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Giallo estremo Antonio Fiorella Parte seconda 8 Siamo a luglio. Un mese torrido per prendere iniziative. Non ho mai concretamente accarezzato l’idea di ritornare a Parigi, né per mettermi alle calcagna di Annalisa, né per indagare in proprio sul destino di Maria Grazia. Ma anche se avessi voluto... “Non se ne parla neppure!” mi ha intimato il maresciallo dei carabinieri dopo avermi interrogato. Purtroppo ogni mia riflessione, a ruota libera, si traduce in ulteriori equivoci. E’ anche per questo che ho cominciato a mettere su carta una memoria scritta. Ma più ci penso e più mi sento incapace di stabilire se l’esercizio tende a perpetrare il gioco di vedersi oggetto di tanta attenzione, o assume la valenza di uno sfogo per il fastidio provocato. Intanto mi dico che può essermi utile mettere in ordine i ricordi, quanto basta almeno per ritrovare un filo logico a certi avvenimenti. L’eventualità di essere rimasto, mio malgrado, invischiato in una ragnatela di dimensione internazionale non mi sfiora neppure. Fatto tangibile è che la semplice ipotesi di partire mi ha portato a beneficiare degli arresti domiciliari per 24 ore. Essendo partito dallo stato di diritto di persona informata dei fatti, è stato un bel progresso. Poi mi viene imposto semplicemente di non lasciare la città. Adesso che Annalisa non è più a Torino, mancandomi un punto di riferimento dove partire per il fine settimana, trovo la disposizione del tutto superflua. L’unica cosa di cui mi rammarico è che le notizie mi arrivano, filtrate dal telefono di casa, principalmente da Giovanna. A questa stregua è chiaro che il mio racconto si complica, per non citare la mia posizione di indiziato numero uno. Avendo avuto disposizione di passare ogni giorno in questura a firmare il registro, qualche volta il maresciallo, pancia in fuori, mi rivolge delle domande sul caso che, sostiene, ora è diventato un

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Giallo estremo Antonio Fiorella Parte seconda 8 Siamo a luglio. Un mese torrido per prendere iniziative. Non ho mai concretamente accarezzato l’idea di ritornare a Parigi, né per mettermi alle calcagna di Annalisa, né per indagare in proprio sul destino di Maria Grazia. Ma anche se avessi voluto... “Non se ne parla neppure!” mi ha intimato il maresciallo dei carabinieri dopo avermi interrogato. Purtroppo ogni mia riflessione, a ruota libera, si traduce in ulteriori equivoci. E’ anche per questo che ho cominciato a mettere su carta una memoria scritta. Ma più ci penso e più mi sento incapace di stabilire se l’esercizio tende a perpetrare il gioco di vedersi oggetto di tanta attenzione, o assume la valenza di uno sfogo per il fastidio provocato. Intanto mi dico che può essermi utile mettere in ordine i ricordi, quanto basta almeno per ritrovare un filo logico a certi avvenimenti. L’eventualità di essere rimasto, mio malgrado, invischiato in una ragnatela di dimensione internazionale non mi sfiora neppure. Fatto tangibile è che la semplice ipotesi di partire mi ha portato a beneficiare degli arresti domiciliari per 24 ore. Essendo partito dallo stato di diritto di persona informata dei fatti, è stato un bel progresso. Poi mi viene imposto semplicemente di non lasciare la città. Adesso che Annalisa non è più a Torino, mancandomi un punto di riferimento dove partire per il fine settimana, trovo la disposizione del tutto superflua. L’unica cosa di cui mi rammarico è che le notizie mi arrivano, filtrate dal telefono di casa, principalmente da Giovanna. A questa stregua è chiaro che il mio racconto si complica, per non citare la mia posizione di indiziato numero uno. Avendo avuto disposizione di passare ogni giorno in questura a firmare il registro, qualche volta il maresciallo, pancia in fuori, mi rivolge delle domande sul caso che, sostiene, ora è diventato un

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affare internazionale ma che sembra ancora intrigarlo. In queste occasioni ha la compiacenza di schizzare il retroterra investigativo da cui è scaturita, prima la riflessione, quindi la domanda che mi sottopone, a volte a bruciapelo, altre volte nel tono mellifluo del venditore di polizze vita o con l’aria del buontempone che s’incontra all’osteria. Le persone attempate destano simpatia anche con la divisa addosso. Nel maresciallo Nicola Biancacci, quella circonferenza addominale che denota sedentarietà e amore per la buona tavola, oltre a fare la sua figura, sembra avere una funzione professionale. “Da amico,” sembra una invocazione la sua, “ti suggerisco di lasciare da parte la tela ingarbugliata della cena tardi, dei succhi gastrici e delle elucubrazioni addirittura metafisiche. Attieniti ai fatti. La gelosia è già di per sé un buon movente. Non saresti il primo uomo ad aver perso la testa in un momento di gelosia. Anche se non ti vedo come una persona capace di azioni efferate. Ma per quante ne ho viste di mostruosità, un possibile atto inconsulto devo metterlo in conto. A distanza di anni, osserva con freddezza le cose: un atto inconsulto, non premeditato, con le attenuanti del caso, può agevolarti.” Sono passati soltanto pochi mesi, avrei voluto interromperlo. Ma sarei cascato nel suo gioco fatto di ‘ripeti un’altra volta, non puoi aver dimenticato, qui ti sei contraddetto’. Quando il tono del maresciallo diventa così paternalistico, non so davvero che rispondergli. In un momento di stanchezza uno potrebbe cedere. Capisco come uno, in un contesto d’isolamento e nell’asprezza della situazione, possa confessare di tutto soltanto per compiacere chi gli sta di fronte, arrendendosi alle buone manieri. “Riordina le idee, astieniti dal romanzare e metti giù i fatti come si sono succeduti in una sequenza tem-po-ra-le; in una parola: la verità ha una sua logica che non si può camuffare... E’ ben difficile da camuffare da una persona inesperta del crimine.” L’esitazione in parte lo ha tradito. “Per il resto affidati al tuo avvocato.” Ho scelto Giovanna come mio avvocato. Sto cercando di riordinare i fatti come mi ha chiesto, senza nulla omettere. Lei, contrariamente

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a quanto mi ha suggerito il maresciallo, mi ha detto di non tralasciare niente, sopratutto il lato emotivo: “Ogni dettaglio può servire a dipanare la nostra matassa, che...” che non sa o non vuole definire. Che si sta complicando. “Che fonda la sua ragione d’essere nell’assurdo,” mi sono affrettato a concludere al posto suo. La nostra? Mi sorprende che Giovanna tenti di immedesimarsi nella mia matassa. Tutti a interessarsi al mio caso, voglio dire: le forze dell’ordine di due paesi, Francia e Italia. Non ho mai sperato di meritare tanto. Quando incontro Giovanna la prima volta nei panni del mio avvocato difensore, Giovanna ha saputo che Paolo si è recato all’indirizzo di Parigi che gli ho fornito, dove ho vissuto per un certo tempo insieme a Maria Grazia. Finché non ho raggiunto quel livello di compromesso che non riuscivo più a tollerare. Solo questo aveva determinato il vero punto di svolta. Il sopralluogo si è concluso con un nulla di fatto.

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9 Parigi, qualche giorno prima degli arresti domiciliari. E’ un palazzo senza portineria, nessuno rammenta i due giovani italiani che hanno affittato al secondo piano, circa un paio di anni prima, un monolocale che hanno abbandonato alcuni mesi dopo senza preavviso. Nello stabile ci sono prevalentemente piccoli appartamenti, adatti a studenti e a gente di passaggio. Nel via vai di persone, due giovani uguali a tante altre coppie, si sono confusi con altre giovani coppie. L’agenzia immobiliare che gestisce le locazioni paga male i propri dipendenti, quindi c’è un accentuato avvicendamento del personale. “Due teste nella folla sono altrettanto difficile da cercare quanto cercarne una sola!” commenta il titolare dell’agenzia che non ha alcuna voglia di perdere altro tempo ad ascoltare le domande di un bellimbusto italiano. Avesse chiesto di comprare o prendere in locazione un appartamento, avrebbe ricevuto un’attenzione commisurata al suo portafogli. Paolo racconta il tentativo che ha fatto ad Annalisa. Decidono di gestire il passo successivo insieme, con estrema accortezza. Non resta altro da fare che recarsi a casa di Andrée Margot, 25 rue Gouttefarde, Paris. Sarebbero comunque andati a fare un colloquio con l’amica di Maria Grazia, Andrée. Paolo sperava di andarci avendo nel fascicolo qualche notizia recente, qualche elemento in più su cui contare. Giocata quella seconda e ultima carta, non hanno altro appiglio. Lo stabile ha una portineria. Il portinaio a mezzo citofono anticipa ad Andrée la visita di due signori italiani vestiti elegantemente. “Buon giorno. Scusi l’intrusione a quest’ora. Cerchiamo Maria Grazia Baccini, abita qui?” chiede Paolo. “Buon giorno.” Andrée è in vestaglia nonostante siano passate le nove del mattino. Senza trucco, lo sguardo intenso da miope, non risponde al saluto ma domanda senza scomporsi: “Chi siete voi?” “Ci scusi. Io sono Paolo Di Donato, di professione avvocato e lei è Annalisa. Siamo a Parigi di passaggio. Siamo qui, non in veste professionale, ma in quanto amici di Marcello Dotti.”

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“E io cosa c’entro con Marcello Dotti?” risponde Andrée. Il portoncino è rimasto aperto a metà. Andrée non ha ancora deciso se farli accomodare o interrompere la conversazione alle prime battute. Rimane ben vigile, attentissima a non fare passi falsi. Quella visita ha avuto l’effetto di risvegliare un mare di interrogativi, per cui si sforza di non mostrare né accondiscendenza né ostilità. “E’ una storia lunga,” interviene Annalisa che fino ad allora era rimasta ad ascoltare, mezzo passo indietro. “Sono la fidanzata di Marcello. Ho saputo qualcosa della sua precedente relazione che mi ha lasciata perplessa. M’interessa incontrare la sua ex.” Si ferma, ha un attimo di esitazione. “Sa,” aggiunge Paolo, cogliendo al volo il momento propizio, “è rimasta incinta di Marcello...” Andrée indugia un attimo, quindi indietreggia di un passo e spalanca il portoncino per farli entrare. “Accomodatevi,” dice e li accompagna in salotto. Annalisa e Paolo prendono posto sul divano, lei si siede sulla poltroncina che dev’essere il suo posto abituale. Prima di sedere l’ha liberata di un libro, lasciato aperto con le pagine all’ingiù, che appoggia in grembo, capovolto. “Maria Grazia non ha mai abitato presso di me.” “Sappiamo che lei era una sua amica,” precisa Annalisa. “Strano che la cerchiate proprio qui.” “Abbiamo provato a casa di Maria Grazia e Marcello,” dice Paolo, “o ad essere più precisi, nella casa dove abitavano circa un anno fa.” “Strano...” Andrée appare perplessa. Le mani prima hanno chiuso il libro, con l’indice posto nel mezzo a fare da segnalibro, ora ne tormentano le pagine. Mentalmente sembra stia risettando un quadro scenico per elaborarne un’altro. “Cos’è che è strano?” chiedono, con una frazione di tempo discordante, Annalisa e Paolo. “E’ una decina di mesi, più o meno, che non so niente di Maria Grazia, né tanto meno di Marcello.” Paolo e Annalisa si guardano in viso. “Ora voi spuntate dal cielo,” prosegue Andrée “e mi domandate di Maria Grazia. Fino a pochi minuti fa ho pensato che Maria Grazia

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fosse partita con Marcello. O meglio, lo abbiamo pensato tutti quelli che li conoscevano. Essendo entrambi spariti nel nulla, senza avvisare nessuno, senza lasciarsi dietro nemmeno un recapito, cos’altro si può pensare?” “In che senso sono spariti nel nulla?” domanda Paolo. Andrée è ancora pensierosa, sembra incapace di reagire. Nell’atto di sforzarsi di credere, di capacitarsi di fronte a uno scenario che si è rovesciato, sente venir meno le forze. “Ha bisogno di qualcosa?” chiede Annalisa, “le abbiamo dato una notizia che non si aspettava?!” “Ho bisogno di qualcosa di forte, di un cognac... cosa prendo per voi? Un tè, un caffè?” Nell’alzarsi ha sfilato l’indice della mano sinistra messo a fare da segnalibro e a riposto il libro nello scaffale. Nello scomparto accanto c’è lo spazio bar con alcune bottiglie. Il racconto giallo-rosa shocking può attendere, ora che è proprio la vita a tingersi di giallo. “Un caffè per me va bene,” dice Annalisa. “Va bene anche per me,” aggiunge Paolo. Maria Grazia porta una bottiglia di cognac e dei bicchierini. Quindi versa in tre tazze il caffè che era stato lasciato filtrare in precedenza. “Non è così forte come quello a cui siete abituati voi.” “Va bene così, per noi è il secondo nel giro di un’ora.” Dice Annalisa, che aggiunge: “Mi sembra di capire che abbiamo portato una notizia choc.” “A un certo punto Maria Grazia non si presenta sul lavoro, a casa non risponde,” comincia a raccontare Andrée, “che pensare? La sera sono andata a casa sua. Non c’era nessuno. L’indomani ho fatto un giro di telefonate. Qualcuno ha ipotizzato che forse erano partiti per una breve vacanza. A distanza di giorni, parlando tra amici e conoscenti, abbiamo pensato che avessero voluto tagliare i ponti. Cos’altro potevamo supporre?” L’interrogativo cade nel vuoto. “A mano a mano che il tempo passava, mi sono venuti dei dubbi, nello stesso tempo non sapevo proprio che fare. Chi contattare. Ho cominciato a dare a me stessa quelle spiegazioni che ci dicevamo tra amici. L’hotel era ed è un porto di mare. Il lavoro è logorante, non dà

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soddisfazione. Intascata la paga, capita spesso che qualcuno se ne vada senza neanche salutare. Maria Grazia era con questo Marcello, un tipo non facile. Lei era una mia amica, ma anche lei aveva il suo bel caratterino, apparentemente puntigliosa... Ma nelle scelte di fondo così indecisa, che finiva con l’essere accomodante come un materasso ad acqua.” Lo sguardo di Annalisa smorza sul nascere il mezzo sorriso che sta per affiorare sul volto di Paolo. “Marcello era un compagno possessivo, di carattere chiuso. Non aveva un lavoro fisso. Anzi, il più delle volte se ne stava per lunghe ore in casa ad aspettare la sera. Cosa che esasperava Maria Grazia. Ho pensato, lui avrà avuto voglia di cambiare aria e le avrà detto: o vieni con me o me ne vado, e lei lo ha seguito. Non era la prima volta che era successo.” “E l’appartamento dove abitavano? Neanche lì hanno lasciato detto qualcosa?” chiede Paolo. “Il monolocale era ammobiliato. Scaduto l’affitto mensile, se nessuno paga, l’agenzia riprende possesso dell’appartamento.” “Si è mai recata a chiedere informazioni all’agenzia, per esempio per sapere se nell’appartamento avevano lasciato vestiti o altro?” “Certo che l’ho fatto, ma quella è gente sbrigativa. La prima volta mi hanno domandato se ero disposta a pagare io l’arretrato. Se Maria Grazia me lo avesse chiesto, sì. Pagare alla cieca per fare un favore a chi? ‘Certo che no,’ ho risposto. La volta successiva ho scoperto che avevano già affittato il monolocale a un altro inquilino. Ho chiesto se avessero trovato libri o indumenti. La risposta è stata vaga: le cose che vengono lasciate negli appartamenti, sono imballate e trasportate nel loro deposito. Per un periodo indefinito, poi vengono regalate ad associazioni di beneficenza. E’ tutto qui quello che mi hanno detto, senza neanche verificare. Non so altro.” Annalisa e Paolo, dopo essere usciti dalla casa di Andrée, ripercorrono silenziosi il lungo tratto di marciapiede diretti alla stazione del metrò più vicina. “A cosa stai pensando?” chiede Paolo, rompendo il silenzio. “E tu, a cosa stai pensando?” lo interroga Annalisa.

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“Prima tu, ho fatto io per prima la domanda.” “No, prima tu. Il mio pensiero è troppo...” “Intimo?” suggerisce Paolo. “No, è soltanto maledettamente personale.” Il viso di Annalisa mostra un velo di sgomento. “Anche quello che pensavo io era, è maledettamente personale.” Segue una breve pausa densa di emotività. “Vogliamo fare una sfida, a chi di noi due ha motivo di recriminare?” Le labbra serrate di Annalisa accennano una smorfia che sembra di assenso. “Pensavo alla nostra ultima gita in montagna. Ci siamo trovati, Marcello ed io, sull’orlo di uno strapiombo. Per un breve istante ha perso l’equilibrio e si è appoggiato a me.” Annalisa ha uno sguardo interrogativo sotto una fronte corrucciata. “Vorresti dire che ha cercato di spingerti giù dallo strapiombo?” “Voglio dire che, col senno del poi, poco fa ho avvertito di avere come sfiorato un pericolo. Vero che il pericolo può scaturire anche da uno starnuto. E’ per questo che si fanno le indagini, no?” “Beh sì, se lo starnuto ti fa cadere in un precipizio, è un’azione pericolosa!” commenta Annalisa. Paolo le cinge le spalle con un braccio. Intende solo mostrarsi rassicurante, non intende spingerla a rivelare i suoi pensieri. “Adesso,” dice Annalisa, la voce bassa, “ho una ragione in più per non desiderare di scoprire la paternità di mio figlio.” “Io sono pronto, da subito, a sposare la madre e ad adottare il piccolo.” “O la piccola... Ma prima ti toccherà fare i conti con Giovanna, caro!” Annalisa e Paolo si sono congedati da Andrée assicurandola che una volta chiarito meglio il quadro d’insieme, l’avrebbero informata. Per prima cosa si propongono di ritornare dall’agenzia immobiliare per “estorcere generalità e dettagli completi” di Marcello Dotti e Maria Grazia Baccini. “Vedremo chi si mostra più tosto, adesso.” Paolo si è espresso in tono categorico nel menzionare il prossimo passo. “Appena entro in agenzia, subito prospetto loro l’eventualità che in pratica hanno

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occultato le prove di un possibile misfatto. Darò loro 24 ore di tempo, per rispondere a tutte le mie domande. Altrimenti risponderanno alle stesse domande direttamente a un rappresentante delle autorità.” Poi avrebbero fatto un paio di telefonate in Italia: a Giovanna avrebbero chiesto di rintracciare i genitori di Maria Grazia e mettersi in contatto con loro. Avrebbero invece tenuto Marcello nel vago, cercando di carpire, ognuno dei due a proprio modo, cosa davvero possa passare per la mente dell’uomo, se stesse fingendo o cercando di tessere l’orlatura di una misteriosa tela iniziata anni prima. In ogni caso, avrebbero incontrato di nuovo Andrée, prima di programmare qualsiasi azione futura. A nessuno sfugge il fatto che, probabilmente, lo sviluppo dei passi che stanno per intraprendere portano alla denuncia della scomparsa di Maria Grazia alla polizia di due paesi, Francia e Italia.

