Giacomo Camuri DOCENTE DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI ... Giacomo... · DOCENTE DI FILOSOFIA E...

12
Giacomo Camuri DOCENTE DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI LICEO VEGIO DI LODI Per l'educazione del futuro, un “Terzo paesaggio” L'anniversario della morte di Amalia Luisa Paladini offre l'occasione per gettare uno sguardo sul futuro dell'istituzione scolastica da una particolare angolatura. Lo suggerisce l'anno stesso della sua scomparsa: il 1872. Nel marzo di quell'anno Friedrich Nietzsche si accingeva a tenere cinque memorabili Conferenze dedicate a L'avvenire delle nostre scuole. i Un avvenire che centoquaranta anni fa si poneva in circostanze e con una problematicità che non risultano affatto superate dal tempo. I temi affrontati e la prospettiva sollevata da Nietzsche illuminano tuttora la scena in cui si dispone all'indomani della Riforma la domanda sul futuro dei nostri percorsi liceali. 1. In uno sguardo retrospettivo Con abile maestria Nietzsche poneva infatti in essere dinnanzi ai suoi “illustri ascoltatori” una lucida e appassionata disamina del travaglio che, al di là dei suoi auspici per un precoce superamento, ii avrebbe accompagnato in Europa la storia dell'istituzione scolastica nel trapasso dalla modernità all'epoca post-moderna o, come altri dicono, al tempo della sur-modernità iii . E Nietzsche lo fa in modo sorprendente, potremmo affermare, profetico per le circostanze del presente, dando voce allo ”sconforto” di un insegnante liceale, che non aveva saputo mettersi al riparo dalla tentazione della “fuga” e aveva ceduto alla resa dell'isolamento. iv Nello “sconforto” del giovane insegnante, uno dei due protagonisti del dialogo messo in scena nel corso delle Conferenze, Nietzsche portava a tema il problema di una scuola sottoposta, come oggi, a istanze contrastanti: da una parte, egli scriveva, vi è l'esigenza, divenuta ormai “morale”, di “sviluppare ogni individuo in modo tale che dalla quantità di conoscenza e di sapere egli tragga la più grande quantità possibile di felicità e di guadagno” una scuola dalla “rapida cultura” ispirata al principio della “lega di intelligenza e possesso”, ben funzionale alla solidità di uno Stato centralista e burocratico v – ma dall'altra pur vi è “l'aria” che ugualmente si respira tra gli eruditi mirante alla “riduzione della cultura”, per quel crescente processo di parcellizzazione del sapere che produce conoscenze sempre più slegate e frammentarie. vi La rappresentazione nietzschiana di una scuola dal destino oscillante tra “estensione” e “espansione” della cultura e specialismo tendenzialmente ipertrofico, che riduce lo studioso alla stregua, diceva Nietzsche, di un operaio di una catena di montaggio del tutto incapace di uno sguardo attento e ampio al di fuori del proprio ristretto campo di lavoro, vii contiene a ben vedere in nuce lo scenario entro il quale tuttora la scuola si dibatte tra diritto allo studio e selezione, tra educazione alla cittadinanza e formazione tecnico-scientifica. La puntuale rilevazione dei sintomi di criticità del sistema liceale tedesco – non del tutto diversi dai sintomi attualmente ben noti – quali il declino della lingua madre, l'incursione dei neologismi, viii i mutamenti negli stili comunicativi irretiti nella fascinazione dei media (allora il giornalismo ix ), la metamorfosi se non il sovvertimento delle sfere valoriali x , induceva Nietzsche a soffermarsi sul gioco delle forze in campo che in profondità governano la deriva epocale del moderno. Pur con brevi annotazioni ora dedicate alla scienza, una scienza ideologicamente impostata sul modello darwiniano, ed ora all'economia politica egli veniva a comporre il quadro di senso, lo spirito del tempo, che da quell'ormai lontano “presente” ha orientato i molti anni a venire, incuneandosi nelle loro vicende tumultuose e ruggenti, secondo il registro di una razionalità sostanzialmente omologante e tecnocratica. Dalla lettura d'insieme dell'esperienza scolastica si apre nel testo nietzschiano un ampio squarcio sul mondo del disincanto. Un mondo in sommovimento, quello dell'Occidente, sottoposto allora a forti processi di disarticolazione delle compagini sociali, un mondo alla fine di un mondo che si andava allontanando nel disegno di differenti assetti geopolitici, messo alla prova dall'incursione di

Transcript of Giacomo Camuri DOCENTE DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI ... Giacomo... · DOCENTE DI FILOSOFIA E...

Giacomo CamuriDOCENTE DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI LICEO VEGIO DI LODI

Per l'educazione del futuro, un “Terzo paesaggio”

L'anniversario della morte di Amalia Luisa Paladini offre l'occasione per gettare uno sguardo sulfuturo dell'istituzione scolastica da una particolare angolatura. Lo suggerisce l'anno stesso della suascomparsa: il 1872. Nel marzo di quell'anno Friedrich Nietzsche si accingeva a tenere cinquememorabili Conferenze dedicate a L'avvenire delle nostre scuole.i Un avvenire che centoquarantaanni fa si poneva in circostanze e con una problematicità che non risultano affatto superate daltempo. I temi affrontati e la prospettiva sollevata da Nietzsche illuminano tuttora la scena in cui sidispone all'indomani della Riforma la domanda sul futuro dei nostri percorsi liceali.

1. In uno sguardo retrospettivo

Con abile maestria Nietzsche poneva infatti in essere dinnanzi ai suoi “illustri ascoltatori” unalucida e appassionata disamina del travaglio che, al di là dei suoi auspici per un precocesuperamento,ii avrebbe accompagnato in Europa la storia dell'istituzione scolastica nel trapasso dallamodernità all'epoca post-moderna o, come altri dicono, al tempo della sur-modernitàiii. E Nietzschelo fa in modo sorprendente, potremmo affermare, profetico per le circostanze del presente, dandovoce allo ”sconforto” di un insegnante liceale, che non aveva saputo mettersi al riparo dallatentazione della “fuga” e aveva ceduto alla resa dell'isolamento.iv

Nello “sconforto” del giovane insegnante, uno dei due protagonisti del dialogo messo in scena nelcorso delle Conferenze, Nietzsche portava a tema il problema di una scuola sottoposta, come oggi,a istanze contrastanti: da una parte, egli scriveva, vi è l'esigenza, divenuta ormai “morale”, di“sviluppare ogni individuo in modo tale che dalla quantità di conoscenza e di sapere egli tragga lapiù grande quantità possibile di felicità e di guadagno” − una scuola dalla “rapida cultura” ispirataal principio della “lega di intelligenza e possesso”, ben funzionale alla solidità di uno Statocentralista e burocraticov – ma dall'altra pur vi è “l'aria” che ugualmente si respira tra gli eruditimirante alla “riduzione della cultura”, per quel crescente processo di parcellizzazione del sapereche produce conoscenze sempre più slegate e frammentarie.vi

