traffo cfr. FONSECA,Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., pp. 259-262.

164 Guido del fu Guala di Casalvolone e la moglie Isabella nel 1180 vendettero al mona-stero di Muleggio la loro porzione di Isola Forcalda, circa tre mansi, “in curia Casali”(Casalvolone): essa confinava con De Benedetti, Gazzo e Avogadro, gli stessi possessoricoinvolti nei processi; inoltre si fece riferimento alla presenza in quell’area del fiume Cervo

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no 13 degli appezzamenti contestati, per una superficie comples-siva di sei mansi, 22 moggi e due staia, pari a circa 67 ettari: sitrattava di una vasta estensione, che veniva ad aumentare di circala metà l’area dei terreni requisiti nel 1192. Inoltre, queste terreerano state inondate solo recentemente: la totalità dei danneggia-ti dall’esproprio comunale protestò, infatti, di avere in proprietàgli appezzamenti da prima che divenissero molte165.

Per estrazione sociale, i possessori espropriati appartenevanosoprattutto alle maggiori famiglie vercellesi: erano, infatti, presen-ti diversi membri degli Avogadro, i Dal Pozzo, i Gambaruto, gliAlciati, i Villano e i Volta, oltre a pochi individui meno influenti,Bergognone Cainsac e Anselmo Gazzo ed infine il comune diOldenico. I primi tre gruppi parentali erano subordinati vassalla-ticamente al vescovo166; inoltre Avogadro e Gambaruto deteneva-no un rapporto beneficiario con il marchese di Monferrato167.Alciati e Villano erano presenti nel capitolo cattedrale168 e legati

(Cartario del monastero di Muleggio e di Selve, a cura di G. Sella, Pinerolo 1917 (BSSS,85/1), doc. 7, pp. 9-11). L’anno successivo, nella cascina dell’abate sull’isola, una venditadello stesso tenore fece Attone Tigna di Casalvolone (Cartario del monastero di Muleggio cit.,doc. 8, pp. 11-12).

165 I processi inerenti all’isola Forcalda sono reperibili in Biscioni, 2/I, docc. 187-188,pp. 289-290; docc. 197; 200-201, pp. 294-298; doc. 217, pp. 305-308; e in PC, doc. 71,p. 149; doc. 81, pp. 162-163; docc. 88-92, pp. 171-177; docc. 94-98, pp. 179-185.

166 Per le note famiglie degli Avogadro e dei Dal Pozzo mi limito a rimandare a PANERO,Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 79-80 con le estese informazioni riportate in nota e aibidem, pp. 150-151. Dei Gambaruto, il cui legame vassallatico con il vescovo è testimonia-to in Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 365, pp. 62-63, riferisco la partecipa-zione alla politica urbana: Giacomo fu console del comune nel 1170 (MANDELLI, Il comu-ne di Vercelli cit., vol. III, p. 268), Ardizzone nel 1196 (Acquisti, I, f. 49). Essi erano legatialla società nobiliare di Santo Eusebio, di cui Ottone resse il consolato nel 1214 (Acquisti,I, f. 10).

167 A.A. SETTIA, Geografia di un potere in crisi: il marchesato di Monferrato nel 1224, in“BSBS”, 89 (1991), pp. 417-443, con particolare riferimento alle pp. 428-429; RAO, Fracomune e marchese cit., pp. 68-70.

168 Anche la famiglia degli Alciati è sufficientemente nota: al riguardo cfr. PANERO,Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 102 e E. ARTIFONI, Itinerari di potere e configurazioni isti-tuzionali a Vercelli nel secolo XIII, in Vercelli nel XIII secolo cit., pp. 263-278, con particola-re riferimento alle pp. 273-274, dove vengono messi in rilievo i suoi legami con la societàpopolare. Per quanto riguarda i Villano, Ottone fu console di giustizia nel 1187 (Le cartedell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 479, p. 192) nel 1196 (ibidem, doc. 600, pp. 370-371), Villano nel 1209 (PC, doc. 96, p. 182) e nel 1212 (ibidem, doc. 109, p. 201). Ottonein un documento del 1202 venne indicato come nobilis civis vercellensis (DAC, doc. 28, pp.53-55). Federico fu canonico del capitolo di S. Eusebio nel 1214 (Biscioni, 1/II, doc. 360,p. 265). I Villano erano vassalli della canonica di S. Eusebio (PANERO, Istituzioni e società aVercelli cit., p. 156). Nel 1240, ormai defunto, Villano venne qualificato come dominus(Archivio dell’Ordine Mauriziano, Lucedio, Scritture diverse, mazzo 3, n. 124 in data 6maggio 1240).

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alla società di Santo Stefano169. Anche i Volta, una famiglia diestrazione militare170, avevano interessi nell’associazione popolare,di cui Giovanni resse il consolato nel 1212171, così comeBergognone Cainsac ed Anselmo Gazzo, consoli rispettivamentenel 1200172 e nel 1205 e nel 1207173. Tutti costoro provenivano dacasate di rilievo, inserite nella vita politica cittadina: particolar-mente cospicua era dunque la presenza di discendenze militari,confermata anche da altri documenti174, in possesso della quasitotalità dei beni requisiti. La supremazia delle famiglie di altorango in questo caso è dovuta al fatto che si trattava di terreni suiquali spesso in passato la chiesa vercellese aveva esercitato i propri

169 Ottone Villano fu console della società nel 1193 (Biscioni, 1/III, doc. 576, p. 163),nel 1197 (PC, doc. 116, p. 212) e nel 1203 (Acquisti, I, f. 30); Villano nel 1219 (PC, doc.328, p. 329).

170 I Volta erano domini di Villanova (PC, doc. 116, pp. 212-215; cfr. anche F. PANERO,I borghi franchi del comune di Vercelli: problemi territoriali, urbanistici, demografici, in ID.,Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale, Bologna 1988, pp. 43-72, con particolareriferimento alle pp. 45-51 e ID., Particolarismo ed esigenze comunitarie nella politica territo-riale del comune di Vercelli (secoli XII-XIII), ibidem, pp. 73-99, con particolare riferimentoalle pp. 73-78). Essi furono beneficiati di possedimenti a Villanova ed Olenico da MatteoBondoni nel 1199 (ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1803, doc. in data 4 ottobre 1199).Giovanni, cui furono requisite le terre prese in considerazione, fu console di giustizia nel1209 (PC, doc. 96, p. 181).

171 PC, doc. 109, p. 201.172 Acquisti, I, f. 30; I Cainsac detenevano un feudo dagli Avogadro in località

“Rovoredo”, in territorio di Vercelli (Le carte dello archivio capitolare di Santa Maria diNovara. Vol. II. (1034-1172), a cura di F. Gabotto, G. Basso, A. Leone, G.B. Morandi e O.Scarzello, Pinerolo 1915 (BSSS, 84), doc. 452, pp. 384-386).

173 PC, doc. 337, p. 336; DAC, doc. 53, p. 77. Anselmo nel 1207, anno in cui era con-sole della società, fu uno degli arbitri tenuti a giudicare una causa tra il capitolo di S.Eusebio e Bartolomeo Panclerico, legato a Santo Stefano. Non si sa tuttavia se l’incarico glipervenne per l’autorità all’interno della società popolare o piuttosto poiché, comeBartolomeo, abitava in porta Aralda; del resto qui erano siti anche i beni giudicati e la chie-sa di S. Eusebio. In quell’occasione Anselmo fu detto dominus (ACV, Atti pubblici(Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 15 ottobre 1207). I Gazzo erano imparentati pro-prio con i de Mortario e con i Villano (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, docc. 316-317, pp. 12-13).

174 Cartario di Muleggio cit., docc. 7-8, pp. 9-12: Guido era figlio di Guala diCasalvolone, console del comune nel 1149 (MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p.268) e capitaneus (DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 22). Da una famiglia capitaneale pro-veniva anche Ottone Tigna (ibidem, p. 9). Inoltre nel 1208 il capitolo di S. Eusebio entròin possesso di una molta sita nella stessa località precedentemente detenuta in feudo dal fuOttone Preve (ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 20 gennaio 1208), anch’egli vas-sallo vescovile (PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 84). Interessante notare comené il monastero di Muleggio, né il capitolo di S. Eusebio, cioè i due enti ecclesiastici pre-senti in quest’area (la presenza patrimoniale in quest’area della canonica è confermata anchein ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 9 ottobre 1206), siano stati coinvolti in pro-cessi con il comune per il possesso di molte, almeno per quanto concerne i documenti con-servati.

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diritti, favorendo i suoi vassalli. Inoltre il consistente riscontro diconsoli della società di Santo Stefano, già verificato anche duran-te l’inquisizione del 1192, mostra chiaramente come questi fosse-ro vincolati al rispetto della volontà e delle decisioni della basepopolare dell’associazione.

Le altre aree interessate dall’esproprio comunale, di cui è diffi-cile valutare l’estensione, erano collocate alla confluenza dellaVarola nella Sesia175 ed in Lacazo, località sita oltre il corso delCervo, nei pressi della via che conduceva a Biandrate176: tra i pos-sessori non segnalati nell’atto del 1192 comparivano Giordano deSabello, più volte console di giustizia177, Ottone Baiguerio178 ed ifratelli de Mortario - iudices179 e vassalli della canonica di S.Eusebio180 - provenienti da una famiglia che in precedenza eraprobabilmente riuscita ad esprimere un vescovo181 e che era lega-ta alla società di Santo Stefano182.

175 È questo il caso dell’isola di Giordano de Sabello, confinante con quelle di MaifredoCamex e Buongiovanni Barletarius, site, appunto, presso Varola e Sesia (PC, docc. 65-66;pp. 139-141).

176 PC, doc. 63, pp. 135-138.177 Egli ricoprì questa carica nel 1193 (PC, doc. 144, p. 234), nel 1196 (Le carte dell’ar-

chivio capitolare cit., vol. II, doc. 600, pp. 370-371), nel 1200 (Acquisti, I, f. 30), nel 1203(ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 27 dicembre 1203), nel 1204(PC, doc. 110, p. 203), nel 1206 (ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. indata 9 ottobre 1206) e nel 1210 (Biscioni, 1/III, doc. 504, p. 50).

178 L’unica menzione che mi è stato possibile rinvenire di questo personaggio è relativaall’anno 1190, in cui fu testimone alla concordia tra Vercellesi e domini di Bornato, stilatanel castello di S. Lorenzo (Biscioni, 1/III, doc. 640, pp. 195-198).

179 PC, doc. 63, pp. 135-138: ci si riferisce a loro come “iudices de Mortaria”. Al con-solato di giustizia è peraltro legata l’attività politica di questa famiglia: Alberto, console delcomune nel 1167, fu console di giustizia nel 1178 (Le carte dell’archivio capitolare cit., vol.II, doc. 371, p. 68), nel 1180 (Biscioni, 1/III, doc. 495, p. 43), nel 1186 (Biscioni, 1/II, doc.446, p. 383), nel 1190 (PC, doc. 143, p. 233), nel 1191 (Acquisti, I, f. 45-46), nel 1193(Biscioni, 1/III, doc. 576, p. 163) e nel 1196 (Acquisti, I, f. 45), Guido nel 1206 (PC, doc.65, p. 139).

180 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 156.181 DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 16; questa famiglia espresse anche numerosi

canonici del capitolo di S. Eusebio, per i quali si rimanda all’elenco compilato da MAYER,Die Funktion von Hospitälern cit., pp. 298-302; al ceppo parentale preso in considerazioneva ricondotto anche il canonico Guglielmo Boccaccio, che nei necrologi eusebiani fu ricor-dato come Guglielmo Boccaccio “de Mortario” (I necrologi eusebiani, a cura di R. Pastè, in“BSBS”, 25 (1923), pp. 332-355, con particolare riferimento a p. 348). Sia Enrico, siaGiacomo ricevettero la qualifica di nobilis civis Vercellensis, rispettivamente nel 1202 (DAC,doc. 28, pp. 53-55) e nel 1207 (ibidem, doc. 53, pp. 77-79).

182 Gilberto fu console di Santo Stefano nel 1181 (Acquisti, I, f. 27), Alberto nel 1184(PC, doc. 273, p. 296), Guido nel 1197 (ibidem, doc. 116, p. 212), nel 1200 (Acquisti, I,f. 30) e nel 1204 (PC, doc. 111, p. 205), Uberto nel 1219 (Acquisti, I, f. 41).

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L’esproprio comunale fu caparbiamente contestato e spesso,come ricordano i testimoni, avvenne “per vim […] et contravoluntatem illorum qui tenebant predictas insulas”183: questo èquanto si può inferire dalle testimonianze presentate nel 1206 perla causa vertente sulle isole consegnate nel 1192 e possedute daBenedetto e Federico De Benedetti, da Ottone Camex, dai figli diFilippo Burro e da quelli di Filippo de Fontaneto, da BuongiovanniBarletarius e da illi de Vezolano184. In questo caso il governo citta-dino si sarebbe avvalso di un utilizzo rituale della violenza al finedi affermare il proprio diritto sui terreni contesi, sul cui significa-to già altri studiosi hanno posto la loro attenzione185. Per alcuneproprietà menzionate nello stesso atto l’occupazione comunale eraavvenuta da dieci anni, quindi nel 1196186, per altre ancora suc-cessivamente, nel 1202187: in quel lasso di tempo i possessori ave-vano opposto resistenza, lamentandosi dell’azione del sindacoPietro Pavia188. Al contrario, per altri terreni l’operazione di avo-cazione alla mano pubblica fu addirittura immediata: nel 1208, inrisposta alle proteste di Ottone Camex, Pietro Pavia giurò che ilcomune sfruttava l’isola requisita da sedici anni189.

Le amministrazioni cittadine non mantennero un comporta-mento univoco nei confronti degli appezzamenti di cui eranoentrati in possesso: alcuni vennero venduti, altri affidati in custo-

183 PC, doc. 70, p. 146.184 PC, doc. 70, p. 148: un testimone afferma che le terre “consignate fuerunt pro comu-

ni a Matheo de Bondonno et Martino de Tronzano et Anrico Scannagata et SimoneCavagliasco sicut scit et vidit”.

185 GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit.; C. WICKHAM,Ecclesiastical Dispute and Lay Community: Figline Valdarno in the Twelfth Century, inMélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – temps modernes, tome 108 (1996), vol. I,pp. 7-93, con particolare riferimento alle pp. 76-79; ID., Legge, pratiche e conflitti. Tribunalie risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, Roma 2000, p. 257.

186 PC, doc. 70, p. 146: Giovanni Pomario “interrogatus si comune eas moltas et glare-as tenuit et possedit incidendo et faciendo eas custodiri et faciendo suum bonum, respon-det sic, per decem annos et ipsemet eas custodivit tempore d. Drudi et adhuc custodit, sili-cet illam Ottonis Camicis et insulam Iordani Grassi et insulam Mainfredi Camicis et insu-lam q. Philipi de Burro et insulam de Guidalardis”.

187 PC, doc. 70, p. 146: Martino Faxolaza “interrogatus si comune eas moltas et glare-as tenuit et possedit incidendo et faciendo custodiri et faciendo suum bonum, respondet sicper IIII annos et plus de hoc totum sic testificatus est super insulam q. Bertholomei deFontaneto, super insulam q. Philipi de Burro et super insulam Benedicti et Frederici deMezano, scilicet et super insula Ottonis Camicis”.

188 Arduino Pomario, testimone, ricorda significativamente che “comune eas [le isole]tenet, set dicit quod illi qui eas petunt semper sunt conquerentes” (PC, doc. 70, p. 147).

189 Nella sentenza si ricorda, riferendosi all’isola espropriata che “comune eam tenueritper XVI annos et plus” (PC, doc. 86, pp. 168-169).

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dia. Purtroppo le testimonianze al riguardo sono laconiche; tutta-via in un processo intentato nel 1206 contro il sindaco comunaledagli antichi possessori, i testimoni interpellati ricordarono che trail 1196 ed il 1202 Martino de Tronzano, Maifredo de Carengo,Martino Faxolaza e Guglielmo Veglus avevano venduto a nome delcomune alcune delle isole a chi le voleva comprare: probabilmen-te le proprietà requisite vennero dunque messe all’incanto190.Dalle dichiarazioni rese nello stesso processo altre isole risultaronoaffidate a custodi: non sappiamo quali fossero precisamente le loromansioni, ma il fatto che queste terre non furono date in affittoné vendute può fare pensare ad un loro utilizzo come pascolocomune. Del resto proprio dalla rivendicazione popolare dell’usocollettivo dei pascoli cittadini era nata l’inchiesta del 1192.

Inoltre tra i custodi vennero citati Mesclavinus ed Ardizzone eGiovanni Pomario: il primo deteneva un’isola da più di tre anni,mentre il secondo ricordava di averne ricevuta una in affidamen-to al tempo del podestariato di Drudo Marcellino, dunque tra il1198 e il 1199191. Malauguratamente non si tratta di un campio-ne molto indicativo, comunque tutti costoro ci sono già noti: ilprimo era un popolare possessore da antica data di beni in quellastessa area, mentre i secondi dovevano essere parenti di quelRuffino Pomario che compì la consignatio del 1192192. Se è com-prensibile la presenza di individui di non elevata estrazione socia-le a rivestire tale incarico, maggiormente indicativo è che prove-nienti dalle fila del popolo, o in ogni caso ad esso legati, fosseroanche i venditori in nome del comune: infatti, Martino Faxolazae Guglielmo Veglus erano popolari, mentre Martino de Tronzano,già estimatore nel 1192, e Maifredo de Carengo, che invece dallerequisizioni di quell’anno era uscito danneggiato, erano entrambiin rapporto con la società di Santo Stefano193.

Ancora una volta, per portare avanti un’operazione invisa aimaggiorenti vercellesi, il comune si appoggiò a individui apparte-

190 Martino de Tronzano, chiamato a testimoniare, nel 1206 dichiarò che “ipsemet testiset Mainfredus Carengus una vice pro comuni vendiderat eas illis qui emere volebant, plusest IIII annis et minus X” (PC, doc. 70, p. 147); un altro teste dichiara invece che “MartinusFaxolaza et Guilielmus Veglus eas insulas a parte comunis vendiderunt” (PC, doc. 70, p.148).

191 PC, doc. 70, pp. 146-148.192 Cfr. quanto esposto in precedenza in questo stesso capitolo.193 Per i de Tronzano cfr. quanto detto in precedenza; per i de Carengo cfr. invece

Appendice 1.

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nenti al movimento popolare: è esemplificativo che il sindacocomunale, incaricato di rispondere alle rivendicazioni dei posses-sori espropriati, fosse un personaggio di rilievo di tale orientamen-to, ossia Pietro Pavia, già miles di giustizia nel 1203194 e nel1204195 e console della società nel 1200, nel 1202, nel 1206 e nel1208196.

6. Le sentenze dei consoli di giustizia

I processi hanno anche il merito di fornire nuove informazionisu come fosse avvenuta la presa di possesso delle comunanze daparte dei maggiorenti vercellesi e su quali basi poggiassero la riven-dicazioni del governo cittadino197.

I possessori espropriati che intentarono causa a Pietro Pavia, asostegno delle loro pretese non apportarono documentazionescritta, ma si valsero della produzione di testimoni198. Costorotentarono di dimostrare tre fatti: che le requisizioni comunalierano avvenute con la forza, che, in alcuni casi, le terre richiama-te alla mano pubblica erano bagnate dalle acque da meno di tren-t’anni e che i possessori avevano detenuto i terreni con continuitàper almeno quaranta anni.

Se è evidente l’interesse che gli espropriati avevano nel denun-ciare che l’azione degli ufficiali cittadini era stata condotta per

194 PC, doc. 54, p. 112.195 Biscioni, 1/III, doc. 623, p. 189.196 Acquisti, I, f. 30; PC, doc. 334, p. 333; ibidem, doc. 341, p. 342; ASVc, Famiglia

Berzetti di Murazzano, pergamene, doc. del 18 febbraio 1208. 197 Per un inquadramento generale sull’utilizzo della documentazione giudiziaria e delle

deposizioni testimoniali cfr. WICKHAM, Legge, pratiche e conflitti cit.; ID., EcclesiasticalDispute and Lay Community cit.; P. GRILLO, P. MERATI, Parole e immagini in un documentomilanese del XII secolo: una raccolta di testimonianze sull’origine di Villanova di Nerviano, in“Archivio storico lombardo”, 124-125 (1998-1999), pp. 487-534; P. MERATI, La rappresen-tazione dell’esperienza: mediazioni culturali e meccanismi della memoria a Milano nel XIIIsecolo, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – temps modernes, tome 113(2001), vol. I, pp. 453-491; R. MUCCIARELLI, La terra contesa. I Piccolomini contro SantaMaria della Scala. 1277-1280, Firenze 2001 e, particolarmente attinenti, A. ESCH, Gli inter-rogatori di testi come fonte storica. Senso del tempo e vita sociale esplorati dall’interno, in“Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo”, 105 (2003), pp. 249-265 e L.PROVERO, Usi politici dell’inchiesta nella società rurale nel nord Italia (secoli XII-XIII), inL’enquête au moyen âge cit.

198 L’assenza dell’ostensio cartae tra gli strumenti probatori, sostituita dalla produzione ditestimoni in giudizio, è stata riscontrata anche per Milano (PADOA SCHIOPPA, Aspetti dellagiustizia milanese cit., p. 532).

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mezzo della forza, maggiori chiarimenti richiedono le altre proveaddotte. Trenta e quaranta anni sono i termini stabiliti dalla pre-scriptio longissimi temporis, che si attuava rispettivamente per i pri-vati e per enti ecclesiastici, assistenziali e città (il primo lasso ricor-re anche per la prescrizione estintiva delle actiones perpetuae stabi-lita da Teodosio)199. È credibile che i possessori volessero palesareche gli appezzamenti occupati erano divenuti molte – e quindi dispettanza pubblica - solo in tempi recenti e che quindi il comunenon aveva diritto ad intervenire; al contrario il loro possesso erasuffragato dalla detenzione ininterrotta per quaranta anni, sicchépotevano avvalersi della prescrizione acquisitiva nei confrontidella città200: tale strada, non il ricorso a diritti di proprietà, fu lostrumento di prova che gli espropriati adottarono per difendersi,sebbene in aree soggette a continue inondazioni ed adibite alpascolo o alla raccolta della legna dovesse essere particolarmente

199 Cfr. Institutiones, II, 6 e Digestum, VII, 39, nonché le relative glosse (per esempio, Laglossa di Poppi alle istituzioni di Giustiniano, a cura di V. De Crescenzi, Roma 1990, p. 214,che mette in connessione i due passi del corpus relativamente alla prescrizione acquisitivadegli immobili con i succitati termini temporali, oppure le minuziose interpretazioni inCodicis domini Iustiniani sacratissimi principis Imperatoris Augusti libri IX priores cum lectio-num varietatibus diligentius quam antea in marginis appositis post Accursii commentarios,Venezia 1598, coll. 2080-2100). Tale lasso di tempo è stabilito anche dalle consuetudinimilanesi per avvalorare un uso (cfr. Liber consuetudinum Mediolani anni MCCXVI, a curadi E. Besta, G.L. Barni, Milano 1949, cap. 19, p. 107. In particolare una sentenza milane-se del 1215 permetteva l’irrigazione di alcuni prati dei canonici di S. Giovanni, poiché ciòavveniva ormai da trent’anni: CHIAPPA MAURI, Paesaggi rurali cit., p. 140; cfr. inoltreMERATI, La rappresentazione dell’esperienza cit., p. 464). Il medesimo intervallo compareanche in alcune cause vercellesi: per esempio, nel già menzionato processo per il possesso diun acquedotto del 1203, i fratelli Gambaruto dichiararono di detenere la terra oggetto dellalite da trent’anni (ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 27 dicembre1203). Non sembra siano da ricollegarsi, considerato il contesto romanistico in cui si svol-gono le cause, le leggi di Grimoaldo sulla prescrizione acquisitiva (cfr. Le leggi deiLongobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C. Azzara e S.Gasparri, Milano 1992, p. 123: si noti però che un editto di Liutprando si discostava daldiritto romano, prevedendo che l’usucapione nei confronti delle proprietà pubbliche fossedi sessanta anni, sebbene già sotto il re longobardo si preferisse restringere pragmaticamen-te la durata ai trenta anni [ibidem, pp. 167; 229]). Su tempo e riconoscimento dei diritti cfr.E. CONTE, Vetustas. Prescrizione acquisitiva e possesso dei diritti nel Medioevo, in E. CONTE,V. MANNINO, P.M. VECCHI, Uso, tempo, possesso dei diritti. Una ricerca storica e di dirittopositivo, Torino 1999, pp. 49-128. Sul fatto che fossero proprio gli espropriati a voleredimostrare che le terre erano bagnate da trenta anni a questa parte cfr. l’espressione presen-te in una causa del 1206: “cum eciam videretur probatum esse per dicta testium illorumfiliorum q. Philippi de Burro possessionem illius terre sive insule corrutam esse a XXX annisinfra (PC, doc. 68, pp. 143-144).

200 Il possesso continuo per quarant’anni compare come metodo di dimostrazione deldiritto di proprietà anche nelle cause pisane (WICKHAM, Legge, pratiche e conflitti cit., pp.248-253). Esso in età imperiale era l’intervallo stabilito per la prescrizione acquisitiva(CONTE, Vetustas cit., p. 51).

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difficile dimostrarne la continuità d’uso201. Solo per le terre del-l’isola Forcalda gli inquisiti cercarono di provare il loro diritto diproprietà, reclamandone il dominio da prima che fossero inonda-te202, tuttavia il fatto che i processi si conclusero sovente con unaccordo è indicativo dell’autorità della rivendicazione comunale,estesa anche a terreni solo recentemente bagnati dalle acque.

Per contro Pietro Pavia si limitò a ribattere, come abbiamo giàvisto, che tutte le molte nel territorio di Vercelli erano di pertinen-za comunale - nel 1205 aggiungendo che le sue pretese derivava-no dall’investitura vassallatica ricevuta dal vescovo - e che gliappezzamenti presi in considerazione erano stati consegnati “procomuni”203.

La dimostrazione delle prime due argomentazioni addottedagli espropriati non fu decisiva nell’influenzare il giudizio deiconsoli, mentre ebbe successo la terza, quando essi trovarono ilmodo di provare il possesso continuo; al contrario se coloro cheavevano intentato la causa fallivano nell’apportare le prove o nonriuscivano ad avvalorare in maniera convincente una detenzionesenza interruzioni, era il sindaco del comune ad avere la meglio204.Alla luce dei recenti studi di Chris Wickham, tali andamenti pro-cessuali devono essere inseriti nelle strategie di disputa adottatedalle due parti205. Non essendo l’aspetto più propriamente giudi-ziario oggetto del presente lavoro, al fine della nostra indagine cisi limiterà ad osservare da un lato come l’iter delle pratiche, purdimostrando una vasta conoscenza della giurisprudenza romana,non vi fece ricorsi espliciti. In particolare il comune non si appel-lò né a norme del diritto giustinianeo, né alle prerogative conse-guite con la pace di Costanza, le quali sarebbero state in grado dicorroborare la sovranità cittadina sui fiumi: tali riferimenti rima-sero sottintesi. In secondo luogo nella maggior parte dei casi colo-

201 Il ricorso alla prescrizione acquisitiva è stato riscontrato anche per i beni comunalidi Milano (GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit.).

202 Per esempio il canonico Guglielmo Avogadro “eam dicebat suam esse et sibi pertine-re quia, antequam moltam esset, terra sua erat et scagnum illius terre adhuc remanserat”(PC, doc. 98, p. 184); questa lamentela è comune a tutti i possessori dell’area presa in con-siderazione.

203 Per esempio in PC, doc. 65, p. 139.204 È il caso di Buongiovanni Barletarius e dei figli di Filippo Burro (PC, doc. 61, pp.

140-141; doc. 69, pp. 144-145). I giudici, prima di pronunciare la sentenza, chiedevano ilgiuramento alla parte cui volevano dare la vittoria, seguendo un procedimento in uso anchea Milano (PADOA SCHIOPPA, Aspetti della giustizia milanese cit., p. 539).

205 WICKHAM, Legge, pratiche e conflitti cit.

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ro che possedevano le molte, seppur solo attraverso testimonianze,erano in grado di apportare prove ben più convincenti di quelle diPietro Pavia, che per lo più rimanevano nel vago o erano indimo-strabili. Eppure, anche attraverso la laconicità del suo sindaco, ilcomune portava avanti i suoi obiettivi: avanzava una rivendicazio-ne programmatica su tali terreni e, con il richiamo all’operazionedel 1192, all’investitura vescovile e all’antico uso collettivo, con-solidava gradualmente la publica fama della titolarità comunale,sulla cui base i consoli opportunamente già nel 1192 avevanointrapreso l’operazione di recupero. Già si è visto come molti –qualcuno con più sicurezza, altri in maniera maggiormente dubi-tosa – ritenessero le terre in questione pertinenza del comune206.

Svoltesi nel corso di più anni, difficilmente le cause furonorisolutive e alle sentenze dei giudici seguirono gli appelli deglisconfitti, determinati a fare valere le proprie ragioni207. Una viad’uscita a questa situazione di latente tensione fu trovata tramiteaccordi che tra il 1207 e il 1211 posero fine alle vertenze, asse-gnando la proprietà delle isole al comune, che a sua volta ne inve-stì l’antico possessore dietro corresponsione di un esiguo fitto208.Questa soluzione rispondeva indubbiamente al pragmatismo deigiudici, che, in assenza di un chiaro diritto, tendevano ad un esitocompromissorio delle cause che rispecchiasse un equilibrio tra lerichieste programmatiche, e spesso volutamente sproporzionate,delle due parti. È inoltre possibile che tale risoluzione fosse stataagevolata dalla presenza di appartenenti alle famiglie degli espro-priati tra i consoli di giustizia che pronunciarono le sentenze209.

206 Cfr. supra, p. 55, dove vengono riportati i giudizi di più cittadini vercellesi. Sul valo-re decisivo della publica fama nei processi cfr. WICKHAM, Legge, pratiche e conflitti cit., pp.155-162.

207 L’inchiesta sulle comunanze vercellesi dovette suscitare un notevole clamore, dividen-do la cittadinanza e giungendo a conoscenza anche degli abitanti delle località vicine: infat-ti, potrebbe non essere casuale il fatto che alcuni milites di Caresana, credenziari del comu-ne di quel luogo, si promettessero reciproco aiuto nell’amministrazione delle loro terre “adrecuperandas omnes comunias Carexiane que sunt montrate per inquestis in tota curte pre-dicti loci” (ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 13 ottobre 1207; sull’influenza deimodelli cittadini sui comuni rurali italiani cfr. C. WICKHAM, Comunità e clientele nellaToscana del XII secolo. Le origini del comune rurale nella Piana di Lucca, Roma 1995, pp.220-221).

208 La modicità del fitto è dovuta anche alla natura poco redditizia dei terreni (cfr. F.PANERO, Terre in concessione, Bologna 1984, pp. 75-76).

209 La metà degli accordi fu pronunciata nel 1209, anno in cui erano consoli di giusti-zia Ambrogio Cocorella, Villano Villano e Giovanni Volta (PC, doc. 87, p. 170).

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Venne dunque scelta la strada della mediazione e del coinvolgi-mento delle parti interessate - già illustrata da Balestracci210 - chedivenne realizzabile nel momento in cui la fazione nobiliare trovòun nuovo punto di riferimento nella società di Santo Eusebio,nata nel 1208211, mentre lo slancio popolare della protesta andavaattenuandosi.

Tale esito riconobbe definitivamente al governo cittadino laproprietà sulle comunanze, ma segnò anche un decisivo cambia-mento nella concezione dei beni collettivi e nella loro amministra-zione.

7. Dall’uso comune ad una gestione remunerativa delle comunanze

L’inchiesta sui beni collettivi era partita dalla volontà dellapopolazione di recuperare il possesso degli antichi pascoli comu-ni, originata più dallo sdegno per una situazione sentita comeingiusta, che da un organico piano di valorizzazione delle risorsecittadine. Supportata dalla società popolare, l’azione delle autori-tà urbane riuscì incisiva e dimostrò di saper incanalare la protestanon solo in un ambizioso progetto di acquisizione delle comunan-ze, ma anche dei diritti sulle acque: in tal modo veniva ad esserecoinvolto il problema dell’estensione della giurisdizione sulla città.

Il successo dell’operazione di avocazione dei comunia fu dovu-to all’ascesa di nuove componenti sociali212, che attraverso taleoperazione vennero a scontrarsi con numerosi nuclei familiarilegati alla vecchia aristocrazia consolare, alcuni dei quali sarebbe-ro declinati nel secolo successivo213: in molte città italiane “tuttoquesto spinge, fra la fine del XII secolo e il primo scorcio del XIII,alla ricognizione dei diritti pubblici su tutto ciò che può costitui-re una risorsa economica”214, che nel caso vercellese si concentrò

210 Cfr. paragrafo precedente.211 Sulla data di creazione della società, reperibile in ASVc, Famiglia Berzetti di

Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208, si rimanda oltre, pp. 75-80. Sulla socie-tà di Santo Eusebio cfr. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 98-100; DEGRANDI,Artigiani nel Vercellese cit., pp. 61-64.

212 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 101-108.213 ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp. 265-267. Si cita per esempio il caso dei Capella,

degli Oliva e dei Caroso, famiglie eminenti del periodo consolare del comune e ridimensio-nate fino quasi a sparire nei primi decenni del successivo, per cui si rimanda a Appendice 1.

214 BALESTRACCI, La politica delle acque urbane cit., p. 437.

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sui beni collettivi messi in relazione con le prerogative sulle acque.Si tratta di un binomio, riscontrato anche in altri comuni215, sucui è opportuno riflettere: esso, instauratosi per le possibilità diintervento che questi due settori offrivano, coinvolgeva, come simostrerà più diffusamente nel capitolo seguente, le necessitàannonarie cittadine e la volontà, in un periodo di espansionedemografica, di mettere a coltura nuove terre216.

Questo processo a Vercelli fu portato avanti dalle forze popola-ri, inquadrate nelle organizzazioni territoriali, le porte in questocaso, e nella società di Santo Stefano; nelle sue prime fasi essolasciò intravedere passaggi di forte conflittualità sociale, indiriz-zandosi verso la requisizione dei beni reclamati. L’azione venneduramente contestata e poté poggiare più sulla spinta del populusche su inappellabili basi giuridiche: ciò emerge sia dall’imbarazzodel sindaco comunale nel provare le proprie pretese, sia dallamesta risposta del decimatore Aimone, che, interrogato sulla legit-timità della condotta del governo cittadino rispose “quod nescit,set comune cepit id quod ei placuit”217. Solo sul finire del primodecennio del XIII secolo i podestà, nel tentativo di salvaguardarei risultati acquisiti e di sedare le crescenti tensioni all’interno dellapopolazione urbana, che ora vedeva la nobiltà raggrupparsi attor-no alla neonata società di Sant’Eusebio, scelsero di adottare solu-zioni più aperte alla mediazione. Il momento dell’avocazione deibeni comuni - ma anche dell’acquisizione dei diritti sulle acque218

215 È questo il caso di Verona relativamente alla “palus comunis” studiata daCASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria cit., la cui connessione con il problema deidiritti sulle acque è stata messa in rilievo da VARANINI, Energia idraulica e attività economi-che cit., p. 342.

216 Al riguardo cfr. CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria cit.; BALESTRACCI,La politica delle acque urbane cit., pp. 449-451; J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne dans l’Italie communale: pour une revision des problèmes, in La ville, la bourgeoisieet la genèse de l’état moderne (XIIe-XVIIIe siècle), a cura di N. Bulst e J.-Ph. Genet, Parigi1988, pp. 21-34, con particolare riferimento alle pp. 32-34; M. VALLERANI, Le comunanzedi Perugia nel Chiugi. Storia di un possesso cittadino tra XII e XIV secolo, in Risorse collettive,a cura di D. Moreno e O. Raggio, “Quaderni storici”, 81 (1992), pp. 625-652. Più in gene-rale sul vasto problema delle esigenze annonarie cittadine si richiama il classico studio di E.FIUMI, Sui rapporti economici tra città e contado nell’età comunale, in “Archivio storico italia-no”, 114 (1956), pp. 18-68. Sulle bonifiche comunali e sugli interventi del comune nel set-tore delle acque cfr. SINATTI D’AMICO, L’immenso deposito di fatiche cit., pp. 80-82; 92-100.

217 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giugno 1205.218 Credo che si possa evincere facilmente il valore di “oggetto sociale” rivestito dalle

acque da quanto detto in precedenza, cui si rimanda per gli opportuni riferimenti biblio-grafici. Al riguardo cfr. inoltre, anche se incentrati su un periodo successivo a quello presoin considerazione, gli studi di S. ESCOBAR, Il controllo delle acque: problemi tecnici e interes-

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- fu dunque caratterizzato da una grande varietà di istanze: essodeve essere inquadrato all’interno di un più vasto problema diaffermazione dell’autonomia cittadina. A ragione tale operazionepuò dunque essere considerata una carta al tornasole dell’azionepopolare, uno snodo per la chiarificazione degli obiettivi di que-st’ultima ed un punto di partenza per le sue rivendicazioni219.

Proprio nel periodo intercorso tra l’esproprio e i successivicompromessi, il comune, una volta entrato in possesso dei terreniinquisiti, si trovò a dovere decidere sul loro utilizzo: come si èvisto, in parte essi vennero fatti custodire, forse adibiti all’uso col-lettivo, rispettandone l’iniziale destinazione. Tuttavia, vendendo-ne altri, il governo cittadino mostrò di affiancare alla concezionetradizionale un’altra che tendeva ad assicurare il massimo profittodalla cura delle comunanze. Del resto, a spingere all’alienazione, oin ogni modo ad indirizzare verso sistemi gestionali più redditizi,erano le esigenze dell’erario urbano, in quegli anni impegnato afondo dalle costose iniziative di assoggettamento del territorio edalle dispendiose guerre volute dalle autorità comunali220: al 1192risalgono le prime testimonianze di debiti, che divennero piùnumerose per i primi anni del secolo successivo221.

Significativo è un documento del 1204, in cui il podestà PietroPietrasanta222 sancì che i pagamenti dei creditori venissero effet-tuati all’inizio dell’anno “de pecunia mutuata pro comuni”. Eglidecretò inoltre che i beni comunali “intra civitatem”223 che non

si economici, in Storia d’Italia. Annali 3. Scienza e tecnica nella cultura e nella società dalRinascimento a oggi, a cura di G. Micheli, Torino 1980, pp. 83-153, con particolare riferi-mento alle pp. 89-104 e di G. FANTONI, L’acqua a Milano. Uso e gestione nel basso medioevo(1385-1535), Bologna 1990, pp. 7-11.

219 MAIRE VIGUEUR, Premessa cit.; ID., Il comune popolare cit., pp. 41-42.220 Per la costruzione di borghi franchi si rimanda ai lavori di Francesco Panero (F.

PANERO, Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trinoe Tricerro nel secolo XIII, Vercelli 1979; ID., I borghi franchi del comune di Vercelli cit.; ID.,Particolarismo ed esigenze comunitarie cit.); sulla situazione politica e sulle guerre in cui eraimpegnata Vercelli cfr. invece MANDELLI, Del governo civile cit., pp. 57-60, ID., Il comune diVercelli cit., vol. I, pp. 38-47, F. COGNASSO, Il Piemonte nell’età sveva, Torino 1968 e piùrecentemente M. VALLERANI, Modi e forme dalla politica pattizia di Milano nella regione pie-montese: alleanze e atti giurisdizionali nella prima metà del Duecento, in “BSBS”, 96 (1998),pp. 619-655.

221 Acquisti, I, f. 46; f. 51; f. 52. Cfr. oltre, pp. 153-162.222 Sull’attività podestarile della famiglia dei Pietrasanta cfr. E. OCCHIPINTI, Vita politi-

ca e coesione parentale: la famiglia milanese dei Pietrasanta nell’età dei comuni, in “Studi distoria medioevale e di diplomatica”, 7 (1983), pp. 25-42.

223 Sul valore da attribuire all’espressione “intra civitatem”, rappresentante l’area delimi-tata dal perimetro murario cfr. GULLINO, Uomini e spazio urbano cit., pp. 21-25.

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era possibile recuperare (“spaciari et aperiri”) senza massimodanno dai possessori, fossero dati a costoro dietro prestazione diun fitto annuo stabilito dagli “extimatores comunium”224.

Si tratta di un atto estremamente ricco, dove indebitamento delcomune e affitto delle comunanze appaiono abbinati, quasi messiin connessione. È inoltre testimoniata la presenza di estimatorispecificatamente addetti al controllo dei beni comunali, nonnecessariamente da identificare con i personaggi che si eranooccupati delle alienazioni. Infine si instaurava l’idea che le comu-nanze potessero anche essere affittate a singoli e che non dovesse-ro forzatamente essere adibite alla fruizione collettiva. Di lì a pocoquesta concezione si sarebbe definitivamente imposta, come testi-moniano gli accordi cui si pervenne nelle cause.

Infatti, il governo cittadino, dopo essere entrato in possessodelle terre che giudicava di sua pertinenza, praticò solo occasional-mente il ripristino dell’uso comune – per il quale non era contem-plata alcuna fruizione esclusiva da parte dei milites225 – lasciandoad esso una funzione minoritaria, rimasta in vigore solo perpochissimi appezzamenti. Di quest’utilizzo è pervenuta una solatestimonianza risalente al 1233, anno in cui la maggior parte deibeni comunali era ormai stata alienata226: il capitolo di S. Eusebioe il comune di Montanaro intentarono causa di fronte al podestàcittadino ad alcuni individui per un prato, che questi ultimi affer-mavano di detenere dal comune di Vercelli “pro comunibus”; ilrettore urbano, dopo essersi consultato con alcuni giudici, rico-nobbe i diritti del capitolo, riservando tuttavia ai Vercellesi lafacoltà di pascolo, “idest quod liceat hominibus Vercellarum ibipascare”227. Nel concedere lo ius pascandi agli homines Vercellarum

224 Biscioni, 1/III, doc. 622, pp. 188-189. Si faceva riferimento probabilmente a sedimie a piccoli appezzamenti, frequenti nella parte meridionale della città, poco edificata.Spaciari e aperiri sono termini utilizzati anche nel recupero dei beni comunali milanesi(GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit., pp. 441-444).

225 Per tale problematica cfr. MAIRE VIGUEUR, Il comune popolare cit., pp. 44-48;GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit. Come si è visto del restoper il caso vercellese non esistono testimonianze che affermino prerogative nobiliari sugliincolti cittadini. Attestazioni di questo genere sono rinvenibili solo per alcuni centri rurali:i milites di Lucedio, per esempio, effettivamente esercitavano diritti su boschi e beni comu-nali, che si inseriscono tuttavia in una contestualizzazione assai differente rispetto a quellaurbana, legata probabilmente all’esistenza di un dominio eminente sugli usi civici da partedei domini (PANERO, Due borghi franchi padani cit., p. 49).

226 Cfr. capitolo IV, pp. 162-168.227 DAC, doc. 121, pp. 198-199.

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non vi era nessuna differenziazione sociale: i cives coinvolti nelprocesso – uomini, ma pure due donne - erano di estrazionecetuale varia. Infatti, a fianco del conte di Alice, di GirardoCarisio e delle figlie del defunto Maifredo Gambaruto, compari-vano il beccaio Nicola Crispo228 ed altri popolari. Il comune, nel-l’assegnare questi pascoli non sembra avere adoperato particolaricriteri restrittivi, anzi, il suo atteggiamento, se confrontato a quel-lo usato verso i ben più redditizi terreni comunali dati in affitto inquesto stesso periodo229, appare di sostanziale disinteresse230.

Le autorità urbane, costrette in alcuni casi anche dall’impossi-bilità di recuperare i terreni perduti, intrapresero piuttosto un’al-tra strada, attraverso cui ruppero definitivamente con il preceden-te utilizzo delle comunanze come pascoli collettivi: scegliendo didare gli appezzamenti richiamati alla mano pubblica in affitto o divenderli al migliore offerente, esse adottarono una gestione volta atrarne il maggiore vantaggio economico possibile. La documenta-zione vercellese continuò ad individuare tali terreni con il terminecomunia, ma questo non identificò più i “beni comuni”, ma i“beni del comune”: la funzione pubblica andava appannandosi infavore di quella patrimoniale.

Le comunanze vennero, infatti, trasformate in beni alienabili:fu così inaugurato un sistema di amministrazione che faceva diesse uno specifico settore delle finanze comunali e che prevedevaun’apposita magistratura – probabilmente straordinaria, comun-que - cui era delegata la loro cura: gli extimatores comunium.Costoro, inoltre, non facevano riferimento alle porte o alle vicinie,ma direttamente al podestà e alla credenza, sicché le circoscrizioniterritoriali scomparirono dalla documentazione inerente ai benicomunali successiva all’atto del 1192: attore nei processi che sca-turirono fu il comune rappresentato dal suo sindaco231. Ad ognimodo già in quella circostanza le porte non agirono direttamente,poiché a promuovere l’inchiesta furono i consoli: nella stessa ope-

228 Appendice 1.229 Cfr. capitolo II.230 Un comportamento simile fu assunto dal comune di Milano nei confronti dei pasco-

li comunali (GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubblici cit.).231 Le organizzazioni territoriali ebbero invece un ruolo di rilievo nel recupero dei beni

comunali milanesi analizzato da GRILLO, Il Comune di Milano e il problema dei beni pubbli-ci cit.

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razione di requisizione vi era dunque in nuce una volontà centra-lizzatrice che sminuiva il ruolo degli organismi rionali232.

L’obliterazione delle associazioni di quartiere dalla gestione fuanche uno dei passaggi decisivi che pose le premesse per svincola-re i beni comunali dal territorio cittadino: infatti, nel documentodel 1192 il progetto di recupero era stato condotto da inquisitorieletti dalle porte; anche successivamente, quando l’azione era pas-sata nelle mani del sindaco comunale, decisivo era stato il legamecon il suburbio cittadino. Su quest’area, nella curia Vercellarum, siestendevano le pretese del comune riguardo a molte ed isole fluvia-li, sicché uno degli intenti precipui dei consoli di giustizia nei pro-cessi, al fine di definire la validità delle richieste del sindaco comu-nale, fu di determinare se le terre interessate si trovassero all’inter-no del territorio vercellese233: il motivo era essenzialmente giuridi-co, poiché il dominio eminente (che il comune pretendeva diavere) sui beni collettivi era limitato all’area di esercizio della giu-risdizione234. Ciò tuttavia contribuì al fatto che in questa primafase, come in altri comuni italiani, il problema delle comunanzerimanesse iscritto nella campanea della città235. La gestione centra-lizzata dei beni requisiti - resa possibile dall’ascesa del popolo236 -incrinò questo rapporto, che venne definitivamente messo in crisidopo l’affermazione stabile del regime podestarile: furono, infatti,i podestà a portare a termine un sistema di amministrazione diret-tamente dipendente dal governo cittadino237, di cui si approfondi-ranno gli aspetti nel capitolo seguente.

232 PC, doc. 60, pp. 128-134: tra gli espropriati compaiono le chiese parrocchiali di S.Lorenzo, di S. Tommaso e di S. Giuliano, nell’amministrazione dei cui beni erano forsecoinvolte le collettività vicinali.

233 Una delle domande rivolte ai testimoni nel processo del 1205 fu “si hec terra undeagitur est de curte Vercellensi” (ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 16 giugno 1205).

234 Cfr. supra, p. 48.235 Per il problema della campanea cfr. CASTAGNETTI, La «campanea» e i beni comuni

della città cit.; A.A. SETTIA, Fisionomia urbanistica e inserimento nel territorio (secoli XI-XIII),in Storia di Torino. 1. Dalla preistoria al comune medievale, a cura di G. Sergi, Torino 1997,pp. 785-831, con particolare riferimento alle pp. 824-827; R. BORDONE, Assestamenti delterritorio suburbano: le «diminutiones villarum veterum» del comune di Asti, in “BSBS”, 78(1980), pp. 127-177.

236 Sull’ascesa in questi anni di nuove componenti popolari cfr. PANERO, Istituzioni esocietà a Vercelli cit., pp. 101-108; ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp. 265-267.

237 MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne cit., pp. 32-34.

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II. I beni comunali e il governo podestarile (1208-1229)

1. Trasformazioni istituzionali e gestione dei beni comunali

Già dagli ultimi anni del XII secolo si erano avvicendati aVercelli governi podestarili, che rispondevano all’ascesa di unpopulus sempre più influente, deciso a strappare l’egemonia poli-tica all’aristocrazia consolare1. L’affermazione del nuovo assettoistituzionale tuttavia fu lenta e durante la prima decade del XIIIsecolo ai podestà si alternarono consoli cittadini, eletti rispettan-do il tradizionale predominio delle maggiori famiglie2. Tale insta-bilità può essere interpretata come segno delle tensioni che perva-devano la comunità vercellese in quegli anni: le vicende dei benicomunali durante questo periodo ne sono una conferma3.

Fu proprio sotto l’amministrazione dei primi podestà che siregistrarono cambiamenti importanti nella gestione del patrimo-nio: essi riuscirono a rendere decisivo questo settore nell’ambitodelle finanze comunali. Lo sfruttamento economicamente reddi-tizio di tali risorse, lo scollamento dei beni collettivi dalla campa-nea e dalle circoscrizioni territoriali cittadine, la creazione diun’apposita magistratura delegata alla loro cura e dipendente dalgoverno centrale furono, come si é visto, conquiste precipue, chesi attuarono in concomitanza con il cambiamento della consisten-za delle comunanze vercellesi. Già l’instaurazione di un legame

1 F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dellostudio (1228), in L’università di Vercelli nel Medioevo. Atti del Secondo Congresso StoricoVercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994, pp. 77-165, conparticolare riferimento alle pp. 98-108.

2 Su 58 consoli del comune eletti a partire dal 1198, anno da cui il podestariato iniziaad affermarsi con assiduità, solo 15, tutti appartenenti a famiglie di maggiorenti vercellesi(Alciati, Caroso, Centorio, Oliva, Tetavegia, Tizzoni), appartenevano a gruppi parentali vici-ni alla società di Santo Stefano.

3 Cfr. capitolo I.

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con la questione dei diritti sulle acque aveva condotto ad un note-vole incremento dell’estensione dei comunia4; essi furono ulterior-mente beneficiati dall’acquisizione di nuovi possedimenti – con-seguiti nel contesto del processo di controllo del territorio5 - cheil comune scelse di gestire in prima persona, contrariamente aquanto fatto fino allora. È il caso di Trino e di Tricerro, compratinel 1202 dal marchese di Monferrato, che portarono il governourbano a disporre di ampie superfici nella zona immediatamentea settentrione del Po6. Tale circostanza si può riscontrare anche peralcuni castelli sottratti a famiglie di milites del contado -Mongrando e Burolo per esempio - che i podestà fecero stimare ediedero in affidamento a castellani vercellesi: venne così sospesal’usuale pratica di infeudazione a favore dei precedenti proprieta-ri7. In questo cambio di rotta si può vedere il segno dell’ascesa aivertici della politica cittadina di nuovi ceti, meno volti che in pre-cedenza al compromesso con la nobiltà rurale, ma anche la mag-giore autorità acquisita dal comune, capace di un’azione più inci-siva nell’assoggetamento delle autonomie presenti sul territoriodominato8.

4 Cfr. supra, pp. 43-56.5 Cfr. il classico studio di G. DE VERGOTTINI, Origini e sviluppo storico della comitati-

nanza, in ID., Scritti di storia del diritto italiano, a cura di G. Rossi, Milano 1977, vol. I, pp.3-122; per una bibliografia più aggiornata cfr. G.M. VARANINI, L’organizzazione del distret-to cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia), inL’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini eD. Willoweit, Bologna 1994, pp. 133-233 e A.I. PINI, Dal comune città – stato al comuneente amministrativo, in Comuni e Signorie: istituzioni, società e lotte per l’egemonia, Storiad’Italia, diretta da G. Galasso, Torino 1981, vol. IV, pp. 449-587. Per Vercelli cfr. F.PANERO, I borghi franchi del comune di Vercelli: problemi territoriali, urbanistici, demografici,in ID., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale, Bologna 1988, pp. 43-72 e ID.,Particolarismo ed esigenze comunitarie nella politica territoriale del comune di Vercelli (secoliXII-XIII), ibidem, pp. 73-99.

6 ID., Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trinoe Tricerro nel secolo XIII, Vercelli 1979; sull’acquisto di tali terre dagli Aleramici cfr. inoltreR. RAO, La proprietà allodiale civica dei borghi nuovi vercellesi (prima metà del XIII secolo), in“Studi storici”, 42 (2001), pp. 373-395, qui a pp. 381-382 e ID., Fra comune e marchese.Dinamiche aristocratiche a Vercelli (seconda metà XII - XIII secolo), in “Studi storici”, 44(2003), pp. 43-93, qui alle pp. 46-52.

7 Per la pratica dell’infeudazione all’aristocrazia rurale da parte del comune cfr. G.FASOLI, Città e feudalità, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe-XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches. Colloque international organisé par le Centrenational de la recherche scientifique et l’École française de Rome (Rome, 10-13 octobre 1978),Roma 1980, pp. 365-385. Per il caso vercellese cfr. G.S. PENE VIDARI, Vicende e problemidella fedeltà eporediese verso Vercelli per Bollengo e Sant’Urbano, in Vercelli nel XIII secolo. Attidel primo congresso storico vercellese, Vercelli 1982, pp. 27-63.

8 PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit.

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Proprio l’ampliamento delle proprietà comunali portò i gover-ni podestarili a mostrare nei loro confronti un nuovo interesse: fudunque con la piena età comunale, grazie al raggiungimento dellamaturità istituzionale da parte dell’amministrazione urbana edalla sua affermazione nel contado, che i beni patrimoniali conqui-starono un ruolo di rilievo all’interno delle finanze vercellesi9.

Non più soltanto pascoli suburbani, ma anche castelli, case,ampie superfici coltivabili: in questo modo si andava sostituendoalla nozione di bene di uso collettivo, ancora presente in periodoconsolare, quella più estesa di bene comunale, ugualmente defini-to tramite il termine comunia. A questo processo, già iniziatodurante le prime esperienze podestarili, avevano contribuito sia lacessione in affitto delle comunanze - realizzata per mezzo dellaloro sottrazione agli organismi territoriali10 -, sia la costituzione divasti possedimenti nel contado. Esso giunse, come si mostrerà inseguito, a compimento con l’attivazione di uno sfruttamento effi-ciente e redditizio del patrimonio attraverso la creazione di un’ap-posita magistratura delegata alla sua cura. In tale forma di condu-zione erano coinvolti sia il populus, sia – con una novità inaugura-ta dalle amministrazioni podestarili e resa possibile dalla fine dellecause per la proprietà dei terreni pubblici che avevano diviso la cit-tadinanza – la pars nobiliare.

È possibile riscontrare la maggiore attenzione del comuneurbano nei confronti delle sue proprietà anche nelle nuove diret-tive intraprese sotto i primi governi podestarili, le quali venneroperseguite e razionalizzate con la definitiva affermazione di taleregime, che a Vercelli si verificò dal 1208. In quello stesso annovennero avviati decisivi cambiamenti istituzionali: prese vita l’or-ganizzazione di Sant’Eusebio11, da cui elementi popolari nonerano pregiudizialmente esclusi12, ma che si faceva portavoce di

9 Il processo di ampliamento dei beni comunali nel corso del XIII secolo è stato messoin luce anche da S. CAROCCI, Le comunalie di Orvieto fra la fine del XII e la metà del XIVsecolo, in I beni comuni nell’Italia comunale: fonti e studi. Mélanges de l’École française deRome. Moyen Âge – Temps modernes, tome 99 (1987), vol. II, pp. 701-728, con particolareriferimento alle pp. 717-718.

10 Cfr. supra, pp. 67-72.11 La data di fondazione, tradizionalmente attribuita al 1209, grazie ad un documento

recentemente confluito nell’Archivio di Stato, può essere retrodatata almeno di un anno(ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208).

12 A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, p. 60, che mettein evidenza come la presenza di appartenenti al mondo dei mestieri tra i consoli diSant’Eusebio si fosse fatta consistente dopo il 1243. Per il periodo precedente tali menzio-

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ideali nobiliari13. Di essa facevano parte i maggiori gruppi paren-tali dell’aristocrazia consolare, per lo più legati al vescovo, che nonavevano trovato spazio nella società di Santo Stefano e che anzi lesi erano contrapposti. Nel momento in cui si riducevano gli inca-richi di prestigio, con la scomparsa del consolato maggiore e conla sempre più accentuata professionalizzazione degli incarichi ine-renti all’amministrazione della giustizia, riservati con frequenzacrescente a iudices e talvolta ad appartenenti alla familia del pode-stà14, tali discendenze videro nel meccanismo associativo lo stru-mento adatto a fare valere le proprie istanze15. La nuova organiz-

ni sono rare. Forse popolari erano Corbellario (PC, doc. 34, p. 71) e Vercellino Robolmo(Biscioni, 1/III, doc. 558, pp. 130-131), consoli nel 1210 e Giacomo Ferrario, console nel1219 (Acquisti, I, f. 41). Alberto Cagnola, segnalato come console nello stesso anno (ibi-dem), in realtà apparteneva alla famiglia dei Centorio, di origini popolari, ma ormai inte-grata per modelli di vita nella nobiltà cittadina (cfr. Appendice 1).

13 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 98-100; DEGRANDI, Artigiani nelVercellese cit., pp. 61-62. A conferma della vocazione aristocratica della società diSant’Eusebio è la composizione del suo primo consolato: i sei consoli - Uberto Carraria,Alisio De Benedetti, Flamengo Bigurracane, Giacomo di Giulio de Ugucione, MannaraScutario e Maifredo de Guidalardis - appartenevano tutti alla nobiltà vercellese che nonaveva aderito alla società di Santo Stefano (ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano,Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208).

14 Si guardi ai consolati ricoperti nel primo decennio dall’istituzione del governo pode-starile da Giacomo de Rugia, Ambrogio Cocorella, Federico de Cremona, AichinoSalimbene, Uberto di Saluggia e Giovanni Visconte, tutti iudices; nella piena età comunalela giustizia era invece amministrata in prevalenza da giudici senza rapporti con la credenzacittadina, provenienti dall’entourage dei podestà, tra cui si ricordano, tra secondo e terzodecennio del secolo, nel momento di maggiore maturità del governo podestarile, Maifredode Piperariis (ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 20 agosto 1218),Opizzone Salarius (ibidem, cartella XXIX, doc. in data 22 febbraio 1220), Passaguardo diMonticello (ibidem, doc. in data 6 agosto 1220), Martino de Caminato (DAC, doc. 91, p.128), Alberto Pasquale (ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 25novembre 1222), Ugo Clarus (ibidem, doc. in data 27 marzo 1223), Guido de Plonara (ibi-dem, doc. in data 18 ottobre 1223). Si può inoltre riscontrare il sempre maggiore rilievoassunto dalla figura dello “iudex et assessor”, cooptato all’interno della familia podestarile,a scapito dei consoli di giustizia. Dal 1228 un’influenza su questa magistratura dovette gio-care l’istituzione dell’università: significativo è, per esempio, che il comune nel 1240 avesseversato un salario di 50 lire di pavesi, forse proprio in pagamento dell’insegnamento, al doc-tor legum Guglielmo de Ferrario (Biscioni, 1/III, doc. 487, pp. 35-36). Egli l’anno successi-vo diede il proprio consilium nell’emanazione di una sentenza (ACV, Atti pubblici(Sentenze), cartella XXX, doc. in data 6 settembre 1241); lo stesso personaggio fu procura-tore del comune nel 1228 a Padova per l’istituzione dell’università (Biscioni, 1/III, doc. 513,pp. 69-74) e ambasciatore nel 1243 (Biscioni 1/I, doc. 87, p. 187). Sulla professionalizza-zione della politica comunale cfr. E. ARTIFONI, I podestà professionali e la fondazione retori-ca della politica comunale, in “Quaderni storici, 63 (1986), pp. 687-719.

15 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 61-62; E. ARTIFONI, Itinerari di potere econfigurazioni istituzionali a Vercelli nel secolo XIII, in Vercelli nel secolo XIII cit., pp. 263-278, con particolare riferimento alle pp. 273-274. Sul nesso tra istituzione del regime pode-starile e affermazione delle strutture societarie popolari e nobiliari, con conseguente com-

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zazione venne quindi ad accogliere in prevalenza le componentimagnatizie che allora cominciavano a delinearsi, caratterizzate daampi possessi nel contado16. È comunque opportuno sottolineareche l’obiettivo della nuova società non era tanto quello di conferi-re incarichi di prestigio agli esponenti delle discendenze eminentidell’antica aristocrazia consolare escluse dalla società di SantoStefano, in modo da rispondere alla loro volontà di affermazionefamiliare, quanto quello di portare avanti gli obiettivi politici diun intero raggruppamento sociale, quello nobiliare, all’interno delquale, sicuramente, le predette discendenze erano egemoni. Daquesto punto di vista, se si è visto che i processi nati dalla questio-ne dei beni comunali si accordavano con la situazione di instabi-lità istituzionale del primo decennio del XIII secolo, è possibileche essi siano stati uno stimolo alla chiarificazione ed alla coesio-ne dei due schieramenti.

L’associazione nobiliare assunse ad ogni modo fin dalle sueprime attestazioni una spiccata connotazione politica: del resto,come si è detto, essa si sviluppò in una fase istituzionale partico-larmente delicata. Le circostanze della sua creazione devono tutta-via essere vagliate con particolare cautela. Nel 1208 Innocenzo IIIaveva ricevuto “cum gratia […] et favore” il vercellese Ambrogio(forse Cocorella?), latore di una lettera dei consoli della società diSant’Eusebio. Il papa aveva risposto con un’epistola in cui inco-raggiava il mantenimento dei buoni propositi degli aderenti all’or-ganizzazione “ad honorem Dei, utilitatem Ecclesie”, auspicando ilraggiungimento della salvezza delle loro anime, “piis vestris operi-

plicazione del quadro politico cfr. ID., Tensioni sociali e istituzioni nel mondo comunale, inLa storia. Il Medioevo. 2. Popoli e strutture politiche, a cura di N. Tranfaglia e G. Firpo, Torino1986, pp. 460-491.

16 PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit., pp. 84-95. Per degli esempi si puòricorrere al caso dei De Benedetti – Burolo, che verrà illustrato in seguito, oppure a quellodei Passardo, famiglia che, salvo gli anni del fuoriuscitismo, continuò a fare riferimento allasocietà popolare: beccarii di professione e presenti fin dalle loro prime apparizioni nellasocietà di Santo Stefano (DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 71-72; 153-154), nel1207 furono coinvolti in un episodio di vendetta nei confronti di un messo del podestà, peril quale subirono un banno di 500 lire di pavesi (Acquisti, I, f. 31, fatto riportato da PANERO,Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 165). Guglielmo Passardo nel 1214 divenne castellanoper conto del comune a Torcello, località di grande importanza strategica (CartarioAlessandrino fino al 1300, a cura di F. Gasparolo, Torino 1930 (BSSS, 115), vol. II, doc.344, p. 207); Tommaso nel 1246 ricoprì il consolato di Sant’Eusebio (Biscioni, 2/I, doc.178, pp. 270-271). Per questa famiglia e per gli esiti magnatizi della società vercellese cfr.anche capitolo IV, pp. 168-174.

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bus provocatus”17. Anche se la corrispondenza con la curia roma-na non ebbe seguito, si può comunque evincere che la società pra-ticava probabilmente un’attività caritativa. Si può quindi iniziarea provare a formulare alcuni interrogativi sulla nascita dell’istitu-zione, destinati almeno per il momento a restare irrisolti. Si trat-tava di un’associazione nata a scopi assistenziali e in seguito chia-mata a ricoprire - forse per la buona fama conquistatasi presso lacittadinanza - incarichi all’interno dell’amministrazione comuna-le? Oppure si era essa strutturata fin dal principio come organiz-zazione nobiliare? In questo caso il tentativo di un raccordo con ilpontefice era stato forse ricercato per conseguire un solido ricono-scimento in grado di attribuire alla neonata associazione un ruolodi primo piano all’interno della politica urbana, paritario a quellosvolto dalla ben collaudata società di Santo Stefano18. Rimanecomunque in ombra come, posti la connotazione nobiliare dell’as-sociazione ed il suo ruolo nell’amministrazione civica, si svilup-passero le istanze religiose. In ogni caso la nascita della società diSant’Eusebio e l’accettazione definitiva del regime podestarilecontribuirono ad una maggiore stabilità istituzionale e, almenofino agli anni Trenta del secolo, ad un più solido equilibrio, i cuirisultati produssero, come abbiamo visto nel corso del primo capi-tolo, un compromesso sui beni collettivi e la fine dei processi chea lungo li avevano coinvolti19. La nuova stagione politica delcomune vercellese si basava sull’equa ripartizione degli uffici citta-dini tra le due associazioni. Esse erano parte integrante del gover-no comunale20: infatti, i consoli delle società erano presenti nella

17 Patrologiae cursus completus, tomo 215, Innocentii III Romani Pontificis opera omniatomis quatuor distributa, tomo 2, a cura di J.P. Migne, Parigi 1891, col. 1362. Il documen-to è citato anche da T. DESBONNETS, Dalla intuizione alla istituzione, Milano 1986, pp. 44-45. Ringrazio Francesco Mores per avermelo segnalato.