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10 Sabato mattina. Il padre di Maria Grazia vive in un paese solitario inerpicato sulle colline della Toscana. Giovanna non ha trovato le parole per dirgli alcunché, se non per chiedergli di concederle un appuntamento. Mentre era al telefono, le è sembrata la soluzione più agevole per tirarsi fuori dalla situazione di disagio in cui s’è trovata e per non risultare troppo incauta nell’annunciare una eventuale brutta notizia. Intanto, quale occasione migliore per un fine settimana nell’entroterra toscano? Paolo è lontano, di fatto è con un’altra. Lei dovrà imparare ad accettare la sconfitta, d’ora in poi, ad organizzarsi in proprio preparandosi a convivere in un soliloquio con l’altra parte di sé. Adesso, in auto da sola, mentre è al volante, trova che le manca la compagnia dell’uomo che le è stato accanto negli ultimi anni e del navigatore che, nell’indicarle la strada, attira su di sé i rimbrotti le volte in cui ad un incrocio dà una indicazione nient’affatto tempestiva. Di preferenza è quasi sempre lei al volante quando sono in giro ad esplorare le bellezze delle località sperdute - di un’Italia minore al di fuori dei circuiti riservati ai turisti che si muovono in carovana. A Paolo piace lasciarsi scorrazzare in giro. E a lei piace avere le redini della situazione in mano. Intanto si affaccia nella sua mente un altro pensiero molesto. Non sa ancora quanto sia opportuno continuare a ragionare nel presente circa le loro abitudini passate. In definitiva, chi dei due è stato più determinante nella scelta di ogni meta, non saprebbe dirlo. Non oserebbe più affermare di sentirsi lei artefice delle svolte imposte alla loro vita di coppia e lui l’uomo che si è sempre lasciato trascinare. Sono trascorse già tre ore di viaggio. Da un pezzo sono cominciate le colline. Le alture e i finestrini abbassati rendono la crescente afa più sopportabile. La campagna toscana assolata, vista dall’alto, sembra un assemblaggio di tele dalle tinte forti. Siepi e alberi a fare da cornici.

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Le vengono in mente Gauguin, Van Gogh, i macchiaioli Fattori e Silvestro Lega. Di quest’ultimo rammenta perfettamente il nome, perché Silvestro è anche il nome di suo padre. Negli anni in cui frequentava il liceo ha avuto con il proprio genitore non pochi scontri, che li hanno portati a una convivenza distaccata durante gli studi universitari. Ora che ‘il suo babbo’, come lo ricorda affettuosamente, non c’è più, ne avverte infinitamente la mancanza. Perché nella vita si saltano le tonalità intermedie? Perché spesso il passaggio va così bruscamente dal senso di fastidio alla sensazione di smarrimento, per la presenza o la mancanza di una persona? E perché infine la sua mente è andata a suo padre? Forse comincia a profilarsi sul serio l’uscita di Paolo dalla loro vita coniugale. L’assenza di un uomo, una eventualità ormai che non dovrebbe coglierla impreparata. Ma in questo momento a turbarla è anche quello che le è parso di cogliere, nel tono più che nelle parole, dalla breve conversazione che ha avuto con il padre di Maria Grazia. “Dottoressa Gandolfi, non la seguo. Non capisco se mi porta o mi chiede notizie di mia figlia!” “Signor Baccini, mi vuole essere di aiuto? Le sto chiedendo se ha notizie recenti di Maria Grazia.” “Quanto recenti? Notizie recenti di mesi, no; notizie recenti di anni, forse...” “Posso parlare con sua moglie?” “Certo, ma non è in casa.” “Quando posso trovarla?” “Ah, mi è oscuro il dove, s’immagini il quando...” “Posso venire a trovarla sabato prossimo?” “In questo sì che posso esserle di aiuto. Io, di mia iniziativa, di qui non mi muovo... Solo un terremoto mi mette fuori casa.” “Signor Baccini, allora sarò da lei per il fine settimana.” Giovanna si ferma sulla piazzola davanti a un bar per una sosta. Prima di entrare, apre le carte e dà uno sguardo al resto del percorso. Se ci fosse bisogno di chiedere informazioni, sarebbe meglio saperlo

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subito, al fine di dosare mance sorrisi e cortesie in base alle necessità effettive. Un rapido confronto con l’orologio le assicura di trovarsi in tempo per raggiungere la meta in tarda mattinata. Obiettivo: arrivare prima dell’ora di pranzo. Ha predisposto con cura l’itinerario la sera prima e la mattina successiva è partita all’alba, un po’ prima del dovuto per compensare l’assenza del navigatore. E dimostrare a se stessa che la presenza di un uomo non è poi così indispensabile. L’eventuale arrivo dopo l’ora di pranzo avrebbe l’incognita del riposo pomeridiano da parte del signor Baccini. Sa bene che a sud di Torino, soprattutto d’estate, la gente è solita riposare dopo il pranzo giornaliero. Una dieta ipocalorica li affrancherebbe dall’inconveniente. Poi sarà libera di programmare il fine settimana. In zona alcune fattorie iniziano a ospitare i visitatori di passaggio amanti della natura. Ancora pochi chilometri e raggiunge il paese arroccato su una collina. Cerca un parcheggio, ogni zona in ombra è contesa dai residenti. Lascia l’auto parcheggiata in prossimità di una quercia nell’ultimo posto che trova libero. Il sole girandosi estenderà l’ombra, fra non molto, non più tardi di una mezz’ora, fino alla sua auto. Quando di lì a poco scopre la casa del signor Baccini Domenico, questi è già sull’uscio di casa ad attenderla. Infatti Giovanna, per quei pochi minuti che ha domandato informazioni a un paio di persone nella piazza del paese e ha attraversato la strada, si è sentita come una mosca su una torta alla panna. In mezzo a decine di persone che si trovano in giro, una persona che viene da fuori si nota immediatamente non solo perché ha un viso sconosciuto, ma anche perché ogni località sembra avere una serie di codici segreti che contraddistinguono il paesano dal forestiero. Il modo di vestire, il portamento, l’inflessione della voce, insomma tutto tradisce l’intruso in queste località di antiche tradizioni, né più né meno come in un posto di frontiera. Il signor Baccini è un uomo sulla cinquantina, dai capelli radi e il fisico asciutto del tipo energico. Di solito è affaccendato in piccole attività di manutenzione per fare fronte alle diverse esigenze che la

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casa richiede. Oggi se ne sta seduto sulla porta di casa in maniche di camicia. Sfogliando un opuscolo, che sembra incuriosirlo soltanto parzialmente, sbircia sopra le lenti da presbite verso la piazza dove si affaccia il bar principale del paese. Davanti le solite facce del sabato mattina, il giovane ragioniere che ha trovato un posto di lavoro presso il comune, l’amico pubblicitario. Da lontano intravede una donna vestita di chiaro fermarsi a chiedere informazioni. Il ragioniere indica la direzione puntando verso casa sua. E infatti la donna con la borsa a tracolla si dirige spedita verso di lui. Eccola puntuale quindi. “Non ho avuto le traveggole” dice a se stesso predisponendosi all’incontro. Gli sguardi s’incontrano e si parlano prima ancora dell’uscita delle singole parole, che vengono pronunciate solo per convenzione. “E’ il signor Baccini?” “Buon giorno, la dottoressa Gandolfi?” “Mi chiami Giovanna.” “Giovanna si accomodi, in casa è più fresco.” Ed è anche più riservato, sta ad indicare uno sguardo vigile, rivolto verso la strada mentre si fa da parte per lasciar entrare l’ospite. “Il mio nome è Domenico.” Il signor Baccini è impaziente di conoscere a fondo cosa ha indotto l’elegante signora a percorrere centinaia di chilometri per incontrare un vecchio che non interessa più a nessuno. In verità ha capito bene che si tratta di sua figlia e non di lui. Ma per scaramanzia preferisce focalizzare la sua attenzione su aspetti non particolareggiati piuttosto che... su altro. Una manovra di depistaggio. Un modo di fuorviare in anfratti indistinti il destino. Intanto è troppo legato agli antichi costumi di ospitalità per non indugiare, prima nell’offrire un bicchiere di vino, in nome della tradizione, di pari passo con qualcosa di fresco, che sa di moderno. Versa infine, con suo disappunto, un bicchiere di acqua fresca di frigorifero a Giovanna come gli è stato richiesto e attende. Il primo sguardo è stato sufficiente a Giovanna per afferrare la situazione. La casa pur essendo ordinata rivela l’assenza di una mano femminile. Per esempio il piccolo particolare della fodera copri divano appoggiata in qualche modo sul divano, senza stirare. La

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polvere sulle mensole. Sono entrambi segni eloquenti. Quindi va diritta alla meta spiegando la ragione della sua visita. Il padre di Maria Grazia è rimasto per tutto il tempo ad ascoltare senza mai interrompere. “Signor Baccini,” chiede infine Giovanna, “non si è preoccupato della mancanza di notizie da parte di sua figlia?” “Signora Giovanna, un padre è sempre preoccupato per un figlio o una figlia, specie se la figlia vive lontano! Il fatto è che ho pensato: nessuna notizia, buone notizie. Non ha telefonato a me, avrà chiamato mia moglie...” “E sua moglie, dov’è?” “Non vedo mia moglie da quando è andata via di casa.” “E’ successo prima o dopo che Maria Grazia si è recata all’estero?” “Purtroppo, dopo la partenza di Maria Grazia, sono successi molti fraintendimenti fra me e mia moglie, che sarebbe noioso raccontare.” “E sua figlia sa della vostra separazione?” “Io a Maria Grazia non ho detto niente.” Ha una pausa di riflessione. “Ho pensato di sì, che l’abbia saputo da sua madre o da qualcuno del paese con cui è rimasta in contatto. Mi sono detto: ‘è perché sua madre se ne andata di casa, che non mi manda più nemmeno una cartolina’. Ho pensato che ce l’avesse con me.” Così dicendo si alza e stacca da una parete ricoperta di cartoline una in particolare, l’ultima che ha ricevuto. Rappresenta una foto del parco di Fontainebleau. La data è riconducibile a circa un anno e mezzo prima. Un rapido calcolo, all’epoca Marcello era in Francia, era tutto regolare. “Lei non ha mai cercato di contattare Maria Grazia negli ultimi mesi?” “Ma è stata sempre lei a mandarci sue notizie. E’ lei che se ne andata a studiare all’estero. Aveva detto, vado via per sei mesi, poi è diventato un anno, poi due. ‘Allora’, le ho detto io: ‘questi studi non finiscono mai?’ Io ho fatto il mio dovere, sono loro donne che praticamente mi hanno abbandonato.” E’ un uomo amareggiato che vive tuttora con rancore il pensiero del torto subìto e che non sembra voler afferrare la portata di quello che sta scoprendo. Giovanna gli ha riferito che sta cercando di rintracciare Maria Grazia per conto di un

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amico. Non vuole essere lei ad anticipare notizie drammatiche che per adesso restano solo ipotesi. “Cosa è successo, tra lei e sua moglie, di così importante, che vi impedisce persino di rimanere in contatto per scambiarvi notizie di vostra figlia?” “Gliel’ho detto: una serie di fraintendimenti...” Una frase dopo l’altra fa emergere una storia di ripicche, di divieti e di visite fatte in città alla vecchia madre, alla parentela. L’ultimo fraintendimento della serie è stato che la madre di Maria Grazia era rimasta chiusa fuori della porta di casa. In pratica l’aveva trovata sbarrata, per essere rincasata ventiquattr’ore dopo l’ora pattuita. Il fatto risale a fine novembre o inizio dicembre dell’anno scorso. Il pover’uomo racconta a modo suo l’episodio, ma non rammenta con precisione neanche il mese in cui è stato lasciato da sua moglie. E il mazzo di fiori per l’anniversario delle nozze? Se Dio vuole, quando tornerà a rinascere, farà ammenda con fiori e champagne! La signora Nobili - un nome dal sapore beffardo nella precisa circostanza - aveva dovuto quindi fare ritorno in città, chiedere ospitalità a sua cugina, per non impensierire inutilmente sua madre che già di testa non ci stava. Dopo la morte del marito, il nonno di Maria Grazia, la nonna non si era più ripresa. Che situazione, ritornare dalla città in pullman con altre persone, fare un pezzo di strada insieme con qualcuno che ti aiuta a portare la borsa e i sacchetti della spesa, tentare di aprire, bussare alla propria porta di casa e scoprire che è chiusa dal di dentro. E lui, forse ubriaco, barricato all’interno a gridare che non aprirà per altre ventiquattr’ore. Poteva chiamare i carabinieri e fare irruzione in casa propria con la forza? Altro che separazione, la madre di Maria Grazia, per la vergogna, semplicemente non se l’era più sentita di ritornare in paese. E lui Domenico Baccini per orgoglio non si era più recato in città, per dimostrare a chiunque che era un uomo tutto d’un pezzo. Perché non voleva che fosse il caso a farlo incontrare con la moglie. “Io nemmeno so dove sta lei, ma lei sa dove sono io e dov’è casa sua!” Era la frase che aveva ripetuto a parenti e conoscenti che avevano cercato invano di rabbonirlo.

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E lui e la moglie, entrambi furenti e feriti nel loro amor proprio, non si erano più parlati nemmeno per passarsi una breve notizia, una qualche informazione, un cenno vicendevole che permettesse loro di cogliere il fatto insolito. Se non arrivavano più cartoline dall’estero, forse la loro unica figlia poteva non essere in grado di spedirne alcuna. Non avendo altro punto di riferimento, Giovanna si sta dirigendo verso Grosseto, la città di provenienza della signora Baccini. Nome da nubile Luigina Nobili. Che fatica scucire a un marito arcigno nome e cognome della moglie e la città dove - probabilmente - vive. Se non gli avesse concesso quel ‘probabilmente’, forse starebbe ancor lì ad ascoltare la solita solfa che lui non ha nessuna idea dove possa vivere sua moglie, in quale città o continente. “Una volta sradicata delle sue radici, una donna diventa una pianta da vaso. In un primo tempo rifiorisce, poi del vaso se ne perdono le tracce.” Questa del vaso mi è nuova, ha pensato Giovanna, senza perdere niente nel suo sguardo della grinta professionale che ha dovuto esibire. “Grosseto. Là vive o viveva sua madre e la sua parentela, che io sappia. Non che ci abbia mai messo piede, negli ultimi vent’anni. Che Dio mi fulmini se non dico la verità.” “Quindi,” ha concesso Giovanna, “probabilmente, se voglio incontrare la mamma di Maria Grazia, faccio bene a passare per Grosseto.” “Probabilmente... lo dice anche lei.” “Ha un indirizzo dove rintracciarla, senza destare troppe attenzioni, o mi devo rivolgere a una stazione dei carabinieri?” Ha dovuto ricorrere a tutti gli artifizi del mestiere, compresa una dose extra di pazienza, per raccogliere le informazioni necessarie. Per cosa poi? Per ritrovarsi a percorrere un altro centinaio di chilometri più a sud. Eh via, il tempo libero per definizione è un modo di dissipare denaro ed energie per missioni inconcludenti, che se le fossero state

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recapitate sulla scrivania, avrebbe rifiutate in toto. Ha accantonato il proposito di recarsi in una fattoria, per sperimentare da vicino i benefici dell’agriturismo, di quella che appare come un nuovo modo di concepire lo svago. Attività o riposo all’aria aperta, buona cucina, tranquillità. Forse una nuova moda. Ecco un investimento per il futuro, ha pensato. Nello stesso tempo ha immaginato l’imbarazzo di trovarsi sola. L’impegno d’incontrare la mamma di Maria Grazia, la signora Nobili, le ha fornito l’alibi per cambiare prospettiva e preferire l’anonimo soggiorno in un hotel. Intanto ha potuto ammirare la maremma, i casali ristrutturati all’interno di floride tenute agricole. I campi di grano, a rammentare la stagione estiva. Il verde opaco degli oliveti intramezzato dalle macchie scure dell’ombra e della terra. Il verde più uniforme della pineta, a tratti quasi smeraldo sotto i raggi dardeggianti del sole, distendersi all’orizzonte lungo la sottile striscia d’azzurro del mare. Animali al pascolo nei prati e nel verde difforme dei boschi della macchia mediterranea. Domenica mattina ore 10. La signora Luigina Nobili, all’ora in cui sarebbe andata a messa se fosse stata una domenica normale (dopo aver provveduto alle faccende di casa, in tempo - all’uscita della messa - per preparare il pranzo per se e per sua madre), varca la soglia della locale stazione dei carabinieri, accompagnata dall’avvocato Giovanna Gandolfi, per denunciare la scomparsa di sua figlia. L’animo della madre di Maria Grazia è gonfio di sgomento. Il senso di colpa non è attenuato dal fatto che negli ultimi mesi abbia scritto alla figlia due lettere per darle il nuovo indirizzo presso la nonna e spiegarle la nuova situazione familiare. Si era detta, forse a Maria Grazia occorre del tempo, ha bisogno che la faccenda si sedimenti. Prima vorrà sapere da un’altra fonte come sono andate davvero le cose, vorrà ascoltare un’altra versione. Ora teme che Dio abbia voluto punirla per aver abbandonato il tetto coniugale, per non aver trovato la forza di perdonare il suo uomo.