La rappresentazione nietzschiana di una scuola dal destino oscillante tra “estensione” e“espansione” della cultura e specialismo tendenzialmente ipertrofico, che riduce lo studioso allastregua, diceva Nietzsche, di un operaio di una catena di montaggio del tutto incapace di unosguardo attento e ampio al di fuori del proprio ristretto campo di lavoro,vii contiene a ben vedere innuce lo scenario entro il quale tuttora la scuola si dibatte tra diritto allo studio e selezione, traeducazione alla cittadinanza e formazione tecnico-scientifica.La puntuale rilevazione dei sintomi di criticità del sistema liceale tedesco – non del tutto diversi daisintomi attualmente ben noti – quali il declino della lingua madre, l'incursione dei neologismi,viii imutamenti negli stili comunicativi irretiti nella fascinazione dei media (allora il giornalismo ix), lametamorfosi se non il sovvertimento delle sfere valorialix, induceva Nietzsche a soffermarsi sulgioco delle forze in campo che in profondità governano la deriva epocale del moderno. Pur conbrevi annotazioni ora dedicate alla scienza, una scienza ideologicamente impostata sul modellodarwiniano, ed ora all'economia politica egli veniva a comporre il quadro di senso, lo spirito deltempo, che da quell'ormai lontano “presente” ha orientato i molti anni a venire, incuneandosi nelleloro vicende tumultuose e ruggenti, secondo il registro di una razionalità sostanzialmenteomologante e tecnocratica.Dalla lettura d'insieme dell'esperienza scolastica si apre nel testo nietzschiano un ampio squarciosul mondo del disincanto. Un mondo in sommovimento, quello dell'Occidente, sottoposto allora aforti processi di disarticolazione delle compagini sociali, un mondo alla fine di un mondo che siandava allontanando nel disegno di differenti assetti geopolitici, messo alla prova dall'incursione di

più innovazioni tecnologiche, testimone dell'imporsi di nuovi poteri forti: un mondo dicambiamenti, di luci e di ombre, con forti analogie con l'oggi, che per Nietzsche la natura stessadella scuola, nelle sue dinamiche e nelle sue componenti, non poteva non portare in trasparenza.

2. Nell'orizzonte del disincanto

Che le regole della scuola rispondano a principi esterni, a regie occulte, ben Nietzsche l'avevacompreso sin da certe metodiche d'insegnamento, in auge già nel tempo. Sorprendono per puntualitàe rigore le analisi condotte nella Seconda e nella Terza conferenza. Colpiscono aspetti che sonotutt'altro che tramontati dalle scene odierne della scuola come la tendenza a facilitare e asemplificare in ogni ambito le conoscenze, l'abitudine a enfatizzare l'immatura capacità produttiva,se non autoreferenziale e estetizzante, dei discenti,xi la promozione di saperi sradicati da un agirevivo, a tal punto che, osservava Nietzsche, l'apprendimento stesso della lingua madre risultava nondel tutto dissimile all'apprendimento di una lingua morta.xii Denunciano altresì la ancor piùpreoccupante “tendenza educativa del liceo”, la sua vaghezza culturale e la sua vacuitàpedagogicaxiii, che non solo per quell'epoca trovano ragion d'essere nella “ferrea necessità” di unsoverchiante principio utilitaristico,xiv che per Nietzsche era all'origine stessa dell'eccessivaproliferazione delle istituzioni scolastiche con il loro esuberante numero di insegnanti che sipiegavano all'insegnamento, e a loro voluttà lo piegavano, attratti più dalla posizione sociale che daun'autentica vocazione pedagogica.xv

In questo contesto Nietzsche scorgeva nitidi i segnali di un preoccupante processo diburocratizzazione della vita sociale, ben altrimenti descritto da Max Weber, che nello Stato“mistagogo di cultura” e dispensatore di cariche, ha il suo motore.xvi Così quello che dapprimapoteva apparire come un sentimento soggettivo di scoramento di un giovane insegnante per la“singolare situazione d'angustia della scuola più importante, il liceo”xvii diviene nello sguardo argutoe ironico di Nietzsche l'indice di una più radicale e trasversale situazione di spaesamento a frontedel rischio certo di una doppia perdita.xviii Da un lato egli scorgeva nei referti dell'istituzione scolastica l'eclissi del mondo greco, l'archetipodell'Occidente travolto da un'idea nuova di civiltàxix ma dall'altra vedeva anche allontanarsi, minatada un processo di oblio, la terra arcana del simbolo, del mito, della narrazione epica, del canto, lamemoria del popolo, che sempre più avrebbe conosciuto l'azione pianificatrice e massificante diun potere che aveva di mira la creazione di una società borghese protesa capitalisticamente allacrescita senza limiti del profitto.xx

In un orizzonte di perdite così problematico Nietzsche doveva tuttavia ricomporre il quadro di unforte progetto di educazione tale da offrire una prospettiva e una lezione per il presente. Non èinfatti irrilevante il «luogo» dove egli aveva ubicato il dialogo immaginario delle Conferenze: ilsito appartato su un'altura prospiciente il corso del Reno coperto dal fogliame di un bosco,testimone dopo anni di silenzio dell'incontro del giovane insegnante con un anziano filosofo, suovenerato maestro.xxi Come non è secondario il contrasto che agli inizi della Prima ConferenzaNietzsche, ignaro testimone di quell'incontro, descrive tra i lontani schiamazzi della vocianteschiera degli amici, che lo avevano accompagnato nella scampagnata sul fiume in prossimità diquel sito, gli spari con cui egli si dilettava con un amico nel tiro a segno prima che i dueinterlocutori del racconto li raggiungessero, e la voce pacata e forte del filosofo, che via via glidiveniva intellegibile mentre si faceva strada come eco oracolare tra il folto della vegetazione.xxii

Una condizione di liminalità caratterizza sin dall'inizio delle Conferenze l'ambito dell'esperienzapedagogica: non in uno spazio qualsiasi né in un tempo qualunque può accadere per Nietzschel'evento che inaugura e accompagna la formazione degli individui. Una soglia duttile, mutevole maugualmente rigorosa definisce le circostanze che possono permettere agli uomini di radicarsi in unterreno propizio e di elevarsi da esso entro una fertile circolarità di scambi energetici. A questo«luogo» di innesti vitali e di crescita di forti genialità si volge il pensiero nietzschiano allorché, afronte della crisi del liceo del suo tempo, l'istituzione che ancor più dell'università, a suo dire,avrebbe potuto per la formazione dell'individuo, dà voce nel proseguo delle Conferenze alla

missione del maestro-filosofo, alla sfida che egli lancia al discepolo-insegnante per la rinascita diuna scuola deputata alla cura e all'arte della cultura, alla coltivazione e alla disseminazione nellenuove generazioni del patrimonio di umanità che pur sempre fluido scorre immenso nelleprofondità simboliche dei linguaggi sedimentati dai saperi della vita.xxiii