18 Su un raccordo tra nobiltà urbane e papato si basa l’analisi di J. KOENIG, Il «popolo»nell’Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna 1986.

19 Sul significato sociale dell’introduzione del regime podestarile e sulle sue caratteristi-che cfr. P. CAMMAROSANO, Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti nel corso del XIII secolo,in Magnati e popolani nell’Italia comunale. Quindicesimo convegno di studi del Centro italia-no di studi di storia e d’arte di Pistoia. Pistoia 15-18 maggio 1995, Pistoia 1997, pp.17-40.

20 Il rapporto tra governo comunale e società per Asti è stato oggetto dello studio di E.ARTIFONI, Una società di “popolo”. Modelli istituzionali, parentele, aggregazioni societarie e ter-ritoriali ad Asti nel XIII secolo, in “Studi Medievali”, 24 (1983), pp. 545-616. La pervasivaoccupazione degli spazi offerti dalla politica comunale da parte delle società cittadine è statariscontrata anche per il caso milanese, studiato da P. GRILLO, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001, pp. 457-458; 468-471.

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credenza21 e gli stessi servitori di Santo Stefano e di Sant’Eusebioerano pagati dall’erario urbano22.

Si verificò inoltre una riduzione degli incarichi che potevanoincidere sulle scelte di governo, che condusse ad una ridefinizionedelle strategie familiari e alla configurazione di nuovi “itinerari” dioccupazione del potere, sicché alcune discendenze decisero di uti-lizzare indifferentemente il consolato delle due organizzazionicome strumento di affermazione politica e sociale (è il caso deiCalvo, de Carengo, Carraria, Durio e Mangino)23. La cospicuapresenza di milites nell’associazione di Santo Stefano trova spiega-zione nel fatto che gli aristocratici rimasero un punto di riferimen-to naturale per la gestione della “cosa pubblica”: la loro opzioneper il popolo, quand’anche non fosse motivata da un’adesione aisuoi ideali, non si risolse quindi in un appiattimento dei valoriportati avanti dalle due società su una rigida ed opportunisticalogica di accaparramento degli apparati di potere. Infatti, una“idea che va sfatata è che il comune medievale non conosca il siste-ma della «rappresentanza»”24: Santo Stefano e Sant’Eusebio, comegià si è detto, rappresentavano fasce di popolazione e modelli divita differenti ed in nessun modo possono essere sovrapposte.

Più difficile spiegare con precisione i contenuti di tale contrap-posizione. Un’analisi prosopografica metterebbe in rilievo come,mentre in Sant’Eusebio le famiglie più rappresentate coincideva-

21 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 58, nota che le famiglie dei consoli dellasocietà partecipavano nello stesso tempo alla credenza; in alcune attestazioni gli stessi con-soli in carica sono citati assieme ai credenziari (Biscioni, 1/III, doc. 558, pp. 130-131 per il1210).

22 Statuta, 140, p. 106. Un ruolo amministrativo della società di Sant’Eusebio è desu-mibile anche da un atto del 1211, in cui una sentenza fu consegnata da Alberto deGaliciano, console di tale associazione (Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia diS. Andrea di Vercelli, Pergamene, doc. in data 1 dicembre 1211).

23 Per le partecipazioni ai consolati di Santo Stefano e di Sant’Eusebio da parte dei Calvoe dei de Carengo cfr. Appendice 1, mentre per quelle di Carraria e Durio v. Appendice 2.Buongiovanni Mangino fu console di Santo Stefano nel 1185 (Biscioni, 1/III, doc. 563, p.143), nel 1194 (PC, doc. 161, p. 241), nel 1197 (ibidem, doc. 116, p. 212), nel 1198(Biscioni 1/II, doc. 358, p. 263), nel 1202 (DAC, doc. 25, p. 45), nel 1206 (Acov,Pergamene, doc. in data 6 dicembre 1206), nel 1211 (PC, doc. 248, p. 280), nel 1213 (ibi-dem, doc. 256, p. 286) nel 1214 (ibidem, doc. 262, p. 290); Guglielmo, figlio diBuongiovanni (ASVc, Pergamene, doc. in data 9 febbraio 1224), resse invece il consolato diSant’Eusebio nel 1212 (PC, doc. 254, p. 284). Cfr. ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp.273-274; per un confronto con Asti v. ID., Una società di “popolo” cit.

24 PINI, Dal comune città – stato al comune ente amministrativo cit., p. 536. Su questoproblema cfr. anche le interessanti considerazioni di J.M. NAJEMY, The Dialogue of Power inFlorentine Politics, in City States in Classical Antiquity and Medieval Italy, a cura di A. Molho,K. Raaflaub, J. Emlen, Stoccarda 1991, pp. 269-280.

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no con la parte eminente della milizia cittadina, ossia quella lega-ta al vescovo, egemone all’interno dell’aristocrazia consolare neidecenni precedenti, in Santo Stefano si identificavano con presti-giose casate di milites, spesso altrettanto anticamente affermatesinelle magistrature urbane, tuttavia in relazioni meno strette con ilpresule e talora solo recentemente immigrate in città; per alcunedi esse, dedite anche ad attività mercantili (Calvo e Centorio, peresempio), è possibile che l’appoggio alla politica popolare rispon-desse anche a concreti interessi economici. Accanto a questi dueraggruppamenti, da una parte vi erano numerosi milites, che cer-cavano un’ascesa sociale e sentivano l’esigenza di una differenzia-zione dal populus e dalla sua linea politica. Dall’altra vi erano inve-ce casate più marcatamente popolari25. Usando molta cautela sipotrebbe quindi dire che nelle due organizzazioni, a fianco delladifesa degli interessi di alcuni raggruppamenti particolari, avevaluogo il contrasto tra milites e populus, la cui distinzione è forma-lizzata a Vercelli, nei documenti pervenutici, almeno dal 117826.

È tuttavia importante sottolineare che la storia della contrap-posizione tra le due società, come si è già osservato per SantoEusebio, non può essere ridotta all’analisi della differente estrazio-ne sociale dei rispettivi appartenenti, che del resto non sempre ècosì evidente: essa consisteva soprattutto nel confronto tra duediversi modi di intendere la politica cittadina, soprattutto relativa-mente a specifiche questioni, come la gestione dei beni comunalio le modalità di controllo del territorio. Al di là della diversa colo-ritura cetuale di Santo Stefano e di Sant’Eusebio, che, come già siè cercato di evidenziare, non era esclusiva, vi si esprimeva soprat-tutto un indirizzo popolare o nobiliare, solo mitigato dalla presen-za in entrambe di uno strato socialmente intermedio27. La pecu-liarità del caso vercellese nell’opposizione tra populus e milites risie-de anzitutto nell’essere riuscito il governo urbano a incanalare tale

25 Cfr. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 58-62 (cfr. anche la recensione fatta-ne da M. VALLERANI, in “BSBS”, 97 (1999), pp. 760-761); ARTIFONI, Itinerari di potere cit.,pp. 273-274. Per un profilo dei diversi orientamenti dell’aristocrazia urbana a cavallo tra XIIe XIII secolo cfr. anche A. BARBERO, L’aristocrazia vercellese, in Vercelli nel XII secolo cit. eRAO, Fra comune e marchese cit.

26 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 59. Anche gli statuti hanno lasciato testimo-nianza di questa contrapposizione: per esempio le multe venivano comminate in sommedifferenti in base all’essere o miles o pedo con un estimo oltre 50 lire di pavesi oppure pedocon estimo tra le 50 e le 20 lire di pavesi (Statuta, 37, pp. 40-42).

27 La presenza di tale strato intermedio è stata messa in luce da DEGRANDI, Artigiani nelVercellese cit., p. 62.

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rivalità in una dialettica pressoché esclusivamente istituzionale,almeno fino agli anni Trenta del secolo.

Peraltro anche le fondazioni ecclesiastiche non rimasero estra-nee a questa contrapposizione, pur mitigata dalla varietà e dallaspontaneità delle scelte devozionali28. È per esempio possibilericondurre, almeno per certi periodi la politica della canonica diS. Andrea ad ideali nobiliari29, mentre per l’ospedale di S.Bartolomeo più forte appare il rapporto con l’ambito popolare30.Vicina al populus era anche la “Societas scacorum” o “scacherio-rum”, un’ulteriore manifestazione del diffuso associazionismo chepervadeva la società vercellese di quegli anni31. Di essa sono rima-ste poche testimonianze comprese tra gli anni 1208 e 121832,senza che se ne possa capire la natura, se si trattasse cioè di unasocietà rionale, corporativa o forse sorta con altre finalità33. I con-soli dell’associazione presenti nella documentazione provenivanotuttavia da gruppi parentali di pedites o comunque legati all’orga-nizzazione di Santo Stefano: si trattava, infatti, di BuongiovanniBiandrate, Gilberto Guaitamalus, Nicola Caroso, Bartolomeo

28 L’ipotesi di rigide contrapposizioni in quest’ambito è stata smentita da G. FERRARIS,L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società, Vercelli 2003,pp. 58-70.

29 C.D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII eXIII, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale dell’Università Cattolica di Milano,Milano 1968, vol. I, pp. 207-262.

30 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 143; il ruolo politico delle chiese cittadineè stato messo in luce anche da J. KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord nel XIII secolo,Bologna 1986, pp. 233-287 e da A. RIGON, Il ruolo delle chiese locali nella lotta tra magnatie popolani, in Magnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 117-135.

31 Per il tessuto associativo vercellese cfr. ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp. 269-271,nonché le osservazioni di PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 95 e DEGRANDI,Artigiani nel Vercellese cit., pp. 142-144, che segnala l’esistenza della “Societas scacorum”.Essa fu verosimilmente soppressa prima del 1224 quando si vietò l’esistenza di società dif-ferenti da Santo Stefano e Sant’Eusebio e dai paratici (cfr. oltre, p. 102, nota 151).

32 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 7 febbraio 1216; ibidem,Atti privati, cartella XVII, doc. in data 6 gennaio 1217 e ibidem, cartella XVIII, doc. in data20 agosto 1218.

33 Dubbia l’interpretazione dei termini “scacum” e “scacherium”, qui più verosimilmen-te nell’accezione di scacchi e scacchiera, che di furto o depredazione o di scacchiere comestrumento di conto: la scacchiera è del resto ricorrente nell’araldica medievale ed è possibi-le che essa fosse disegnata sul gonfalone societario. Curioso il fatto che gli appartenentiall’organizzazione venissero designati come “scacherii” (ACV, Atti pubblici (Sentenze), car-tella XXVIII, doc. in data 7 febbraio 1216). Le sue attestazioni sono legate alla riscossionedi un credito di 50 lire di pavesi nei confronti di esponenti di una famiglia popolare,Rainaldo e Buongiovanni de Amalrico: Oddone de Salvano, Pietro Asigliano e lo stessoBuongiovanni avevano elargito a nome della società tale somma a Rainaldo nel 1216.

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Calvo, Guglielmo de Alaria, Giacomo Cavagliasca e Giovanni diRufino34. L’appartenenza a tale società di casate di ascendenzamilitare che guidavano il popolo avvalora l’ipotesi dell’esistenzatra di esse di rapporti di solidarietà e forse addirittura dell’adesio-ne a comuni ideali. Ciò è confermato anche da un episodio veri-ficatosi nel 1219: nel settembre di quell’anno i signori di Bagnolotrattarono con il comune la liberazione di alcuni Vercellesi da lorocatturati mentre si recavano in pellegrinaggio a S. Maria diBecetto35. Tra coloro che erano stati fatti prigionieri, la maggiorparte, Tetavegia, de Tronzano, de Tholeo e Speciarius, era legata allasocietà di Santo Stefano36.

La contrapposizione tra le due società è verificabile anche da unatto del 1214, in cui il podestà prestò una casa nella vicinia di S.Michele, acquistata pochi giorni prima37, alla società diSant’Eusebio, per adeguare quest’ultima ai privilegi di cui già frui-va quella di Santo Stefano. Il documento specificava tra l’altro chese l’organizzazione popolare avesse lasciato la domus affidatale, lostesso avrebbe dovuto fare l’associazione nobiliare38: la clausolavenne ribadita anche negli statuti39. Se appare evidente la preoc-cupazione del rettore urbano acciocché le due società godessero

34 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 6 gennaio 1217. Sullefamiglie dei Calvo, dei Caroso, dei Cavagliasca e dei Biandrate cfr. Appendice 2. IGuaitamalus erano un gruppo parentale popolare; un loro esponente fu console di SantoStefano nel 1224 (Le carte dello archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, a cura di F. Gabotto,Pinerolo 1900 (BSSS, 5), vol. I, doc. 115, p. 161). Gilberto era inoltre credenziario quellostesso anno (Carte valsesiane fino al secolo XV conservate negli archivi pubblici, a cura di C.G.Mor, Torino 1933 (BSSS, 124), doc. 28, pp. 63-68). Appartenevano a Santo Stefano anchei de Alaria, che si fregiarono di alcune presenze nella credenza cittadina (Ottobono de Alariafu più volte credenziere tra il 1208 ed il 1221): in una lite tra Buongiovanni de Alaria e ilcapitolo di S. Eusebio, il primo ricevette la condanna dei consoli della società (Le carte delloarchivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi e F. Gabotto, Pinerolo 1914 (BSSS, 71),vol. II, doc. 598, pp. 361-362), forse ad indicare una capacità giurisdizionale dell’associa-zione su un suo appartenente. Popolare, probabilmente, era Giovanni di Ruffino per il qualenon è stata rinvenuta alcuna informazione. Anche il sindaco chiamato a rappresentare lasocietà, Ottone Vaetus, proveniva da una casata popolare, spesso rappresentata nei consigliurbani di quegli anni.

35 Carte inedite o sparse dei signori e luoghi del Pinerolese fino al 1300, a cura di B. Baudidi Vesme, E. Durando, F. Gabotto, Pinerolo 1900 (BSSS, 3/2), doc. 98, pp. 281-284.

36 Carte inedite o sparse dei signori e luoghi del Pinerolese cit., doc. 98, pp. 281-284. Eranopresenti anche Giacomo de Liburno, legato invece alla società di Sant’Eusebio, Martino deBugella e altri due popolari che parteciparono alle credenze di quegli anni: PellegrinoCoparius e Ferrarotus.

37 Biscioni, 1/II, doc. 214, pp. 57-58.38 Acquisti, I, f. 10.39 Statuta, 333, p. 232.

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delle stesse prerogative, la loro autonoma capacità di decisione e lavolontà di Sant’Eusebio di recuperare uno svantaggio nei confron-ti della più antica e forse meglio strutturata Santo Stefano deno-tano la loro differente identità e un clima di contrapposizione.

Di questo sistema, caratterizzato da una regolata rivalità tra ledue organizzazioni, che nella prassi arrivarono a spartirsi gli ufficicomunali40, beneficiarono anche i communia: di essi si inaugurò -forse agevolata dal periodo di espansione nel contado che fece dacollante per la cittadinanza41 - una gestione ordinata. Vi parteci-parono sia il partito popolare, sia quello dei milites, vigili nei con-fronti di un settore che per anni aveva travagliato la vita urbana eche ora costituiva un consistente cespite d’entrata per le finanzepubbliche.

2. Il governo podestarile e la razionalizzazione della gestione dellecomunanze

Una volta terminati i processi, la maggior parte delle isole edelle molte vercellesi si era ritrovata nelle mani dei precedenti pos-sessori: essi pur versando un esiguo fitto, a causa anche della natu-ra poco produttiva dei terreni42, continuavano a disporre libera-mente dei fondi. Ai governi podestarili spettò dunque il compitodi procedere a poche nuove investiture e di riuscire a tenere saldoil controllo su appezzamenti che variavano facilmente con i diffe-renti regimi idrici del Cervo e della Sesia, evitando che si perdes-se il ricordo della proprietà comunale a vantaggio dei concessio-nari.

Tra le non molte locazioni ex novo sopravvissute, ne sembrasignificativa una avvenuta nel 1210, inerente a due moggi diun’isola che Provino de Ingoardis, allora podestà, diede, dietro cor-responsione di un affitto di due staia e di una mina di segale, aGiovanni Calza e a Carlevarius, immigrato da Arborio, “qui servi-tor est”43: nello scegliere di affidare i suoi possessi a personaggi diumile estrazione sociale, di cui uno neppure vercellese di origine,

40 Una normativa statutaria relativa all’anno 1242 assegnava alle due società la spartizio-ne degli incarichi (Statuta, 427, pp. 302-303).

41 PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit., pp. 73-85.42 F. PANERO, Terre in concessione, Bologna 1984, pp. 75-76.43 PC, doc. 99, p. 185.

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il comune volle cercare una controparte malleabile ed evitare ilrischio di avere sui propri fondi individui nobili o potenti, più dif-ficili da affrontare in caso di controversie.

Ad un tentativo di razionalizzazione occorre ricondurre unordinamento emanato dal podestà Provino de Ingoardis, che nel1219 decretò che “de facto comunium inquirendorum vel ad fic-tum dandorum et super facto ipsorum communium” si attendes-se ad ogni cosa decisa dallo stesso rettore cittadino con il consen-so della maggior parte dei consoli di giustizia e delle due società econ l’approvazione dei procuratori dei comunia44. Nella medesimaoccasione egli affidò a Pietro Biandrate e a Guala Carraria, procu-ratores comunium, l’incarico di inquisire le insulae e le molte delcomune e di darle in concessione a coloro che avevano possessiconfinanti; essi si dovevano inoltre impegnare a stimare ogni cin-que anni le proprietà e a modificare i fitti a seconda di quanto rile-vato, evidentemente tenendo conto dei cambiamenti intervenuti,frequenti nel caso di terreni insulari45.

Chiara è la condotta del governo urbano: le comunanze dove-vano essere individuate e date in affitto; tali operazioni erano rego-late dal podestà, dai consoli di giustizia e dai consoli delle società,che rappresentavano i partiti cittadini e che, abbiamo visto, eranolegati alla credenza. Dall’atto si può inoltre evincere la volontà delcomune di mantenere un controllo costante ed accurato sui benidi sua proprietà, che prevedesse ogni eventualità: venivano stabili-ti accertamenti quinquennali che giungessero a rendere conto del-l’intervento di qualsivoglia mutamento nei confini dei terreni, siemanavano disposizioni sui fitti, che, pur essendo contenuti, nonerano simbolici, poiché se ne prevedeva una variazione diretta-mente proporzionale all’aumento della superficie; infine si decide-va chi dovessero essere gli investiti. La scelta di assegnare le isolefluviali ai confinanti è facilmente comprensibile, poiché la creazio-ne di possessi più compatti poteva garantire una migliore gestionedei fondi; del resto già nel 1204 si era stabilito che i beni comu-nali che non potevano essere recuperati, se non con massimodanno, fossero attribuiti ai coherentes46. Le regolari inchieste effet-tuate sia in relazione alle isole fluviali del Cervo e della Sesia, sia

44 Acquisti, I, f. 41.45 Acquisti, I, f. 41: “solvendo fictum et addendo et diminuendo pro rata secundum

quod de illis additum vel diminutum requiratur”.46 Cfr. capitolo 1, p. 69.

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per i fondi di Trino e di Tricerro, avevano poi la funzione di tene-re vivo il senso della proprietà comunale e, implicando il rinnovodell’investitura, di riparare dal rischio di usurpazioni e di accapar-ramenti. L’amministrazione civica era quindi riuscita ad esercitareuna rigorosa supervisione su tutti gli episodi inerenti alle comu-nanze, malgrado gli antichi detentori ne avessero conservato nellamaggioranza dei casi il possesso: in un processo del 1225, giàmenzionato nel corso del primo capitolo, tra Ottone Gambarutoed il capitolo di S. Eusebio per un’isola a Oldenico, furono i con-soli a procedere all’elezione di un rappresentante di Ottone nellacausa, scelto nella persona di un ex procurator comunium47.

L’attenzione prestata dal comune podestarile nei confronti deibeni comunali trova riscontro nella scrittura dei tre libri iuriumvercellesi, concepiti contestualmente negli anni ’20 del XIII seco-lo. Già Laura Baietto ha osservato come “censimenti e redistribu-zioni dei beni comuni” rientrino tra le principali tipologie ogget-to della produzione documentaria delle città piemontesi tra la finedel XII secolo e i primi venti anni del XIII48. Ai fini del nostrodiscorso è interessante rilevare come gli atti relativi ai beni comu-nali inseriti nei Pacta et conventiones facessero parte di specificiquaterni comunium, come li definiscono i notai redattori delliber49. Il cosiddetto Libro delle investiture - il più recente dei tre,redatto fra il 1221 e il 1223 - venne addirittura programmato spe-cificamente per la raccolta degli atti di locazione dei beni comu-nali, in particolare di quelli collocati a Trino e Tricerro50. I rettori

47 ACV, Atti privati, cartella XXII, doc. in data 25 aprile 1225. Non si specificò qualiconsoli avessero proceduto all’elezione, anche se è verosimile che fossero i consoli di giustizia.

48 L. BAIETTO, La politica documentaria dei comuni piemontesi fra i secoli XII e XIII, in“BSBS”, 98 (2000), pp. 105-165, riedito in “Reti Medievali”, da cui si trae la citazione (p.12). Sulla redazione dei libri iurium vercellesi cfr. A. DEGRANDI, I libri iurium duecenteschidel comune di Vercelli, in Comuni e memoria storica. Alle origini del comune di Genova (Attidel convegno di studi, Genova, 24-26 settembre 2001), Genova 2003, pp. 131-148 e ID.,I libri iurium vercellesi nella prima metà del Duecento: prassi redazionale e finalità politiche,in «Libri iurium» e organizzazione del territorio in Piemonte (secoli XII-XVI), a cura di P.Grillo e F. Panero, “Bollettino della Società per gli studi archeologici ed artistici della pro-vincia di Cuneo”, 128 (2003), pp. 37-49. Per le modalità di registrazione per iscritto deibeni comunali un confronto può essere istituito con il caso di Brescia (R. RAO, Beni comu-nali e governo del territorio nel Liber potheris di Brescia, in Contado e città in dialogo. Comuniurbani e comunità rurali nella Lombardia medievale, a cura di L. Chiappa Mauri, Milano2003, pp. 171-199, qui alle pp. 187-189).

49 PC, doc. 60, p. 133 n.50 L. BAIETTO, Elaborazione di sistemi documentari e trasformazioni politiche nei comuni

piemontesi (secolo XIII): una relazione di circolarità, in “Società e storia”, 98 (2002), pp. 645-679, qui a p. 654.

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vercellesi sentivano dunque l’esigenza del potenziamento dellescritture atte alla conservazione della memoria, ma anche allagestione dei comunia, concepiti ormai come un settore ben deli-neato all’interno dell’amministrazione comunale. Le scritturededicate ai comunia vennero ulteriormente potenziate dopo il1224 con la creazione di almeno tre nuovi libri, o forse fascicoli,uno, attestato nel 1229, relativo ai fitti del comune, un altro,documentato nel 1230, riguardante una ricognizione sui benicomuni; l’ultimo, del 1240, contenente la lista dei beni mobili edimmobili del governo urbano51.

Ad una cura meticolosa del patrimonio da parte del governocittadino fece riscontro l’inserimento del suo utilizzo nella piùampia pianificazione economica del comune: il tentativo diinstaurare un controllo capillare sui comunia fu parte integrante diun progetto attuato dalle autorità urbane volto a valorizzare tuttele risorse a disposizione. Lo sviluppo dell’istituzione comunale edei suoi uffici, il consolidamento del distretto52, la fondazione diborghi franchi53, nonché le numerose azioni belliche intraprese54

avevano esasperato le esigenze finanziarie: lo sfruttamento dellecomunanze fu quindi solo uno degli strumenti, accanto al ricorsoa mutui forzosi55 o all’esazione del fodro e dell’estimo56, per paga-re i debiti che venivano a gravare sull’amministrazione pubblica.Infatti, se, come si è visto nel corso del primo capitolo, almeno dal1204 il comune faceva regolare ricorso al prestito, sempre più

51 BAIETTO, Elaborazione di sistemi documentari cit., p. 660. Cfr. inoltre capitolo IV,pp. 164-165.

52 V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1857-1861, vol. I, pp. 38-170; PANERO, I borghi franchi del comune di Vercelli cit., pp. 45-53; ID., Particolarismo ed esi-genze comunitarie cit., pp. 73-84.

53 ID., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale cit. 54 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. I, pp. 38-170; cfr. inoltre A.A. SETTIA,

L’esercito comunale vercellese del secolo XIII: armamento e tecniche di combattimento nell’Italiaoccidentale, in Vercelli nel XIII secolo cit., pp. 327-355.

55 Una norma statutaria vincolava il ricorso a prestiti forzosi al consenso della credenza(Statuta, 229, p. 170); v. anche MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, pp. 97-108.

56 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, pp. 94-118; la prima menzione dell’esti-mo vercellese va fatta risalire al 1228 (al riguardo cfr. le osservazioni fatte dal Mandelli inStatuta, p. 241, nonché P. LÜTKE WESTHUES, in collaborazione con P. KOCH, Die kommu-nale Wermögenssteuer (“Estimo”) im 13. Jahrhundert. Rekostruktion und Analyse des Verfahrensin Kommunales Schriftug in Oberitalien. Formen, Funktionen, Uberlieferung, a cura di H.Keller e T. Behrmann, München 1995, pp. 149-188); con solide argomentazioni LauraBaietto, che prende in esame il sistema di registrazione dell‘estimo, propone un antecipazio-ne di almeno alcuni anni (BAIETTO, Elaborazione di sistemi documentari cit., pp. 660-663).Cfr. inoltre capitolo IV, pp. 177-179.

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numerosi divennero i suoi creditori in piena età podestarile – cit-tadini vercellesi come Mancoldus de Stripiana57, PietroBiandrate58, già incontrato tra i procuratores comunium, e RobertoAvogadro59, ma anche forestieri, come i Mandelli di Milano60 e iSili di Torino61 – e sempre più difficile il loro pagamento.

Per altro verso è possibile ipotizzare che il comune urbano,interessato da un forte incremento demografico tra la fine del XIIe i primi decenni del XIII secolo62, fosse in grado di avvantaggiar-si dell’utilizzo delle sue proprietà fondiarie al fine di soddisfare,almeno parzialmente, le necessità annonarie della città. Le esigen-ze di derrate, infatti, erano mitigate soltanto dalla conformazionepedologica del territorio vercellese, pianeggiante e fertile, sicché lenormative statutarie relative al commercio dei grani - salvo alcunedisposizioni che prevedevano lo smercio delle eccedenze al di fuoridel distretto cittadino durante le buone annate, in determinatiperiodi dell’anno63 - praticavano la tradizionale politica protezio-nistica nei confronti delle esportazioni: in questo modo ci si vole-va tutelare dai rischi di carestia64. Anche a Vercelli esisteva dunqueuna pianificazione dell’approvvigionamento volta a sopperire ai

57 Acquisti, I, f. 56 (doc. in data 30 dicembre 1220).58 Nel 1219, lo stesso anno in cui ricoprì l’incarico di procuratore, Pietro era creditore

dell’amministrazione civica per 128 lire di pavesi (Appendice 2).59 Biscioni, 1/III, doc. 562, pp. 142-143.60 PC, doc. 387, p. 375; docc. 391-292, pp. 377-378. Al riguardo v. GRILLO, Milano in

età comunale cit., p. 261.61 Biscioni, 1/III, doc. 562, pp. 142-143. A proposito di questa famiglia e della loro atti-

vità feneratizia a Vercelli cfr. oltre, pp. 160-161.62 G. GULLINO, Inurbamenti ed espansione urbana a Vercelli tra XII e XIII secolo, in

Vercelli nel XIII secolo cit., pp. 279-320, con particolare riferimento alle pp. 293-298; ID.,Uomini e spazio urbano. L’evoluzione topografica di Vercelli tra X e XIII secolo, Vercelli 1987,pp. 209-213; F. PANERO, L’inurbamento delle popolazioni rurali e la politica territoriale edemografica dei comuni piemontesi nei secoli XII e XIII, in Demografia e società nell’Italiamedievale. Secoli IX-XIV, a cura di R. Comba e I. Naso, Cuneo 1994, pp. 401-440.

63 Statuta, 295, pp. 209-210. Sulle politiche annonarie v. F. BOCCHI, Una campagna perla città: la politica annonaria delle città emiliane nel Medioevo, in “Annali dell’Istituto «AlcideCervi»”, 7 (1985), pp. 65-88 e M. DREWNIOK, Die Organisation der Lebensmittelversorgungin Novara im Spiegel der Kommunalstatuten des 13. Jahrhunderts, in Kommunales Schriftug inOberitalien cit., pp. 189-215. Essenziale rimane il lavoro di H.C. PEYER, Zur Getreidepolitikoberitalienischer Städte im 13. Jahrhundert, Zurigo 1949.

64 Statuta, 290, pp. 207-208; 298, pp. 212-213; 330, p. 231. Recenti messe a punto sto-riografiche sul problema sono contenute, assieme ad un’ampia bibliografia in G. PINTO,Città e spazi economici nell’Italia comunale, Bologna 1996, pp. 77-96 ed in J.-C. MAIREVIGUEUR, Les rapports ville-campagne dans l’Italie communale: pour une revision des problè-mes, in La ville, la bourgeoisie et la genèse de l’état moderne (XII-XVIII siècle), a cura di N.Bulst e J.-Ph. Genet, Parigi 1988, pp. 21-34; si rimanda inoltre ai classici studi di E. FIUMI,Sui rapporti economici tra città e contado nell’età comunale, in “Archivio storico italiano”, 114

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bisogni di una popolazione in crescita, gravata dal 1228 dalla pre-senza dell’università, che imponeva al comune la fornitura di1000 moggi di grano da vendere agli studenti al prezzo di acqui-sto: proprio l’instaurazione in città dello Studio portò ad un ina-sprimento delle misure statutarie relative all’annona e ad una cre-scita delle esigenze cerealicole65. L’amministrazione urbana viprovvide comprando derrate che venivano fatte confluire nel gra-naio pubblico66, la cui costituzione è forse il segno più evidentedella progettualità del comune vercellese in questo settore.

Se si eccettuano i divieti all’esportazione dei prodotti alimenta-ri, non è giunta testimonianza degli espedienti escogitati dalleautorità cittadine per rispondere a tale domanda67, ma è possibileche anche a questa funzione, seppur non primaria, si siano adat-tati i beni comunali, per mezzo delle ampie pianure di Trino, delleopere di bonifica del mezzano del Cervo68 e di alcuni canoni ver-sati in natura per i terreni del suburbio69.

(1956), pp. 18-68 e di U. GUALAZZINI, Aspetti giuridici della politica frumentaria deiComuni nel Medioevo, in Scritti in memoria di S. Mochi Onory, Milano 1958, pp. 371-394.L’estensione del divieto di esportazione dei grani in relazione alla politica annonaria comu-nale è ricordato anche in P. RACINE, Poteri medievali e percorsi fluviali nell’Italia padana, in“Quaderni storici”, 61 (1986), pp. 9-32, con particolare riferimento a p. 25. Per una messain connessione delle politiche annonarie con il problema del patrimonio comunale cfr. inve-ce G. MIRA, Il fabbisogno di cereali in Perugia e nel suo contado nei secoli XIII-XIV, in Studiin onore di Armando Sapori, Milano 1957, pp. 505-517.

65 PEYER, Zur Getreidepolitik cit., pp. 39-40.66 L’attestazione è contenuta nel documento relativo alla fondazione dell’università,

avvenuta nel 1228, in cui il comune si impegnò a tenere nella caneva comunis 500 moggi difrumento e 500 di segale che sarebbero stati venduti solo agli studenti al prezzo di acquisto(Biscioni, 1/III, doc. 513, pp. 69-74). Al riguardo cfr. anche R. ORDANO, L’istituzione dellostudio di Vercelli, in L’università di Vercelli nel Medioevo cit., pp. 167-204, con particolareriferimento alle pp. 180; 188 e A.I. PINI, “Auri argentique talenta huc ferimus dites”: i risvol-ti economici della presenza universitaria nella città medievale, ibidem, pp. 205-225, con par-ticolare riferimento a p. 216. Uno studio sul controllo dei comuni sulla produzione anno-naria è stato eseguito da S. COLLODO, Il sistema annonario delle città venete: da pubblica uti-lità a servizio sociale (secoli XIII-XVI), in Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV,Pistoia 1990, pp. 383-415.

67 Non si può sapere se, per esempio, l’approvvigionamento dei grani rientrasse nel siste-ma fiscale cittadino; al riguardo cfr. L. CHIAPPA MAURI, Una impositio blave del 1259 inLomellina, in “Acme, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi diMilano”, 28 (1975), pp. 115-171 e COLLODO, Il sistema annonario cit.

68 Sul valore delle bonifiche comunali all’interno delle politiche annonarie cfr. A.CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria nell’Italia comunale. La bonifica della “paluscomunis Verone,, (1194-1199), in “Studi medievali”, 15 (1974), pp. 363-481.

69 Per esempio PC, doc. 99, p. 185 ed i fitti pagati per gli appezzamenti del mezzanodel Cervo, su cui ci si soffermerà in seguito.

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3. Una magistratura per i beni comunali

Già nel 1204 abbiamo visto operante una magistratura costi-tuita al fine di gestire le comunanze: per quell’anno sono testimo-niati alcuni “extimatores comunium”, anche se la loro comparsava probabilmente fatta risalire alla fine del XII secolo70. Nel perio-do del trapasso dal consolato alla definitiva fissazione del regimepodestarile costoro sono attestati con continuità, ad indicare chel’ufficio comunale si era ormai affermato: nel 1207 Faxa,Giacomo Leffo e Nicolino de Montenario, furono incaricati didare in concessione alcuni terreni dell’isola Forcalda; lo stessoFaxa, su ordine dei consoli, mise in possesso degli appezzamentigli affittuari designati71. Nel 1208 il podestà Alberto Mandelliassegnò in locazione a Ottone Baiguerius e ai fratelli della Torrerispettivamente 11 staia e cinque moggi di prato, stimati daAlberto Scogia e Bartolomeo Musso, “extimatores comunium”72.

A questa magistratura era dunque attribuito il compito di sti-mare i terreni che il comune voleva concedere in locazione e dideterminarne conseguentemente il canone, mentre ai consoli o alpodestà era conferita l’autorità di dare luogo alle investiture. Laloro presenza in questo periodo appare legata a casi controversi, incui si richiedeva la necessità di una misurazione, mentre più spes-so, ad occuparsi della gestione delle comunanze, erano diretta-mente i rettori cittadini.

Le competenze degli estimatori in piena età podestarile venne-ro rilevate da procuratori con più ampi poteri: nel 1218 Manuelede Carengo e Corrado Rifferio, “procuratores super facto comu-nium”, investirono Pietro Marena di un appezzamento a Trino, inpresenza del podestà del luogo73. Già nel 1211 Maifredo deGuidalardis è però attestato assieme a Giacomo de Ast come “pro-curator constitutus a potestate Vercellarum super his que comuneVercellarum habet in loco Tridini”74. Il passaggio dagli estimatoriai procuratori delle comunanze fu dunque precoce, proprio neiprimi anni dalla stabilizzazione del regime podestarile, e si inserìin un generale processo di potenziamento degli uffici pubblici e di

70 Cfr. capitolo I, pp. 67-72.71 Biscioni, 2/I, docc. 200-201, pp. 296-298.72 Biscioni, 2/I, docc. 202-203, pp. 298-300. 73 Biscioni, 2/II, doc. 320, pp. 127-128.74 Acquisti, I, f. 41.

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sviluppo delle istituzioni cittadine: non è casuale che a questoperiodo, oltre alla creazione della società di Sant’Eusebio, risalgaforse anche la prima redazione degli statuti75.

La nomina di procuratori era usuale in età podestarile e il ret-tore urbano se ne serviva per le incombenze cui non poteva atten-dere personalmente; si trattava di un incarico prestigioso, checomportava ampie responsabilità, tanto che una normativa statu-taria del 1224 prevedeva che i procuratori, come i castellani e ipodestà locali, dovessero aspettare cinque anni prima di poteressere rieletti76. Essi avevano a disposizione una camera “subtuspalacium vel alibi in broleto”, dove dovevano recarsi ogni giornoper occuparsi del loro ufficio, erano vincolati da severe norme chene controllavano la condotta e la spesa del denaro pubblico e face-vano redigere gli atti da loro emanati su un apposito liber procura-toris77. La creazione di una magistratura per i beni civici avvenneperò quando si scelse di attribuire ai procuratori comunali unospecifico incarico inerente al patrimonio; tale incarico veniva isti-tuito dal podestà con l’approvazione della credenza per risolverequestioni particolari, le quali richiedevano un’assidua attenzioneche egli non poteva garantire. Le inchieste sulle comunanze e illoro affitto - in special modo di quelle di Trino, distanti dalla città- erano i casi più ricorrenti, che del resto imponevano un’elezionepressoché continua di procuratori. Il loro ruolo veniva dunquestabilito al momento della nomina ed era specificato nel manda-

75 BAIETTO, La politica documentaria dei comuni piemontesi cit.; P. KOCH, DieStatutengesetzgebung der Kommune Vercelli in 13. Und 14. Jahrhundert. Untersuchungen zurKodkologie, Genese und Benutzung der überlieferten Handschriften, Frankfurt am Main 1995.Sul nesso tra scritture e maturazione istituzionale del comune cfr. H. KELLER, Gli statutidell’Italia settentrionale come testimonianza e fonte per il processo di affermazione della scrittu-ra nei secoli XII e XIII, in Le scritture del comune. Amministrazione e memoria nelle città deisecoli XII e XIII, a cura di G. Albini, Torino 1998, pp. 61-94, che offre suggerimenti anchesul caso vercellese e P. CAMMAROSANO, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scrit-te, Roma 1991, pp. 136-144. Sullo sviluppo degli uffici comunali in età podestarile v. S.COLLODO, Ceti e cittadinanze nei comuni della pianura veneta durante il secolo XIII, inMagnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 313-346; G. TAMBA, Note per una diploma-tica del Registro Grosso, il primo «liber iurium» bolognese, in AA.VV., Studi in memoria diGiovanni Cassandro, Roma 1991, vol. III, pp. 1033-1048; W.M. BOWSKY, Le finanze delcomune di Siena. 1287-1355, Firenze 1976, pp. 1-20. Il periodo podestarile a Vercelli videla comparsa di numerosi nuovi uffici, tra i quali si ricordano, oltre ai notai comunali, gliinquisitori dei banditi e dei loro beni (ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 1 genna-io 1222) ed i “collectores” e “taliatores” del fodro (ibidem, doc. in data 25 aprile 1218;Investiture, II, f. 106, doc. relativo all’anno 1227).

76 Statuta, 124, pp. 97-99.77 Statuta, 358, pp. 253-256, norma relativa all’anno 1232.

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to: “ad terras comuni Vercellarum in Tridino et Tribus Cerris eteorum territorio apertas inquirendas”78, “ad dandum terras et sedi-mina hominibus habitantibus in Tribus Cerris et Tridino”79 eranoalcune delle incombenze affidate ai procuratori.

La terminologia utilizzata per designare questi ufficiali manten-ne tuttavia una certa varietà, ricorrendo sia all’espressione di pro-curator comunium, sia a quella più generica di procurator comunis,con specificazione dell’incarico (l’affitto delle comunanze di Trinoo di quelle vercellesi, l’inchiesta su terreni pubblici) conferito dalpodestà e dalla credenza80: l’ufficio comunale aveva assunto unagrande importanza, tuttavia il suo ruolo continuava ad essere flui-do e ad adattarsi di volta in volta alle esigenze dell’amministrazio-ne cittadina. Ad ogni modo in piena età podestarile la magistratu-ra si impose, sicché durante i quasi venti anni intercorsi dalla defi-nitiva affermazione del regime podestarile al 1229 si assistetteall’elezione di numerosi procuratori, cui fu affidata la cura deibeni comunali: Maifredo de Guidalardis e Giacomo di Ast nel121181, Corrado Rifferio e Manuele de Carengo nel 121882, PietroBiandrate e Guala Carraria nel 121983, ancora Pietro Biandrate eGilio de Guidalardis, Giovanni di Alisio e Uguccione Tetavegiaprima del 122084, Mantello Balzola e Nicola Garbagna nel 122085,Buongiovanni Carraria e Zenoardo de Carengo alla fine dello stes-so anno86, Uguccione Bondoni nel 122587, Pietro Biandrate eAlberto Bondoni nel 1225 e nel 122688, Alberto Avogadro semprenel 122689.

Le numerose menzioni rinvenute dimostrano sia che l’ufficio siera affermato come strumento privilegiato per la cura dei beni

78 Investiture, I, f. 45.79 Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120.80 Talora anche per i procuratori in carica in uno stesso anno si assisteva ad un cambia-

mento di terminologia da atto ad atto: per esempio in Acquisti, I, f. 41 Pietro Biandrate eGuala Carraria vennero definiti “procuratores comunium ut debeant inquirere insulas etmoltas comunis et comuni retinere”, in Investiture, I, f. 55, genericamente “procuratorescomunis”.

81 Acquisti, I, f. 41.82 PC, doc. 302, p. 313.83 Acquisti, I, f. 41.84 Investiture, f. 56; 67.85 Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120.86 Investiture, I, f. 45.87 Biscioni, 2/II, doc. 286, p. 88.88 Biscioni, 1/III, doc. 465, pp. 9-10; Biscioni, 2/II, doc. 362, p. 172.89 Biscioni, 1/III, doc. 489, p. 38.

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comunali, sia l’attenzione rivolta dal governo cittadino a questosettore, di cui era ormai definitivamente mutata la concezione: ingestione ai procuratores comunium venivano assegnati, oltre agliantichi pascoli suburbani, i terreni fluviali, il mercato delle case, ifondi dei borghi franchi e quelli dei castelli amministrati diretta-mente. Si trattava dunque di una magistratura con ampie compe-tenze, divenuta ormai ricorrente per la conduzione di un ramo cheveniva sentito come dotato di una sua autonomia all’interno dellefinanze pubbliche. Negli anni tra il 1218 ed il 1220 essa giunseanche ad assumere una certa stabilità e a superare il suo caratterestraordinario: nel 1218 sono attestati con continuità da aprile anovembre gli interventi dei procuratori Manuele de Carengo eCorrado Rifferio nei confronti del patrimonio civico90; nel 1220,da maggio a ottobre, si ha menzione di quelli di Mantello Balzolae Nicola Garbagna91. Dal dicembre del 1220 alla fine del 1221operarono invece Zenoardo de Carengo e BuongiovanniCarraria92, in ottemperanza ad un mandato evidentemente dilunga durata.

Ciò nonostante il ruolo dei procuratori poteva sovrapporsifacilmente a quello di altre autorità, poiché a costoro poteva sem-pre sostituirsi il podestà vercellese o un’altra figura da lui incarica-ta: gli uffici comunali nella prima metà del Duecento mantenne-ro dunque una certa indeterminazione. Infatti, nel novembre1211 il podestà Uberto Vialta trasferì ad Alberto Tetavegia, pode-stà di Trino, il compito, che ad aprile era stato attribuito ai procu-ratori93, di assegnare in locazione i fondi di quella località; la deci-sione venne confermata nel 1212 e nel 1213 da BertramoLampugnani94. Nel 1222 fu invece il rettore cittadino UgoPraellono a investire gli abitanti di Tricerro dei comunia; tra i testi-moni figurava Mantello Balzola, procuratore dei beni comunalinel 122095. Anche nel 1225 i possessi vercellesi a Tricerro venne-

90 Cfr. per esempio PC, doc. 302, p. 313 e Investiture, I, f. 37.91 Cfr. per esempio Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120 e DAC, doc. 88, p. 114.92 Investiture, I, f. 33; 45.93 Acquisti, I, f. 41.94 PC, doc. 107, p. 196 per il 1211; ibidem, doc. 109, pp. 198-201 per il 1212;

Investiture, I, f. 39 per il 1213: “Cum dominus Albertus Tetavegia potestas Tridini foretnuncius constitutus a domino Bertramo de Lampugnano Vercellense potestate […] ad dan-das terras et sedimina in Tridino et curte Tridini hominibus habitantibus in predicto loco”.

95 Gli atti sono reperibili in Biscioni, 2/II, docc. 288-296, pp. 90-100; docc. 298-306,pp. 102-112; docc. 309-313, pp. 114-119; docc. 343-344, pp. 173-175; molti dei quali conla data errata relativa al 1221.

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ro dati in concessione dal podestà, tuttavia in presenza diUguccione Bondoni, procurator comunis; non è chiaro però se l’uf-ficio di Uguccione fosse legato alla gestione delle comunanze96. Inalcuni casi era invece il chiavaro ad entrare in competizione con iprocuratores comunium: se la locazione dei mulini di Trino nel1226 fu fatta dal podestà, con procuratore e chiavaro come astan-ti97, tre anni dopo fu quest’ultimo a rinnovarla98. Inoltre talora ilgoverno urbano preferiva avvalersi, per situazioni eccezionali, dialtre figure: è questo il caso di Giovanni de Rugia e di Federico deCremona, indicati come “iudices electi a domino Guillelmo deMandello potestate, a parte et nomine comunis Vercellarum,super facto terrarum et sediminum pertinencium comuniVercellarum et reiacencium in Tridino et eius curte et territorio, etin Tribus Cerris et eius territorio, videlicet in condampnandis illisqui iniuste tenebant et absolvendis qui iuste tenebant”99. A costo-ro, pur ricoprendo una funzione simile a quella dei procuratoridelle comunanze, era affidato lo svolgimento di cause con gliinquisiti: evidentemente si richiedeva loro una particolare compe-tenza giuridica, che non sempre gli altri ufficiali possedevano,essendo l’unico requisito loro necessario l’appartenenza alla cre-denza. Ad ogni modo il loro mandato era a termine: fu svolto nelcorso di una sola giornata, il 9 giugno, mentre altri procuratorescomunium furono ricordati essere in carica in quello stessoanno100.

Rispetto a quella degli estimatori del periodo consolare, l’auto-rità dei procuratori, eletti generalmente in numero di due, era piùampia: essi erano in grado di condurre personalmente le investitu-re, senza l’intervento del podestà, da cui del resto, come abbiamo

96 La documentazione è contenuta in Biscioni, 2/II, docc. 286-287, pp. 88-90; doc. 321,pp. 128-129; docc. 323-340, pp. 130-170.

97 Biscioni, 1/III, doc. 489, pp. 37-38.98 Biscioni, 1/III, doc. 485, pp. 33-3499 I documenti relativi alle condanne dei due giudici sono collocati in Biscioni, 2/II,

docc. 307-308, pp. 112-114 e in Investiture, I, f. 47-71.100 Si trattava di Mantello Balzola e Nicola Garbagna “procuratores comunium et spe-

cialiter ad dandum terras et sedimina hominibus habitantibus in Tribus Cerris et Tridino”(Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120); interessante osservare che in un caso i due giudici condan-narono anche un affittuario che poté mostrare un atto che attestava un’investitura fatta daNicola Garbagna, già procuratore delle comunanze (Investiture, I, f. 53). Il 21 dicembredello stesso anno Buongiovanni Carraria e Zenoardo de Carengo vennero eletti dal podestà“ad terras comuni Vercellarum in Tridino et Tribus Cerris et eorum territorio apertas inqui-rendas” (ibidem, f. 45). Sull’attività dei due giudici cfr. anche PANERO, Due borghi franchipadani cit., pp. 52-52.

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visto nell’atto del 1219, era partita la delega dei poteri101; inoltrestimavano il valore dei terreni, decretavano l’entità dei canoni dacorrispondere102, davano il permesso agli affittuari di vendere ibeni che avevano ricevuto in locazione103, compivano inchieste104,effettuavano ricognizioni delle proprietà comunali105. A costorospesso era affidata la gestione del patrimonio ubicato sia in città,sia in tutto il distretto vercellese: ad esempio, nel 1218 CorradoRifferio e Manuele de Carengo furono nominati “procuratoresconstituti a potestate et sapientibus civitatis Vercellarum superfacto comunium et rerum comuni pertinencium tam in Vercellis,quam in Tridino et Tribus Cerris et alibi”106.

Estesa era la loro area di competenza, che riguardava soprattut-to i beni urbani e quelli dell’agro, ossia di Trino e Tricerro, maanche case di proprietà comunale ed alcuni castelli, di cui si intra-prese una gestione centralizzata: il legame tra procuratori e immo-bili è, infatti, testimoniato da un cittadinatico del 1218, in cuiPietro da Pratomaggiore e i fratelli Alberto e Pietro di Ottone diGiulia di Roppolo giurarono l’habitaculum obbligando un’abita-zione che avevano acquistato dai “procuratores comuniumVercellarum”107. Il nesso con i castelli del contado è invece attesta-to in un atto del 1220, in cui l’incarico di stimare le terre diBurolo, località non molto distante da Ivrea, venne conferito aMantello Balzola e Nicola Garbagna, procuratores comunis108; inquello stesso anno i due erano stati istituiti “procuratores comu-nium et specialiter ad dandum terras et sedimina hominibus habi-tantibus in Tribus Cerris et Tridino”109. Inoltre nel 1225, alla pro-messa degli abitanti di Casalvolone che non avrebbero venduto adaltre persone i propri beni, furono testimoni i due procuratori

101 Acquisti, I, f. 41.102 Acquisti, I, f. 41.103 Nel 1218 Corrado Rifferio e Manuele de Carengo diedero il permesso di vendere un

appezzamento comunale (Investiture, II, f. 8); nel 1220 i due procuratori delle comunanzeNicola Garbagna e Mantello Balzola erano presenti all’atto in cui Alberto Ragia di Tricerrovendette a Pietro Asigliano un terreno comunale (Biscioni, 2/II, doc. 297, p. 101).

104 Acquisti, I, f. 41, documento relativo all’anno 1219; Investiture, I, f. 45 (1220).105 DAC, doc. 88, pp. 114-118.106 Biscioni, 2/II, doc. 320, pp. 127-128.107 PC, doc. 302, p. 313.108 DAC, doc. 88, pp. 114-118.109 Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120. Può essere utile un raffronto con l’ufficio dei procu-

ratori bolognesi, cui era delegata l’intera amministrazione economica del comune (TAMBA,Note per una diplomatica del Registro Grosso cit., pp. 1043-1044).

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comunali Pietro Biandrate ed Alberto Bondoni110, che l’anno suc-cessivo si occuparono dei comunia di Trino e di Tricerro111.

A caratterizzare l’ufficio era comunque il possesso di una pro-cura podestarile che consentiva ai designati di prendere decisionia proposito delle comunanze: tale operazione di delega si rendevanecessaria data la varia dislocazione dei beni, spesso distanti daVercelli, ai quali il rettore urbano difficilmente poteva attendere.Conferma ne è che nei casi in cui la credenza o il podestà elesseroufficiali istituiti ad eseguire solamente misurazioni tecniche oindagini sulla proprietà, mentre altra era l’autorità che decideva sudi esse, questi non assunsero il nome di procuratori, ma quello, divolta in volta, di extimatores o di inquisitores: così nell’aprile 1225,quando il sindaco comunale Pietro Frogerio prese possesso deibeni dei signori di Casalvolone, chiese al podestà di eleggere “exti-matores aliquos qui extiment et michi in solutum dent, nominecomunis, tot de bonis predictorum dominorum”112: a tal fine ven-nero nominati Giacomo de Odemario, Giacomo Tizzoni, Galianode Ugucione e Buongiovanni Carraria. I medesimi ufficiali occu-pati in aprile a stimare i fondi di Casalvolone, nell’ottobre dellostesso anno furono incaricati di misurare alcuni terreni acquistatidal rettore urbano nel borgo franco di Borghetto Po113.

4. L’assegnazione degli uffici relativi ai beni comunali: la professio-nalizzazione della politica tra popolo e nobiltà

Gli statuti vercellesi disponevano che ad accedere agli ufficicomunali fossero i credenziari, scelti dal podestà e dallo stessoconsiglio cittadino114, attraverso un’elezione a doppio grado in cuiera previsto un meccanismo di sorteggio115. Con la riduzione degli

110 Biscioni, 1/III, doc. 465, pp. 9-10.111 Biscioni, 2/II, doc. 362, p. 172.112 Biscioni, 1/III, doc. 469, pp. 13-15. Inquisitores vennero chiamati gli eletti dal pode-

stà a ricercare i beni comunali da alienare durante le complesse vicende degli anni 1229-1231, di cui si tratterà in seguito (cfr. capitolo IV, pp. 162-168). Altri estimatori venneroinfine eletti nel 1245 (Biscioni, 2/I, doc. 106, pp. 163-168).

113 Biscioni, 1/III, doc. 554, pp. 127-128. È quindi possibile che anche in questo casola carica fosse a durata semestrale o annuale.

114 Statuta, 23, p. 30.115 Sulle modalità di istituzione degli uffici comunali vercellesi cfr. MANDELLI, Il comu-

ne di Vercelli cit., vol. I, pp. 33-37.

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incarichi di governo avvenuta in età podestarile i posti ammini-strativi, soprattutto quelli legati alla gestione di cospicue ricchez-ze, cominciarono ad essere particolarmente ambiti per le strategiedi affermazione familiare; per altro verso essi divennero decisiviper il controllo della politica urbana ed attirarono l’attenzionedelle due società che fecero in modo di spartirseli116.

Anche estimatori, inquisitori e procuratori delle comunanzeerano dunque cooptati tra i credenziari. Il momento della loro ele-zione veniva ad essere particolarmente delicato, come evidenziatodalle meticolose norme che ne presiedevano la designazione: già cisi è soffermati sulla centralità dei beni comunali all’interno dellefinanze urbane e su come le magistrature addette al loro control-lo, soprattutto quella dei procuratori, che su di essi aveva ampipoteri, comportassero una grande responsabilità, acuita dalla pos-sibilità che i designati avevano di compiere malversazioni.

Con l’istituzione definitiva del regime podestarile intervennerocambiamenti anche nella loro nomina: nel 1207 tra gli extimato-res poteva avvenire l’assegnazione dell’incarico ad un individuo diestrazione popolare che probabilmente non aveva avuto modo dipartecipare alla credenza, Faxa117, forse perché ancora forte era inquegli anni l’azione di supervisione delle fasce meno elevate dellacittadinanza sulla questione dei beni collettivi, della cui avocazio-ne al comune, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo,erano state le principali artefici. Dopo il 1209 - con la fine deiprocessi inerenti alle comunanze, con l’avvento della società diSant’Eusebio, con l’introduzione di restrittive norme sulla desi-gnazione degli ufficiali pubblici - estimatori e procuratori venne-ro invece eletti all’interno del consiglio urbano: in tal modo venneespressa sia la volontà di affermazione delle maggiori famiglie ver-cellesi, che fecero di questa magistratura una prestigiosa tappa delcursus honorum dei loro appartenenti, sia la tendenza ad inquadra-re ogni momento della politica cittadina nell’attività delle duesocietà, che instaurarono così un controllo capillare su un settorevitale dell’economia comunale.

Tutti coloro che rivestirono incarichi legati alla cura dellecomunanze erano, infatti, accomunati dall’appartenenza alle piùprestigiose casate vercellesi, sia afistocratiche, sia di facoltosi popo-

116 Cfr. supra, pp. 78-79.117 Biscioni, 2/I, docc. 200-201, pp. 296-298.

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lari: de Guidalardis, Carraria, Avogadro, Bondoni, Calvo, Tizzonie Tetavegia, in ogni caso erano individui provenienti da gruppiparentali rappresentati con continuità nella credenza cittadina e,quasi sempre, anche nei consolati societari118.

Per pochi tra gli eletti non è stato possibile tracciare una carrie-ra politica all’interno dell’amministrazione comunale, ossia perMaifredo Calvo e per Galiano de Ugucione, membri di famiglievercellesi aristocratiche119. Forse proprio perché appartenenti acasate numerose e già ben rappresentate, a costoro fu possibilededicarsi ad altre attività: il conferimento dell’ufficio di procura-tore rimase quindi per costoro occasionale, legato a particolaricontingenze o alle loro conoscenze tecniche120. Per i più invece sidelinea una costante partecipazione agli incarichi di governo dellacittà, attraverso un’adesione alla credenza cominciata negli annidella giovinezza e continuata pressoché ininterrottamente fino allamorte, passando attraverso nomine di prestigio, ambasciate e con-solati di giustizia e societari: è questo il caso, per esempio, diGiacomo Durio, di Pietro Biandrate, di Federico de Cremona, diManuele de Carengo, di Mantello Balzola, di Aichino Salimbene edi tanti altri ancora121. Essi furono dei veri e propri professionistidella politica e dagli uffici comunali furono in grado di trarre,oltre ad una grande considerazione sociale per sé e per la propriafamiglia, notevoli benefici economici: malgrado non ci siano per-venute le somme loro corrisposte, possiamo ritenere che entrare afare parte dell’amministrazione civica garantisse cospicui introi-ti122. Numerose norme statutarie regolavano, infatti, gli emolu-menti delle magistrature cittadine123 ed un articolo riferibile al1241 imponeva al podestà il loro pagamento124: esso, per essere

118 Cfr. Appendice 2.119 Cfr. Appendice 2.120 Un utile raffronto, seppur per un’epoca completamente differente e per una realtà

lontana, sulla capacità di specializzazione delle famiglie che partecipavano alla politica cit-tadina può essere compiuto con M. BERENGO, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento,Torino 1999 (prima ed. Torino 1965), pp. 19-53.

121 Per questi e per altri personaggi cfr. Appendice 2.122 Gli articoli pervenuti per la remunerazione degli uffici comunali sono contenuti in

Statuta, 309, pp. 221-223; 361, p. 257, per quanto concerne i notai; si tratta di due normerelative rispettivamente all’anno 1231 e al 1232. Il pagamento degli ufficiali laici che nonerano giudici e dei notai che non prendevano parte ai banni era oggetto dell’articolo stilatonel 1242 e contenuto in Statuta, 430, p. 305. I consoli di giustizia nel 1246 venivano paga-ti 25 lire di pavesi l’anno (Statuta, “Statuta e documenta nova”, 36, p. 429).

123 Statuta, 132-139, pp. 103-105.124 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 3, pp. 329-330.

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oggetto di tali attenzioni da parte degli statuti, non doveva essereininfluente sulle finanze pubbliche, tanto più che gli ufficialierano in una posizione da cui era facile imbastire malversazioni adanno dell’erario urbano125.

Forse non sarebbe errato ipotizzare che il fenomeno, verificato-si nel Duecento, di professionalizzazione della politica cittadina,studiato soprattutto per la figura del podestà126 e per il ruolo deinotai all’interno dell’amministrazione civica127, caratterizzati dacompetenze tecniche, giuridiche e retoriche, non si sia limitato acostoro, ma si sia esteso, fatte le debite proporzioni, a una partedel gruppo dirigente urbano128: la ricorrenza di pochi nomi tra gliufficiali pubblici – procuratori, sindaci, chiavari, ambasciatori –mostra come questi fossero generalmente cooptati all’interno diun ristretto nucleo di credenziari, che veniva a costituire il fonda-mento della nascente “burocrazia” comunale129. Possiamo farceneun’idea abbastanza precisa ripercorrendo i più di trent’anni di atti-vità politica di Pietro Biandrate o di Mantello Balzola, entrambihabitué della credenza. Il primo era esponente di spicco del movi-mento popolare; trascorse la sua carriera tra ambasciate, consolatidi giustizia e procure, quattro delle quali dedicate a fatti inerentiai comunia; Per tali incarichi bisogna ritenere che fossero necessa-rie conoscenze tecniche e retoriche, che sicuramente vennero valo-

125 Per la remunerazione degli uffici comunali cfr. A. BARBERO, Un’oligarchia urbana.Politica ed economia a Torino fra Tre e Quattrocento, Roma 1995, pp. 231-233 e S. MERLI,con A. BARTOLI LANGELI, Un notaio e il Popolo. Notizie su Bovicello Vitelli cancelliere duecen-tesco del comune di Perugia, in “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo”,101 (1997-1998), pp. 199-303, con particolare riferimento alle pp. 219-223. Una normadel 1248 prevedeva che dovessero essere eletti quattro inquisitori i quali accertassero che gliufficiali pubblici non avessero prelevato dall’avere comunale più di quanto era loro consen-tito (Statuta, 117, pp. 91-92).

126 ARTIFONI, I podestà professionali cit.127 Al riguardo cfr. G.G. FISSORE, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel

comune di Asti. I modi e le forme dell’intervento notarile nella costituzione del documento comu-nale, Spoleto 1977, pp. 123-184. E. BARBIERI, Notariato e documento notarile a Pavia (seco-li XI-XIV), Firenze 1990, pp. 31-39; 157-181. A. BARTOLI LANGELI, La documentazionedegli stati italiani nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologiedans la genèse de l’État moderne, Roma 1985, pp. 35-55. MERLI, Un notaio e il Popolo cit.

128 Un suggestivo termine di paragone, seppure relativamente ad un periodo posteriore,può essere la situazione torinese studiata da BARBERO, Un’oligarchia urbana cit., pp. 231-252.

129 Sulla “burocrazia” o meglio “protoburocrazia” comunale cfr. A.I. PINI, La «burocra-zia» comunale nella Toscana del Trecento, in La Toscana nel secolo XIV. Caratteri di una civil-tà regionale, a cura di S. Gensini, Pisa 1988, pp. 215-240. Gli uffici comunali di Modenasono oggetto della puntuale analisi di R. RÖLKER, Nobiltà e comune a Modena. Potere eamministrazione nei secoli XII e XIII, Modena 1997, pp. 249-272.

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rizzate quando nel 1234 e nel 1237 divenne podestà di Torino edi Novara130. Il secondo fu invece console di giustizia nel 1224;per due volte gli furono delegate indagini sui beni comunali, men-tre una volta fu consul molariarum131: egli era evidentemente a suoagio negli uffici che si occupavano della gestione economica132. Ilpossesso di nozioni specifiche si può riscontrare anche perGiovanni di Alisio, procuratore delle comunanze e, in un’altraoccasione, estimatore dei danni subiti in guerra dall’amministra-zione vercellese a Torcello: anche in questo caso, come per PietroBiandrate, alla pratica degli uffici che richiedevano competenzetecniche si abbinava la frequenza della politica cittadina, svolta nelseno del partito nobiliare di cui fu console nel 1210133. Colpisceanche la partecipazione al consolato di giustizia per molti tra colo-ro che si occuparono del patrimonio civico: tale segnalazione assu-me tanto maggiore rilievo in quanto si assiste ad un’assegnazionesempre più ricorrente della carica a giudici legati al podestà134. Latrasformazione della politica urbana in un’attività prestigiosa eben remunerata che andava creando una propria deontologia -accanto allo sviluppo, messo in rilievo da Andrea Degrandi, diuno strato sociale intermedio composto da notai, mercanti e nobi-li immigrati che si divideva tra le due strutture societarie - puòinoltre favorire la comprensione del fenomeno di “permeabilità trale due società”135. Personaggi come Martino Bicchieri, Manuele deCarengo e Giacomo Durio, per ceto e forse anche per mentalitàpiù vicini alla politica della nobiltà, poterono ricoprire il consola-to di Santo Stefano136 poiché l’associazione popolare necessitava dipersonaggi esperti nella gestione della cosa pubblica per attuare lesue istanze. La scelta di Santo Stefano da parte di alcuni milites fudunque agevolata sia dal clima di contrapposizione tra le due

130 Appendice 2.131 Su tale “magistratura” cfr. capitolo III, pp. 144-151.132 Appendice 2.133 Appendice 2. Sempre nel 1210 Giovanni sorvegliò a nome del comune vercellese le

operazioni di costruzione del borgo nuovo di Piverone (Il libro rosso del comune di Ivrea, acura di G. Assandria, Pinerolo 1914 (BSSS, 74), doc. 158, pp. 142-143).

134 Per esempio il milanese Girardo Cagapisto, segnalato nel 1229 (ACV, Atti pubblici(Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 7 dicembre 1228) e Cazulo, giudice nel 1230 (ibi-dem, Atti privati, cartella XXV, doc. in data 28 maggio 1230). Anche alcuni tra coloro cherivestirono incarichi legati alla cura delle comunanze erano giudici, per esempio Federico deCremona, Aichino Salimbene, Giacomo de Rugia e Giacomo Sperlinus (cfr. Appendice 2).

135 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 62.136 Cfr. Appendice 2.

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società, che tuttavia non era ancora deflagrato in forme violente,sia dalla presenza, tra i consoli del populus, di individui più schiet-tamente popolari che erano in grado di controllarne l’operato137.