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11 Lunedì mattina. Giovanna è in ufficio presto com’è sua abitudine. Ha dormito a casa dei genitori, (che dopo la morte del padre è diventata anche sua), evitando così una mezz’ora di guida per entrare in città. Sua mamma è al mare in Liguria insieme a una parente. Non ha dovuto rispondere a domande né anticipare spiegazioni. Le poche ore di sonno non le hanno permesso di smaltire del tutto la stanchezza del viaggio. Come per ogni persona attiva a cui piace la propria professione, sa che troverà il vero riposo nel corso della settimana lavorativa. “Ci riposiamo cammin facendo,” era solito dirle suo padre, quando da bambina diceva di essere stanca e talvolta “frignava per farsi prendere in braccio”. Non che lei ricordi di essere mai stata una bambina frignona. Di suo padre rammenta queste espressioni, tipiche del suo carattere tendente al burbero, che solo adesso le suscitano tenerezza. Immagina che il terzetto a Parigi si sia mosso di pari passo a quanto stabilito. Non ha bisogno di aspettare gli sviluppi per aprire un fascicolo (una cartellina verde che le rammenta la maremma è di buon auspicio per il prosieguo del caso) intestato: MGB (privato) da non classificare. E’ una disposizione per le segretarie. Il fascicolo vuoto è destinato a restare sulla scrivania a portata di mano, indisturbato, per raccogliere ogni annotazione a mano a mano che arriveranno gli aggiornamenti. Conosce a sufficienza il mondo giudiziario per immaginare come si svolgeranno le cose. Sa bene che prima di metà settimana non ci sarà niente di rilevante, il fascicolo testimonia comunque che lei è lieta se gli sviluppi sono più dirompenti del previsto. Pronta a essere smentita quindi, positiva. L’unica vera incertezza della mattinata è stata quando dopo la M maiuscola ha dovuto aggiungere le lettere successive. Per qualche istante è rimasta perplessa se intestare il fascicolo a MD. Poi ciò le è sembrato una dichiarazione di colpevolezza ante litteram. L’altra

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incertezza è piuttosto un gioco: consiste nell’indovinare chi si farà vivo per prima. Paolo da Parigi con il suo resoconto oppure sarà Marcello Dotti da Milano a chiedere aiuto perché il mondo gli sta crollando addosso? Com’è tutto strano. Fino a qualche settimana fa la vita si è svolta abbastanza serena, almeno per lei, che non aveva sentore né della tresca di Paolo con Annalisa, né dei sotterfugi che i due amanti mettevano in atto. In definitiva non è che dovessero elaborare piani mirabolanti per ritrovarsi a letto a sua insaputa, essendo totale la sua fiducia verso entrambi. A pochi giorni di distanza, Paolo non solo non è più sotto il tetto coniugale, ma insieme ad Annalisa vivono il loro momento di grandeur nientemeno che a Parigi. “Tieni l’amica di Maria Grazia al corrente, così ti è più facile tenerla sott’occhio.” Gli ha suggerito. “E mandami un aggiornamento giornaliero della situazione,” gli ha quasi intimato. In questo modo lo mantengo occupato a riportare il corso dell’indagine e in più sarà costretto a intrattenere due donne invece di una sola. Ma come al solito, al pigro - e secondo lei lo sono la maggior parte delle persone - chiedi molto per ottenere il poco. Riceverà almeno una nota settimanale? Chi dei due, Paolo o Marcello, fornirà il primo tassello del puzzle destinato a diventare il caso MGB? La prima parte della mattinata prosegue indisturbata. La cartellina verde rimane sul lato destro della scrivania. Adesso vuota e inconsistente in una delle vaschette di plastica poste una sull’altra a incastro su diversi ripiani. L’etichetta sul fianco sinistro della vaschetta resta anonima. Altri fascicoli promettono di movimentare la giornata. Intanto di primo mattino, insieme al buon giorno della segretaria, arriva la posta che va a depositarsi nella vaschetta in cima, che sul lato porta la scritta IN. Sotto ben visibile, l’etichetta della vaschetta successiva reca la scritta OUT. Questo ripiano al mattino è generalmente vuoto, salvo quando la situazione diventa incandescente e si fanno anche delle sessioni notturne. Sul lato sinistro della scrivania sono sistemati due faldoni, troppo voluminosi per essere inseriti nelle vaschette. Quando la documentazione di una cartellina prende consistenza fino a diventare incontenibile nella stessa, il contenuto passa in un faldone: allora si

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può dire che la questione è diventata tangibile, che il caso c’è. Se poi la parte remunerativa è adeguata, il caso assume un rango di prim’ordine! Ovviamente una segretaria efficiente, con qualche anno di esperienza alle spalle, conosce l’ordine d’importanza di ogni caso e sa come comportarsi di conseguenza. Al telefono, nei confronti del cliente, di fronte all’ospite, non ha esitazioni. Smista la corrispondenza, vaglia ogni chiamata, passa quelle urgenti o appropriate al caso, mette a confronto la situazione interna di ciascun ambiente o scrivania con la pressione che viene dall’esterno. Ed anche una cartellina vuota parla e detta il comportamento adeguato da tenersi. Quindi mentre l’avvocato Giovanna Gandolfi nelle sue congetture non ha tenuto in debito conto il pendolo della storia (l’esse minuscola non inganni nessuno, fatte le debite proporzioni il gioco è lo stesso) che nel suo movimento eccede ora da una parte, ora all’altra, la segretaria ha capito l’antifona: una reazione non tarderà a venire. Marisa non ha raggiunto ancora i trent’anni, ma ha già ‘due lustri di esperienza in cartella’, come ama dire lei. Fa palestra, non ha le spalle ricurve delle signore quarantenni. Non si carica il peso degli anni sulle spalle, ma ne fa tesoro. Alle nove del mattino ha già notato la cartellina verde, ha appreso che la dottoressa si è recata in Toscana nel fine settimana. Ha sommato due più due e ora è in campana. Pertanto quando a metà mattina è giunta una telefonata da Grosseto per l’avvocato Giovanna Gandolfi ha preso dalle mani della segretaria più giovane la cornetta. Valutando correttamente l’insieme, ha intuito che quella telefonata rappresenta l’inizio del nuovo caso. “Attenda per favore,” si è affrettata a dire. Si è affacciata alla porta dell’ufficio di Giovanna, di fatto interrompendo la conversazione con un collega senior e muovendo quasi soltanto le labbra le ha sussurrato della chiamata. “Al telefono c’è una signora di Grosseto. Non so se ho fatto bene, le ho detto di attendere.” “Chiedile se mi sta chiamando da casa. Se è così, fatti dare il suo numero di telefono. La richiamo io fra cinque minuti.” Un sasso, due

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piccioni. Il collega avvocato è avvertito, non ha più di cinque minuti per argomentare il suo problema. La madre di Maria Grazia, non dovendosi preoccupare anche della bolletta del telefono, parlerà più liberamente. E infatti ha intuito correttamente. La signora Luigina Nobili chiama da casa. Avendo il collega rimandato la discussione a un altro momento Giovanna è pronta a mettersi al telefono. “Buon giorno signora Nobili, ha riposato stanotte?” così dicendo pensa a lei stessa che sicuramente ha dormito meno ore. “Buon giorno dottoressa Giovanna, spero di non essere di troppo disturbo.” “No, ha fatto bene a telefonarmi, si è un po’ ripresa dallo choc?” “Stanotte non ho dormito, come può ben immaginare. Ma si dice che la notte porta consiglio...” “E quindi?” Capisce che deve incalzarla a dire subito quanto le sta a cuore. “E quindi mi è venuto in mente di andare a Parigi,” la signora Nobili s’interrompe, poi quasi a giustificarsi aggiunge, “forse là posso essere di maggiore aiuto.” In una frazione di secondo Giovanna comprende l’impazienza, il bisogno di conoscere di una mamma di fronte alla scomparsa della figlia, il senso di colpa misto a frustrazione e vede Paolo alle prese con un’altra donna. “Ma ha tenuto in considerazione la difficoltà della lingua?” “Appunto, non mi ha detto che suo marito in questi giorni si trova proprio a Parigi? Non voglio disturbarlo più di tanto, ma ho pensato anche: quale occasione migliore? Invece di far passare la mia testimonianza tramite i canali italiani, ho pensato di dare un contributo diretto all’indagine.” Ha rimuginato tutta la notte, pensa Giovanna. “Andrà incontro a delle spese, lo sa?” “Per l’appunto, questo è il secondo motivo per cui la chiamo.” La madre di Maria Grazia esita a trovare le parole. Finirò anche per dover finanziare la spedizione, si domanda Giovanna. “Me ne parla di questo secondo motivo o devo indovinare?”

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“Beh, ho pensato: se lei mi può assistere nella separazione con mio marito, forse posso provare a chiedergli una partecipazione alle spese di viaggio.” Non è stupida la signora. Se la notte porta consiglio, è probabile che ci sia stato una specie di consiglio di guerra ad elaborare l’intero piano strategico. “Intanto per la separazione legale, si può aspettare. Sarebbe meglio che ad assisterla fosse un avvocato nella sua zona. Inoltre non mi occupo di separazioni.” E un argine è stato messo. “In quanto al denaro, ha provato a fare un tentativo con suo marito, a chiedergli insomma di anticiparle parte della somma per il suo viaggio?” “Non ho osato, lui è così ristretto in tutte le cose, si figuri quando si tratta di denaro!” “E se faccio io una telefonata a suo marito, e la reazione non è di chiusura totale, lei poi se la sente di andare da lui a ritirare i soldi?” Nel mettere giù la cornetta Giovanna ha il sorriso sulle labbra. Il soggiorno a Parigi di suo marito, alle prese con tre donne, le rende il buon umore. Intanto già pensa alla prossima mossa. E Marcello è la pedina da manovrare. Se entro la fine della settimana non riceve nessuna richiesta d’aiuto, sarà lei a chiamarlo. Lunedì, ora di pranzo. Ruminando la sua insalata mista, Giovanna ad ogni movimento della mandibola metabolizza vitamine e pensieri. Il rito dei piatti macrobiotici le è valso il privilegio di essere lasciata tranquilla, almeno durante la pausa pranzo, dai colleghi maschi, che le rare volte in cui mangiano insieme, sono soliti sbirciare nel suo piatto con malcelato ribrezzo, e dalle colleghe donne, le quali essendo inferiori di rango non si sentono pienamente a loro agio. E allora trangugiano foglie d’insalata e sequenze frettolose di shopping altrove. Il fattore leva è servito a scucire lire 150 mila al signor Baccini. Il gioco di sponda le ha permesso di dosare gli ingredienti. E’ bastato solo accennare all’eventualità della richiesta di separazione da parte di sua moglie, per fargli capire da dove può venire il vero pericolo. Lei pur essendo un avvocato, non vuole immischiarsi nelle

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liti fra coniugi. La moglie, se davvero vuole raggiungere l’obiettivo di ottenere la separazione legale, dovrà rivolgersi a un altro avvocato. A lei è bastato informarlo di non cumulare troppi errori per quando poi arriverà il momento. Mostrando disponibilità a partecipare alle spese di viaggio di sua moglie, che vuole raggiungere il posto dove sua figlia è stata segnalata l’ultima volta, acquisisce un elemento a suo favore - oltre a essere un suo dovere di padre. Per finire, facendo leva sull’orgoglio, ha servito il piatto condito con una dose abbondante di amor proprio. Un toscano, abituato al vino, può limitarsi al solo pane azzimo, può mai rimanere indifferente di fronte a un piatto ben guarnito? Avrà occasione di dare sapore alla sua miserevole esistenza. Dimostrare al paese che ha avuto un comportamento coerente, che la moglie è ritornata a bussare alla sua porta. E lui le ha aperto, dandole il necessario per il viaggio. Nel momento del bisogno, il signor Baccini c’è. Dominare l’uomo, con il sotterfugio di dare corda al suo temperamento, per poterlo manovrare. Sua madre non si comportava alla stesso modo? Le riesce perfino d’immaginare il padre di Maria Grazia, solitario, nella sua cantina a parlottare con il suo vino, dopo aver scrutato la sera prima, la luna. Perché al vino non si comanda, lo si asseconda, osservando attentamente le stagioni e le fasi della luna. Un uomo casa-cantina che invece diventa insofferente se sua moglie gli dice di voler andare in città a visitare la madre. O i parenti, a seconda dei casi. Perché, a cos’altro serve la parentela? Se non a sviare il sospetto quelle volte in cui, a seguito di una telefonata, si scopre che la visita dalla madre è stata sin troppo breve. E allora all’uomo salta la mosca al naso, vorrebbe custodirla in cantina la sua donna, al fresco, costantemente sotto il suo dominio. E per preservare il suo equilibrio, si chiude dentro... La cantina, la casa, sono spazi da preservare. Dice alla moglie: non ti apro, ritorna domani. La sua rabbia di uomo tradito necessita di alcune ore di decantazione per sbollire. Vino e cantiniere hanno bisogno di un rito uguale nel tempo.

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Lunedì, ore 19. Colleghi e segretarie sono tutti andati. La donna delle pulizie si è affacciata per salutare ma anche, lo sguardo interrogativo come al solito, per domandarle quando preferisce che il suo ufficio venga fatto - per primo o per ultimo. Giovanna attende una telefonata dalla signora Nobili per conoscere l’esito dell’incontro con suo marito. “Buona sera,” ha risposto, “stasera sono stanca, non mi fermo a lungo. Aspetto solo una telefonata, per terminare la giornata.” Intanto ne approfitta per portarsi avanti nel lavoro e, dato uno sguardo all’agenda, predispone per l’indomani una tabella di marcia destinata a essere sovvertita dagli imprevisti. Dentro di sé ha sentito di essere maturata quando ha accettato il fatto che la vita non si può programmare come una partita di scacchi. Altri giochi concorrono a condizionare gli eventi. Occorre imparare a giocare su tutti i tavoli. Le luci degli uffici sono rimaste accese, non solo per la donna delle pulizie, ma anche perché fino a quando non sarà uscita, preferisce non dare l’impressione di essere una donna sola e indifesa. Quand’era bambina le era spesso richiesto di dare prova di coraggio quasi fosse un maschietto. Avendo però accettato da piccola di dormire nella sua cameretta, le era stato concesso di lasciare l’abatjour acceso. Il silenzio della sera amplifica lo squillo del telefono, che ripercuote il richiamo più distinto e imperativo nell’ufficio della segretaria, mentre l’eco del suono si diffonde nel corridoio fino a raggiungere ogni stanza. La prontezza di riflessi di Giovanna lo interrompe alla fonte. “Giovanna Gandolfi, buona sera.” “Buona sera dottoressa Gandolfi, sono la signora Nobili, mi sente?” “Sì, la sento bene. Come è andata?” “C’è rumore, non sento molto bene.” “Come è andata? Da dove chiama?” “Chiamo dalla stazione di Grosseto. Prendo il treno per Parigi, fra un’ora.” “Prima ho chiesto se tutto è filato liscio.”

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“Sì, più o meno, tutto è andato come aveva previsto lei.” “A che ora è previsto l’arrivo del treno a Parigi?” “Alle nove del mattino.” “Alla gare de Lyon, suppongo.” “Non capisco, non si sente bene.” “Ho detto, il treno arriva alla stazione di Parigi che si chiama: ‘gare de Lyon’?” “Sì, sul biglietto è scritto proprio così. Adesso devo salutarla, stanno per finire i gettoni.” “Buon viaggio, le darò ogni supporto da qui.” “Grazie di tutto. Buona sera.” Tutto è andato, più o meno, come ha disposto lei. Le sarebbe piaciuto conoscere ogni passaggio della conversazione fra la signora Nobili e suo marito. Ma la telefonata è stata breve e disturbata. Intanto entrambe hanno raggiunto il loro scopo. La signora delle pulizie si affaccia alla porta dell’ufficio. “E’ la telefonata che aspettava?” chiede. “Sì, è la telefonata che aspettavo. Adesso mi rimane di scrivere solo due righe, ed ho proprio finito.” Quando tempo fa ha ricevuto la medesima risposta? Per niente rassicurata la signora ritorna nell’ufficio accanto. Telex a Paolo. ‘Domani martedì ore 9, gare de Lyon, in arrivo signora Nobili, madre di Maria Grazia. Necessita sistemazione in albergo adeguata alle sue possibilità e assistenza con le autorità. Oltre agli sviluppi sul campo, riportami subito se noti ‘segni particolari’ dell’incontro (oggi pomeriggio) tra la madre e il padre di Maria Grazia. In seguito vorrei conoscere anche i dettagli. Ti abbraccio, G.’