In un paesaggio denso di richiami metaforici come l'ora calda e umida del tramonto in un giornod'autunno,xxiv la fitta cortina d'alberi che nasconde la riva a picco sul fiume, il sentiero nel bosco, latrama delle sue ramificazioni o ancora l'oscurità trapuntata di stelle in cui piombano le ore notturnedell'incontro,xxv in un paesaggio che è esso stesso metafora di un programma d'azione e di pensiero− proprio in quel particolare contesto renano, confessava all'uditorio un Nietzsche ventisettenne, simanteneva viva, scolpita su un antico tronco, la memoria di un patto segretoxxvi − si raccoglie e siarticola la visione nietzschiana dell'educazione, irriducibile a qualsiasi forma d'istruzione, men chemeno contrabbandabile con alcun tipo di erudizione,xxvii come è l'idea di un processo teso allaformazione di spiriti forti e liberi segnati da un carattere indelebilmente riflessivo, aperto allecorrenti della vita e per queste tenacemente responsabile.In uno sguardo retrospettivo che ormai sa quanto il disincanto sia divenuto la cifra stessadell'abitabilità di un mondo, che da quel 1872 ha conosciuto più volte gli effetti estremi, estraniantie distruttivi, dell'azione pianificatrice delle ragioni sottostanti le ideologie di un progressomassificante e utilitaristico,xxviii la lezione di Nietzsche rimane un prezioso punto di riferimento.Incline, come è noto, a cogliere nell'esercizio della metafora il segnavia di un diverso modo dipraticare la filosofia, cioè di rendere umano l'uomo e pertanto abitabile il mondo, Nietzsche nonpoteva eludere, nell'ora albeggiante di un tempo di resistenza tutto incentrato nella rinascita di unprogetto educativo, il carico di immaginazione utopica e il portato di pensiero critico ancorapresenti nelle metafore dell'albero e del bosco, nel loro millenario retaggio di comparazioni e disimilitudini tra universo vegetale e comportamento umano.xxix

3. Per un'educazione del futuro

La domanda sul futuro della scuola, che nelle prime pagine della Seconda conferenza trovaespressione in forma lapidaria e attualissima sulle labbra del giovane insegnante − “Dunque,maestro, la prego di istruirmi sul liceo: quale sfacelo del liceo possiamo attenderci, qualerinascita?”xxx − , veicola in verità una domanda più radicale, per dirla con Edgar Morin, relativa allapossibilità di un'educazione del futuro. Un'educazione che per Nietzsche, come per lo stessoMorin, non può che essere progetto di un'ermeneutica dell'umano, ricerca esperienziale diun'autocomprensione,xxxi che necessita di contesti di senso, di «luoghi» in cui dar luogo allaformazione di coscienze capaci di prendersi cura di sé e del mondo a fronte dell'inatteso che si celanelle incertezze del futuro.xxxii Nel richiamo nietzschiano alla memoria simbolica di un paesaggio segnato, potremmo dire, dallapresenza di un arboreto pedagogico riprende forza quel nesso di educazione e futuro che nelpensiero del Sei e del Settecento in particolare aveva trovato il suo punto di raccordonell'esperienza immaginativa di «luoghi» che meglio e più di altri sembravano poter restituirel'uomo al compito del proprio dover-essere uomo. Non è casuale che la centralità ermeneutica del «luogo» per la declinazione di un'educazione delfuturo si sia fatta strada con i fermenti e i fremiti delle due grandi rivoluzioni della scienza e dellademocrazia, sul terreno dell'esercizio della libertà e della conoscenza delle umane inclinazioni,quando sullo sfondo dell'invenzione del giardino all'inglese, un giardino paesaggistico in cui“dominano i contrasti, si dà spazio all'allestimento delle sorprese e i confini sono preclusi allavista”,xxxiii il pensiero si andava a riappropriare della metafora di uno spazio archetipico, di unmondo-ambiente primigenio, di un giardino edenico, ove veder rimessi nelle mani dell'uomo edella donna i giochi dei rispettivi destini.xxxiv Se da un Paradiso perduto aveva preso miticamenteavvio la storia umana,xxxv da un giardino ritrovato doveva avere inizio la ricerca degli scenari per lacreazione di una nuova umanità o per la scoperta di un'umanità dai tratti originari.Così il modello drammaturgico utilizzato da Nietzsche nelle Conferenze ricapitola e rilancia a uno

sguardo attento alla scena del futuro delle istituzioni scolastiche i momenti salienti della filosofiache, ricorda Enzo Cocco nelle pagine di Etica ed estetica del giardino, da Schaftesbury a Voltaireha rincorso proprio nell'immagine del giardino ritrovato il «luogo» più consono per le scorreriedel pensiero, che nella forma di un dialogo in movimento, la promenade, attraverso il filtro dellamorfologia degli spazi percorsi e delle atmosfere temporali che si respirano, esplora le possibilità ei limiti dell'umano conoscere, saggia la natura e la tenuta delle regole morali, s'interroga sullafondatezza di un sapere metafisico e sull'efficacia di una diversa visione del mondo.

4. Il giardino ritrovato

Da una meditazione a più voci sul vero ordine dell'universo e sulla posizione che l'uomo deveassumere in esso, ambientata da Shaftesbury ne I moralistixxxvi tra i viali di un giardino principesco,prende le mosse la costruzione di una filosofia del genius loci che sfocia nella fondazione di unaprima ermeneutica della formazione.xxxvii In una sorta di cammino a ritroso i tre protagonisti deidialoghi, il razionalista Palemone, lo scettico Filocle e il teista Teocle, si muovono discorrendo indirezione di luoghi che nel trascorrere delle ore del giorno e della notte si allontanano da quelgiardino che ai loro occhi era inizialmente apparso bello. Nel serrato confronto tra le diverse visionidel mondo e della vita si dilegua lo spazio di una natura irrigidita in composizioni geometriche. Lafinzione di un ordine naturale lascia il posto alla scoperta di un «luogo-simbolo»: un bosco incima ad una collinaxxxviii da cui lo sguardo può spaziare sino al mare e aprirsi, tramite le vibrazioniempatiche dell'anima avvinta dalla commozione, all'intuizione originaria del sublime ordine dellanatura che è armonia non già dell'identico ma trama unitaria del differente.xxxix