L’individuazione di un’oligarchia politica accomunata dallapartecipazione agli uffici comunali e dalla discendenza dalle mag-giori casate vercellesi non implicò necessariamente “un’incipienteomologazione” cetuale, rimanendo inalterato lo stato di divisioneradicato nella società cittadina138. L’analisi della provenienza fami-liare degli eletti alle magistrature urbane inerenti alla gestione deibeni comunali lascia intravedere il tentativo da parte delle associa-zioni di Santo Stefano e di Sant’Eusebio di imporre un rigido con-trollo su questo settore. In linea con la consuetudine di dividersigli uffici, i procuratori cui venivano affidati gli incarichi più deli-cati avevano in genere strette relazioni con le due società. Per laquasi totalità delle coppie di procuratori pervenuteci è dunquepossibile contrapporre un individuo legato all’organizzazionepopolare ad un altro vicino a quella nobiliare139: per il 1211Maifredo de Guidalardis, più volte console di Sant’Eusebio e tra ipersonaggi eminenti della fazione dei milites, era accompagnato daGiacomo de Ast, console di Santo Stefano l’anno precedente edappartenente ad una discendenza aristocratica schieratasi condecisione nelle fila del movimento popolare140. Dei procuratoridel 1218 Corrado Rifferio era legato alla parte più intransigentedel populus; Manuele de Carengo, al contrario, era stato console diSant’Eusebio nel 1214141. Pietro Biandrate divise tre procure conGuala Carraria nel 1219, per due volte console di Sant’Eusebio,con Gilio de Guidalardis prima del 1220 e con Alberto Bondoni

137 Efficace l’osservazione del PEYER, Zur Getreidepolitik cit., pp. 14-15, che alle visionioligarchiche di Ottokar ribatteva, sulla scorta del Doren, che “tuttavia anche nei partitimoderni si mostrano spesso sorprendenti incongruenze tra i fini istituzionali e la posizionesociale dei membri che ne fanno parte”.

138 Il riferimento è ancora a BARBERO, Un’oligarchia urbana cit., pp. 24-30.139 Questi meccanismi di spartizione del potere sono stati evidenziati anche da

BARBERO, Un’oligarchia urbana cit., ricordando che l’Autore si è confrontato con un’epocadifferente: la coloritura sociale che presiedeva alla contrapposizione delle associazioni diparte – per la quale, relativamente al caso vercellese, si rimanda al primo paragrafo di que-sto capitolo – è facilmente dimostrabile per il XIII secolo, mentre diviene di più difficileinterpretazione per il XIV ed il XV secolo.

140 Appendice 2.141 Appendice 2. Tuttavia la figura di Manuele de Carengo è abbastanza ambigua: prove-

niente da una famiglia tradizionalmente legata alla società popolare egli, pur essendo statoconsole anche di Santo Stefano, sembra aderire alla fazione nobiliare.

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nel 1226, tutti e tre legati ai milites vercellesi142. Per l’anno 1220l’ufficio fu affidato al popolare Mantello Balzola e al nobile NicolaGarbagna143; pochi anni prima esso era stato gestito da UguccioneTetavegia, appartenente ad una delle famiglie di spicco della socie-tà di Santo Stefano, e da Giovanni di Alisio, console diSant’Eusebio nel 1210 e proveniente dalla nobile casata dei DeBenedetti144. Dai Tetavegia discendeva anche Roberto, che nel1230 fu rector istituito alla ricerca dei beni comunali assieme adAichino Salimbene: i due erano accomunati da un’altra caratteri-stica, essendo stati entrambi consoli societari, rispettivamente diSanto Stefano e di Sant’Eusebio, l’anno precedente145. Più diffici-le intuire come fossero collocati i procuratori del 1220,Buongiovanni Carraria e Zenoardo de Carengo, consideratal’oscillazione dei due gruppi parentali tra fazione nobiliare e fazio-ne popolare146: se i Carraria sembrano, salvo poche eccezioni,schierarsi con i milites è probabile che Zenoardo, console dellasocietà di Santo Stefano nel 1213, aderisse alle fila del populus147.Il medesimo modello interpretativo può essere esteso ai quattroestimatori delle terre di Casalvolone nel 1225, Giacomo deOdemario, Giacomo Tizzoni, Galiano de Ugucione eBuongiovanni Carraria, legati a Santo Stefano i primi due, aSant’Eusebio i secondi148. Questa chiave di lettura in linea di mas-sima resta valida anche per le operazioni che precedettero la liqui-dazione dei beni pubblici durante i movimentati anni 1229-1231,di cui ci si occuperà più approfonditamente nel capitolo seguen-te: dei 12 sapientes preposti all’estimazione delle comunanze, vici-ni al populus erano Mantello Balzola, Enrico Leffo, Sarzano, PietroBiandrate e Maifredo Calvo, mentre al partito dei milites facevanoriferimento Flamengo Bigurracane, Giulio de Ugucione, Uberto deSaleta, Giacomo da Robbio, Uguccione Bonello149. Ambigua erainvece la posizione di Giacomo Durio e Martino Bicchieri,entrambi nobili, che tuttavia avevano rivestito il consolato dellasocietà di Santo Stefano150.

142 Appendice 2.143 Appendice 2.144 Appendice 2.145 Appendice 2.146 Cfr. ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp. 273-274.147 Appendice 2.148 Appendice 2.149 Appendice 2. 150 Appendice 2. Probabilmente ai popolari faceva riferimento Giacomo Durio, poiché

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Le due associazioni regolavano tutti i momenti della vita del-l’amministrazione cittadina. Ancora una volta occorre insistere sulsignificato di tale esclusività: il riconoscimento da parte degli sta-tuti delle due sole strutture societarie di Santo Stefano e di SantoEusebio era il sistema con cui i Vercellesi erano riusciti a convo-gliare e controllare le differenti istanze politiche presenti nel corpocivile151. La contrapposizione delle due associazioni, se da un latocontribuì ad una qualificazione professionale dei suoi esponenti,dall’altro non fu un espediente per l’emarginazione dal governocomunale di alcuni raggruppamenti della cittadinanza vercellese,quanto l’accesso istituzionale alla vita politica che tutti i cives ave-vano a disposizione. Il successo di tale sistema nel mantenere i ter-mini del contrasto tra milites e populus inscritti nei meccanismiprevisti dalla dialettica politica fu forse condizionato positivamen-te da circostanze particolari tra cui il periodo di espansione delcomune, che fece probabilmente da collante per l’intera cittadi-nanza.

5. “In curia Vercellarum”: l’appalto del mezzano del Cervo

Un’utile angolatura per comprendere ed osservare da vicino lapolitica del governo cittadino sui beni comunali è offerta dall’ana-lisi delle vicende che riguardarono il mezzano - ossia “un territo-rio il quale viene semplicemente circuito da un braccio del fiume,che indi ritorna a confluire nell’alveo principale”152 - di cui essoera proprietario sul Cervo. La documentazione, relativa all’anno1207, è particolarmente interessante, poiché mostra il comune alpassaggio tra fase consolare e governo podestarile, nel momento incui, seppur non ancora in modo compiuto, già stava delineando ilsuo atteggiamento nei confronti del patrimonio civico. Per altroverso occorre ricordare che in questo periodo le comunanze erano

egli, pur essendo nobilis e più volte a capo di Sant’Eusebio, nello stesso anno dell’elezionefu console di Santo Stefano.

151 Probabilmente al 1224 risaliva una norma che irrobustiva la presenza delle societànella credenza, vietando però la creazione di altre associazioni al di fuori delle due esistentie di quelle di mestiere (PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit., p. 81;DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 63-64).

152 A. SOLMI, Le diete imperiali di Roncaglia, il diritto di regalia sui fiumi e le accessionifluviali, in ID., Studi storici sulla proprietà fondiaria nel Medio Evo, Roma 1937, pp. 117-211, con particolare riferimento alle pp. 152-153.

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ancora oggetto di forti discordie tra milites e populus, il quale con-tinuava a detenere un ruolo propulsivo nel controllo del loro effet-tivo passaggio all’amministrazione civica: i processi che coinvolge-vano i beni collettivi, dividendo la cittadinanza, non erano infattiancora terminati. Soprattutto, però, bisogna evidenziare che quel-lo preso in considerazione fu uno dei primi organici progetti disfruttamento dei comunia da parte del governo vercellese.

Le vicende dell’appalto del mezzano, consistente in una super-ficie probabilmente di trenta o quaranta ettari153, se pure non rie-scono a rendere conto dell’impatto che i possedimenti comunaliavevano sull’economia cittadina, possono tuttavia offrire sugge-stioni sulle finalità dei rettori vercellesi. Esso era sito presso laporta Aralda, immediatamente al di fuori della nuova cinta mura-ria, in una zona particolarmente soggetta al rischio delle inonda-zioni, spesso rovinose, del Cervo154: sebbene i documenti sianoreticenti, non avendo lasciato tracce di processi per i beni di que-st’area, è verosimile che le autorità urbane se ne fossero impadro-nite durante le operazioni di avocazione dei terreni fluviali intra-prese nel 1202155.

Queste terre il 19 novembre 1207 vennero date in affitto allapresenza dei consoli da quattro estimatori istituiti dal comune“infictuariando terram de mezano Sarvi ante portam Airaldi”, ipopolari Alberto Scogia e Leonardo Pancagno e i nobili Uberto deAlbano e Bartolomeo Musso156: alla vigilia del definitivo passaggioal regime podestarile già iniziavano a delinearsi i sistemi di desi-gnazione degli uffici comunali che si è visto essere caratteristicidella prima metà del Duecento.

Gli estimatori procedettero a dividere il mezzano in appezza-menti abbastanza regolari, con estensione minima di un moggio

153 La somma della superficie delle parcelle documentate dai contratti di investitura del1207 ammonta a 16 moggi e mezzo, poco più di cinque ettari, tuttavia si fa riferimento anove confinanti per cui non ci sono pervenute investiture, che, tenuta valida l’estensionemedia di due moggi ad appezzamento, farebbero circa raddoppiare l’area complessiva. Aquesto dato bisogna aggiungere i 78 moggi, 26 ettari, detenuti da Martino Butigia “et con-sortes”, nominati nelle operazioni di confisca effettuate dal comune nel 1230 (Biscioni,1/III, doc. 228, pp. 315-316).

154 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, pp. 55-56. Cfr. anche GULLINO,Inurbamenti ed espansione urbana cit., p. 293. Nella concessione del locus di un mulino die-tro la chiesa di S. Eusebio si ricordavano le “expensas in laborerio facto ad defentionem muricivitatis quem Sarvus destruabat” (HPM, Chartarum, Torino 1836, II, doc. 1579, coll.1077-1078).

155 Cfr. capitolo I, pp. 51-52.156 Cfr. Appendice 2.

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(circa un terzo di ettaro) e massima di quattro, che poi assegnaro-no ai diversi affittuari157. I beneficiati dagli otto atti di investiturapervenuti - salvo Pietro Moncravello158 e l’estimatore Uberto deAlbano159, che forse grazie alla sua carica riuscì ad avvantaggiarsi

157 I documenti si possono rinvenire in PC, docc. 72-79, pp. 150-160.158 Nel 1211 i Moncravello detenevano dei possessi in Biandrate e Azeglio in feudo dagli

Alciati (HPM, Chartarum, II, doc. 1737, coll. 1260-1261). Guglielmo e Giovanni furonocanonici all’inizio del XIII secolo (ACV, Atti privati, cartelle XI-XII, docc. in data 11 giu-gno 1200; 8 ottobre 1203); Giovanni nel 1213 fu console di Sant’Eusebio (Acquisti, I, f.72). Pietro nel 1218 subaffittò l’appezzamento a Enrico de Donato (Investiture, I, f. 37). Lostesso Pietro, figlio di Giovanni, divenne successivamente converso dell’ospedale di S.Spirito (G. FERRARIS, I fratres et sorores de karitate e la fondazione dell’ospedale di S. Spiritodi Vercelli (1214), in “Bollettino storico vercellese”, 54 (2000), pp. 47-67, con particolareriferimento a p. 61; cfr. anche ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S.Spirito, Pergamene, doc. in data 3 agosto 1240).

159 Cfr. Appendice 2.

Tabella

CONCESSIONARI CONFINANTI AREA

Abate di Golzano Nicola de Molino 12 staiaBerardo Calcinaria

Giacomo de Mercato Guido de Meleto, 2 moggiUberto de Albano

Perrono “ferrarius Guido de Meleto, 1 moggiode rua Ferraria” Riccardo

Uberto de Albano Giacomo de Mercato, 2 moggiVercellino Boverio

Stefano tabernarius Guglielmo de Agamio, 2 moggi Giovanni spadaio

Arduino fornaio Amico fornaio, 4 moggiPietro Moncravello

Amico fornaio Non specificati 1 moggio

Pietro Moncravello Giovanni de Bellino, 2 moggiArduino fornaio

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delle designazioni dei suoi colleghi - erano tutti popolari, di cuiquattro artigiani160. Tale indicazione è confermata anche dall’indi-viduazione dei confinanti: costoro erano di umile estrazione socia-le; in particolare vi era una cospicua presenza di provenienti dalmondo delle arti161.

Il comune scelse dunque una precisa strada: ripartendo l’area inpiccoli appezzamenti e affidandoli a personaggi popolari cercavauna controparte debole, che non potesse preoccuparlo con even-tuali rivendicazioni di proprietà; in questo periodo, infatti, nonessendo ancora terminate le cause, si respirava un’atmosfera diincertezza riguardo ai beni comunali. Per altro verso esso intra-prendeva una politica favorevole al populus, il raggruppamentosociale che più lo aveva sostenuto nell’incameramento delle comu-nanze.

Inoltre nella metà dei contratti pervenuti è presente la clauso-la “ad vineam plantandam et ad vineam retinendam”162: i conces-sionari non erano solo tenuti ad impiantare la vite, ma anche aconservarla, in previsione degli eventuali danni provocati dallepiene del Cervo. Infatti, la zona del mezzano, ubicata a ridossodelle mura cittadine, già in precedenza era stata danneggiata dal-l’irruenza del fiume163. Il comune in questo modo cercò forse diattuare un progetto di bonifica delle terre del mezzano: esso, infat-ti, spingeva all’aumento della superficie coltivata in un periodo diespansione demografica, favorendo l’afflusso in città di maggiori

160 In tal senso si è creduto di interpretare la presenza di quattro personaggi le cui desi-gnazioni cognominali rimandano al mondo dei mestieri. Per costoro del resto non è statopossibile riscontrare né un legame con casate nobiliari, né una tradizione politica consolida-ta. Inoltre per Amico fornaio l’attività connessa al mondo dei mestieri è rinvenibile nel suotestamento relativo al 1212 (ACV, Sommario delle carte dell’archivio capitolare di S. Eusebio.Parte II, Registro di mano moderna, f. 258).

161 Cfr. tabella. Di un certo rilievo la presenza di Giovanni de Bellino, appartenente aduna famiglia di notai comunali (Guglielmo rogò per il comune nel 1202 in PC, doc. 27, p.56, Nicola esercitò tale professione nel 1221: ibidem, doc. 43, p. 90); rogò per il comuneanche il notaio Guido de Meleto (ibidem, doc. 91, p. 176), anch’egli proveniente da un grup-po parentale che esercitava la professione notarile (in Acquisti, I, f. 10 e Investiture, I, f. 37sono ricordati i notai Nicola e Giacomo de Meleto). Su artigiani e proprietà immobiliare cfr.invece DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 155-163.

162 La clausola è presente in PC, docc. 73-76, pp. 151-156. Sulla coltivazione della vitee sulle relative tipologie contrattuali cfr. Vigne e vini nel Piemonte Medievale a cura di R.Comba, Cuneo 1990, in special modo il saggio contenuto nello stesso volume di F. PANERO,L’evoluzione dei patti agrari e la viticoltura nell’Albese fra la metà del secolo XII e la metà delQuattrocento, pp. 113-141.

163 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, pp. 55-56.

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quantità di un bene di prima necessità, il vino, facilmente traspor-tabile grazie alla vicinanza dei terreni a Vercelli164. Tale tentativoebbe un esito positivo, poiché, nel corso di un’operazione di recu-pero dei beni di pertinenza comunale avvenuta nel 1230, venne-ro menzionati anche alcuni fra gli appezzamenti siti nell’area presain considerazione: due di essi vennero indicati come vinea e unaltro come terra culta165. Dunque, anche nel caso vercellese losfruttamento delle comunanze ben si attaglia alle osservazioni diAndrea Castagnetti e di Pierre Racine, che hanno inteso sottoli-neare come l’attenzione delle autorità pubbliche alle opere dibonifica fosse volta ad ottenere un migliore sfruttamento delsuolo166.

La preoccupazione di garantire alla popolazione urbana derra-te alimentari da immagazzinare nei granai cittadini non esulavadai propositi comunali. Infatti, un’altra caratteristica accomunatutte le investiture stipulate: la riscossione di un canone in natura,pari a circa uno staio di segale per ogni moggio di terra dato inconcessione, una somma non molto al di sotto della media dei fittiregistrati per il Vercellese167. Le terre del mezzano non erano néestese, né fertili e certamente non potevano garantire molte staiadi cereali168; tuttavia esse erano in grado di offrire alle esigenze

164 PINTO, Città e spazi economici cit., pp. 80-85; sulla legislazione statutaria nei con-fronti del vino cfr. R. GRECI, Il commercio del vino negli statuti comunali di area piemontese,in Vigne e vini nel Piemonte medievale cit., pp. 245-280, dove viene preso in esame anche ilcaso vercellese, di cui si evidenzia la capacità di istituire ufficiali comunali delegati all’uopo.

165 Biscioni, 1/III, docc. 223-224, pp. 316-317; doc. 229, pp. 309-311.166 CASTAGNETTI, Primi aspetti di politica annonaria cit.; RACINE, Poteri medievali cit.,

pp. 24-25.167 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 176-177, prende come riferimento il

fitto di mezzo staio di segale e mezzo di frumento per moggio (41 litri per 33 are). Mancaun accordo in sede storiografica su quali canoni possano essere ritenuti congrui: in area lom-barda G. CHITTOLINI, I beni terrieri del Capitolo della Cattedrale di Cremona, in “Nuova rivi-sta storica”, 49 (1965), pp. 213-274, con particolare riferimento a p. 247, pur ricordandocome i fitti vadano considerati unitamente al tipo di contratto utilizzato, accettava le stimedel Torelli, il quale riteneva congrui canoni di uno o due staia di frumento per biolca (1,1-2,4 ettolitri per ettaro), nonché quelle del Romeo di quattro o cinque quartari per pertica(circa sette are). Già G. MOLTENI, Il contratto di masseria in alcuni fondi milanesi durante ilsecolo XIII, in “Studi storici”, 22 (1914), pp. 176-232, con particolare riferimento a p. 199,stabiliva due o tre staia per pertica come un canone assai cospicuo. F. MENANT, CampagnesLombardes au Moyen Âge, Roma 1993, pp. 339-345, ritiene comuni i canoni di 1\4, 1\2staio per pertica che a suo avviso non lasciavano grandi risorse ai coltivatori. Sebbene i cal-coli siano stati generalmente effettuati sul frumento, che ha una resa minore rispetto ad altricereali, in base a questa rassegna i canoni vercellesi potrebbero essere ritenuti congrui.

168 Le otto investiture a nostra disposizione prescrivevano la consegna di circa 22 staiaper circa cinque ettari di terreno.

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annonarie urbane un contributo, che poteva essere reso ancor piùconsistente dalla presenza di altri fondi gestiti secondo le stessemodalità. Ad ogni modo, ancor prima della significatività dellecifre complessive, occorre rilevare la sensibilità verso queste pro-blematiche da parte del comune, che dispiegò una politica consa-pevole ed attenta, in un periodo di forte pressione popolare, allerichieste dei ceti meno abbienti: comunanze, populus ed approvvi-gionamento cittadino anche nel caso vercellese risultarono un tri-nomio difficilmente scindibile169.

6. Le case ed il mercato immobiliare

Tra i beni immobili di proprietà comunale hanno lasciatonumerose tracce documentarie le case. Anch’esse furono talvoltasottoposte all’autorità dei procuratores comunium sicché a pienotitolo venivano incluse dal governo podestarile tra le comunan-ze170. Il loro vasto utilizzo da parte delle autorità urbane nonrispondeva però solo ad esigenze economiche: di edifici l’ammini-strazione aveva una necessità costante per molteplici scopi.

Già dal 1190 i consoli procedettero all’acquisto di alcune casesulle quali venne costituito il palazzo comunale171: esso venneampliato tra il 1203 ed il 1208 con una serie di cospicue compe-re, che mise il comune in possesso di una dimora con torre appar-tenuta ai de Guidalardis e di alcune abitazioni confinanti172. Taleoperazione avvenne sotto l’egida dei primi governi podestarili esegnò la definitiva emancipazione dell’istituzione comunale dal-l’ingombrante tutela dell’aristocrazia consolare173. I rettori cittadi-

169 MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne cit.170 PC, doc. 302, p. 313. Un atto del 1204 inerente ad un sedime venne copiato dai

redattori dei Pacta et conventiones in un quaternus comunium con l’esplicita dizione di cartacomunium (ibidem, doc. 64, pp. 138-139).

171 Biscioni, 1/II, docc. 120-121, pp. 61-65.172 Biscioni, 1/II, docc. 199-203, pp. 42-47; doc. 209, pp. 51-52; docc. 215-217, pp.

58-61. Sulla costruzione del palazzo comunale vercellese cfr. R. ORDANO, Le torri più anti-che di Vercelli e la torre del comune, in “Bollettino storico vercellese”, 17 (1988), pp. 44-49;C. TOSCO, Potere civile ed architettura. La nascita dei palazzi comunali nell’Italia nord – occi-dentale, in “BSBS”, 97 (1999), pp. 513-545, con particolare riferimento alle pp. 516-518.

173 Cfr. P. RACINE, Les palais publics dans les communes italiennes (XII-XIIIe siècles), in Lepaysage urbain au moyen âge, Lione 1981, pp. 133-153; G. SOLDI RONDININI, Evoluzionepolitico-sociale e forme urbanistiche nella Padania dei secoli XII-XIII: i palazzi pubblici, in Lapace di Costanza 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero. Milano-Piacenza, 27-30 aprile 1983, Bologna 1984, pp. 85-98; G. GARZELLA, L’edilizia pubblica

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ni si mostrarono intraprendenti in questo settore, sicché altri edi-fici vennero comprati nel 1196 e nel 1197174 e, successivamente,nel 1214: quest’ultimo fu dato in prestito alla società diSant’Eusebio175. Queste acquisizioni, se erano servite all’enuclea-zione di un primo patrimonio immobiliare del comune, tuttavianon avevano risposto a finalità economiche, quanto al migliora-mento della struttura amministrativa pubblica.

Un altro fenomeno aveva interessato il mercato immobiliare sulfinire del XII secolo e nei primi decenni del XIII, contribuendo acambiarne la fisionomia: in quel periodo Vercelli aveva visto l’im-migrazione di numerose famiglie provenienti dal contado, di cui èrimasta testimonianza in circa 1700 giuramenti di cittadinatico;essa era stata incoraggiata dal comune nell’ambito della sua poli-tica di controllo territoriale176. Dal 1210 le norme inerenti all’ha-bitaculum previdero che i nuovi abitanti al momento del giura-mento obbligassero all’amministrazione civica una casa: essa dove-va sempre restare a disposizione di quest’ultima e passare in suopossesso qualora gli inurbati avessero deciso di abbandonarla. Sitrattava di una misura presa dal comune nell’intento di vincolarei cittadini alla residenza e di garantirsi l’imposizione fiscale177.Giuseppe Gullino ha rilevato una notevole disparità nelle sommerelative agli edifici impegnati, ipotizzando che essa fosse dovutaalla qualità degli elementi caratterizzanti le strutture abitative, maanche all’intromissione del comune nella valutazione, effettuata inbase a ceto, censo o provenienza178. Si era dunque verificato unmassiccio intervento del governo podestarile in campo immobilia-re, che comportava un dispiego di capitali e, conseguentemente,una costante attenzione da parte delle autorità cittadine.

Il comune non tardò ad intuire le prospettive economiche cheoffriva il settore, facendo inserire una norma statutaria, purtropponon datata, che arrogava lo sfruttamento delle case requisite a pro-

comunale in Toscana, in Magnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 293-311; P. GRILLO,Spazi privati e spazi pubblici nella Milano medievale, in “Studi storici”, 39 (1998), pp. 277-289.

174 Biscioni, 1/II, doc. 207, pp. 50-51; Biscioni, 1/III, doc. 516, p. 78; HPM,Chartarum, II, doc. 1683, coll. 1179-1180.

175 Biscioni, 1/II, doc. 214, pp. 57-58. Acquisti, I, f. 10.176 GULLINO, Inurbamenti ed espansione urbana cit., p. 280.177 GULLINO, Inurbamenti ed espansione urbana cit., pp. 286-291.178 GULLINO, Inurbamenti ed espansione urbana cit., pp. 297-298.

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prio vantaggio179. Queste ultime nei primi decenni del XIII seco-lo erano notevolmente aumentate: già nel 1204 i consoli avevanoavocato alla mano pubblica un’abitazione nella vicinia di S. Maria,appartenuta a Guglielmo Rapizza180; nel 1207 il miles iusticieCassina entrò in possesso di altre due case presso la chiesa di S.Salvatore181. Essendosi incrementato il patrimonio immobiliarecittadino assieme alla sua redditività182, se ne complicò anche lagestione: essa venne migliorata trasferendola sotto la giurisdizionedei procuratori delle comunanze. Comunia venivano, infatti, con-siderate le case: è significativa la scelta dei redattori del libro deiPacta et conventiones di porre accanto alla requisizione di un’abita-zione la rubrica “carta comunium”183.

Ad ogni modo, sebbene le sopravvivenze documentarie nonconsentano di delineare l’aspetto remunerativo dello sfruttamentodegli immobili confiscati184, questo settore rimase piuttosto vinco-lato alle esigenze di controllo del territorio e dell’immigrazione.Esemplificativo al riguardo è l’acquisto di una casa “in hora SanctiMichaelis” eseguito dal podestà Ugo Praelloni il 18 marzo 1232;lo stesso giorno essa venne ceduta in affitto ad un osbergarius mila-nese185. Più che agli interessi del mercato immobiliare, l’operazio-ne rispondeva alla volontà del comune di impiantare in città unaricercata attività artigianale186.

179 Statuta, 253, pp. 184-186.180 PC, doc. 64, pp. 138-139.181 PC, doc. 344, p. 344.182 Sulle possibilità di arricchimento offerte dal mercato immobiliare cittadino cfr. E.

SAITA, Case e mercato immobiliare a Milano in età visconteo-sforzesca (secoli XIV-XV), Cassinade’ Pecchi 1997.

183 PC, doc. 64, p. 138.184 La testimonianza più interessante riguarda l’alienazione di una casa effettuata dai

procuratori delle comunanze, senza che però ne venisse indicato il prezzo di vendita (PC,doc. 302, p. 313).

185 Biscioni, 1/II, docc. 225-226, pp. 68-74.186 L’episodio è ricordato da SETTIA, L’esercito comunale vercellese cit., p. 333; sulle diret-

tive comunali volte a favorire lo sviluppo economico cittadino cfr. C.M. CIPOLLA, Storiaeconomica dell’Europa pre-industriale, Bologna 1974, pp. 91-92.

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7. Il comune e il contado: le terre di Trino e di Tricerro

L’acquisto del territorio di Trino, sito a nord del Po, da partedei consoli vercellesi dal marchese Bonifacio di Monferrato avven-ne nel 1202, alla vigilia della partenza di quest’ultimo alla voltadella Terrasanta: l’operazione, dietro la quale è possibile intravede-re un prestito mascherato, fu concertata da tutte le forze politichecittadine ed impegnò a fondo l’erario pubblico, costretto a versa-re 7000 lire di pavesi ai procuratori marchionali187. Con essa ilcomune entrò in possesso della giurisdizione su un territorio daun punto di vista politico estremamente importante, ma anchedelle ampie risorse allodiali degli Aleramici in quest’area e delleterre collettive del luogo188. Il governo urbano si trovò quindi adisporre di consistenti beni fondiari, caratterizzati da appezza-menti pianeggianti dominati dal coltivo e dal bosco: per essi dal1211 - cioè dopo che scadde la clausola di riacquisto che il mar-chese di Monferrato aveva inserito nel contratto di vendita e pro-babilmente in connessione con la maggiore maturità dell’istituzio-ne comunale -, cominciò ad elaborare un organico piano di sfrut-tamento189. Francesco Panero ha mostrato in maniera convincen-te che l’attenzione delle autorità cittadine nella gestione dei nuovipossedimenti, sebbene questi ultimi fossero potenzialmente ido-nei ad una valorizzazione annonaria, fu volta piuttosto al consoli-damento del controllo del territorio: tra il 1210 ed il 1212 Trinofu dichiarato borgo franco, con il proposito di assicurarsi la fedel-tà degli abitanti in vista di un possibile colpo di mano da partedegli Aleramici190, che in quegli anni avevano intentato contro iVercellesi un processo per usura presso la Santa Sede191. Per incre-mentare la consistenza demica del luogo, essenziale per il suo raf-forzamento e per una migliore difesa, dal 1211 si procedette alla

187 RAO, Tra comune e marchese cit., pp. 46-59; PANERO, Due borghi franchi padani cit.,pp. 36-38.

188 Il comune all’acquisto richiese esplicitamente la titolarità su “comunibus et comu-nanciis” (Biscioni, 1/I, doc. 95, p. 203); non è tuttavia semplice determinare se tali estensio-ni continuarono a essere caratterizzate da un utilizzo collettivo oppure, come stava avvenen-do negli stessi anni in città, fossero state ridotte ad appezzamenti dati in affitto. È probabi-le che esse rimasero proprietà comuni, poiché non mancano attestazioni nella documenta-zione posteriore di usi civici (cfr., ad esempio, C. SINCERO, Trino, i suoi tipografi e l’abaziadi Lucedio. Memorie storiche con documenti inediti, Torino 1897).

189 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 155-177.190 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 41-47.191 RAO, Tra comune e marchese cit., pp. 51-53.

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concessione delle terre di proprietà comunale a condizioni parti-colarmente favorevoli192. Al fine di incoraggiare il popolamentodel borgo franco vennero, infatti, messi a disposizione degli abita-tori appezzamenti dell’estensione media di un manso – circa dieciettari - per un canone annuo esiguo, 20 soldi, che rispondevanoad un valore ricognitivo piuttosto che reale193. Nel 1220, al fine diminare ulteriormente le basi della fazione monferrina presentenella località, il comune, dopo avere requisito a numerosi conces-sionari le terre di sua proprietà, patrocinò l’immigrazione di 32famiglie comasche: tra gli obblighi dei nuovi abitanti spicca quel-lo della fedeltà militare alla città. Dal 1218, a condizioni simili,Vercelli diede luogo all’assegnazione dei suoi estesi fondi nel neo-nato borgo franco di Tricerro, della cui giurisdizione si era impa-dronita nell’ambito dell’acquisto di Trino194.

Al di là del prevalere dell’interesse politico su quello economi-co nello sfruttamento delle terre di cui il comune era entrato inpossesso, occorre rilevare che sia per la loro estensione - almeno1289 ettari di terreno195 -, sia per il cospicuo reddito che comun-que garantivano196, esse costituivano beni di rilievo eccezionale trale proprietà di Vercelli e, proprio a causa della loro importanza,richiedevano una gestione accurata da parte dell’amministrazioneurbana. Inoltre, rispetto ai beni comunali siti nel suburbio, eranodistanti dalla città ed era difficoltoso per il podestà attendervi inmaniera continua: si rendeva necessaria una delega di poteri chegarantisse una supervisione meticolosa dei fondi di Trino e diTricerro, a maggior ragione considerata la loro funzione politica.Inizialmente la scelta dei rettori urbani rimase divisa tra due auto-rità, che si spartirono la gestione delle terre: il podestà del luogo,scelto da Vercelli, e – appunto - i procuratores comunium. Questiultimi prevalsero infine, imponendosi definitivamente nellagestione delle terre trinesi tra il 1215 e il 1220197. Assegnando acostoro l’amministrazione dei possedimenti, il comune cercò l’in-serimento dei redditi trinesi in una più ampia pianificazione eco-

192 PANERO, Due borghi franchi padani cit., p. 43.193 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 67; 176.194 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 47-64.195 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 155-156.196 PANERO, Due borghi franchi padani cit., p. 176.197 Per la trattazione di questi problemi rimando a RAO, La proprietà allodiale civica cit.,

pp. 390-392.

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nomica centralizzata che ne garantisse una maggiore resa198. Sipuò rintracciare l’affermazione di questo indirizzo nella progressi-va mutazione dei canoni, che, pur rimanendo estremamente favo-revoli ai coloni, tesero al rialzo: essi, rispetto alle condizioni inizia-li, erano pressoché raddoppiati verso il 1225, passando dagli ottoai 16 denari pavesi per moggio199. La decisione di mantenere inva-riati alcuni contratti ad quartum, probabilmente ereditati dallaprecedente amministrazione marchionale, può invece fare pensaread un’attenzione alle esigenze annonarie urbane200, cui, come si èvisto, il comune vercellese non era alieno.

Se l’entrata dei possedimenti del contado nell’amministrazionecentralizzata dei beni comunali scombussolò indelebilmente lastruttura della proprietà delle località soggette, è vero anche cheper altro verso l’espansione al di fuori della città stravolse la fisio-nomia del patrimonio civico e ne condizionò la gestione: è indi-cativo che la prima testimonianza dell’utilizzo da parte del comu-ne urbano di procuratori al fine di attendere alla cura delle suecomunanze riguardi proprio Trino201. Qui, infatti, si trovavanovaste estensioni che diedero maggiore consistenza ai comunia ver-cellesi, rimasti fino allora abbastanza circoscritti. Inoltre in questalocalità era avvenuta una frattura netta con le condizioni di affit-to utilizzate in precedenza, costringendo le autorità cittadine acercare nuove forme di amministrazione. Queste caratteristichefecero aumentare l’interesse del governo podestarile per le comu-nanze, spingendolo ad elaborare un sistema gestionale centralizza-to che soddisfacesse le sue esigenze di controllo e di valorizzazio-ne delle terre civiche. La lontananza di tali possessi dalla città sug-gerì ai rettori urbani una delega di poteri, che stimolò una diver-sificazione di competenze nell’apparato comunale e la creazione diun’apposita magistratura202.

Le numerose attestazioni di inchieste sui fondi di Trino e diistituzioni di procure designate alla loro cura, che hanno lasciatotraccia nella documentazione vercellese, sono il segno più tangibi-

198 RAO, La proprietà allodiale civica cit., pp. 390-392.199 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 175-176.200 PANERO, Due borghi franchi padani cit., pp. 175-176.201 Essi furono Maifredo de Guidalardis e Giacomo de Ast nel 1211 (al riguardo cfr.

quanto detto in precedenza).202 Molto simile l’evoluzione dei beni comunali bresciani (RAO, Beni comunali e gover-

no del territorio cit., pp. 184-194).

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le di come il contado sia stato il principale stimolo all’evoluzionedell’amministrazione dei beni comunali ed il momento decisivoper la loro elevazione a settore indipendente e cospicuo dellefinanze urbane.

8. Lo sfruttamento economico delle pertinenze dei castelli

Un capitolo separato è costituito dal problema delle pertinen-ze dei castelli, strettamente connesso al tentativo del comune ver-cellese di controllare il contado fra la fine del XII e l’inizio del XIIIsecolo. Esse, pur rientrando solo in senso improprio nella defini-zione di comunia203, denotano punti di contatto con questi ultimi,essendo state oggetto in piena età podestarile di forme di gestioneaffini, e, almeno in alcuni casi, venendo sottoposte all’amministra-zione degli stessi procuratores comunium204. Il concetto che ilgoverno urbano aveva dei castelli come beni comunali, tuttaviainteressati da una valenza politica che richiedeva una conduzionea sé stante rispetto alle altre comunanze, è del resto ben chiaritonell’articolo statutario del 1229 in cui si provvide all’alienazionedi “omnia que et quecumque inventa fuerint communi pertinere”:dall’elenco delle proprietà comunali destinate ad essere vendutevenivano eccettuati, assieme a comunanze interne alle mura, muli-ni cittadini, ponti, pedaggi e curadia (ossia il dazio cittadino), pro-prio i castelli205.

I primi tentativi vercellesi di entrare in possesso dei castellicomitatini avevano avuto luogo durante la fase consolare. In quelperiodo il comune, nell’intento di estendere la sua autorità sui

203 I castelli sono inclusi nei beni comunali, per esempio, da CAROCCI, Le comunalie diOrvieto cit., pp. 717-718.

204 Al riguardo cfr. quanto esposto in precedenza, p. 74.205 Statuta, 337, pp. 237-243. La prassi di acquistare i castelli e il suolo su cui venivano

eretti i borghi nuovi è stata studiata in RAO, La proprietà allodiale civica cit. Recentementeè stato mostrato che l’acquisto di tali terreni era consueto anche per altre città, per esempioBrescia, Asti e Novara (cfr. i contributi di P. GRILLO, La politica territoriale delle città e l’isti-tuzione di borghi franchi: Lombardia occidentale e Lombardia orientale a confronto (1100-1250), pp. 45-97; R. BORDONE, «Loci novi» e «villenove» nella politica territoriale del comu-ne di Asti, pp. 99-122; A.M. RAPETTI, I borghi franchi del Piemonte centro-settentrionale:Novara, Vercelli, Ivrea, pp. 307-328 in Borghi nuovi e borghi franchi nel processo di costruzio-ne dei distretti comunali nell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XIV), a cura di R. Comba,F. Panero, G. Pinto, Cherasco-Cuneo 2002 e RAO, Beni comunali e governo del territorio nelLiber potheris cit.).

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numerosi centri di potere signorile di un distretto tanto ampioquanto difficile da tenere sotto osservazione, aveva cercato di lega-re a sé i signori detentori di roccaforti: i consoli si erano garantitila sottomissione vassallatica dei domini, mentre questi ultimi ave-vano potuto mantenere i loro possessi206. Sorgevano tuttaviaimmancabilmente dispute quando il governo vercellese, impegna-to in azioni belliche, richiedeva il loro sostegno. I beneficiariappartenevano, infatti, ad una nobiltà rurale che ben poco parte-cipava dei problemi della comunità urbana. Del resto costoroerano preoccupati dalle conseguenze che poteva comportare unaloro entrata in guerra, esposti come erano alle ripercussioni deinemici, molto più pericolosi della lontana Vercelli: il centro urba-no spesso era molto distante dai suoi vassalli, come si può osser-vare facilmente nel caso dei castelli sottomessi nell’Eporediese,Burolo, Mongrando, Bollengo e S. Urbano, prossimi alla città diIvrea. Essi negavano quindi il loro aiuto, talora avvalendosi del-l’appoggio o dell’investitura del vescovo - in rapporti conflittualicon il comune e titolare di diritti nel contado207 - dando così ori-gine a prolungate controversie con la dominante208.

Per reagire a questa situazione già durante l’ultimo periodoconsolare e ancor più sotto il regime podestarile si cercò di irrobu-stire l’autorità sul territorio, soprattutto attraverso la creazione diborghi franchi209; tale politica si riflesse anche in una più attentaamministrazione dei castelli, tramite iniziative che coinvolgesseroi fedeli gruppi dirigenti urbani. Il controllo delle zone limitrofe, divitale importanza per la sicurezza vercellese, venne invece assicu-rato attraverso una norma statutaria del 1225, la quale impose chei castelli nel raggio di quattro miglia dalla città restassero in manoa cives210. In quest’area il comune non arrivò a nominare propri

206 Al riguardo cfr. PENE VIDARI, Vicende e problemi della fedeltà eporediese cit.; ID.,Vescovi e comune nei secoli XIII e XIV, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al secolo XV,a cura di G. Cracco, Cittadella 1998, pp. 925-971; RAO, La proprietà allodiale civica cit., p.375.

207 Cfr. L. MINGHETTI RONDONI, Alberto vescovo di Vercelli (1185-1205). Contributo peruna biografia, in “Aevum. Rassegna di Scienze linguistiche e filologiche”, 59 (1985), pp.267-304.

208 Cfr. per esempio le controversie riguardanti i signori di Robbio nel 1215 (PC, docc.28-29, pp. 56-65) o il conte Pietro di Masino (DAC, docc. 119-120, pp. 196-198).

209 Su tutti si ricordano PANERO, Comuni e borghi franchi cit.; ID., Due borghi franchipadani cit.; RAO, La proprietà allodiale civica cit. Sul rapporto tra controllo del territorio eborghi franchi cfr. anche i volumi I borghi nuovi, a cura di R. Comba e A. Settia, Cuneo1993 e il già ricordato Borghi nuovi e borghi franchi cit.

210 Statuta, 185, pp. 140-141.

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ufficiali preposti alla custodia delle roccaforti, ritenendo che ilfatto di lasciarle in possesso di cittadini fosse comunque unagaranzia di tranquillità. Del resto il principio di favorire i maggio-renti urbani a scapito della nobiltà rurale - qualora non fosse pos-sibile instaurare propri castellani - trovò costante applicazionenella politica vercellese durante il periodo preso in esame: essorispondeva alle ambizioni del gruppo dirigente comunale, all’in-terno del quale peraltro sempre maggior peso andavano assumen-do alcune famiglie di provenienza popolare e di recente ascesa, peresempio i Passardo, beccai211.

Anche nei confronti delle roccaforti più lontane il governopodestarile elaborò forme di controllo, che poggiavano innanzi-tutto sull’utilizzo del diritto feudale, tramite la creazione di unasua curia vassallorum: si tratta di una testimonianza insolitanell’Italia dei comuni che “tanto meno convocavano i vassalli inuna «curia dei pari» per risolvere qualche controversia”212. Conessa l’amministrazione urbana regolava le controversie con i suoivassalli, ritenendo probabilmente di potere addomesticare piùfacilmente il giudizio dei pari213. L’autorità sul distretto era otte-nuta anche attraverso una gestione in prima persona dei castelliacquistati: ad essa si provvide tramite l’istituzione di propri castel-lani cooptati all’interno del gruppo dirigente vercellese, spesso inseguito ad una più decisa azione nei confronti della nobiltà ruraleche venne esautorata dei propri possessi. In questo modo il gover-no cittadino si assicurò nuovi introiti214 ed una sicura fedeltà delleroccaforti, presso le quali si cercò di costringere il castellano arisiedere215. I cives titolari, pagati dallo stesso comune, in tale siste-ma trovarono invece una buona possibilità di arricchimento e di

211 Si rimanda anche in questo caso alle considerazioni fatte nel primo paragrafo di que-sto stesso capitolo con la relativa bibliografia. Per un confronto con la situazione senese cfr.A. GIORGI, Il conflitto magnati/popolani nelle campagne: il caso senese, in Magnati e popolaninell’Italia comunale cit., pp. 137-211; per il Piemonte si veda invece R. BORDONE, Magnatie popolani in area piemontese con particolare riguardo al caso di Asti, in Magnati e popolaninell’Italia comunale cit., pp. 397-419.

212 FASOLI, Città e feudalità cit., p. 382.213 Le testimonianze risalgono all’anno 1224, nell’ambito di una causa tra il comune di

Vercelli ed il comune di Ivrea (Il libro rosso del comune di Ivrea cit., docc. 142-157, pp. 126-142). Al riguardo cfr. PENE VIDARI, Vicende e problemi della fedeltà eporediese cit., pp. 37-38.

214 I castellani avevano l’obbligo di amministrare la giustizia (Statuta, 180, pp. 135-138), oltre alle pertinenze dei castelli, sulle quali ci si soffermerà in seguito.

215 Statuta, 363, p. 258.

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aumento di prestigio: nel 1207, per esempio, Giovanni Garbagnaricevette dai consoli vercellesi 50 lire di pavesi in pagamento deiprimi quattro mesi di custodia di Mongrando216. Il salario versatonon doveva tuttavia essere il solo emolumento percepito, poichéquando nel 1227 Uguccione Bonello fu istituito podestà e castel-lano di Casalvolone si stabilì che gli fossero corrisposti, oltre al“feudum consuetum castellanie”, anche la metà dei proventi deri-vanti dai banni e dall’amministrazione della giustizia217. Gli statu-ti imponevano inoltre che i castellani non fossero rinominati, qua-lora non fosse trascorso almeno un lustro218: oltre a garantire unavvicendamento del gruppo dirigente negli incarichi prestigiosi elucrosi, facendo sì che questi potessero essere ricoperti da un mag-giore numero di cittadini, ci si cautelava dalla formazione disignorie personali stabili da parte degli investiti219.

Il tentativo di un maggiore controllo sul distretto da parte delleautorità urbane si sviluppò nei primi trenta anni del XIII secolo efu reso possibile dal periodo di espansione del comune: a patroci-narlo furono soprattutto i ceti popolari, politicamente egemoni incittà, ma ancora deboli nelle campagne, dove per contro l’aristo-crazia aveva numerosi diritti signorili e poteva facilmente risultar-ne danneggiata220. Esso fu dunque reso possibile da una particola-re congiuntura, che al momento di forza del comune aggiunse lapressione popolare, a cui i milites, almeno in questo primomomento, non si opposero: quando invece, con il divampare dellelotte intestine, la fazione magnatizia scelse di ritirarsi nel contado,quest’ultimo venne in gran parte perso dal governo cittadino221.

Questo sistema di amministrazione comportò anche un’espan-sione dei comunia: infatti, la gestione delle roccaforti tramite uffi-ciali comunali si estese a Casalvolone222, Mongrando223, Burolo224,

216 Acquisti, I, f. 53.217 Biscioni, 1/II, doc. 416, p. 359. Delle stesse condizioni in precedenza aveva goduto

anche Aicardo Grasso (ibidem, doc. 421, p. 362).218 Statuta, 128, p. 101, norma del 1224. In un articolo del 1242 (ibidem, 120, pp. 94-

95) si disponeva che trascorresse invece un biennio.219 R. BORDONE, Vita economica del Duecento, in Storia di Torino. 1. Dalla preistoria al

comune medievale, a cura di G. Sergi, Torino 1997, pp. 749-783, con particolare riferimen-to alle pp. 778-780; GIORGI, Il conflitto magnati/popolani nelle campagne cit.

220 PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit.221 Cfr. capitolo IV, pp. 168-174.222 Cfr. oltre, in questo stesso capitolo.223 Cfr. oltre, in questo stesso capitolo.224 Cfr. oltre, in questo stesso capitolo.

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Vintebbio225, Visterno226, Gattinara227 e Torcello, posseduto assie-me ad Alessandria e Milano228. Esso rese possibile uno sfruttamen-to economicamente remunerativo delle loro pertinenze, che pre-senta molti punti di contatto con quello delle comunanze. Ilgoverno vercellese, infatti, non aveva un’autorità soltanto nomina-le sulle terre dei castelli: ciò si può evincere dal fatto che, in segui-to al loro recupero a spese della nobiltà rurale, avvenuto non senzadifficoltà, si procedette ad una stima dei beni di cui il comune siimpadronì - appezzamenti, sedimi appartenuti agli antichi pro-prietari -, eseguita da extimatores eletti per l’occasione. Il castella-no gestiva tali pertinenze dandole in affitto a nome dell’ammini-strazione cittadina, che vedeva così affluire nuovi emolumenti.

La prima attestazione di un procedimento di stima dei beni deicastelli, presupposto necessario al loro sfruttamento economico daparte dei rettori urbani, riguarda il castello di Mongrando: il 28aprile 1207, Monrovello Alciati, “nuncius constitutus a comuniVercellensis”, entrò in possesso a nome del comune di “terrarumet nemorum et vinearum et castanearum et pratorum et sedimi-num” dei signori di Mongrando229. Nell’atto vennero elencati tuttii singoli appezzamenti che Monrovello rivendicò a nome delgoverno cittadino, anche se non furono menzionati estimatoripreposti alla ricognizione. L’amministrazione comunale, alla vigi-lia della definitiva affermazione del regime podestarile, in unadelle sue prime esperienze di conduzione tramite propri ufficiali,non aveva ancora maturato una prassi inerente alla misurazionedei beni di cui entrava in possesso: essa non era ancora delegata aextimatores, seguendo il sistema usuale per le comunanze, che infuturo sarebbe stato adottato anche per i castelli. Ad ogni modo,a riprova del fatto che il castrum venne effettivamente gestito dalcomune, nel giugno dello stesso anno Giovanni Garbagna, come

225 Biscioni, 2/I, doc. 8-9, pp. 25-27; Acquisti, II, f. 62. Su Vintebbio cfr. anche G.ANDENNA, Presenze signorili, iniziative politiche cittadine e gruppi vassallatici nella bassaValsesia tra XII e XIII secolo, in “Bollettino storico vercellese”, 44 (1995), pp. 71-96, con par-ticolare riferimento alle pp. 79-84; R. ORDANO, Due castelli forti, minacciosi, inespugnabi-li…, ibidem, pp. 123-136.

226 Biscioni, 1/I, doc. 99, pp. 218-222.227 Biscioni, 2/I, doc. 10, pp. 27-28. Cfr. anche F. FERRETTI, Un borgo franco vercellese

di nuova fondazione: Gattinara. Motivi e condizioni d’un impianto residenziale-difensivo, inVercelli nel XIII secolo cit., pp. 393-449.

228 Cartario alessandrino cit., vol. II, doc. 344, p. 207.229 Biscioni, 1/III, doc. 572, pp. 156-160.

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si è già riferito, venne pagato per i primi quattro mesi di custodiadel castello230; esso successivamente, nel 1219, venne dato in con-segna dal podestà Provino de Ingoardis, “hinc ad annum unumproximum”, a Guglielmo Oliva231.

Un’altra attestazione di una stima delle pertinenze di un castel-lo risale al 1225, quando il sindaco del comune Pietro Frugeriorichiese al podestà la nomina di estimatori che misurassero le terredei signori di Casalvolone, luogo a lungo conteso con iNovaresi232. Tale roccaforte era già stata acquistata nel 1186, mafu subito riconsegnata ai signori locali233: costoro non l’avevanodovuta cedere di buon grado ai rettori cittadini, poichéCasalvolone era stato costituito borgo franco nel 1223 e nello stes-so anno essi erano stati banditi dal comune; il provvedimento fuconfermato nel 1225234. Il 21 aprile dello stesso anno il podestàprocedette alla nomina dei quattro estimatori, Giacomo deOdemario, Giacomo Tizzoni, Buongiovanni Carraria e Galiano deUgucione, i quali una settimana dopo, il 28 aprile, presentarono laricognizione delle terre: essa sarebbe dovuta servire ad estinguereil debito che i domini avevano con il comune235. I beni di cui ilgoverno cittadino entrò in possesso a Casalvolone furono gestitida un castellano vercellese, che li dava in affitto a nome dei retto-ri urbani: nel 1230, infatti, Pietro Oliva, castellanus in quella loca-lità, fece tre atti di investitura a beneficio di abitanti diCasalvolone per tre sedimi di proprietà comunale, dietro corre-sponsione di un fitto annuo236.

Tali vicende possono essere ripercorse nell’emblematico caso diBurolo, che costituisce un ottimo punto di osservazione attraver-so cui comprendere la parabola che interessò la politica vercellese

230 Acquisti, I, f. 53.231 Biscioni, 1/III, doc. 573, pp. 161-162. Sui due castellani, uno legato alla fazione

nobiliare, l’altro a quella popolare cfr. Appendice 1.232 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, pp. 217-220. Su queste vicende cfr.

anche G. ANDENNA, Andar per castelli. Da Novara tutto intorno, Torino 1982, pp. 237-243;RAO, La proprietà allodiale civica cit., pp. 385-386; P. KOCH, Der Rechtskonflite derKommune Vercelli – Zur Entstehung und zum Einsatz von Prozeßschriftug, in KommunalesSchriftug in Oberitalien cit., pp. 91-116, con particolare riferimento alle pp. 93-95; F.COGNASSO, Il Piemonte nell’età sveva, Torino 1968, pp. 632-633.

233 PC, docc. 101-106, pp. 186-196.234 Nel 1223 il banno era contenuto nel liber bannorum del comune (KOCH, Der

Rechtskonflikte cit., p. 93); il provvedimento fu ribadito nel 1225 (MANDELLI, Il comune diVercelli cit., vol. I, pp. 133-136).

235 Biscioni, 1/III, docc. 470-471, pp. 13-22.236 Biscioni, 1/III, docc. 481-483, pp. 30-32.

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nei confronti dei possessi nel distretto, ben spiegando le premesseche portarono ad una conduzione in prima persona delle perti-nenze dei castelli in età podestarile. Soprattutto, però, esso esplicale cause del declino di questa forma di amministrazione, avvenu-to dopo l’istituzione del regime popolare e con il fenomeno delfuoriuscitismo, che sarà oggetto del quarto capitolo.

Nel 1193 il governo civico aveva acquistato il castello daAicardo da Burolo e dai suoi nipoti, restituendolo subito in feudoagli antichi proprietari237. Per alcuni anni il comune si era accon-tentato del dominio eminente, ma dal 1199 cercò di gestirlo diret-tamente, iniziando una lunga causa con i da Burolo e, a secondadelle circostanze, con il vescovo e con i consoli eporediesi238. Inpiena età podestarile Vercelli riuscì finalmente a gestire il castello,che venne dato in custodia prima a Uguccione Bonello, poi aGuglielmo Mangino, spesso menzionati nelle credenze vercellesidi quegli anni: nel mese di agosto del 1220, a distanza di pochigiorni, essi ne vennero investiti dal governo cittadino239. Alcunimesi dopo, in ottobre, Nicola Garbagna e Mantello Balzola, nellostesso anno “procuratores comunium et specialiter ad dandumterras et sedimina hominibus habitantibus in Tribus Cerris etTridino”, procedettero a stimare “prata et sedimina et terre et vine-te (sic) et castegneta pertinencia castro Burolii”240. Dunque, fusolo negli anni di piena maturità del governo podestarile e di mag-giore forza del comune che si posero le basi per una gestione effi-ciente delle pertinenze dei castelli, ricalcata sul sistema di condu-zione delle comunanze: infatti, la stima dei beni, se da un latoesprimeva la necessità dei Vercellesi di avere un quadro chiarodella proprietà, onde tutelarsi da controversie ed accaparramenti,per altro verso mostra l’interesse economico per la valorizzazionedelle terre civiche, nel momento in cui, esautorato l’antico domi-nus, gli subentrava l’amministrazione cittadina, nella persona delcastellano.

237 DAC, doc. 19, pp. 34-38. Su queste vicende cfr. anche KOCH, Der Rechtskonfliktecit., p. 106.

238 Al riguardo cfr. M.P. ALBERZONI, Da Guido di Aosta a Pietro di Lucedio, in Storia dellaChiesa di Ivrea cit., pp. 193-255, con particolare riferimento alle pp. 217-219; 226-229 eEAD., Città, vescovi e papato nella Lombardia dei comuni, Novara 2001, pp. 187-188. Il casodi Burolo è preso in esame anche da L. BAIETTO, Vescovi e comuni: l’influenza della politicapontificia nella prima metà del secolo XIII a Ivrea e Vercelli, in “BSBS”, 100 (2002), pp. 459-546, qui alle pp. 476-477.

239 DAC, docc. 86-87, pp. 112-114.240 DAC, doc. 88, pp. 114-118.

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Dopo gli anni Trenta del secolo il comune perse però gradual-mente autorità sulla roccaforte, probabilmente anche in conse-guenza delle violente contrapposizioni all’interno della societàurbana in questo periodo241. Esso si dovette accontentare di soste-nere le pretese sul castello da parte di un suo cittadino, OttobonoDe Benedetti, che vi esercitò stabilmente la signoria. Con l’avven-to del regime popolare l’amministrazione cittadina in questo pos-sesso lontano non riuscì più a conservare alcuna autorità e dovet-te lasciare via libera alle ambizioni egemoniche dei De Benedetti:durante il fuoriuscitismo di Pietro Bicchieri Burolo fu ricordatanegli statuti come una delle roccaforti schierate contro il comu-ne242.

Ciò che si vuole evidenziare nella parabola di Burolo è come ilcontado, in special modo nelle zone più difficilmente controllabi-li dalla città, rimase sottomesso alle signorie di cives vercellesi, dienti ecclesiastici cittadini e di milites rurali. Durante la fase conso-lare il comune tentò di ottenere da costoro una sottomissione for-male, attraverso la creazione di un legame vassallatico; tuttavia, fusolo con il progredire del XIII secolo, con la stabilizzazione delregime podestarile e con l’ascesa del populus, che esso riuscì adestromettere i vecchi proprietari e ad inaugurare forme di gestio-ne centralizzate tramite ufficiali cittadini. Questi ultimi garantiva-no inoltre un razionale sistema di amministrazione anche dellepertinenze delle roccaforti, equiparate alle comunanze urbane.Effettivamente lo sviluppo di una magistratura dedicata alla curadei beni comunali e l’istituzione dei castellani procedettero inmodo parallelo, negli stessi tempi. Non è casuale che gli articolistatutari emanati nel 1224 – dunque in piena età podestarile e nelperiodo di massima espansione del comune – inerenti ai procura-tori e ai castellani seguissero le medesime modalità: a tali ufficialiveniva imposto il divieto di rielezione qualora non fosse trascorsoun lustro243. L’amministrazione urbana era quindi riuscita a crea-re un sistema efficiente, che era stato stimolato dall’iniziativapopolare. Esso, tuttavia, era vincolato, data la lontananza dei beni,al controllo del territorio, che a sua volta si reggeva sulla parteci-

241 Cfr. Capitolo IV.242 Statuta, “Statuta e documenta nova”, 77, p. 482; ibidem, 53, p. 443, doc. relativo al

1246, in cui Ottobono e Ranieri erano stati banditi assieme ai Bicchieri.243 Statuta, 128, p. 101.

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pazione aristocratica alla politica cittadina244: le guerre conFederico II, i conflitti magnatizi e il fuoriuscitismo interrupperoquesto processo, lasciando spazio all’instaurazione ed al consolida-mento di signorie rurali da parte dei milites vercellesi.

244 CAROCCI, Le comunalie di Orvieto cit., p. 714 ha osservato che “tutte le comunalieorvietane si trovano nella zona del contado sulla quale il comune esercita effettivamente lapropria autorità”.

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III. I mulini comunali

I mulini di proprietà della città di Vercelli nel Duecento veni-vano classificati dai redattori dei libri del comune all’interno deicomunia1. Essi furono interessati dalla medesima parabola, stretta-mente connessa agli sviluppi politici e sociali urbani, che condi-zionò le comunanze; tuttavia una loro trattazione a parte è giusti-ficata dalle problematiche demografiche ad essi legate, alla funzio-ne di centro di potere che rivestivano, ma soprattutto all’impres-sione che gli impianti molitori, almeno quelli cittadini, occupas-sero un ruolo a sé stante all’interno delle finanze comunali. Nonsolo non erano sottoposti – come le altre comunanze - ai procura-tores comunium, ma facevano anche parte, assieme alla curadia, alpeso ed al pedaggio, del patrimonio civico più rigorosamente ina-lienabile, cui i podestà vercellesi guardarono con un’attenzionetutta particolare2.

Del resto è la stessa storiografia ad avere sviluppato, proprio inconsiderazione del complesso intreccio di tematiche che avvolge latrattazione dei mulini, uno specifico filone di ricerca su di essi, chedai lavori pionieristici di Marc Bloch è andata affinando i suoistrumenti: in Italia, in particolare, negli ultimi 25 anni la cono-scenza in questo campo è molto aumentata, grazie a studi che,partendo dalle suggestioni proposte dal grande medievista france-se, hanno progressivamente sviluppato singoli settori3. I mulinisono stati quindi messi in luce nei loro aspetti tecnici, ambientalied insediativi, nelle loro valenze annonarie, economiche e politi-

1 Introduzione, p. 20.2 Oltre, pp. 146-151.3 R. COMBA, Intrecci e frontiere di una ricerca, in Mulini da grano nel Piemonte medieva-

le. Secoli XII-XV, a cura di R. Comba, Cuneo 1993, pp. 7-8, con particolare riferimento ap. 7. Lo studio a cui si fa riferimento è M. BLOCH, Avvento e conquiste del mulino ad acqua,in ID., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Roma-Bari, 1992, pp. 73-110.

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che4. Non sono mancate indagini che, parallelamente al rinnova-to interesse per la storia cittadina5, si sono occupate del comples-so rapporto tra comuni ed impianti molitori: è stata così delinea-ta la precoce attenzione – nata già nel XII secolo ed intensificata-si nel XIII con l’imposizione dei governi popolari – da parte delleamministrazioni urbane per queste strutture, in connessione conl’attuazione di politiche annonarie e di recupero dei diritti sulleacque (temi questi che sono già emersi dalla trattazione dei benicollettivi)6. Con una bibliografia sempre più ampia, che all’anali-si dei singoli casi va aggiungendo le prime sintesi, e con le ricchesuggestioni da essa offerte deve confrontarsi lo studio dei mulinivercellesi, i quali, pur condividendo problematiche comuni amolte altre città prese in esame dalla medievistica italiana, presen-tano caratteri originali7.

1. La costruzione dei mulini comunali

Nel XII secolo a Vercelli il possesso di mulini si presentavacome una lucrosa forma di investimento che si giovava della favo-revole congiuntura demografica8: la collettività cittadina, a causaanche di un’attenta politica comunale che aveva incoraggiatol’inurbamento, era, infatti, in crescita. Tra il 1162 e il 1164 fuintrapresa la costruzione di una nuova cerchia muraria, cherispondeva alla mutata consistenza demica: oltre ad un aumentonaturale della popolazione, Giuseppe Gullino ha stimato per que-

4 Solo per il Piemonte cfr. i saggi contenuti in Mulini da grano nel Piemonte medievalecit. e Acque, ruote e mulini a Torino, a cura di G. Bracco, Torino 1988, 2 voll. Cfr. inoltrel’approfondito studio dei mulini milanesi compiuto da L. CHIAPPA MAURI, I mulini adacqua nel Milanese (secoli X-XV), Città di Castello 1984.

5 Al riguardo cfr. M. VALLERANI, La città e le sue istituzioni. Ceti dirigenti, oligarchia epolitica nella medievistica italiana del Novecento, in “Annali dell’Istituto storico italo-germa-nico di Trento”, 20 (1994), pp. 165-230.

6 D. BALESTRACCI, La politica delle acque urbane nell’Italia comunale, in L’eau dans lasociété médiévale: fonctions, enjeux, images. Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge,tome 104 (1992), vol. II, pp. 431-479, con particolare riferimento alle pp. 436-451.

7 Per la bibliografia si rimanda ai titoli elencati nel corso del capitolo.8 Sul rapporto tra mulini e demografia cfr. BLOCH, Avvento e conquiste del mulino ad

acqua cit., pp. 94-95; A.I. PINI, Canali e mulini a Bologna tra XI e XV secolo, in ID.,Campagne bolognesi. Le radici agrarie di una metropoli medievale, Firenze 1993, pp. 15-38,con particolare riferimento alle pp. 23-24; J.P. DELUMEAU, Arezzo. Espace et sociétés, 715-1230. Recherches sur Arezzo et son contado du VIII au début du XIII siècle, Roma 1996, vol.II, pp. 886-899.

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sto periodo l’afflusso in città di quasi mille nuovi abitanti in segui-to a trattati di cittadinatico9. Il progresso demografico e il conse-guente sviluppo dei problemi legati al vettovagliamento fece sì chenegli anni centrali della seconda metà del XII secolo i mulini adacqua conoscessero a Vercelli una diffusione capillare, fenomenocomune, non sempre con la stessa cronologia, ad altre cittàdell’Italia centro-settentrionale10.

Nel suburbio erano localizzati numerosi impianti molitori, ilcui funzionamento era facilitato dalla presenza dei corsi d’acquadella Varola, della Sesia e del Cervo, che, addomesticati attraversoopportune chiuse, fornivano l’energia necessaria11. Una rapidascorsa attraverso la documentazione vercellese è sufficiente perdeterminare dove essi fossero situati e chi nel XII secolo ne fossetitolare: nel 1115 ne esistevano in prossimità delle proprietà delcapitolo di S. Eusebio, fuori delle mura, in località Monteglio12;l’ospedale di San Paolo ultra Sarvum aveva una parte del mulinooltre il Cervo, donatagli nel 1170 da Arduino Garbagna13. I maci-natoi dei Carraria erano posti al di là del Cervetto almeno dal117714; l’anno successivo il giudice Medardo cedette al vescovo isuoi diritti su un impianto fuori del fossato della città, “ad locumubi dicitur ad Moliam”15. Nel 1192 Alberto Bondoni e prete

9 G. GULLINO, Uomini e spazio urbano. L’evoluzione topografica di Vercelli tra X e XIIIsecolo, Vercelli 1987, pp. 209-213. Cfr. anche capitolo I.