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12 Martedì mattina. E’ quasi l’alba quando Giovanna viene sorpresa dallo squillo monotono del telefono, nell’atto di sognare il rientro in casa dopo una lunga giornata di lavoro. Ha la sensazione che una conversazione lasciata in sospeso in ufficio debba in qualche modo essere proseguita tra le mura domestiche. Pertanto con un affanno, che in sogno diventa sfibrante, si affretta a salire la rampa di scale che separa l’atrio del palazzo dal portoncino d’entrata. Costi quel che costi arriverà puntuale. Come se ci fosse qualcuno dietro la porta ad aspettarla nell’atto di porgendole materialmente un apparecchio che non cessa di suonare. Con uno sforzo di volontà si gira su se stessa nel letto, mette i piedi nudi sul pavimento. Il marmo freddo ha l’effetto di un getto d’acqua fredda addosso. Riacquista in parte lucidità; maledizione è notte, malgrado un pallido chiarore che si confonde con la luce dei lampioni in strada e che forse annuncia l’alba. Senza ulteriore esitazione si dirige in sala dove il telefono continua incessante a squillare. Solleva la cornetta nel momento stesso in cui sprofonda nella poltrona. A questo punto spera che non interrompano la telefonata, vuole sapere chi chiama. Teme per i suoi, spera intensamente che non sia successo niente di grave. “Chi è?” “Mi scusi signora per l’ora, sono un agente delle ferrovie francesi,” dice una voce in corretto italiano, ma con marcato accento francese. “Mi dica.” “Il treno diretto a Parigi è stato bloccato a Lione” scandisce le parole, e prosegue velocemente come a volere sorvolare, “... ecco, a causa di una banda di ladri che hanno narcotizzato alcuni passeggeri che dormivano nei vagoni letto.” Breve pausa, ritorna al tono precedente. “Tra i passeggeri c’è una signora di nome Nobili Luigina, la conosce?” “Sì, la conosco, come sta?” “Ecco, per questo ho telefonato. La signora è sotto l’effetto di sostanze narcotizzanti. Poiché presenta anche dei segni al volto,

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abbiamo deciso di mandarla con l’autoambulanza in ospedale per un controllo.” “Va bene.” “In borsetta abbiamo trovato il suo biglietto da visita, sul retro è annotato questo numero di telefono. Ci sono altre persone da informare?” “Sì, no, me ne occupo io. Intanto mi può dare il suo nome e numero di telefono? La richiamo fra cinque minuti.” “Per prima cosa prenda nota dell’indirizzo e del numero di telefono dell’ospedale...” “Ok.” Una incombenza che in pieno giorno avrebbe svolta la segretaria, adesso tocca a lei con gli occhi impastati di sonno, ancor prima di potersi sciacquare il viso. Martedì pomeriggio. Due donne entrano in un bar e si siedono a un tavolino nell’angolo più remoto della sala. Il barista mentre serve ai tavoli le ha seguite con la coda dell’occhio. Un pensiero che sta diventando il suo chiodo fisso gli conferma la giustezza delle sue rivendicazioni: le consumazioni dovrebbero tenere conto delle distanze da percorrere e in generale della difficoltà per effettuare il servizio. D’altronde un vago presentimento gli ha come anticipato che la mancia sarà nella percentuale stabilita (ma soltanto perché è obbligatoria), neanche un centesimo di più. Da cosa l’ha intuito? La donna più giovane vestita sobriamente di blu, con una cartella a tracolla, ha un viso austero senza l’ombra di un sorriso. E labbra sottili che appaiono serrate ermeticamente da non lasciare sfuggire emozioni. Aspetteranno il loro turno, queste due. “Loro pensano che siano stati i ladri ad avermi malmenata!” rompe il silenzio Luigina. “Va bene così, tu continua a dire di non ricordare,” le suggerisce Giovanna. “In effetti io rammento di essermi sdraiata, a un certo punto ho spento la luce, per un po’ sono stata a pensare... e così devo essermi addormentata. Poi mi sono ripresa mentre mi trasportavano in ospedale, capivo che mi stava succedendo qualcosa d’insolito, ma

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ero in uno stato di dormiveglia, impossibilitata a muovermi.” “Ok. Tu continua a sostenere la parte.” “Ma la polizia ha messo a verbale che mi hanno colpito.” “E’ stata una loro deduzione, finora nella tua testimonianza non c’è niente di rilevante. Tu sei la vittima.” “Sì, ma prima o poi la verità può venire a galla, no? Lei lo sa meglio di me, che conosco come funziona la giustizia solo per averlo visto in tv, in tribunale ogni fatto viene discusso. Quelli negheranno di avermi colpita. A che serve continuare a fare finta di niente?” “Prima che le cose arrivino in tribunale, anche qui in Francia, ne corre di tempo.” Il tono della conversazione è andato spegnendosi all’arrivo del barista. Ordinano una bottiglietta di acqua minerale e un caffè che il barista si affretta ad annotare sul proprio taccuino con un ghigno che porta impresso il déjà vu. L’attesa è stata lunga, ma dopo l’ordinazione il servizio si rivela fulmineo. Anche il conto viene presentato all’istante. Segue un attimo di smarrimento da parte di Giovanna che non si aspetta di dover pagare subito. Prende il portafogli nella borsetta e paga. Il barista ha già la mente e lo sguardo altrove; strappato a metà lo scontrino e lasciato il resto in un angolo del tavolo, si allontana lasciando libero il campo. “Allora,” Giovanna riprende la conversazione, “se mantieni la tua posizione attuale ancora per un po’ non ti può succedere assolutamente nulla. Non ci perdi nulla, in cambio ci possiamo guadagnare qualcosa.” La zona dov’è il loro tavolo è rimasta semideserta, non ci sono orecchie che possano captare la loro conversazione a bassa voce, tanto più che parlano italiano in un ambiente frequentato da stranieri. “Tu sei la vittima che più ci ha rimesso. Per un po’ abbiamo sia la polizia, sia i ladri che pendono dalle tue labbra! Capisci dove voglio arrivare?” La signora Nobili Luigina fa cenno di sì con il capo. Ha imparato subito come comportarsi all’estero; per mettere fine alle domande, basta fare sì con il capo e quelli scrivono e così si mettono le cose a tacere. Prima l’infermiera con il questionario, poi la polizia a prendere appunti, quindi la trascrizione del verbale. E’ da questa

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notte che le rivolgono domande a cui non sa bene che rispondere. E’ rimasta abbottonata l’intero giorno. Il buon Dio le manda la dottoressa Giovanna, che è un avvocato, finalmente può parlare liberamente. Ed invece ora stenta a farsi capire e a capire lei stessa le risposte. E’ arcistufa, stanca, ha soltanto voglia di distendersi, di risposare gli occhi e il cervello, di lasciarsi andare. E’ tutto così assurdo, se non fosse per la ragione di fondo per cui si trova lì: ritrovare sua figlia. Martedì sera. Un taxi si ferma davanti al portone del palazzo dove abita la dottoressa Giovanna Gandolfi. Tre donne scendono, varcano il portone d’ingresso e salgono in casa. Portano su rispettivamente, oltre a una borsetta ciascuna, una valigia, una borsa ventiquattrore e un vassoio tenuto con cura orizzontalmente sul palmo della mano destra, sorretta dalla sinistra. Giovanna apre il portoncino di casa, fa accomodare in sala la signora Luigina, mentre la sua segretaria Marisa con il vassoio in mano la segue in cucina. Mentre la signora Luigina è in bagno, Giovanna e Marisa cominciano ad apparecchiare la tavola, ad aprire il vassoio, stanno predisponendo piatti e bicchieri per un cena frugale per donne che tengono cura della linea in ogni circostanza. “Come va la scuola serale?” domanda Giovanna a Marisa. “Le materie più legate alla professione legale non sono impegnative. E’ tutto il resto che lo è: tenersi aggiornata sui corsi, capire ogni prof che orientamento dà alla sua materia.” “Basta comprare le loro dispense, che non t’insegnano molto essendo frutto d’un mondo cervellotico a sé stante, ma ti permettono di superare gli esami.” “Infatti, quello delle dispense è il lato lecito del mercato degli esami.” “Ma tu davvero vorresti fare l’avvocato?” “Perché no, pur avendo sostenuto solo un paio d’esami, ho fatto già un lungo tirocinio. Non ti pare?” Praticamente Marisa e Giovanna sono coetanee, ma è la prima volta che si danno del tu dopo anni di

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lavoro presso lo stesso studio. Quando Luigina compare all’entrata della cucina è il turno di Giovanna di recarsi in bagno. Marisa non può fare a meno di notare parte dello zigomo destro della signora Nobili arrossato e gonfio nonostante uno strato di trucco. “Ti fa ancora male?” “No, mi fa più male sapere che me lo sono procurato stupidamente.” “Beh, poteva capitare a chiunque di venire derubata. In piena notte?!” Il silenzio della signora Luigina porta Marisa a proseguire l’osservazione che per un istante ha avuto nel tono di voce un interrogativo. “Deve essere stata una esperienza tremenda.” Infine è la volta di Marisa di andare in bagno per un bisognino veloce. Durante la cena hanno modo di raccontare alla segretaria di Giovanna il seguito dei fatti accaduti sul treno Roma - Parigi. Intanto la signora Luigina ha l’opportunità di ritornare anche sull’antefatto a beneficio soprattutto di Marisa che qualcosa ha subodorato. Senza mezzi termini rivela che stupidamente, quando si è vista consegnare dal marito la cifra concordata con la dottoressa, il bisogno di sfogarsi è stato più forte di lei. Gli ha detto ch’era il tipo d’uomo che davanti a una donna con le palle si cala le braghe. E per tutta risposta ha ricevuto un manrovescio. Poi sarcasticamente suo marito, riferitosi al colloquio con la dottoressa, ha tenuto a precisare che ciò non era parte dell’accordo, ma... “Vero anche che non ho sottoscritto il contrario,” sue testuali parole. E’ chiaro quindi che da un lato non ha potuto confessare alla polizia francese certi retroscena. Oltretutto conoscendo il marito se l’è un po’ cercato quel manrovescio. Dall’altro lato non le piace infierire sulla gente che sbaglia per colpe che non hanno commesse. La generosità della signora Nobili induce le altre due donne a scambiarsi uno sguardo d’intesa, che hanno modo di sviluppare qualche minuto più tardi, dopo aver sparecchiato la tavola e dopo che Luigina è andata a riposarsi. E’ ovvio che il punto di vista di chi sta al di qua della barricata sia diametralmente opposto a una persona che sta sull’altro versante. Infatti il ragionamento dell’avvocato tende a cogliere ogni

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opportunità, a utilizzarla strumentalmente a proprio favore o nell’interesse del suo assistito - se si dà il caso. Quindi Giovanna espone a Marisa il suo piano tendente a ottenere il massimo, in cambio di una testimonianza sia pure dovuta. La finalità è indurre, per prima cosa, la polizia francese a essere collaborativa nelle ricerche per ritrovare Maria Grazia. Due, una banda di ladri che necessita di una testimonianza potrà rivelarsi utile in qualsiasi caso, sta al manovratore trovare la maniera di guadagnarsi un credito di riconoscenza. “Tre,” conclude Giovanna, “neanch’io ho sottoscritto alcunché con il signor Baccini. Il marito della signora Luigina sarà spinto a rendere alla moglie la giusta libertà, un assegno adeguato, e dovrà capire che dietro di lei ora ci siamo noi. Per il futuro dovrà fare molta attenzione prima di manifestare comportamenti violenti.” “Marisa, te ne vuoi occupare tu? Questo sarà il tuo primo caso da vera praticante nella professione di avvocato.” “Va bene, grazie. Hai già in mente come colpirlo nel suo punto molle?” “Naturalmente, ma non ti ho detto tutto. Il vero punto molle è l’attaccamento alla sua cantina. Lo spavento di dover cedere metà della sua cantina, lo renderà in futuro mansueto come un bue.” L’immagine è forte anche per due donne in carriera avvezze a farsi strada a spintoni. Il richiamo, nel loro gergo, è più che altro allo stato di castrato che alla mansuetudine o alla mole dell’animale. “Ah,” si riprende Marisa, “stavo per dimenticare. Oltre alle telefonate da parte del signor Baccini, il quale avendo appreso l’accaduto dalla tv si è mostrato agitato, ma non così sconvolto come uno potrebbe supporre, è arrivata una telefonata da parte di Marcello Dotti.” “Ha lasciato detto qualcosa?” “Niente, non ha voluto dire altro se non riferirti di avere chiamato.”

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13 Mercoledì mattina. Luigina, coricata a letto, intravede le prime luci dell’alba attraverso i fori della tapparella lasciata apposta tirata a maglie larghe per permettere alla luce di filtrare. Per non disturbare resta ancora a letto. Superata la sensazione di smarrimento iniziale per ritrovarsi sveglia in un ambiente nuovo, il pensiero successivo va al silenzio prolungato della figlia. Certamente dopo l’incontro con la dottoressa Giovanna vive in uno stato d’ansietà mai conosciuta prima. Tuttavia, come le è stata consigliata, non vuole pensare al peggio. Pertanto la fantasia corre alle congetture, all’amore di Maria Grazia per i viaggi, al fascino di trovarsi in posti dove ti parlano in una lingua straniera. Allora scopri che il linguaggio non è fatto di sole parole, ma da una miriade di gesti espressivi tanto quanto le parole stesse, se non di più. Lo ha scoperto lei stessa, restando ore ed ore alla mercé della situazione. Se quel fatto drammatico le fosse capitato in un altro momento, forse avrebbe assunto il sapore dell’avventura. La storia con suo marito non era cominciata da una disavventura dopo aver perso l’ultimo pullman che portava al paese? Era arrivata trafelata alla stazione di Grosseto dove avrebbe dovuto sostare il pullman. Ricordava che era solito partire sempre cinque, se non dieci minuti dopo l’orario. E infatti, le volte in cui lei era arrivata in anticipo, aveva constatato un codazzo di paesani che erano arrivati con qualche minuto di ritardo dopo di lei. Non era un dramma, il vecchio autista del pullman era solito aspettare tutti. E nessuno dei passeggeri osava mettergli fretta. Prima o poi poteva capitare a chiunque. Il servizio era pubblico, ma il vecchio autista aveva memoria. Rammentava a uno a uno i suoi passeggeri dell’andata. E se qualcuno non era presente, domandava ai vicini se erano al corrente di qualche fatto particolare. Talora la madre di qualcuno si fermava all’ospedale per la notte. Talaltra si veniva a sapere che il figlio o la figlia di un compaesano aveva preso casa in città, per cui se ne deduceva che il padre o la madre si sarebbe fermato per la cena e dopo sarebbe stato accompagnato in auto. Come poteva immaginare che il pullman potesse avere un autista

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all’andata e un altro al ritorno? Anzi, l’autista del ritorno lei non l’aveva neppure visto in quella precisa circostanza. Era arrivata trafelata come al solito davanti alla stazione, ed aveva appreso che il pullman era appena partito. Del nuovo autista aveva saputo dopo. E soltanto dopo aveva saputo che tutti sapevano, tutti tranne lei. Una donna sola nei pressi di una stazione. I maschi cominciarono ad aggirarsi intorno a lei per giri concentrici; erano attratti come lo è uno sciame di api dal fiore primaverile e solitario. Per fortuna, prima di ritrovarsi nella più totale confusione, era apparso Domenico, che all’epoca faceva il garzone presso un vinaio in città. Si erano piaciuti subito, si erano fidanzati e sposati. Poi è andata come è andata. Quando l’orologio sul comodino segna le sette decide che è l’ora giusta per alzarsi. Va in bagno, fa una rapida toeletta. Non vuole indugiare in bagno più del necessario, non conoscendo le abitudini della padrona di casa. Quindi si reca in cucina e silenziosamente esplora, mette sulla tavola la tovaglia che hanno utilizzato la sera prima, si predispone a preparare la colazione del mattino. E infatti di lì a poco Giovanna, avendola sorpresa ad armeggiare, le fornisce le indicazioni per rintracciare le cose mancati. Poi mentre Luigina prepara la colazione, ritorna in bagno concedendosi una mattinata di relax, prima sotto la doccia, dopo davanti allo specchio. Svolgendo ogni cosa con una calma inconsueta, desidera assaporare il piacere di vedersi servita e riverita. La colazione - una incombenza di Paolo a cui forse dovrà rinunciare - ritorna a essere il momento solenne del mattino, il rito propiziatorio che favorisce il buon esito della giornata. Mentre fanno colazione Giovanna dice a Luigina: “Avevi già preventivato di stare fuori casa qualche giorno. Se vuoi, puoi rimanere da me fino a quando non abbiamo sistemato i diversi problemi. Puoi badare alla casa in mia assenza, fare la spesa, per l’aspetto economico ci mettiamo d’accordo. Ti va?” “A me va bene, grazie. Come dice lei: rimango fino a quando le cose si saranno sistemate.” Luigina, in quanto alle faccende di casa, si sente pienamente a suo agio. Ciò nonostante il primo giorno richiede un supplemento di

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istruzioni, un investimento finalizzato a dare una buona impostazione. Giovanna le dispensa una quantità di suggerimenti, tutte disposizioni molto soggettive in fatto di gestione domestica, che Luigina ascolta senza fiatare. I prodotti da usare, il modo di procedere, i negozi dove fare la spesa. Mentre ascolta risponde di sì ben sapendo che appena sarà sola farà diversamente. Quando in tarda mattinata la dottoressa Giovanna Gandolfi arriva in ufficio, insolitamente più tardi (‘chi va con lo zoppo impara a zoppicare’, avrebbe detto suo padre). Ha l’animo leggero di chi si è lasciato alle spalle le faccende che ama di meno (‘prima il dovere, poi il piacere’, un’altra massima proveniente dalla stessa fonte). Seduta alla scrivania si sente più a suo agio che in casa propria (‘per forza, hai sposato il lavoro’, avrebbe invece sentenziato Paolo). ‘Basta parentesi’, dice quindi a se stessa. Dà uno sguardo veloce al giornale la Stampa, che segnala la notizia del furto del treno, in prima pagina, in uno dei tanti titoli civetta; il resto dell’articolo è nella cronaca interna. E mette subito mano alla cartellina verde, contrassegnata MGB, che comincia a custodire le prime annotazioni. In cima vengono segnalate due telefonate, alle 8:50 e alle 9:15, da parte di Marcello Dotti. Nessun messaggio salvo il desiderio di parlare con l’avvocato GG. Questa volta ha lasciato anche il numero di telefono. Non quello dell’ufficio ma quello di casa, annota mentalmente l’occhio esperto dell’avvocato. Di seguito trova e legge i due telex datati il giorno precedente. Telex a G. Gandolfi. ‘Il caso è a uno stallo con la polizia. Dopo inutile attesa di due ore, vorrei sapere se la madre di MG farà un altro tentativo. Utile al fine di un incontro con la polizia a cui poter partecipare anch’io. Temo che si stiano ancora interrogando da dove cominciare. Da valutare un intervento tramite consolato per spingere le indagini. Conto di essere di ritorno entro sabato. Un abbraccio, Paolo’ Ci sono mille modi di prendere le distanze. Il signorino ‘conta di essere di ritorno’, non di ritornare a casa. Intanto per cominciare,

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mentre lui prende le misure alla nuova mammina, io faccio le prove di convivenza con una donna in casa. Vedremo alla fine chi ci guadagna. Telex dalla polizia ferroviaria di Lione. Alla c.a. della Dott.ssa Gandolfi ‘L’inchiesta del furto ai passeggeri del treno diretto a Parigi necessita di ulteriori verifiche. La sua cliente Nobili Luigina è pregata di mettersi in contatto con la polizia ferroviaria. Saluti, tenente Rimbeaux’ Bonjour tenente. Eccolo qui uno che può far da chiave. Se non spingerà le indagini, almeno le permetterà di raggiungere al telefono chi di dovere, spera. Tra un corpo di polizia e l’altro ci si scambiano piccoli favori, pensa Giovanna. Dopotutto a lei preme soltanto trovare degli interlocutori disponibili che sappiano fare il loro mestiere. Ma adesso è arrivato il momento di parlare con Marcello. La conversazione con Marcello non la sorprende, a parte lo scoprire che si trova agli arresti domiciliari. Una telefonata alla stazione dei carabinieri le chiarisce che sono una misura transitoria. Ottiene che l’interessato venga lasciato libero di recarsi al lavoro. Il maresciallo concorda: l’importante è che il soggetto capisca che deve restare a disposizione. Pertanto non si può allontanare dalla città. Ottenuto un risultato parziale, si rimette in contatto con Marcello per dargli la buona notizia; l’indomani gli farà visita a Milano. Intanto si chiede: e se andasse a Milano assieme alla signora Luigina? Non si conoscono, ma che importa? Le piacerebbe studiare la reazione di Marcello davanti alla madre di Maria Grazia. Deciderà entro sera come impostare la rotta per Milano: il prossimo passo è nel senso opposto. “Come ve la cavate con il francese?” chiede Giovanna alle segretarie. Espressiva alzata di spalle di entrambe. “Ci devo parlare io, non voi. Vi chiedevo soltanto di chiamarmi il tenente Rimbeaux a Lione, a questo numero... ok, faccio io.” “Dopo,” dice Marisa, “vorrei parlarti anch’io, se trovi dieci minuti da dedicarmi.” La segretaria più giovane ha notato il tono di confidenza.