La scorza dura del razionalismo si stemperava così nella narrazione dei tanti cammini, cheandavano esplorando, lungo la via maestra dell'introspezione, nei recessi dei sensi e nei meandridelle emozioni gli orditi del mondo. In un «luogo », “un recinto (enclos) che non è bosco, né prato,né giardino, ma un insieme di tutto”xl camminano e dialogano per voce di Diderot, traduttore diSchaftesbury, anche i protagonisti de La promenade du sceptique ou les Allées.xli Entro un quadrosorprendentemente composito di strade e di viali, connotati da ambientazioni dense di riferimentiallegorici agli universali stilemi del comportamento sociale,xlii prende quota il progetto di una“filosofia locale”, che è nel contempo progetto educativo per individui nutriti di un'entusiasticaattitudine all'osservazione dei particolari e alla contestualizzazione interpretante dei lorosignificati.xliii

Laboratorio di uno sguardo in movimento e di concerto di un pensiero penetrante, il giardino, comeha osservato Cocco, si arricchisce nel pensiero di Rousseau di ulteriori e decisive valenzemetaforiche. Il nesso che fa del «luogo» il tramite di un futuro, che si declina in percorsi diconoscenza e di autocoscienza, si palesa sin dal punto zero dell'esistenza. “Recinto” perquell'arboscello altrimenti minacciato dal sociale, che è l'uomo allo stato nascente,xliv il giardinoincorpora tout court la possibilità di ri-programmare l'umano, l'umano virtuoso, secondo i codiciinscritti nella naturalità del suo corpo senziente. Ancor prima d'essere luogo di passeggiate,attraverso la mediazione di figure materne, cui Rousseau affidava nelle pagine dell'Emilio e dellaNuova Eloisa il compito di approntare e far crescere giardini, il giardino appare ora spazio digestazione di una vita intrauterina, che si appresta a venire al mondo ignara delle storture cui potràandare incontro, e ora dimora accogliente e protetta per una infanzia che si dispiega assecondandoil ritmo di crescita assegnatale dalla natura.Nel duplice rapporto con la maternità e l'infanzia l'immagine del giardino si lascia alle spalle ildramma dell'incolmabile distanza tra l'Eden biblico e l'umanità e fa posto a una originariaprossimità di uomo e natura di cui l'inconscio umano porta traccia indelebile. Concepito come una“isola deserta” per i giochi dei bambini il giardino uscito dalle mani della signora di Wolmar,Giulia, la protagonista della Nuova Eloisa, è simbolo edenico. Chi vi si avventura, là si scopre“primo mortale”.xlv In uno spazio anticartesiano, ove le simmetrie si infrangono e la chiarezza e ladistinzione sono sostituite dal dominio dei contrasti e dalla sinuosità delle linee,xlvi la natura palesaagli occhi interiori di Rousseauxlvii l'assetto trascendentale del proprio essere forma formatrice in

eterno stato nascente. Riflessione metafisica e meditazione morale sostanziano in Rousseau gli itinerari di un'esperienzaposta sotto il segno di un'educazione permanente come si evince dallo sfondo di un altro giardino,non più l'isola-deserta, l'hortus conclusus a pochi passi da Clarens, ma l'isola-giardino di SaintPierre al centro del lago di Bienne, felicissimo rifugio per l'esilio di un Rousseau, nelle memoriedella Quinta passeggiata solitaria, neofita botanico.xlviii Luogo cruciale quello di Saint-Pierre ove l'arte del giardino si invera nel suo modello e la naturatrasfigurata in opera d'arte fonda l'estetica romantica. La felicità vi dimora pari alla bellezza, checattura lo sguardo, lo immerge nella meticolosa osservazione della flora, lo guida nel paesaggio,facendone scoprire gli insospettati nascondigli e i punti di fuga dove il procedere con i piedi perterra lascia spazio alle fantasticherie, ai sogni ad occhi aperti, all'immaginazione che ascende alpiano delle “Intelligenze celesti” scorgendo entro una specularità di sentimenti di pace l'essenzastessa del divino. A nessun altro futuro potrebbe tendere per Rousseau l'educazione se non al raggiungimento dellapiena libertà che solo la bellezza, natura pregna di quella essenza divina, può restituire all'uomonel tramite di un «luogo»: la libertà che basta a se stessa che nulla ha più bisogno se non disoggiornare là dove interno e esterno si incontrano e i moti dell'anima trovano nei moti delle cosemotivo per non fermarsi e andare “oltre”.xlix

Ancora giardino, formazione e critica sociale si saldano mirabilmente nell'opera di Voltaire.Giardini dell'Eden e giardini dell'utopia si rincorrono nelle pagine di molti scritti.l Il sarcasmo e laparadossalità della scrittura volterriana, tutta tesa a smascherare la compagine ideologica dell'epocascarsamente propensa a misurarsi con l'esercizio di una onesta ragione, si stemperano laddove lafinzione letteraria dà spazio all'immagine del giardino. Si pensi al viaggio di formazione raccontatonel Candido ovvero l'ottimismo: un viaggio che ha inizio dalla cacciata del protagonista da “unparadiso terrestre”li e si conclude dopo innumerevoli e sconcertanti peripezie in un altro giardino, ilpiccolo giardino di Propontide, dove Candido indica agli sfortunati compagni d'avventura ilrimedio di un compito di realtà: “Bisogna coltivare il nostro giardino”, il solo che merita d’esserelavorato.lii Ma il lavoro del giardino adombra di nuovo nel linguaggio del Candido un lavoro diformazione, l'impegno per la diffusione, come sottolinea Cocco, “di una filosofia che […] sipreoccupi non tanto dell’essenza ma dell’esistenza, non del cielo ma della storia, non della sortedell’anima nell’al di là, ma del progresso civile dell’umanità”.liii