10 Un raffronto con un’area meno ricca di acque, il Cuneese, può essere istituito trami-te il lavoro di L. PALMUCCI QUAGLINO, Corsi d’acqua e sfruttamento dell’energia idraulica: ilCuneese nei secoli XII-XVI, in Mulini da grano nel Piemonte medievale cit., pp. 91-106. Imulini bolognesi sono invece stati studiati da PINI, Canali e mulini a Bologna cit., pp. 18-24.

11 Cfr. il caso di Voghera, preso in analisi da L. DE ANGELIS CAPPABIANCA, “Vogheriaoppidum nunc opulentissimum”. Voghera ed il suo territorio tra X e XV secolo, Torino 1996, pp.35-39. In un atto del 1177 si fece riferimento alla “clusa molendinorum de Carrariis”, gia-cente al di là del Cervetto (Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldie F. Gabotto, Pinerolo 1914 (BSSS, 71), vol. II, doc. 347, p. 43).

12 Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, G.C. Faccio, F.Gabotto e G. Rocchi, Pinerolo 1912 (BSSS, 70), vol. I, doc. 70, pp. 84-85. Al riguardo cfr.anche G. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec. XIV,a cura di G. Tibaldeschi, Vercelli 1995, p. 245.

13 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 262, pp. 305-306. Su questa famigliacfr. Appendice 1. Sul frazionamento del possesso dei mulini cfr. invece CHIAPPA MAURI, Imulini ad acqua nel Milanese cit., pp. 27-31.

14 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 347, pp. 43-44. Sui Carraria v.Appendice 2.

15 C.D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII eXIII, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale dell’Università Cattolica di Milano,Milano 1968, vol. I, pp. 207-262, con particolare riferimento a p. 214.

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Pietro erano comproprietari di un mulino presso la Sesia16; nellastessa zona, presso il vecchio letto del Cervo, ne aveva unoGuiscardo17.

Si ha menzione di tali strutture anche intra civitatem, situatesulla roggia Vercellina, il principale corso d’acqua che attraversavala città: Ranieri de Bulgaro nel 1145 investì Nicola di Pietrobonodella quinta parte di un mulino in “rugia Vercellina, ultra mona-sterio S. Clementi”18. Vicino alla chiesa di S. Eusebio l’ospedale diS. Graziano nel 1176 possedeva un macinatoio19; un altro, delquale non è però indicata l’ubicazione, nel 1195 era stato dato inaffitto dai canonici del capitolo cattedrale a Tetavegia20. Nel 1202Guglielmo Becco, proveniente da una famiglia di recente ascesa21,vendette un impianto sito oltre la Sesia ad Ardizzone Becco e adOttone Camex22.

Non è casuale che la maggior parte dei proprietari possa essererintracciata negli espropriati delle comunanze inquisite nel 1192o, quantomeno, in appartenenti a famiglie signorili o in rapportidi subordinazione vassallatica nei confronti dei maggiori entiecclesiastici cittadini23. Ad investire nel settore della molitura era,infatti, chi, ad una sufficiente disponibilità finanziaria, aggiunge-va la rivendicazione di diritti sui corsi d’acqua24: istituzioni eccle-

16 PC, doc. 60, p. 131.17 PC, doc. 60, p. 131. Su Guiscardo cfr. Appendice 1.18 Le carte dell’archivio arcivescovile di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, Pinerolo 1917

(BSSS, 85/2), doc. 1, pp. 213-21419 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 336, p. 31.20 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 585, p. 344.21 Per la partecipazione di questa famiglia alla vita politica cittadina cfr. F. PANERO,

Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello studio (1228), inL’università di Vercelli nel Medioevo. Atti del Secondo Congresso Storico Vercellese (Vercelli,Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994, pp. 77-165, con particolare riferi-mento a p. 114 e Appendice 1.

22 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 1 maggio 1202. Su questa casata cfr.Appendice 1 e l’ultimo paragrafo di questo stesso capitolo.

23 Cfr. Appendice 1.24 La necessità di cospicui capitali per intraprendere la costruzione di mulini è stata

messa in rilievo da G. DUBY, L’economia rurale nell’Europa medievale. Francia InghilterraImpero (secoli IX-XV), Bari 1972, p. 25. Cfr. anche D. BALESTRACCI, Approvvigionamento edistribuzione dei prodotti alimentari a Siena nell’epoca comunale. Mulini, mercati e botteghe,in “Archeologia medievale”, 8 (1981), pp. 127-154, con particolare riferimento alle pp.138-139. Cfr. anche il caso della famiglia milanese con interessi nel settore della molituradegli Scaccabarozzi, studiata da L. FASOLA, Una famiglia di sostenitori di Federico I. Per lastoria dei rapporti dell’imperatore con le forze sociali e politiche della Lombardia, in “Quellenund Forschungen aus italienisichen Archiven und Bibliotheken”, 52 (1972), pp. 116-218,con particolare riferimento alle pp. 156-158.

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siastiche, casate dell’aristocrazia consolare, a Vercelli dotate dicospicui patrimoni25, chiese a loro legate26 e, talora, gruppi paren-tali di più recente ascesa sociale, ma in ogni caso provvisti di note-voli capitali.

A favorire gli investimenti in quest’ambito fu anche la costru-zione di nuovi corsi d’acqua all’interno delle mura cittadine: anord scorreva, infatti, la roggia Vercellina, dove, forse in coinci-denza con l’erezione della nuova cerchia muraria, si scavò un fos-sato in prossimità della chiesa di S. Andrea, del quale vi è menzio-ne dal 117127. Nella parte meridionale della città prese inveceavvio la progettazione di un canale che servisse quelle parrocchieche non erano bagnate dalla Vercellina28. Si trattava in entrambi icasi di iniziative patrocinate dal comune che, come meglio si vedrànel prossimo paragrafo, ne rivendicò la giurisdizione. La presenzadi una maggiore disponibilità di energia idrica in città, grazie allenuove opere di canalizzazione, rese qui la costruzione di muliniparticolarmente appetibile: essa permetteva un più facile accessodei cives agli impianti molitori; ai cospicui proventi che ne pote-vano derivare non vollero rinunciare né l’aristocrazia consolare, négli enti ecclesiastici. Lungo il fossato settentrionale, presso PortaNuova, nel 1180 Giordano e Lantelmo de Guidalardis, comemeglio si illustrerà in seguito, domandarono ed ottennero dai con-soli il permesso di edificare un mulino; nel corso dello stesso annola medesima autorizzazione venne richiesta da Roberto deGuidalardis e da Guala Bicchieri29. Nel 1181 Giacomo Aiolfo,figlio di Ostachio de Pusterna, e Sibilla, sorella di Tetavegia, ven-dettero un macinatoio ad Gatescam, probabilmente sulla roggiavecchia, nel settore meridionale della città30, all’ospedale di S.

25 A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo, in “BSBS”,91 (1993), pp. 5-45, con particolare riferimento alle pp. 14-15; R. RAO, Fra comune e mar-chese. Dinamiche aristocratiche a Vercelli (seconda metà XII - XIII secolo), in “Studi storici”,44 (2003), pp. 43-93.

26 Cfr. S. BORTOLAMI, Acque, mulini e folloni nella formazione del paesaggio urbanomedievale (secoli XI-XIV): l’esempio di Padova, in AA.VV., Paesaggi urbani dell’Italia padananei secoli VIII-XIV, Bologna 1988, pp. 277-321, con particolare riferimento alle pp. 289-290.

27 Il documento è citato da D. ARNOLDI, Vercelli vecchia e antica, a cura di G.Tibaldeschi, Vercelli 1992, p. 91.

28 Acquisti, I, f. 45-46; al riguardo cfr. anche A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese deisecoli XII e XIII, Pisa 1996, p. 118. Sul canale scavato nel settore meridionale della città, ilrivus Gualdricus, cfr. oltre.

29 Cfr; oltre.30 Nel 1204 Gilberto e Gervasio Caroso cedettero il letto del mulino del fu Giacomo

Aiolfo, sito “in rugia veteri” (Biscioni, 1/II, doc. 220, pp. 52-53).

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Bartolomeo31. Nella stessa zona, nella vicinia di S. Agnese, nel1183 il monastero di S. Stefano si accordò con Benedetto DeBenedetti per la costruzione di un impianto32.

Da un investimento così remunerativo e prestigioso33 fu attrat-to anche il comune, che negli anni Ottanta usciva rafforzato dallapace di Costanza: esso si stava liberando lentamente dell’egida dalvescovo e della sua curia, grazie sia all’inserimento di nuove com-ponenti sociali negli apparati di potere, sia al ruolo assunto dall’as-sociazione di Santo Stefano nell’amministrazione pubblica34.L’edificazione di macinatoi in città era inoltre ben vista dalla col-lettività, inserendosi nel quadro di una politica attenta alle esigen-ze annonarie della popolazione, che in questo modo riusciva adimpossessarsi degli strumenti di controllo sull’approvvigionamen-to urbano35.

Il primo atto che testimoni un interesse del governo vercellesenei confronti dei mulini risale al 9 giugno 1180: in quell’occasio-ne i consoli del comune, di giustizia e di S. Stefano, con il consen-so della credenza, concessero e promisero a Giordano e Lantelmo,esponenti dell’importante famiglia dei de Guidalardis - facenteparte dell’aristocrazia consolare e legata vassallaticamente al vesco-vo e, per rapporti di parentela, agli Avogadro - di immettere unaroggia “in fossatum comune civitatis de super a ponte Porte Nove”e di costruire nello stesso fossato, presso il ponte, due mulini. Incambio Giordano e Lantelmo alienarono i loro diritti sulla gora al

31 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 17, pp. 234-235.32 Le pergamene di S. Stefano in Vercelli (1183-1500), a cura di G. Bologna, Milano

1972, doc. 1, pp. 3-4.33 Cfr., per esempio, il caso padovano studiato da BORTOLAMI, Acque, mulini e folloni

cit., pp. 285-288.34 P. GRILLO, Origine ed evoluzione istituzionale del comune, in Vercelli nel secolo XII, IV

Congresso della Società storica vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), in corso di stam-pa; PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 83-90.

35 Per il nesso tra proventi dei mulini ed approvvigionamento cittadino cfr. CHIAPPAMAURI, I mulini ad acqua nel Milanese cit., pp. 105-109 e, relativamente al caso della Torinotardomedievale, R. COMBA, Il principe, la città, i mulini. Finanze pubbliche e macchine idrau-liche a Torino nei secoli XIV e XV, in Acque, ruote e mulini cit., vol. I, pp. 79-103, con par-ticolare riferimento a p. 96. Le disposizioni vercellesi sui mugnai - che riguardo alle leggisulla panificazione venivano equiparati a “fornarii” e “bolengarii” - sono contenute inStatuta, 275-276, pp. 199-200: in esse si può vedere come i mugnai fossero considerati unacorporazione legata all’approvvigionamento (cfr. anche A.I. PINI, Alle origini delle corpora-zioni medievali: il caso di Bologna, in ID., Città, comuni e corporazioni nel medioevo italiano,Bologna 1986, pp. 219-258 e R. GRECI, Corporazioni e politiche cittadine: genesi, consolida-mento ed esiti di un rapporto (qualche esempio), in ID., Corporazioni e mondo del lavoronell’Italia padana medievale, Bologna 1988, pp. 93-128).

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comune, che avrebbe potuto temporaneamente deviarla dal fossa-tum comune per svolgervi lavori “pro utilitate comunis veluti promolendino faciendo”. Si stabilì inoltre che fosse permesso alle stes-se autorità urbane di costruire loro impianti nella roggia “ita verout non noceant molendinis predictorum Iordani et Lantelmi necmolendino Roberti et filii Guercii”. Una volta che i molendinacomunis fossero stati innalzati, i consoli e i de Guidalardis, infine,avrebbero dovuto partecipare insieme alle spese per qualsiasidanno al canale o alla sua chiusa secondo la quota di mulini dete-nuta36. Poco dopo, il 30 ottobre dello stesso anno, i rettori citta-dini comprarono da Roberto de Guidalardis e da alcuni altri nonidentificati personaggi, i diritti d’acqua sulla Vercellina e la facol-tà di stabilirvi macinatoi37.

I consoli avevano dunque l’intenzione di erigere uno o piùmulini - in tale direzione sembra dover essere interpretata l’inclu-sione di norme in caso di un’eventuale edificazione – presso PortaNuova, sulla Vercellina. La costruzione degli impianti comunalinella parte settentrionale della città rimase però irrealizzata, forseanche per le difficoltà che ponevano le continue inondazioni delCervo in quell’area38: il comune, infatti, scelse di attuare tale dise-gno nelle parrocchie di S. Lorenzo e di S. Agnese. Esse alla posi-zione abbastanza centrale, nel Borgo (questo quartiere si era for-mato ad est dell’antica cerchia muraria e già nel corso del XII seco-lo aveva ricevuto l’estensione dei diritti di cittadinanza, venendosuccessivamente incluso nelle nuove mura comunali)39, univano ilvantaggio di essere attraversate dal corso d’acqua recentementescavato nel settore meridionale della città, il rivus Gualdricus. Ilprogetto prese il via all’inizio del XIII secolo, sotto l’egida deiprimi podestà vercellesi: con l’istituzione del regime podestarile, losi è già rilevato, il comune assunse, infatti, una maggiore intra-

36 Biscioni, 1/III, doc. 499, pp. 47-48. Si tratta dell’atto che segna la ricomparsa nelladocumentazione vercellese della società di S. Stefano, dopo la sua prima apparizione nel1169. È dunque significativo che essa appaia proprio in questa occasione. Cfr. ancheFERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., pp. 185-186.

37 Biblioteca capitolare di S. Eusebio di Vercelli, Indice ovvero sommario categorico delloArchivio della Rev. Abbazia et Monastero di S. Andrea di Vercelli, ordinato l’anno 1769, pp.275-276. Il documento, già citato dal Mandelli (V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nelMedioevo, Vercelli 1857-61, vol. III, p. 74), è stato edito da FERRARIS, Le chiese “stazionali”delle rogazioni minori cit., p. 186.

38 Cfr. capitoli I e II, pp. 43; 103. Nell’atto del 1180 si stabiliva, infatti, chi dovesse ripa-rare i danni arrecati dalle possibili esondazioni del Cervo (Biscioni, 1/III, doc. 499, pp. 47-48).

39 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 84-85.

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prendenza nella gestione dei propri beni e nella valorizzazionedelle sue risorse40. Il 7 maggio 1204 il rettore cittadino PietroPietrasanta acquistò dalle figlie del defunto Nicola de Fontaneto ilterreno, sito in S. Agnese, su cui “edifficata sunt molendina comu-nis, sicut ipsa terra capta est et dessignata per extimatorem comu-nis pro ipsis molendinis edifficandis”41. Il comune compì dunqueuna sorta di esproprio per erigere i mulini in S. Agnese, che eranogià in costruzione nel maggio del 1204. A questo punto prese arilevare i diritti sulle rogge e sui macinatoi di quest’area, probabil-mente con l’intento di effettuare lavori di ampliamento sullestrutture esistenti: il 1 giugno 1205 acquistò da Benedetto DeBenedetti la metà del letto del mulino vetus42; l’altra metà fu inve-ce comperata l’anno successivo, il 6 dicembre 1206, dal monaste-ro di S. Stefano che, come si è visto, con il De Benedetti nel 1183aveva equamente ripartito le spese di costruzione dell’impianto43.Al momento della cessione, tuttavia, il molendinum vetus, cheaveva forse preso questo nome in contrapposizione ai nuovicomunali, non doveva essere più funzionante, poiché i monaciriferivano di un “molendini veteris iacentis condam [il corsivo èmio] in rugia veteri”44. Il 5 agosto 1204 il podestà aveva inoltrerilevato da Federico De Benedetti “locum molendini quondamreiacentis in ora Sancti Laurencii in rugia veteri, cum alveo etrugia et ripatico et curssu et omni iure sibi exinde pertinente”45,su cui venne forse edificato un altro macinatoio: infatti, già dal1208 gli impianti pubblici vennero indicati come mulini delcomune (molendina comunis) “que illud comune habet ad pontemSancte Agnetis in rugia comunis et que habet ad pontem SanctiLaurenci in eadem rugia”46. I due mulini erano dunque ubicatipresso il ponte di S. Lorenzo e presso quello di S. Agnese, sullarugia comunis, ma altri canali dovevano affluire alle loro pale(“omnes rugias que veniunt vel venire debent ad illa molendina”;“rugie de quibus molunt illa molendina”)47.

40 Cfr. capitolo II, pp. 73-83.41 Biscioni, 1/II, doc. 206, pp. 49-50.42 Biscioni, 1/II, doc. 205, pp. 48-49.43 Acov, Pergamene, doc. in data 6 dicembre 1206.44 Acov, Pergamene, doc. in data 6 dicembre 1206.45 Biscioni, 1/II, doc. 204, pp. 47-48.46 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208; sulla

connessione tra ponti e mulini cfr. anche BORTOLAMI, Acque, mulini e folloni cit., pp. 294-295.

47 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.

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Per comprendere meglio l’ubicazione degli impianti e la loroprogettazione occorre tornare con più attenzione all’atto che perprimo testimonia la presenza di un corso d’acqua nel settore meri-dionale della città, il rivus Gualdricus: nel 1191 i consoli delcomune concessero solennemente ai rappresentanti delle parroc-chie di S. Giuliano, di S. Agnese, di S. Graziano, di S. Lorenzo, diS. Tommaso, di S. Salvatore e di S. Vittore48, a nome anche degliabitanti del Borgo e della civitas, di derivare l’acqua del canale “perBurgum et per totam civitatem”, dove si fosse reso necessario;l’amministrazione urbana si riservava inoltre il diritto di edificar-vi mulini e di utilizzarne le acque a suo piacimento49. Le sei par-rocchie si susseguivano alla stessa altezza da est ad ovest: il canaletagliava dunque orizzontalmente la città, da mura a mura. Ci sem-bra possibile identificare il suo percorso con una roggia rappresen-tata nella pianta secentesca di Vercelli, raccolta nel TheatrumSabaudiae. Essa partiva dalla parrocchia di S. Bernardo, costeg-giando probabilmente la cerchia muraria di età longobarda: que-sto era forse un primo tratto per cui era stato utilizzato l’anticofossato cittadino (si spiegherebbe così perché non comparissero irappresentanti di tale vicinia). In prossimità della parrocchia di S.Vittore e di S. Salvatore si immetteva in un tracciato viario abba-

48 Queste ultime due chiese costituivano un’unica parrocchia.49 Acquisti, I, f. 45-46. Si dà, per l’interesse che presenta ai fini della trattazione, una par-

ziale trascrizione del documento: “Anno dominice incarnationis MCXXXXI. Indictione nona.In ecclesia Sancte Trinitatis, celebrata contione hominum civitatis Vercellarum, populo lau-dante ed confirmante, Benivolius consul comuni Vercellarum [...] dedit et concessit a partecomunis Iohanni de Benedicto et Dalfino de Tizono, nomine parochie Sancti Iuliani, etAlisio de Benedicto et Arditioni de Artaldo, nomine parochie Sancti Agnetis et nomineparochie Sancti Graciani, et Iordano de Bondonno et Guilelmo de Biguracano, nomineparochie Sancti Laurentii, et Arditioni de Tronzano et Arnaldo Butino, nomine parochieSancti Thome, et Lafranco Rusullo et Petro Culbato, nomine parochie Sancti Salvatoris etSancti Vitoris et nomine omnium hominum de Burgo et civitatis Vercellarum, videlicet adhominum Vercellarum utilitatem dedit et et (sic) concessit eis ducere aquam Vercellinam etrivum Gualdricum per Burgum et per totam civitatem ubi oportuerit. Et sapientibus civi-tatis visum fuerit et concessit eis locum per quem libere veniant et si quis inpedierit ordina-vit quod ille aque et locus debeant expediri ad expensas illorum qui aquas et locum impe-dierit. Et consules comunis qui tunc fuerint debeant illos cogere qui inpedierint restituereomnia dampna que fecerint operi illarum aquarum et loci. Item debeant cogere homines deBurgo et de civita (sic) solvere illud quod ab electis procuratoribus inpositum fuerit, prodicendis (sic) et curendis illis aquis per Burgum et per civitatem ubi visum fuerit consuli-bus et sapientibus civitatis. Hoc tamen concessit salvo in omnibus domino et iure comunisde ipsis aquis et loco in construendis molandinis et ducendis ipsis aquis ubi voluerit tamintus quam extra et omnibus aliis rebus, utilitatibus et operibus que comune facere volue-rit. Ita que nulli alii liceat edifficare nec construere nec aliquod facere nec prohibere necremovere nisi soli comuni et sicut consulibus et sapientibus visum fuerit […]”.

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stanza ampio, coincidente con l’attuale Corso Libertà: era quellache nel Medioevo veniva chiamata la Strata de Burgo, che attraver-sava, appunto, il Borgo50: di qui seguiva con andamento rettilineoil percorso della strada, intersecando nel mezzo le sette predettevicinie, per terminare in una fortificazione secentesca, da cui a suavolta scorreva una roggia che metteva in connessione il fossatodelle mura con la Sesia51.

Su questo canale già nel 1191 il comune aveva deciso di erige-re alcuni mulini, la cui costruzione venne portata a termine solonel secolo successivo: in seguito il rivus prese probabilmente ilnome di rugia comunis, su cui nel 1208, in prossimità dei ponti diS. Agnese e di S. Lorenzo, erano ricordati essere stati innalzati imacinatoi. Rimane da chiarire con che cosa i Vercellesi identificas-sero la rugia molendinorum - menzionata diverse volte nella docu-mentazione vercellese dal secondo quarto del XIII secolo52 - che,correndo tra S. Lorenzo e S. Agnese, metteva in comunicazione idue impianti: era essa un altro canale che muoveva le pale comu-nali? Sembra più verosimile che questo fosse piuttosto un ulterio-re nome dato al rivus, che nella presenza dei due mulini trovava ilsuo elemento più caratteristico agli occhi della cittadinanza. La“roggia dei mulini” era sicuramente tagliata da un ponte in S.Lorenzo, come risulta anche per la rugia comunis: infatti, nel 1240un palazzo in tale vicinia, venduto da Iohanotus de Uguccione alcomune, confinava con la “via qua itur super rugiam molendino-rum”; si trattava di un vicolo probabilmente non molto ampio,poiché l’edificio era unito tramite due volte ad un casamento sul-l’altro lato della strada53. Inoltre, proprio come il rivus Gualdricus,essa giungeva fino al fossato della città, nella vicinia di S.Graziano: nel 1255 l’oratorium dei frati Predicatori, all’internodelle mura urbane, era sito “prope ruggiam molendinorum”. Unsedime del convento era invece ubicato all’esterno delle mura,presso i fossati della cerchia muraria (“in curte Vercellarum, prope

50 Sulla strata de Burgo cfr. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., p.193.

51 Teatro degli stati del Duca di Savoia, a cura di L. Firpo, Torino 1984-1985; cfr. anchela cartina disegnata nel XIX secolo dal Della Rovere e pubblicata, con le indicazioni deinomi delle parrocchie, in ARNOLDI, Vercelli vecchia e antica cit.

52 Biscioni, 1/II, doc. 228, pp. 76-78. In ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1811, doc.in data 11 aprile 1246 è anche detta “rugia molendinorum comunis Vercellarum”.

53 Biscioni, 1/II, doc. 228, pp. 76-78.

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civitatem Vercellarum et apud fossata ipsius civitatis”): esso confi-nava proprio con la rugia, che attraverso un canale scorreva all’in-terno della civitas ed andava a muovere le pale dei mulini (“Rugia,que labitur per canalem in civitatem Vercellarum, qua moluntmolendini ipsius civitatis”)54. Un’identificazione della “roggia deimulini” con la rugia comunis è suggerita anche da due atti del1246, in cui, a distanza di un giorno, l’ospedale di S. Andreaacquistò due appezzamenti nella vicinia di S. Bernardo, in ruaVinearum, probabilmente propinqui: il primo confinava con la“rugia molendinorum comunis Vercellis”, il secondo con la rugiacomunis55. Del resto proprio dalla parrocchia di S. Bernardo, pres-so la via delle Vigne, ossia l’attuale via G.B. Viotti, iniziava il rivusGualdricus56.

È forse da riconnettere allo scavo del rivus Gualdricus ed allaprogettazione dei due impianti una norma statutaria, sfortunata-mente non datata, in cui il podestà giurava di impegnarsi acostruire una nuova roggia che attraversasse il Borgo (in questoquartiere erano situate le parrocchie di S. Lorenzo e di S. Agnese)e che scorresse per la città due giorni alla settimana. Sul canale ilrettore urbano prometteva inoltre di fare edificare, “cum utilitatecommunis”, due o più mulini, “extra civitatem superius et infe-rius”, dove fosse ritenuto più opportuno57. Il fatto che il destina-tario del provvedimento fosse il podestà fa ascrivere l’articoloquanto meno agli inizi del XIII secolo, quando il regime podesta-rile divenne abituale a Vercelli, probabilmente almeno dopo il1208; essendo in quella data i macinatoi comunali già eretti,occorre dunque interrogarsi se si trattò di una normativa prece-dente, poi modificata e confluita nel codice, oppure di un ulterio-re progetto rimasto senza esito58. Nel primo caso il canale passan-te per il Borgo e per la civitas andrebbe identificato con il rivus

54 Il documento, proveniente dal fondo dell’Abbazia di S. Andrea, è stato edito da G.G.MEERSSEMAN, La bienhereuse Emilie Bicchieri (1238-1314), in “Archivum FratrumPraedicatorum”, 24 (1954), pp. 199-239, con particolare riferimento alle pp. 233-234.

55 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1811, doc. in data 11 aprile 1246; doc. in data 12aprile 1246. Uno degli appezzamenti confinava anche con le mura cittadine: ciò confermal’ipotesi che il rivus scorresse lungo l’antico perimetro murario.

56 FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., p. 88.57 Statuta, 212, pp. 153-156: “Iuro dare operam bona fide quod rugia nova fluat per

burgum. Ita tamen quod per duos dies in ebdomada currat per civitatem sicut per cartasordinatum est. Et de hac rugia duo molendina vel plura si fieri potuerint cum utilitate com-munis extra civitatem superius et inferius constitui faciam ubi melium visum fuerit”.

58 Sulle modalità di redazione degli statuti cfr. p. 90, nota 75.

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Gualdricus, il cui percorso era effettivamente situato quasi intera-mente in quel quartiere; i due mulini invece sarebbero staticostruiti all’interno della città, ma comunque all’esterno della civi-tas antiqua, che a cavallo dei due secoli, non essendo ancora stateterminate le nuove mura, rimaneva in molti punti il riferimentoper stabilire il perimetro urbano59. L’inserimento dell’articolonegli statuti potrebbe essere dovuto al fatto che comunque ilpodestà era tenuto a fare scorrere l’acqua nella roggia due volte asettimana, o forse perché i lavori non erano ancor conclusi almomento della compilazione della norma. Ad ogni modo è di persé interessante rilevare la presenza di capitoli statutari specificata-mente rivolti all’edificazione di opere di canalizzazione e di muli-ni: ciò dimostra come la credenza ritenesse che questo settorepotesse essere sviluppato “cum utilitate communis”60, in manieratale da apportare entrate soddisfacenti e benefici alla popolazione.

2. I diritti sulle acque e la politica nei confronti dei mulini cittadini

Si è potuto vedere nel corso del primo capitolo come il comu-ne si fosse mosso con una certa cautela nel recupero delle acque:prima di rivendicarne a sé il controllo invocando principi giuridi-ci generali, aveva cercato appigli più concreti, che con maggiorefacilità potessero essere accettati dalla popolazione vercellese.L’indagine sulle proprietà collettive nel 1192, così come la presun-ta investitura del vescovo, erano stati i pretesti, il contatto con laconsuetudine e con l’ordinario iter giudiziario: da essi il governourbano era partito per abbracciare politiche di ampia portata, checoinvolgevano il problema della sua emancipazione dalla tutelaepiscopale, della sua maturazione istituzionale, dell’affrancamentodagli interessi particolaristici dell’aristocrazia consolare, fino alruolo che il popolo era in grado di rivestire nell’amministrazionecomunale. Non diversamente si pose la questione nei confrontidelle acque cittadine, tanto più vitali per l’autonomia del comunee tanto più sentite dai cives come necessarie, in quanto bene di

59 G. GULLINO, Inurbamenti ed espansione urbana a Vercelli tra XII e XIII secolo, inVercelli nel XIII secolo cit., pp. 279-320, con particolare riferimento alle pp. 293-294; ID.,Uomini e spazio urbano cit., pp. 9-18; cfr. anche capitolo I.

60 La citazione è tratta dalla predetta norma statutaria (cfr. supra, n. 57).

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pubblica utilità61. Tuttavia in questo caso, ad aggravare la situazio-ne, mancavano norme precise cui i consoli potessero appellarsi perstabilirne la pubblicità: infatti, con la pace di Costanza solo i fiuminavigabili venivano considerati tra le regalie concesse alle città,mentre per i fossati si demandava genericamente a quanto stabili-to dalla consuetudine62, sicché, di fatto, i diritti sui canali urbanierano pervenuti nelle mani di potenti laici ed enti ecclesiastici63.

Ciononostante, come si è visto nel precedente paragrafo, sulfinire del XII secolo un’intensa stagione di opere di canalizzazionevolute dai consoli aveva stravolto il paesaggio urbano, facendo sìche il comune si imponesse agli occhi della collettività come ilmaggiore possessore di diritti sulle acque della città64: alle roggepreesistenti, la Vercellina e la rugia vetus, si erano aggiunti il nuovofossato lungo il perimetro murario e il rivus Gualdricus65. Lacostruzione dei mulini comunali, ventilata dal 1180, fu accompa-gnata dal precoce (soprattutto se si pensa che il recupero delleterre di proprietà collettiva e delle isole fluviali iniziò solo più didieci anni dopo) e consapevole tentativo di rilevare sistematica-mente le prerogative sui canali cittadini in mano a privati. Su talecircostanza gravò, come per il recupero dei pascoli comuni, lapressione popolare. Si ritorni ancora brevemente all’atto del 9 giu-gno 1180: il comune, che fino a quel momento non aveva elabo-rato una precisa legislazione sui mulini e sulle acque, ad un tempoera entrato in possesso della roggia dei de Guidalardis ed avevadeciso la costruzione dei macinatoi pubblici. Il 30 ottobre aveva

61 Per la concezione delle acque cittadine come beni di pubblica utilità cfr. BORTOLAMI,Acque, mulini e folloni cit., pp. 303-321 e, seppur per un periodo successivo, l’indagine svol-ta su Cuneo da P. CAMILLA, I mulini negli statuti medievali del Cuneese, in Mulini da granonel Piemonte medievale cit., pp. 153-166, con particolare riferimento alle pp. 154-155.

62 L. CHIAPPA MAURI, Paesaggi rurali di Lombardia, Bari 1990, pp. 132-162, che inEAD., I mulini ad acqua nel Milanese cit., pp. 101-109 ha preso in considerazione anche lalegislazione milanese sulle acque cittadine. Questa distinzione, tra fiumi navigabili e non,nella prassi non sempre veniva applicata: significativo il passo del Libellus di Giuliano daSesso che attribuiva al vescovo e conte di Vercelli tutti i corsi d’acqua (L. SORRENTI, Trascuole e prassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo “Libellus questionum”, Roma 1999, p. 119;cfr. capitolo I, p. 50, nota 134).

63 Sulla privatizzazione dei diritti sulle acque cfr. anche capitolo I, pp. 43-56. In com-penso la Pace di Costanza includeva i molendina tra i diritti pubblici (MGH, Legum sectioIV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, a cura di L. Weiland, Hannover1898, I, p. 412).

64 Sull’impatto che i lavori ebbero sulla coscienza dei Vercellesi cfr. GULLINO, Uomini espazio urbano cit., pp. 9-18.

65 Sull’ubicazione della Vercellina cfr. V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo,Vercelli 1857-61, vol. III, pp. 73-74.

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invece acquistato da un altro esponente della stessa famiglia,Roberto, “rugiam Vercellinam et cursum ipsius ruggiae […] aciuris construendi molendina super ipsamet rugiam”66: in tal modoesso esprimeva la volontà di assumere un ruolo rilevante in questosettore. La scelta - in questo caso certo non pregiudiziale nei con-fronti degli appartenenti all’aristocrazia consolare, di cui anzi sicercava il coinvolgimento67 - fu fortemente sollecitata dal populus,sicuramente sensibile alle prospettive annonarie offerte dall’inter-vento dell’amministrazione civica nel campo della molitura: pro-prio il primo dei documenti presi in considerazione segnò, infat-ti, la fine di un lungo silenzio da parte dell’associazione popolaredi Santo Stefano, scomparsa dagli atti vercellesi dopo la sua primaattestazione nel 116968. Non solo: se nel 1169 i consoli della socie-tas presenziarono solo in veste di testimoni, nel giugno del 1180essi mostrarono di avere ben altra autorità, agendo in prima per-sona nella stipulazione dell’accordo. La politica intrapresa fu con-fermata in seguito, sicché da questo momento i privati che deside-ravano utilizzare le acque urbane dovettero sempre più confron-tarsi con il comune: pochi giorni dopo l’acquisto della Vercellina,il 2 novembre 1180, in un atto di grande solennità, i consoli delcomune, anche in questo caso coadiuvati da quelli della società,fecero concessione a Guala Bicchieri “nominative de loco uno admolendina costruenda retro ecclesia S. Clementis per totum fos-satum novum factum unde rugia Vercellina currere debet usque infossatum civitatis”69. Già si è riferito del permesso, dato nel 1191,alla cittadinanza di utilizzare le acque del rivus Gualdricus: in que-sto caso veniva ribadita la supremazia del comune sui canali urba-ni, di cui esso stesso aveva finanziato lo scavo. L’amministrazioneera stata tuttavia delegata alle circoscrizioni territoriali, tramite irappresentanti delle parochie attraversate dalla roggia, che piùfacilmente potevano controllare che avvenisse un uso corretto edevitare abusi70. Ad ogni modo era ormai al comune che i civesdovevano fare riferimento per derivare le acque cittadine; attraver-

66 FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., p. 186.67 Rimangono valide le osservazioni di BALESTRACCI, La politica delle acque cit., pp. 434-

445, sulla partecipazione dell’aristocrazia consolare al recupero dei diritti sulle acque; tutta-via ad avvantaggiarsi dell’operazione in questo caso fu soprattutto il popolo.

68 DAC, doc. 8, pp. 18-19.69 HPM, Chartarum, Torino 1836, I, doc. 1579, coll. 1077-1078.70 Acquisti, I, f. 45-46.

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so questa facoltà esso poteva “non solo assicurarsi una parte deiprofitti, ma anche controllare la costruzione dei mulini e vegliareal loro funzionamento: con il moltiplicarsi di attività cheutilizza[va]no l’energia idraulica, si impone[va] agli utenti unadisciplina più stretta”71. Così nel 1219, in occasione dell’edifica-zione della chiesa di S. Andrea, il cardinale Guala Bicchieri sirivolse alle autorità urbane per ottenere il permesso di deviare unaroggia fino al cantiere, senza danno per coloro che vi possedevanomulini72.

Si è poi visto che il comune procedette all’acquisto dei dirittisulle acque in mano ai privati tra il 1204 ed il 1206, in seguito allacostruzione degli impianti molitori pubblici. Tale iniziativa è soloparzialmente spiegabile con lavori di ampliamento sui mulinirecentemente edificati e svela un progetto di maggiore portata:infatti, i podestà non rilevarono solamente le prerogative dei civesnell’area degli impianti urbani – soprattutto la rugia vetus, che ali-mentava le pale dei macinatoi esistenti in S. Agnese ed in S.Lorenzo, alcuni dei quali, appartenuti ad Aiolfo, De Benedetti emonastero di S. Stefano, erano già in disuso –, ma si impossessa-rono anche delle pertinenze del canale di S. Andrea, sito nellazona settentrionale della città73.

Dietro queste operazioni non vi era solo la volontà di avocare asé il settore delle acque urbane, ma anche un concreto rapportocon la costituzione dei mulini e il tentativo di assumere una fun-zione di supervisione e di regolamentazione delle attività legateall’approvvigionamento cittadino: l’edificazione degli impiantimolitori da parte del comune era avvenuta, come si è cercato dimostrare in precedenza, in risposta alle esigenze annonarie dellapopolazione, alle occasioni offerte dai mutamenti demografici edurbanistici di Vercelli, ma soprattutto in previsione dell’istituzio-ne di un cospicuo cespite. La proprietà pubblica di macinatoi è delresto cosa abituale per l’Italia comunale, su cui la medievistica hagià soffermato la sua attenzione74. Vercelli – città di consistenzademica non irrilevante e bagnata da corsi d’acqua che rendevano

71 C. DUSSAIX, Le moulins à Reggio Emilia aux XIIe et XIIIe siècles, in Mélanges de l’ÉcoleFrançaise de Rome. Moyen Âge - Temps modernes, tome 91 (1972), vol. I, pp. 8-147, qui ap. 125.

72 Biscioni, 1/I, doc. 183, pp. 372-374.73 Biscioni, 1/II, doc. 210, pp. 52-53; Acov, Pergamene, doc. in data 6 dicembre 1206.74 Cfr. quanto esposto in precedenza, in questo stesso capitolo.

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propizia la costruzione di tali strutture – tutto sommato non ebbeche pochi mulini sotto il diretto controllo del governo urbano,solo due all’interno delle mura, rispetto ad altri casi già oggetto diapprofonditi studi: Siena possedeva 12 mulini75, Bologna più di8076, Reggio Emilia, sull’esempio di Bologna, tra il 1238 ed il1241 compì una sorta di “nazionalizzazione” degli impianti moli-tori cittadini77. Se è vero che l’investimento vercellese appare sicu-ramente di portata inferiore in confronto a quello, per esempio,dei due centri emiliani, tuttavia, per effettuarne una corretta valu-tazione, occorre soffermarvisi maggiormente. È possibile che i duemacinatoi fossero di particolare importanza, anche rispetto a quel-li in possesso dei cives: si è già accennato al loro impatto sullatopografia urbana, che portò all’individuazione – evidentementesentita come familiare dalla collettività, che vi fece più volte rife-rimento negli atti privati – della “rugia molendinorum comu-nis”78. Un documento del 1255, stilato dunque in una data suc-cessiva alla vendita dei mulini – avvenuta nel 124979 – ai credito-ri comunali, la identificò invece come “ruggiam molendinorumipsius civitatis”80: tali macinatoi rivestivano dunque una posizionedi rilievo tra gli impianti cittadini. Il governo urbano tuttavia nonrealizzò un progetto monopolistico, sicché le strutture molitoriein mano ad altri enti continuarono a proliferare: l’ospedale di S.Andrea nel 1244 ne possedeva una sulla Vercellina81. Anche lavicinia di S. Graziano alla metà del secolo, nel 1250, possedevaalcuni mulini, probabilmente non ad acqua82, inseriti in “due tettidi legname coperti di paglia che la predetta vicinanza aveva fattofare nella corte della casa con forno di S. Spirito, situata nella stra-da appresso la casa di Bongioanni de Donato, né quali tetti stava-no li molini d’essa vicinanza”83.

Anche il recupero dei diritti sulle acque urbane rimase incom-pleto, sicché alcuni cives continuarono a possederne: per esempio,

75 BALESTRACCI, Approvvigionamento e distribuzione cit., p. 137.76 PINI, Canali e mulini a Bologna cit., pp. 30-36.77 DUSSAIX, Les moulins à Reggio Emilia cit., pp. 127-139. 78 Cfr. paragrafo precedente. 79 Cfr. capitolo IV, pp. 185-186.80 MEERSSEMAN, La bienhereuse Emilie Bicchieri cit., pp. 233-234.81 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1810, doc. in data 3 maggio 1244.82 Essi vennero venduti, infatti, all’ospedale di S. Spirito per un prezzo estremamente

esiguo, tre lire di pavesi . 83 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, mazzo n. 111,

Inventario di S. Spirito.

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Pietro Bicchieri ancora nel 1250 era proprietario del “suum fossa-tum aque civitatis Vercellensis”84. Le prerogative acquisite furonotuttavia uno strumento in mano al comune per controllare la pre-senza di strutture molitorie private alternative a quelle pubbliche,che vennero circoscritte e regolate: già nel 1191 i consoli, dopoaver concesso agli abitanti del Borgo e della città l’uso del rivusGualdricus, imposero che nessuno, al di fuori del comune, potes-se su di esso edificare o costruire (“Itaque nulli alii liceat ediffica-re nec construere nec aliquod facere nec prohibere nec removerenisi soli comuni”)85. In questo senso potrebbe essere interpretataanche una norma statutaria tramite cui si vietava l’erezione dimulini sui maggiori tra i nuovi fossati urbani86.

In conclusione, il comune - pur senza attuare tentativi dimonopolio e non potendo contare sulla consistenza numerica deisuoi impianti - elaborò più espedienti, attraverso cui si assicurò lasupervisione sulle attività molitorie, essenziali all’approvvigiona-mento urbano. Non avvennero, come a Bologna e a ReggioEmilia, degli esperimenti di “nazionalizzazione” dei mulini: l’in-tervento delle autorità pubbliche si limitò ad alcuni impianti cit-tadini, disinteressandosi invece completamente di quelli posti nelsuburbio. Neppure è giunta testimonianza di alcun obbligo per iVercellesi di macinare il proprio grano presso i mulini comunali,come avveniva in altre località, per esempio a Chieri87.Ciononostante il governo urbano riuscì a conquistare un ruoloprecipuo nel ramo della molitura, valendosi di strumenti giuridi-ci - il recupero dei diritti delle acque e la regolamentazione delleconcessioni di edificazione di mulini - e forse anche di una mag-giore qualità e grandezza degli apparati pubblici.

Purtroppo ben poche sono le informazioni a nostra disposizio-ne sulla struttura materiale degli impianti pubblici. L’unica noti-zia risale al 1229 e riguarda piuttosto gli utensili del mulino di S.Agnese: nel darlo in affitto il comune includeva quattro mole, unasino e gli altri attrezzi di pertinenza del macinatoio “in quo

84 MEERSSEMAN, La bienhereuse Emilie Bicchieri cit., p. 221.85 Acquisti, I, f. 45-46. Su questa stessa roggia vennero successivamente innalzati i due

mulini pubblici (cfr. paragrafo precedente).86 Statuta, 213, p. 156. È possibile che l’obiettivo in questo caso fosse piuttosto quello

di conservarne la navigabilità.87 M. MONTANARI PESANDO, Carenza idrica e attività molitorie nella Chieri medieva-

le, in Mulini da grano nel Piemonte medievale cit., pp. 11-46, con particolare riferimentoa p. 18.

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molendino sunt”88. Difficile anche fare una stima della loro reddi-tività: nel 1208 il loro appalto decennale, assieme a quello di altriproventi, venne valutato 4000 lire di pavesi, quando la vendita diun mulino extraurbano, oltre la Sesia, pochi anni prima, nel 1202,venne effettuata per 225 lire di pavesi89. In questo caso il rappor-to sembra favorevole agli impianti comunali, che nel contratto diaffitto rappresentavano la rendita principale. Alla metà del secolo,nel 1249, i mulini pubblici vennero alienati, assieme agli stessiredditi dati in concessione nel 1208, per 2000 lire di pavesi (la dif-ferenza sfavorevole rispetto alla precedente locazione è almeno inparte imputabile alla situazione di emergenza in cui le autoritàurbane furono costrette ad effettuare la vendita, alla riduzionedegli emolumenti ed alla scarsità di denaro in città dovuta allaguerra intestina che da ormai sei anni travagliava Vercelli), mentreun mulino sito poco fuori le mura, “ad Moliam”, nel 1250 vennestimato 400 lire di pavesi90: in questo caso il divario appare ridot-to, anche se, considerate le condizioni in cui avvenne la transazio-ne, le strutture comunali continuavano probabilmente ad essere dimaggior valore.

Dovendo effettuare una valutazione della politica comunale nelcampo delle acque cittadine e della molitura ci si trova di frontead “una strategia articolata, in conclusione; che ha come concettodi base, ogni volta che è possibile, il coinvolgimento di ceti e inte-ressi, più che l’affermazione attraverso atti d’imperio; che simuove sulla ben nota e frequente sovrapposizione dei concetti diproprietà e di diritto pubblico”91. Tale strategia fu attuata con

88 Biscioni, 1/III, doc. 484, pp. 32-33.89 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208; ACV,

Atti privati, cartella XI, doc. in data 1 maggio 1202.90 Cfr. capitolo IV, pp. 174-186. Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio

dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio, Scritture diverse, mazzo 4, n. 144 (16 dicembre 1250).È difficile trovare nella bibliografia confronti che possano essere rapportati ai prezzi vercel-lesi: vengono, infatti, a cambiare aree geografiche, strutture, periodo preso in considerazio-ne, andamento dell’inflazione; ad ogni modo studi che tengano conto dei costi degliimpianti molitori nel Piemonte medievale sono quello di G. ALLIAUD, Molitura e ambientein una regione povera di corsi d’acqua: Caluso e dintorni all’inizio del XIV secolo, in Mulini dagrano nel Piemonte medievale cit., pp. 47-66, con particolare riferimento alle pp. 50-51 equello, volto piuttosto a considerare i costi derivanti dalla manutenzione, di V. CHIARLONE,I mulini del Piemonte bassomedievale: costruzione, funzionamento, manutenzione (secoli XIII-XIV), ibidem, pp. 169-188. Un termine di paragone può essere costituito dal lavoro di J.MEUNDEL, The grain mills at Pistoia in 1350, in “Bullettino storico pistoiese”, 74 (1972),pp. 39-64.

91 BALESTRACCI, La politica delle acque cit., p. 443.

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estrema prudenza dal comune vercellese, ma, proprio per la deci-sione di evitare provvedimenti che lo ponessero in radicale con-trapposizione con l’aristocrazia consolare, portò alla creazione diuna supremazia sulle acque cittadine solo de facto; il processo diriacquisizione dei diritti sulle acque nei confronti dei privatidovette quindi svilupparsi nel lungo periodo, senza che ne potes-se avvenire una definitiva ricomposizione in mano pubblica. Delresto neppure i successivi governi popolari si preoccuparono dimodificare questa politica, forse perché essa ebbe buon esito e riu-scì ugualmente a rispondere alle esigenze della cittadinanza92.

3. I mulini comunali nel distretto

“La storia del mulino, se documentata da una ricca serie difonti contabili medievali come nel Piemonte sabaudo, costituisce[…] un insostituibile punto di osservazione di nodi e strutture distoria ambientale, economica, demografica, istituzionale dellefinanze signorili e della cultura materiale. A esserne illuminatesono soprattutto le interpretazioni che principi, signori locali egruppi dirigenti comunali diedero delle potenzialità di inquadra-mento giuridico-istituzionale e di sfruttamento economico dellediverse realtà territoriali, spesso geograficamente assai diverse fraloro, in cui si trovarono ad operare”93. Le osservazioni di RinaldoComba, seppur riferite ad un’area differente da quella presa inconsiderazione, mostrano efficacemente il nesso tra potere ed eco-nomia insito nel possesso dei mulini: tale legame emerge inmaniera evidente dallo studio della gestione che il comune vercel-lese intraprese sui propri impianti molitori ubicati nel contado.Purtroppo le testimonianze non sono molte: una, molto precoce,riguarda il mulino di Arborio. Esso nel 1203 venne dato in loca-zione dai consoli ad Alberto Guercius di Arborio, al fitto annualedi venti moggi di grano; lo stesso Alberto venne investito delgastaldatico, con l’impegno di consegnarlo ai rappresentanti citta-dini94. Il comune evidentemente era riuscito a impossessarsi deipoteri bannali del locus, fondamentali per il controllo della popo-

92 L’intensificarsi dell’azione di recupero dei diritti sulle acque da parte dei governipopolari è stata messa in rilievo da BALESTRACCI, La politica delle acque cit., pp. 447-451.

93 COMBA, Intrecci e frontiere di una ricerca cit., p. 7.94 PC, doc. 62, pp. 134-135.

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lazione: di essi sperimentò una conduzione tramite un contratto abreve termine, un anno, che consentisse una presenza continua sulterritorio dominato. Infatti, non veniva dato in concessione soloun provento, ma anche uno dei cardini dell’autorità cittadina suldistretto. I rettori comunali si premurarono inoltre di richiedereun canone in natura, che forse rispondeva alla domanda cerealico-la urbana.

Una documentazione più ricca permette di seguire con mag-giore attenzione le vicende degli altri mulini posseduti da Vercellinel suo districtus: quelli di Trino. Dal loro studio emergono chia-ramente le stesse istanze di affermazione dell’autorità cittadinasulle popolazioni rurali, già riscontrate per Arborio.

Quando nel 1202 i consoli vercellesi acquistarono Trino dalmarchese di Monferrato, vollero rilevarne tutti i fondamenti delpotere: terre allodiali, usi civici, boschi, banni, fodri, diritti di suc-cessione, consuetudini, ma anche diritti sulle acque e mulini95. Ilpossesso degli impianti molitori veniva quindi sentito come essen-ziale per avere una piena giurisdizione sul luogo96: infatti, alcunianni dopo, nel 1211, l’abate di S. Maria di Lucedio pose fine aduna lite con il comune, cedendo definitivamente ai rappresentan-ti cittadini le sue prerogative sui mulini di Trino, che evidente-mente erano sopravvissute all’alienazione del 1202, al prezzo nonirrilevante di 122 lire di pavesi 97. La transazione aveva un marca-to valore politico: le proprietà del monastero cistercense a Trino,confermate dal marchese Guglielmo anche dopo la vendita dellalocalità, significavano un’ingerenza nel dominio vercellese ed unatesta di ponte per il ritorno degli Aleramici98.

In questo modo il comune conseguì un ampio complesso moli-

95 Biscioni, 1/I, doc. 95, p. 203; cfr. inoltre R. RAO, La proprietà allodiale civica dei bor-ghi nuovi vercellesi (prima metà del XIII secolo), in “Studi storici”, 42 (2001), pp. 373-395,qui a p. 394.

96 Sul rapporto tra mulini, diritti sulle acque e bannalità cfr. anche CHIAPPA MAURI, Imulini ad acqua nel Milanese cit., pp. 24-27.

97 PC, doc. 108, pp. 197-198. Seguì la vendita degli stessi diritti da parte di Maifredodi Trino al prezzo di cinque lire di pavesi.

98 Sui rapporti tra Lucedio ed i marchesi di Monferrato cfr. A.A. SETTIA, Santa Mariadi Lucedio e l’identità dinastica dei marchesi di Monferrato, in L’abbazia di Lucedio e l’ordinecistercense nell’Italia occidentale nei secoli XII e XIII. Atti del terzo congresso storico vercellese(Vercelli, Salone Dugentesco, 24-26 ottobre 1997), Vercelli 1999, pp. 45-68. Sulla cessione diTrino cfr. invece F. PANERO, Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico eterritoriale di Trino e Tricerro nel secolo XIII, Vercelli 1979, pp. 32-39; R. RAO, Fra comunee marchese cit., pp. 73-77.

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torio, composto da più mulini disposti sulla roggia Stura99. Essoconsentiva cospicui redditi derivanti, forse, dall’abbinamento diattività manifatturiere a quelle di macina dei cereali: infatti, gliimpianti erano dotati di “pista et paratorio”100. In ragione di ciò ilsuo valore doveva essere particolarmente elevato: nel 1231, quan-do venne dato in pagamento ai creditori comunali, esso fu stima-to per la considerevole somma di 2500 lire di pavesi101.

Dei mulini trinesi il governo cittadino approntò una gestioneparticolarmente attenta, che seguì per lo più due criteri: una con-duzione centralizzata da parte dell’autorità podestarile, spesso rap-presentata dai chiavari, e il coinvolgimento dei cives nell’ammini-strazione di tali strutture. La documentazione vercellese ci halasciato due atti di locazione dei mulini, relativi agli anni 1226 e1229: il primo venne compiuto dal podestà Bonifacio de Poltronis,che investì Ranieri Biandrate e Raimondo de Bugella degli impian-ti per un fitto annuale di 130 lire di pavesi 102. Nel secondo il chia-varo comunale Giulio di Carlo stipulò un contratto con ilmugnaio Zambra a durata annuale, dietro prestazione di unasomma di 44 soldi la settimana, pari a quasi 115 lire di pavesiannuali103. Entrambi i canoni, non molto differenti l’uno dall’al-tro in quanto all’importo complessivo, erano in denaro, forse per-ché i rettori urbani credettero scomodo un versamento in naturaper una località piuttosto distante da Vercelli. Infatti, un altrodocumento del 1229, inerente alla locazione di uno dei mulinipubblici cittadini, pur presentando le stesse caratteristiche dell’at-to trinese, prevedeva invece un pagamento in natura104.

Il comune, nonostante la lontananza di Trino, aveva scelto,almeno in questi anni, una gestione rigorosamente centralizzata,dipendente da chiavari e podestà; da essa le autorità locali eranocompletamente esautorate. Del resto tale tentativo di avocazionedelle prerogative delle comunità sottomesse è in accordo con la

99 La documentazione fa sempre riferimento a “molendina”: cfr. per esempio Archiviodell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio, Scritture diverse,mazzo 2, n. 59 (1 gennaio 1231), dove si accenna alla presenza della Stura.

100 Biscioni, 1/III, doc. 485, p. 33. La “pista” era probabilmente un edificio rurale, men-tre il “paratorium” un opificio tessile (queste sono le definizioni date dal Du Cange).

101 A. DI RICALDONE, Documenti vercellesi in un archivio del Ducato di Monferrato, in“Bollettino storico vercellese”, 7 (1975), pp. 47-52, con particolare riferimento alle pp. 49-50. Cfr. anche capitolo IV, pp. 164-165.

102 Biscioni, 1/III, doc. 489, pp. 37-38. 103 Biscioni, 1/III, doc. 485, pp. 33-34.104 Cfr. oltre.

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politica condotta dall’amministrazione civica in quegli stessi annia Trino, tramite la limitazione dei poteri delle magistraturerurali105.

Un altro aspetto dell’impostazione centralizzatrice adottata dalgoverno urbano fu la creazione di un rapporto privilegiato tra icives e i mulini trinesi: dei tre mugnai investiti solo uno,Raimondo de Bugella, era probabilmente abitante del luogo106.Sicuramente vercellese era Ranieri Biandrate107, così come, forse,Zambra: egli, infatti, non solo non è menzionato altrove nelladocumentazione relativa a Trino, ma per l’affitto dei macinatoiebbe come fideiussore il cives Giacomo Pizeninus Biandrate,recentemente immigrato in città e sostenitore del partito popola-re108. Il rapporto si rafforzò con l’assegnazione dei beni comunalinegli anni 1229-1231: i mulini trinesi erano inclusi nell’alienazio-ne, riservata ai cittadini, ai nobili ed ai castellani con un estimosuperiore alle 25 lire di pavesi. Essi furono dati ai maggiori tra icreditori comunali, che, come meglio si vedrà, si identificavanocon il gruppo dirigente urbano109: gli impianti di Trino furonodunque un utile veicolo per la penetrazione, avvenuta nei primidecenni del XIII secolo, dei maggiorenti vercellesi nei centri dipotere del contado.

4. La gestione dei mulini cittadini e i consules molariarum

L’amministrazione degli impianti molitori pubblici fu caratte-rizzata da una notevole flessibilità: un’interessante testimonianzasu come essa avvenne è offerta da un documento del 1208, cui giàsi è fatto riferimento, con cui il comune appaltò per dieci anni isuoi mulini a Simone Neuxant e soci per la ragguardevole sommadi 4000 lire di pavesi, con il fine di pagare il disavanzo accumula-to dall’erario cittadino. L’atto, a cui presenziò l’intera credenza adeccezione di Alberto de Mortaria, venne redatto con grande solen-nità, data l’importanza della transazione110. Tra gli astanti vi erano

105 RAO, La proprietà allodiale cit., pp. 390-392.106 PANERO, Due borghi franchi padani cit., p. 198.107 Su questo ramo dei Biandrate cfr. Appendice 1.108 Egli nel 1224 fu console della società di Santo Stefano (Le carte dello archivio vescovile

di Ivrea fino al 1313, a cura di F. Gabotto, Pinerolo 1900 (BSSS, 5), vol. I, doc. 115, p. 161).109 Cfr. capitolo IV, pp. 164-165.110 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.

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anche i consoli di S. Eusebio, che fecero la loro prima comparsanella documentazione vercellese111: si tratta di un dato di rilievo,poiché conferma come le operazioni inerenti al controllo dell’ap-provvigionamento suscitassero vivamente l’interesse della cittadi-nanza, che non rinunciava a parteciparvi attraverso le proprie rap-presentanze sociali.

Con l’appalto del 1208 le rendite dei mulini vennero date inpagamento di un prestito, seguendo un sistema abbastanza diffu-so nelle città italiane, le cui attestazioni per Vercelli vanno riferiteper lo più alla metà del secolo112. Poteva però avvenire che il gover-no urbano, in momenti in cui le casse erano meno bisognose diliquido, provasse a concedere direttamente in locazione i macina-toi, richiedendo versamenti talora in denaro, talora in natura: ciòaccadde nel 1229, quando il mulino di S. Agnese fu assegnato perun anno al mugnaio vercellese Guglielmo de Yporegia, dietro cor-responsione di un fitto settimanale di tre staia di segale e tre minedi frumento113. Il comune scelse dunque un canone in natura, chegarantiva un reddito annuale di 156 staia di segale e 78 di frumen-to: una somma non irrilevante, se si pensa che probabilmentepoteva essere raddoppiata tramite gli emolumenti prodotti dalmulino di S. Lorenzo. Attraverso questa opzione si voleva dunqueandare incontro alle esigenze annonarie della città, recentementeaumentate con l’istituzione dell’università: non solo per l’afflussodemografico derivatone – o almeno previsto114 –, ma anche perl’impegno preso da parte delle autorità pubbliche di fare affluirenel granaio civico 1000 moggi di grano a disposizione degli stu-denti al prezzo di acquisto115. Ad ogni modo, oltre a fornire un

111 Al riguardo cfr. capitolo II, pp. 75-77.112 J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne dans l’Italie communale: pour une

revision des problèmes, in La ville, la bourgeoisie et la genèse de l’état moderne (XII-XVIII siè-cle), a cura di N. Bulst e J.-Ph. Genet, Parigi 1988, pp. 21-34, con particolare riferimentoa p. 26; M. GINATEMPO, Prima del debito. Finanziamento della spesa pubblica e gestione deldeficit nelle grandi città toscane (1200-1350 ca.), Firenze 2000, pp. 73-80. Cfr. inoltre capi-tolo IV, paragrafo 1.

113 Biscioni, 1/III, doc. 484, pp. 32-33.114 Sullo scacco dell’università vercellese cfr. i saggi contenuti in L’università di Vercelli

nel Medioevo cit.: C. DOLCINI, Bologna e le nuove università, pp. 23-33; S. BORTOLAMI, DaBologna a Padova, da Padova a Vercelli: ripensando alle migrazioni universitarie, pp. 35-75;R. ORDANO, L’istituzione dello Studio di Vercelli, pp. 167-204; A.I. PINI, “Auri argentiquetalenta huc ferimus dites”: i risvolti economici della presenza universitaria nella città medieva-le, pp. 205-225.

115 Cfr. capitolo II, pp. 87-88. Si può quindi dedurre che i due mulini comunali appor-tavano al granaio pubblico poco più di un ventesimo dei 1000 moggi previsti dal contrat-to, che a loro volta rappresentavano solo una parte del fabbisogno cerealicolo della città.

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apporto all’approvvigionamento urbano, la soluzione della gestio-ne dei mulini tramite concessioni a breve termine direttamenteeffettuate dai rappresentanti comunali era funzionale al progettodi centralizzazione e di controllo dei gangli vitali della città, che ipodestà vercellesi dall’inizio del XIII andavano mettendo inatto116.

Rispetto agli impianti molitori del contado, quelli cittadini, inragione della loro particolare importanza117, erano amministratiseparatamente dalle altre proprietà pubbliche: assieme ai mulini ilpodestà nel 1208 cedette, sempre per dieci anni, le rendite garan-tite dai vari pedaggi di cui il comune era in possesso, ossia la mola-ria, il pedagium, la curadia e il pugnaticum118. La molaria era, infat-ti, la tassa imposta sul traffico delle mole, particolarmente remu-nerativo in Piemonte sull’asse che partendo dalla Valle d’Aosta(Bard) univa Ivrea e Vercelli119. Proprio quest’ultima aveva attua-to dalla seconda metà del XII secolo un disegno egemonico su talecommercio, che attraverso i trattati del 1215 e del 1224 con iconti di Savoia era sfociato nella creazione di un monopolio: essofu contrastato da Ivrea fino all’insorgere di una vera e propriaguerra, conclusasi solo nel 1231120. Nell’atto del 1208 il notaiofaceva esplicitamente riferimento a due pedaggi sulle mole, quel-lo della Valle d’Aosta e quello di Lanzo (“tam de Agustana mola-ria quam de molaria Lanzii”), ossia le due aree di produzioneattraverso cui le mole entravano nell’episcopato vercellese e sulle

116 Cfr. capitolo II.117 Al riguardo si veda quanto detto in precedenza.118 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.119 L’argomento ha ricevuto l’attenzione di R. ORDANO, Il commercio vercellese delle

macine della Valle d’Aosta, in La Valle d’Aosta. Relazioni e comunicazioni presentate al XXXICongresso storico subalpino di Aosta, Torino 1959, vol. II, pp. 811-818; M.C. DAVISO DICHARVENSOD, I pedaggi delle Alpi occidentali nel Medio Evo, Torino 1961, pp. 74-78; J.G.RIVOLIN, Il pedaggio di Bard ed il commercio delle mole (XIII e XIV secolo), in Mulini da granonel Piemonte medievale cit., pp. 189-214; P. GRILLO, Il commercio delle mole nel Piemonte delBasso Medioevo (inizi XIV – inizi XV secolo), ibidem, pp. 215-231.

120 Al riguardo cfr. ORDANO, Il commercio vercellese delle macine cit.; RIVOLIN, Il pedag-gio di Bard ed il commercio delle mole cit., pp. 189-190. Non è chiaro il tenore di una normastatutaria del 1242: “si quis de districtu Vercellarum ab illo termino in antea quo molariavendita est, emeret aliquam vel aliquas (molas) ad usum suum scilicet molendini sui velquod ab alio tenuerit, non debeat solvere communi vel alicui pro communi molariciam”(Statuta, 428, p. 304). Se non si trattava semplicemente di un’agevolazione in favore degliabitanti del districtus vercellese, è possibile che essa vada riferita alla pratica corrente diappaltare questo dazio ed all’impossibilità da parte del comune di riscuoterne in seguitoaltre somme.

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quali il comune aveva stabilito la supremazia121. La curadia erainvece il dazio “che si esigeva lungo l’anno alle porte della città suivari oggetti di consumazione interna o di transito”122. Non sonostate invece rinvenute notizie sul pugnaticum, che alla curadia erastato allegato e che con essa era probabilmente in connessione: sipotrebbe ipotizzare che si trattasse del pugno di grano versato daicittadini per i cereali portati al macino123. Il pedagium, infine, erala tassa riscossa dall’amministrazione urbana in Vercelli, distintadalle altre esazioni che il comune prelevava nel contado e che neldocumento non erano accluse124.

Ci si è soffermati così a lungo sulle prerogative appaltate, poi-ché, tramite l’articolo statutario del 1229, come meglio si vedrà,furono questi stessi diritti, assieme al peso pubblico, ai mulini diS. Lorenzo e di S Agnese e a poche altre proprietà (comunanze cit-tadine, castelli, ponti e il palazzo di Trino), ad essere eccettuatidall’assegnazione ai cives125. Infine, nell’alienazione dei beni pub-blici del 1249, ancora una volta, agli impianti molitori del comu-ne vennero affiancati i pedaggi, il peso, la curadia e la molaria126.

I macinatoi di S. Lorenzo e di S. Agnese erano dunque ogget-to di un’amministrazione separata da quella degli altri beni comu-nali, cui sovrintendevano non i procuratores comunium, bensì iconsules molarie: costoro proprio nell’appalto del 1208 si impegna-rono ad accertare gli eventuali danni ricevuti dagli acquirenti,senza che essi ne avessero colpa, nella riscossione degli emolumen-ti provenienti sia dai mulini sia dai pedaggi127. Indagare su tali

121 Sul pedaggio di Lanzo nel XIV secolo cfr. GRILLO, Il commercio delle mole nelPiemonte del Basso Medioevo cit., pp. 218-227.

122 Cfr. V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1857-61, vol. II, p. 95.Le somme riscosse sono contenute in Biscioni, 2/I, doc. 131, pp. 220-222 e Biscioni, 1/I,doc. 186, pp. 383-386.

123 Tuttavia questa prestazione dovuta al mugnaio dal Du Cange è chiamata soltanto“pugnanderia” o “pugnatoria”. Di questo dazio non fa menzione DAVISO DI CHARVENSOD,I pedaggi delle Alpi occidentali cit., pp. 11-35.