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Giovanna fa cenno di sì con il capo. E’ già in linea con il suo interlocutore. “Bonjour tenente, non la disturbo a quest’ora?” Risolino di sorpresa delle segretarie che, uscendo dall’ufficio, si dicono sottovoce l’un l’altra che anche loro avrebbero potuto telefonare a uno che parla italiano. “Non mi disturba affatto,” risponde il tenente all’altro capo del filo. “Ora capisco. Lei è arrabbiata e non mi ha ancora perdonato la sveglia notturna. E’ per questo che è sparita assieme alla signora Nobili!” “Non sono arrabbiata! Capisco anch’io che a volte diventa necessario disturbare le persone che dormono.” “Allora se mi ha perdonato, perché è andata via con la testimone più importante, senza neanche salutare?” “La signora Nobili era ed è in stato di choc, ha bisogno di riprendersi.” “Io ho bisogno di interrogarla. Proprio per rispettare la situazione della signora Nobili, io non le ho rivolto tutte le domande. Dove sta adesso, quando posso interrogarla?” “Non posso dirglielo. La signora Nobili, per qualche giorno, ha bisogno di riposo assoluto.” “Di quanti giorni di riposo ha bisogno la signora per ristabilirsi? Ho bisogno solo di rivolgerle poche domande, altrimenti non posso concludere la mia indagine.” “Un modo di accelerare le cose ci sarebbe. Innanzi tutto, lei sa perché la signora Nobili era su quel treno?” Mercoledì pomeriggio. Marisa ha intercettato la seconda telefonata della giornata (la quarta in due giorni), dal marito della signora Nobili che chiede con insistenza della dottoressa Giovanna. Ora è al telefono a spiegare all’interlocutore che anche lei, che pure si trova nell’ufficio accanto, ha chiesto di poter parlare cinque minuti con l’avvocato sin dal primo mattino. E sta ancora aspettando di essere convocata. La dottoressa Gandolfi è molto occupata, essendo stata assente dall’ufficio due giorni. Purtroppo l’informazione che l’avvocato si trova nell’ufficio accanto

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al suo non è stata presa per il verso giusto. Il signor Baccini si mostra oltremodo spazientito, affermando che lui sta chiamando per la vera ragione per cui l’avvocato è stato via dall’ufficio i due giorni in questione! I casi sono due: o l’avvocato fa apposta a negarsi al telefono, allora lo dica chiaro e tondo, o lei, la segretaria, non sa dare priorità ai casi che si trova a trattare. “Signor Baccini, aspetti un secondo.” Marisa chiede alla collega di rintracciare l’avvocato che non è ancora rientrata dalla pausa pranzo. “Ho controllato, non ancora è rientrata... è la verità, mi creda!” “Signora, la verità è che lei non è all’altezza dei compiti che riceve.” “Le sto dando l’assistenza che posso, lei però non mi offenda.” “Lei si offende da sola, signora? Lei che ruolo ha, perché blocca le mie chiamate? Se è una segretaria, allora si faccia da parte e passi la mia chiamata!” “Va bene, allora le parlo da avvocato e non da segretaria!” L’altra segretaria, che fino a quel momento ha cercato d’isolarsi concentrandosi nello svolgimento del suo lavoro, alza la testa incredula per la piega che ha preso la conversazione. E perché è sconcertata dal bluff. “Purché parli in fretta perché sto spendendo un sacco in telefonate.” “Cosa vuole sapere dall’avvocato Gandolfi e dal nostro studio legale?” prosegue Marisa. “E’ un fatto privato o è un fatto legale?” Nottetempo, pensa ancora la segretaria più giovane osservando la collega, sarà riuscita nell’intento di superare i due terzi di esami mancanti alla laurea o l’avrà comprata o... Le piace quando lo studio legale diventa movimentato come un palcoscenico. “E’ una cosa privata che voglio discutere con l’avvocato Gandolfi,” risponde il signor Baccini. “Per caso, questa cosa privata, ha a che vedere con sua moglie?” “E se così fosse?” “Sua moglie mi ha dato l’incarico di chiedere la separazione legale.” “Non le credo,” il signor Baccini esita, la telefonata ha preso una piega imprevista. “Dov’è mia moglie, si può sapere?” “Sua moglie è libera di mettersi in contatto con lei, oppure di rifiutare il contatto. Resta da capire, signor Baccini, se ci muoviamo verso una separazione legale, consensuale, oppure se mettiamo nel

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conto anche i maltrattamenti.” “Ah!” sospira il signor Domenico Baccini improvvisamente a corto di fiato e d’argomenti. “Questo almeno è parlare chiaro.” “Senta, va bene se la chiamo al più tardi domani mattina, dopo aver parlato di nuovo con sua moglie e con l’avvocato Gandolfi?” Mercoledì sera. Gli uffici sono deserti a parte la donna delle pulizie, Marisa e Giovanna la quale, date le ultime disposizioni per l’indomani, se ne va. E’ stata una giornata campale per entrambi. Finalmente Marisa ha avuto modo di aggiornare l’avvocato Giovanna sulla conversazione con il marito della signora Luigina e sulle altre pratiche in corso. Non ci sono stati ripensamenti da parte di quest’ultima, ha il caso saldamente in pugno. Domani da sola in ufficio, seduta alla scrivania del capo, potrà all’occorrenza mostrare anche il lato affabile del suo carattere. L’importante sarà ottenere il massimo. Ora si appresta a inviare l’ultimo telex e via a studiare fino alla mezzanotte. Telex a Paolo. ‘La madre di MG resta in Italia. Ritorna domani dalla polizia per aggiornamenti. Il tenente Rimbeaux polizia ferroviaria di Lione ha promesso un intervento per permetterti di ricevere informazioni p/conto della famiglia. Il tuo rientro rende superflua una procura. Stabilisci un semplice contatto con qualcuno del consolato. Potremo fare leva sulla stampa e il consolato, come azioni di riserva anche da To. Un abbraccio, GG’

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14 Giovedì mattina, ore 7. Una Fiat 600 bianca con in mostra l’usura del tempo si è fermata in prossimità della casa della dottoressa Giovanna Gandolfi. Un uomo scende, si dirige con decisione al numero civico della via dove abita la dottoressa, scorre con lo sguardo i nomi sul citofono. Arriva in fondo alla lista, non ha trovato; ritorna a cercare in senso contrario con l’aiuto dell’indice della mano destra. Il dito si ferma su un pulsante dove sono annotati due nomi senza alcun titolo: Gandolfi - Alessandrini. Si mette a tambureggiare sul pulsante, sfiorandolo appena, per pochi secondi. Poi resta sospeso in alto quasi a porre un interrogativo. Un’occhiata dell’uomo all’orologio conferma solo in piccolissima parte il motivo dell’esitazione. E’ ancora presto per presentarsi in casa di estranei. Il vero motivo d’incertezza è che lui ha trovato quell’indirizzo sulla guida del telefono. Non è affatto certo che Mario Gandolfi passa essere imparentato con la dottoressa Giovanna Gandolfi. Male che vada, pensa, passerà dallo studio legale più tardi in orario d’ufficio. Allora l’uomo ritorna stancamente alla propria auto, la rimette in moto. Ha già adocchiato un posto libero. Fa una manovra a U e parcheggia a una ventina di metri del portone di casa che gli interessa. La targa dell’auto porta impressa la sigla della città di Grosseto. Da quella posizione può tenere d’occhio chi entra e chi esce. Essendo mattino presto, suppone che saranno in maggioranza quelli che escono. Aspetterà comodamente seduto. Ha imparato ad attendere che l’uva maturi, che il vino giunga a fermentazione, sa che certi tempi vanno rispettati. La natura ha leggi inderogabili. Solo le donne sono spesso in lotta contro il tempo e la natura e le immancabili rughe. Per questo le donne lo hanno colto qualche volta impreparato. In casa ne ha avute due, tutt’e due hanno richiesto giorno per giorno da lui ogni residua dose della sua pazienza. Poi, prima l’una, poi l’altra se me sono andate lasciandolo vuoto come una vecchia botte, inutile perfino da lasciare al sole e bruciare come legna da ardere

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quando arriva l’inverno. Fuoco che brucia in fretta, non scalda. In strada circolano poche auto, di passanti se ne vedono ancora meno. Le facciate dei palazzi invece lasciano intuire un risveglio che presto sfocerà in un travaso di gente che fluirà in tutte le direzioni. Le persiane vengono spalancate una dopo l’altra. Una signora sul balcone del secondo piano dà l’acqua ai gerani. Un’altra al piano di sotto ritira alcuni panni stesi. Dimenticanze del giorno precedente. Smette di sporgersi a guardare con la testa fuori dal finestrino dell’auto. Non gli riesce d’immaginare l’avvocato Gandolfi, con un portamento dimesso, affaccendata mentre svolge qualcuna di queste incombenze. A pochi metri di distanza due donne in vestaglia si affrettano a consumare la colazione del mattino a base di caffèlatte e biscotti. “Devi ritornare in bagno?” chiede Giovanna a Luigina. “Ti avviso che per le otto dobbiamo essere in strada.” “In bagno ho finito, devo soltanto lavarmi i denti,” risponde Luigina. “Ma posso anche farlo nel lavandino della cucina se siamo in ritardo.” “No, per adesso non siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Allora in bagno vai prima tu.” Intanto Giovanna sparecchia la tavola e mette le tazzine nel lavandino dove ha fatto scorrere dell’acqua. Appena uscita dal bagno Luigina lava velocemente le tazzine e il resto, lasciando ogni cosa capovolta a scolare sul lavello. Quindi ritornata in camera, mette gonna e maglietta, un leggero fondotinta indugiando sul lato del viso tumefatta, si dà una rapida spazzolata ai capelli e chiede: “Praticamente ho finito, posso essere utile?” Ha la borsa da viaggio aperta in mano. “Se sei pronta, tieni d’occhio la strada,” risponde dal bagno Giovanna. “L’appuntamento per il taxi è alle otto meno cinque. Di solito arriva un po’ prima e si mette ad aspettare in macchina. In seconda fila.” La signora Nobili guarda in strada spostando di lato i tendaggi del balcone. Mancano venti minuti all’appuntamento. Non c’è nessuno in seconda fila, di taxi neppure l’ombra. Sta per ritornare in sala a

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rovistare di nuovo in borsa, per accertarsi di avere con sé il necessario per il viaggio. Poi ha un dubbio, più impellente, che si sovrappone alla mania di ricontrollare il contenuto della borsa ogni volta che esce di casa. Spia di nuovo in strada, più a lungo e più discretamente, ben nascosta dai tendaggi. Le pare di riconoscere un’auto parcheggiata lì sotto. Una Fiat bianca, che una volta era bianca, testimonia che il tempo porta alla resa dei conti. “Cos’hai?” le domanda Giovanna vedendola seduta sul divano, immobile, il volto tra le mani. “Mio marito è sotto ad aspettare in auto.” “Sei sicura?” “Abbastanza, guarda sul lato sinistro quell’auto bianca: dentro c’è qualcuno.” “Bene, niente panico,” le raccomanda Giovanna. Niente panico, ripete a se stessa. Come diavolo ha fatto? Il primo pensiero è beffardo, a sottolineare la difficoltà del momento, o a sdrammatizzare, senza peraltro fornire un vero aiuto. La piccola auto di sotto le rammenta il coniglio bianco dei prestigiatori. Bisogna trovare una rapida soluzione. Male che vada, fra poco ci sarà anche il taxista a dar loro manforte. Usciranno di casa quando anche il taxi sarà arrivato. O forse è meglio se è lei sola a uscire di casa. Quando mancano circa dieci minuti alle otto, la signora Luigina ben nascosta dietro la tenda vede il taxi arrivare e fermarsi in seconda fila. Dopo pochi secondi Giovanna esce dal portone con la sua ventiquattrore. E’ rimasta nell’atrio ad aspettare almeno un paio di minuti. A quel punto mentre il tassista le va incontro, si avvicina precipitosamente anche il signor Baccini Domenico, marito di Luigina. La dottoressa fa segno al tassista di pazientare un attimo, tira in disparte il signor Domenico e restano a parlare animatamente. Dopo uno scambio fitto di battute, la dottoressa sembra avere la meglio. Il marito di Luigina ritorna con passo incerto verso la sua auto. Giovanna va dal tassista, vincendo le sue rimostranze lo paga. Quindi si dirige verso l’auto di Domenico e insieme si allontanano.

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La Fiat 600 bianca si ferma al primo Autogrill che si trova in autostrada in direzione di Milano. L’uomo esce dall’auto per fare benzina. Uno dei ragazzi addetti alle pompe finisce di servire un altro signore ed è subito disponibile. Dall’auto esce anche la donna. E’ proprio lei ad allungare per prima la mano, porgendo i soldi al ragazzo, che li prende e ringrazia per la mancia. “A questo punto l’auto è a posto,” dice la dottoressa Giovanna rivolgendosi al signor Domenico Baccini. “Non resta che sederci un attimo e prendere anche noi qualcosa.” “E due.” L’uomo la guarda che se fosse stato preso in contropiede per la seconda volta. “Non ha appena detto che ha già fatto colazione?” “Io sì, ma lei no! O dobbiamo litigare anche per questo?” conclude iniziando ad allontanarsi verso il bar ristorante. Il signor Domenico emette un lungo sospiro e arrendevole sbuffa: “Se proprio insiste, parcheggio e la raggiungo.” Entrano nel bar ristorante, ordinano due brioche, due cappuccini, una spremuta d’arancia e si seggono in un punto isolato. “Noto con piacere che non le manca l’appetito,” dice quasi divertito il signor Baccini. “Fare una colazione abbondante è un’abitudine che ho preso quand’ero all’estero. Sa, ma anche adesso che lavoro, non si sa mai come si svolge la giornata. E se ci sarà una vera pausa pranzo.” La tensione tra i due sembra essersi stemperata. “Signor Domenico, vogliamo ritornare sugli argomenti che abbiamo appena discussi?” riprende la dottoressa Giovanna. “Così evitiamo di litigare durante il viaggio e non passiamo una giornata d’inferno.” “Per me non c’è bisogno di aggiungere altro!” risponde il signor Baccini. “Nel senso che lei resta del suo parere e io resto del mio?” “Nel senso che i casi sono due: o lei e il suo studio state dalla parte di mia moglie e vi occupate della nostra separazione legale, e allora io mi trovo un altro avvocato, oppure voi non vi occupate di separazione, e allora voi vi mettete da parte ed io voglio sapere dove sta mia moglie!”

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“Lasci stare un attimo sua moglie, ne parliamo dopo.” “Perché dopo? Non usi i suoi trucchi d’avvocato con me. ” “Non è più urgente, in questo momento, venire a capo della sparizione di sua figlia?” La voce di Giovanna ha raggiunto tonalità ben al di sopra del brusio di fondo della sala tale da far girare alcuni viaggiatori. Il signor Baccini si mostra ancora una volta spiazzato o a corto d’argomenti. “Almeno in questo siamo d’accordo, lo vogliamo fare uno sforzo di buona volontà, lo sa che ben due avvocati del nostro studio si stanno adoperando in Italia e in Francia per riuscire a capirci qualcosa? Del tutto gratis, di nostra iniziativa, solo perché mio marito e io siamo amici di amici... E lei non riesce a mettere da parte un po’ del suo rancore, nemmeno per ritrovare sua figlia?” “Cosa devo fare allora? Ignorare che anche mia moglie è sparita? E se qualcuno, se dei parenti mi chiedono qualcosa, devo dire: da un anno non so niente di mia figlia, e da quattro giorni... poi da una settimana... e così via, non so niente neanche di mia moglie!” “Io le propongo un patto. Mi lasci manovrare ancora per un paio di giorni, liberamente. Per dare una spinta alle indagini in Italia e in Francia, a modo mio. Per sapere tutto quello che è possibile accertare. A fine settimana mio marito rientra da Parigi. In entrambi casi, sia che abbiamo scoperto qualcosa, sia che non si venga a capo di niente, noi tiriamo i remi in barca. Non staremo mica a investire altro tempo!” La dottoressa Giovanna si concede un’altra pausa e un altro salto di tonalità. Con voce pacata conclude: “Spero di raggiungere dei risultati entro una settimana. Per arrivare agli stessi risultati, tramite i canali ufficiali, lei e sua moglie ci impieghereste dei mesi.” “Va bene, mi ha convinto,” concede il signor Domenico. “Allora possiamo andare,” dice Giovanna, l’amaro in bocca per aver bevuto il cappuccino della giornata senza zuccherarlo. Ha dovuto spendere per due volte il nome di suo marito nella faccenda, ed è stato un boccone difficile da ingoiare. “Prima di ripartire però, devo fare una telefonata.” Mentre il signor Baccini si avvia verso l’uscita, la dottoressa Giovanna va a fare le telefonate che ha in mente. La prima allo studio, quindi alla signora Luigina, per rassicurarla circa il

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cambiamento di programma, l’altra a Marcello. Ma questi non risponde, né a casa, né in ufficio. Il signor Domenico, che si è fermato ad aspettare ed osserva da lontano, conta: “Tre,” tre volte fottuto pensa, e la diffidenza, che pochi secondi prima sembrava essersi sedimentata nel fondo, ritorna a intorpidire quello che appariva cristallino. Dall’inizio della settimana Marcello Dotti è ufficialmente in congedo malattia. Stato depressivo, ha scritto il medico della mutua sul referto medico; gli ha rilasciato una ricetta, prescrivendogli degli ansiolitici e gli ha concesso sette giorni di riposo. Avendo la possibilità di uscire, perché il suo stato di salute non richiede l’obbligo di stare a casa, Marcello ha deciso di farlo di primo mattino. E’ passato finalmente in farmacia per ritirare le medicine, non perché ne sente il bisogno, ma perché gli servano di alibi. E a piedi, con largo anticipo, si è diretto verso la Stazione Centrale dove ha l’appuntamento con l’avvocato Giovanna Gandolfi alle 9:50. Il treno da Torino delle ore 9:50 arriva in stazione alle 10:02 minuti. I passeggeri scendono dai due lati del treno. Alcuni con il solo bagaglio a mano si dirigono di corsa verso l’uscita, altri appesantiti da valige e borse seguono dietro. Uno sparuto gruppetto di persone che compatto sta ad aspettare all’inizio del binario comincia un poco alla volta ad allargarsi fino a confondersi con il flusso di gente in arrivo. Qualcuno corre incontro al parente o all’amico, un abbraccio e gli toglie di mano una borsa. Altri chiamano agitando le mani in aria per farsi notare. Poi la marea di gente in arrivo prosegue compatta verso l’uscita lasciandosi dietro, come detriti, alcuni curiosi isolati e qualcuno che ha mancato l’appuntamento. Marcello è tra questi. Intanto altri passeggeri cominciano a salire sul treno che si appresta a ripartire in direzione opposta. Il tabellone ha già rettificato le indicazioni di viaggio. Che fare? si domanda Marcello. Decide di contattare Giovanna in ufficio, ha conferma della sua partenza per Milano ma - cambio di programma - in auto. Allora lascia detto che lui sarà a casa ad aspettarla.