5. Il «luogo» antropologico

Se ci si attiene alla prospettiva delineata da Nietzsche sulla scorta della più feconda ereditàdell'Illuminismo raccolta nell'esperienza pedagogica della promenade – quel pensare inmovimento, dallo stesso Nietzsche evocato, che ha celebrato con la libertà del pensiero critico lalibertà del vivere e la libertà del sentire, le libertà essenziali alla formazione di un nuovo soggetto diragione, portatore di progettualità che solo si concretano nel farsi e nel disfarsi di mappe cognitivee esistenziali messe alla prova di azioni di ricerca a volte spregiudicate – appare del tutto evidenteil pericolo insito nell'irrigidimento e nell'impoverimento dei percorsi formativi emersi dalla recenteRiforma degli ordinamenti scolastici. A fronte anche della più ampia caduta degli orizzontisimbolici e valoriali della vita sociale s'acuisce la necessità di ripensare l'educazione in terminiermeneutici e di riscoprire nell'esperienza del «luogo» con il suo portato di azioni il cespite dinuove conoscenze e di più autentiche identità.D'altro canto, lo ha ricordato in tempi recenti Jean-Luc Nancy, costitutivo è per l'esperienza stessadell'uomo il rapporto tra movimento e pensiero. Un rapporto che si origina in forma autenticaproprio nell'esperienza del «luogo», o meglio in quell'esperienza dell'«approssimarsi» ad un luogo,che a ben vedere e più esattamente rivela per Nancy il chiasma che sotterraneamente congiunge il«luogo» verso cui l'approssimarsi è diretto e l'azione che l'approssimarsi stesso compiecontribuendo a originare il «luogo».liv In questo chiasma si raccolgono il fascino, la forza el'attualità della promenade: vi si scorgono le dinamiche che rendono possibile l'incontro e lo

scambio tra luogo e pensiero. Si palesano sotto particolare angolatura le condizioni sotteseall'avvento della coscienza.Vi sono luoghi, scrive Nancy, ̶ “il lago, la radura, la piazza, l'atrio, il cortile” ̶ che hanno in modopropizio il potere di disporre davanti all'uomo “lo spazio di un'accoglienza, di una raccolta e di unariserva”, hanno la genialità di “un'apertura che al tempo stesso trattiene e libera”. lv In questaapertura, sostiene Nancy, si manifesta l'essenza del «luogo» che altro non è “se non, anzitutto,apertura di sé fuori di sé”,lvi un'apertura che conduce direttamente alla soglia dell'uomo che diquell'apertura è custode e chiave di volta. Nel rapporto al «luogo» l'uomo è infatti postoincontrovertibilmente in relazione con se stesso, con la puntualità assoluta e insostituibile dellapropria posizione, della propria presenza e della propria prospettiva: del trovarsi ̶ “ci sono, sonovenuto qui” ̶ nel punto da cui egli stesso localizza il «luogo», in cui costituisce quella “stessalocalizzazione a cui dà luogo”,aprendo di conseguenza in maniera impeccabile il luogo a se stesso.Nella contrazione alla dimensione minimale di un ci del qui ̶ “io che qui mi riduco al qui stesso delqui. Io qui sono soltanto il ci del mio «ci sono»”lvii ̶ l'uomo paradossalmente si scopre in potenzaposto dinnanzi all'ampiezza e alla complessità dell'avventura che lo attende: l'orizzonte del suodover-essere uomo. Così la nota formula cartesiana «io penso, dunque sono» andrebbe secondoNancy a rigore ribaltata e ricondotta ad una formulazione più originaria e più coerente con l'avviostesso del Discorso sul metodo.lviii «Io ci sono, io ci penso» andrebbe altrimenti detto, perché ilpensiero non ha altra possibilità di sporgenza se non nel lì in cui il pensiero «ci si trova, ha lì ilsuo peso specifico»: nell'intersezione delle coordinate geografiche, che pur nell'ignoranza dei datinumerici la posizione del c i definisce di volta in volta in modo integrale a partire dallalocalizzazione di una visione, la cui provenienza tuttavia si perde in una impossibilità originaria difissazionelix. Il pensiero, si potrebbe allora dire, pulsa già nella differenza che l'apertura di un «luogo» originamediante la sua stessa localizzazione. Se “ciò che il luogo permette, o meglio promette” è, comeafferma Nancy, “che qualcosa avvenga”, la possibilità “che qualcosa vi si pro-duca, ossia vi si portidavanti a sé, ek-sista”, vale a dire la “imminenza di un evento”,lx altro non è che il pensiero, in unaforma sorgiva che lo rende del tutto omologo alla poesia, all'amore, tanto da far dire a Nancy“perché parole diverse per quest'unica cosa?” E in questo approssimarsi di un'imminenza, che tale èil pensiero, l'uomo vive la più intensa esperienza del reale, quand'esso nella verità del «luogo» “èlì”, nel proprio annuncio e nel proprio approssimarsi, nella propria promessa e nella propriaminaccia: nel fremito che è del pensiero (o dell'amore o della poesia).lxi

Se dunque si deve strutturalmente ascrivere al «luogo» la condizione che permette all'uomo diautocomprendersi come pensiero, come coscienza-fremito del reale, si evince la ragione di quelleghein tra uomo e giardino che congiunge l'orizzonte del mito ai tempi della storia in un continuodipanarsi di elaborazioni teoretiche e di pratiche di vita confluite in tanta parte della costruzione deimodelli educativi. Non altrimenti si potrebbero spiegare i motivi che sin dall'antichità greca hannofatto dei giardini luoghi d'elezione, ambienti ideali per l'insediamento delle scuole filosofiche, perl'istituzione di comunità di studio e di ricerca, e che dall'età medievale hanno portato le stesseistituzioni scolastiche, dalle scuole claustrali alle accademie rinascimentali, a incorporarne spessogli spazi.lxii Senza la mediazione di un giardino, di uno spazio “en plein air” con alberi, prati, ruscelli e piccolestatue, lo ricorda Platone nel Fedro, non si sarebbero occasionati certi discorsi sull'anima, sui suoidispositivi, sui suoi destini,lxiii perché un giardino, secondo le parole di Jung, in sostanza è “psicheoggettiva”,lxiv espressione spazio-temporale di una mente in movimento, che “si fa” nellaconcretezza degli elementi che compongono la tessitura di un «luogo».lxv La mente non collima conun Sé astratto, isolato, con l'interiorità di un'anima ingessata in una sorta di intemporalità ma, lo haaffermato più volte con Jung James Hillman, è viceversa il pensiero del mondo, l'anima mundilxvi

che sporge da tutte le possibili aperture e che nel giardino – grazie alla disposizione e alladistribuzione della essenze, alla varietà delle specie, alle composizioni cromatiche e alle aureolfattive, all'alternanza delle luci e delle ombre, ai riflessi e ai rumori delle acque, al fruscio deiventi e a tutti i fenomeni di cambiamento che vi avvengono – trova le circostanze più congeniali per

dare corpo in forma emblematicamente metaforica alla complessità dei propri orizzonti simbolici ecreare immagine per le forze che la agitano finanche nelle profondità sinuose e allusive dei recessiinconsci.lxvii