124 Sul pedagium cfr. MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, p. 96.125 Cfr. capitolo IV, pp. 162-168.126 Cfr. capitolo IV, pp. 185-186.127 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208, di cui

si fornisce una trascrizione relativa agli obblighi dei consoli della molaria, sottolineando leloro attestazioni: “et percipiant illud pedagium et omnes conventiones illius pedagii a ter-mino predicti Simonis et sociorum qui olim illud emerunt sicut in earum carta contineturfinito usque illud tempore quo ipsi emptores debent tenere molariam et alias res venditassicut in presenti legitur carta ita que si pedagium perderet quod percipere non possentmutacione strate vel alia ocasione vel facto, tunc tantumdem tempore debeant tenere ac per-cipere illud pedagium per quantum tempore constabit eos perdidisse quod non percepient,

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ufficiali può essere utile a comprendere perché il comune cercò dipreservare con tutte le sue forze questi proventi, che costituivanoun settore particolare all’interno delle finanze urbane: esso resi-stette all’assegnazione delle comunanze negli anni 1229-1231 e fuceduto solo con riluttanza nel 1249128. Tuttavia le funzioni di que-sti ufficiali cittadini rimangono avvolte nell’ombra e per avanzarequalche ipotesi si è costretti ad appellarsi ad un esiguo numero didocumenti: molti interrogativi rimangono quindi irrisolti, primifra tutti quale fosse il rapporto tra i consules molarie ed i molares e,punto ancor meno chiaro, se costoro fossero appaltatori incarica-ti dal comune di riscuotere certe entrate oppure fossero semplice-mente suoi rappresentanti.

La prima attestazione di un’organizzazione che sorvegliasse gliinteressi inerenti al settore della molitura deve essere ricondottaalla fine del XII secolo: nel 1193 Bonbellus Bazzano, Giacomo deGuidalardis e Ottone Camex presenziarono come molares ad unatto in cui Corrado de Septimo, Amedeo e Guido Foglia diMontalto giurarono, su ordine del vescovo di Ivrea, di salvaguar-dare il transito di Vercellesi, Eporediesi e dei loro beni “et specia-liter molariam et molares et eorum nuncios”129. Di rilievo è chealmeno due dei tre incaricati, ossia Ottone e Giacomo, apparte-nessero a famiglie in possesso di mulini130: ciò potrebbe indurre aritenere che si trattasse di privati delegati dai rettori urbani all’esa-zione del dazio dopo un appalto. Ad ogni modo già da quella data,

hoc tamen cognito et fide data per sacramentum consulum molarie. […] Et si aliquo casocontingeret quod rugie de quibus molunt illa molendina aliquo modo tollerentur procomuni vel alio facto, tunc per tantumdem tempore debeant illa molendina tenere et godi-menta percipere per quantum constabit eos per illa ocasione perdidisse godimenta hoctamen cognito et fide data per sacramentum consulum molarie. […] Et si contigerit quodipsi emptores vel eorum heredes seu cui dederint infra illos decem annos pro guerra veldiscordia aliqua vel quoquo aliquo modo cure vel secure non possent ducere suprascriptasmolarias nec illa godimenta et obventiones earum ut supradictum est in toto vel in partepercipere hoc tamen cognito et fide data per sacramentum consulum molarie, tunc per tan-tumdem tempore ultra illos decem annos debeant tenere ac percipere per quantum tempo-re non acceperint nisi tamen manifeste apparuerit quod culpa eorum steterit quo minus per-ceperint. Quod verbum debeat declarari per sacramentum molarium quod culpa eorumnon stetit quo minus perceperint ita quod alia probatio non interveni ac nisi forte fieret perbonos homines ut inferius in capitulo quodam continetur”.

128 Cfr. capitolo IV.129 DAC, doc. 18, pp. 33-34. Sul commercio vercellese delle mole cfr. R. BORDONE,

Potenza vescovile e organismo comunale, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al secoloXV, Cittadella 1998, pp. 799-837, con particolare riferimento a pp. 825-831.

130 Si rimanda a quanto esposto nel corso del primo paragrafo di questo stesso capitolo;Ottone tuttavia acquistò il mulino solo successivamente all’elezione a molarius.

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in piena fase consolare, in un periodo in cui gli uffici comunalidifficilmente erano strutturati, costoro già agivano con l’appoggiodell’amministrazione cittadina: essa faceva valere tutto il suo pesopolitico a loro protezione, a dimostrazione della priorità di questiinteressi per il comune vercellese131. I fini di questa magistratura,se può essere chiamata tale, si concentravano però sulla riscossio-ne della molaria, anche perché i mulini non erano ancora staticostruiti. Il già menzionato documento del 1208 – in cui gliimpianti molitori rientravano per la prima volta nelle competen-ze dell’ufficio - in alcuni punti praticò un utilizzo sinonimico deitermini molares e consules molarie, mostrando chiaramente che sitrattava di cariche interinali132. In nessun passo sembra invece pos-sibile dedurre un’identificazione tra i soci di Simone Neuxant ed imolares: questi ultimi erano anzi dispensati dal “dare iudicaturam”in un’eventuale causa tra comune ed appaltatori133. È quindi pos-sibile che, sebbene i ruoli rimanessero distinti, tra molares edacquirenti del 1208 esistessero dei legami.

Maggiori ragguagli su questa ambigua carica provengono da unatto logoro ed incompleto del 1221, in cui Orsetto de Sabello, inqualità di procuratore dei molares, cercò di dimostrare che questiultimi tra il 1210 ed il 1214 non erano riusciti a riscuotere lamolaria a causa dell’aumento del pedaggio e dell’ostilità degliEporediesi, provocando grave danno al comune134. Il processo sirese probabilmente necessario, sebbene non ne venga fatto cenno,poiché la mancata esazione impose il procrastino del termine diappalto a favore degli acquirenti del 1208135. Nella causa i consu-

131 Sugli uffici comunali a Vercelli cfr. capitolo II. Sulle magistrature dedicate alla cura deimulini nell’Italia medievale cfr. invece BALESTRACCI, La politica delle acque cit., pp. 476-477.

132 Oltre ai passi già trascritti, si veda nello stesso documento poco oltre (le sottolinea-ture sono mie): “In predictis tamen omnibus de concordia partium additum est quod testespossit inducere videlicet quod fides molariis debeat prestari cum iuramento dum tamencontrarium non probaret per bonos homines et legales civitatis aut de districto, hoc additoquod per molares debeant denunciari comuni quam molariam ducere et habere non possetse non deberent et quod molares qui pro tempore fuerint debeant iuramento teneri quodfraudem non committent in non ducenda molaria pro suo lucro et dampno comunis. Itemconvenit inter eos quod finito termino molendina debeant consigari (sic) comuni in eo statuquo nunc sunt et si questio inde inter comune et illos emptores moveretur per bonos homi-nes dissiniatur. Item convenit inter eos quod in omnibus causis de quibus comune appella-ret eos non teneantur molares iudicaturam dare” (ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano,Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208).

133 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.134 DAC, doc. 91, pp. 127-131.135 Sulle clausole del contratto cfr. le due trascrizioni in nota.

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les molarie, pur continuando a tratti ad essere identificati con imolares, venivano chiamati anche consules molariorum: è quindipossibile che essi fossero dei molares eletti ad una funzione disupervisione, che prevedeva anche il controllo dei mulini136. Unasfumatura tra le due cariche è possibile rintracciare in un altropasso del documento, in cui si chiedeva se i consoli avessero datoa ciascuno dei molares 25 lire di pavesi per comprare delle mole.In questo caso a tale “magistratura” spettava non solo di riscuote-re il dazio sulle mole, ma anche di provvedere al loro acquisto: nonsi esplicitò però se questo fosse finalizzato al rifornimento deimulini di proprietà del comune o, come sembra più verosimile, adoperazioni di lucro. Il mandato degli ufficiali era probabilmenteannuale: infatti, vennero interrogati cinque personaggi in caricanell’anno a cui si riferivano i fatti contestati137. Anche in questocaso non venne però sciolta l’ambiguità intorno a queste figure: ilfatto che i molares si facessero rappresentare di fronte al comuneda un procuratore fa pensare che fossero privati che agivano atutela dei loro interessi. Ciò nonostante ai testi si chiedeva anchese il comune avesse percepito dei danni dalla mancata riscossionedella molaria: è forse possibile ipotizzare che l’appalto prevedessecomunque la consegna all’amministrazione urbana di una quotadegli emolumenti, che però non venne segnalata nel documentodel 1208.

Un’ultima osservazione su questa sfuggente carica riguarda lavarietà delle sue competenze, che andavano dai pedaggi allagestione dei mulini urbani. Gina Fasoli e Antonio Ivan Pini sisono occupati in passato degli iscarii bolognesi, una magistraturacomunale cui era delegata la gestione di strade, mercato e muli-ni138. Non è possibile rintracciare alcun legame tra questi ufficialied i molares vercellesi – molto più sfuggenti ed apparentemente

136 DAC, doc. 91, pp. 127-131.137 DAC, doc. 91, pp. 127-131: “Simon Reccanus iuratus testatur quod molares non

potuerunt habere molariam; Manoellus de Balzula, Simo Porca, Manfredus de Guidalardiset Jacobus de Calvo fuerunt consules molarie per annum I currente tunc incarnacioneMCCXIIII […] Respondit quod illo anno erat consul molariorum […] Iacobus de Calvo iura-tus testatur quod eo anno quo fuit molarius cum Manoello de Balzola et Simone Porca[…]”.

138 G. FASOLI, Un fossile nel vocabolario istituzionale bolognese del Duecento, in Studi sto-rici in onore di Ottorino Bertolini, Pisa 1972, vol. I, pp. 325-335, con particolare riferimen-to alle pp. 330-333; PINI, Alle origini delle corporazioni medievali cit., pp. 246-248; 257-258.

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molto meno definiti come magistratura –, ciò nonostante emergeuna comunanza di aspetti condivisa dalle due istituzioni.Entrambi gli storici bolognesi hanno osservato come il filo rossoche univa le attività degli iscarii sia da rintracciare nel controllodell’approvvigionamento cittadino, per cui trasporti e mulinierano fondamentali: tale interpretazione, con molta cautela, puòforse essere estesa anche ai consules molarie. In tal modo è spiega-bile perché per tutta l’età podestarile le vicende dei mulini pubbli-ci si siano intrecciate a quelle dei pedaggi (curadia, peso pubblico,molaria). Per questo motivo le autorità vercellesi furono sempreriluttanti ad alienare tali proventi, il cui valore non era solo eco-nomico. Viene inoltre confermato l’interesse del comune piemon-tese per le questioni annonarie: la costruzione dei mulini, avvenu-ta sotto l’egida del popolo cittadino, deve essere inquadrata inquest’ordine i problemi.

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IV. Il governo popolare e il controllo del territorio:l’estinzione dei beni comunali

1. Indebitamento e tensioni sociali alla base dell’alienazione dei benicomunali negli anni 1229-1231

La ripresa delle ostilità tra Federico II e la Lega nell’Italia set-tentrionale dopo il 1228 si fece sentire anche a Vercelli, impegna-ta tra l’altro nel confronto con Ivrea ed i marchesi di Monferrato1.La guerra aveva peraltro sollecitato le necessità difensive deiVercellesi, che in questa direzione avevano rivolto cospicue risorsedell’erario comunale: nel 1230 era stata acquistata la miniera d’ar-gento del monte Assolata2. Essa fu data in locazione all’argenteriusbresciano Umberto de Patrico e ai suoi soci, cui, tra le varie clau-sole, si richiesero sei milites da fornire all’esercito urbano: taleindicazione, oltre a confermare che la cavalleria cittadina, almenoin questo periodo, non implicava una discriminante cetuale, evi-denzia l’impegno del comune nel settore bellico3.

1 F. COGNASSO, Il Piemonte nell’età sveva, Torino 1968, pp. 580-606. Su queste vicen-de cfr. anche M. VALLERANI, Le città lombarde tra impero e papato (1226-1250), inComuni e signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, Storia d’Italia, diretta da G.Galasso, vol. VI, Torino 1998, pp. 455-480, con particolare riferimento alle pp. 455-462. La politica di Federico II nei confronti delle città padane è stata anche oggetto del-l’intervento di G. FASOLI, Federico II e le città padane, in Politica e cultura nell’Italia diFederico II, a cura di S. Gensini, Pisa 1986, pp. 53-70.

2 La miniera vercellese è stata oggetto del dettagliato studio di G. GULLINO, Un inse-diamento minerario del XIII secolo: iniziative per lo sfruttamento delle vene d’argento nelBiellese, in “Archeologia medievale. Cultura materiale, insediamenti, territorio”, 18(1991), pp. 721-735. Il suo acquisto da parte del comune è stato invece messo in rela-zione all’aggravarsi delle esigenze belliche della città da A.A. SETTIA, L’esercito comunalevercellese del secolo XIII: armamento e tecniche di combattimento nell’Italia occidentale, inVercelli nel XIII secolo. Atti del primo congresso storico vercellese, Vercelli 1982, pp. 327-355, con particolare riferimento alle pp. 332-333.

3 GULLINO, Un insediamento minerario cit., pp. 723-725. Sui rapporti tra estrazionesociale e cavalleria cittadina cfr. G. TABACCO, Nobili e cavalieri a Bologna e a Firenze traXII e XIII secolo, in “Studi medievali”, 17 (1976), pp. 41-76, e i più recenti lavori di F.CARDINI, “Nobiltà” e cavalleria nei centri urbani: problemi e interpretazioni, in Nobiltà e

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Le guerre e l’instabilità venutasi a creare in quegli anni si riper-cossero anche sulle istituzioni vercellesi: nel 1230 a capo delle duesocietà, invece dei consoli, vennero nominati podestà, Uguccionede Miralda per Sant’Eusebio e Sanguisagni Alciati per SantoStefano4. I de Miralda, un ramo dei Bondoni5, erano un gruppoparentale più attento alle proprietà nelle campagne che alla vitapolitica cittadina, cui si erano limitati ad offrire pochi credenzia-ri6; gli Alciati, pur essendo una delle maggiori famiglie vercellesi,che vantava diritti signorili nel contado e che era riuscita a fareeleggere suoi membri nel capitolo cattedrale, da sempre era legataa Santo Stefano, forse anche perché durante la sua ascesa nonaveva sviluppato relazioni con il presule, ponendosi per interessi inopposizione alle casate a quest’ultimo afferenti7.

Il podestariato delle societates probabilmente rimase in vigoreanche l’anno successivo: la citazione di Ruffino Avogadro comepotestas militum per il 1231 potrebbe, infatti, forse essere riferitaall’organizzazione nobiliare di Sant’Eusebio8. In questo caso lascelta di un’indicazione che esprimesse la caratterizzazione socialedel raggruppamento sarebbe utile a comprendere come il ruolo dimediazione delle associazioni fosse sempre più obliterato in favo-re dello scontro tra le due fazioni che le sostenevano. L’opzione delpodestariato, oltre ad indicare una maggiore solidità istituzionale

ceti dirigenti in Toscana nei secoli XI-XIII: strutture e concetti, Firenze 1982, pp. 13-28; S.GASPARRI, I milites cittadini. Studi sulla cavalleria in Italia, Roma 1992.

4 Il documento è edito in G. FERRARIS, recensione a Le pergamene Belgioioso dellabiblioteca trivulziana di Milano (secoli XI-XVIII). Inventario e regesti, a cura di P.Margaroli, Milano 1997, vol. I, in “Bollettino storico vercellese”, 51 (1998), pp. 176-179.

5 V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1857-1861, vol. I, p. 334.6 Negli anni presi in considerazione lo stesso Uguccione fece parte più volte della cre-

denza e nel 1222 presenziò al consiglio privato del podestà (Biscioni, 1/II, doc. 260, pp.110-111); Pietro de Miralda fu chiavaro del comune nel 1232 (Il libro rosso del comunedi Ivrea, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1914 (BSSS, 74), doc. 246, p. 270) e amba-sciatore nel 1233 (Le carte dello archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, a cura di F.Gabotto, Pinerolo 1900 (BSSS, 5), vol. I, doc. 132, p. 183). Buongiovanni nel 1219 eramonaco di Lucedio (ibidem, doc. 90, p. 129), Ardizzone chierico di S. Eusebio nel 1243(ACV, Atti privati, cartella VI, doc. in data 22 marzo 1243); Giacomo fu canonico di S.Andrea nel 1248 (ibidem, doc. in data 1248).

7 Sugli Alciati cfr. F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comunealla costituzione dello studio (1228), in L’università di Vercelli nel Medioevo. Atti delSecondo Congresso Storico Vercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992),Vercelli 1994, pp. 77-165, qui a p. 92.

8 DAC, doc. 109, p. 171; il documento che segnala l’esistenza di un podestariato diSant’Eusebio per l’anno precedente sembra rafforzare l’ipotesi, finora considerata conprudenza, che il potestas militum potesse essere identificato con quello della predettasocietà (cfr. A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, p. 63).

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ed un’emulazione della forma di governo comunale9, sembraanche alludere ad un nuovo ruolo ricoperto dalle società in questianni, il quale si tradusse in una maggiore intraprendenza politica.Il cambiamento può essere individuato agevolmente soffermando-si ancora brevemente sulle condizioni che portarono all’acquistodella miniera del monte Assolata, una comunanza, seppure piut-tosto atipica, che ancora una volta conferma come le decisioni ine-renti al controllo dei beni comunali comportassero l’immancabileentrata in gioco degli schieramenti sociali. L’atto che stabiliva latransazione fu stilato nella chiesa della Santa Trinità, dove fu“facto conscilio et quasi concione […] multe magne quantitatishominum societatis S. Stephani, et ibidem mandato dominiSaguinisagni Alzati potestatis ipsius societatis et eius voluntateconvocato”; alla riunione dell’associazione popolare convennerotuttavia anche molti milites e pedites ad essa estranei, che deciseroall’unisono l’acquisto, effettuato dal podestà di Santo Stefano,l’Alciati, e da Pietro e Martino Bicchieri “vice et nomine comu-nis”. Si stabilì inoltre che alcune clausole fossero inserite, oltre chenegli statuti comunali in quelli della società10. La volontà delpopulus era dunque stata la vera promotrice dell’operazione, soloin seguito assecondata da altre componenti della cittadinanza; maciò che più stupisce è vedere come essa fosse riuscita ad eludere itradizionali meccanismi istituzionali. Infatti, sebbene l’acquistofosse stato condotto a nome del comune, tra gli attori non figura-vano appartenenti al governo podestarile; inoltre non veniva nep-pure menzionato il consenso della credenza. Ad agire in primapersona era il podestà della società, coadiuvato dai fratelliBicchieri, di cui è difficile determinare il ruolo: operavano in rap-presentanza della fazione dei milites (in questo caso stupisce chenon sia stata specificata la delega da parte di Sant’Eusebio)?Appartenevano essi stessi a Santo Stefano, cui la famiglia risultavalegata, avendone entrambi ricoperto il consolato, Pietro l’annoprecedente, Martino nel 122411? Rivestivano una funzione dimediazione, favorita dai loro rapporti con le discendenze signori-li del Vercellese? Quale che sia la corretta interpretazione, le uni-

9 Sulla capacità delle associazioni cittadine di eleggere podestà cfr. anche le osserva-zioni di J. KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna 1986, pp. 145-155 e, sulla situazione piacentina, pp. 66-81

10 Biscioni, 2/I, doc. 132, pp. 224-226.11 Cfr. Appendice 2.

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che autorità ad intervenire direttamente nell’atto furono quellelegate al populus: una tale capacità di sostituirsi nelle prerogative algoverno podestarile – in quell’anno rappresentato da GuarneriusCastiglioni, probabilmente instaurato a seguito della legazionepontificia del cardinale Goffredo Castiglioni, ad indicare unasituazione delicata ed un fragile equilibrio tra gli schieramentisociali12 – induce a ritenere che le istituzioni comunali nonrispondessero più alle esigenze societarie. Mentre l’acuirsi del diva-rio tra Lega e imperiali prodotto dalla violenta ripresa delle opera-zioni belliche in Piemonte favoriva l’aumento dello stato di con-flitto tra populus e milites, le due associazioni tentarono di assicu-rarsi l’egemonia prescindendo dall’usuale dialettica con l’ammini-strazione cittadina ed effettivamente riuscirono ad assumere deimargini di autonomia non contemplati in passato. La loro forza sidispiegava tuttavia non tanto attraverso un controllo pervasivodella credenza e degli uffici comunali, come era stato in preceden-za, quanto attraverso la loro pressione sul governo urbano, la capa-cità di creare luoghi di potere (la chiesa della S. Trinità), assembra-menti di popolazione (“conscilio et quasi concione”), scritture (glistatuti societari) alternativi a quelli podestarili13. La scelta dellachiesa della S. Trinità come sede della riunione è particolarmenteevocativa: qui tra il 1186 ed il 1208, prima della costruzione delpalazzo pubblico, la concio vercellese si riuniva in occasione didecisioni particolarmente significative14. In questo modo il popo-

12 Un esempio sui contatti avuti con Vercelli da Goffredo durante la sua legazione inLombardia avvenuta tra il 1228 e il 1229 è rinvenibile in Le pergamene di S. Giulio d’Ortadell’archivio di Stato di Torino, a cura di G. Fornaseri, Torino 1958 (BSSS, 180/1), doc.67, pp. 119-120, in cui un canonico vercellese fu designato dal Castiglioni a giudicareuna lite tra il monastero di S. Giulio d’Orta e i conti di Biandrate. Su Goffredo, papacome Celestino IV, cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Celestino IV, lemma del Dizionario bio-grafico degli Italiani. Cavallucci Cerretesi, Roma 1979, vol. XXIII, pp. 398-402.

13 KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord cit., pp. 145-161 e la recensione, ricca dispunti, di P. RACINE, Le «popolo», groupe social ou groupe de pression?, in “Nuova rivistastorica”, 73 (1989), pp. 133-150; cfr. inoltre S. BORTOLAMI, Le forme «societarie» di orga-nizzazione del popolo, in Magnati e popolani nell’Italia comunale. Quindicesimo convegnodi studi del Centro italiano di studi di storia e d’arte di Pistoia. Pistoia 15-18 maggio 1995,Pistoia 1997, pp. 41-79, con particolare riferimento alle pp. 42-43; 63-64 e PINI, Dalcomune città – stato al comune ente amministrativo cit., p. 488.

14 Si veda per esempio l’acquisto del castello di Casalvolone nel 1186 (PC, doc. 101,pp. 186-187); nell’archivio comunale ho rinvenuto 28 atti qui stilati. Sulla chiesa dellaS. Trinità cfr. G. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. Xal sec. XIV, a cura di G. Tibaldeschi, Vercelli 1995, pp. 13-14. Sulle chiese cittadine comeluoghi di ritrovo per il popolo cfr. M. RONZANI, La ‘chiesa del comune’ nelle città dell’Italiacentro-settentrionale (secoli XII-XIV), in “Società e storia”, 6 (1983), pp. 499-534; A.RIGON, Il ruolo delle chiese locali nella lotta tra magnati e popolani, in Magnati e popolaninell’Italia comunale cit., pp. 117-135,con particolare riferimento alle pp. 124-128.

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lo sapeva dare solennità e peso istituzionale alle sue assemblee: sepuò sorgere il dubbio che esso rivendicasse l’eredità del primocomune, emerge invece con certezza la capacità da parte delleassociazioni di Santo Stefano e di Sant’Eusebio di assurgere algoverno nei momenti più difficili della storia urbana. Tale abilitàsi ripropose ancora nel 1243, quando rectores della città furonoArdizzone de Ivaco e lo stesso Ruffino Avogadro, consoli delle duesocietà15.

Che l’intervento della societas esplicasse non solo la volontàdella comunità cittadina, ma soprattutto un’iniziativa popolare, sipuò riscontrare anche risalendo alle finalità dell’atto: non erasecondario, infatti, l’intento di estendere a queste località il distric-tus urbano16, sottratto ai domini de Bulgaro e de Saluzola, duefamiglie che si riconoscevano nell’organizzazione nobiliare di cuiavevano ricoperto il consolato17. In effetti, l’affermazione dell’au-torità vercellese sul contado e l’espansione della sua giurisdizione,come si mostrerà più diffusamente in seguito, erano anche unodegli obiettivi cardinali del populus: per l’associazione di SantoStefano - al contrario della nobiltà, all’interno della quale vassallivescovili e milites erano in possesso di castelli dove detenevanocospicui interessi18 - l’inserimento di un progetto di controllo delterritorio nella politica comunale era fondamentale, per le risorsefiscali che garantiva e per la sicurezza stessa della città19.L’evoluzione del corpo civile vercellese aveva, infatti, condotto allosviluppo all’interno della popolazione di un raggruppamentoindirizzato in senso magnatizio, in cui è probabile cominciasseroad essere compresenti partigiani filopapali come gli Avogadro e

15 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 12, pp. 351-355.16 GULLINO, Un insediamento minerario cit., pp. 721-722.17 Guglielmo de Saluzola fu console di Sant’Eusebio nel 1210 (DAC, doc. 72, p. 92),

Bertolino, uno degli autori della vendita, nel 1246 (Biscioni, 2/I, doc. 178, pp. 270-271).Dei de Bulgaro, una famiglia di domini rurali proveniente da Borgovercelli che in prece-denza aveva avuto accesso alla cattedra episcopale (A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vas-salli rurali nel Vercellese del XII secolo, in “BSBS”, 91 (1993), pp. 5-45, con particolareriferimento a p. 16) e che si era inserita, dopo essere immigrata, nell’aristocrazia conso-lare vercellese (PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 92), Giacomo ed Uberto,entrambi tra i venditori, furono consoli della società dei milites rispettivamente nel 1223(Biscioni, 2/I, doc. 99, p. 153) e nel 1246 (ibidem, doc. 178, pp. 270-271). Tutte e duele casate nel 1246 risultavano nell’elenco dei magnati banditi dal comune assieme aiBicchieri (Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 53, pp. 443-448).

18 Cfr. per esempio il caso dei De Benedetti – da Burolo preso in considerazione nelcorso del secondo capitolo.

19 Cfr. anche PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 107.

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filoimperiali come i Bicchieri, le cui consorterie, non necessaria-mente provenienti dalle fila dell’antica aristocrazia consolare (peresempio i Tizzoni), erano caratterizzate da una connotazione soloparzialmente urbana: esse si rivolgevano piuttosto ad una dimen-sione regionale o distrettuale, che si muoveva verso la creazione dicentri di potere nel territorio extra cittadino (proprietà fondiarie,ma soprattutto diritti signorili)20. Con lo sviluppo del tessuto pro-duttivo, a tali raggruppamenti andava opponendosi un movimen-to popolare in cui sempre più forte erano le componenti legate allecorporazioni, sicché le basi della sua autorità erano concentratesoprattutto all’interno delle mura e nel suburbio21.

Per altro verso le guerre e gli ambiziosi progetti intrapresi daigoverni urbani, alcuni dei quali, come l’istituzione dell’università,solo parzialmente ripagarono le aspettative dei Vercellesi22, ebberoquale ulteriore effetto l’aggravio del processo di indebitamento delcomune, che a sua volta poté forse influire sull’aumento della con-flittualità sociale. Le prime testimonianze risalgono agli anniNovanta del XII secolo, quando i consoli erano impegnati condiversi creditori: si trattava comunque di somme abbastanza con-tenute, probabilmente da mettere in relazione a circoscritte opera-

20 Cfr. R. RAO, Fra comune e marchese. Dinamiche aristocratiche a Vercelli (secondametà XII - XIII secolo), in “Studi storici”, 44 (2003), pp. 43-93. Per un confronto conaltre realtà cfr. S. CAROCCI, Baroni in città. Considerazioni sull’insediamento e i dirittiurbani della grande nobiltà, in Roma nei secoli XIII e XIV. Cinque saggi, a cura di E.Hubert, Roma 1993, pp. 137-173; A. GIORGI, Il conflitto magnati/popolani nelle campa-gne: il caso senese, in Magnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 137-211; BARBERO,Un’oligarchia urbana cit., pp. 77-88. Quanto alla complessa origine sociale del cetomagnatizio cfr. TABACCO, Nobili e cavalieri a Bologna e a Firenze cit.; E. ARTIFONI, Unasocietà di “popolo”. Modelli istituzionali, parentele, aggregazioni societarie e territoriali adAsti nel XIII secolo, in “Studi Medievali”, 24 (1983), pp. 545-616; P. CAMMAROSANO, Ilricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti nel corso del XIII secolo, in Magnati e popolaninell’Italia comunale cit., pp.17-40, con particolare riferimento alle pp. 17-22.

21 Lo sviluppo della proprietà fondiaria presso i ceti popolari fu consistente e nonescludeva l’acquisizione di diritti signorili: ad esempio si può assumere il caso del beccaioDionisio Pelliccia, in possesso di una quota signorile a Caresana e a Gazzo (ACV, Atti pri-vati, cartella XXV, doc. in data 28 novembre 1231); tuttavia le basi del loro potere rima-nevano prevalentemente circoscritte in “curia Vercellarum”. Per l’atipicità del popolo ver-cellese nel quadro del Piemonte comunale, caratterizzato da un ruolo precipuo delle artiche si avvicina maggiormente al modello lombardo, cfr. ARTIFONI, Itinerari di potere cit.,p. 272; R. BORDONE, Magnati e popolani in area piemontese con particolare riguardo alcaso di Asti, in Magnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 397-419, con particolareriferimento alle pp. 397-398.

22 R. ORDANO, L’istituzione dello studio di Vercelli, in L’università di Vercelli nelMedioevo cit., pp. 167-204.

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zioni finanziarie23. Nel 1204, come si è mostrato nel corso delprimo capitolo, fu emanata una prima norma volta alla regola-mentazione del pagamento dei debiti comunali, che si stabilivaavvenisse sempre “in capite anni”24: seppure i creditori non vada-no necessariamente identificati con prestatori, si può ipotizzareche la pratica di prendere denaro a termine cominciasse ad essereabituale. Nel 1208 vennero cedute le entrate derivanti dalla mola-ria, dalla curadia, dal pedaggio e dai mulini cittadini a SimoneNeuxant e soci per la somma di 4000 lire di pavesi, “pro solvendodebito illius comunis”25. È prematuro parlare della formazione diun debito pubblico: infatti, non si assiste ancora alla creazione diun deficit permanente e all’utilizzazione dei proventi per il paga-mento degli interessi dei creditori26. Non si può però non rilevarel’aumento dell’attenzione comunale a questo settore: negli annipresi in considerazione l’amministrazione cittadina, oberata daicosti bellici, per procurarsi capitali in moneta circolante, oltre allosfruttamento delle risorse fiscali e dei prestiti forzosi, cominciò arivolgersi con sempre maggiore frequenza a ricchi finanziatori,non necessariamente vercellesi, la cui soluzione non avveniva sem-pre con facilità. Nel 1224 il comune si era impegnato per quasi5000 lire di terzoli con i Mandelli di Milano27. La testimonianzaè ambigua, poiché già in passato la famiglia ambrosiana avevariscosso denaro per il pagamento di mandati podestarili adempiu-ti da suoi consanguinei28, l’ultimo dei quali solo due anni primada parte di Guglielmo. È tuttavia possibile rinvenire dietro l’attoindizi della politica intercittadina di Milano nell’Italia settentrio-nale, che favoriva il sostegno ed il finanziamento dei centri urba-ni alleati29. Inoltre il primo gennaio del 1222 il podestà GuglielmoPusterla decretò che i creditori del comune si presentassero perricevere il pagamento; dalla stessa disposizione fu eccettuato ilsaldo del debito con Roberto Avogadro e Giovanni Silo, che dove-

23 Acquisti, I, f. 46 (relativo all’anno 1192); ibidem, f. 54 (1207, in questo caso si trat-tava del pagamento di una casa acquistata dal comune a Milano).

24 Cfr. capitolo I, p. 70.25 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208. Al

riguardo cfr. capitolo III, pp. 144-147.26 M. GINATEMPO, Prima del debito. Finanziamento della spesa pubblica e gestione del

deficit nelle grandi città toscane (1200-1350 ca.), Firenze 2000, pp. 13-31.27 PC, docc. 391-392, pp. 377-378.28 Acquisti, I, f. 58-60.29 P. GRILLO, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia,

Spoleto 2001, p. 261.

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va ancora avvenire30. Proprio con la famiglia dei Sili di Torino,provenienti dall’aristocrazia consolare di quella città, prestatori delpresule torinese, dell’abbazia di S. Solutore a Torino e del comu-ne di Moncalieri31, i Vercellesi instaurarono un rapporto privile-giato. Nel 1230 i rappresentanti del governo si rivolsero ad unmercante milanese, Giacomo Marinoni, da cui ricevettero 172 liredi bresciani, cremonesi e mantovani “errogati in sanandis debitisillius comunis et spetialiter domino Johanni Rubeo de Blandratoet domino Johanni Syro de Taurino”32; l’atto, se considerato uni-tamente a quello precedente dei Mandelli, suggerisce per altro chei prestiti dei cittadini ambrosiani nascondessero una natura politi-ca di sostegno alla città alleata. Nel 1240 il rettore urbano GiliolusGuiberti si impegnò a saldare l’ingente debito contratto con i Sili,5500 lire di pavesi: la promessa venne rinnovata nel 1241 e pro-rogata nel 1242. In questa occasione si fece giurare al futuro pode-stà di imporre agli abitanti della città e del districtus una “coltamsive mutuum” per la soluzione della somma, cui si erano aggiuntealtre 125 lire di pavesi per le spese sostenute dai fratelli Giovanni,Uberto e Guglielmo, figli di Tommaso Silo, per venire a Vercelli equi dimorare al fine di riscuotere il credito33. Per più di 20 anniquesta famiglia aveva finanziato con continuità il comune, arri-vando a coltivare numerosi interessi nel luogo: nel 1228 essi risul-tavano avere prestato denaro per 300 lire di pavesi alla famiglia dicives dei Lanterio34; nel 1235 Giovanni Silo vendette al capitolo diS. Eusebio un podere a Balzola, acquistato in precedenza daVercellino e Giordano figli di Ottone Camex35. La loro presenza aVercelli doveva essere un fatto abituale, specie per Giovanni: nonstupisce dunque rinvenire quest’ultimo tra i testimoni di un atto

30 Biscioni, 1/III, doc. 562, pp. 142-143. Per il credito di Roberto Avogadro cfr. RAO,Fra comune e marchese cit., p. 82.

31 R. BORDONE, Vita economica del Duecento, in Storia di Torino. 1. Dalla preistoriaal comune medievale, a cura di G. Sergi, Torino 1997, pp. 749-783, con particolare rife-rimento alle pp. 774-776. L. CUTTIN, I difficili inizi della certosa di Mombracco, inCertosini e cistercensi in Italia (secoli XII-XV). Atti del Convegno. Cuneo – Chiusa Pesio –Rocca de’ Baldi. Giovedì 23 – domenica 26 settembre 1999, a cura di R. Comba e G.G.Merlo, Cuneo 2000, pp. 191-206, con particolare riferimento a p. 193. Cfr. anche A.BARBERO, Un’oligarchia urbana. Politica ed economia a Torino fra Tre e Quattrocento,Roma 1995, pp. 43-45; 51-55.

32 Archivio storico della Biblioteca Trivulziana di Milano, Fondo Belgioioso, cart.291, n. 37.

33 Statuta, 418, p. 295; ibidem, “Statuta et documenta nova”, doc. 2, pp. 326-328;doc. 6, pp. 335-339.

34 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1806, doc. in data 3 dicembre 1228.35 ACV, Atti privati, cartella XXX, doc. in data 16 giugno 1235.

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comunale stilato nel 1223 fuori da Porta Nuova assieme ad altricittadini36. Probabilmente, proprio al fine di curare agli investi-menti effettuati, i prestatori torinesi acquistarono un “casamen-tum cum domunculis” nella vicinia di S. Agnese, che l’ammini-strazione urbana alienò nel 1247, quando il debito era ormai statoestinto e i Sili avevano liquidato almeno la maggior parte delleloro rendite sul territorio37. I legami instaurati con la società loca-le furono particolarmente solidi e permasero anche dopo l’inter-ruzione delle elargizioni alle autorità cittadine: un indizio puòessere rinvenuto nei rapporti tra Giordanino Silo e il vescovo diTorino, il vercellese Giovanni Arborio, negli anni Cinquanta delsecolo38. Se dunque per questa casata i prestiti al comune eranostati un investimento importante, attorno a cui costruire una soli-da rete di operazioni finanziarie e tramite il quale estendere la loroattività feneratizia, per altro verso i podestà si ritrovarono in imba-razzo crescente al momento di saldare gli interessi: già nel 1222essi avevano promulgato una disposizione per il loro pagamento aparte rispetto agli altri creditori, forse poiché la somma dovuta eraparticolarmente consistente (si aggiungeva, infatti, che una partedell’emolumento era già stato corrisposto)39. L’intervento di unprestatore milanese nel 1230, avallato dal comune lombardo,denunciava l’incapacità dei rettori vercellesi a superare il processodi indebitamento e lo stremo delle finanze pubbliche. Il governopodestarile, sobbarcandosi il gravoso impegno con i Sili ed accet-tandone la presenza sul suo territorio, ritenne che la scelta di unprestatore forestiero avesse meno possibilità di condizionare lapolitica comunale rispetto ai creditori cittadini, tuttavia anche acostoro fu costretto a ricorrere: esso si indebitò, infatti, versoGiovanni Rubeus Biandrate, Roberto Avogadro, Pietro Biandrate,Liprando e Ardizzone de Ivaco Biandrate, i fratelli Uberto,Guglielmo e Uguccione Bondoni40. Si trattava per lo più di per-

36 Biscioni, 1/III, doc. 474, p. 24.37 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 76, pp. 480-481.38 CUTTIN, I difficili inizi cit., pp. 193-196.39 È possibile che nel caso di Roberto Avogadro si aggiungessero anche motivazioni

politiche (RAO, Fra comune e marchese cit., p. 82).40 Archivio storico della Biblioteca Trivulziana di Milano, Fondo Belgioioso, cart.

291, n. 37; Biscioni, 1/III, doc. 562, pp. 142-143; Acquisti, I, f. 56; A. DI RICALDONE,Documenti vercellesi in un archivio del Ducato di Monferrato, in “Bollettino storico vercel-lese”, 7 (1975), pp. 47-52, con particolare riferimento alle pp. 49-50; Archiviodell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio, Scritture diverse,mazzo 2, n. 59 (1 gennaio 1231).

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sonaggi appartenenti alle maggiori famiglie di cives, sia aristocrati-che sia popolari, spesso schierati politicamente41. Una parte con-sistente ed influente del gruppo dirigente urbano aveva dunqueprestato denaro all’erario comunale ed aveva tutto l’interesse arientrarne in possesso: costoro furono coloro che maggiormentespinsero all’alienazione dei beni comunali.

2. L’alienazione dei beni comunali (1229-1231)

Nel dicembre del 1229 il podestà Giannone de Andito convo-cò solennemente la credenza e, volendo essere certo che essa pre-senziasse al completo, incaricò dei nunzi di andare a chiamare icredenziari “qui de foris habitabant”. Egli invitò quindi i parteci-panti al consiglio cittadino ad avanzare proposte “de qualicumqueutilitate communis”. Inoltre, si decise all’unanimità che gli inter-venti sarebbero stati rimessi nelle mani di 12 sapienti che li avreb-bero dovuti redigere per iscritto; successivamente essi sarebberostati riportati alla credenza, che li avrebbe decretati e confermati asua discrezione42. Oltre a spiegare i meccanismi che presiedevanoalle decisioni più solenni della città – quelle inserite negli statuti –la risoluzione attira l’attenzione poiché coinvolge il campo di que-sta ricerca: infatti, gli ordinamenti approvati stabilivano e regola-vano la cessione di tutti i beni comunali vercellesi. Non solo lalunga arenga che insisteva sul consenso del consiglio urbano esulla legittimità della deliberazione, ma anche la meticolosità concui vi si provvide, dimostrano la portata che la disposizione assun-se agli occhi della cittadinanza43. Con essa, infatti, veniva postotermine alla gestione di uno dei settori più rilevanti delle finanzecomunali, a cui era interessata gran parte della collettività vercel-lese, non solo per l’importanza del cespite, ma anche perché comu-nia erano stati dati in locazione a molti cives, sia nobili, sia pedi-tes. L’alienazione, che come si è visto doveva porre un freno all’au-mento del disavanzo, sarebbe inoltre andata a beneficiare solo

41 Per alcuni di costoro cfr. i rimandi in Appendice 2. Di Ardizzone Biandrate si par-lerà più avanti in questo stesso capitolo.

42 Statuta, 336, pp. 236-237: “Cumque demum universi de credencia in concordiadevenissent ut quecumque ibi relata fuerant sive dicta ferentur in manibus XII sapientumqui ea et alia quecumque sibi porrigerentur in scriptis rediggentur et redacta statuenda etfirmanda discrimini credencie ducerentur”.

43 Statuta, 337-342, pp. 237-245.

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alcune fasce della popolazione, fatto che rendeva la situazione par-ticolarmente tesa e difficile.

Lo statuto stabilì quali trapassi di proprietà comunali a Trino eTricerro avvenuti in precedenza dovessero essere ritenuti legali equali invece cassati, chi dovesse essere espropriato e chi avessediritto ad essere rifuso del danno subito44; decretò inoltre che pertutto il mese di febbraio del 1230 il nuovo podestà dovesse entra-re in possesso delle comunanze e che entro l’8 febbraio dovessefare eleggere dalla credenza 12 homines legales tenuti a “estimare etxortare et livrare et in solutum dare omnia que et quecumqueinventa fuerint communi pertinere”. I beni sarebbero stati dati inpagamento agli “hominibus civitatis Vercellarum et nobilibus etcastellanis qui cum civitate solvunt fodrum a XXV libris supra esti-matis secundum estimationem cuiuslibet sive secundum eiusquantitatem estimi facti tempore domini R. Troti”, cioè, secondoun criterio censitario, ai cittadini vercellesi, ai nobili ed ai castel-lani che nell’estimo imposto nel 1228 dal podestà Rainaldo Trottorisultavano registrati per più di 25 lire di pavesi45. Si precisava chedall’operazione di alienazione dei comunia dovessero essere eccet-tuati una serie di diritti, ossia i pedaggi, la curadia, il pensum, imulini pubblici, i castelli, i ponti, la molaria, il palazzo di Trino ele comunanze all’interno delle mura della città46. I beni recupera-ti a Trino e Tricerro dovevano essere ricercati solo da GiovanniVisconte e Giovanni de Galiciano, sicché al riguardo non poteva-no essere eletti altri inquisitores47. Si stabilivano infine i compitidel futuro podestà Guarnerius Castiglioni e dei suoi collaboratori,incaricati di fare rispettare lo statuto e di regolare le operazioni(queste ultime due parti, risalenti a dopo l’elezione delCastiglioni, furono probabilmente un’aggiunta posteriore)48. In

44 Queste disposizioni sono state analizzate da F. PANERO, Due borghi franchi padani.Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro nel secolo XIII, Vercelli1979, pp. 65-68. Si decise inoltre di interrompere i precedenti contratti di locazione delleterre colte, ma soprattutto incoltre, situate in curia Vercellarum (cfr. anche Biscioni, 2/I,doc. 223, p. 309). Per un confronto con le alienazioni di beni comunali a Mondovì cfr.R. RAO, «Beni comunali» e «bene comune»: il conflitto tra Popolo e hospitia a Mondovì, inStoria di Mondovì e del Monregalese. II – L’età angioina (1260-1347), a cura di R. Comba,G. Griseri, G. Lombardi, Cuneo - Mondovì 2002, pp. 7-74, qui alle pp. 53-58.

45 Statuta, 337, pp. 237-241, dove sono contenute anche le osservazioni del Mandellisull’estimo.

46 Statuta, 337, pp. 241-242. Su questi cespiti cfr. MANDELLI, Il comune di Vercellicit., vol. II, pp. 94-96.

47 Statuta, 337, p. 242.48 Statuta, 337, pp. 242-243.

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capitoli separati si trattavano invece le disposizioni inerenti all’in-dagine sui possessi di Trino e Tricerro, alla conservazione dei dirit-ti di successione sulle proprietà cedute, alla possibilità di prelazio-ne, previo conguaglio, sui terreni comprati dal comune o da per-sone in causa con quest’ultimo, alla redazione “in libro comunis”dei fitti dovuti ai rappresentanti urbani e delle cause relative alpatrimonio civico, ai rimborsi spettanti a coloro che in passatoavevano acquisito comunanze49.

Si è già detto dell’interesse che avevano i maggiori creditori delcomune ad ottenere la cessione dei comunia: questa si presentava,infatti, come un pagamento, una soluzione dei debiti contratti,che andava a beneficio di coloro che erano registrati con un esti-mo superiore alle 25 lire di pavesi durante il podestariato diRainaldo Trotto. L’assegnazione era stata, infatti, preparata pro-prio tenendo presente il sistema impositivo, poiché la stessaespressione “hominibus civitatis Vercellarum et nobilibus etcastellanis” richiama direttamente le modalità che presiedevanoalla compilazione dei libri d’estimo, forse stilati separatamente percittadini, nobili e castellani: nel 1240 ricorreva alla medesima par-tizione il liber consignamentorum comunis Vercellarum, in cui veni-vano consegnati i beni mobili ed immobili di “cives, nobiles etcastellani ac burgi, ville et loca civitatis et districtusVercellarum”50. Non si può escludere che in base all’estimo fossestato imposto alla cittadinanza vercellese un prestito forzoso arimborso, il cui pagamento era stato effettuato tramite la conces-sione delle comunanze51.

Del resto che all’assegnazione di beni comunali non fosse cor-risposta un’entrata di denaro, ma che si fosse trattato piuttostodella soluzione di un debito, non è suggerito solo dall’utilizzo del-l’espressione “in solutum dare”, ma anche da alcuni atti di aliena-

49 Statuta, 338-342, pp. 243-245.50 DAC, doc. 123, pp. 200-201. Anche nel capitolo statutario in cui si imponeva la

consegna dei castelli al podestà, probabilmente sempre in base ad un libro d’estimo (cfr.paragrafo successivo), ad essere soggetto alla norma era “quis castellanus vel nobilis autcivis de civitate vel episcopatu Vercellarum” (Statuta, 394, p. 279). Ad ogni modo que-sta divisione doveva essere sentita già da tempo dai Vercellesi: nel 1202 il borgo francodi Piverone venne istituito dopo aver ricevuto il “consensum credencie Vercellarum etconsolum et militum et populi et castellanorum”; la stessa distinzione venne ribadita afine documento con i termini “cabalarii et populares et castellani” (DAC, doc. 29, pp.55-56).

51 La pratica della prestanza, generale o particolare, a rimborso era diffusa a Vercelliin questo stesso periodo (cfr. oltre).

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zioni di queste proprietà: si tratta di due documenti relativi allaconsegna, avvenuta il 1 gennaio 1231, degli impianti molitori diTrino a favore dei fratelli Ardizzone e Liprando de Ivaco e diUberto, Guglielmo e Uguccione, figli del fu Giacomo Bondoni. Acostoro i 12 homines legales, la cui elezione era prevista dallo sta-tuto già preso in considerazione, diedero una quota dei mulini cal-colata per una somma equivalente al loro credito nei confronti delcomune, pari rispettivamente a 343 lire di pavesi e 17 soldi e a 51lire di pavesi e 16 soldi52: dunque in quella data, terminate le ope-razioni di inchiesta e recupero, si era proceduto al saldo dellecomunanze, di cui le più cospicue – i mulini di Trino, stimati dai12 homines legales per un valore complessivo di 2500 lire di pave-si – erano state cedute ai maggiori creditori.

A beneficiare della spartizione dei terreni comunali non furonotuttavia solo i ceti socialmente più elevati e con maggiori disponi-bilità finanziarie, ma anche famiglie di cives mediocri, che puredovevano vantare un estimo superiore alle 25 lire di pavesi, comequegli Inburiatus che nel 1233 vendettero al monastero di S.Maria di Rocca delle Donne circa tre moggi di terra a Trino,acquisiti dal comune53; lo stesso cenobio nel 1236 comprò unappezzamento da Maifredo Camerlengus, di cui egli era potutoentrare in possesso grazie alla norma statutaria emanata nel 1230da Guarnerius Castiglioni54.

Ad ogni modo perché si giungesse all’assegnazione dei terrenicomunali, fu necessaria una lunga fase preparatoria di indagini,requisizioni e risarcimenti, che si protrasse per tutto il 1230 e chediede luogo alla stesura di un libro in cui era contenuta la segna-lazione degli appezzamenti rivendicati dal governo cittadino55.Eletti seguendo il tradizionale meccanismo di spartizione degli

52 DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50; Archivio dell’OrdineMauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio, Scritture diverse, mazzo 2, n.59 (1 gennaio 1231). Esiste un documento analogo in ACV, Atti privati, cartella XXV,doc. in data 1 gennaio 1231, completamente illeggibile. Per un confronto con il caso diMondovì cfr. RAO, «Beni comunali» e «bene comune» cit., pp. 27-29.

53 Le carte del monastero di Rocca delle Donne, a cura di F. Loddo, Novara 1929 (BSSS,89), doc. 90, pp. 121-123.

54 Le carte del monastero di Rocca delle Donne cit., doc. 100, pp. 133-135. È probabi-le che nel documento si attribuissero al Castiglioni le norme emanate da Giannone deAndito, la cui attuazione del resto era avvenuta solo l’anno successivo, proprio con ilpodestariato di Guarnerius Castiglioni.

55 Archivio storico della Biblioteca Trivulziana di Milano, Fondo Sola Busca, RaccoltaLandoni, cart. 13, doc. relativo all’anno 1230, in cui si accenna ad un liber illorum rezer-catorum (riferito a Roberto Tetavegia ed Aichino Salimbene).

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uffici tra nobiltà e popolo, il dominus Giovanni Visconte eGiovanni de Galiciano56, secondo quanto stabilito dagli statuti, sioccuparono dell’indagine sulle comunanze di Trino e Tricerro.Furono invece il dominus Aichino Salimbene e Roberto Tetavegiaa badare all’individuazione delle proprietà “in curia Vercellarum”,mentre i giudici Federico de Cremona e Giacomo Sperlinus, nomi-nati “ad cognoscendum super facto comunarum curtisVercellarum”, vennero incaricati di pronunciare i giudizi sullecause conseguenti57. Si procedette infine all’alienazione dei terre-ni fluviali della Sesia, per i quali si stava probabilmente perdendoil ricordo del dominio eminente detenuto dal presule: si evincecomunque come tale investitura avesse ormai un carattere presso-ché esclusivamente formale58.

Le operazioni di recupero mostrano, inoltre, chi avesse avutoaccesso alla locazione delle terre del comune: mentre per le posses-sioni di Trino e Tricerro risultava dominante la presenza di abitan-ti del luogo ed invece ridotta a poche attestazioni quella di cives59,i terreni suburbani erano assegnati ad una fascia più eterogenea dipopolazione. In essa confluivano le famiglie di coloro che detene-vano pascoli collettivi e terreni insulari antecedentemente alleazioni di recupero avvenute nel 1192 e nel 1202 e che attraversola mediazione con l’amministrazione cittadina erano riuscite amantenerne il possesso60, casate di maggiorenti vercellesi che pro-babilmente avevano tratto beneficio dalle concessioni comunali61,popolari62 ed enti ecclesiastici63.

56 È nel capitolo statutario dove si assegnava l’incarico che si rileva la differenza di cetotra “dominum Johannem Vicecomitem et Johannem de Galiciano” (Statuta, 337, p. 242).

57 Cfr. Appendice 2. In questo caso la diversa denominazione potrebbe indicare unadifferente estrazione sociale (Archivio storico della Biblioteca Trivulziana di Milano,Fondo Sola Busca, Raccolta Landoni, cart. 13).

58 Cfr. in particolare Biscioni, 1/III, doc. 543, pp. 110-113, dove in una causa del1266 si ricostruisce la storia di un’isola fluviale, il cui fitto venne alienato probabilmen-te nel 1231 dal comune agli eredi di Centorio Scutario.

59 La più rilevante è quella di Aichino figlio del fu Uberto de Albano (su questo per-sonaggio cfr. Appendice 1), che aveva assembrato assieme al fratello Gilberto un patrimo-nio abbastanza ampio a Trino, costituito da cinque sedimi, di cui uno con forno(Biscioni, 2/II, doc. 282, pp. 274-276).

60 Cfr. capitolo I; tra costoro compaiono De Benedetti, Alciati, Villano, Tizzoni,Tetavegia e Barletarius (Biscioni, 2/I, doc. 226, pp. 312-313; doc. 232, pp. 319-320, doc.234, pp. 321-323; Biscioni, 2/II, doc. 238, pp. 10-11; docc. 241-242, pp. 14-16).

61 Per esempio Porca, Neuxant, Biandrate, Scutario e Carraria (Biscioni, 2/I, doc.223, pp. 309-310; doc. 225, pp. 311-312; doc. 231, pp. 318-319; doc. 233, pp. 320-321; doc. 235, pp. 323-324).

62 Si veda l’appalto del mezzano del Cervo trattato nel corso del capitolo II, pp. 102-107.63 Per esempio il monastero di S. Stefano (Archivio storico della Biblioteca

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Si è già insistito sulla tensione implicita nell’assegnazione deibeni comunali, per la quale, a causa della portata degli interessi ingioco e per l’ampiezza della popolazione coinvolta, si doveva assi-curare una conduzione imparziale. Occorre dunque soffermarsiulteriormente sui 12 homines legales incaricati della fase più deli-cata dell’operazione: la stima e la cessione delle comunanze. Nelcorso del secondo capitolo si è proposto che la loro nomina, avve-nuta “arbitrio credencie” entro l’8 febbraio 123064, avesse rispetta-to il consueto equilibrio tra popolo e nobiltà. Bisogna inoltreaggiungere che l’elezione di homines legales in numero di 12 nonera una novità per i Vercellesi: un capitolo statutario prevedevache essa avvenisse per portas ogni semestre, e che i designati si assi-curassero dell’operato degli ufficiali comunali e delle loro eventua-li malversazioni, leggendone i risultati alla credenza65. Costorodecidevano inoltre, assieme al podestà, i chiavari ed i procuratori,la remunerazione dei notai comunali66. A una simile commissio-ne, il numero dei cui componenti già era una garanzia di maggio-re equità, i Vercellesi ricorrevano dunque nelle questioni più con-troverse: ad essa, per esempio, si erano affidati proprio nel 1229per la redazione delle proposte del consiglio cittadino relative allacessione delle comunanze.

D’interesse è anche che la prassi, almeno per quanto concerneil controllo dell’operato degli ufficiali comunali, prevedesse l’in-tervento delle porte cittadine nell’elezione: per analogia è possibi-le immaginare che questo fosse stato un criterio che la credenzaavesse tenuto presente nella designazione di coloro che dovetterostimare ed assegnare il patrimonio civico. In questo caso sarebbestato rispettato un sistema che coinvolgeva maggiormente lapopolazione urbana e che trascendeva le tradizionali forme delladialettica istituzionale. Attraverso le porte, come si è visto anchenel corso del primo capitolo, i ceti popolari potevano influenzarela politica cittadina: esse continuarono a sussistere anche in etàpodestarile - quando punto di riferimento per le funzioni ammi-nistrative divenne la vicinia - utilizzate a scopi fiscali, prendendo

Trivulziana di Milano, Fondo Sola Busca, Raccolta Landoni, n. 13, doc. relativo all’anno1230) ed il capitolo di S. Maria (ACV, Atti privati, cartella XXV, doc. in data 4 marzo1230).

64 Statuta, 337, p. 240.65 Statuta, 137, pp. 104-105.66 Statuta, 139, p. 105.

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il sopravvento in quei casi che richiedevano un’approvazione ple-torica da parte della collettività67. Le porte, organismi che traeva-no probabilmente origine dalla fase consolare del comune vercel-lese, sebbene fossero uscite ridimensionate dall’azione di centraliz-zazione attuata dal governo dei podestà nel XIII secolo, manten-nero un importante ruolo di rappresentanza del populus68: solol’ascesa al potere dei paratici riuscì a soppiantarle.

3. L’ascesa dei paratici e il governo del territorio sotto il popolo

Nel 1234 Vercelli fu coinvolta nelle tormentate vicende dellaMagna devotio: il frate Minore Enrico di Cominciano, probabil-mente con l’appoggio della società di Sant’Eusebio, introdussesignificative modificazioni negli statuti cittadini a favore dellelibertà ecclesiastiche69. Il podestà allora in carica, Guido daLandriano, produsse inoltre una serie di condanne nei confrontidi esponenti del populus, quali il già menzionato Ardizzone deIvaco Biandrate, uno dei suoi capi, cui fu inflitto un banno di ben200 lire di pavesi, e Calderia, Buongiovanni Ferrus “et socios”: leriforme statutarie del 1234 erano dunque state contestate dalloschieramento popolare, che non si può escludere ne fosse statoparticolarmente danneggiato, tramite per esempio le norme con-tro l’usura70. L’opposizione portò ad un vero e proprio colpo dimano da parte della società popolare che costrinse il nuovo pode-stà, il novarese Alberto di Boniperto, ad abolire i provvedimenti difrate Enrico, a rimettere le condanne pronunciate da Guido da

67 Cfr. capitolo I, pp. 29-31.68 Un raffronto può essere istituito con il caso milanese studiato da GRILLO, Milano

in età comunale cit., pp. 485-493: qui il ruolo delle porte appare assai più rilevante, forsein connessione con l’estensione della città, dove più ostica si presentava un’operazione dicentralizzazione che avocasse al governo podestarile la maggior parte delle funzioni rico-perte dagli organismi territoriali, come avvenuto nella al confronto piccola Vercelli.

69 A. VAUCHEZ, Una campagna di pacificazione in Lombardia verso il 1233. L’azionepolitica degli Ordini Mendicanti nella riforma degli statuti comunali e gli accordi di pace, inID., Ordini mendicanti e società italiana. XIII-XV secolo, Milano 1990, pp. 119-161, chealle pp. 148-151 ipotizza il favore di Sant’Eusebio alle riforme. A. THOMPSON, RevivalPreachers and Politics in Thirteenth-Century Italy. The Great Devotion of 1233, Oxford1992, pp. 190-192 analizza l’operato di frate Enrico, mettendo tuttavia in dubbio che lariforma statutaria del francescano fosse in relazione con le vicende dell’Alleluia, a causadelle anomalie rispetto alle legislazioni dei predicatori coinvolti nelle altre città.

70 Statuta, 368-369, pp. 272-273. Sulla legislazione contro l’usura cfr. THOMPSON,Revival Preachers cit., pp. 185-186; si ricorda che lo stesso Ardizzone Biandrate era unnotevole prestatore.

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Landriano e a rispettare i banni voluti dai consoli di SantoStefano71. Con questi episodi inizia un lungo periodo di egemo-nia popolare all’interno della città, destinato a durare almeno finoal 1248, anno del rientro dei filoimperiali guidati da PietroBicchieri in città. Oltre alla cassazione delle risoluzioni di frateEnrico, sorretto dalla nobiltà, una delle prime iniziative del gover-no della società popolare, forse da ascrivere ancora al 1234, erastata, la sottrazione delle prerogative giurisdizionali, fino ad alloraconsistenti, al vescovo e l’imposizione di estimo e fodro allaChiesa72. Il populus intraprese dunque una decisa scelta politica e,al fine di porre riparo al pressante indebitamento, si risolse adapplicare la tassazione al clero ed incoraggiò il tentativo del comu-ne di annettere il districtus vescovile in alcune aree del contado,operazione quest’ultima che comportava a sua volta nuove dispo-nibilità fiscali73. Si trattava, come si è visto, di una strategia voltaallo sfruttamento ed al controllo del territorio, che intendeva inquesto modo saldare “l’aumento vertiginoso delle spese d’eserciziodei comuni urbani e le imponenti opere pubbliche volute e porta-te avanti dal comune podestarile, in città e nel contado, unite allespese di guerra sostenute nell’opera di effettiva conquista del con-tado, nelle lunghe e dispendiose campagne affrontate contro lemilizie imperiali o «filoimperiali» di Federico II”74. Il comunecercò quindi di recuperare tutte le risorse che poteva avere a dispo-sizione, trovandosi inevitabilmente ad agire nei due settori dovemaggiormente ebbe sviluppo la conflittualità tra governo urbanoe clero nelle città dell’Italia settentrionale: la fiscalità e la giurisdi-zione sul territorio75. Il fatto che fosse stata la società di SantoStefano a condurre in porto questa iniziativa conferma peraltro latesi, sostenuta con vigore da John Koenig, di una particolare intra-

71 Statuta, 368-370, pp. 272-273. Cfr. inoltre L. BAIETTO, Vescovi e comuni: l’influen-za della politica pontificia nella prima metà del secolo XIII a Ivrea e Vercelli, in “BSBS”, 100(2002), pp. 459-546, qui alle pp. 518-520.

72 KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord cit., pp. 233-287 ha preso in analisi la con-flittualità tra popolo e clero; al riguardo cfr. anche G. BISCARO, Gli estimi del Comune diMilano nel secolo XIII, in “Archivio storico lombardo”, 55 (1928), fasc. III, pp. 343-495,con particolare riferimento alle pp. 349-357; 416-456 ed il fondamentale studio sullefinanze fiorentine eseguito da B. BARBADORO, Le finanze della repubblica fiorentina.Imposta diretta e debito pubblico fino all’istituzione del monte, Firenze 1929, pp. 58-65.

73 Sul rapporto tra annessione della giurisdizione contado ed aumento delle risorsefiscali cfr. BARBADORO, Le finanze della repubblica fiorentina cit., p. 21.

74 PINI, Dal comune città – stato al comune ente amministrativo cit., pp. 490-496, lacitazione è tratta da p. 493.

75 KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord cit., pp. 234-254.

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prendenza popolare verso la soppressione dei privilegi ecclesiasti-ci, spiegabile con i nessi socialmente discriminanti impliciti nel-l’abolizione delle aree di autonomia della Chiesa76: era, infatti,un’operazione che andava a ledere la tradizionale autonomia deicentri di potere signorile dislocati nel contado, attorno a cui gra-vitavano gli interessi dei magnati vercellesi, in ottemperanza adistanze proprie della popolazione cittadina e delle sue componen-ti artigianali77.

L’acuirsi della conflittualità con il vescovo corrispose al raffor-zamento del governo popolare, che nel 1236 riuscì a farsi rappre-sentare dai Duecento dei paratici78. Essi ricevettero il diritto dipartecipare alle decisioni più importanti, ossia “de pace vel guerrafacienda, vel mutuo vel equis imponendis, vel extimo faciendo, velde avere communis dando”79: si trattava dunque delle questionipiù care al popolo, ossia la collocazione all’interno della politicaestera, l’amministrazione dei beni comunali e soprattutto i prelie-vi fiscali, in primo luogo l’estimo, frequentemente motivo di divi-sione sociale nelle città italiane. Infatti, anche a Vercelli, come illu-minano le vicende del 1235 con l’estensione della tassazione agliecclesiastici, l’imposta diretta sembra essere stata un’iniziativa

76 KOENIG, Il «popolo» nell’Italia del Nord cit., pp. 254-260. La tesi è stata ripresa esfumata da A. RIGON, Il ruolo delle chiese locali nella lotta tra magnati e popolani, inMagnati e popolani nell’Italia comunale cit., pp. 117-135. Cfr. anche J.-C. MAIREVIGUEUR, Religione e politica nella propaganda pontificia (Italia comunale, prima metà delXIII secolo), in Forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P.Cammarosano, Roma 1994, pp. 65-83 e M. VALLERANI, La politica degli schieramenti:reti podestarili e alleanze intercittadine nella prima metà del Duecento, in Comuni e signo-rie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, cit. Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, Torino1998, vol. VI, pp. 427-453, con particolare riferimento alle pp. 446-449.

77 Cfr. quanto detto in precedenza in questo stesso capitolo.78 Il conflitto con il vescovo degenerò in scontri armati, sicché, mentre Gregorio IX

e il cardinale Tommaso di Capua intimavano ai Vercellesi la revoca della tassazione degliecclesiastici, il comune invase il distretto vescovile, in particolare nel Biellese. Il testodella lettera di Tommaso di Capua è edito da G.A. IRICO, Rerum Patriae libri III ab annourbis aeternae CLIV usque ad annum Chr. MDCLXXII ubi Montisferrati principum, epi-scoporum, aliorumque illustrium virorum gesta ex monumentis plurimis nunc primum edi-tis recensentur, Milano 1745, p. 89; per quella di Gregorio IX cfr. Le bolle pontificie deiregistri vaticani relative ad Ivrea, in Le carte dello archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, acura di F. Gabotto, Pinerolo 1900 (BSSS, 6), vol. II, doc. 16, pp. 231; in un documen-to conservato presso l’archivio comunale di Biella si legge la seguente annotazione: “Annodominice incarnationis millesimo ducentesimo XXXVII, indicione X, mense setembris,fuit Bugella guastata ab hominibus Vercellarum et illo anno mense madio fuit inceptaguera a suprascriptis hominibus versus dominum episcopum Vercellensis (sic) et versushomines eius, que duravit usque ad ianuarium proximum post sequentem” (Le carte del-l’archivio comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. Borello e A. Tallone, Pinerolo 1928(BSSS, 105), vol. III, doc. 37, p. 38).