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L’arrivo in città, per i due occupanti della Fiat 600, si è rivelato difficoltoso, prima la coda al casello dell’autostrada, poi non è stato semplice imbroccare le arterie di traffico che conducono da ovest a est, inoltre Milano non è paragonabile né a Grosseto, né a Torino. Il signor Domenico non è mai stato a Milano: non è stata sua l’idea di venire in una città così caotica, la dottoressa Baccini c’è stata altre volte, ma è solita andare in taxi. Infine, se le indicazioni da parte del navigatore cominciano a essere contraddittorie, c’è da perdere la testa. Ed è così che l’avvocato Giovanna, notando di essere in ritardo per andare all’appuntamento originale con Marcello alla stazione, decide di andare alla caserma dei carabinieri. Arrivati a destinazione, presenta il suo biglietto da visita al carabiniere che è alla guardiola e chiede di parlare con il maresciallo Nicola Biancacci. Dopo una breve assenza il carabiniere invita prima l’avvocato ad entrare nell’ufficio del maresciallo, quindi appreso che l’accompagnatore è il padre della ragazza scomparsa, fa accomodare anche il signor Domenico. “Lei è Giovanna Gandolfi, l’avvocato di Marcello Dotti?” chiede il maresciallo andando incontro alla donna. “Sì, sono qui anche come rappresentante del signor Baccini, il padre della signorina Maria Grazia Baccini,” precisa la dottoressa Giovanna. “E’ il padre della ragazza scomparsa?” “Sì, per l’appunto.” “Allora, accomodatevi tutti e due,” il maresciallo indica le due sedie davanti alla scrivania. “Noi ci siamo sentiti anche per telefono, vero dottoressa?” “Sì, sono qui per questo. Tuttora non mi sono chiari i capi d’imputazione a carico del signor Dotti Marcello.” “Non ci sono capi d’imputazione. Il signor Dotti è stato convocato come persona informata dei fatti.” “Ma è stato messo agli arresti domiciliari!” “Adesso non lo è più. E’ stata una restrizione momentanea, per

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dissuaderlo dall’andare via. L’unica restrizione che rimane è quella di non lasciare la città.” La risposta del maresciallo sembra soddisfare l’avvocato Giovanna Gandolfi. “Altre domande?” “Certamente, la domanda più importante: siete venuti a capo di qualcosa?” “Non mi occupo personalmente del caso, che ufficialmente è in mano ai colleghi di Grosseto.” “E ufficiosamente, c’è stato qualche sviluppo?” “Da quello che so, si sono mossi per avere notizie dalla Francia.” “Quindi, siamo ancora al punto di partenza?” “Dovrà ammettere che c’è stata una segnalazione che definire tardiva è poca cosa. Se avete ulteriori informazioni da rilasciare, prendo nota. Se invece preferisce metterla su un tono polemico...” “No, mi scusi, non era mia intenzione. Se vengo a conoscenza di qualche fatto da Parigi, la metto al corrente.” Il signor Domenico solleva l’indice in aria come a chiedere il permesso di parlare. “Posso fare una domanda io?” Certamente dicono con gli sguardi e le parole sia il maresciallo che l’avvocato. “Certo, non esiti, prego!” “Perché non si fa un appello in tv?” chiede il signor Domenico. “Semplice,” risponde subito il maresciallo, “la tv non è un nostro strumento d’indagine. Non è il modo abituale di procedere...” “La verità è” lo interrompe l’avvocato Giovanna, “che il caso non ha ancora superato la soglia del dubbio. Prima di tutto, in Italia e in Francia, devono escludere che sua figlia non sia semplicemente partita per chissà dove, di sua spontanea volontà.” Con le labbra serrate, l’espressione volutamente silenziosa del maresciallo sembra avvalorare quanto è stato appena detto. Prima di congedarsi l’avvocato Gandolfi chiede la cortesia di fare una breve telefonata in città. Il pensiero va a Marcello con il quale l’appuntamento è slittato di un quasi un paio d’ore. E’ quasi l’ora di pranzo quando l’avvocato Giovanna varca la porta d’ingresso del bilocale dove abita Marcello. All’uscita dalla caserma dei carabinieri, lei e il signor Domenico si sono salutati ed ognuno è andato per la sua strada. “Non c’è motivo

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perché lei mi segua nel mio incontro con il signor Marcello Dotti, non penso avrà modo di apprendere di più di quel che già sa,” ha detto la dottoressa Giovanna, “a meno che...” Il signor Domenico si è trovato subito d'accordo. Ha detto che avrebbe preso la sua auto e sarebbe tornato nella sua Toscana. L’abitazione dove Marcello risiede è modesta. Un tavolo e delle sedie in frassino, e unico mobile bianco, addossato alle pareti bianche, danno l’idea di un ambiente tenuto con cura. L’ordine esasperato denota più l’assenza che la presenza di uno che ci abita. Nell’attesa dell’ospite, Marcello ha avuto tutto il tempo per riassettare ogni angolo del tinello. Ma la cura maniacale dell’ordine traspare anche dal modo in cui sono tenuti i libri, perfettamente allineanti per il colore del dorso di copertina e l’altezza, dall’allineamento dei bicchieri nello stesso mobile, che nei suoi vari scomparti è utilizzato per tutti gli usi. “Il viaggio da Torino è stato travagliato, in compenso ho già avuto modo di parlare con il maresciallo Biancacci...” Giovanna si sofferma nel pronunciare il nome del maresciallo, per un accostamento al colore prevalente che osserva in giro, che non ha senso alcuno. “Mi ha detto che non ci sono altre restrizioni in essere, salvo rimanere a disposizione.” “Giusto, da domani penso di ritornare al lavoro.” “Hai avuto dei problemi dal punto di vista del lavoro?” “No, per adesso me la sono cavata con un certificato medico.” “Perché per adesso? Prevedi problemi in futuro?” “Come faccio a dirlo?” “Se non nascondi niente, non ci sono motivi per dubitare che tutto verrà chiarito.” “Tutto mi è caduto addosso, all’improvviso. Non so cosa pensare...” La pausa porta di fatto a un silenzio che, mentre gli sguardi s’interrogano, diventa pesante come l’afa che d’ora in ora diventa più opprimente. Il suono di un clacson in strada interrompe il protrarsi di quella schermaglia. “Hai provveduto a metter giù tutti gli appunti,” gli chiede Giovanna “come ti eri promesso di fare?” Senza rispondere immediatamente, Marcello si alza e prende dal

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cassetto del mobile dei fogli che porge all’amica e avvocato. Non sa bene neanche lui in che veste lei è lì a interessarsi del presente e a interrogarlo sul suo passato. “E’ quello che ricordo, dei giorni che hanno preceduto il mio ritorno in Italia, compreso i miei stati d’animo, come mi hai chiesto.” “Li leggerò con attenzione.” Giovanna vorrebbe aver già ricevuto un aggiornamento da Paolo, avere seduta stante la possibilità di una verifica in controluce della confessione di Marcello. “C’è qualcosa in particolare che dovrei sapere che non è nero su bianco su questi fogli?” “Ho appena detto che è tutto lì! Compresi i momenti di sconforto,” risponde irritato Marcello. “Non c’è motivo d’innervosirsi.” “Hai notizie da Parigi?” chiede allora Marcello, anche per mostrare di essere padrone di se stesso. “Nessuna notizia utile.” “E’ l’ora di pranzo, sei invitata a mangiare da me!” “Possiamo andare a mangiare qualcosa fuori, in un posto più fresco.” “Ho pronto una insalata di riso e una bottiglia di vino bianco in frigo.” Il colore dominante ritorna ossessivo, il bianco non è sempre sinonimo di innocenza. Giovanna sta pensando a una donna bionda patinata, che aveva conosciuta quand’era all’università. Dopo una vita trascorsa a battere il marciapiede, la signora aveva risparmiato a sufficienza per aprire una lavanderia. E’ sufficiente una vita dedicata a pulire i panni sporchi dei clienti, per sbiancare la propria coscienza? Giovedì pomeriggio. Se ci può essere qualche correlazione fra una lavanderia e uno studio teatrale, allora c’è senz’altro una parentela di ruoli fra un avvocato e un attore. I capi di vestiario, che li si chiami abiti o costumi, servono all’identico scopo di fare calare chi li veste nella parte che ha scelto di recitare, o che la sorte gli ha affibbiato. In quanto all’avvocato o all’attore, a loro viene affidato un copione, che devono studiare, saper interpretare e rendere credibile.

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Al di là del proprio carattere, a Giovanna piace il salto di ruoli che la professione le impone. Ma è pure attenta a non fare il salto della quaglia. Ogni caso richiede concentrazione, immedesimazione e rinnovate energie; ogni sbaglio si paga. In qualche modo le necessità del mestiere l’aiuta a non essere il personaggio monolitico che una educazione alquanto severa le ha caricato sulle spalle come un’armatura medievale. Liberarsi di certe costrizioni è un po’ come mettere insieme l’utile al dilettevole. Per sua natura, non oserebbe mai passare dallo studio legale di Milano, loro partner e concorrenti nello stesso tempo, per una semplice visita di cortesia. Nel mondo professionale non ci si può permettere queste leggerezze. Di solito si stabilisce prima un contatto (tramite la segretaria), si concorda un’agenda (che alla stregua di un intervento chirurgico non può mai essere improvvisato), l’incontro è collocato in un reticolato di altri incontri (coinvolgendo altri colleghi), si corre difilato da un appuntamento all’altro (totalmente spesati), avendo cura di non rimanere impigliato in nessuna delle maglie della rete più del dovuto. La perizia di ciascuno di riuscire a districarsi da questi ingorghi accresce il profilo professionale e di conseguenza consolida il profitto. La legge del pro, pro, pro (profilo, professione, profitto) ubbidisce a questi canoni. L’ingenua telefonata da Torino, della segretaria più giovane, allo studio legale di Milano è servita allo scopo di fare sapere a chi di dovere la presenza della dottoressa Gandolfi a Milano. Il fatto ha scoperchiato lo sciame. Le api operaie segretarie hanno colto al volo l’opportunità per pregarla di sacrificare una o due ore del pomeriggio prima di ritornare alla base. Quindi il viaggio dell’andata senza copertura finanziaria diventa profittevole nella via del ritorno. Tuttavia quello che preme di più a Giovanna è rendere, sia pure superficialmente, edotta una delle colleghe al fine di ottenere un eventuale supporto che si rendesse necessario. Inoltre la sosta nello studio legale di Milano le serve per contattare l’ufficio di Torino, aggiornarsi sui casi correnti e dare disposizioni. Prima di ripartire per Torino avvisa che rientrando, passerà per lo studio, per cui chiede a Marisa di lasciarle sulla

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scrivania le pratiche urgenti da visionare e firmare. E infatti appena giunge alla stazione di Torino, chiama un taxi e gli dà l’indirizzo dell’ufficio, dove trova più di un messaggio che attende una pronta decisione. Giovedì sera. Nell’ufficio illuminato ma deserto, seduta alla scrivania, Giovanna passa in rassegna le annotazioni di Marisa che ha trovato sotto il fermacarte di vetro - una palla trasparente con all’interno una palma, a ricordo di un viaggio in Medio Oriente e della quiete di un’oasi. Un rigoglio di vita incapsulata in una bolla, l’inconscio desiderio d’un tuffo in una sfera a rappresentanza di un mondo più contenuto, il miraggio di poter essere altrove. ‘La signora Luigina ha telefonato più volte chiedendo di essere richiamata.’ ‘Il signor Baccini ha lasciato detto che si è rivolto a un giornalista.’ ‘Il tenente Rimbeaux vuole essere ricontattato.’ Telex (della sera precedente) da Paolo, Parigi. ‘Rif. MGB - Dopo alcuni sopralluoghi e incontri è emerso quanto segue: MG ha preso una settimana di vacanza il 22/9/73, ultimo giorno di lavoro 21/9 (attesa per il 29/9 non si è ripresentata), l’appartamento è rimasto vuoto a partire da quel periodo, non è stato possibile accertare con precisione da quale data, l’amica Andrée conferma l’assenza dell’amica dal lavoro, per una vacanza non meglio specificata, alcuni suoi amici hanno accennato a una fuga in campagna, ma non hanno saputo dire né dove né con chi. La conclusione a cui sono arrivati Andrée e amici è stata che Maria Grazia da un lato ha vissuto un primo momento ‘totalmente soggiogata’ nella relazione con Marcello, dall’altro volendo sottrarsi a questa situazione ‘bramava o sognava’ di potersi tuffare in altre storie. La polizia intende prendere in esame la personalità di Marcello e la natura della relazione fra i due, senza escludere una partenza di MG

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per una meta lontana, una fuga dalla quotidianità. La ricerca di amici / partners con cui sarebbe sparita/partita, finora non ha dato risultati. Un saluto da Annalisa e un abbraccio da me, Paolo’ In treno, durante il viaggio di ritorno, Giovanna ha avuto la possibilità di sfogliare gli appunti di Marcello e di soffermarsi sulla parte relativa al periodo in cui ha lasciato Parigi, circa un anno prima. Pertanto nello scorrere le note scritte da Paolo, è subito in grado di cogliere i punti critici. Tenta di mettersi in contatto con Paolo chiamandolo al telefono. “Hotel du Nord, posso parlare con il signor Paolo Di Donato?” “Mr. Di Donato è uscito, vuole lasciare un messaggio?” “Sì, no,” Giovanna si blocca, stava per dire: sono la signora... “mi può passare madame Di Donato?” “Madame Di Donato è uscita assieme a Mr. Di Donato. Devo lasciare detto qualcosa?” “No, grazie.” Ha già detto abbastanza, pensa Giovanna, mentre si rimprovera di aver telefonato, contravvenendo a quanto si era ripromessa di fare fino a poco tempo fa. Ha prevalso la dedizione al lavoro, l’abitudine di voler bruciare le tappe o la curiosità di avere una conferma tangibile sullo stato di crisi del suo matrimonio? Prima di lasciare l’ufficio manda un telex. Telex a Paolo. ‘Rif. MGB / Pietro Giovane studente Pietro, figlio di un diplomatico del consolato, ha frequentato la stessa scuola di Marcello. Secondo Marcello: MG e Pietro sono stati arrestati a seguito di disordini post-68, hanno scoperto in carcere di avere un’amica in comune Andrée poiché hanno dato lo stesso indirizzo. Espulsi, si sono reincontrati anni dopo. Pietro potrebbe aver avuto a) una relazione sia con Andrée, sia con MG, b) un proprio interesse a spingere Marcello a lasciare MG e/o Parigi. Saluti,Giovanna’

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15 Venerdì mattina. Tra veglia e sonno talvolta è arduo mantenere il controllo di un mulinello di sensazioni che si affacciano indisturbate a salutare il mattino. In particolare certi stati d’animo che, manifestandosi come improvvisi colpi di vento all’uscita dal tunnel, procurano sbandamenti che finiscono con l’offuscare, più che propiziare, un buon risveglio. Ancora prima di spalancare gli occhi Giovanna è dominata dalla frenesia: a) di scoprire quale giornale può avere contattato il signor Baccini, b) di richiamare il tenente francese il cui nome rammenta quello di un pittore che al momento le sfugge. Se davvero il signor Domenico ha raccontata la vicenda a un giornalista, ora vale la pena di studiare il modo di usare stampa e tv, collocando nella giusta luce l’operato svolto, indirizzando il tam tam mediatico verso il ginepraio che s’intende districare. Chiederà al bel tenente se vuole essere della partita: dalla stessa parte a cavalcare i media. Un pensiero, da ‘single’, molesto si è affacciato a proiettare altre galoppate che sembrano confinate nei sempreverdi prati del ricordo. Questione di un attimo e si è alzata, scrollandosi di dosso ogni torpore dei sensi. Si è recata in studio, prima di andare in bagno; ha aperto l’agenda che porta sempre dietro in cartella e, per essere certa di non dimenticare, ha preso nota delle azioni prioritarie chiamate a scandire il ritmo della giornata. Le succede talvolta di avvertire di primo mattino l’affanno per quello che non è riuscita a completare il giorno precedente. A mente fredda però sa bene che, se l’assenza dall’ufficio può aver determinato un sovrappeso nelle pratiche inevase, nel giro di 24/48 ore sarà in grado di smaltire ogni istanza. Mentre sta per lasciare casa per andare in ufficio ha chiesto a Luigina, a volo: “Tra le conoscenze di famiglia, c’è mai stato qualche giornalista?” La domanda ha talmente sorpresa la signora Nobili da averle impedito di pronunciare parola. La risposta è comunque uscita

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eloquente dall’espressione complessiva del corpo, le labbra ad arco, braccia e mani aperte a indicare il nulla. Appena giunge in ufficio, Giovanna spalanca il giornale la Stampa sulla scrivania e scorre i titoli alla ricerca di rivelazioni di persone scomparse e di assalto ai treni in stile Arsenio Lupin. Ma non trova neppure una misera traccia della notizia del treno per Parigi che all’inizio della settimana è stato oggetto di cronaca. Intanto anche i colleghi cominciano ad arrivare. Quando Marisa si affaccia sulla porta per augurare il buon giorno, le fa segno di entrare. “Puoi fare un giro negli uffici per accertarti quali e quanti giornali, delle diverse testate, sono consultabili?” “Vuoi scoprire se il signor Baccini è riuscito nel suo intento?” “Certamente,” conferma Giovanna. “Non è mia abitudine aspettare passivamente.” “Perché non chiederlo direttamente a lui?” “Ho avuto la stessa idea, ma lo faccio solo dopo aver fatto il tentativo di spulciare almeno i quotidiani che sono facilmente reperibili. Non rinuncio a posizioni di vantaggio.” “Ci provo, la ricerca presso i colleghi ci espone a domande indesiderate.” Evidentemente Marisa gradisce poco il compito che le è stato affidato. “E tu usa la tattica della disinformazione, ad ognuno dai una versione diversa di quello che stiamo cercando.” Neanche fra donne ci si capisce, borbotta tra sé e sé Marisa allontanandosi. Una cosa è seminare una sequela di notizie contraddittorie, altro è venire investita da attenzioni indesiderate. In attesa di decidere se contattare o meno il signor Domenico, Giovanna chiama il tenente Rimbeau, scusandosi di non averlo fatto il giorno precedente. Gli anticipa la probabilità che giornali e tv si impossessino delle due storie che, furto a parte, sono correlate. Il tenente scalpita, vuole interrogare di nuovo la signora Nobili e chiudere la sua inchiesta. Prospetta di venire a Torino per incontrarla. Giovanna suggerisce che è meglio accertarsi nel corso della giornata se davvero l’inchiesta è approdata agli onori della cronaca. Concorda per finire che si sentiranno per un aggiornamento della situazione nel pomeriggio.