6. Un Terzo paesaggio

L'educazione ha necessità di «luoghi»: luoghi aperti, discontinui tra familiarità di ambiti e campidi ricerca sconosciuti. Ha necessità di movimento e di vigili sguardi. E ne ha più che mai necessitàin un tempo di diffuse crisi e di forte spaesamento identitario. La Riforma della scuola superiore hain verità accentuato il divario tra progettualità educativa e istruzione: la ridondanza contenutisticadelle linee guida, in realtà dalla gran parte dei docenti considerati veri e propri programmi, lacontrazione dei quadri orari, la riduzione di significative risorse laboratoriali contrastano conl'emergenza generazionale di giovani in condizioni di insofferenza se non di dichiarato disagio perla fragilità di statuti personali sempre più sottoposti al rischio della dispersione dovuta all'effetto diuna moltitudine di sollecitazioni non controllate e di conflitti emozionali non risolti.Ed è qui, sul terreno della quotidianità della scuola, nel «luogo» dell'incontro e dello scontro tra icorpi vivi delle studentesse e degli studenti e la formalità concettuale dei percorsi di studio, che siripresentano con la forza della loro verità la prospettiva provocatoria di Nietzsche e l'istanzautopica dell'avventura educativa che ha innervato l'Illuminsmo. Nella consapevolezza del suoessere propriamente «luogo», spazio di aperture relazionali, la scuola non può che riaprirsi, pena lasconfitta, la fuga nell'autoreferenzialità istituzionale che s'alimenta di abbandoni, al gioco di undialogo in movimento a più voci orientato innanzitutto a promuovere in un clima d'accoglienza edi cura le capacità e le competenze dei singoli soggetti in azione, inclusi gli insegnanti. Che qualcosa accada è forse l'aspettativa più vera anche se a volte inconfessata delle generazioniche fanno il loro ingresso nei locali scolastici e questo accadere non può essere diverso daun'apertura che orienta un cammino, genera motivazioni, produce pensieri che si saldano,facendosene interprete, ad altri sedimentati nei linguaggi codificati delle discipline: un'apertura chetuttavia sposta il baricentro dell'istituzione scolastica al suo esterno, impegnandola in un'opera diraccordo con le aree avanzate della ricerca scientifica, si pensi ad es. al campo delle neuroscienze, ein un costante raffronto con le questioni calde del sociale e le problematiche derivanti dalletrasformazioni degli assetti urbani e dal crescente dissesto ambientale. In questa circolarità diaperture, che di per sé è già strategia ermeneutica di apprendimenti di consapevolezza e di saperi,la scuola si riappropria del suo telos: l'educazione come invenzione di progettualità umana,condizione oggi inderogabile, come ricorda il titolo del bel libro di Cambi Abitare il disincanto, peruomini e donne chiamati a dare Senso ad un vivere esposto ai rischi di una complessità non priva dicontesti e di situazioni alienanti. Progettare un'offerta formativa attenta al coinvolgimento e alla partecipazione delle componentiscolastiche ̶ suffragata per altro da una legge sull'Autonomia delle scuole che precedendo laRiforma degli ordinamenti ne potrebbe fortemente orientare le linee guida ̶ è già il prefigurare unmodo di abitare il mondo che nell'alterità delle sue dimensioni storiche, politiche, sociali, fisiche eorganiche necessita di essere conosciuto e compreso nelle forme più confacenti della cura e dellacustodia.lxviii La domanda sull'educazione del futuro si congiunge così con il problema dellasostenibilità del futuro,lxix della fine o dell'avvenire di un tempo che nella dimensione planetariadella crisi di risorse e di immaginazione non può trovare risposte, soluzioni, vie d'uscita diverseda quelle riconducibili a orizzonti locali. In una forma del tutto nuova, drammaticamenteinsospettata, si ripresenta sulla scena del futuro e dell'educazione nel gioco delle relazioni uomo-mondo il problema della verità del «luogo». Non vi è altra possibilità di risorse, di crescita e dicambiamenti per le prospettive del pensiero e per la creazione di realtà al di là di una nuovastagione di reinvenzioni di «luoghi¼» e di radicamento in essi. Lo insegna in tutt'altro ordine digrandezza, sulla scena della geosfera, la storia della biodiversità con la creazione di ambientiinediti: i «giardini in movimento» studiati da Gilles Clément, quali elementi essenziali di quelmosaico planetario di luoghi definito dallo stesso Clément “Terzo paesaggio”. Un paesaggio/rifugio

di diversità dal carattere indeciso costituito, come si legge nel Manifesto del Terzo paesaggio,“dalla somma dei residui, delle riserve e degli insiemi primari”, da territori in gran parte esposti algioco dell'espansione e del rimescolamento degli organismi vegetali in assenza di decisioneumana,lxx condizione come è noto del successo di vita per altre specie viventi.lxxi Rilevante è diquesto gioco la presenza dei residui (friches),lxxii luoghi privi di alcuna protezione, le cuicaratteristiche e le cui entità (aree urbane in stato di abbandono, zone industriali dismesse, terreniagricoli non più coltivati, zone limitrofe a vie di transito…) variano in forza dei processi dipianificazione/frammentazione territoriale il cui esito è la moltiplicazione degli spazi marginali,fattori in realtà sempre più determinanti nella selezione della diversità.Uno “spazio comune di futuro” si configura per Clément entro i confini del Terzo paesaggio lxxiii.Dagli interstizi degli spazi organizzati dell'umano si riaccende con la forza di una sfida simile aquelle provenienti dall'inconscio la dialettica tra natura e cultura. Una marginalità simbolica siistituisce nei luoghi-limina dove la diversità fa resistenza agli schemi consolidati del pensierodominante. Una nuova epistemologia, dettata dall'esigenza di “lavorare al confine”lxxiv, si fa stradanel Terzo paesaggio. “Non aspettare: osservare ogni giorno”, “avvicinarsi alla diversità constupore”, “immaginare il progetto come uno spazio che comprende riserve, domande da porre”,“imparare a nominare gli esseri”, “pensare i limiti come uno spessore e non come un tratto”,“pensare al margine come a un territorio di ricerca sulle ricchezze che nascono dall'incontro diambienti differenti”, “sperimentare l'imprecisione e la profondità come modi di rappresentazionedel Terzo paesaggio”, “creare tante porte quante ne servono alla comunicazione dei frammenti”…“rovesciare lo sguardo rivolto al paesaggio in Occidente”lxxv. Queste le pratiche che mostrano lavera natura del Terzo paesaggio: un paesaggio d'ordine mentalelxxvi, reale e al tempo stesso virtuale,confinato ma sconfinabile in nuove aree del pianeta e del pensiero, un «meta-luogo» dai forticaratteri etici, politici e educativi. Uno spazio sovversivo ˗ se con Salvatore Settis prendiamo inconsiderazione la sistematica sottrazione di suolo dei nostri territorio per scopi esclusivamenteurbanistici ˗lxxvii il solo forse oggi capace di ridare Snso alle metafore del giardino ˗ un «giardinoplanetario» direbbe Clément ˗ e valore ai nessi di etica e conoscenza frantumati dai poteri egemonidell'economia finanziaria. Uno spazio di riconoscimento e di riscatto per la scuola che nei limiti didrastici ridimensionamenti e di marcata marginalità sociale non può disattendere l'appuntamentocon il futuro: un futuro latente, ma altrettanto ben localizzato nei «luoghi» prossimi dell'incuria,dell'abbandono e della dimenticanza che tuttavia hanno il potere di mettere in gioco interi bagaglidi conoscenze e di generare immaginazione e creatività. Lavorare sul territorio e con il territorio anche in relazione a situazioni di marginalità ambientale, aframmenti di Terzo paesaggio ̶ “coltivare il nostro giardino” direbbe ancora oggi con la voce diCandido Voltaire ̶ è per le nostre scuole, i licei della Riforma, un'occasione preziosa per realizzareuna progettualità culturale consona a quel senso di responsabilità richiesto dalle circostanze delpresente che può crescere forte come voleva Nietzsche nella libera ma altrettanto disciplinatadedizione allo studio e alla conoscenza.