79 Statuta, 421, p. 299; al riguardo cfr. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 63.

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marcatamente popolare, volta ad una migliore ridistribuzione del-l’onere fiscale, ma soprattutto al controllo del territorio e dellanobiltà80.

Il movimento popolare proseguì sulla via dei provvedimentiintrapresi e costrinse il nuovo podestà a riconoscere i cambiamen-ti avvenuti nell’istituzione comunale e a portare avanti le decisio-ni da esso determinate: nonostante l’interdetto papale, non vennemutata la politica di tassazione del clero e di estensione del distric-tus. La restituzione al comune dei beni in mano ai castellani ver-cellesi, l’annessione del districtus vescovile e l’imposizione dell’esti-mo facevano parte di un unico progetto che portò alla redazionedi un libro delle consegne: tale meccanismo, al pari della scritturadegli estimi in molte città italiane, può essere interpretato comeun tentativo di controllo sociale da parte del populus sui magna-ti81. I podestà, infatti, in questo modo cercavano di consolidare ilgoverno del distretto, sottraendo autorità ai signori rurali, ma pro-ducevano anche una schedatura di questi ultimi e delle loro pro-prietà82. L’influenza popolare in questi anni è dunque facilmenteindividuabile negli indirizzi politici fatti propri dal comune: unsegno tangibile è la sua legittimazione attraverso l’istituzione deiDuecento dei paratici. Essa continuò tuttavia ad esercitarsi solocome pressione, attraverso gli organismi fedeli, sul governo pode-starile e sulla credenza, in forme non differenti da quelle speri-mentate nel 1230: la divisione degli uffici comunali tra nobiltà epopulares e la composizione dei consigli cittadini non conobbero,infatti, rilevanti mutamenti fino al 124383.

80 P. GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano allametà del secolo XIII (1240-1260), in Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale(secoli XIII-XV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, pp. 11-37; una panoramica storio-grafica sull’estimo ed anche sul suo rapporto con gli altri cespiti comunali, incluse lecomunanze, è stata offerta da P. MAINONI, Finanza pubblica e fiscalità nell’Italia centro-settentrionale fra XIII e XV secolo, in “Studi storici”, 40 (1999), pp. 449-470.

81 Il suggerimento di un nesso tra la redazione degli estimi ed il controllo sociale dellanobiltà è sviluppato da GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune diMilano cit.

82 Un esempio è costituito dalla consegna dei beni che Pietro Bicchieri possedeva inAzeglio nel 1240 (DAC, doc. 122, pp. 199-200); nello stesso anno a Giovanni Avogadro,appartenente all’altra grande famiglia di magnati vercellesi, venne imposta la riconsegnadel castello di Masserano (Biscioni, 1/I, doc. 59, pp. 160-161). Nel 1240 era stata, infat-ti, imposta la consegna di beni mobili ed immobili a “cives nobiles et castellani” (DAC,doc. 123, p. 200), che già il Mandelli interpretava nell’ambito della redazione dell’esti-mo (MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, pp. 100-101).

83 Ancora nel 1242 gli statuti prescrivevano che un’aggiunta di 28 credenziari venis-se compiuta tramite un’equa ripartizione tra le due associazioni. Requisito per l’elezione

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Si può dunque riscontrare per questo periodo una marcatavolontà di controllo del territorio da parte del popolo. Non a casol’obbligo imposto ai proprietari dei castelli di consegnare le lorofortezze al comune su sua richiesta compare nello stesso capitolostatutario che prevedeva la partecipazione alla credenza dei parati-ci84. Il movimento popolare era infatti consapevole di poter con-tare soprattutto sulla sua presenza all’interno delle mura urbane,mentre all’esterno, nel contado ricco di castelli e pervaso dai dirit-ti signorili nobiliari, risiedevano le basi della forza dei magnati, lacui posizione nell’amministrazione cittadina usciva ridimensiona-ta. Negli anni 1234 – 1243 il potenziamento del governo del ter-ritorio si fece dunque sempre più accentuato, incontrando peròl’avversione sia dell’aristocrazia, sia della Chiesa. Il governo delcontado diviene quindi una delle migliori chiavi di lettura percomprendere le vicende di questo periodo. Anche il passaggioall’alleanza filomilanese nel 1243 fu condizionato dalla questionedell’annessione del districtus vescovile, che ancora nel 1242 ilpodestà aveva l’obbligo di richiedere all’imperatore85. Per questomotivo, la prima tappa del tentativo di Gregorio di Montelongodi reintegrare il comune vercellese nell’alleanza filopapale - avve-nuto quantomeno in un clima di forti tensioni, poiché all’accor-do seguì l’ingresso in città di ben 600 milites milanesi86 - fu l’alie-nazione in favore dell’amministrazione cittadina della giurisdizio-ne ecclesiastica, resa possibile dalla vacanza del soglio pontificio edi quello dell’episcopio eusebiano87. Il buon esito della mediazio-ne fu incrinato tuttavia dall’opposizione dei Bicchieri e i loroalleati, che uscirono da Vercelli ingaggiando guerra dai loro castel-

era tuttavia l’appartenenza ai paratici: ricorre, infatti, l’espressione “dominus et maiordomus sue”, già riscontrata per gli aderenti alle corporazioni (Statuta, 142, pp. 106-107).

84 PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie cit., pp. 84-86. 85 COGNASSO, Il Piemonte in età sveva cit., p. 674.86 Annales Placentini gibellini, in MGH, Scriptores, XVIII, a cura di G.H. Pertz,

Hannover 1863, p. 486.87 La mediazione del Montelongo è stata dettagliatamente presa in esame da M.P.

ALBERZONI, Le armi del legato: Gregorio da Montelongo nello scontro tra Papato e Impero,in La propaganda politica nel basso Medioevo, Atti del XXXVIII Convegno storico interna-zionale (Todi, 14-17 ottobre 2001), Spoleto 2002, pp. 177-239, qui alle pp. 191-193;231-232. Cfr. inoltre M.C. FERRARI, 1243: l’operato di Gregorio da Montelongo a Vercelli,in “Studi di storia medioevale e di diplomatica”, 17 (1998), pp. 109-118; EAD., L’ospedaledi S. Brigida degli Scoti nella storia di Vercelli medievale (secoli XII-XIV), Vercelli 2001, pp.67-71 e BAIETTO, Vescovi e comuni cit., pp. 534-542. Più in generale sull’operato diGregorio da Montelongo in Lombardia cfr. MAIRE VIGUEUR, Religione e politica cit.

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li nel contado. Significativamente il popolo, sempre più influenteall’interno del comune, rispose con l’affrancamento delle comuni-tà rurali dagli oneri signorili nel 1243, con l’intento di colpire ipossessi dei fuoriusciti e di ristabilirvi l’autorità urbana88.

L’autorità sul distretto da parte dei fuoriusciti aumentò pro-gressivamente, agevolata dal passaggio alla fazione di PietroBicchieri delle località soggette alla canonica di S. Andrea edall’abbazia di Santo Stefano89. Per altro verso l’emergenza politicaall’interno della città costrinse il comune popolare ad un control-lo decisamente discontinuo del territorio: nel 1246 il comunecercò di risollevare le sue posizioni, assegnando 500 lire di pavesia Pietro Rifferio, console della Comunità90, con l’incarico di recu-perare il castello di S. Germano, non molto distante dalle muraurbane91. Tale tentativo avvenne in concomitanza con un colpo dimano del popolo che portò alla cacciata del podestà Guglielmo daSoresina, alla creazione di nuove società popolari ed alla soppres-sione, per pochi mesi, della società di Santo Eusebio, oltre ad unconsistente intervento sugli statuti che attribuiva maggiore autori-tà alle società popolari di Santo Stefano e della Comunità92.

88 Al riguardo cfr. F. PANERO, Schiavi servi e villani nell’Italia medievale, Torino 1999,pp. 284-287.

89 FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., pp. 233-235; 239-240.90 PC, doc. 394, pp. 379-380.91 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 43, pp. 433-434. I progressi dei

Bicchieri nel 1247 sono stati messi in evidenza da MANDELLI, Il comune di Vercelli cit.,vol. I, pp. 290-291. Quanto al castello di S. Germano è dato di sapere solo che all’iniziodella guerra intestina nel 1243 esso era una delle roccaforti dei Bicchieri (FONSECA,Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., pp. 233-235); qui, infatti, la canonica di S. Andreaaveva costituito una signoria (cfr., tra i tanti documenti conservati, Archivio di Stato diTorino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, Pergamene, doc. in data 6 luglio1238). Sempre nel 1246 il castello di Torcello, in posizione strategica per il controllo delponte sul Po, risulta essere gestito da un castellano dipendente dal podestà di Casale (Lecarte dell’archivio capitolare di Casale Monferrato, a cura di F. Gabotto e V. Fisso, Pinerolo1907 (BSSS, 41), vol. II, doc. 205, pp. 6-7).

92 Questo periodo deve essere ancora dettagliatamente studiato: per ora mi limito arimandare ad alcuni cenni contenuti in MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. I, pp.279-289; 298-302, che tuttavia non segnala né il colpo di mano popolare, né la soppres-sione o emarginazione della società di Santo Eusebio fino al 28 aprile. Per le modifichestatutarie cfr. Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 28, pp. 419-422: nei giorni trail 13 ed il 15 marzo fu prodotta un’enorme mole legislativa, segno dell’influenza che lanovità istituzionale, prodotta dalla svolta popolare, esercitò sulla vita vercellese. Sulla“rivoluzione documentaria” attuata dai governi popolari cfr. J.-C. MAIRE VIGUEUR,Discussion. Révolution documentaire et révolution scripturaire: le cas de l’Italie médiévale, in“Bibliothèque de l’École des Chartes”, 153 (1995), pp. 177-185. e ID., Représentation etexpression des pouvoirs dans les communes d’Italie centrale (XIIIe-XIVe siècles), in Culture etidéologie dans la genèse de l’État moderne, Roma 1985, pp. 479-489.

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Il ritorno in città dei Bicchieri – mediato da cinque rectoresprovvisori del comune, Nicola Alciati, Nicola Carraria, Ardizzonede Ivaco, Andrea de Guitaco e Antonio Passardus93 – e il passaggiodi Vercelli alla parte imperiale nel 1248, favorito dallo stessoPietro Bicchieri, non significarono l’inizio di un periodo più paci-fico94: rimasero, infatti, irrisolti il problema del controllo del con-tado e la conflittualità interna. La pressoché immediata cacciatadei filomilanesi, capeggiati dagli Avogadro ripresentò il problemadi un controllo del territorio divenuto ormai impossibile95.

Come si vedrà, la gestione dei beni comunali risentì pesante-mente dell’instabilità politica e della difficoltà comunale a con-trollare il distretto: il tentativo del popolo di una razionalizzazio-ne della gestione del territorio si scontrò con la reazione dellafazione nobiliare96. Tale scontro di fatto pose fine all’espansionedel patrimonio comunale.

4. Crisi finanziaria ed alienazione degli ultimi beni comunali

La presentazione delle vicende istituzionali del comune vercel-lese è opportuna per un inquadramento delle dinamiche relativealle comunanze negli anni 1231-1254. A tal fine si rende inoltrenecessario un esame complessivo delle finanze vercellesi. Soloun’indagine sullo sviluppo della fiscalità – tema che recentementeha ricevuto una rinnovata attenzione da parte della medievisticanell’ambito del suo rapporto con l’instaurazione dei governi popo-lari97 – e sulla gestione del rilevante disavanzo può essere in gradodi mettere in luce il reale ruolo svolto da questo settore all’interno

93 DAC, doc. 124, p. 202; Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 84, p. 508. Alriguardo cfr. anche FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., p. 241.

94 Annales Placentini gibellini cit., pp. 497-498: “Petrus Becherius circa kalendasoctubris proximi marchionem Lanciam cum milicia Papie civitatem Vercellarum intro-duxit. Post hec imperator qui erat apud Casale civitatem Vercellarum intravit. […]Imperator, dimissa civitate Vercellarum in custodia Petri Bercherii et Iacomini de Caretoatque marchionis Lancie equitavit Cremonam”. La testimonianza chiarisce che la media-zione dei cinque Vercellesi fu probabilmente una resa all’esercito imperiale, che sostenneil rientro dei Bicchieri.

95 Su queste vicende cfr. per gli avvenimenti politici MANDELLI, Il comune di Vercellicit., vol. I, pp. 302-305 e per l’evoluzione sociale DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit.,pp. 64-65.

96 Il rapporto tra lotte di fazione, governi popolari e regresso nel controllo del terri-torio comunale è stato oggetto di approfonditi studi, ripercorsi in GRILLO, Milano in etàcomunale cit., pp. 593-594, che affronta il problema per Milano.

97 Al riguardo cfr. il volume miscellaneo Politiche finanziarie e fiscali cit.

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dell’economia comunale. Già Jean-Claude Maire Vigueur ha delresto evidenziato come imposte dirette, gabelle, cessione delleentrate patrimoniali e sfruttamento dei beni civici compartecipi-no al “budget d’une commune medievale”, ciascuna entrata conun peso differente a seconda delle città prese in considerazione98,sebbene proprio il cespite costituito dalle proprietà urbane “nonabbia destato minimamente l’attenzione di quelli che hanno stu-diato il sistema fiscale dei comuni italiani nelle diverse fasi dellasua evoluzione”99.

L’alienazione degli anni 1229-1231 non riuscì ad interrompe-re il processo di indebitamento del comune, tuttavia il sollievo chel’erario ne ricevette consentì ai podestà di approntare un tentativodi regolamentazione delle somme prese in prestito: fu decisa –probabilmente successivamente al 1231, in un contesto di perva-sivo controllo delle operazioni finanziarie tramite l’elaborazione discritture atte a renderne conto – la redazione di un libro in cui fos-sero segnalati i creditori comunali e gli importi loro dovuti100. Sidecretò inoltre che l’amministrazione urbana non potesse avereogni anno un deficit superiore alle 2000 lire di pavesi, che il pode-stà si impegnasse a pagare il debito entro due mesi dall’elezione eche non rimanessero più di 200 lire di pavesi in solvenza101.Queste norme tuttavia, soprattutto dopo il 1243, furono destina-te ad essere disattese, sicché il comune continuò a contrarre ingen-ti prestiti con finanziatori di altre città: già abbiamo visto la rile-vanza delle somme erogate dai Sili, ma creditori erano anche dal1237 al 1247 i Cagnoli e i Banbafolice di Brescia per più di 300lire di pavesi102, dal 1243 al 1247 il novarese Pietro da Monticelloper 5500 lire di pavesi103 e, tra il 1246 ed il 1247, l’astigianoGiovanni Garretus per più di 3000 lire di pavesi104. I conti cittadi-

98 J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne dans l’Italie communale: pour unerevision des problèmes, in La ville, la bourgeoisie et la genèse de l’état moderne (XII-XVIIIsiècle), a cura di N. Bulst e J.-Ph. Genet, Parigi 1988, pp. 21-34, con particolare riferi-mento alle pp. 24-28.

99 ID., Il comune popolare, in Società e istituzioni dell’Italia comunale cit., vol. I, pp.41-56, con particolare riferimento a p. 44; l’osservazione risale al 1985 e, fortunatamen-te, nel frattempo sono aumentate le ricerche in questo settore (cfr. Introduzione).

100 Statuta, 318, p. 227.101 Statuta, 317-320, pp. 226-228.102 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 80, pp. 491-494.103 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.104 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 47, pp. 436-437; doc. 75, pp. 477-

480. Il medesimo Giovanni nel 1214 già esercitava l’attività di prestatore nel Vercellese,concedendo a credito 446 lire e 19 soldi a Guglielmo di Costanzana (Biblioteca Reale di

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ni registravano forti passivi anche nei confronti di Vercellesi, comeuno dei due rettori urbani del 1243, Ardizzone de Ivaco Biandrate,che già nel 1242 aveva finanziato il governo urbano105. Creditoriper cifre inferiori erano, inoltre, altri appartenenti a famiglie dicives, come Panclerico, Passardo, de Guitaco, de Toleo, Scutario,che evidentemente, se non era stato imposto loro un mutuo for-zoso, individuavano nel prestito al comune una buona forma diinvestimento106. Talora si ricorreva al finanziamento, in questocaso per lo più offerto da cittadini vercellesi, per pagare singolespese: così Lottieri tinctor, Bartolomeo Sonamonte, GiacomoTesta, Durio Barletarius, Giovanni Pixus, Corrado Musso eLebaldus Cornalus, che nel 1242 versarono il pagamento dovutodal comune ai milites ed ai balestrieri che avevano partecipatoall’esercito imperiale107. Non devono invece ingannare le 4390 liredi pavesi, corrisposte nel 1242 al chiavaro Ruffino Avogadro insoluzione dell’adequancia richiesta ai milites e delle relative emen-de equorum108: in questo caso non era intervenuto un credito, masolo un saldo dilazionato, affidato per l’appunto al chiavaro, inottemperanza ad una norma stabilita l’anno precedente109; ancheda questo episodio risulta tuttavia evidente la difficoltà dell’ammi-nistrazione urbana ad attendere con tempestività al proprio disa-vanzo.

Il problema del deficit divenne sempre più pressante per igoverni cittadini: secondo il Mandelli nel 1246 esso aveva rag-giunto le 80000 lire di pavesi. Al di là dell’esattezza della stima, alfine di dare sollievo alle casse pubbliche, si decretò che i beni dicoloro che morivano senza eredi, distribuiti a chiese, ospedali echierici esenti da tassazione, fossero diminuiti “pro rata de hocquod eis contigerit pro expensis comunis, tam de fodris, quam demutuis et debitis immanentibus”110. Per colmare il disavanzo i ret-

Torino, Sezione di Storia Patria, Cartulario di S. Andrea di Vercelli, 1223, f. 7); tuttavianon bisogna escludere che costui avesse la cittadinanza vercellese: infatti, un GuglielmoGarretus de Ast, assieme ai figli Giacomo e Rolando, nel 1216 giurò il cittadinatico (PC,doc. 365, pp. 354-355). Tra i creditori non cittadini si ricorda inoltre anche un taleSapinus de Arzago, che il 13 marzo 1246 vantava un credito di 60 lire di pavesi (Statuta,“Statuta et documenta nova”, doc. 65, p. 460).

105 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 7, pp. 338-341.106 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 70, pp. 463-470.107 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 5, pp. 333-335.108 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 9, pp. 344-347.109 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 5, pp. 329-330.110 Il documento è citato da MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, pp. 103-104;

111. Il problema del debito pubblico milanese negli stessi anni è stato preso in conside-

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tori comunali intervenivano secondo diverse modalità. Essi eranocostretti ad imporre dei prestiti forzosi all’intera popolazioneurbana: questo avvenne per esempio nel 1242 quando, di fronteall’impossibilità di saldare il debito contratto con i Sili, già proro-gato in precedenza, podestà e credenza, alla presenza dei Duecentodei paratici, decretarono per l’anno successivo la riscossione di una“colta sive mutuum” dai cittadini vercellesi111. Si trattava di unsistema che riusciva a garantire cospicue quantità di circolante eche, rispetto alla tassazione diretta assicurata da fodro ed esti-mo112, non incorreva eccessivamente nel malcontento dei cives,che speravano nel rimborso delle somme erogate113. Tanto più chein questo periodo il comune riusciva effettivamente a rifondere isuoi creditori: in questo senso si devono interpretare le menzionidi pagamenti inserite negli statuti a vantaggio di esponenti nonabbienti e per cifre minime114. I mutui erano calcolati su un impo-nibile115 che seguiva gli stessi criteri utilizzati nella ripartizione difodro ed estimo116, questi ultimi di non facile distinzione nella

razione da GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit.Per Vicenza cfr. invece N. CARLOTTO, La città custodita. Politica e finanza a Vicenza dallacaduta di Ezzelino al vicariato imperiale (1259-1312), Milano 1993, pp. 103-158.

111 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 6, pp. 337-338.112 Su questi due cespiti, cui si accenna solo con l’intento di dare un quadro delle

entrate comunali, per i riferimenti generali si rimanda al “classico” BARBADORO, Le finan-ze della repubblica fiorentina cit. e ai più recenti MAINONI, Finanza pubblica e fiscalità cit.e A. GROHMAN, Il documento perugino nel panorama degli estimi italiani del sec. XIII, inLe scritture del comune. Amministrazione e memoria nelle città dei secoli XII e XIII, a curadi G. Albini, Torino 1998, pp. 141-154. Per la situazione vercellese a proposito di fodroe estimo, oltre a quanto esposto nel presente paragrafo, cfr. MANDELLI, Il comune diVercelli cit., vol. II, pp. 97-102 e P. LÜTKE WESTHUES, in collaborazione con P. KOCH,Die kommunale Wermögenssteuer (“Estimo”) im 13. Jahrhundert. Rekostruktion und Analysedes Verfahrens in Kommunales Schriftug in Oberitalien. Formen, Funktionen, Uberlieferung,a cura di H. Keller e T. Behrmann, München 1995, pp. 149-188. Per l’attenzione deigoverni comunali a non gravare eccessivamente la popolazione con le imposte dirette cfr.GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit. e A.MOLHO, Tre città stato e i loro debiti pubblici. Quesiti e ipotesi sulla storia di Firenze,Genova e Venezia, in Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazione e sviluppo, Pistoia 1993,pp. 185-216, con particolare riferimento alle pp. 187-191. Importanti integrazioni sonocontenute nel saggio di L. BAIETTO, La politica documentaria dei comuni piemontesi fra isecoli XII e XIII (fine), in “BSBS”, 99 (2000), pp. 473-528.

113 Su questo sistema di finanziamento delle casse comunali cfr. GINATEMPO, Primadel debito cit., pp. 66-80.

114 Cfr. per esempio Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 62, pp. 455-457.115 Con questo termine si indicherà genericamente la massa estimale, che nei comu-

ni medievali è solo “una quantità numerica astratta, in proporzione variabile con lasostanza complessiva, e quindi di significato mutevole” (BARBADORO, Le finanze dellarepubblica fiorentina cit., p. 75).

116 BARBADORO, Le finanze della repubblica fiorentina cit., p. 73; anche MOLHO, Tre

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nostra documentazione, che chiamava “fodrum” anche l’impostadiretta prelevata in città117, applicata a Vercelli almeno dal1228118: un efficace esempio è rappresentato da una casa nellavicinia di S. Vittore, appartenente al prete Giacomo Balavim, chenel 1238 compariva “in libro fodri”, come sottoposta al fodro,della cui riscossione erano incaricati Tommaso Cocorella e RibotusBatalia119. Se la tassazione dei beni di un ecclesiastico è da ricolle-gare al clima di tensione venutosi a creare tra governo urbano, col-pito dall’interdetto, e chiesa eusebiana, l’atto presenta un altromotivo di interesse: infatti, lo stesso edificio nel 1243 venne gra-vato da diversi mutui “imposita” dal comune120. Ci sono giunteinoltre parziali trascrizioni dei fodri e dei prestiti forzosi pagati pergli anni 1241 e 1250-1253 dal nobile ghibellino Ranieri DeBenedetti: da questi dati si evince come il calcolo della lira d’esti-mo fosse ripartito, sistema diffuso nelle città dell’Italia comunale,per vicinie121. Ogni anno potevano essere riscossi più fodri e mutuie la lira d’estimo variava di conseguenza. Mentre nel 1241 essacorrispondeva all’1,7%, nel periodo del fuoriuscitismo guelfo erasensibilmente aumentata: nel 1250 era al 5%, nel 1251 avvenne-ro due prelazioni, una al 3%, l’altra al 6%, nel 1252 pure, mafurono più leggere, la prima del 2%, la seconda dello 0,8%. Nel1253, infine, ve ne fu una sola che però raggiunse il 6,6%122. Perla corretta stima di queste cifre appaiono valide le osservazioni di

città stato e i loro debiti pubblici cit., pp. 189-190 ha rilevato, per un’epoca successiva,come fine precipuo dei catasti fosse più l’imposizione dei mutui che dell’estimo.

117 Lo stesso uso del termine veniva fatto a Milano (GRILLO, L’introduzione dell’esti-mo e la politica fiscale del comune di Milano cit.).

118 E. BARBIERI, I più antichi estimi pavesi, in “Bollettino della Società pavese di sto-ria patria”, 32 (1980), pp. 18-31, con particolare riferimento a p. 20 ha richiamato l’im-portanza di considerare sinotticamente l’imposizione dell’estimo nelle città dell’Italia set-tentrionale, osservando proprio la contemporanea comparsa di tale prelievo a Vercelli ea Pavia nel 1228.

119 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXX, doc. in data 4 agosto 1238.120 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXX, doc. in data 18 giugno 1243.121 Biscioni, 1/III, doc. 583, pp. 169-172. L’atto conferma inoltre la relazione tra pre-

stiti forzosi e fodro: l’excussor fodri sive mutui si basava infatti sulle somme registrate nellibro “in quo continetur fodra, mutua imposita”. Un’accurata analisi del carico fiscale cuiera sottoposta Milano nello stesso periodo è stata effettuata da GRILLO, L’introduzionedell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit., attraverso cui si possono ancheeffettuare confronti tra le lire d’estimo imposte nelle due città.

122 Biscioni, 1/III, doc. 583, pp. 169-172. Non sempre il rapporto con la massa esti-male avveniva “pro centenario”; ho scelto di calcolare le esazioni in percentuale per age-volare i confronti. Bisogna anche aggiungere che le somme effettivamente versate nel1250 e nel 1253 erano inferiori a quelle previste. In alcuni casi fu inoltre sancita unamora pari ad un quarto degli importi stabiliti.

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Paolo Grillo per Milano: “purtroppo, l’ignoranza del rapporto frala lira d’estimo e l’effettivo valore dei beni soggetti ad imposta nonconsente di valutare esattamente il peso della pressione fiscale, checomunque, a parte alcune situazioni d’emergenza, non appareessere stato insostenibile”123. Tanto più che mentre nel 1241 l’im-ponibile era calcolato sull’estimo dei beni mobili e di quelliimmobili, negli anni 1250-1253 fu presa a riferimento un’altralira, di cui non vennero specificati i parametri.

Rispetto ai prestiti forzosi, un buon investimento per i civeserano invece i mutui elargiti in cambio dell’assegnazione annualedella riscossione del dazio cittadino: di questo fruirono nel 1247Ardizzone de Ivaco, Guglielmo Calcinaria, Tommaso de Toleo,Nicola Asigliano, Antonio Passardo, Giovanni Panclerico, NicolaAlciati, Andrea de Guitaco e Mannaria Scutario, appartenenti afamiglie di nobili e di popolari abbienti124.

Le misure prese agivano dunque soprattutto sulla fiscalità esulle risorse disponibili all’interno delle mura urbane: del resto “ècredibile che il comune cerchi il denaro di cui ha bisogno altrove,se non là dove le ricchezze sono più concentrate e più facili damobilitare, ossia presso la popolazione cittadina?”125. No, natural-mente, tanto più che il controllo del contado, dopo l’imposizionedella tutela popolare sulle istituzioni comunali, era divenuto par-ticolarmente difficile. Ne era consequenzialmente derivato ancheil deperimento dei beni civici, del resto già esigui dopo l’alienazio-ne degli anni 1229-1231, il cui apporto alle finanze vercellesi eradivenuto quasi ininfluente. Per questo settore le testimonianzeemergono e silentio: scomparve, infatti, dalla documentazioneogni menzione a “facta comunium” e a magistrature loro delega-te. Una testimonianza contro tendenza è invece l’acquisto delsuolo utilizzato per la costituzione del borgo franco diGattinara126. Gli unici possessi di un certo rilievo rimasti all’inter-

123 GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit. Alriguardo cfr. anche P. CAMMAROSANO, Il sistema fiscale delle città toscane, in La Toscananel secolo XIV. Caratteri di una civiltà regionale, a cura di S. Gensini, Pisa 1988, pp. 201-211, con particolare riferimento a p. 202.

124 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 70, pp. 463-470. Su questo espedien-te cfr. GINATEMPO, Prima del debito cit., pp. 73-80; MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne cit., p. 26, ne ha sottolineato l’utilizzo al fine di porre riparo agli aggravi deldisavanzo negli anni più difficili.

125 MAIRE VIGUEUR, Les rapports ville-campagne cit., p. 27.126 Cfr. R. RAO, La proprietà allodiale civica dei borghi nuovi vercellesi (prima metà del

XIII secolo), in “Studi storici”, 42 (2001), pp. 373-395, qui alle pp. 388-390.

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no delle città, che in precedenza erano entrati a fare parte deicomunia, erano i mulini e gli immobili, di cui ancora, nel periodopreso in considerazione, abbiamo numerose testimonianze diacquisti: tra il 1235 e il 1236 il podestà Ruffino di Lomello com-prò, non è dato di sapere a quale scopo, cinque abitazioni nellevicinie di S. Bernardo, di S. Salvatore de Strata, di S. Tommaso edi S. Giacomo de Albereto, per le quali pagò 347 lire di pavesi127.Il 10 maggio 1240 Giulio de Ugucione, per la ragguardevolesomma di 600 lire di pavesi, cedette al comune il suo palazzo inhora Sancti Laurencii, che pochi mesi dopo venne concesso al mar-chese Manfredi Lancia per il cittadinatico128. Nel 1249, invece, inun periodo di grandi difficoltà finanziarie, il podestà Enrico diLomello vendette a Bozinus Tizzoni quattro case nella vicinia di S.Bernardo al prezzo di 44 lire di pavesi129.

L’inclusione di questi beni nelle comunanze era stata possibilesolo nel momento di massima espansione del settore, il cui ambi-to vitale era un altro: i possessi suburbani e, soprattutto, comita-tini. Una volta che questi furono scomparsi, il comune popolaresi era rilevato incapace di garantire un controllo tale sul territorioda gestire direttamente le risorse del contado – sottoposto, comesi è visto, all’influenza dei magnati e reso insicuro dal continuostato di belligeranza – se non attraverso lo sviluppo della tassazio-ne. In questo modo le comunanze vercellesi vennero relegate adun ruolo marginale e private di un sistema amministrativo ad hoc,avviandosi verso la decadenza. La concezione di “bene del comu-ne” andava piuttosto trasferendosi sul piano fiscale, maggiormen-te remunerativo, a cui il popolo, salito al potere, fornì uno stimo-lo decisivo nel senso di una burocratizzazione e statualizzazionedel settore130. Il comune, infatti, cercò la creazione di monopoli –particolarmente invisi alla collettività urbana – che potesseroincrementare le entrate cittadine: oltre a quello garantito da cura-dia, molaria e mulini pubblici, due attirarono l’attenzione dei

127 Acov, Pergamene, docc. in data 19 dicembre 1235; 2 gennaio 1236; 15 gennaio1236; 16 febbraio 1236; 21 dicembre 1236.

128 Biscioni, 1/II, docc. 227-228, pp. 74-78. 129 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,

Pergamene, doc. in data 28 settembre 1249.130 Sul processo di statualizzazione delle città medievali e sul contributo ad esso

apportato dalla documentazione fiscale sotto i governi di popolo cfr. MAIRE VIGUEUR,Représentation et expression des pouvoirs cit. e ID., Révolution documentaire et révolutionscripturaire cit.

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governanti. Un primo tentativo riguardò il commercio del sale, sulquale fino allora gravava soltanto un dazio riscosso prima dalvescovo e successivamente dal comune131. Nel 1240 il podestàimperiale Giliolus Guiberti decise l’instaurazione di una saleria,costruita “ad utilitatem comunis”: essa tuttavia dovette sollevare laprotesta della credenza e delle società di Santo Stefano e diSant’Eusebio, che riuscirono a premere sul vicario imperiale, ilmarchese Manfredi Lancia, affinché il Guiberti ne decretasse lasoppressione e ripristinasse il libero acquisto del sale (“permitatomnes salerios et omnes homines salem emere et vendere, volen-tes emere et vendere prout consueverunt”)132. È possibile che nel-l’episodio avesse giocato un ruolo decisivo l’appoggio che la cortedi Federico II diede allo sfruttamento di tale commercio comeoggetto di monopolio133.

Risvolti fiscali favorevoli al comune è probabile che avesseanche la norma entrata in vigore con la riforma popolare degli sta-tuti, avvenuta nel 1246, che limitava a due il numero di beccariepresenti in città, ossia la becaria maior e la becaria de Pusterna, sot-toposte ai consoli delle due macellerie134; tuttavia il periodo in cuila disposizione venne emanata suggerisce che in questo caso venis-sero ad incontrarsi la volontà del governo popolare di ottenere uncontrollo centralizzato sull’approvvigionamento annonario –

131 Il 3 agosto 1200 avvenne una lite per la riscossione della curadia su alcuni carri disale tra il vescovo e Giacomo de Masiano e Enrico de Cumana, soci nella vendita del saleai forensibus (Acquisti I, f. 231). Il dazio era successivamente passato al comune, sicchénel 1249 si ricordava che “de qualibet bestia honerata de sale et ducta in eadem platheapapiensem unum” (Biscioni, 2/I, doc. 131, p. 220).

132 Biscioni, 1/III, doc. 487, pp. 35-36. 133 Sul commercio del sale e sulle implicazioni fiscali e politiche ad esso connesse, per

un inquadramento generale, cfr. W.M. BOWSKY, Le finanze del comune di Siena. 1287-1355, Firenze 1976, pp. 75-82 e J.C. HOCQUET, Le sel et le Pouvoir. De l’An mil à laRévolution française, Parigi 1985; ID., Il sale e la fortuna di Venezia, Roma 1990, pp. 97-130. Sul commercio del sale nel Piemonte sud occidentale cfr. invece R. COMBA,Momenti di vita economica. I secoli XII-XIII, in Storia di Mondovì e del Monregalese. I –Le origini e il Duecento, a cura di R. Comba, G. Griseri, G.M. Lombardi, Cuneo 1998,pp. 185-214. Riferimenti anche in P. MAINONI, Le Radici della discordia. Ricerche sullafiscalità a Bergamo tra XIII e XV secolo, Milano 1997, pp. 42-51. Sulle città dell’Italia set-tentrionale nel periodo preso in considerazione, sulla politica di Federico II e sul passag-gio dal dazio al monopolio sul sale cfr. invece EAD., La gabella del sale nelle città dell’Italiadel Nord fra XIII e XV secolo, in Politiche finanziarie e fiscali cit., pp. 39-85, qui alle pp.40-41; della saleria vercellese la stessa autrice parla in EAD., A proposito della «rivoluzionefiscale» nell’Italia settentrionale del XII secolo, in “Studi storici”, 44 (2003), pp. 5-42, quialle pp. 40-41; sul rapporto tra fiscalità imperiale e fiscalità cittadina cfr. P.CAMMAROSANO, L’esercizio del potere: la fiscalità, in Federico II e le città italiane, a cura diP. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 104-111.

134 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 68, pp. 461-462.

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peraltro minacciato dalla guerra intestina – e gli obiettivi dei bec-cai, che erano una delle componenti più importanti dei paraticivercellesi135: la famiglia, con interessi nel settore della macellazio-ne, dei Passardo, al cui esito magnatizio si è già accennato nelcorso del secondo capitolo, era riuscita a schierare quello stessoanno un suo esponente, Tommaso, nel consolato di Sant’Eusebioed un altro, Antonio, in quello di Santo Stefano. È verosimile cheessa, assieme alla sua corporazione, fosse stata tra le promotricidell’azione popolare136.

Queste tendenze, in nuce già dal periodo successivo all’assegna-zione delle comunanze negli anni 1229-1231, vennero esasperatedurante le lotte intestine, tra il 1243 ed il 1254, quando l’ammi-nistrazione pubblica fu costretta a cercare la maggior parte deisuoi introiti negli angusti limiti del perimetro murario. Pressatodall’incombente disavanzo, bisognoso di nuovi cespiti, in questolasso di tempo il governo comunale non trascurò certo l’impiegodelle ultime proprietà rimastegli, che fu tuttavia costretto a desti-nare sistematicamente all’alienazione. Il 19 febbraio 1246 - dun-que poche settimane prima del colpo di mano popolare - il pode-stà Guglielmo de Soresina fu costretto a convocare la credenza e iDuecento dei paratici, chiedendo loro in che modo “dovesse avereil denaro per pagare i castellani e i servitori che sono preposti allacustodia dei castelli dell’episcopato vercellese”137. Il consiglio cit-tadino decise all’unanimità di vendere le terre e i possessi comu-nali in Trino, Tricerro e nelle località sottoposte all’autorità urba-na138. Si trattava degli esigui fondi che erano resistiti all’alienazio-ne degli anni 1229-1231 e che si decretò di cedere di fronte allenecessità finanziare della guerra e alle difficoltà dei Vercellesi acontrollare il territorio. Gli archivi non hanno restituito altri attiomologhi a quello preso in considerazione, sicché è difficile effet-

135 Sul ruolo dei beccai nell’approvvigionamento cittadino si è soffermato A.I. PINI,Alle origini delle corporazioni medievali: il caso di Bologna, in ID., Città, comuni e corpora-zioni cit., pp. 219-258, con particolare riferimento a p. 250. Sul ruolo della corporazio-ne dei macellai, influente in alcune città ed invece mediocre in altre cfr. ID., Le arti inprocessione cit., pp. 263; 281 ed il volume I macellai bolognesi, Bologna 1980.

136 Cfr. capitolo II, n. 16 e Biscioni, 2/I, doc. 178, pp. 270-271. Sui Passardo cfr.DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 153-154.

137 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,Pergamene, doc. in data 19 febbraio 1246: “Guilielmus de Sorexina […] postulavit quo-modo et qualiter debeat haberi denarios ad solvendum castellanos et servitores qui sunt[…] ad castra episcopatus Vercellarum custodiendi”.

138 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,Pergamene, doc. in data 19 febbraio 1246.

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tuare una stima della transazione. Ad ogni modo nel documentovennero alienati a Giacomo Rondolinus due soli appezzamenti per30 moggi complessivi, siti a Trino, al prezzo di 18 lire di pavesi:poca cosa, se si pensa a quale era stato il valore del suo patrimoniosolo vent’anni prima. Ma ormai la situazione era cambiata. Ilcomune, alla vigilia di una pesante crisi politica, aveva rinunciatoad utilizzare i propri beni allodiali a fondamento della sua autori-tà nel distretto.

Nel periodo del fuoriuscitismo vitale fu soprattutto il settoredei beni requisiti ai banditi: già dal 1222 esisteva a Vercelli unamagistratura designata “in exigendis bannis et in inquirendisbonis bannitorum et in capiendis bannitis”139. Tuttavia, essendo lamalesardia ancora fenomeno marginale, tra coloro che compariva-no nel “liber bannorum”, in cui erano segnalati i reati di ognigenere, ad essere oggetto di consistenti confische erano soprattut-to pochi signori rurali che cercavano di opporsi all’espansioneurbana140. Poiché il numero dei banditi dalla città era ridotto e lefinanze ancora in buona salute, il comune agiva nei confronti deiloro possedimenti in maniera intransigente e, con una norma del1223, prevedeva che i beni immobili di costoro fossero devastati,mentre quelli mobili dati in soluzione ai loro creditori141. Questasevera legislazione non trovava applicazione nel caso in cui si trat-tasse di capitali così rilevanti da potersi rivelare utili all’erario cit-tadino, come nel caso dei beni dei signori di Casalvolone o diManuele de Carengo142. Il fuoriuscitismo diede nuove proporzionial problema, sicché il comune si decise ad impiegare le proprietàdei banditi dalla città per il pagamento dei debiti che opprimeva-no le finanze urbane143: ad uno sviluppo in questa direzione si assi-

139 ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 1 gennaio 1222. La legislazione statu-taria sui banniti è contenuta in Statuta, 97-112, pp. 81-87.

140 Al riguardo cfr. RAO, La proprietà allodiale civica cit., pp. 385-386. Sui banditi neicomuni italiani cfr. P. TORELLI, Il bando [nei comuni medievali italiani], in Le scritture delcomune cit., pp. 109-120.

141 Biscioni 1/II, doc. 414, p. 358; l’articolo fu confermato nel 1240 (Biscioni, 1/I,doc. 58, p. 159).

142 Cfr. Appendice 2, alla voce Manuele de Carengo.143 Per il caso dei beni dei banditi bolognesi cfr. J. HEERS, Espaces publics, espaces pri-

vés dans la ville. Le Liber Terminorum de Bologne (1294), Parigi 1984, pp. 102-115, masoprattutto G. MILANI, Il governo delle liste nel comune di Bologna. Premessa e genesi di unlibro di proscrizione Duecentesco, in “Rivista storica italiana”, 108 (1996), pp. 149-229 eil recentissimo ID., L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altrecittà italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003, pp. 329-375. Per la politica dei governipopolari nei confronti dei beni dei banditi cfr., per Milano, GRILLO, L’introduzione del-l’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit.

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stette dal 1245, quando l’amministrazione pubblica decretò che i“creditores ipsius comunis” potessero chiedere in soluzione deiloro debiti i beni dei malesardi. Gli estimatori comunali ritenne-ro quindi di compensare adeguatamente Maifredo Astanova peralcuni crediti detenuti fino all’ammontare di 69 lire di pavesi, tra-mite la cessione di un poderium che Martino Bicchieri aveva inhora Sancti Graciani144. Il ritorno dei Bicchieri e la restituzione deipossessi requisiti ai filoimperiali poté dare l’idea della consistenzache il fenomeno di contenimento del disavanzo attraverso le con-fische aveva assunto negli anni precedenti: erano state alienateproprietà per più di 2000 lire di pavesi, di cui si erano avvantag-giate soprattutto famiglie popolari145.

Il rientro in città dei filoimperiali, come si è visto, non avevaprovocato consistenti cambiamenti: il processo di indebitamentodel comune, su cui non avevano smesso di gravare le spese causa-te dalla guerra con i fuoriusciti, era continuato senza interruzioni.Anzi era stato acuito dagli impegni presi dai rappresentanti urba-ni nella pacificazione con i Bicchieri, in cui si prevedeva la restitu-zione dei beni requisiti tra il 1243 ed il 1248, che nel frattempoerano stati alienati ai creditori. Ad approfittarne erano statesoprattutto le casate popolari più abbienti, che, mentre la nobiltàappariva esausta per le lotte sostenute – i Bicchieri in questo perio-do si erano gravemente indebitati146 –, avevano deciso di finanzia-re la nuova amministrazione con cospicui capitali: Faciotus diCrevacuore, Ruffino Faxolus, il notaio Giovanni Speciarius147,Nicola Vassallo, Tommaso de Toleo, Giovanni Spina, GiacomoTesta, Lottieri tinctor, Ardizzone de Ivaco, Giovanni Panclerico,Ottobono de Galiciano non erano che alcuni tra i cives vercellesiche nel 1248 avevano dato in prestito più di 10000 lire di pavesial governo cittadino148. L’unione tra ricchi popolari e magnati

144 Biscioni, 2/I, doc. 106, pp. 163-168.145 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 94, pp. 538-540.146 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1813, doc. in data 15 dicembre 1250; ibidem,

doc. in data 27 marzo 1251; al riguardo cfr. le considerazioni di G. FERRARIS, L’ospedaledi S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia, società, Vercelli 2003, pp. 134-136. Alcuni prestiti contratti dal comune con enti ecclesiastici nel periodo 1243-1249,probabilmente almeno in parte volti a soddisfare le esigenze annonarie urbane (alcunifurono infatti corrisposti in cereali), sono reperibili in un atto del 1265 (Biscioni, 1/III,doc. 542, pp. 103-110).

147 Per costui cfr. anche Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 94, p. 539.148 Biscioni, 2/I, doc. 131, pp. 216-223; ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano,

Pergamene, mazzo 49, doc. in data 4 giugno 1255.

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filoimperiali venne sicuramente rafforzata da matrimoni ad hoc,come quello tra Gioacchino de Ivaco e Beatrice, figlia di PietroBicchieri149.

Le proprietà confiscate agli Avogadro ed ai loro seguaci segui-rono due sorti. In parte vennero vendute, come veniva ricordatonella pace del 1254: alla famiglia vennero infatti restituite le pro-prietà confiscate e fu compito del comune rifondere gli empto-res150. In parte, seguendo la linea di condotta adottata dal comuneprima del 1245, vennero distrutte: tale linea, prevista nel bandodella casata guelfa dalla città, venne effettivamente applicata alme-no per la casa di Bresciano Avogadro. Sua figlia Agnese, infatti, nel1272 alienò un edificio diruto, ossia la “domus que destructa fuitper quondam dominum Petrum Bicherium et eius sequaces”151.

Gli ingenti prestiti erogati dai finanziatori popolari ebbero peròl’effetto di aggravare ulteriormente il bilancio cittadino, costrin-gendo nel 1249 il podestà Enrico di Lomello a procedere all’alie-nazione degli ultimi beni pubblici: si trattava dei mulini di S.Lorenzo e di S. Agnese, ceduti assieme ai pedaggi e alla curadia.Tali risorse avevano sempre garantito un cespite cospicuo ed eranostate gelosamente custodite dai governanti urbani che le avevanoescluse dalla cessione delle comunanze avvenuta tra il 1229 ed il1231152. Gli impianti molitori ed i pedaggi vennero dati, in paga-mento di un credito di 2000 lire di pavesi, a numerosi cittadinivercellesi, per lo più popolari, quando podestà e credenziari con-statarono di non avere di che rifondere i creditori con beni mobi-li: tra le proprietà comunali si decise quindi di mettere questeall’incanto, senza tuttavia trovare nessuno che volesse pagare unprezzo così oneroso153. L’alienazione del patrimonio rispondeva

149 Essi risultavano sposati nel testamento di Pietro Bicchieri, avvenuto nel 1250, editoda MEERSSEMAN, La bienhereuse Emilie Bicchieri cit., pp. 217-224; nel 1254 Beatrice avevatra i 14 ed i 15 anni (ibidem, pp. 225-233). L’unione avvenne dunque tra il 1248 ed il1250, quando ella doveva avere tra gli otto e gli 11 anni, mentre prima del 1243, Beatricepoteva avere al massimo quattro anni: non solo era troppo piccola per sposarsi, ma inquella data neppure sono testimoniati rapporti di alcun tipo tra le due famiglie.

150 Statuta communitatis Novariae, in Leges municpales (Historiae Patriae Monumenta,t. XVI), a cura di A. Ceruti, Torino 1876, p. 505-col. 832, qui a col. 741.

151 Biscioni, 1/III, doc. 550, pp. 124-126. Per il bando degli Avogadro cfr. Statuta,“Statuta et documenta nova”, doc. 26, pp. 392-408.

152 Biscioni, 2/I, doc. 131, pp. 216-223. Sull’alienazione dei mulini pubblici per col-mare il disavanzo si veda il caso di Voghera, preso in analisi da L. DE ANGELISCAPPABIANCA, “Vogheria oppidum nunc opulentissimum”. Voghera ed il suo territorio tra Xe XV secolo, Torino 1996, pp. 40-42. Cfr. inoltre capitolo III, pp. 146-147.

153 Biscioni, 2/I, doc. 131, p. 220: “Protestantes et dicentes iamdictus potestas et cre-denciarii quod iamdictum comune non habet de rebus mobilibus, unde iamdictum debi-

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all’insufficienza delle entrate, non supportate da un adeguato svi-luppo della fiscalità indiretta, e all’incapacità o alla mancatavolontà del comune vercellese di creare un sistema di debito con-solidato: alle autorità cittadine apparve più opportuno, comenegli anni 1229-1231, risolvere il problema dell’indebitamentocon la cessione delle comunanze. In questo modo si riusciva amantenere tollerabili e relativamente bassi gli importi versati conil fodro, in un momento di forti tensioni politiche, a causa dellequali i prelievi fiscali risultavano difficilmente incrementabili154.

Con la transazione, la totalità dei beni comunali era ormaiscomparsa o alienata. Il comune, debole politicamente e oberatodai debiti, non fece più affidamento su questo settore né in segui-to riuscì a ricostituirlo. Le proprietà civiche, a Vercelli cespite efattore politico protagonista nella piena età comunale, ora, nelperiodo delle lotte tra magnati, lasciavano la scena alle entratefiscali155.

tum solvere possint et quod expedit comuni et magis utile est vendere predicta quamalias res inmobiles ipsi comuni pertinentes et quod predicte res exposite sunt venales etpublice subastate et nullus apparuit qui tanto precio emere vellet et predicta et singula”.

154 Alla medesima dinamica si assistette a Milano, dove nel settembre del 1251 un’as-semblea cittadina decretò un’ingente vendita di beni pubblici per risolvere il pressanteindebitamento. Per questa vicenda e per la messa in relazione della cessione dei benicomunali con la mancata creazione di un debito pubblico consolidato cfr. GRILLO,L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano cit.; assonanze presen-ta anche il caso aretino di fine Duecento, studiato da G.P.G. SCHARF, Le prime esperien-ze signorili di Uguccione della Faggiola: il periodo aretino (1292-1311), in “Archivio stori-co italiano”, 160 (2002), pp. 753-767, qui a p. 757. L’alienazione di beni comunali èstata rilevata anche per Chiavenna (P. MAINONI, Economia e finanze a Chiavenna, unborgo alpino del Duecento, in “Clavenna. Bollettino del centro di studi storici valchiaven-naschi”, 38 (1999), pp. 69-88, qui alle pp. 78-81). Sui sistemi di debito pubblico con-solidato, ascrivibili solo ad un periodo successivo della storia di alcune tra le più impor-tanti città italiane cfr. G. LUZZATTO, Il debito pubblico della repubblica di Venezia dagliultimi decenni del XII secolo alla fine del XV, Varese-Milano 1963, la cui precocità nellaformazione di un debito permanente, messa in rilievo dallo stesso Autore, ne fa un casounico; C. VIOLANTE, Le origini del debito pubblico e lo sviluppo costituzionale del Comune,in ID., Economia, società, istituzioni a Pisa nel Medioevo, Bari 1980, pp. 67-81 che appro-fondisce il nesso tra processo di indebitamento del comune e cessione delle proprietàcomunali, le “guariganghe”. Scritti più recentemente sono invece gli studi di MOLHO, Trecittà stato e i loro debiti cit.; ID., Lo Stato e la finanza pubblica. Un’ipotesi basata sulla sto-ria tardomedievale di Firenze, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italiafra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Bologna 1994,pp. 225-281; GINATEMPO, Prima del debito cit.

155 Non ci si soffermerà in questa sede sul rapporto, che pure meriterebbe uno stu-dio approfondito, tra la cessione di questi dazi (molaria, pedaggio e peso pubblico), dicui è difficile valutare la resa economica, e il parallelo sviluppo stimolato dal comunedelle risorse fiscali dirette ed indirette (sulla fiscalità indiretta cfr. MAINONI, A propositodella «rivoluzione fiscale» cit., che prende in esame anche il caso della curadia vercellese).

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V. Conclusioni

1. I beni del comune: una parabola politica

Lo studio dei comunia vercellesi nella piena età comunale haconfermato i nessi sociali insiti nel problema ed ha consentito l’in-dividuazione di una modificazione dell’atteggiamento dei rettoriurbani nei confronti di questo settore dalle vicende immediata-mente successive alla Pace di Costanza ai conflitti ghibellini dellametà del XIII secolo. Si è potuto rintracciare un cambiamentonella gestione dei beni comunali che seguì abbastanza rigorosa-mente l’evoluzione politica e sociale della città, sicché i tre grandimomenti individuabili corrispondono ad altrettante fasi istituzio-nali del comune vercellese: il periodo dell’alternanza tra consoli epodestà forestieri, la piena età podestarile e l’intercorso delle lottetra popolo e magnati. Il collegamento tra mutamenti della strut-tura dell’autonomia urbana ed amministrazione dei beni pubbliciè spiegabile con il fatto che quest’ultima fu fortemente condizio-nata dalla differenza nel rapporto con il territorio e negli equilibrisociali che si verificò nei tre momenti presi in considerazione. Èquindi stato possibile indicare l’esistenza di alcuni fili conduttori,che hanno guidato la trattazione per tutto l’arco di tempo analiz-zato. Essi di volta in volta hanno avuto maggiore o minore pesosulle vicende delle comunanze: consistono nel controllo del con-tado, nello sviluppo delle esigenze annonarie e nelle tensionisociali, o meglio nella progressiva influenza che il popolo conqui-stò sulla politica cittadina1.

1 Le tre componenti sono state analizzate sinotticamente da J.-C. MAIRE VIGUEUR, Lerapports ville-campagne dans l’Italie communale: pour une revision des problèmes, in La ville,la bourgeoisie et la genèse de l’état moderne (XII-XVIII siècle), a cura di N. Bulst e J.-Ph.Genet, Parigi 1988, pp. 21-34.

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Il paradigma proposto da Maire Vigueur, sulla base dello stu-dio di alcune città dell’Italia centrale, di un’opposizione milites-populus a motore delle operazioni di avocazione al comune deibeni collettivi ha trovato conferma - fatte salve le peculiarità deicentri padani nel differente sviluppo cronologico e nella composi-zione del ceto nobiliare2 - nella situazione vercellese3: infatti, seb-bene l’indagine sull’origine familiare dei possessori delle comu-nanze inquisite dai consoli nel 1192 non abbia permesso una rigi-da identificazione con i milites, è rimasta valida l’ipotesi di unmovente sociale alla base dell’azione dei consoli e di una spintapopolare nella diffusione della protesta; al contrario non è statopossibile dimostrare che le usurpazioni compiute dai milites deri-vassero dal servizio militare a cavallo prestato alla città.

La presa di possesso dei beni collettivi appare dunque, nel casovercellese, vincolata all’affermazione del populus e connessa più ingenerale alla maturazione dell’istituzione comunale: avvento delpodestariato, istanze popolari, limitazione degli interessi partico-laristici del ceto dirigente, sviluppo di una strategia di controllodel territorio sono indissolubilmente legati al problema delle pro-prietà pubbliche. La presenza dei comunia al centro del dibattitopolitico al termine del XII secolo è però solo una delle angolatureattraverso cui si può riscontrare l’emancipazione del governo cit-tadino dalla tutela dell’aristocrazia consolare e della vassallitàvescovile, a Vercelli in buona misura sovrapponibili: tale fenome-no, infatti, non può essere correttamente valutato senza coinvol-gere altri aspetti, sviluppatisi parallelamente alla questione dei

2 Lo sviluppo sociale e cetuale dell’Italia padana è stato oggetto del lavoro, cui si è fattopiù volte riferimento nel corso di questa trattazione, di H. KELLER, Signori e vassallinell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995; i differenti esiti della società umbra, presain considerazione da Maire Vigueur, rispetto a quella padana sono stati invece studiati perSpoleto da E. SESTAN, Il comune di Spoleto tra i comuni italiani, in ID., Scritti vari – II. Italiacomunale e signorile, Firenze 1989, pp. 75-112, le cui osservazioni sono state riprese edampliate da TABACCO, Dinamiche sociali e assetti del potere, in Società e istituzioni dell’Italiacomunale: L’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Perugia 6-9 novembre 1985, Perugia 1988,vol. I, pp. 285-286. Oggi studi approfonditi sull’aristocrazia urbana dell’Italia comunalesono reperibili in La vassallità maggiore del Regno Italico. I capitanei nei secoli XI-XII, a curadi A. Castagnetti, Roma 2001; J.-C. MAIRE VIGUEUR, I profili, in I podestà dell’Italia comu-nale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XIII sec. – metà XIV sec.),a cura di Id., Roma 2000, vol. II, pp. 1009-1099 e, per Milano, in P. GRILLO, Milano in etàcomunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001. Per una rassegna proble-matica cfr. invece P. GRILLO, Aristocrazia urbana, aristocrazia rurale e origini del Comunenell’Italia nord-occidentale, in “Storica”, 19 (2001), pp. 75-96.

3 Cfr. capitolo I.

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beni pubblici, quali l’inaugurazione di una politica sulle acque o icambiamenti nell’organizzazione delle circoscrizioni territoriali ela ripartizione delle competenze tra autorità podestarile e creden-za. L’identificazione di queste diverse questioni nella complessaoperazione del 1192 pone un altro problema. Tale operazione soloimpropriamente può essere considerata come il recupero dei ter-reni comuni che anticamente erano detenuti dall’intera popola-zione e che in seguito furono usurpati dai milites: essa è innanzi-tutto un’operazione dal significato del tutto nuovo, che porta ilcomune, nel momento in cui acquisisce maggiore consapevolezzadelle sue prerogative, a rivendicare una tradizione che era antica-mente esercitata dalla collettività, ancor prima che essa si struttu-rasse istituzionalmente come città-stato. L’avocazione delle terreanticamente soggette all’uso civico segnò quindi per la prima voltala sottomissione di tali terreni all’amministrazione cittadina. Apieno titolo questo può dunque essere considerato il momentodella vera e propria creazione dei beni comunali4; il punto di rot-tura sancito sia dall’accorpamento nell’operazione di avocazionedi terre che in buona parte, molto probabilmente, comuni nonerano mai state (per esempio i terreni fluviali), sia dall’immediataspoliazione dell’antico uso collettivo nei confronti del patrimonioacquisito. Occorre quindi ribadire - anche per evitare di ricaderenell’annoso problema dell’origine delle proprietà collettive, chetanta parte ha avuto come si è visto, nella storiografia di iniziosecolo – che i beni comunali si formarono di fatto solo con lacomparsa del comune, che fece proprie due differenti tradizioni:quella degli usi civici rivendicati dalla collettività e quella dei dirit-ti pubblici, un tempo di pertinenza vescovile (in sostanza il dirit-to d’uso e il dominio eminente)5. In seguito, esso attribuì ulterio-

4 Al riguardo cfr. anche A. CASTAGNETTI, La «campanea» e i beni comuni della città, inL’ambiente vegetale nell’alto Medioevo, XXXVII Settimana di studio del Centro italiano distudi sull’alto Medioevo (30 marzo – 5 aprile 1989), Spoleto 1990, vol. I, pp. 137-174.

5 Le due categorie erano del resto prossime, poiché sui comunia gravava un diritto emi-nente pubblico. La pubblicità dei beni comuni, molto discussa in storiografia, è stata soli-damente argomentata da G.P. BOGNETTI, Sulle origini dei comuni rurali del Medioevo conspeciali osservazioni pei territorii milanese e comasco, in ID., Studi sulle origini del comune rura-le, a cura di F. Sinatti d’Amico e C. Violante, Milano 1978, pp. 1-262, in particolare allepp. 4-8; 198-202; nello stesso volume si veda la Prefazione dei due curatori alle pp. X-XIII.Cfr. inoltre le osservazioni di G. TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia e postcarolin-gia, Spoleto 1966, pp. 134-136.

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ri accezioni a tali beni con la sua espansione patrimoniale nel con-tado6.

I beni comunali hanno visto maturare la loro vicenda in que-sto complesso intreccio di fattori nel corso dell’ultima fase conso-lare e delle prime esperienze podestarili, seguendo uno svolgimen-to piuttosto fluido: le amministrazioni urbane di quegli anni nonaffrontarono con un piano consapevole la loro gestione, ma furo-no costrette a preoccuparsi soprattutto della tensione sociale chepresiedeva all’operazione, che talora parve tralignare in forme diviolenza nella contrapposizione delle parti. Un progetto per la lorocura si configurò poco a poco, quasi per tentativi, e raggiunse unasua maturità solo con l’avvenuta stabilizzazione del regime pode-starile7.

Fu con esso che si assistette alla centralizzazione del settore –individuata da Maire Vigueur come uno dei momenti decisivi nel-l’evoluzione delle comunanze8 –, alla sua sottrazione dall’autoritàdegli organismi territoriali in favore di quella di un’apposita magi-stratura delegata alla sua gestione. Fu con esso che venneroapprontati metodi di sfruttamento sempre più organici e redditi-zi: a tal fine le proprietà pubbliche persero il loro ruolo di pasco-lo cittadino, di “bene comune”, per divenire cespite delle finanzeurbane, “bene comunale”. Esse vennero periodicamente inquisitee date in affitto; il controllo degli emolumenti derivanti fu inveceassegnato a “procuratores comunium”, istituiti ad hoc dal podestàe dipendenti direttamente dai rettori cittadini.

A determinare queste trasformazioni non fu solo la presenza diun governo centralizzato, che con l’istituzione del podestà rispon-deva “all’esigenza di una formalizzazione, di una istituzionalizza-zione di intensità diversa rispetto alla gestione consolare”9 edimplicava una minore importanza delle circoscrizioni territoriali,ma soprattutto il disciplinamento del contado e la volontà di averesu di esso un controllo diretto.

6 Per tali aspetti si rimanda a R. RAO, La proprietà allodiale civica dei borghi nuovi ver-cellesi (prima metà del XIII secolo), in “Studi storici”, 42 (2001), pp. 373-395.

7 Cfr. capitolo I.8 MAIRE VIGUEUR, Le rapports ville-campagne cit., pp. 32-34.9 P. CAMMAROSANO, Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti nel corso del XIII secolo, in

Magnati e popolani nell’Italia comunale. Quindicesimo convegno di studi del Centro italiano distudi di storia e d’arte di Pistoia. Pistoia 15-18 maggio 1995, Pistoia 1997, pp. 17-40, conparticolare riferimento a p. 27.

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Si ebbe in questo modo una piena espansione del patrimonioimmobiliare - non più iscritto negli angusti limiti della campanea- in cui venivano ad affluire oltre ai pascoli suburbani, le case cit-tadine, i castelli e le terre possedute nel distretto; una valorizzazio-ne di queste risorse fu resa necessaria anche dalla sempre maggio-re articolazione delle finanze pubbliche e, nello stesso tempo, dallacrescente esigenza di denaro. L’attività della politica comunale nelterritorio vercellese e la strutturazione raggiunta dalle istituzioniciviche avevano, infatti, dato avvio ad un vistoso processo di inde-bitamento.

La consistenza assunta dai beni comunali, la rilevanza del lororuolo economico, l’importanza della magistratura dei “procurato-res comunium”, non tardarono ad attirare le mire delle fazioni checontrollavano la politica urbana. Proprio negli anni dell’afferma-zione del governo podestarile a Vercelli, in sincronia con ciò cheavveniva in altre realtà cittadine italiane, si assistette “alla defini-zione politica ed ideologica di una contrapposizione interna fon-damentale tra milites e populares”10. Essa prendeva forma nell’an-titesi delle società di Santo Stefano e di Santo Eusebio, che riusci-rono a spartirsi equamente gli incarichi inerenti all’amministrazio-ne delle proprietà civiche, con il potere e il prestigio che essi com-portavano, senza degenerare in forme di opposizione violenta: sitrattò di un periodo di relativa unità di cui il comune si giovò rag-giungendo la massima espansione11.

Ma una nuova realtà andava delineandosi a Vercelli negli anniTrenta del Duecento: erano ripresi i conflitti tra Federico II ecomuni, sicché il ceto magnatizio venutosi a creare nei primidecenni del XIII secolo, andò polarizzandosi in un partito filomi-lanese ed in uno filoimperiale. Fu probabilmente in conseguenzadelle cresciute spese belliche, nonché delle prime incrinature nel-l’equilibrio di poteri su cui si reggeva la società locale, che si arri-vò alla cessione delle comunanze12.

Molto, infatti, era cambiato nel sistema di equilibri vercellese:già si è fatto riferimento allo sviluppo di una formazione magna-tizia, ma anche il populus andava modificandosi al suo interno.Un’importanza sempre maggiore avevano assunto le corporazioni,

10 CAMMAROSANO, Il ricambio e l’evoluzione dei ceti dirigenti cit., p. 28.11 Cfr. capitolo II.12 Cfr. capitolo IV.

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che erano giunte ad essere rappresentate nel governo tramite iDuecento dei paratici: ne era nata un’egemonia del popolo incittà, ma la conseguente radicalizzazione del conflitto con imagnati, divisi in fazioni, faceva sì che più incerta fosse l’azionecomunale nel contado, dove erano situati i centri di potere nobi-liari. In effetti, l’espansione dell’istituzione urbana – a capo dellaquale erano ora i ceti artigiani, forti all’interno delle mura cittadi-ne, ma deboli fuori – aveva subito una battuta di arresto: la volon-tà di controllo del territorio, lucidamente percepita come precipuadal regime popolare, si scontrava con le difficoltà nella realizzazio-ne delle radicali misure intraprese (imposizione dell’estimo agliecclesiastici, annessione del districtus vescovile, obbligo della con-segna dei castelli). Il difficile mantenimento dell’autorità sul con-tado e la fine della fase di espansione si riflessero anche sul setto-re dei beni comunali, non più incrementati: del resto essi eranoormai esigui dopo l’alienazione degli anni 1229-123113. Persa lasua vocazione comitatina, sviluppatasi nel periodo più florido del-l’istituzione comunale, il patrimonio civico tornò, come ab origi-ne, ad essere un problema soprattutto urbano.