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Venerdì, all’ora di pranzo. Giavanna e Marisa avrebbero potuto prendere a prestito tutti i quotidiani dell’intero palazzo, (che oltre allo studio legale ospita un commercialista, un dentista e una ditta di import-export con una ventina di dipendenti). Inutilmente avrebbero potuto acquistare l’edicola all’angolo della strada e incaricare le due segretarie di sfogliare ogni giornale di cronaca. Le notizie si annidano negli anfratti più disparati, salvo venire scoperte dal segugio abituato alla selvaggina, quindi una volta scovate volano, di bocca in bocca, incontro a uno stuolo di cacciatori posizionati per il tiro. Il giorno precedente, il signor Domenico di ritorno da Milano, è arrivato a Grosseto verso il tramonto. Si è fermato al bar della stazione, ha chiesto, qua e là, a chi meglio poter comunicare: una notizia con il botto. L’edicolante gli ha fornito il nome di un collaboratore del Vernacoliere, un periodico di controinformazione e satira. Ha trovato il sedicente giornalista, gli parlato, si è detto disposto a farsi intervistare. Ed essendogli stato detto di ritornare dopo un’ora, nel frattempo si è recato dalla sorella di Luigina, per esporre il suo piano d’azione e per cercare di sapere dove si trova sua moglie. Quando la signora Luigina si siede a tavola, sono le dodici e cinquanta. Ha davanti a sé una insalata caprese e la tv accesa. Il telefim sta per finire, dopo segue la pubblicità e subito dopo il tg dell’una. Ha bevuto un sorso d’acqua, non ha ingoiato un solo boccone. L’ansia, che le mette sete, porta via la fame. Alle ore tredici, puntuale, il telegiornale, dopo che le lancette dell’orologio hanno scandito gli ultimo secondi e dato il via alla sigla. I titoli: “Esteri: continua l’occupazione militare dell’esercito turco del settore est di Cipro, abitato in prevalenza da turco-ciprioti. Politica interna: il parlamento si appresta a varare un nuovo governo balneare. Cronaca internazionale: Lione, inquietante retroscena collegato al furto della banda dei vagoni letto.” Un sorso d’acqua dopo l’altro, la signora segue con insofferenza i

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fatti ciprioti che per lei sono lontani anni luce. La Toscana si affaccia sul mare Tirreno, del Mediterraneo non sa che farsene, soprattutto in questo momento. Con pari indifferenza segue la litania che la politica somministra a intervalli regolari agli elettori. Attende con ansietà che lo speaker ritorni a parlare della cronaca internazionale. Intanto nel titolo ha trovato conferma il racconto telefonico di suo marito. L’ha detto e lo ha fatto. “All’inizio della settimana, un treno è stato bloccato a Lione per due ore. La polizia ferroviaria ha sgominato la banda ‘dei vagoni letto’. In quell’occasione una signora italiana che viaggiava sul treno è stata trasportata in ospedale per accertamenti. Il marito della donna rivela il retroscena di quel drammatico viaggio verso Parigi. Può partire il servizio.” Sullo schermo appare il signor Domenico mentre viene intervistato da un giornalista. “Mia figlia, Maria Grazia, non dà notizie di sé da una decina di mesi; chi ha notizie di mia figlia è pregato di mettersi in contatto con le autorità; mia moglie era sul treno diretto a Parigi per incontrare gli amici parigini di mia figlia e la polizia francese.” La telecamera mostra una foto di tre anni prima: Maria Grazia appare sorridente in uno dei suoi viaggi per l’Europa. “Faccio un appello anche a mia moglie, che lasci svolgere le indagini a chi di dovere e che torni presto a casa.” La signora Luigina è sgomenta. Una settimana fa viveva nella nostalgia di rivedere sua figlia e magari per l’occasione di ritornare a vivere a casa; ora è sulle montagne russe. Mentre i fatti stanno precipitando rovinosamente si sente sommersa da una valanga di detriti. Impensabile un tale svolgimento delle cose. E tuttavia non le riesce di condannare suo marito. Ha impresso una svolta drammatica che forse era dovuta. Ha fatto un appello anche a lei perché ritorni. Venerdì pomeriggio. Nel primo pomeriggio arriva un telex che viene portato subito all’attenzione di Giovanna, com’è nelle consuetudini dello studio legale, soprattutto quando la materia scotta. Lo riceve nello stesso istante in cui la signora Nobili al telefono sta raccontando ciò che ha appena visto in tv.

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“Luigina scusami solo un secondo,” la interrompe, “c’è un aggiornamento da Parigi” e con lo sguardo scorre le poche righe del telex. Telex (12/7) da Paolo. ‘Rif. MG/ Pietro (?) NB: presso il ns consolato non risulta un giovane di nome Pietro. Nessun figlio di dipendenti è stato a Parigi negli ultimi due/tre anni che possa essere collegato ai fatti raccontati da MD. Mi riservo di controllare con Andrée appena possibile (è andata via per il fine settimana). La polizia in fermento causa festa nazionale, presa della Bastiglia. Non ho potuto accertare né precedente arresto di MG né l’esistenza di Pietro (cognome?). Causa ulteriori accertamenti e festività mi fermo fino a lunedì. A presto, Paolo’ “Ah, che bastardo! La festa e l’assenza di Andrée, due motivazioni a copertura di un misfatto,” dice Giovanna tra i denti a se stessa. “Ci sono novità?” chiede Luigina, non afferrando, all’altro capo del filo, che un bisbiglio a mezza voce. Andrée è via, quindi non solo ha campo libero tutto il giorno, ma usa Andrée anche per giustificare il protrarsi della vacanza. “Questi uomini meriterebbero le pene che la Chiesa del Medio Evo riservava alla categoria degli infedeli...” Giovanna continua mentalmente lo sfogo, mettendo nel novero degli infedeli sia Paolo, sia Marcello. Quindi rivolta a Luigina aggiunge: “Scusami, stavo parlando da sola, ti ascolto.” Pausa. “No, da Parigi non si sono novità.” La signora Nobili le comunica la sua decisione: in questo momento il suo posto è accanto al marito. Pertanto è pronta a fare i bagagli e ritornare a casa. L’arringa contro il sesso forte ha reso meno battagliera Giovanna che si arrende di buon grado alla volontà di Luigina. Pertanto dà disposizione a Marisa di controllare gli orari dei treni. Chiamato un taxi, si reca a casa propria. Fa firmare a Luigina una testimonianza, di suo pugno, sui fatti di Lione per ogni evenienza e l’accompagna

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alla stazione ferroviaria dove attende fino alla partenza del treno. Quando rientra in ufficio, sta pensando di dover studiare una strategia alla luce degli ultimi sviluppi. Avrebbe gradito la presenza di Paolo accanto a lei. Nelle fasi salienti, dei casi più o meno spinosi, si sono sempre mossi in tandem ottenendo dei buoni risultati. Ma non ha il tempo di proseguire nelle sue riflessioni. Giusto nell’atto di sedersi alla scrivania squilla il telefono. E’ il tenente Rimbeaux che chiama per la seconda volta, è dell’avviso di venire a Torino. “E se la signora Nobili fosse impossibilitata a incontrarla? Farebbe un viaggio a vuoto.” “Se la signora Nobili non vuole o non può incontrarmi, mi vedrò solo con lei.” “Si accontenterebbe quindi d’incontrare solo me, ma solo come una seconda scelta?” “Touché: confesso, vengo a Torino per incontrare innanzi tutto lei, poi la signora Nobili.” “Se giura che gli incontri sono rigorosamente come ha detto e nell’ordine indicato, a me va bene.” “Giuro, vedo prima lei e quindi decideremo insieme!” Visto che Paolo ha comunicato che rientrerà a Torino il lunedì, Giovanna concorda l’incontro con il tenente francese per l’indomani. Ha recuperato un uomo per il fine settimana.

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16 Venerdì notte. L’appello del signor Domenico è stato riproposto in tv nei telegiornali della sera. Con una sola azione, ha segnato due punti a suo favore, commenta Giovanna. Ha riconquistato la stima di sua moglie. E tutto sommato l’escalation mediatica può risultare utile a fare emergere il quadro complessivo. La mossa è da giudicare vincente, dunque onore al toscanaccio! Se è accaduto l’irreparabile, di Maria Grazia non si saprà nulla lo stesso, per un tempo indefinibile. D’altro canto, rendere pubblica la sua sparizione servirà a delimitare le ipotesi da vagliare. Dopo un pasto veloce, consumato in compagnia della tv, Giovanna ha messo una vestaglia leggera ed è andata a letto, portandosi dietro gli appunti di Marcello, un Block notes e una penna. Il previsto incontro per il giorno dopo fa sentire meno la solitudine. Una riflessione sul caso, che la tiene occupata da una settimana ormai, le consentirà di non focalizzare la mente alla parte vuota del lettone (forse sarebbe stato meglio andare a dormire nella propria cameretta) e di non indugiare in fantasticherie sul domani. L’utilizzo di tutti i cuscini, sistemati dietro le spalle, serve a stare più comodamente in una posizione leggermente inclinata che facilita la lettura. Deve imparare a disporre degli spazi e delle risorse da persona egoista e indipendente. Le pagine di Marcello narrano di un settembre piovoso, circa un anno fa. Adesso siamo in luglio e in casa c’è afa. L’aria è stagnante nonostante abbia lasciato spalancate le finestra della cucina e del bagno. Si alza e apre la finestra della camera a vasistas avendo cura di controllare che la cerniera sia a posto. Il resoconto di Paolo e gli appunti di Marcello non coincidono almeno in un paio di punti. Mentre il telex di Paolo colloca la scomparsa di Maria Grazia tra il 22 e il 29 settembre, il racconto di Marcello è privo di date di riferimento. Pietro, chi è costui? Azione: c’è da scoprire il cognome del misterioso personaggio

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Pietro. Da controllare i fatti salienti di cronaca; rendere più circostanziata la testimonianza di MD; cercare altre fonti di informazioni e per ognuno di quei fatti accaduti che non si possono ignorare, chiedere se M. era di qua o di là delle Alpi. Da controllare anche il meteo. Lo scorso settembre ha sempre piovuto, oppure due o tre giorni di piogge trovano una esaltazione solo nel ricordo? Quando la mente si affida al ricordo, i contorni sfuggono nella loro proporzione e nella forma. Già bisogna guardarsi dalle falsità nel presente; una persona che oggi ti è accanto, domani non la riconosci più. Annalisa sembrava interessarsi solo alla carriera, invece non solo si scopre che è incinta, ma non si sa neppure chi di due uomini potrebbe essere il padre. Una situazione questa che credeva fosse confinata alle cronache di periferia. Sono passate due settimane che Paolo è partito; tra pranzi aziendali e cenette a lume di candela, sarà cambiato nella circonferenza e anche nel volto. Quanti uomini entrano ed escono nei suoi sogni notturni ultimamente: Paolo, Marcello... Pietro e Paolo. Suo padre... L’ultima volta che ha visto suo padre, l’ha trovato di colpo invecchiato, senz’altro a causa dell’intervento alla prostata. Per i dottori era una operazione chirurgica di nessuna importanza, che ha lasciato il segno in chi l’ha subita. Finalmente qualcuno ha perso un po’ del suo aplomb, è bastato sentirsi pizzicato dalla giustizia. Marcello, l’uomo indifferente, tiepido con le donne, che non intende essere troppo coinvolto in una relazione amorosa, schivo al punto da isolarsi dal mondo; eccolo prendere il volo senza degnare di un saluto la donna con cui ha vissuto per diversi mesi. E con quale distacco apprende che forse è diventato padre per la prima volta! Che incubo invece può diventare la maternità. Una donna non potrà mai vivere un simile distacco. Anche se non desidera la maternità, dovrà comunque giungere in fretta a una decisione. Tre o quattro settimane per l’annunciazione - e mai che arrivi l’arcangelo a dirle che è rimasta incinta! Altrettante settimane per informare il suo

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falegname - se questi è almeno uomo degno d’essere informato. E se decide di abortire, è già agli sgoccioli, ha davanti la corsa a ostacoli con le pastoie burocratiche. E guai se capita in mani sbagliate, se non sa come muoversi. L’estate appesantisce ogni movimento. Prima il caldo, poi il sudore... la vestaglia ti si appiccica addosso. Finalmente con il mattino una leggera brezza rende il sonno ristoratore. I primi raggi del sole, che filtrano tra le fessure delle tapparelle, vanno a confondersi con la luce sul comodino rimasta accesa tutta la notte. Quindi, con il giorno che avanza, l’aria comincia a diventare di nuovo opprimente. Le lenzuola madide di sudore e la pelle salata accrescono la voglia di una doccia rinfrescante prima ancora che gli occhi si aprano a salutare una nuova giornata. Sabato mattina. Sono le nove e venticinque del mattino, Giovanna si sta facendo la doccia. Alle dieci ha un appuntamento presso il suo studio, in centro città. Sotto l’acqua che scorre cerca di rammentare, di mettere ordine nei ragionamenti della sera precedente (lineari finché è rimasta sveglia), che si sono ingarbugliati con i sogni della notte. Si è alzata con la netta sensazione di essere arrivata, da qualche lato, vicina a una soluzione. O forse è giunta soltanto a elaborare una nuova ipotesi. Purtroppo non ricorda, le vengono in mente solamente dei bagliori di luce che si spengono all’istante. Non c’è verso di andare al di là di un confuso benché positivo stato d’animo. Il suono del citofono la sorprende, come qualche minuto prima è rimasta sorpresa dell’ora tardi. Il sabato non ha l’abitudine di puntare la sveglia. Di solito però è in piedi, ben desta, al massimo verso le otto. La sera prima si è addormentata senza neanche accorgersene. O meglio, mentre il corpo riposava, la mente sdoppiata dal corpo ha continuato a macinare pensieri. “Che inutile esercizio mentale, se poi al mattino uno non ricorda che vaghe sensazioni!” dice a se stessa, indossando un accappatoio e andando ad aprire. “Chi è?” domanda, dopo aver aperto. Piuttosto in ritardo perché ha sentito sbattere il portone, segno che qualcuno -

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estraneo al palazzo - è entrato. La signora Elvira, che conosce meglio di lei i difetti della casa, avrebbe accostato il portone senza fare rumore. Quando suonano alla porta guarda dallo spioncino. Ha un lungo momento d’esitazione, poi chiede di nuovo: “Chi è?” “Bonjour. Le lieutenant Rimbeau.” Infatti, l’ha ben riconosciuto dallo spioncino. Apre la porta a metà. “Buon giorno tenente, ha sbagliato: il nostro appuntamento era presso lo studio.” “Sono arrivato con molto anticipo, lo so. Allora mi sono detto, vado incontro alla dottoressa Gandolfi.” E’ irresistibile con il suo accento straniero e il viso che abbozza un sorriso. “Così, senza pensarci due volte?” “Mi scusi, dopotutto il nostro appuntamento non è fra 15 minuti?” Giovanna sa di essere in maledetto ritardo, ma non demorde “Mi scusi lei,” anche se il tono si fa via via più scherzoso, “non la faccio entrare se non è provvisto di un regolare mandato internazionale.” Il tenente Rimbeau, dagli occhi impertinenti che non hanno mai smesso di scrutarla fin dentro l’accappatoio, le presenta un mazzo di fiori. Il suo sguardo penetrante fino a quel momento ha impedito a Giovanna di notare la mano nascosta dietro alle spalle. Touché, facendo un passo indietro lo invita a entrare. “Prego s’accomodi, grazie.” Prende il mazzo di fiori togliendo la mano serrata al petto, l’altra all’altezza del ventre impedisce all’accappatoio di aprirsi. Sistemati i fiori in una vaso, li mette a centro tavola in sala. “Vado a vestirmi.” Il tenente attende seduto sulla poltrona. “Non volevo disturbare venendo qui, a casa sua.” “Non è mia la casa,” risponde Giovanna dalla camera, “è dei miei genitori, sono in vacanza.” Poi dopo qualche minuto entrando, vestita con una gonna beige e una camicetta bianca, aggiunge: “Lei pensava di trovare la signora Nobili, non è vero?” “Beh, speravo di semplificare il nostro incontro, sistemando subito l’aspetto lavoro, per poi avere più tempo per visitare Torino.” Non c’è necessità di passare per lo studio, tuttavia Giovanna non vuole perdere il vantaggio competitivo che le offre l’ambiente