i Le Conferenze, per incarico della «Società Accademica», si tennero all'Università di Basilea presso la qualeNietzsche ricopriva l'insegnamento di filologia classica poco dopo la pubblicazione delle prime copie della Nascitadella Tragedia ii Friedrich Nietzsche, Ueber die Zukunft unserer Bildungensanstalten, in Werke, Kritische Gesamtausgaben, a cura diG. Colli e M. Montinari, Berlin-New York, 1964-ss., tr. .it. G. Colli, Sull'avvenire delle nostre scuole, Milano 19823,p. 38 e p .62 iii “Il prefisso sur nell'aggettivo «surmoderno» è da intendersi nel senso che possiede in Freud e Althussernell'espressione «surdeterminazione», il senso dell'inglese over; esso indica la sovrabbondanza di cause che complical'analisi degli effetti”, in Marc Augé, Pour une anthropologie de la mobilité, Barcelona 2007, tr. it. G. Carbonelli, Perun'antropologia della mobilità, Milano 2010, p. 7iv Friedrich Nietzsche, op. cit., p. 37v Ibid., pp. 32-3vi Ibid., p. 34vii Ibid., pp. 34-5viiiIbid., p. 41ix “Nel giornalismo, difatti, confluiscono assieme le due tendenze: qui si pongono la mano l'estensione della cultura ela riduzione della cultura. Il giornale si presenta addirittura in luogo della cultura e chiunque coltivi ancora preteseculturali, anche come studioso, si appoggia abitualmente a quel vischioso tessuto connettivo, che stabilisce le giunturefra tutte le forme della vita […]. Nel giornale culmina il vero indirizzo culturale della nostra epoca, allo stesso modoche il giornalista ̶ schiavo del momento presente ̶ è venuto a sostituire il grande genio, la guida per tutte le epoche,colui che libera dal momento presente”. (pp. 35-6)x Ibid., pp. 38-9xi Ibid., p. 44-5xii Ibid., p. 43xiiiIbid., p. 69xiv Ibid., p. 76xv Ibid., p. 65xvi Ibid., p. 77xviiIbid., p. 61xviiiIbid., p. 87 xix “In effetti, se eliminate i Greci, con la loro filosofia e la loro arte, su quale scala vorrete ancora salire verso lacultura? In realtà, nel tentativo di arrampicarvi sulla scala senza quell'aiuto, potrebbe accadere che la vostra erudizione ̶dovete tollerare che vi si dica questo ̶ piuttosto che mettervi le ali e sollevarvi verso l'alto, premesse invece sullevostre spalle come un peso molesto”. (p.119) ”xx Ibid., p. 67xxi Ibid., p. 21-2xxiiIbid., p. 89xxiiiIbid., pp. 125-6xxivIbid., pp. 16-7 xxvIbid., p. 108xxviIbid., p. 18xxviiIbid., pp. 74-5xxviii Si veda: Zygmunt Bauman, Modernity and the Olocaust, New York 1989, tr. it. M. Baldini, Modernità e Olocausto, Bologna 1992xxix Sarebbe difficile ripercorrere la storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche, come risulterebbeproblematico orientarsi anche per un bel tratto nella storia delle teorie gnoseologiche, senza tenere conto dei giochi dirispecchiamento che nelle diverse stagioni della cultura occidentale si sono codificati tra i domini delle piante e le piùvarie modalità di crescita e di sviluppo intellettuale e morale. Si pensi, ad es., all'incidenza della figura dell'alberonell'architettura del pensiero. Dalla tarda antichità alle soglie dell'epoca moderna lo schematismo delle sue ramificazioniha ispirato l'elaborazione dell'Arbor Porphiriana, la trascrizione in chiave neoplatonica della logica aristotelica tesa a“illustrare il procedimento di divisione che dal genere sommo (o generalissimo), attraverso le varie differenzespecifiche, porta alla specie infima (o specialissima)”. Dalle dottrine, che attorno ad essa per tutto il Medioevo si sonocostituite sulla scia della boeziana traduzione dell'Isagoge di Porfirio, ne è discesa la stessa visione del mondo,concepita secondo un modello gerarchico e classificatorio persistente ancora nell'opera sistematica di Linneo (si veda G.Girgenti, “Albero di Porfirio”, in Enciclopedia Filosofica, Milano 2006, I, p. 226). Così nell'immagine dell'alberoRaimondo Lullo poteva agli inizi del XIV secolo compendiare l'unificazione delle scienze sì che dalla trama dei loroconcetti si potesse conoscere la realtà del mondo e di Dio e Cartesio identificava in essa il modello di un sapere unitarioe plurale. “Così tutta la Filosofia − egli asseriva − è come un albero, di cui le radici sono la metafisica, il tronco è lafisica, e i rami che sortono da questo tronco sono tutte le altre scienze, che si riducono a tre principali, cioè la medicina,la meccanica e la morale, intendo la più alta e perfetta moale, che, presuppponendo un'intera conoscenzadelle altrescienze, è l'ultimo grado della saggezza” (Lettera all'abate Picot, in Opere filosofiche, ed. it. a cura di E. Garin, III, Iprincipi della filosofia, Roma-Bari 20054, p. 15). Tra le ramificazioni di un altro albero, occorre ricordare, nel