La situazione si aggravò nel periodo del fuoriuscitismo, dal1243 al 1254, quando i ceti popolari ressero l’amministrazionecittadina prima assieme ai magnati filomilanesi, poi con quellifiloimperiali: il sempre maggiore indebitamento causato dallaguerra intestina e dalla perdita del contado condusse alla venditadegli ultimi beni pubblici, mentre il peso delle spese e dei debitidel comune andava tutto a riversarsi sui cespiti prodotti dal siste-ma fiscale14. La scelta di procedere alla cessione delle proprietàurbane era del resto una diretta conseguenza dell’instabilità dellefinanze, della “estrema elasticità dei bilanci comunali durantetutto il XIII secolo ed ancora una buona parte del XIV secolo”15.A questo espediente le amministrazioni civiche ricorrevano neimomenti più difficili con l’intento di ottenerne almeno un tem-poraneo alleggerimento: il comune, infatti, per ovviare al proble-ma della carenza delle entrate non era riuscito a procedere ad unpotenziamento dell’apparato fiscale tramite l’aumento della tassa-zione indiretta, né ad una stabilizzazione del suo disavanzo attra-

13 Cfr. capitolo IV.14 Cfr. capitolo IV.15 La citazione è tratta da MAIRE VIGUEUR, Le rapports ville-campagne cit., p. 25.

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verso la creazione di un debito pubblico permanente – entrambiprovvedimenti che riguardano solo la storia successiva delle città-stato italiane16. Sicché, se da un lato l’erario rimaneva in balia dellevistose oscillazioni del bilancio provocate dalle guerre, dalle care-stie e dalle crisi politiche, dall’altro la sua gestione restava vincola-ta, con l’imposizione di governi a forte influenza popolare, all’ac-cettazione ed al consenso della cittadinanza17.

16 Per la creazione dei debiti pubblici consolidati cfr. la bibliografia esposta nel corso delIV capitolo.

17 Cfr. capitolo IV; sulle “fluctuations des dépenses” dei comuni medievali cfr. MAIREVIGUEUR, Le rapports ville-campagne cit., pp. 25-26 e M. GINATEMPO, Prima del debito.Finanziamento della spesa pubblica e gestione del deficit nelle grandi città toscane (1200-1350ca.), Firenze 2000, pp. 33-49; sull’importanza del consenso popolare nel prelievo fiscale cfr.P. GRILLO, L’introduzione dell’estimo e la politica fiscale del comune di Milano alla metà delsecolo XIII (1240-1260), in Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale (secoli XIII-XV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, pp. 11-37.

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Appendice 1: i possessori espropriati del 1192 e le lorofamiglie

Vengono qui forniti i nomi delle famiglie cui appartenevano i possessori diterre avocate dal comune nel 1192, accompagnati da brevi prosopografie, nell’in-tento di delineare il loro rilievo sociale1. A questo fine, in conformità con i criteridi analisi utilizzati nel primo capitolo, si darà innanzitutto un quadro della loropartecipazione alla politica cittadina: è questo il modo attraverso cui si può intra-vedere una ristretta élite, la “classe di governo” vercellese2, caratterizzata da comu-ni modelli di vita ed unita da molteplici legami familiari che spesso oltrepassaronogli orientamenti politici delle diverse discendenze3. Inoltre, l’individuazione deiconsoli può arrecarci ulteriori informazioni. Alla maggiore delle magistrature urba-ne accedevano solo gruppi parentali di primissimo piano o individui dotati di ungrande prestigio personale, magari in età avanzata: consoli del comune erano gene-ralmente i più prestigiosi vassalli del vescovo o di altri enti ecclesiastici, personag-gi provenienti da famiglie inserite nel capitolo cittadino, milites o iudices.Un’elezione reiterata al consolato di giustizia poteva invece comportare una forma-zione giuridica dell’incaricato. L’essere consoli di Santo Stefano o di Santo Eusebioindicava, infine, pur con una notevole elasticità - essendo frequente il caso di indi-vidui che passavano dal consolato di una società a quello dell’altra -, l’adesione adifferenti schieramenti politici cittadini.

Ad ogni modo appare evidente come un’arida enumerazione degli incarichi digoverno risulti insufficiente a dare conto delle differenze sociali di famiglie che

1 Sull’utilità dello studio prosopografico per la descrizione della società cittadina cfr. R.BORDONE, Le «élites» cittadine nell’Italia comunale (XI-XII secolo), in La prosopographie: pro-blèmes et méthodes. Coutumes, pouvoir locaux et affirmation de l’État moderne. Histoire reli-gieuse. Chronique. Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge – temps modernes, tome100 (1988), vol. I, pp. 47-53.

2 BORDONE, Le «élites» cittadine cit., pp. 48-49.3 F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello

studio (1228), in L’università di Vercelli nel Medioevo. Atti del Secondo Congresso StoricoVercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994, pp. 77-165; A.BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo, in Vercelli nel XIIsecolo, IV Congresso della Società storica vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), in corsodi stampa. Sulle divisioni cetuali che permanevano anche nella società cittadina cfr. di H.KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995. Sull’adozione diun comune modello di vita militare come fondamento della nobiltà cfr. S. GASPARRI, I mili-tes cittadini. Studi sulla cavalleria in Italia, Roma 1992 e G. TABACCO, Nobiltà e potere adArezzo in età comunale, in “Studi medievali”, 15 (1974), pp. 1-24.

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assieme partecipavano al consolato del comune, a quello delle associazioni o allacredenza, ma che spesso avevano una diversa estrazione. Perciò si è creduto diaggiungere alcuni ragguagli “sull’indirizzo” politico e cetuale dei gruppi parentalipresi in considerazione: “indirizzo”, poiché non solo la documentazione è spessoreticente e si limita ad offrirci pochi indizi, ma, in una società fluida ed in conti-nua evoluzione come quella comunale, oltre che poco prudente, l’utilizzo di unarigida ripartizione può non rendere conto né dei processi di nobilitazione avvenu-ti già nel XII secolo, né degli esiti magnatizi del XIII4.

Per questo si è scelto di evidenziare, oltre a dati sulle capacità economiche dellefamiglie, quelli che appaiono come gli attributi della nobiltà, ossia quelle caratte-ristiche che permettono di rintracciare un comune stile di vita, orientato versocostumi aristocratici5. Precipua in esso è la componente militare, che assumeun’importanza considerevole nell’economia di questa ricerca: appartenenza allamilizia cittadina e beni comunali appaiono, infatti, intimamente legati nella sto-riografia sul tema e, come si è visto, sono in connessione, seppur indirettamente,anche nel caso vercellese6.

Queste caratteristiche sono le stesse di cui partecipava l’aristocrazia consolare,cioè legami vassallatici con enti ecclesiastici7, esponenti nel capitolo cattedrale cit-tadino8, iudices9 e milites10. Sono stati, inoltre, segnalati i podestà espressi da que-

4 Occorre fare attenzione a non inferire da criteri di analisi sociali classificazioni cetua-li, le quali hanno vita autonoma, come sottolineato da G. DILCHER, I comuni italiani comemovimento sociale e forma giuridica, in L’evoluzione delle città italiane nell’XI secolo, a cura di(R. Bordone e J. Jarnut), Annali dell’Istituto storico italo-germanico, quaderno 25, Bologna1988, pp. 71-98. Cfr. anche KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città cit. e G. TABACCO,Nobili e cavalieri a Bologna e a Firenze tra XII e XIII secolo, in “Studi medievali”, 17 (1976),pp. 41-76. Sugli esiti magnatizi sviluppatisi in seno alla società comunale si rimanda a ID.,Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino 1979, pp. 275-292; per imagnati vercellesi cfr. invece F. PANERO, Particolarismo ed esigenze comunitarie nella politicaterritoriale del comune di Vercelli (secoli XII-XIII), in ID., Comuni e borghi franchi nelPiemonte medievale, Bologna 1988, pp. 73-99 e, per il consolidamento dell’identità aristo-cratica di un gruppo di famiglie nella seconda metà del XII secolo R. RAO, Fra comune emarchese. Dinamiche aristocratiche a Vercelli (seconda metà XII - XIII secolo), in “Studi stori-ci”, 44 (2003), pp. 43-93. G. FASOLI, Città e feudalità, in Structures féodales et féodalismedans l’Occient méditerranéen (Xe-XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches. Colloqueinternational organisé par le centre national de la recherche scientifique et l’École française deRome (Rome, 10-13 octobre 1978), Roma 1980, pp. 365-385, con particolare riferimento ap. 366, ha ricordato la rischiosità dell’utilizzo delle parole nobiltà o aristocrazia per la societàitaliana del XII secolo, preferendo loro categorie più generiche quali maggiorenti o notabili.

5 Si è cercato di rispettare i suggerimenti forniti da BORDONE, Le «élites» cittadine cit.,pp. 50-51, accentuando naturalmente gli aspetti funzionali alla nostra ricerca.

6 Si rimanda ad Introduzione.7 A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo, in “BSBS”,

91 (1993), pp. 5-45; KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città cit.; A. BARBERO, Vassalli,nobili e cavalieri fra città e campagna. Un processo nella diocesi di Ivrea all’inizio del Duecento,in “Studi Medievali”, 33 (1992), pp. 620-644.

8 H. KELLER, Origine sociale e formazione del clero cattedrale dei secoli XI e XII nellaGermania e nell’Italia settentrionale, in Le istituzioni ecclesiastiche della «societas christiana» deisecoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie. Atti della sesta Settimana internazionale di studio.Milano 1-7 settembre 1974, Milano 1977, pp. 136-186.

9 J.-C. MAIRE VIGUEUR, Gli “iudices” nelle città comunali: identità culturale ed esperien-

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ste famiglie11, il possesso di diritti signorili, ed eventuali menzioni di cittadini nobi-les12 o domini13, riferite ad individui appartenenti ai gruppi parentali presi in con-siderazione.

N.B. Segnalo la collocazione delle credenze citate, considerate dalla primamenzione, relativa al 1170, fino all’anno 1230: Biscioni, 1/II, doc. 369, pp. 276-278 per il 1170; HPM, Chartarum, Torino 1836, II, doc. 1579, col. 1078 per il1180, PC, doc. 273 pp. 296-297 e Acquisti, I, f. 28-29 per il 1184; Gli atti delcomune di Milano fino all’anno 1216, a cura di C. Manaresi, Milano 1919, doc.217, pp. 308-309, per il 1199; Biscioni, 1/II, doc. 288, pp. 136-138 per il 1201;PC, doc. 27, p. 55, Biscioni, 1/I, p. 214 e DAC, doc. 28, pp. 53-54 per il 1202;DAC, doc. 53, pp. 77-78 per il 1207; ASVc, Archivio Berzetti Murazzano,Pergamene, m. 49, doc. del 18 febbraio 1208 per il 1208; Biscioni, 1/III, doc. 558,pp. 130-131 per il 1210; PC, doc. 109, pp. 200-201 per il 1212; Acquisti, I, f. 65per il 1213; Biscioni, 2/I, doc. 65, pp. 116-117 per il 1214; PC, doc. 29, p. 64 peril 1215; AcoV, Pergamene, doc. del 28 ottobre 1217, edito in Carte valsesiane finoal secolo XV conservate negli archivi pubblici, a cura di C.G. Mor, Torino 1933(BSSS, 124), doc. 28, pp. 63-68 per il 1217; Biscioni, 2/I, doc. 122, pp. 201-202per il 1218; DAC, doc. 89, pp. 125-126 per il 1221; Biscioni, 1/II, pp. 197-198per il 1222; Biscioni, 2/I, doc. 99; pp. 152-153, ibidem, doc. 104, pp. 159-160,PC, doc. 378, pp. 364-365, ASVc, V. BELLINI - A. BELLINI, Annali della città diVercelli sino all’anno 1499 composti da Amedeo figlio di Vercellino Bellini e VercellinoBellini nobile vercellese autore della storia stampata di Serravalle composti nell’anno1631, tempo in cui questa città era occupata dal Re di Spagna Filippo Quarto, p. 72per il 1223; Biscioni, 1/I, doc. 162, pp. 352-353, Biscioni, 2/I, doc. 90, pp. 137-139 e Acov, pergamene, doc. del 9 febbraio1224 per il 1224; DAC, doc. 105, p.155 per il 1228; Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 358 e G. FERRARIS, La convenzione ritro-vata. Ancora su Omobono de Cremona e lo Studium di Vercelli, in “Bollettino

ze politiche, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani,Palermo 1994, pp. 161-176. Cfr. anche KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città cit.;G. ROSSETTI, Elementi feudali nella prima età comunale, in AA.VV., Il feudalesimo nell’AltoMedioevo, Spoleto 2000, tomo 2, pp. 875-909.

10 J.-C. MAIRE VIGUEUR, Cavaliers et citoyens. Guerre, conflits et société dans l’Italie com-munale, XIIe-XIIIe siècles, Parigi 2003; GASPARRI, I milites cittadini cit.

11 Si ricorda che i podestà erano cavalieri addobbati (GASPARRI, I milites cittadini cit.,pp. 66-67).

12 Come messo in evidenza da Gabriella Rossetti occorre essere cauti nell’attribuire aquesta parola un’intenzione di distinzione cetuale (G. ROSSETTI, Ceti dirigenti e classe poli-tica, in AA.VV., Pisa nei secoli XI e XII: formazione e caratteri di una classe di governo, Pisa1979, pp. XXV-XLI, con particolare riferimento alle pp. XXVI-XXVII), tuttavia le menzio-ni cui si farà riferimento, oltre ad essere rappresentative della stima goduta dalle famigliecosì indicate all’interno della città, comportano una maggiore pregnanza cetuale: pare, infat-ti, significativo il fatto che per quasi tutti i cittadini vercellesi che compaiono nei due attiche citeremo si possa rintracciare un’ascendenza militare (cfr. anche l’interpretazione data daPANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 146).

13 Attestazione che indica generalmente i cavalieri addobbati (BARBERO, Vassalli, nobili,cavalieri cit., p. 622); per il caso vercellese cfr. l’interpretazione data da PANERO, Istituzionie società a Vercelli cit., pp. 164-165.

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Storico Vercellese”, 52 (1999), pp. 17-35, con particolare riferimento alle pp. 26-27 per il 1229; Biscioni, 2/I, doc. 134, pp. 230-231

AbateNessuna informazione certa è stata rinvenuta a proposito di questo personag-

gio.

Asigliano (Pietro)Questa famiglia di valvassori vescovili14, malgrado l’elevata estrazione sociale,

non si inserì ai vertici dell’apparato politico cittadino, pur partecipando con assi-duità alla credenza. La documentazione ha, infatti, lasciato ricordo di diverse pre-senze tra i credenziari per gli individui legati a questo ceppo parentale: Giacomolo fu nel 1207, nel 1210, nel 1213, nel 1221, nel 1223, nel 1224; Guido nel 1208e nel 1210.

Gli Asigliano erano titolari di terre “in Campo Martio”, nel suburbio vercelle-se, che vendettero ai Burro15.

Barletarius (Rainaldo)Rainaldo possedeva beni a Caresana16. Giacomo e Tebaldo Barletarii sono atte-

stati verso la metà del XII secolo: essi erano vicini alla famiglia dei Salimbene, dicui furono fideiussori17.

Questo gruppo è assente dalla credenza cittadina, tuttavia doveva disporre dicospicue risorse: infatti nel 1242 Durio Barletarius era creditore nei confronti delcomune per una somma di 120 lire di pavesi18. Nel 1258 Guglielmo fu invece con-sole di giustizia del comune e iudex19.

De Benedetti (Uberto, Giovanni)Si tratta di una delle famiglie vercellesi eminenti, vassalla del vescovo20.

Giovanni e Uberto si alternarono numerose volte al consolato del comune tra il1185 e il 119621. Con l’istituzione del regime podestarile si legarono alla società diSanto Eusebio, di cui Alisio fu console nel 120822 e Ottobono nel 121223. Aderentidurante i tempi del fuoriuscitismo al partito filoimperiale dei Bicchieri, instaura-

14 DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 8.15 C.D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII e

XIII, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale dell’Università Cattolica di Milano,Milano 1968, vol. I, pp. 207-262, con particolare riferimento a p. 214.

16 Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi e F. Gabotto, Pinerolo1914 (BSSS, 71), vol. II, doc. 461, pp. 174-175.

17 Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, G.C. Faccio, F.Gabotto e G. Rocchi, Pinerolo 1912 (BSSS, 70), vol. I, doc. 148, pp. 183-184, anno 1151.

18 Statuta, 5, p. 1274.19 Biscioni, 1/III, doc. 528, p. 89.20 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 92.21 Si rimanda all’elenco compilato da V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo,

Vercelli 1857-1861, vol. III, pp. 268-269.22 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.23 PC, doc. 254, p. 284.

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rono una signoria sul castello di Burolo24. Ricoprirono inoltre numerosi incarichidi prestigio, tra cui si ricordano il podestariato di Paciliano ricoperto da Ottobononel 1219, del cui comune lo stesso personaggio era creditore in precedenza25.

Biandrate (Guido) Si tratta in prevalenza di un gruppo di milites provenienti da Biandrate, immi-

grati a Vercelli, probabilmente legati da rapporti di solidarietà26: il fatto che esistes-se nella documentazione il riferimento ad una “domus illorum de Blandrato” nellavicinia di S. Stefano “de Monasterio” per il 1218, così come la circostanza che dei“Blandratinenses” fossero genericamente indicati come prestatori di S. Maria diVezzolano nel 1219, potrebbe indurre a ritenere che esistesse un’identità comuneai differenti ceppi27.

La difficoltà consiste nel rintracciare legami di parentela tra i numerosi espo-nenti di primo piano della politica vercellese, di preferenza legati alla società diSanto Stefano, contraddistinti con il cognome Biandrate. Nella prima metà delXIII secolo possono essere individuati almeno sei discendenze influenti sulla poli-tica vercellese: Pietro, Giacomo e Buongiovanni figli di Ardizzone28; Alberto figliodi Guglielmo29; Alberto figlio di Alberto30, Nicola figlio del nostro Guido31; i fra-telli Ardizzone e Liprando, figli di Buongiovanni de Ivaco Biandrate32; Giacomo eRanieri figli di Giulio33; i fratelli Allo ed Ottone34.

24 Si rimanda al capitolo II del presente studio, pp. 119-121.25 Biscioni, 2/I, doc. 66, pp.117-122; già nel 1165 Ottobono era creditore del comune

di Paciliano (Le carte dello archivio capitolare cit., vol. I, doc. 187, pp. 226-228). Su questafamiglia cfr. anche le informazioni fornite da PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 92.

26 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 84.27 PC, doc. 305, p. 315; ibidem, doc. 318, pp. 322-323: l’edificio non apparteneva ai

conti di Biandrate, la cui casa a Vercelli era sita in S. Tommaso e che nelle fonti erano espres-samente qualificati come “comites” (Investiture, I, f. 79). Per il prestito, contratto a Vercelli,cfr. il documento edito da A.A. SETTIA, Santa Maria di Vezzolano. Una fondazione signorilenell’età della riforma ecclesiastica, Torino 1975 (BSSS, 198), p. 252.

28 Cfr. Appendice 2.29 ACV, Atti privati, cartella XXV, doc. in data 22 ottobre 1231.30 PC, doc. 286, p. 305.31 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 7 dicembre 1226. Guido

risiedeva nella vicinia di S. Pietro (PC, doc. 268, p. 287).32 Liprando fu credenziario nel 1249 (Biscioni, 2/I, doc. 131, pp. 222-223); su

Ardizzone cfr. quanto esposto nel capitolo IV. I due risultano essere fratelli in un documen-to relativo al 1231 ed edito da A. DI RICALDONE, Documenti vercellesi in un archivio delDucato di Monferrato, in “Bollettino storico vercellese”, 7 (1975), pp. 47-52, con particola-re riferimento alle pp. 49-50. Di Buongiovanni è pervenuta una menzione relativa al 1220(Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, Pergamene, doc.in data 12 settembre 1228). Nel 1228, ormai defunto, risultò essere padre di Ardizzone (ibi-dem, doc. in data 8 ottobre 1228). Forse fratello di Buongiovanni era Arduino de Ivaco, con-sole di Santo Eusebio nel 1215 (Biscioni, 1/II, doc. 348, p. 256) e nel 1223 (Biscioni, 2/I, doc.99, p. 153). Ivaco era forse tra i milites immigrati a Vercelli nel 1199 (PC, doc. 277, p. 300).

33 Biscioni, 1/III, doc. 489, pp. 37-38. Si trattava di un famiglia che ricevette in conces-sione i mulini comunali di Trino; essi erano legati alla famiglia dei de Donato, un cui espo-nente, Pietro, fu per tre volte console della società di Santo Stefano nei primi anni delDuecento (Acquisti, I, f. 30; PC, doc. 110, p. 203; ibidem; doc. 262, p. 290): non solo unterreno posseduto dai due fratelli confinava con le terre di Enrico de Donnato (Biscioni, 2/I,

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Guido nel 1199, nel 1201, nel 1202, nel 1208 e nel 1210 fu credenziario. Nel1202 fu definito assieme ad alcuni suoi concittadini nobilis civis vercellensis35.

De Bugella (Ostachio)Anche questa famiglia, pur essendo di elevata estrazione sociale, partecipò solo

marginalmente alla vita politica cittadina: Pietro e Lanfranco de Bugella furonopresenti tra i credenziari del 1170.

Corrado era prete e canonico del capitolo cattedrale36.

Bigura (Uberto)Si tratta di una famiglia probabilmente di estrazione popolare. Bigura era cre-

denziario nel 1180.Nell’anno 1209 Pietro Bigura di Montemorfoso consegnò delle terre di pro-

prietà del capitolo al canonico Nicola Alciati37.

Biterno-Bigurracane (Guglielmo)A Vercelli, se si eccettua lo stesso Guglielmo, non vi è menzione di un ceppo

familiare nominato Biterno: questo potrebbe piuttosto essere un soprannome datoa Guglielmo Bigurracane, console nel 119438, ossia nello stesso anno in cui tra iconsoli, in altri documenti, compare Guglielmo Biterno39. Errata invece l’interpre-tazione del Mandelli40: egli ipotizza che Matteo Bondoni fosse subentrato aGuglielmo Bigurracane, motivando così le scarse presenze di quest’ultimo: tutta-via entrambi sono presenti in un atto del 18 luglio41.

Bigurracane fu console di giustizia nel 118442, Flamengo rivestì la medesimacarica nel 121043, nel 121344e nel 121945. I Bigurracane appartenevano alla curiavescovile46: imparentati con i Bicchieri47 e con la famiglia di vassalli vescovili dei

doc. 231, pp. 318-319) ma lo stesso Enrico fu fideiussore per Ranieri nell’appalto del muli-no (Biscioni, 1/III, doc. 489, pp. 37-38). I de Donato erano legati all’ospedale degli Scoti:Martino, già presente nel capitolo di S. Eusebio, fu probabilmente suo ministro tra il 1174e il 1183 (M.C. FERRARI, L’ospedale di S. Brigida degli Scoti nella storia di Vercelli medievale(secoli XII-XIV), Vercelli 2001, pp. 42-43).

34 Allo fu console della società nobiliare di Santo Eusebio nel 1213 (Acquisti, I, f. 66);egli era ormai defunto nel 1217, anno in cui il fratello Ottone fu credenziario.

35 DAC, doc. 28, pp. 53-55.36 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 11 giugno 1200.37 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 17 agosto 1209.38 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 568, pp. 327-330; PC, doc. 49, p.

101; Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella, Roma1880, vol. IV, doc. 991, p. 9.

39 PC, doc. 156-161, pp. 239-242.40 Cfr. MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 271.41 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 568, pp. 327-330.42 PC, doc. 273, p. 269.43 Biscioni, 1/III, doc. 504, p. 50.44 Acquisti, I, f. 69.45 Acquisti, I, f. 41.46 Documento dell’archivio arcivescovile relativo all’anno 1181 e trascritto in G.

FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec. XIV, a curadi G. Tibaldeschi, Vercelli 1995, p. 255.

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Preve48, un loro esponente, Flamengo, presenziò alla vendita del castrum diLarizzate fatta dagli Avogadro in favore dei Bondoni, riguardo a cui FrancescoPanero ipotizza un nesso di solidarietà tra le famiglie ivi convenute49. FlamengoBigurracane nel 1202 fu definito assieme a alcuni suoi concittadini nobilis civis ver-cellensis50. Nel 1208 lo stesso Flamengo partecipò al primo consolato della societàdi Santo Eusebio, assieme a un de Guidalardis e a uno Scutario, a conferma dell’in-clinazione nobiliare di questa associazione51.

I Bigurracane erano creditori del monastero cistercense di S. Giovanni dellaVarola52.

Bondoni (Alberto)Sembra superfluo ripercorrere tutte le numerose testimonianze di partecipazio-

ne alla vita politica dei Bondoni, vassalli vescovili ai vertici della nobiltà vercellese;si rimanda al contributo dedicato a questa famiglia da Gianfranco Andenna53.

Burro (Filippo)I Burro erano un ramo dei De Benedetti e, come questi ultimi, erano vassalli

del vescovo54. Lo stesso Filippo fu console di giustizia nel 119255 e console delcomune nel 120256.

Calvo (Giacomo)Giorgio Calvo nel 1207 venne definito assieme a alcuni suoi concittadini nobi-

lis civis vercellensis57. Lo stesso Giorgio fu console della società nel 120558; a con-ferma del prestigio di cui godeva la sua famiglia nel 1222 fece parte del consiglioprivato del podestà59. Alario Calvo resse il consolato di Santo Stefano nel 116960;

47 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 6 settembre 1203.48 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 552, pp. 306-309.49 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 94; erano testimoni all’atto di vendita:

magister Giacomo Cerrione, Giacomo Visconte, Pietro Agnino di Novara, VercellinoScutario, Dromone Tizzoni, Ardizzone e Maifredo Gambaruto, Rogerio e BondonoBondoni, Gilberto e Vercellino Caroso, Flamengo Bigurracane, Giacomo Durio, GualaCocorella e Uberto Serra (ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1804, doc. in data 10 marzo1201).

50 DAC, doc. 28, pp. 53-55.51 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208. Sulla

società di S. Eusebio cfr. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 98-100; A.DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, pp. 61-64.

52 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1808, doc. in data 4 ottobre 1229.53 G. ANDENNA, Per lo studio della società vercellese del XIII secolo. Un esempio: i Bondoni,

in Vercelli nel XIII secolo. Atti del primo congresso storico vercellese, Vercelli 1982, pp. 203-225.54 FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., p. 214.55 Acquisti, I, f. 29.56 DAC, doc. 28, p. 53.57 DAC, doc. 53, pp. 77-79.58 PC, doc. 337, p. 336.59 Biscioni, 1/II, doc. 260, p. 109.60 DAC, doc. 8, p. 19.

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Giacomo fu console di giustizia nel 119261 e nel 121662 e di Santo Eusebio nel121263. Nicola fu console di giustizia nel 120264, nel 120665, nel 120866 e nel121267, di Santo Stefano nel 120168, nel 120469 e nel 120770. Bartolomeo fu con-sole della società “degli scacchi” nel 121771.

I Calvo erano imparentati con i de Guidalardis72 e con i Salimbene73. In undocumento del 1178 Giacomo fu detto figlio di ser Calvo74. Nella credenza del1259 Rogerio de Calvis fu tra i pochi ad essere segnalato come dominus assieme aCentorio, Tizzoni e de Cremona75. Sebbene questa famiglia appaia legata alla socie-tà popolare, la presenza di un suo esponente nel consolato di Santo Eusebiopotrebbe indicare che i Calvo, nel momento in cui l’instaurazione del regime pode-starile e la professionalizzazione del consolato di giustizia portarono ad una dimi-nuzione degli incarichi di prestigio, sempre più gravitanti su ambasciate, procuree consolati societari, utilizzarono queste cariche per la propria affermazione fami-liare76.

Camex (Ottone, Maifredo)I Camex erano vassalli della canonica di S. Eusebio77. Ambrogio Camex nel

1166 fu testimone al testamento del vassallo vescovile Guala di Casalvolone78.Nello stesso anno fu pari di curia in una lite da lui giudicata tra il capitolo di S.Eusebio e i de Sartirana79; nel 1167, nel vendere dei beni al capitolo di S. Eusebio,pose come fideiussore Bonifacio de Ugucione80. Nel 117381 e nel 118082 fu assesso-re del vescovo Guala Bondoni.

61 Acquisti, I, f. 29.62 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 7 febbraio 1216.63 PC, doc. 254, p. 284.64 DAC, doc. 28, p. 53.65 PC, doc. 65, p. 139.66 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.67 PC, doc. 109, p. 201.68 Biscioni, 1/II, doc. 288, pp. 136-138.69 PC, doc. 110, p. 203.70 DAC, doc. 53, p. 77.71 ACV, Atti privati, cartella XVII, doc. in data 6 gennaio 121772 Biscioni, 1/II, doc. 217, p. 61.73 Maifredo era sposato con Giacoma, figlia di Corrado (I necrologi eusebiani, a cura di

G. Colombo, in “BSBS”, 6 (1901), pp. 1-15, con particolare riferimento a p. 5).74 Le carte dell’archivio arcivescovile di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, Pinerolo 1917

(BSSS, 85/2), doc. 12, p. 229. 75 Biscioni, 1/II, doc. 286, pp. 131-132.76 E. ARTIFONI, Itinerari di potere e configurazioni istituzionali a Vercelli nel secolo XIII,

in Vercelli nel secolo XIII cit., pp. 263-278; cfr. capitolo II, p. 81. È possibile reperire unafotografia del vasto patrimonio immobiliare dei Calvo, composto da case, terre e anche dadue luoghi di mercato, alla metà del XIII secolo in DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit.,p. 165.

77 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 156.78 M. PEROSA, Bulgaro (Borgovercelli) e il suo circondario, Vercelli 1889, p. 281.79 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 198, pp. 237-239.80 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 220, pp. 262-263.81 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 287, pp. 328-329.82 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 391, pp. 90-91.

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Egli fu console di giustizia nel 117883, nel 118084, nel 118185, nel 118486 e nel118587, credenziario nel 1170 e nel 1184. Maifredo Camex fu credenziario nel1184, nel 1199, nel 1201 e nel 1202, Ottone Camex nel 1208; inoltre nel 1193 lostesso Ottone rivestì l’importante incarico di molaris88. Al suo arbitrato e a quellodi Guala Avogadro, di Girardo Carisio e di Alberto Tetavegia si sottomisero nel1208 il vescovo di Torino, il vercellese Giacomo Carisio e la famiglia dei Sili, peruna lite sul pedagium nella città di Torino89.

Nel 1173 Ottone vendette a Alberto Dal Pozzo un manso a Casalrosso90. Nel1197 Maifredo Camex, alienò delle terre in Selve al monastero del Muleggio: daldocumento si viene a sapere che tramite la moglie si era imparentato con i Pelato91.I Camex erano imparentati anche con i Bondoni e gli Sperlinus92. Ottone Camexpossedeva un mulino assieme a Ardizzone Becco93.

Capella (Oliviero)Oliverio Capella fu console del comune nel 116794, nel 117095, nel 117996, nel

118097, nel 118198, nel 118399, nel 1184100, nel 1185101 e nel 1191102 e di giustizianel 1187103. Matteo Capella fu console nel 1193104. Guala fu canonico di S.Eusebio alla fine del XII secolo105. Nel XIII secolo questa famiglia scomparve dal-l’organigramma comunale106.

83 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 371, p. 67.84 HPM, Chartarum, II, doc. 1579, col. 1077.85 Biscioni, 2/I, doc. 83, p. 133.86 Acquisti, I, f. 28.87 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 446, pp. 158-159.88 DAC, doc. 18, p. 34. Su questa carica cfr. capitolo III, pp. 147-151.89 Le carte dello archivio arcivescovile di Torino fino al 1310, a cura di F. Gabotto e G.B.

Barberis, Pinerolo 1906 (BSSS, 36), doc. 140, pp. 145-148.90 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 295, pp. 337-339.91 Cartario del monastero di Muleggio e di Selve, a cura di G. Sella, Pinerolo 1917 (BSSS,

85/1), doc. 15, pp. 19-21.92 ACV, Atti privati, cartella XXIX, doc. in data 22 marzo 1234.93 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 1 maggio 1202.94 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 215, p. 256.95 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 268.96 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 268.97 HPM, Chartarum, II, doc. 1579, col. 1077.98 Biscioni, 2/I, doc. 83, p. 132.99 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 269.100 Acquisti, I, f. 28.101 Biscioni, 1/III, doc. 563, p. 143.102 Acquisti, I, f. 45-46.103 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 479, p. 192.104 PC, doc. 159, p. 240.105 E. MAYER, Die Funktion von Hospitälern in städtischen Kommunen Piemonts (11.-13.

Jahrhundert), Frankfurt am Main 1992, p. 299.106 Sui Capella cfr. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 97, dove viene mostra-

ta l’ascendenza nobiliare di questa casata, i cui esponenti non comparvero mai nelle fila dellasocietà popolare.

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de Carengo (Maifredo)Lantelmo de Carengo fu credenziario nel 1184 e console di Santo Stefano nel

1193107. Manuele de Carengo fu console di Santo Eusebio nel 1214108, di giustizianel 1219109 e di Santo Stefano nel 1224110. Difficile avanzare delle ipotesi sulla col-locazione cetuale di questa famiglia; di rilievo il fatto che Lantelmo nel 1202 venis-se definito nobilis civis vercellensis111. I de Carengo erano imparentati con famiglieinserite nell’aristocrazia cittadina come i Carraria, gli Agazia e gli Stroppiana112. Ilfatto stesso che dopo aver partecipato alla società popolare essi nel XIII secoloabbiano ricoperto consolati anche di quella di Santo Eusebio potrebbe indicareuna loro maggiore integrazione nell’ambiente nobiliare, su cui si riflettono forseanche gli esiti magnatizi della società vercellese del XIII secolo.

Essi possedevano terre in numerose località del Vercellese: a Balzola113, aBorgovercelli, a Casalvolone, a Isolella114, a Trino e a Carengo, dove avevano unacascina115. Lantelmo de Carengo, i cui figli erano Manuele e Ambrogio116, avevacontratto debiti117. I de Carengo praticavano inoltre l’attività creditizia118.

Caroso (Bartolomeo, Gilberto, Vercellino)Enrico Caroso fu console del comune nel 1180119, nel 1181120, nel 1185121, nel

1186122, nel 1188123 e nel 1189124. Bartolomeo fu console di giustizia nel 1184125,nel 1190126, nel 1197127 e console di Santo Stefano nel 1188128 e nel 1194129.Giacomo fu console di giustizia nel 1185130. Gilberto Caroso fu console del comu-

107 Biscioni, 1/III, doc. 576, p. 163.108 Acquisti, I, f. 10.109 Acquisti, I, f. 41.110 Le carte dello archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, a cura di F. Gabotto, Pinerolo

1900 (BSSS, 5), vol. I, doc. 115, p. 161.111 DAC, doc. 28, pp. 53-55.112 Biscioni, 1/II, doc. 220, p. 61-63, documento relativo all’anno 1191.113 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 26 aprile 1207.114 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 31 maggio 1209.115 Le carte del monastero di Rocca delle Donne, a cura di F. Loddo, Novara 1929 (BSSS,

89), doc. 75, pp. 102-105.116 Cfr. Appendice 2 e ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 16 giu-

gno 1205.117 G. FERRARIS, L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia,

società, Vercelli 2003, p. 136.118 ACV, Atti privati, cartella XXI, doc. in data 26 luglio 1223. 119 Biscioni, 1/III, doc. 495, p. 43.120 PC, doc. 118, p. 219.121 PC, doc. 119, p. 220.122 PC, doc. 120, p. 220.123 Il Registrum magnum del comune di Piacenza. I, a cura di A. Corna, F. Ercole, A.

Tallone, Torino 1921 (BSSS, 95/I), doc. 27, p. 28.124 PC, doc. 138, p. 231.125 Acquisti, I, f. 28.126 Biscioni, 1/III, doc. 640, p. 197.127 PC, doc. 116, p. 212.128 Il Registrum magnum cit., doc. 27, p. 28.129 PC, doc. 49, p. 104.130 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 446, pp. 158-159.

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ne nel 1192131, nel 1201132, nel 1202133, console di giustizia nel 1208134, di SantoStefano nel 1215135 e probabilmente nel 1219136; nel 1205 fu podestà di Ivrea137.Vercellino fu console di Santo Stefano nel 1197138. Gervasio fu console del comu-ne nel 1205139, nel 1206140, console di giustizia nel 1202141 e di Santo Stefano nel1201142, nel 1204143, nel 1207144, nel 1208145, nel 1209146 e nel 1210147. Nicola fuconsole della società “degli scacchi” nel 1217148.

Le informazioni rinvenute non lasciano dubbi sulla collocazione cetuale diquesta famiglia: i Caroso appartenevano alla curia vescovile149 e vantavano espo-nenti nel capitolo cattedrale, di cui Matteo fu canonico150; inoltre sia Gilberto siaVercellino Caroso furono detti nobiles cives vercellenses151. L’inserimento di questafamiglia nella società popolare avvenne in maniera tardiva, quando ormai era beninserita nell’aristocrazia consolare, a partire dal 1194. Tale indirizzo, che forserispose anche ad una politica familiare di occupazione degli apparati di potere152,si accorda con gli interessi commerciali intrattenuti proprio in quel periodo dallacasata153.

Cavagliasca (Simone)Simone Cavagliasca fu console del comune nel 1148154 e di giustizia nel 1178155;

aveva contatti anche con la società di Santo Stefano, di cui resse il consolato nel1182156 e nel 1186157. Giacomo fu console della società “degli scacchi” nel 1217158.

131 PC, doc. 60, p. 128.132 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 272.133 DAC, doc. 28, p. 53.134 PC, doc. 86, p. 168.135 PC, doc. 28, p.56.136 Acquisti, I, f. 41, dove viene citato un tale Gilberto.137 DAC, doc. 38, p. 64.138 PC, doc. 116, p. 212.139 PC, doc. 337, p. 336.140 DAC, doc. 22, p. 40.141 DAC, doc. 28, p. 53.142 Biscioni, 1/II, doc. 288, pp. 136-138.143 PC, doc. 110, p. 203.144 PC, doc. 83, p. 165; il documento è datato 1208, ma l’indizione e la presenza dei

consoli dell’anno precedente lo fanno ascrivere al 1207.145 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.146 PC, doc. 81, p. 162.147 PC, doc. 34, p. 71.148 ACV, Atti privati, cartella XVII, doc. in data 6 gennaio 1217.149 FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., p. 255.150 ACV, Atti privati, cartella XVI, doc. in data 26 marzo 1214.151 DAC, doc. 28, pp. 53-55; doc. 53, pp. 77-79. Sui Caroso cfr. PANERO, Istituzioni e

società a Vercelli cit., p. 115.152 ARTIFONI, Itinerari di potere cit., pp. 263-278.153 Acquisti, I, f. 51-52.154 Biscioni, 1/III, doc. 565, p. 145.155 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 371, p. 67.156 Acquisti, I, f. 27.157 PC, doc. 102, p. 188.158 ACV, Atti privati, XVII, doc. in data 6 gennaio 1217.

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Il fatto che Simone abbia rivestito uno dei primi consolati comunali lo fa ascri-vere al ceto dirigente cittadino. Andrea Degrandi ha mostrato come costui nonpossa essere ricondotto alla famiglia comitale dei Cavaglià159.

I Cavagliasca possedevano beni ad Asigliano160.

CentorioI Centorio erano inizialmente mercanti di pellicce161; nel 1181 Medardo

Centorio fu credenziario nel 1184 assieme a Aichino e Bentivoglio. Centorio fuconsole del comune nel 1170162, di giustizia nel 1179163, nel 1187164, nel 1188165,nel 1189166, nel 1193167 e nel 1196168, di Santo Stefano nel 1180169, nel 1181170 enel 1186171. Aichino fu console del comune nel 1198172, di giustizia nel 1190173 enel 1195174 e della società nel 1188175 e nel 1194176; fece inoltre un’ambasciata perconto del comune nel 1199177. Bentivoglio fu console del comune nel 1191178;Paino fu console della società nel 1200179, Maifredo nel 1205180 e nel 1209181.Paino, inoltre, fu ambasciatore vercellese a Torino182. Centorio nel 1206 detenevauna procura dal capitolo cattedrale per proprietà a Balzola183. A conferma dellaloro elevata estrazione sociale Ranieri Centorio fu podestà di Casale Monferratonel 1224184, mentre Giacomino nel 1243 fece parte del capitolo cittadino185.Inoltre, nel 1224 Aicardo fu console della società nobiliare186. Tuttavia già nel 1181

159 DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., pp. 37-38.160 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 2, n. 59 (4 luglio 1210).161 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 96.162 Biscioni, 1/III, doc. 498, p. 47.163 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 14, p. 231. 164 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 479, p. 192.165 Il Registrum magnum cit., doc. 27, p. 28.166 PC, doc. 139, p. 231.167 Biscioni, 1/III, doc. 576, p. 163.168 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 600, pp. 370-371.169 Biscioni, 1/III, doc. 495, p. 43.170 Acquisti, I, f. 27.171 Biscioni, 1/II, doc. 446, p. 383.172 Cartario Alessandrino fino al 1300, a cura di F. Gasparolo, Torino 1928 (BSSS, 113),

vol. I, doc. 149, pp. 208-209.173 PC, doc. 143, p. 233.174 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 585, p. 344.175 Il Registrum magnum cit., doc. 27, p. 28.176 PC, doc. 161, pp. 241-242.177 PC, docc. 51-52, pp. 105-110.178 Acquisti, I, f. 45-46.179 Acquisti, I, f. 30.180 PC, doc. 337, p. 336.181 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 21 aprile 1209.182 Le carte dello archivio arcivescovile di Torino cit., doc. 117, pp. 114-123.183 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 3 aprile1206.184 Le carte dell’archivio capitolare di Casale Monferrato, a cura di F. Gabotto e V. Fisso,

Pinerolo 1907 (BSSS, 40), vol. I, doc. 112, p. 172.185 Biscioni, 1/I, doc. 48, p. 144.186 Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 115, p. 161.

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Medardo Centorio venne menzionato tra i maiores vercellesi che giurarono fedeltàagli uomini di Ivrea187. Alla famiglia dei Centorio apparteneva anche AlbertoCagnola – ricordato in un documento del 1222 come “Alberto de Centorio quidicitur Albertus Cagnola”188 –, console di Santo Eusebio nel 1219189 e “miles iusti-tie” nel 1214190. Egli nel 1218 cedette a Giacomo Ferrario e ad Alberto Tetavegia isuoi diritti nei confronti di Guglielmo Pedeoca di Modena e Borronus Rubacore diParma, in una transazione che potrebbe lasciare intravedere interessi commercia-li191: l’informazione non è priva di interesse se si pensa che con l’ambiente mercan-tile parmigiano era in contatto anche la famiglia dei Garbagna192. MaifredoCagnola fu invece console di Santo Stefano nel 1224193. Questo ramo della fami-glia diede anche un vescovo a Torino, Uguccione, in precedenza canonico vercel-lese194, in carica dal 1231 al 1243195.

Per questa casata è testimoniata la pratica di attività feneratizie196.

Cona (figli di)Fra il 1182 e il 1185 vennero denunciate le dilapidazioni del vescovo Guala

Bondoni: in quell’occasione si accennò a Ottone, fratello di Cona e vassallo deiBondoni197. Lo stesso Cona diede a Pietro Bondoni 4 bubulconie di terra di perti-nenza vescovile, ottenendo vantaggi198.

Crispo (Nicola)Si tratta di una cospicua famiglia popolare di beccai199, la cui fortuna politica

187 Il libro rosso del comune di Ivrea, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1914 (BSSS, 74),doc. 164, p. 148; Su questa famiglia cfr. anche quanto detto da PANERO, Istituzioni e socie-tà a Vercelli cit., p. 96. Sull’interpretazione da attribuire al termine “maior”, non necessaria-mente discriminante da un punto di vista cetuale, seppure orientato nell’ambito del grup-po dirigente cittadino, cfr. FASOLI, Città e feudalità cit., pp. 368-371. A. BARTOLI LANGELI,La realtà sociale assisana e il patto del 1210, in Assisi al tempo di San Francesco. Atti del V con-vegno internazionale. Assisi 13-16 ottobre 1977, Assisi 1978, pp. 271-336 considera congrande attenzione il significato del termine per Assisi, dove veniva utilizzato in contrappo-sizione al popolo; inoltre mostra come il suo contenuto e la cronologia delle attestazionivarino da città a città.

188 ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 1 gennaio 1222.189 Acquisti, I, f. 41.190 Acquisti, I, f. 65.191 Acquisti, II, f. 63.192 Cfr. oltre il lemma dedicato a questa famiglia.193 Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 115, p. 161.194 ACV, Atti privati, cartella XXI, doc. in data 25 giugno 1223.195 G. CASIRAGHI, Vescovi e città nel Duecento, in Storia di Torino. 1. Dalla preistoria al

comune medievale, a cura di G. Sergi, Torino 1997, pp. 659-714, con particolare riferimen-to alle pp. 669-671.

196 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 2 gennaio 1201: Giacomo Centorio avevaun credito di venti lite sui Traffo. ACV, Atti privati, cartella XIV, doc. in data 9 febbraio1211: Maifredo e Alberto Centorio vantavano assieme a Giacomo Ferrario un credito di200 lire di pavesi su Ruffino di Caresana.

197 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 18, p. 236.198 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 18, p. 236.199 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 85-86.

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è legata alla società di Santo Stefano, in cui si inserirono precocemente: ne furonoconsoli Vercellino nel 1169200 e Nicola nel 1213201. Vercellino Crispo fu credenzia-rio nel 1170, nel 1199 e nel 1202.

A consolidamento della propria posizione sociale questa famiglia attorno allametà del XIII secolo espresse anche un notaio, Aichino Crispo202.

Fata (Giacomo)Giacomo era legato alla società di Santo Stefano, di cui resse il consolato nel

1182203, nel 1184204, nel 1186205 e nel 1202206; fu anche console di giustizia nel1179207 e credenziario nel 1170 e nel 1184. Il fatto che Giacomo nel 1181 venis-se ricordato assieme ad alcuni concittadini come maior208 induce a collocarlo tra lepiù cospicue famiglie vercellesi. Martino Fata nel 1200 fu converso di S.Bartolomeo, ospedale legato alla società popolare209.

I Fata possedevano terre ed una cascina a Larizzate210.

De Fontaneto (Nicola, Bartolomeo)Nicola de Fontaneto era uno iudex211. Egli fu console del comune nel 1192212,

di giustizia nel 1180213, nel 1181214, nel 1184215, nel 1186216, nel 1188217, nel1190218 e nel 1194219, di Santo Stefano nel 1182220, nel 1187221 e nel 1188222. Ilfratello Bartolomeo de Fontaneto fu console di Santo Stefano nel 1184223, nel1186224, nel 1194225. Lo stesso Bartolomeo e l’altro fratello Filippo furono tra i

200 DAC, doc. 8, p. 19.201 PC, doc. 256, p. 286.202 PC, doc. 30, p. 65, il documento è relativo all’anno 1254. Egli era stato console di

giustizia l’anno precedente (ACV, Atti privati, cartella VIII, doc. in data 1 febbraio 1253). 203 Acquisti, I, f. 27.204 PC, doc. 273, p. 296.205 Biscioni, 1/II, doc. 446, p. 368.206 DAC, doc. 25, p. 45.207 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 14, p. 231.208 Il libro rosso cit., doc. 164, p. 148. Sull’inclusione dei doctores legis nei maggiorenti

cittadini cfr. FASOLI, Città e feudalità cit., p. 371209 Le carte dell’archivio arcivescovile, doc. 25, p. 246.210 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 16 ottobre 1203; ibidem, doc. in data 29

aprile 1207.211 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 413, p. 119.212 PC, doc. 60, p. 128.213 HPM, Chartarum, II, doc. 1579, col. 1077.214 Biscioni, 2/I, doc. 83, p. 132.215 PC, doc. 273, p. 296.216 Biscioni, 1/II, doc. 446, p. 383.217 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 479, p. 192.218 Biscioni, 1/III, doc. 640, p. 197.219 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 568, p. 328.220 Acquisti, I, f. 27.221 PC, doc. 130, p. 226.222 Il Registrum magnum cit., doc. 27, p. 28.223 PC, doc. 273, p. 296.224 Biscioni, 1/II, doc. 446, p. 383.225 PC, doc. 161, pp. 241-242.

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fondatori dell’ospedale di S. Bartolomeo, legato alla società di Santo Stefano226. Perquesta famiglia il ruolo rivestito nella società popolare, oltre al prestigio personaledi cui doveva godere il giudice Nicola, fu un trampolino di lancio per il suo inse-rimento nell’aristocrazia consolare. Interessante constatare la corrispondenza tra iconsolati di giustizia di Nicola e quelli della società di Bartolomeo. I de Fontanetosono imparentati con alcuni dei maggiori gruppi parentali vercellesi: con iSalimbene227, una famiglia di vassalli vescovili228, i Carosio e i de Guidalardis229. Lostesso Nicola era imparentato con i Barletarius, con i Testa e con gli Alciati230. Ciònonostante i de Fontaneto esercitavano un’attività artigianale: infatti Filippo deFontaneto è menzionato come ferrarius231; inoltre in una presentazione di testi perla causa vertente sulle isole di Filippo Burro, Federico e Benedetto De Benedetti,Ottone Camex e Bartolomeo de Fontaneto i testimoni citano quest’ultimo comeBartolomeo ferrarius232. Se stupisce lo svolgimento di un mestiere artigianale inuna famiglia che esprimeva giudici, era legata ad alcune delle più nobili famiglievercellesi e che era titolare di diritti signorili nel Biellese, bisogna comunque ipo-tizzare che costoro avessero in proprietà una grande fucina; inoltre lo svolgimentodi tale attività chiarisce ulteriormente i legami di questa discendenza con la socie-tà di Santo Stefano233.

De Fossato (Guala)Pur non occupando grande spazio nella vita politica vercellese, egli nel 1181 fu

segnalato tra i maiores vercellesi che giurarono fedeltà agli uomini di Ivrea234. I deFossato, vassalli della canonica di S. Eusebio, nel 1182 possedevano un mulino aCaresana235.

Garbagna (Giovanni)I Garbagna erano un ramo della famiglia di vassalli vescovili dei Bentivoglio236:

infatti, Giacomo di Garbagna era fratello di Guala di Bentivoglio237. Essi eranolegati alla fazione nobiliare. Ampiamente rappresentati nella credenza cittadina,Guido resse il consolato della società di Santo Eusebio nel 1219238 e nel 1229239.

226 FERRARIS, Le chiese “stazionali” cit., pp. 190-191. Sul legame tra l’ospedale e la socie-tà popolare cfr. invece supra, p. 81. La parentela fra Nicola, Bartolomeo e Filippo è testimo-niata da Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 398, p. 105, relativo al 1181.

227 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 573, pp. 334-335.228 Cfr. Appendice 2.229 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 93.230 Documenti biellesi, a cura di P. Sella, F. Guasco di Bisio, F. Gabotto, Pinerolo 1908

(BSSS, 34), doc. 9, pp. 225-226.231 Biscioni, 2/I, doc. 210, pp. 302-303.232 PC, doc. 70, pp. 145-149.233 Sui de Fontaneto cfr. anche PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 84.234 Il libro rosso cit., doc. 164, p. 148.235 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 411, pp. 116-118.236 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 84.237 FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori cit., p. 191.238 Acquisti, I, f. 41.239 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.

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Lo stesso Guido in un documento del 1247 venne ricordato come “quondamdomini Guidonis de Garbania”240.

Arduino Garbagna fece una cospicua donazione in favore dell’ospedale di S.Paolo241. Giovanni, che abitava nella vicinia di S. Maria242, era sposato conMantropola de Guidalardis243. Lo stesso Giovanni fu castellano di Mongrando nel1207244. Nel 1192 gli eredi del fu Giovanni, di cui non è stato rinvenuto il rappor-to di parentela con il Giovanni castellano di Mongrando, vantavano un creditoverso Manzo, merciaio di Parma, a testimonianza di un’attività feneratizia o forsecommerciale245.

Guiscardo (de Adalaxia)Si trattava forse di Guiscardo di Adalasia, appartenente ad una famiglia di vas-

salli del vescovo246 e dell’abbazia di S. Stefano247, proveniente da Caresana248, pro-babilmente imparentati con Centorio e de Fontaneto249. Egli fu console del comu-ne nel 1186250 e nel 1187251. Raimondo, figlio di Guiscardo, fu canonico di S.Eusebio all’inizio del XIII secolo252.

De Iudicibus (Trancherio)Probabilmente inserito nel gruppo vassallatico del presule vercellese253, egli,

figlio di Bono fratello di Buonsignore254, deteneva un feudo dal vassallo vescovileGiacomo Lenta255. Buonsignore Giudice, probabilmente lo stesso zio diTrancherio, ricoprì i primi consolati del comune256. Alla fine del XII secolo eall’inizio del XIII i de Iudicibus apparivano legati alla società popolare, di cui Guidoresse il consolato nel 1182257, Buonsignore nel 1201258, nel 1206259, nel 1208260,

240 Biscioni, 1/II, doc. 291, p.140.241 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. I, doc. 262, p. 305.242 PC, doc. 336, p. 334.243 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. II, p. 375.244 Acquisti, I, f. 53.245 Acquisti, f. 46.246 DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 8.247 Le pergamene di S. Stefano in Vercelli (1183-1500), a cura di G. Bologna, Milano

1972, doc. 2, p. 5.248 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 306, p. 2. 249 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 443, p. 152.250 Biscioni, 1/II, doc. 446, p. 368.251 PC, doc. 122, p. 222.252 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 27 agosto 1203.253 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 84.254 I necrologi eusebiani, a cura di R. Pastè, in “BSBS”, 25 (1923), pp. 332-355, con par-

ticolare riferimento a p. 348.255 Le carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 312, pp. 7-9.256 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, pp. 268-269.257 Acquisti, I, f. 27.258 Biscioni, 1/II, doc. 288, pp. 136-138.259 PC, doc. 341, p. 342.260 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, doc. del 18 febbraio 1208.

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nel 1209261 e nel 1212262, Tealdo nel 1219263. Il fatto che Buonsignore e Tealdoabbiano avuto accesso al consolato di giustizia denuncia la preparazione giuridicadi alcuni dei loro esponenti264. Buonsignore, assieme ad Alario di Moncravello e aGuido Asigliano nel 1210 venne detto miles265.

Trancherio nel 1181 fu istituito missus dal suo dominus Aldo de Vareglato266.

MesclavinusSi hanno poche notizie a disposizione su questo personaggio e sulla sua fami-

glia: come si è visto egli fu custode di un’isola requisita dal comune nei primi annidel XIII secolo267. A partire dal secondo decennio del XIII secolo un notaio dinome Bentivoglio de Mesclavino, credenziario nel 1222 e sindaco comunale nel1224268, roga atti per il comune269: è possibile che si tratti del figlio, morto primadel 1230270.

Oliva (Buongiovanni)Giovanni o Buongiovanni Oliva fu console del comune nel 1184271, nel

1185272, nel 1202273 e nel 1205274, di giustizia nel 1190275, nel 1191276, nel1194277, nel 1197278, nel 1199279 e nel 1200280, di Santo Stefano nel 1181281, nel1182282, nel 1184283, nel 1192284, nel 1193285 e nel 1201286. Il legame tra la socie-tà popolare e questa famiglia permase con Guglielmo che ne fu console nel1215287. Gli Oliva erano imparentati con la casata capitaneale dei Traffo288.

261 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 21 aprile 1209.262 PC, doc. 254, p. 284.263 Acquisti, I, f. 41.264 PC, doc. 84, p. 166; Gli atti del comune di Milano cit., doc. 380, p. 502; ACV, Atti

pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 6 settembre 1226.265 ACV, Atti privati, cartella XIV, relativo all’anno 1210.266 HPM, Chartarum, I, p. 1088.267 PC, doc. 70, p. 148.268 Il libro rosso cit., doc. 150, p. 135.269 Cfr. per esempio Il libro rosso cit., doc. 28, p. 57, relativo all’anno 1215.270 Biscioni, 2/I, doc. 132, p. 226: “Nicolino filio condam Benivolii de Mesclavino”.271 Acquisti, I, f. 28.272 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 269.273 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, p. 272.274 PC, doc. 337, p. 336.275 PC, doc. 143, p. 233.276 Acquisti, I, f. 45-46.277 PC, doc. 161, p. 241.278 PC, doc. 116, p. 212.279 PC, doc. 277, p. 300.280 Acquisti, I, f. 30.281 Acquisti, I, f. 27.282 Acquisti, I, f. 27.283 PC, doc. 273, p. 296.284 Acquisti, I, f. 95.285 Biscioni, 1/III, doc. 576, p. 163.286 Biscioni, 1/II, doc. 288, p. 136.287 PC, doc. 207, p. 259.288 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 29 dicembre 1201.

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Essi praticavano l’attività feneratizia289.

PellagalloNessuna informazione certa su questo personaggio.

Pelliccia (Antonio)Si tratta di una famiglia del populus, che svolgeva la professione di beccai e che

era legata alla società popolare, di cui Dionisio resse il consolato nel 1204290. Lostesso Dionisio fu credenziario nel 1221, nel 1222, nel 1223, e nel 1224.

Bruno Pelliccia è ricordato nei necrologi eusebiani per avere donato un campoal capitolo291, così come Otta292.

Rufino (Anfosso di Uberto)Nessuna informazione certa su questo personaggio.

TetavegiaApparteneva ad una famiglia di ascendenza militare e con una preparazione

giuridica, che, pur di origini probabilmente popolari, nel XIII secolo riuscì adaffermarsi tra i maggiori gruppi parentali vercellesi: egli fu console di giustizia nel1200293 e di Santo Stefano nel 1193294. Alberto Tetavegia fu console del comunenel 1207295, di giustizia nel 1201296, nel 1204297, nel 1205 e nel 1214298, di SantoStefano nel 1197299 e nel 1199300. Nel 1218 fu canevario del comune301; fu inoltrepodestà di Trino nel 1211-1213302 e di Treviso nel 1219303. Egli fu detto dominusnel 1224304, così come Tetavegia de Tetavegiis nel 1254305. Del resto già nel 1181

289 ACV, Atti privati, cartella XIV, doc. in data 26 agosto 1211.290 Acov, Pergamene, 9 febbraio 1224: Dionisio è detto becharius. Anche nel 1204 un

Dionisio compare tra i consoli di Santo Stefano come beccarius (PC, doc. 112, p. 206),mentre negli altri documenti relativi a quell’anno tra i consoli della società compareDionisio Pelliccia (per esempio in PC, doc. 111, p. 205).

291 I necrologi eusebiani, a cura di G. Colombo, in “BSBS”, 2 (1897), pp. 210-221, conparticolare riferimento a p. 213.

292 I necrologi eusebiani, a cura di G. Colombo, in “BSBS”, 7 (1902), pp. 366-374, conparticolare riferimento a p. 370.

293 Biscioni, 1/II, doc. 248, p. 102.294 PC, doc. 144, p. 234.295 PC, doc. 78, p. 158.296 Biscioni, 1/II, doc. 288, p. 136.297 PC, doc. 111, p. 205.298 PC, doc. 337, p. 336.299 PC, doc. 116, p. 212.300 PC, doc. 52, p. 108.301 Biscioni, 1/II, doc. 354, p. 260.302 PC, docc. 107-109, pp. 196-201.303 G. MAURISIO, Cronaca Ezzeliniana (anni 1183-1237), Vicenza 1986, p. 37; S.

BORTOLAMI, Da Bologna a Padova, da Padova a Vercelli: ripensando alle migrazioni universi-tarie, in L’università di Vercelli nel Medioevo cit., pp. 35-75, con particolare riferimento a p.54.

304 AcoV, Pergamene, 9 febbraio 1224.305 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1813, doc. in data 20 settembre 1254.

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Tetavegia venne ricordato assieme ad alcuni concittadini tra i maiores della città306.I Tetavegia erano imparentati con i Buttino, con i de Pusterna307 e, nel 1239, con iBentivoglio308.

Tetavegia possedeva un mulino per cui pagava un censo al capitolo di S.Eusebio309.

Tizzoni (Dromone)Nel XIII secolo questa famiglia rivestì un ruolo di primo piano nella politica

vercellese, tuttavia si inserì solo tardivamente nell’aristocrazia consolare, nel 1196,quando Dalfino Tizzoni fu console del comune310. Dromone fu console del comu-ne nel 1205311 e nel 1206312; di giustizia nel 1197313, nel 1201314 e nel 1208315.Federico ricoprì il consolato di giustizia nel 1202316. L’unico contatto relativo alperiodo preso in considerazione con le società vercellesi è relativo al 1219, anno incui Giacomo fu console di Santo Stefano317. Dromone Tizzoni fu ambasciatore peril comune nel 1207318. Federico Tizzoni nel 1224 venne detto dominus319.

I Tizzoni possedevano terre a Larizzate, a Casalrosso e nel castello di Desana,tuttavia né provenivano dalla curia vescovile né vantavano esponenti nel capitolocattedrale320.

ZanardoNel 1201 Zanardo fece parte della credenza cittadina. Circa venti anni dopo

comparve nelle credenze un tale Zenoardo de Carengo, presente nel 1222 e nel1223 (in quest’ultimo caso indicato semplicemente come Zenoardo)321: è impro-babile si tratti dello stesso personaggio.

306 Il libro rosso cit., doc. 164, p. 148.307 Le carte dell’archivio arcivescovile cit., doc. 17, pp. 234-235.308 ACV, Atti privati, cartella IV, doc. in data 10 aprile 1239.309 Le Carte dell’archivio capitolare cit., vol. II, doc. 585, pp. 344-345.310 Biscioni, 1/II, doc. 516, p. 78.311 PC, doc. 337, p. 336.312 DAC, doc. 22, p. 40.313 PC, doc. 116, p. 212.314 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVII, doc. in data 12 maggio 1201.315 PC, doc. 86, p. 168.316 DAC, doc. 28, p. 53.317 PC, doc. 86, p. 168.318 PC, doc. 57, pp. 115-117.319 Acov, Pergamene, 9 febbraio 1224.320 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 92.321 Cfr. Appendice 2.

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Appendice 2: extimatores, iudices, inquisitores e procura-tores comunium

Si forniscono qui alcune informazioni sui personaggi che parteciparono condifferenti mansioni alla gestione dei beni comunali. Di ognuno, oltre a specificareil ruolo ricoperto, si riporteranno notizie, dove ve ne siano, a proposito della suaattività politica e dell’estrazione della famiglia, seguendo i criteri già adottati nellacompilazione della prima appendice, di cui si utilizzeranno anche i rimandi allecredenze fino all’anno 1229. Per i consigli cittadini dal 1230 al 1249 invece si faràriferimento a Biscioni, 2/I, doc. 134, pp. 230-231 e ad Archivio storico dellaBiblioteca Trivulziana di Milano, Fondo Belgioioso, cart. 291, n. 371 per il 1230;DAC, doc. 109, pp. 170-171 per il 1231; Il libro rosso del comune di Ivrea, a curadi G. Assandria, Pinerolo 1914 (BSSS, 74), doc. 246, pp. 270-271 per il 1232; Illibro rosso cit., doc. 247, p. 280 e Biscioni, 2/I, doc. 101, pp. 154-155 per il 1233;Biscioni, 1/I, doc. 158, pp. 334-335 per il 1234; Biscioni, 1/II, doc. 377, pp. 294-296 per il 1236; Biscioni, 1/I, doc. 175, pp. 362-363 per il 1240; Biscioni, 2/I, doc.171, pp. 264-266 per il 1244; ibidem, doc. 106, pp. 166-168 per il 1245; ibidem,doc. 178, pp. 270-272 per il 1246; Biscioni, 1/II, doc. 302, pp. 150-151 per il1247; Biscioni, 2/I, doc. 131, pp. 222-223 per il 1249.

Uberto de AlbanoEgli fu “a comuni Vercellarum constitutus estimator et infictuariando terram

de mezano Sarvi ante portam Airaldi” nel 12072. Fu credenziario nello stesso anno, nel 1208, nel 1212, nel 1214, nel 1215, nel

1218 e nel 1229. Egli nel 1222 possedeva una casa nella vicinia di S. Bernardo3; morì tra il 1229

e il 12304. Nel 1255 venne ricordato come “dominus” e padre di Agnese, data in

1 Il documento è edito in G. FERRARIS, recensione a Le pergamene Belgioioso della biblio-teca trivulziana di Milano (secoli XI-XVIII). Inventario e regesti, a cura di P. Margaroli,Milano 1997, vol. I, in “Bollettino storico vercellese”, 51 (1998), pp. 176-179.

2 PC, doc. 72, p. 150.3 Investiture, I, f. 80.4 Egli risulta defunto nel 1230 (ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1807, doc. in data

12 giugno 1230). L’anno precedente era stato credenziario.