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conosciuto. “Avevo programmato di passare dallo studio e di offrirle lì un caffè.” “Sono nelle sue mani.” E nel dire ciò pensa alle mani di Giovanna che restano libere, nonostante i bottoni della camicetta stentino a contenere il seno che un accappatoio prima ha tenuto così gelosamente nascosto. Lo spazio di pochi minuti tracciano la demarcazione fra goffaggine e disinvoltura. Alcuni uomini si sentono ringalluzziti dalla donna quando è in stato di soggezione, lui è uomo da sentirsi attratto dalla donna quand’è disinvolta. Sabato pomeriggio. Una donna e un uomo siedono, all’interno del parco del Valentino, protetti dai raggi dardeggianti di metà luglio all’ombra di un platano. “Giovanna, nel descrivermi la tua casa in collina che domina Torino dall’alto, mi hai incuriosito.” “Emile, prima di proporti di andarci, vorrei sgomberare il terreno da alcuni punti rimasti in sospeso.” “La trovo una buona idea,” dice il tenente Emile Rimbeau, mentre osserva l’avvocato Giovanna Gandolfi aprire la sua cartella. “Trovo anche che è gradevole starsene qui fuori all’aperto con te,” mente: è chiaro che vorrebbe essere altrove. “Non sembra di trovarsi in città e il panorama è stupendo.” La dottoressa Gandolfi gli dà una busta che ha tirato fuori dalla cartella. “E’ la testimonianza della signora Nobili.” Il tenente Rimbeau apre la busta e legge il contenuto. “Bene, questo chiarisce e completa il quadro delle mie indagini, sull’operato della banda dei vagoni letto. Altre cose in sospeso tra di noi?” “Sì, vorrei sapere come hai fatto a scoprire che la signora Nobili è stata mia ospite.” “Dimentichi che noi della polizia ferroviaria viaggiamo spesso. Ho degli amici a Torino. Prima ho avuto una intuizione, poi ho chiesto a un collega di verificare!” “Non mi sembrano altrettanto bravi, nell’indagine che sta a cuore a me, i ‘nostri’ amici di Parigi!” E’ un modo per rammentargli la promessa di collaborazione che ha fatto, per ironizzare sui suoi amici che ora, per lei, automaticamente diventano ‘nostri’. Allude infine

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all’amica Annalisa e al marito Paolo. E’ una malizia, tutta personale, che non può condividere con nessun altro. Solo Marcello potrebbe sentirsi, in questo momento, roso dentro di sé, pervaso dalla medesima rabbia. Annalisa si è frapposta come un cuneo nel suo matrimonio. Marcello, sul suo percorso, ha trovato Paolo. E prima di Paolo, uno di nome Pietro. “I nostri amici di Parigi sono nel pieno dei festeggiamenti della festa nazionale, oggi è la vigilia, domani ci sarà la grande parata sugli Champs Elysées. Ma già in serata si balla per le strade e i balli continueranno fino a domani sera. Poi, per finire, ci saranno i fuochi d’artificio.” “Rimpiangi di essere qui, lontano dai festeggiamenti?” Pietro e Paolo, se c’è un Paolo in carne ed ossa, può esserci stato uno di nome Pietro: oppure uno può esserselo inventato di sana pianta. “Sono ben felice di stare qui, con te.” E’ quasi una dichiarazione d’amore, che però cade nel vuoto. “Giovanna, sei tu invece che stai da tutt’altra parte. Vero?” “Sì, scusami, stavo pensando a mio marito che si ferma a Parigi, guarda caso, fino a lunedì.” Quindi il campo resta libero per l’intero fine settimana. Lo stesso pensiero inespresso percorre la mente dell’uomo e della donna, che con uno sguardo d’intesa si alzano e si dirigono verso l’auto in sosta nei pressi del parco. Sabato sera. La città delle luci è addobbata a festa. Negli spiriti giovanili la baldoria affiora visibile sin dal primo mattino. Da stasera cominciano i balli nelle piazze che coinvolgeranno abitanti e turisti. Per le strade verrà offerto vino in quantità e anche birra, che contageranno un po’ tutti portando l’euforia in ogni angolo della città, fino a domenica notte. Chiuderanno i festeggiamenti i fuochi d’artificio che solcheranno il cielo specchiandosi, fino a spegnersi, nella Senna. Intanto sugli Champs Elysées Parigi prosegue frenetica la sistemazione delle transenne per contenere la folla che assisterà all’imponente parata militare per il giorno dopo, 14 luglio, ricorrenza annuale della presa della Bastiglia e festa nazionale.

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Una lunga fila di gente aspetta il suo turno per vedere il tramonto della vigilia dalla Tour Eiffel. Paolo e Annalisa sono fra questi. Nelle diverse lingue i turisti raccontano di se stessi, i quartieri che hanno percorso, i monumenti che hanno fotografato e i musei che intendono visitare nei giorni che seguono. Il sole è scomparso dietro i palazzi, il colore vermiglio del tramonto si sta disperdendo nel livore di poche nubi sospese ad arte da un regista occulto ai margini della volta celeste. Infatti come un immenso palcoscenico il cielo ha cambiato repentinamente colore. Ed eccolo ormai rischiarato soltanto dalle luci che tutte accese, nella notte, contendono il chiarore alle stelle. Ma la vita che calca la città vibra di troppa esuberanza per attardarsi a osservare il cielo più a lungo di una manciata di secondi. “Ormai il sole è tramontato del tutto,” dice Annalisa. “Sì, ma vedrai che di lassù è ancora possibile vedere uno scorcio del tramonto,” le risponde Paolo fiducioso. “Sarà come essere in vetta a una montagna.” “Non so se vale davvero la pena. Abbiamo fatto mezz’ora di coda senza raggiungere lo scopo.” Lo sfogo coinvolge anche i due obiettivi mancati. Il ricongiungimento di Paolo a Parigi doveva condurre alla verifica del racconto di Marcello da un lato e dall’altro al test di una breve convivenza assieme all’uomo che ha conosciuto quasi sempre nel ruolo di amico (a parte la parentesi delle ultime settimane, poco significative, poiché vissute sotto il paravento dei continui sotterfugi). “Vorrà dire che se non vediamo Parigi al tramonto, vedremo Paris en lumière...” “Paris by night,” osserva senza vero entusiasmo Annalisa. E’ la proposta ‘tutto compreso’ per i turisti americani che attraversano l’Europa in autobus in due settimane. Il cocktail linguistico attira l’attenzione di una coppia di studenti di diversa nazionalità, che in un inglese stentato riprendono una conversazione probabilmente interrotta in precedenza. “Vedi, l’esperanto va oltre il linguaggio; è una tendenza naturale verso la comunicazione...” “Che ha bisogno del dosaggio di un insieme di lingue.” “La ricetta si combina da sola senza maestri.” “L’esperanto,

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senza regole diventa una poltiglia difficile da digerire.” La conversazione non è passata inascoltata a Paolo che sussurra all’orecchio di Annalisa: “Abbiamo acceso noi la miccia... sull’esperanto.” Annalisa sorride appena come chi presta attenzione solo a metà. Quando giungono in prossimità dell’ascensore, Paolo le chiede se è stanca. Le promette che non staranno su molto a lungo. Ormai sono intruppati nella fiumana che sale. Ed è giocoforza andare avanti. Finalmente sono dentro l’ascensore. Pochi secondi di caldo soffocante e sono al primo livello della torre, in una ressa interminabile di gente, che già è in fila per salire di un altro piano o si accalca per scendere, che si sposta di qua e di là per ammirare il panorama della città filtrato dalle grate messe a protezione. Annalisa si mostra spossata, tiene la mano appoggiata al ventre. “Vuoi sederti un momento da qualche parte?” “Preferisco ritornare in albergo.” “Non ce la fai a resistere ancora qualche minuto?” Non ottiene risposta se non uno sguardo smarrito che sembra irritarlo. Allora Paolo prende per un braccio Annalisa, scusandosi si fa largo tra le persone che aspettano in fila e la spinge verso l’ascensore in arrivo per la discesa, tra le proteste di alcuni, mugugni d’incomprensione e il disappunto della compagna. Quindi silenziosi vanno verso una stazione di sosta dei taxi dove c’è una fila disordinata di persone che prendono d’assalto i pochi taxi in arrivo ad intervalli irregolari che subito ripartono. Capito l’andazzo, prendono il metro. Appena arrivata in hotel Annalisa ha una crisi di pianto. Tutta la giornata in giro per le strade, si sente distrutta. Avrebbe desiderato rientrare in albergo molto prima. Alla fine non ha gradito sentirsi strattonata dentro e fuori l’ascensore. Non ama vedere esibito, come un lasciapassare, il suo stato di maternità, che ancora non si vede e quindi lascia perplessi chi non sa. Da parte di chi sa invece, vorrebbe più comprensione. E se non protezione in senso classico, almeno qualche riguardo in più. Ora il suo stato di collera accomuna chi gli sta vicino, a chi è lontano.

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Come giostrarsi tra due contendenti per un figlio in arrivo? Che vadano a quel paese! Quando ha incontrato Marcello la prima volta a Londra - lei vi era andata per uno stage di due settimane - nel raccontare in classe a turno le proprie scelte, lei aveva detto: “Ho cominciato a studiare lingue straniere perché avrei desiderato viaggiare. Però incontro gente che è stata in giro per il mondo cento volte più di me.” Marcello laconico aveva detto di sé soltanto: “A un certo punto mi sono interrogato sul mio futuro ed ho scoperto che tutto mi spingeva ad andare a quel paese!” L’aveva rincontrato a Milano un annetto più tardi mentre lei era allo stand dell’associazione ‘diritti senza frontiere’ a manifestare contro gli arresti indiscriminati in Cile a seguito del colpo di stato. Era stata lei a rivolgergli la parola, a chiedergli di firmare la petizione contro la dittatura e quindi di fare fronte comune durante le manifestazioni politiche che avrebbero organizzate in futuro. Lui si ricordava a stento del loro breve incontro a Londra. Non era affatto cambiato, il tipo che non ama legarsi: ognuno a casa propria, ma che si volta indietro a cercarti con lo sguardo. E aveva continuato nel genere disincantato: davvero bisogna scambiarsi il numero di telefono? Se ci siamo incontrati per caso una seconda volta, capiterà d’incontrarci di nuovo, no? Al diavolo, Marcello con la sua flemma e Paolo con le sue premure una volta troppo pressanti e ora tardive! Paolo insiste. Ora Annalisa ha lo stomaco sottosopra, non vuole mangiare niente. Anzi, preferisce rimanere da sola. Che lui vada a mangiare qualcosa in camera sua. Potendo, ripartirebbe stasera stessa per Torino. Al più tardi, domani.

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Parte terza 17 Ottobre. Asti, fiera del tartufo. Il buongustaio ama recarsi a caccia di sapori per feste paesane. E’ nelle piccole località che si trova la genuinità dei cibi di una volta, anche se quella di Asti di paesano ha molto poco. E’ piuttosto un comprensorio imprenditoriale che sa combinare le tradizioni, i buoni frutti della terra, alle dinamiche di mercato. Siccome il maresciallo Nicola Biancacci si sente un po’ cane da tartufo, che annusa, cerca, scava e annusando talvolta trova, un po’ cuoco e buongustaio, che s’ingegna a ricercare la materia prima di qualità sul posto di provenienza, non ha voluto mancare a questa ricorrenza. Inoltre sa che le feste attirano commercianti, attività collaterali e curiosi. E ogni chiesa, partito o associazione che vuole guadagnare consensi, nonché adepti alla sua causa, non solo non può ignorare queste opportunità, ma trova sempre il modo di prendervi parte. Come si dice: quando è festa, è festa per tutti; l’occasione è ghiotta per chiunque; chi coltiva il gusto, diventa beniamino della ricerca dei buoni sapori... Gliela avrebbero fatta passare questa? Quante volte ha fatto a gara con i colleghi nel ripescare in fondo alla memoria i detti popolari in merito a un dato soggetto. Per restare svegli, quando gli toccava un appostamento notturno. Adesso contempla la ricerca delle ricette regionali come un possibile passatempo per la vecchiaia. Il maresciallo ha cumulato circa trent’anni di servizio. A conti fatti è in età pensionabile da un pezzo, benché si senta ancora efficiente. “Lucido e florido come una zucchina di serra,” lo ha trovato il medico all’ultima visita. A Nicola non è sfuggita l’ironia. E infatti il medico gli ha intimato di darsi una regolata a tavola, mettendosi a dieta, zero superalcolici e non più di un bicchiere di vino al giorno. A causa di certi valori del fegato. “Mi ha preso per un prete? Non devo dir messa io!” In pratica solo mezzo bicchiere a pasto, ha protestato. Poi ha finto di mettersi

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sull’attenti. Signorsì: fedele all’arma ma attento a non fare la figura del cane da tartufo - apprezzato finché è utile servitore. Ormai è sempre più recalcitrante a seguire gli ordini dell’arma, da qualsiasi reparto provengano. Alla salute ci pensa da sé. Certo lo ammette: abbonda in circonferenza, sette - otto buchi della cintura in meno farebbero di lui un uomo più giovanile nell’aspetto e agile nei movimenti. Ma alla sua età, l’arma non può pretendere che si metta a correre dietro ai piccoli delinquenti. A questo, se occorre, ci pensano i giovani. Va bene, gli hanno richiesto di starsene buono nella caserma dove lo hanno confinato: nientemeno a riordinare le carte. Ed è per questo motivo che in attesa del momento propizio passa il tempo a reimpostare la sua vita. Se dovrà essere a stecchetto in fatto di cucina, potrà almeno dedicarsi a collezionare le ricette delle specialità preferite? Quando sarà riuscito a dare alla giornata, la cadenza giusta nella nuova attività, darà le dimissioni. Punto. E chi s’è visto s’è visto. Che errore grossolano, da un lato gli hanno praticamente imposto di non guardare troppo in alto, alle gerarchi del potere, nel corso delle recenti indagini per stragi, dall’altro lo mettono a una scrivania a sistemare pile di carta, ritagli di giornali, missive, corrispondenza varia. Un modo come un altro per spingerlo a dare le dimissioni. Praticamente è lì a osservare dal buco della serratura, quasi una provocazione. A chi gli domanda cosa fa ultimamente, puntualmente risponde di trascorrere il tempo a collezionare ritagli di giornali, per comporre le sue ricette e per la preparazione di quei piatti che non potrà più gustare. Sono questi nuovi rompicapo che lo terranno occupato da vecchio pensionato. Così raccoglie di tutto, senza un ordine preciso nel classificarlo. L’importante sarà, all’occorrenza, di avere tra le mani abbondanza di materiale da spulciare, esaminare, mettere insieme, amalgamare. Per esempio, tra le notizie stantie, da lui raccolte di recente, ha trovato un

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trafiletto che accenna a una cosiddetta associazione ‘diritti senza frontiere’. ‘Alcuni attivisti contrari al regime di Pinochet, arrestati in Cile, sono identificati come appartenenti all’associazione diritti senza frontiere’. Settembre 1973, un anno fa. Alcuni fatti hanno concorso in un primo tempo ad aggravare la situazione di Marcello Dotti e poi ad offuscare ulteriormente la sua posizione. Maria Grazia Baccini è rimasta assente dal lavoro, a partire dal giorno 19 settembre 1973. In pratica, una settimana dopo il colpo di stato in Cile (11 settembre 1973). Un funzionario argentino presso il consolato del proprio paese, con sede a Santiago del Cile, è trovato morto per strada nei giorni successivi al colpo di stato. Il figlio Pietro, residente in Francia per motivi di studio, viene visto a Parigi per l’ultima volta tra il 19 e il 25 settembre. Di lui dopo si perde ogni traccia. Vengono sventati degli attentati in Cile, definiti dalla stampa non più libera come altrettanti colpi di coda da parte dei seguaci del deposto governo. Alcuni attivisti contrari al dittatore Pinochet, sono arrestati e identificati come appartenenti a frange di associazioni umanitarie. Il nuovo regime mette in guardia contro ingerenze esterne da parte di una galassia di movimenti dissenzienti più o meno armati. Durante gli interrogatori, dopo un fuoco di domande su vicende internazionali e fatti di cronaca (dei due paesi Francia e Italia) che non potevano passare inosservati, Marcello Dotti ha circoscritto la data di partenza da Parigi, lasciando intendere di essere arrivato a Milano tra il 18 e il 19 settembre, in concomitanza con l’entrata delle due Germanie nell’ONU. Al suo rientro in Italia, ha avuto contatti con l’associazione ‘diritti senza frontiere’ attraverso la frequentazione aperta e assidua di alcuni esponenti. Non ne ha fatto mistero, gli incontri si sono svolti in una cornice di fitte relazioni. Tuttavia le circostanze smentiscono le apparenze. Anzi, la

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‘presunta relazione’ con Annalisa Mancini accresce i dubbi degli inquirenti. Se la relazione è vera e non è una copertura, perché la signorina afferma di essere una ragazza madre? Perché due avvocati dello stesso studio legale, che fino a un certo punto si è occupato di cause civili di natura commerciale, hanno cominciato a occuparsi a tempo pieno di un fatto di rilevanza penale? Senza un corrispettivo economico? Sì certo, l’attività dell’associazione li ha visti in passato, di tanto in tanto, dare un contributo, sottoscrivere qualche petizione. Ma è stato del folclore. Chi è nel campo investigativo sa bene discernere tra contributo occasionale di facciata e totale coinvolgimento nello svolgimento delle indagini, fronteggiando spese e dedizione di risorse. Il quadro che viene evidenziato porta in tutt’altra direzione. Tanti dubbi, non ancora confidati a nessuno. Il maresciallo questa volta sa che, prima di fare anche un solo passo in campo aperto, sarà giudizioso porsi le domande giuste e rispondere a quelle che di solito danno fastidio, in fondo alla lista. Il quesito fondamentale è scoprire se le attività del gruppo hanno goduto o godono di appoggi. Quali appoggi hanno permesso all’organizzazione un così rapido sviluppo in due continenti? A questo punto, a fine carriera, il suo nuovo motto è diventato: fedele all’arma, ma attento a non fare la fine del tartufo - servito a dovere, a piccolissime scaglie. ……………………………