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sposa a Gilio Cainsac5. I de Albano erano imparentati anche con i Salimbene6 e coni Rifferio7.

Egli possedeva terre a Trino8; nel 1230 i suoi figli vendettero una cascina conedifici sita nel suburbio vercellese per 1620 lire di pavesi9.

I de Albano erano inoltre titolari di diritti signorili ed erano inseriti nel capito-lo cattedrale10.

Giovanni di Alisio (De Benedetti)Prima del 1220 fu procurator comunis11. Nel 1216 fu eletto estimatore per

quantificare i danni subiti dal ponte di Torcello durante la guerra12. Egli fu console di Santo Eusebio nel 121013 e credenziario nel 1208, nel 1212,

nel 1213, nel 1214, nel 1215, nel 1218, nel 1230. Nel 1211 fu canevario delcomune14. Si tratta del figlio di Alisio De Benedetti, ampiamente testimoniatonelle credenze di quegli anni15. Assieme ad altri due di Alisio, nel 1223 fu debito-re per l’investitura del castello di Burolo, concessa ad Ottobono De Benedetti, aconferma del fatto che erano rimasti forti i legami con questo ramo della fami-glia16. Nel 1214 prestò 124 lire a Pietro Bondoni e a Guglielmo di Costanzana17.Morì prima del 123918. Il fratello Giacomo di Alisio era uno iudex19 e nella creden-za del 1224 venne definito dominus.

Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

5 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, Pergamene, doc. in data9 maggio 1255.

6 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1807, doc. in data 17 Luglio 1230.7 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 4, n. 149 (14 luglio 1252).8 Investiture, I, f. 5.9 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1807, doc. in data 12 giugno 1230.10 F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello

studio (1228), in L’università di Vercelli nel Medioevo. Atti del Secondo Congresso StoricoVercellese (Vercelli, Salone Dugentesco, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994, pp. 77-165, conparticolare riferimento a p. 97.

11 Investiture, I, f. 67.12 Acquisti, I, f. 75-76.13 Biscioni, 1/III, doc. 558, p. 130.14 Acquisti, I, f. 22.15 Per esempio fu console di giustizia nel 1203 (ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in

data 27 dicembre 1203). Un documento del 1239 offre interessanti ragguagli su Giacomodi Alisio: egli, “Iacobus de Alisio de Benedictis”, era fratello di Giovanni (ASVc,Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, Pergamene, doc. in data 1239).

16 DAC, doc. 101, pp. 147-149. Tra i fideiussori era presente gran parte della nobiltàvercellese, per lo più facente capo alla società di Santo Eusebio.

17 Biblioteca Reale di Torino, Sezione di Storia Patria, Cartulario di S. Andrea di Vercelli,1223, f. 13.

18 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, Pergamene, doc. indata 1239.

19 DAC, doc. 106, p. 158.

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Giacomo de AstNel 1211 fu “procurator constitutus a potestate Vercellarum super his que

comune Vercellarum habet in Tridino”20. Egli fu credenziario nel 1207, nel 1212, nel 1215, nel 1217, nel 1221, nel

1222, nel 1224, nel 1231, nel 1234 e nel 1247. La sua famiglia era tradizional-mente legata alla società di Santo Stefano, di cui Olrico fu console nel 119321 eAmedeo nel 120422. Egli ne resse il consolato nel 121023, nel 121324, nel 121425 enel 1223: l’indicazione mostra, infatti, Santo Eusebio, ma i sette consoli indicati,per appartenenza sociale e per tradizione familiare, devono piuttosto essere collo-cati nelle schiere della società popolare26.

I de Ast erano una famiglia di milites rurali provenienti da Caresana, che si inse-rì nel capitolo eusebiano27. Un’altra testimonianza ci segnala invece nel 1248Giacomo de Ast (nell’improbabile caso che si trattasse della stessa persona) comeformagiarius e creditore del comune per 62 lire di pavesi28.

Guglielmo ArborioNel 1245 fu “super predictis extimationibus [dei beni dei malesardi] constitu-

tus”29. Fu credenziario nel 1221, nel 1234, nel 1240. Nel 1224 e nel 1246 venne qua-

lificato come “dominus”30. Nel 1243 fece un’ambasciata a Milano31; nel 1247,ormai defunto, assieme ad altri cittadini vercellesi risultava essere impegnato anome del comune per un prestito di 5500 lire di pavesi, precedentemente contrat-to con Pietro di Monticello32.

Appartenente agli Arborio era anche Giovanni, abate di S. Genuario diLucedio: egli dal 1244 al 1254 fu vescovo di Torino e sostenitore della politicaguelfa33, cui questa famiglia, esiliata assieme agli Avogadro nel 1248, appare indis-solubilmente legata.

20 Acquisti, I, f. 41.21 PC, doc. 144, p. 234.22 Biscioni, 1/II, doc. 204, p. 48.23 PC, doc. 34, p. 71.24 Acquisti, I, f. 72.25 PC, doc. 262, p. 290.26 Biscioni, 2/I, doc. 99, p. 152; inoltre poco oltre sono riportati i nomi di altri nove

consoli ugualmente di Santo Eusebio. A spiegare il fraintendimento può concorrere il fattoche il documento è una copia tratta da un originale scritto da un notaio milanese.

27 E. MAYER, Die Funktion von Hospitälern in städtischen Kommunen Piemonts (11.-13.Jahrhundert), Frankfurt am Main 1992, p. 301. Sui de Ast cfr. anche PANERO, Istituzioni esocietà a Vercelli cit., p. 84.

28 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 94, p. 359.29 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.30 Il libro rosso cit., doc. 142, p. 127; Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, p.

488. 31 DAC, doc. 124, pp. 201-203.32 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.33 G. CASIRAGHI, E. ARTIFONI, G. CASELNUOVO, Il secolo XIII: apogeo e crisi di un’auto-

nomia municipale, in Storia di Torino. 1. Dalla preistoria al comune medievale, a cura di G.Sergi, Torino 1997, pp. 657-714, con particolare riferimento al contributo di G.CASIRAGHI, Vescovi e città nel Duecento, alle pp. 672-674.

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Alberto AvogadroNel 1226 come procurator comunis diede l’assenso all’investitura di un mulino

a Trino34.Fu credenziario nel 1218, nel 1221, nel 1222, nel 1224, nel 1229, nel 1233,

nel 1234, nel 1240. Sindaco del comune nel 123235, nel 1233 fu ambasciatore adIvrea per le trattative di pace con il comune di questa città36.

Mantello BalzolaNel 1220 fu “procurator comunium et specialiter ad dandum terras et sedimi-

na hominibus habitantibus in Tribus Cerris et Tridino”37; nello stesso anno in qua-lità di “procurator comunis” fece consegnare le terre del castello di Burolo38. Nel1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda, livrandaet in solutum danda” i beni comunali vercellesi39.

Egli fu credenziario nel 1208, nel 1214, nel 1217, nel 1218, nel 1221, nel1224, nel 1228, nel 1229, nel 1230, nel 1231 (Morrellus Balzola), nel 1232, nel1234, nel 1236 e nel 1240; nel 1224 fu console di giustizia40. È possibile che sia il“Mantello” menzionato tra i consoli di Santo Stefano del 122941. Nel 1214 rico-prì l’importante incarico di consul molariorum42. Nel 1215 fu ambasciatore aMilano per la restituzione de Casalaschi prigionieri nelle carceri milanesi43; nel1222 fu miles iusticie44.

La sua famiglia sembra essere di origini popolari, tuttavia suoi esponenti furo-no inclusi nel bando pronunciato nel 1246 contro i Bicchieri, ad indicarne una suapossibile evoluzione in senso magnatizio45. Infatti, nel 1240 venne qualificatocome dominus46.

Egli, assieme al figlio Lantelmino, nel 1240 possedeva terre a Trino47. La suaorigine era di Balzola, dove doveva avere mantenuto contatti, malgrado la residen-

34 Biscioni, 1/III, doc. 489, p. 38.35 Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII (1217-1250), a cura di M.F. Baroni, vol.

I, Milano 1976, doc. 283, p. 407.36 Il libro rosso cit., doc. 248, p. 281. Per la famiglia Avogadro si rimanda a R. RAO,

Politica comunale e relazioni aristocratiche: gli Avogadro tra città e campagna, in Vercelli nelXII secolo, IV Congresso della Società storica vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), incorso di stampa.

37 Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120.38 DAC, doc. 88, p. 114.39 Documento edito in A. DI RICALDONE, Documenti vercellesi in un archivio del Ducato

di Monferrato, in “Bollettino storico vercellese”, 7 (1975), pp. 47-52, con particolare riferi-mento alle pp. 49-50.

40 Le carte dello archivio vescovile di Ivrea fino al 1313, a cura di F. Gabotto, Pinerolo1900 (BSSS, 5), vol. I, doc. 115, p. 161.

41 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.42 DAC, doc. 91, p. 128.43 Biscioni, 1/II, doc. 378, p. 297.44 ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 4 novembre 1222.45 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 53, pp. 443-448.46 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli, Pergamene,

doc. in data 6 febbraio 1240.47 Archivio di Stato di Torino, sez. I, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,

Pergamene, doc. in data 31 gennaio 1240.

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za a Vercelli: nel 1222 venne, infatti, definito Mantello “qui dicitur de Balzola etmanet in Vercellis”48.

Bartolomeo Balzola fu notaio nel 123049.

Pietro BiandrateEgli fu “procurator comunium ut debeat inquirere insulas et moltas comunis

et comuni retinere” nel 121950. Nel 1225 venne eletto dai consoli per rappresen-tare Ottone Gambaruto in una lite con il capitolo di S. Eusebio per un’isola flu-viale a Oldenico51. Nel 1226 fu “procurator comunis Vercellarum et nuncius spe-cialiter et procurator constitutus super facto terrarum et sediminum ipsi comunipertinentium in Tridino et Tribus Cerris, investiendis, concedendis et ad fictumdandis”52. Nel 1231 fu nominato dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda,sortanda, livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi53.

Personaggio di primo piano della politica vercellese e del movimento popola-re, egli fu console di giustizia nel 122154 e nel 122255, di Santo Stefano nel 1208 enel 1209, credenziario nel 1207, nel 1208, nel 1212, nel 1214, nel 1217, nel1221, nel 1222, nel 1224, nel 1230, nel 1233, nel 1236 e nel 1240; inoltre nel1222 fece parte del consiglio privato del podestà56. Nel 1212 fu chiavaro del comu-ne57. Nel 1225 fu qualificato procurator comunis riguardo alla questione con ilmonastero cistercense di Casalvolone58. Nel 1232 fu procuratore per la pace con iconti di S. Martino, ambasciatore a Milano per chiedere il banno degli uomini delCanavese e legato del comune per la sottomissione del conte Guido di Valperga59.Nel 1233 fu ambasciatore per il comune sui fatti di Burolo60 e nel 1243 per pre-parare la venuta dei legati milanesi a Vercelli61. Partecipò alla pace con il contePietro di Masino nel 1248, alleato dei Bicchieri durante il fuoriuscitismo, sicché sideduce il suo sostegno al partito guelfo - popolare62. Nel 1247, assieme ad altri cit-tadini vercellesi, risultava impegnato a nome del comune per un prestito di 5500lire di pavesi precedentemente contratto con Pietro di Monticello63. Uno dei pochi

48 C.F. FRASCONI, Carte dei Conti di Biandrate, in “Bollettino storico della Provincia diNovara”, 83 (1992), pp. 295-313, qui a p. 301, doc. in data 13 dicembre 1222.

49 Biscioni, 2/II, doc. 236, p. 8.50 Acquisti, I, f. 41.51 ACV, Atti privati, cartella XXII, doc. in data 25 aprile 1225.52 Biscioni, 2/II, doc. 322, p. 129.53 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.54 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 21 maggio 1221.55 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 31 dicembre 1222.56 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.57 Acov, Pergamene, doc. in data 7 aprile 1212.58 Biscioni, 1/II, doc. 416, p. 359.59 Il libro rosso cit., doc. 246, pp. 262-271; DAC, docc. 113-114, pp. 180-181.60 C.D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e la società vercellese dei secoli XII e

XIII, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale dell’Università Cattolica di Milano,Milano 1968, vol. I, pp. 207-262, con particolare riferimento a p. 231; Le carte dell’archi-vio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 132, p. 183.

61 Biscioni 1/I, doc. 87, p. 187.62 DAC, doc. 125, p. 205.63 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.

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Vercellesi in grado di rivestire l’incarico di podestà in altre città, egli fu rettore diTorino nel 1234 e di Novara nel 123764.

Egli era figlio di Ardizzone di Biandrate65, uno dei personaggi eminenti delclan dei Biandrate66, console di giustizia e della società alla fine del XII secolo67 ericordato in un documento come “Arditio maior de Biandrato”68; suoi fratellierano Giacomo e Buongiovanni, più volte credenziari e consoli di Santo Stefano69,il secondo anche console nel 1218 della “societas scacorum”70. Pietro fu indicatocome dominus nel 124771 e nel 1253 anno in cui era ormai defunto72. Il figlioGiacomo fu credenziario nel 123373.

La famiglia praticava attività, probabilmente feneratizia, assieme ad altrediscendenze legate alla società di Santo Stefano come gli Alciati74. Pietro nel 1228fu tutore dei figli di Nicola Lanterio75, con cui questo ramo dei Biandrate risulta-va essere imparentato nel 123676. Nel 1219 egli fu creditore di 128 lire di pavesinei confronti del comune77. Possedeva inoltre terre a Borgovercelli e a Casalvolone,a Casale S. Evasio assieme al fratello Giacomo78. Il fratello Buongiovanni avevainvece possedimenti a Montemorfoso79. Nel 1241 il figlio di Pietro, Enrico, eraregistrato all’estimo per l’ingente somma, tra proprietà mobili ed immobili, di1241 lire di pavesi80.

64 Documenti inediti e sparsi sulla storia di Torino, a cura di F. Cognasso, Pinerolo 1914(BSSS, 65), docc. 131-132, pp. 130-131. Archivio storico della diocesi di Novara, FondoFrasconi, XI/4, Giunta ai Monumenti Novaresi.

65 PC, doc. 277, p. 300.66 Cfr. Appendice 1.67 Egli fu console di giustizia nel 1188 (Il Registrum magnum del comune di Piacenza.

I, a cura di A. Corna, F. Ercole, A. Tallone, Torino 1921 (BSSS, 95/I), doc. 27, p. 28), nel1189 (PC, doc. 139, p. 231) e nel 1195 (Cartario del monastero di Muleggio e di Selve, a curadi G. Sella, Pinerolo 1917 (BSSS, 85/1), doc. 12, p. 13) e console di Santo Stefano nel 1187(PC, doc. 130, p. 226), nel 1191 (Acquisti, I, f. 45-46) e nel 1194 (PC, doc. 161, pp. 241-242).

68 Acquisti, I, f. 47.69 Buongiovanni, console di Santo Stefano nel 1192 (Acquisti, I, f. 47), fu menzionato

come figlio del defunto Ardizzone nel 1203 (Biscioni, 1/II, doc. 215, pp. 58-59); Giacomovenne citato come fratello di Pietro nel 1242 (Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc.11, p. 351).

70 ACV, Atti privati, cartella XVII, doc. in data 6 gennaio 1217.71 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.72 Biscioni, 1/III, doc. 583, p. 172.73 Il libro rosso cit., doc. 247, p. 28074 Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi e F. Gabotto, Pinerolo

1914 (BSSS, 71), vol. II, doc. 535, p. 290.75 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1806, doc. in data 3 dicembre 1228.76 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1808, doc. in data 5 settembre 1236.77 Acquisti, I, f. 56. A testimonianza della disponibilità di denaro della famiglia, nel

1212 Giacomo fu creditore di 12 lire verso Guglielmo di Costanzana (Biblioteca Reale diTorino, Sezione di Storia Patria, Cartulario di S. Andrea di Vercelli, 1223, f. 8).

78 Biscioni, 1/II, doc. 376, p. 289.79 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 31 maggio 1209; ibidem, doc. in data 17

agosto 1209.80 Biscioni, 1/III, doc. 583, p. 172.

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È invece dubbia l’identificazione di questa famiglia con i Biandrate che prati-cavano il commercio dei fustagni, tra cui compare un individuo di nomeGiacomo, crediamo solo omonimo del fratello di Pietro81.

Martino BicchieriNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi82.Fu credenziario nel 1224, nel 1230, nel 1234 e nel 1240; nel 1224 fu console

della società di Santo Stefano83 e forse anche nel 122984. Nel 1229 fu rettore dellalega lombarda per il comune assieme a Nicola Carraria85. Nel 1230 fu arbitro sulproblema della miniera acquistata dal comune86. Nel 1233 fu ambasciatore adIvrea per le trattative di pace87. Nel 1246 venne segnalato tra i fuoriusciti ghibelli-ni88.

Nella credenza del 1224 venne qualificato come dominus. I Bicchieri, oggettodello studio di Cosimo Damiano Fonseca89, per ceto appartenevano senza dubbioalla nobiltà cittadina e ben rappresentarono gli esiti magnatizi della società vercel-lese. Tuttavia, dopo aver fornito numerosi consoli del comune nella prima fase delgoverno comunale, durante il periodo podestarile parteciparono solo occasional-mente alle strutture societarie, senza scegliere nettamente uno dei due schieramen-ti: nel 1215 Giovanni fu console di Santo Eusebio90, aderirono invece alla fazionepopolare nel 1224 con il già ricordato consolato di Martino e nel 1229 con quel-lo di Pietro91.

Flamengo BigurracaneNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi92.Fu credenziario nel 1207, nel 1213, nel 1214, nel 1217, nel 1221, nel 1229,

nel 1231, nel 1232 e nel 1233. Egli fu console di giustizia nel 121093, nel 121394

e nel 121995.Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

81 A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, p. 94 (18 mag-gio 1223): Giacomo e i suoi fratelli ereditarono un “locum in foro fustaneorum” apparte-nuto a Guglielmo.

82 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.83 Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 115, p. 161.84 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.85 F. COGNASSO, Il Piemonte nell’età sveva, Torino 1968, p. 583.86 Biscioni, 2/I, doc. 132, pp. 224-226.87 Il libro rosso cit., doc. 248, p. 281.88 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.89 FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit.90 Biscioni 1/II, doc. 348, p. 256.91 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.92 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.93 Biscioni, 1/III, doc. 504, p. 50.94 Acquisti, I, f. 69.95 Acquisti, I, f. 41.

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Alberto BondoniNel 1226 fu “procurator comunis Vercellarum et nuncius specialiter et procu-

rator constitutus super facto terrarum et sediminum ipsi comuni pertinentium inTridino et Tribus Cerris, investiendis, concedendis et ad fictum dandis”96.

Egli, probabilmente solo un omonimo dell’Alberto riportato in Appendice 1 ecredenziario nel 1199, sedette nella credenza nel 1218, nel 1221, nel 1222, nel1223, nel 1230, nel 1231, nel 1234 e nel 1247. Nel 1228 fu procuratore delcomune per ratificare l’istituzione dell’università97. Possedeva terre in Oldenico98 ea Borgovercelli99. Nel 1249 venne definito dominus100.

Uguccione BondoniPresenziò nel 1225 all’investitura di beni siti in Tricerro in qualità di procura-

tor comunis101.Fu credenziario nel 1221 e nel 1224 e ambasciatore nel 1217 alla pace con il

comune di Piacenza102. Nel 1226 fu nominato dai rettori della Lega Lombardaprocuratore per fare la pace con l’imperatore103.

Egli era fratello di Uberto e Guglielmo e figlio di Giacomo (menzionato ripe-tutamente nelle credenze di quegli anni come Giacomo Bondoni o anche comeGiacomo levaocculus): assieme ai due fratelli ricevette una quota di 51 lire di pave-si e 16 soldi sui mulini comunali di Trino, in pagamento di un credito detenutonei confronti del comune104. Nel 1232 fu presente alla sottomissione del conteGuido di Valperga assieme all’altro fratello Pietro ed in quella occasione vennequalificato come dominus105.

Uguccione BonelloNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi106.Fu credenziario nel 1221, nel 1222, nel 1224, nel 1232, nel 1233, nel 1234 e

nel 1236; nel 1236 venne indicato come dominus107.Nel 1220 venne investito della custodia del castello di Burolo108. Nel 1227 fu

podestà e castellano di Casalvolone109. I Bonello appartenevano alla nobiltà vercel-lese ed erano tra i domini di Villanova che cedettero al comune i loro diritti110.

96 Biscioni, 2/II, doc. 322, p. 129.97 Biscioni, 1/III, doc. 513, p. 69.98 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1811, doc. in data 30 marzo 1246.99 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1812, doc. in data 30 maggio 1249.100 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1812, doc. in data 30 maggio 1249.101 Biscioni, 2/II, doc. 286, p. 88.102 DAC, doc. 77, p. 104.103 Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII cit., doc. 173, p. 252.104 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 3, n. 92 (1 gennaio 1231).105 DAC, doc. 114, p. 181.106 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.107 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1808, doc. in data 30 agosto 1236.108 DAC, doc. 86, pp. 112-113109 Biscioni, 1/II, doc. 416, p. 359.110 PC, doc. 116, pp. 212-215.

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Maifredo Calvo Nel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi111.Egli fu credenziario nel 1234. Nel 1232 vendette una vigna all’ospedale di S. Spirito. Per la collocazione

cetuale della sua famiglia si vedano le informazione riportate in Appendice 1.

Manuele de CarengoNel 1218 fu “procurator constitutus a potestate et sapientibus credencie

Vercellarum super facto comunium et rerum comuni Vercellarum pertinencium,tam in civitate et curte Vercellarum quam aliqui”112.

Fu credenziario nel 1214, nel 1217, nel 1218, nel 1221, nel 1222, nel 1223,nel 1224, nel 1228, nel 1229, nel 1230, nel 1231. Ricoprì la carica di console diS. Eusebio nel 1214113, di console di giustizia nel 1219114 e di Santo Stefano nel1224115. Egli, figlio di Lantelmo, nel 1233, essendo malato, fece un legato di 10soldi in favore del capitolo di S. Eusebio116. Morì prima del 1235 e i beni dellafiglia Giacomina vennero confiscati dal comune, attraverso un atto inserito neglistatuti117.

Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

Zenoardo de CarengoEgli nel 1220 fu “ad terras comuni Vercellarum in Tridino et Tribus Cerris et

eorum territorio apertas inquirendas a domino Guilielmo de Mandello Vercellensepotestate constitutus”118.

Egli fu credenziario nel 1222, nel 1223, nel 1230, nel 1231, nel 1234 e nel1236. Nel 1213 fu console di Santo Stefano119. Nel 1218 fu miles iusticie del comu-ne120.

Il figlio di Zenoardo era Maifredo121.

Buongiovanni CarrariaEgli nel 1220 fu istituito “ad terras comuni Vercellarum in Tridino et Tribus

Cerris et eorum territorio apertas inquirendas a domino Guilielmo de MandelloVercellense potestate”122; nel 1225 fu “extimator ad extimandas terras et sediminaet possessiones dominorum de Casaligualono”123.

111 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.112 Investiture, I, f. 37.113 Acquisti, I, f. 10.114 Acquisti, I, f. 41.115 Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 115, p. 161.116 ACV, Atti privati, cartella XXVIII, doc. in data 19 luglio 1233.117 Statuta, 393, pp. 276-278.118 Investiture, I, f. 45.119 Acquisti, I, f. 66.120 ACV, Atti privati, cartella XVIII, doc. in data 12 marzo 1218.121 Le carte del monastero di Rocca delle Donne, a cura di F. Loddo, Novara 1929 (BSSS,

89), doc. 75, p. 105.122 Investiture, I, f. 45.123 Biscioni, 1/III, doc. 470, pp. 15-22.

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Fu credenziario nel 1207, nel 1208, nel 1210, nel 1212, nel 1213, nel 1214,nel 1215, nel 1217, nel 1218, nel 1221, nel 1222, nel 1223, nel 1224, nel 1229,nel 1230, nel 1231, nel 1234, nel 1240, nel 1244 e nel 1247.

Buongiovanni era fratello di Pietro Carraria124, podestà di Alessandria nel1218125, che nel 1207 fu definito nobilis126; egli stesso nel 1229 venne qualificatocome dominus127, forse ad indicare che era capofamiglia dei Carraria128. I Carrariaerano inseriti nei maggiori enti ecclesiastici vercellesi: Giacomo era canonico di S.Maria nel 1214129, un omonimo membro della famiglia faceva parte del capitolodi S. Eusebio nel 1217130.

Pur avendo interessi commerciali, essi aderirono di preferenza alla fazionenobiliare131.

Enrico CarrariaNel 1245 venne “super predictis extimationibus [dei beni dei malesardi] con-

stitutus”132.Fu credenziario nel 1218, nel 1221, nel 1222, nel 1224, nel 1228, nel 1230,

nel 1232, nel 1234, nel 1236 e nel 1244 e console di S. Eusebio nel 1243133 e nel1246134.

Fu tra i fideiussori per l’investitura del castello di Burolo, concessa nel 1223 adOttobono De Benedetti135, e per quella del castello di Mongrando nel 1219 aGuglielmo Oliva136.

Guala CarrariaEgli fu “procurator comunium ut debeat inquirere insulas et moltas comunis

et comuni retinere” nel 1219137.

124 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 25 novembre 1200.125 Codex qui liber crucis nucupatur e tabulario alexandrino descriptus et editus a Francisco

Gasparolo, a cura di F. Gasparolo, Roma 1889, doc. 97, p. 117.126 DAC, doc. 53, pp. 77-79.127 DAC, doc. 108, p. 159.128 Sull’interpretazione del termine dominus a Vercelli cfr. PANERO, Istituzioni e società a

Vercelli cit., pp. 164-165.129 Biscioni, 1/I, doc. 94, p. 201.130 ACV, Atti privati, cartella XVII, doc. in data 20 luglio 1217.131 Espressero numerosi consoli di Santo Eusebio. Pietro nel 1200 (Acquisti, I, f. 30),

Olrico nel 1212 (PC, doc. 109, p. 201) e Landrico nel 1229 (Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359)furono invece a capo della società popolare. Su questa famiglia cfr. G. FERRARIS, Ricercheintorno ad una famiglia di “cives” vercellesi tra XII e XIII secolo: i Carraria, in “Bollettino sto-rico vercellese”, 35 (1990), pp. 27-72. Sugli interessi commerciali cfr. P. MAINONI,Un’economia cittadina nel XII secolo: Vercelli, in Vercelli nel XII secolo, IV Congresso dellaSocietà storica vercellese (Vercelli, 18-20 ottobre 2002), in corso di stampa.

132 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.133 Biscioni, 1/I, doc. 48, p. 142.134 Biscioni, 2/I, doc. 178, pp. 270-271.135 DAC, doc. 101, pp. 147-149.136 Biscioni, 1/III, doc. 573, p. 162.137 Acquisti, I, f. 41.

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Fu console di S. Eusebio nel 1223138 e nel 1246139, credenziario nel 1217, nel1221, nel 1222, nel 1224, nel 1228, nel 1229, nel 1233, nel 1240 e nel 1247; nel1222 fece parte del consiglio privato del podestà140. Nel 1229 fu istituito procura-tore dal comune al fine di ricevere il giuramento del podestà per l’anno successivo,Guarnerio Castiglioni141. Nel 1232 fu procuratore per la pace con i conti di S.Martino142 e ambasciatore a Milano per la pace con Novara nello stesso anno143.Nel 1247, assieme ad altri cittadini vercellesi, risultava impegnato a nome delcomune per un prestito di 5500 lire di pavesi precedentemente contratto conPietro di Monticello144.

Federico de CremonaNel 1220 fu “iudex electus a domino Guillelmo de Mandello super facto ter-

rarum e sediminum pertinencium comuni Vercellarum et reiacencium in Tridinoet eius curte et terrtorio”145. Nel 1230 venne “electus et constitutus ad cognoscen-dum super facto comunarum curtis Vercellarum”146.

Egli fu credenziario nel 1217 e console di giustizia nel 1213147, nel 1214148 enel 1215149; nel 1222 fece parte del consiglio privato del podestà150. Ricoprì nume-rosi incarichi diplomatici per il comune: fu ambasciatore per la pace con Novaranel 1223151, ambasciatore a Ivrea nel 1224152, nunzio e procuratore per le condi-zioni di pace con Ivrea nel 1231153, sindaco del comune nel 1232154, ambasciatoreper il problema dei pedaggi del pons vetus sul Ticino e per un’emenda equorum nel1234155, procuratore del comune per la divisione di Biandrate nel 1259156. Nel1235 fu chiamato a pronunciarsi su una lite tra il comune di Caresana ed il capi-tolo di S. Eusebio157. Nella credenza del 1259 fu tra i pochi ad essere segnalatocome dominus assieme a rappresentanti delle famiglie Centorio, Tizzoni e Calvo158.

138 Biscioni, 2/I, doc. 99, p. 153.139 Biscioni, 2/I, doc. 178, pp. 270-271.140 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.141 Biscioni, 2/I, doc. 150, p. 247.142 Il libro rosso cit., doc. 246, pp. 262-271.143 DAC, doc. 116, p. 191.144 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.145 Biscioni, 2/II, doc. 307, p. 112.146 ACV, Atti privati,cartella XXV, doc. in data 4 marzo 1230.147 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1804, doc. in data 26 febbraio 1213.148 Acquisti, I, f. 10.149 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 31 dicembre 1215.150 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.151 DAC, doc. 100, pp. 139-146.152 Il libro rosso cit., doc. 163, p. 147.153 DAC, doc. 109, p. 160.154 Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII cit., doc. 283, p. 407.155 Biscioni, 1/III, doc. 511-512, pp. 68-69.156 PC, doc. 59, p. 119. 157 ACV, Atti privati, cartella XXX, doc. in data 24 giugno 1235.158 Biscioni, 1/II, doc. 286, pp. 131-132.

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Giacomo Durio (Scutario)Nel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi159.Fu console di Santo Eusebio nel 1210160 e nel 1223161, console di Santo

Stefano nel 1229162, console di giustizia nel 1222163 e nel 1227164, credenziario nel1208, nel 1212, nel 1213, nel 1214, nel 1215, nel 1217, nel 1218, nel 1222, nel1223, nel 1224, nel 1228, nel 1230, nel 1231, nel 1232, nel 1233, nel 1234 e nel1236; nel 1222 fece parte del consiglio privato del podestà165. Sempre nel 1222 fueletto dal podestà “in exigendis bannis et in inquirendis bonis bannitorum”166.

Nel 1181 un suo omonimo era vassallo vescovile167. Nel 1200 vendette un fittosu una casa nella vicina di S. Eusebio168. Un suo parente, Pietro Durio, era notaionel 1230169.

Nel 1222 Giacomo Durio venne detto Scutarius, ad indicare la provenienza daquesta famiglia170; nel 1208 diede il suo assenso alla vendita di un casale con dirit-ti signorili effettuata da Grampa Scutario171; nel 1215 fu tra gli appartenenti dellacasata degli Scutario che cedettero al monastero di S. Maria di Lucedio la libertàdi transito sulla Dora attraverso Saluggia172. Ci sono dunque possibilità che possaessere identificato con Giacomo Scutario, sindaco del capitolo di S. Eusebio nel1203173. Egli inoltre nel 1226 fu sindaco della canonica di S. Andrea174.

FaxaEgli nel 1207 fu extimator di un’isola di proprietà comunale175.

Giovanni de GalicianoNel 1230 fu uno dei due cives imposti dal podestà Guarnerio Castiglioni “ad

investiganda et inquirenda comunia et res territorias existantes in locis et curtibuset territoriis Tridini et Trium Cerrorum, que comuni pertinebant”176.

159 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.160 DAC, doc. 72, p. 92.161 Biscioni, 2/I, doc. 99, p. 153.162 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.163 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXIX, doc. in data 4 novembre 1222.164 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1806, doc. in data 21 dicembre 1227.165 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.166 ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 1 gennaio 1222.167 G. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec.

XIV, a cura di G. Tibaldeschi, Vercelli 1995, p. 255.168 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 16 dicembre 1200.169 Biscioni, 2/II, doc. 236, p. 8.170 ACV, Atti privati, cartella XX, doc. in data 1 gennaio 1222.171 ACV, Atti privati, cartella XIII, doc. in data 27 aprile 1208.172 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 2, n. 64 (24 maggio 1215).173 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 8 ottobre 1203.174 G. FERRARIS, “Super quibusdam terris questio verteretur”. Osservazioni sugli atti della

causa tra l’abate di S. Andrea di Vercelli e Divizia di Bellano (1226-1228), in “Bollettino sto-rico vercellese”, 38 (1992), pp. 31-80.

175 Biscioni, 2/I, docc. 200-201, pp. 296-298.176 Biscioni, 2/II, doc. 243, p. 17.

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Egli fu credenziario nel 1221, nel 1230, nel 1231, nel 1233, nel 1234 e nel1236. Giovanni era figlio di Ottobono177, un personaggio legato alla società diSanto Stefano, di cui resse il consolato nel 1197178. Alberto de Galiciano, invece,nel 1211 fu console di S. Eusebio179.

Nicola GarbagnaNel 1220 fu “procurator comunium et specialiter ad dandum terras et sedimi-

na hominibus habitantibus in Tribus Cerris et Tridino”180; nello stesso anno in qua-lità di procurator comunis fece consegnare le terre del castello di Burolo181.

Fu credenziario nel 1208, nel 1212, nel 1217, nel 1231.Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

Gilio de GuidalardisFu procurator comunis prima del 1220182.Fu credenziario nel 1207, nel 1208, nel 1210, nel 1212, nel 1213, nel 1214,

nel 1217, nel 1218 e nel 1222.Gilio non deve essere confuso con Guglielmo, figlio di Poltrono e fratello di

Maifredo, anch’egli presente nella credenza del consiglio cittadino del 1217 eimpegnato in incarichi dell’amministrazione urbana negli stessi anni. Egli morì nel1222183.

Maifredo de GuidalardisNel 1211 fu “procurator constitutus a potestate Vercellarum super his que

comune Vercellarum habet in Tridino”184.Fu console di Santo Eusebio nel 1208185, nel 1212186, nel 1214187 e nel 1219188.

Fu credenziario nel 1210, nel 1214, nel 1217, nel 1218; clavario del comune nel1207189, nel 1215190 e nel 1219191. Nel 1214 ricoprì l’importante incarico di “con-sul molariorum”192. Egli non deve essere confuso con il Maifredo console di SantoEusebio nel 1225193, credenziario nel 1224, nel 1228, nel 1230, nel 1231, nel

177 PC, doc. 345, p. 344, relativo all’anno 1208.178 PC, doc. 117, p. 217.179 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,

Pergamene, doc. in data 1 dicembre 1211.180 Biscioni, 2/II, doc. 314, p. 120.181 DAC, doc. 88, p. 114.182 Investiture I, f. 56.183 I necrologi eusebiani, a cura di G. Colombo, in “BSBS”, 4 (1899), pp. 349-364, con

particolare riferimento a p. 349.184 Acquisti, I, f. 41.185 ASVc, Famiglia Berzetti di Murazzano, Pergamene, m. 49, doc. del 18 febbraio 1208.186 PC, doc. 254, p. 284.187 Acquisti, I, f. 14.188 PC, doc. 328, pp. 328-329.189 Acquisti, I, f. 54.190 PC, doc. 171, p. 245.191 PC, f. 41.192 DAC, doc. 91, p. 128.193 Biscioni, 1/II, doc. 433, p. 374.

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1234 e excussor fodri nel 1250194. Il primo, infatti, era figlio di Poltrono195 e morìnel 1219196. Il secondo assieme ai fratelli Guglielmo e Gonnello nel 1234 fece unlascito in favore del capitolo eusebiano197.

Giacomo LeffoEgli fu extimator nel 1207 di un’isola di proprietà comunale198. Fu credenziario nel 1199, nel 1210, nel 1212, nel 1214, nel 1215, nel 1217 e

nel 1218.

Enrico LeffoNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi199.Enrico Leffo fu credenziario nel 1221, nel 1222, nel 1228, nel 1230, nel 1231

e nel 1233.

Nicolino de MontonarioEgli fu extimator nel 1207 di un’isola di proprietà comunale200. Era figlio di Guglielmo, nipote del prete Pietro de Montonario201. Nicolino de

Montonario aveva proprietà a Larizzate, che donò in parte all’Ospedale di S.Andrea202. Nel 1236 un tale Filippo de Montonario era notaio203.

Bartolomeo MussoEgli fu “a comuni Vercellarum constitutus estimator et infictuariando terram

de mezano Sarvi ante portam Airaldi” nel 1207204 e extimator comunium nel1208205.

Fu credenziario nel 1207, nel 1208, nel 1212, nel 1213, nel 1214, nel 1217,nel 1218, nel 1221, nel 1222.

Nel 1210 diede in affitto una casa ad muraciam206.I Musso erano una famiglia di vassalli vescovili207.

194 Biscioni, 1/III, doc. 583, p. 169.195 L’informazione è riferita nella credenza del 1217.196 I necrologi eusebiani cit., 4 (1899), p. 355.197 ACV, Atti privati, cartella XXIX, doc. in data 28 gennaio 1234. Dopo quella data

Maifredo dispose un lascito alla stessa Chiesa per Gonnello, miles strenuus et industrius,morto in Puglia, in itinere Hierosolimitano (I necrologi eusebiani, a cura di G. Colombo, in“BSBS”, 3 (1898), pp. 279-297, con particolare riferimento alle pp. 293-194).

198 Biscioni, 2/I, docc. 200-201, pp. 296-298.199 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.200 Biscioni, 2/I, docc. 200-201, pp. 296-298.201 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 20 febbraio 1204.202 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1809, doc. in data 18 febbraio 1239.203 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1808, doc. in data 30 novembre 1236.204 PC, doc. 72, p. 150.205 Biscioni, 2/I, docc. 202-203, pp. 298-300.206 PC, doc. 281, p. 302.207 A. DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo, in “BSBS”,

91 (1993), pp. 5-45, con particolare riferimento a p. 16.

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Giacomo de OdemarioNel 1225 fu “extimator ad extimandas terras et sedimina et possessiones domi-

norum de Casaligualono”208. Nello stesso anno, probabilmente assieme a coloroche lo avevano coadiuvato a Casalvolone, stimò alcune terre a Borghetto Po209.

Fu console di Santo Stefano nel 1212210. Nel 1210, nel 1214, nel 1217, nel1221, nel 1222, nel 1224, nel 1228, nel 1229, nel 1231 e nel 1234 fu credenzia-rio. Nel 1222 fece parte del consiglio privato del podestà211. Fu clavario del comu-ne nel 1209212 e procuratore del comune per una riscossione dal comune di Milanonel 1213213. Nella città ambrosiana si recò anche nel 1231 in occasione della richie-sta di 200 cavalieri fatta da Vercelli al comune milanese214. Nel 1227 fu rettoredella lega per Vercelli215.

In tarda età frater Giacomo de Odemario divenne devoto dell’Ospedale di S.Andrea216; nello stesso anno risultava essere indebitato per 24 staia di frumentoverso Giacomo Testa assieme al figlio Matteo. A quest’ultimo erano passati i benidel padre, il quale pur essendo ancora in vita non li possedeva: dallo stesso docu-mento Giacomo risultò possedere un mulino presso S. Martino Lagatesco217.

Leonardo PancagnoEgli fu “a comuni Vercellarum constitutus estimator et infictuariando terram

de mezano Sarvi ante portam Airaldi” nel 1207218. Fu console di Santo Stefano nel 1207219, anno in cui venne qualificato come

nobilis vir assieme a Pietro Pavia e Alisio De Benedetti220. Fu credenziario nel 1201,nel 1208, nel 1214, nel 1221, nel 1232 e nel 1233. Ricoprì l’incarico di clavariodel comune per il 1206221.

Ambrogino PorcaNel 1245 venne “super predictis extimationibus [dei beni dei malesardi] con-

stitutus”222. Egli fu console di Santo Eusebio nel 1246223. Fu credenziario nel 1218, nel

1221, nel 1223, nel 1231, nel 1233, nel 1234, nel 1240 e nel 1247. Nel 1226 fu

208 Biscioni, 1/III, doc. 470, pp. 15-22.209 Biscioni, 1/III, doc. 554, p. 127-128.210 PC, doc. 254, p. 284.211 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.212 Acquisti I, f. 32.213 PC, doc. 35, p. 71.214 DAC, doc. 111, p. 179.215 Gli atti del comune di Milano nel XIII secolo cit., doc. 175, p. 254.216 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1813, doc. in data 13 ottobre 1250.217 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 4, n. 143 (30 maggio; 6 settembre 1250).218 PC, doc. 72, p. 150.219 DAC, doc. 53, p. 77.220 Acquisti, I, f. 101.221 PC, doc. 339, p. 341.222 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.223 Biscioni, 2/I, doc. 178, pp. 270-271.

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rettore della Lega Lombarda224. Nel 1231 si recò a Milano, in occasione dellarichiesta di 200 cavalieri fatta da Vercelli al comune ambrosiano225.

Corrado RifferioNel 1218 fu “procurator constitutus a potestate et sapientibus credencie

Vercellarum super facto comunium et rerum comuni Vercellarum pertinencium,tam in civitate et curte Vercellarum quam aliqui”226.

Egli fu credenziario nel 1208, nel 1210, nel 1213, nel 1215, nel 1217, nel1218, nel 1221, nel 1223, nel 1229 nel 1230, nel 1234 e nel 1236. Rivestì l’inca-rico di clavario del comune negli anni 1241227 e 1246228.

I Rifferio erano una famiglia legata al movimento popolare: Pietro nel 1246 fuconsole della società popolare della Comunità229, nata dalla divisione di quella diSanto Stefano230.

Si trattava, comunque, di un gruppo parentale cospicuo: Corrado fu definitodominus nel 1224231. I Rifferio erano probabilmente inseriti per censo tra le filadella cavalleria cittadina232. Giacomo Rifferio, uno iudex233, fu ministro dell’ospe-dale di S. Leonardo degli ospedalieri234. Corrado era creditore di Uberto del fuSilone Carraria235 ed aveva rapporti con i de Albano, essendo sua nipote, dominaIula, sposata con Pietro de Albano236. Nel 1246 alienò un fitto all’ospedale di S.Andrea237. Nel 1250 era indebitato per 35 lire di pavesi con il mercante UguccioneGuaza. Il passivo venne saldato attraverso la vendita dei suoi diritti sui mulini cheil comune aveva posseduto a Trino: evidentemente egli ne aveva rilevato la proprie-tà dai Bondoni, i quali li avevano ricevuti nel 1231 durante le operazioni di incan-to dei beni comunali vercellesi, in soluzione di un loro credito con il comune238. Èinoltre pervenuto il suo testamento del 1252, in cui istituiva il monastero diLucedio suo erede, con la volontà di restituire il maltolto alle persone da lui dan-

224 Gli atti del comune di Milano nel secolo XIII cit., doc. 158, p. 238.225 DAC, doc. 111, p. 179.226 Investiture, I, f. 37.227 Statuta, “Statuta e documenta nova”, 3, p. 329.228 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,

Pergamene, doc. in data 19 febbraio 1246.229 PC, doc. 394, p. 380. Lo stesso Pietro nel 1251 vendette 12 stai di vigna “in curte

vercellensi” al capitolo di S. Eusebio (ACV, Atti privati, cartella VIII, doc. in data 15 mag-gio 1251).

230 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. I, pp. 279-302.231 Il libro rosso cit., doc. 147, p. 132.232 Nel suo testamento compaiono anche selle e scudi decorati, a indicare l’adesione ad

un costume di vita militare (Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S.Maria di Lucedio, Scritture diverse, mazzo 4, n. 150, doc. in data 26 agosto 1252).

233 Biscioni, 1/1, doc. 158, p. 335.234 MANDELLI, Il Comune di Vercelli cit., vol. II, p. 315.235 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1805, doc. in data 22 marzo 1225236 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 4, n. 149 (14 luglio 1252). Sui de Albano cfr. la voce corrisponden-te in questa stessa appendice.

237 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1811, doc. in data 12 aprile 1246.238 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,

Scritture diverse, mazzo 3, n. 92 (5 gennaio 1250).

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neggiate specialiter usure239. I suoi beni sono noti grazie alla redazione di un inven-tario, in cui vennero anche elencati i crediti da lui detenuti: dall’atto emerge cheCorrado, attraverso l’usura, aveva accumulato enormi capitali a danno di numero-se famiglie vercellesi e forestiere, tra cui spiccano Avogadro, Scutario, conti diBiandrate e di Valperga240.

Giacomo da RobbioNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi241.Egli fu credenziario nel 1234.I da Robbio erano una famiglia capitaneale242 con scarse presenze nell’organi-

gramma comunale: Pietro fu credenziario nel 1234.

Giacomo de RugiaNel 1220 fu “iudex electus a domino Guillelmo de Mandello super facto ter-

rarum e sediminum pertinencium comuni Vercellarum et reiacencium in Tridinoet eius curte et terrtorio”243.

Ricoprì il consolato di giustizia nel 1212244 e nel 1218245. Fu credenziario nel1213, nel 1215, nel 1217, nel 1218, nel 1221, nel 1224, nel 1228, nel 1229, nel1230, nel 1231, nel 1232, nel 1233 e nel 1234. Nel 1222 fece parte del consiglioprivato del podestà246, che consigliò in una decisione nel 1233247. Rivestì anchediversi incarichi diplomatici: fu procuratore nel 1213 per riscuotere un credito dalcomune di Alessandria248, ambasciatore a Milano nel 1215 per una trattativa coni Casalaschi prigionieri nelle carceri milanesi249, ambasciatore e procuratore nellapace con Alessandria del 1217250 e ancora ambasciatore nello stesso anno per addi-venire alla pace con Milano251. Nel 1220 si recò sempre come ambasciatore “incastris prope Narniam” per ricevere da Federico II la conferma dei privilegi conces-si al comune vercellese252. Nel 1223 fu qualificato come “dominus”253.

239 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,Scritture diverse, mazzo 4, n. 149 (14 luglio 1252).

240 Archivio dell’Ordine Mauriziano, Archivio dell’Abbazia di S. Maria di Lucedio,Scritture diverse, mazzo 4, n. 150 (26 agosto 1252).

241 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.242 H. KELLER, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), Torino 1995, pp.

170-172; FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri cit., pp. 260-262 e, più recentemente A.BEDINA, Robbio e dintorni tra concorrenze politiche e riassetto circoscrizionale (secoli IX-XIII),in “Nuova rivista storica”, 84 (2000), pp. 107-122.

243 Biscioni, 2/II, doc. 307, p. 112.244 ACV, Atti privati, cartella XV, doc. in data 11 marzo 1212.245 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 9 marzo 1218.246 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.247 DAC, doc. 121, p. 198.248 PC, doc. 5, p. 6.249 Biscioni, 1/II, doc. 378, p. 297.250 PC, doc. 10, p. 25.251 PC, doc. 42, p. 89.252 Biscioni, 1/I, doc. 83, pp. 183-185, già edito in HPM, Chartarum, Torino 1836, I,

doc. 849, coll. 1263-1265.253 Biscioni, 1/II, doc. 451, p. 387.

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Egli era dunque, anche grazie alla sua competenza giuridica, uno dei personag-gi più prestigiosi del gruppo dirigente vercellese, cui venivano affidati incarichiparticolarmente delicati.

Uberto de SaletaNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi254.Fu credenziario nel 1218, nel 1233, nel 1234 e nel 1236. Nel 1218 fu miles

iusticie del comune255. Nel 1220 fu fideiussore per l’investitura di GuglielmoMangino a castellano di Burolo256. Nel 1238 fu testimone ad un atto stilato nelpalazzo comunale257.

I de Saleta erano una famiglia di vassalli del marchese di Monferrato, con pro-prietà a Trino e a Saletta; essi discendevano probabilmente da Ambrogio e GervasioRusso, vassalli vescovili258. Un inventario completo delle proprietà di Uberto, abi-tante nella parrocchia di S. Stefano de Civitate, è contenuto nell’estimo compilatodal podestà Giliolo Lombardo nel 1240259.

Aichino SalimbeneNel 1230 fu nominato “rector constitutus super insulis et moltis et aliis comu-

nibus in curia Vercellarum comuni pertinentibus inquirendis et recercandis”260;nello stesso documento è definito dominus.

Fu console di S. Eusebio nel 1229, di giustizia nel 1211261, nel 1219262 e nel1241263. Fu credenziario nel 1213, nel 1217, nel 1221, nel 1222, nel 1223, nel1224, nel 1228, nel 1230, nel 1231, nel 1232 e nel 1233; nel 1222 fece parte delconsiglio privato del podestà264. Nel 1221 fu ambasciatore a Milano265. Nel 1223fu testimone a Genova per la disputa con il monastero di Morano, forse in quali-tà di rappresentante comunale266. Nello stesso anno fu procuratore per un accordocon i consoli della comunità di Pallanza267.

Egli era uno iudex268 ed in tale qualità consigliò il podestà in una decisione nel

254 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.255 ACV, Atti privati, cartella XVIII, doc. in data 21 febbraio 1218.256 DAC, doc. 87, pp. 113-114.257 ACV, Atti privati, cartella I, doc. in data 1 gennaio 1238.258 R. RAO, Fra comune e marchese. Dinamiche aristocratiche a Vercelli (seconda metà XII

- XIII secolo), in “Studi storici”, 44 (2003), pp. 43-93, qui alle pp. 63-64. Cfr. inoltre F.PANERO, Due borghi franchi padani. Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trinoe Tricerro nel secolo XIII, Vercelli 1979, pp. 92-99.

259 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,Pergamene, doc. in data 1240.

260 Biscioni, 2/I, doc. 232, p. 318.261 ACV, Atti pubblici (Sentenze), cartella XXVIII, doc. in data 8 aprile 1211.262 Acquisti, I, f. 41.263 ACV, Atti privati, cartella V, doc. in data 12 giugno 1241.264 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.265 Biscioni, 2/I, doc. 138, p. 236.266 Biscioni, 1/III, doc. 478, p. 29.267 Biscioni, 2/I, doc. 107, p. 168.268 Il libro rosso cit., doc. 150, p. 136.

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1233269. Nel 1221 assieme a Giacomo De Benedetti fu nominato procuratore daiconiugi Reccagno di Montestrutto per la scomunica contro di loro lanciata dalpapa270.

I Salimbene discendevano da Lanfranco “qui dicebatur Saliens in Bonum”,defunto nel 1151271: suoi figli erano Corrado, Aichino e Presbitero. Dal 1168erano saldamente inseriti nell’aristocrazia consolare vercellese272. Erano una fami-glia di vassalli vescovili273, imparentata con le casate dei Becco274 e de Fontaneto275.

SarzanoNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi276.Egli fu console di giustizia nel 1203277 e nel 1204278, console di Santo Stefano

nel 1202279, nel 1210280, nel 1224281 e nel 1229282. Fu credenziario nel 1201, nel1208, nel 1212, nel 1213, nel 1214, nel 1217, nel 1224, nel 1228. Rivestì gli inca-richi di ambasciatore nel 1209 ad Alessandria ed a Chivasso per la restituzione aVercelli di Pontestura, sottratta dal marchese di Monferrato283, e di procuratore nel1213 per riscuotere il credito di cui il comune godeva nei confronti diAlessandria284. Nel 1217 fu ambasciatore a Milano285.

Per Sarzano è testimoniata un’intensa attività feneratizia286.

269 DAC, doc. 121, pp. 198-199.270 DAC, doc. 90, p. 127.271 Le carte dello archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi, G.C. Faccio, F.

Gabotto e G. Rocchi, Pinerolo 1912 (BSSS, 70), vol. I, doc. 148, pp. 183-184.272 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. III, pp. 268-273. 273 Cartario di Muleggio cit., doc. 12, p. 15: “vidit et interfuit tempore episcopi Gualonis

quod capellanus episcopi ad nomen illius episcopi misit illus Conradum per frenum equinomine feudi”; il feudo includeva probabilmente i diritti signorili che la famiglia esercitavaa Messerano e Pertengo (ibidem: “Conradus cepit fodrum super homines Messoriani”).

274 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 1 maggio 1202.275 Cfr. Appendice 1.276 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.277 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 27 dicembre 1203.278 PC, doc. 54, p. 113.279 Acquisti, I, f. 165, i consoli della società vennero indicati come consoli di giustizia.280 PC, doc. 34, p. 71.281 Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea cit., vol. I, doc. 115, p. 161.282 Biscioni, 1/I, doc. 173, p. 359.283 Cartario alessandrino fino al 1300, Torino 1930 (BSSS, 115), vol. II, doc. 294, pp.

144-145. Acquisti, I, f. 169.284 PC, doc. 5, p. 6.285 PC, doc. 42, p. 89.286 PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 160-161. Tra i suoi crediti si ricorda

quello di 30 lire di pavesi con Pietro di Maltalento di Caresana (ACV, Atti privati, cartellaXVII, doc. in data 4 marzo 1217) e quello di 40 lire di pavesi con la chiesa di S. Graziano(Cartario di Muleggio cit., doc. 34, pp. 52-55).

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Alberto ScogiaEgli fu “a comuni Vercellarum constitutus estimator et infictuariando terram

de mezano Sarvi ante portam Airaldi” nel 1207287 e extimator comunium nel1208288.

Fu credenziario nel 1207, nel 1208 e nel 1210, nel 1212. Ricoprì la carica diconsole di Santo Stefano nel 1215289. La sua abitazione era sita dietro il palazzocomunale290.

Fiorino SegazariusNel 1245 venne “super predictis extimationibus [dei beni dei malesardi] con-

stitutus”291. Fu console di Santo Stefano nel 1246292 e credenziario nel 1244.

Giacomo Sperlinus giudice (de Ugucione)Nel 1230 venne “electus et constitutus ad cognoscendum super facto comuna-

rum curtis Vercellarum”293.Egli, da non confondere con l’omonimo padre, console di giustizia nel 1212294

e nel 1215295 e presente nei consigli cittadini di quegli stessi anni296, fu console digiustizia nel 1246297, nel 1250298, nel 1251299 e di Santo Eusebio nel 1213300 e nel1243301. Fu credenziario nel 1229, nel 1230, nel 1231, nel 1232, nel 1233, nel1234, nel 1236, nel 1240 e nel 1245. Nel 1243 fu procuratore del comune elettoa prendere possesso di Biella e del Biellese302. Ancora nel 1254 compariva cometestimone in un atto privato303.

Egli era imparentato con la famiglia dei Camex304. Nel 1229 Giacomo Sperlinus(il padre del nostro giudice) fu procuratore del fratello Tommaso de Ugucione e

287 PC, doc. 72, p. 150.288 Biscioni, 2/I, docc. 202-203, pp. 298-300.289 PC, doc. 207, p. 259.290 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 5 settembre 1206291 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.292 Biscioni, 2/I, doc. 178, p. 270.293 ACV, Atti privati, cartella XXV, doc. in data 4 marzo 1230.294 PC, doc. 254, p. 284.295 PC, doc. 29, p. 64. 296 In Biscioni, 1/II, doc. 432, p. 373 (doc. relativo all’anno 1225) si dice “Iacobs filius

Iacobi Sperlini”. Rispetto al padre egli veniva generalmente qualificato come “iudex”: si èdunque scelto di riportare solo le menzioni in cui venne riferito il titolo, anche se è possi-bile che in alcuni casi venisse omessa la qualifica. Questo avenne per esempio nel 1243,quando fu menzionato semplicemente come Giacomo de Ugucione (Biscioni, 1/I, doc. 75,p. 175; sull’appartenenza di Giacomo a questa famiglia cfr. oltre).

297 Statuta, “Statuta e documenta nova”, 36, p. 429.298 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1813, doc. in data 15 dicembre 1250.299 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1813, doc. in data 27 marzo 1251.300 Acquisti, I, f. 69.301 Biscioni, 1/I, doc. 80, p. 179.302 Acquisti, II, f. 81.303 ACV, Atti privati, cartella VIII, doc. in data 7 novembre 1254.304 Cfr. Appendice 1.

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avvocato di S. Giovanni della Varola: egli dunque non era altri che Giacomo deUgucione. Dagli atti relativi all’avvocazia del monastero cistercense emergono icomplessi legami tra i due rami della famiglia de Ugucione305.

Roberto TetavegiaNel 1230 fu nominato “rector constitutus super insulis et moltis et aliis comu-

nibus in curia Vercellarum comuni pertinentibus inquirendis et recercandis”306. Fu console di Santo Stefano l’anno precedente, console di giustizia nel 1225307

e credenziario nel 1230, nel 1231, nel 1234, nel 1236, nel 1240, nel 1244, nel1247 e nel 1249. Nel 1232 fu procuratore per la pace con i conti di S. Martino308;nel 1243 fu procuratore del comune eletto a prendere possesso di Biella e delBiellese309.

Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

Uguccione TetavegiaPrima del 1220 fu procurator comunis310.Fu credenziario nel 1207, nel 1210, nel 1212, nel 1221, nel 1223, nel 1230.Effettuò una donazione in favore dell’ospedale di S. Spirito311. Egli era fratello

di Alberto312, Uberto, Tetaveginus e Alasina313.

Giacomo TizzoniNel 1225 fu “extimator ad extimandas terras et sedimina et possessiones domi-

norum de Casaligualono”314. Console di Santo Stefano nel 1219315 e nel 1246316, fu credenziario nel 1210,

nel 1213, nel 1218, nel 1221, nel 1223, nel 1224, nel 1228, nel 1229, nel 1230,nel 1233, nel 1234, nel 1236, nel 1240, nel 1244 (anno in cui venne qualificatocome dominus), nel 1249 e nel 1250. Rivestì numerosi incarichi diplomatici: fu

305 ASVc, AOSAV, Pergamene, mazzo 1808, doc. in data 13 ottobre 1229; ibidem, doc.in data 14 ottobre 1229; ibidem, doc. in data 15 ottobre 1229: Pietro era figlio di Tommasoe nipote di Giacomo. Dalfino, figlio di Giacomo era chierico di S. Giovanni della Varola,così come Aichino figlio di Tommaso: su questa chiesa i de Ugucione esercitavano l’avvoca-zia (M. CASSETTI, Cenni storici sul monastero e ospedale della casa di Dio di Vercelli, in“Bollettino storico vercellese”, 15 (1980), pp. 31-55). Tra i testimoni all’atto del 14 ottobrefigurava Giacomo “filius Iacobi Sperlini advocati dicte ecclesie”. Nell’atto del 15 ottobre siparla infine dei fratelli Giacomo e Tommaso de Ugucione.

306 Biscioni, 2/I, doc. 232, p. 318.307 ACV Atti privati, cartella XXII, doc. in data 27 febbraio 1225.308 Il libro rosso cit., doc. 246, pp. 262-271.309 Acquisti, II, f. 81.310 Investiture, I, f. 67.311 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, mazzo n. 111,

Inventario di S. Spirito.312 Acquisti, I, f. 168, doc. relativo al 1209.313 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, mazzo n. 111,

Pergamene, doc. senza data. 314 Biscioni, 1/III, doc. 470, pp. 15-22.315 PC, doc. 328, pp. 328-329.316 Biscioni, 2/I, doc. 178, p. 270.

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ambasciatore a Milano per il cittadinatico reciproco nel 1225317, nunzio e procu-ratore per le condizioni di pace con Ivrea nel 1231318, procuratore per la pace coni conti di S. Martino nel 1232319. Fu inoltre ambasciatore a Milano per la pace conNovara320 e per il compromesso con l’Impero321 nello stesso anno, ambasciatore aBrescia nel 1233322 e per la pace con Casale S. Evasio nel 1236323, nunzio delcomune nel 1241324. Nel 1246 fu podestà di Caresana325.

Egli era figlio di Federico Tizzoni326. Nel 1219 fu fideiussore per 100 lire dipavesi per il castello di Mongrando327.

Su questa famiglia si vedano le informazioni e i rimandi riportati in Appendice 1.

Galiano de UgucioneNel 1225 fu “extimator ad extimandas terras et sedimina et possessiones domi-

norum de Casaligualono”328.Sui de Ugucione si veda PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., pp. 144-145.

Giulio de UgucioneNel 1231 fu eletto dal podestà Giannone de Andito “ad estimanda, sortanda,

livranda et in solutum danda” i beni comunali vercellesi329.Figlio di Bonifacio330, egli fu credenziario nel 1221, nel 1224, nel 1228, nel

1229 e nel 1240. Nel 1222 fece parte del consiglio privato del podestà331. Nel 1229e nel 1240 fu clavario del comune332. Nel 1236 fu ambasciatore per la pace conCasale S. Evasio333.

Nicola VerruaNel 1245 venne “super predictis extimationibus [dei beni dei malesardi] con-

stitutus”334.

317 Gli atti del comune di Milano nel XIII secolo cit., doc. 188, p. 203.318 DAC, doc. 109, pp. 160-171.319 Il libro rosso cit., doc. 246, pp. 262-271.320 DAC, doc. 116, p. 191.321 Gli atti del comune di Milano nel XIII secolo cit., doc.273, p. 388.322 Gli atti del comune di Milano nel XIII secolo cit., doc. 306, p. 447.323 Biscioni, 1/II, doc. 377, p. 296.324 Biscioni, 1/I, doc. 182, p. 370325 Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea di Vercelli,

Pergamene, doc. in data 28 agosto 1246.326 Acquisti, I, f. 65.327 Biscioni, 1/III, doc. 573, p. 162.328 Biscioni, 1/III, doc. 470, pp. 15-22.329 Documento edito in DI RICALDONE, Documenti vercellesi cit., pp. 49-50.330 ACV, Atti privati, cartella XVII, doc. in data febbraio 1216.331 Biscioni, 1/II, doc. 260, pp. 110-111.332 G. FERRARIS, La convenzione ritrovata. Ancora su Omobono de Cremona e lo Studium

di Vercelli, in “Bollettino Storico Vercellese”, 52 (1999), pp. 17-35, con particolare riferi-mento alle pp. 26-27; Archivio di Stato di Torino, Archivio dell’Abbazia di S. Andrea diVercelli, Pergamene, doc. in data 8 maggio 1240.

333 Biscioni, 1/II, doc. 377, p. 296.334 Biscioni, 2/I, doc. 106, p. 164.

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Nicola fu credenziario nel 1234, nel 1244 e nel 1246. Nel 1247, ormai defun-to, assieme ad altri cittadini vercellesi risultava impegnato a nome del comune perun prestito di 5500 lire di pavesi precedentemente contratto con Pietro diMonticello335.

Questa famiglia, rappresentata nella credenza, dove Ardizzone e Vercellino pre-senziarono più volte nella prima metà del XIII secolo, era inizialmente legata allasocietà di Santo Stefano, di cui lo stesso Vercellino fu console nel 1205336.

Per costoro si potrebbe ipotizzare un’attività mercantile: infatti, lo stessoVercellino aveva un credito con Uguccione Dal Pozzo, “pro pannis illius Ugucionisquos portavit cum transmeavit”337. Ciò nonostante non bisogna escludere che sitrattasse degli stessi domini di Verrua, un’antica famiglia proveniente dal contado,che aveva esponenti nel capitolo cittadino e che nel XII secolo era pervenuta allacattedra episcopale338.

Giovanni VisconteNel 1230 fu uno dei due cives imposti dal podestà Guarnerio Castiglioni “ad

investiganda et inquirenda comunia et res territorias existantes in locis et curtibuset territoriis Tridini et Trium Cerrorum, que comuni pertinebant”339.

Fu console di giustizia nel 1215340, credenziario nel 1199, nel 1200, nel 1201,nel 1214, nel 1217, nel 1228, nel 1230 e nel 1231.

Alla sua presenza, nella città di Novara, Giacomo Visconte fece testamento nel1217, effettuando lasciti in favore delle fondazioni religiose locali, tra cui quellecistercensi di Lucedio e di S. Spirito341.

I Visconte avevano stretti rapporti con la canonica di S. Maria: Guala era cano-nico nel 1202342, Enrico nel 1220343.

335 Statuta, “Statuta et documenta nova”, doc. 79, pp. 487-491.336 PC, doc. 337, p. 336.337 ACV, Atti privati, cartella XII, doc. in data 7 luglio 1204.338 F. SAVIO, Gli antichi vescovi d’Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni. Il

Piemonte, Torino 1899, pp. 469-476; 479. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli cit., p. 97;DEGRANDI, Vassalli cittadini cit., p. 16. Queste informazioni risalgono tuttavia al XII seco-lo e sono relative ai domini di Verrua: è possibile che l’omonima famiglia testimoniata nelXIII secolo sia differente.

339 Biscioni, 2/II, doc. 243, p. 17.340 PC, doc. 29, p. 64.341 ASVc, Corporazioni religiose, Monache cistercensi di S. Spirito, Pergamene, doc. in

data 20 maggio 1217.342 ACV, Atti privati, cartella XI, doc. in data 6 ottobre 1202.343 ACV, Atti privati, cartella XIX, doc. in data 6 luglio 1220.

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2005

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S A V I O L O