contempo albero della conoscenza e della Vita, si originava per l'Occidente un'idea nuova di storia universale: nelletessere di un immenso albero ampio quanto il mosaico pavimentale dell'intera navata centrale della cattedrale diOtranto tra il 1163 e il 1165 prendeva corpo per mano del suo artefice teologo, Pantaleone, una delle più densenarrazioni di storia sacra e di storia pagana, di vita quotidiana nello scorrere del tempo stagionale e di eventi assegnatiall'intemporalità del mito (si veda .G. Gianfreda, Otranto civiltà senza frontiere, Galatina 1983). Nondimeno ulterioriscenari si sarebbero aperti per la metafora dell'albero nella temperie delle pratiche esplorative del mondo-ambientealimentate dall'esoterismo alchemico. Alberi di paesaggi pittorici, che ne valorizzano la presenza focalizzandone speciee qualità cromatiche, da Giotto in poi accompagnano la scoperta del potenziale immaginativo trattenuto nella naturalitàdell'albero (si veda il prezioso e suggestivo excursus proposto da Tullio Pericoli, Attraverso l'albero una piccola storiadell'arte, Milano 2012). Accanto ai grandi racconti della storia universale e ai poemi dominati dalla presenza di selvemagico-simboliche, si pensi ad es. a certe ambientazioni dell'Orlando Furioso, si andranno a delineare nel tempo nuoveforme di scrittura. Con l'invenzione del romanzo moderno si fa strada una letteratura di formazione che trova spessonella metafora del seme e del giovane virgulto il suo fulcro. Sintesi immaginativa dell'intero arco di vita dell'uomo ilciclo arboreo traccerà con la sequenza e le circostanze delle sue fasi di crescita le linee di sviluppo di una nuova scienzadell'educazione nel cui solco si andrà a comporre, per riprendere l'immagine di Franco Frabboni e Franca PintoMinerva, l'albero della famiglia delle scienze umane (si veda Manuale di pedagogia generale, Roma-Bari 1994, pp.111-17).xxxFriedrich Nietzsche, op. cit., p. 38xxxi Edgar Morin, Les sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur, Paris 1999, tr. it. S. Lazzari, I sette saperinecessari all'educazione del futuro, Milano 2001. “E' sorprendente che l'educazione che mira a comunicareconoscenze, sia cieca su ciò che è la conoscenza umana, su ciò che sono i suoi dispositivi, le sue menomazioni, le suedifficoltà, le sue propensioni all'errore e all'illusione e che non si preoccupi di far conoscere che cosa è conoscere”, cosìl'esordio dei Riassunti preliminari da cui scaturisce l'indicazione fondamentale sviluppata nel terzo capitolo: “Lacondizione umana dovrebbe essere oggetto essenziale di ogni insegnamento”.xxxii Scrive Morin: “La formula del poeta greco Euripide, antica di venticinque secoli, è più attuale che mai: «L'attesonon si compie, all'inatteso un dio apre la strada». L'abbandono delle concezioni deterministe della storia umana, checredevano di poter predire il nostro futuro, l'esame dei grandi eventi del nostro secolo, che furono tutti inattesi, ilcarattere ormai ignoto dell'avventura umana devono incitarci a predisporre la mente ad aspettarsi l'inatteso peraffrontarlo. E' necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell'incertezza”(p. 14 dell'edizione italiana). Si veda: Franco Cambi, Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno, Novara2006, in particolare il capitolo 6, La coscienza ironica.xxxiiiEnzo Cocco, Etica ed estetica del giardino, Milano 2003, p. 21 xxxivIbid. p. 20xxxv John Milton, Paradise Lost (1667), London 1668, tr. it. a cura di R. Sanesi, Paradiso Perduto, Milano 1990. Ladescrizione del giardino edenico presente nel IV e nel V libro del poema prefigura in realtà il modello del giardinoritrovato, il giardino paesaggistico all'inglese, come, ricorda Enzo Cocco, aveva ben mostrato nella voce «Jardin» dell'Encyclopédie, ou dictionaire raisoné des sciences, des arts, et des métiers di Diderot e d'Alembert Louis de Jacourt, cheper altro aveva curiosamente citato il testo miltoniano riscrivendone in parte la sequenza dei versi: prima i vv. 292-297del libro quinto e di seguito i vv. 216-222 e i vv. 247-268 del libro quarto (si veda op. cit. pp.15-16).xxxvi L'opera dal titolo The Moralists. A Philosophical Rhapsody fu pubblicata nel 1709. La prima traduzione italianafu curata da P. Casini, I moralisti: rapsodia filosofica, ossia ragguaglio di talune conversazioni su argomenti naturali emorali nella raccolta Saggi morali, Bari 1962. Una nuova versione del testo di recente pubblicazione è curata da A.Gattixxxvii Enzo Cocco, op. cit., p. 40xxxviiiIbid., p. 60xxxixIbid., pp. 63-64xl Ibid., pp. 84-5 xli Denis Diderot, La promenade du sceptique ou les Allées (1747), tr. it. a cura di M. Brini Savorelli, La passeggiatadello scettico. Colloqui sulla Religione, la Filosofia e la Mondanità, Milano 1984. I primi attori sulla scena dellapasseggiata sono l'abitante di una casa isolata tra un viale di alberi mai potati e labirintici intrecci di selvatico ecoltivato, il filosofo Cleobulo, e Aristo, il nobile amico testimone e narratore di quel comune lento camminare che piùdi ogni altra attività umana si presta a rappresentare la dinamica di un universo in movimento, sempre nuovo nelle sueinusitate combinazioni. xlii Tre strade, ciascuna ben caratterizzata per dimensioni, forme e livelli di difficoltà, conducono a tre viali, il vialedelle spine, il viale dei fiori e il viale dei castagni, rispettivamente teatri di vita per una moltitudine di individui figuredelle molte forme dell'esperienza religiosa, dell'esistenza mondana e della ricerca filosofica (op. cit. p.89).xliiiIbid., pp.80-1 e pp. 99-100xliv Si ricordi l'incipit del libro primo dell'Émile: “Nello stato in cui ormai le cose si trovano, un uomo abbandonatoa se stesso fin dalla nascita, sarebbe tra gli altri il più alterato di tutti. I pregiudizi, l'autorità, la necessità, l'esempio, tuttele istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi,soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero in lui nulla alsuo posto. Essa si troverebbe come un arboscello che il caso fa nascere in mezzo alla strada, e che i passanti fannoperire presto, urtandolo da ogni parte e piegandolo in tutti i sensi. Mi rivolgo a te, madre tenera e previdente, che ti

sapesti allontanare dalla via maestra, e sapesti garantire l'arboscello dall'urto delle opinioni umane. Coltiva, annaffia lagiovane pianta prima che muoia; i suoi frutti faranno un giorno la tua delizia. Innalza per tempo un recinto intornoall'anima del tuo figliolo; un altro potrà tracciare il circuito, ma tu sola devi collocare la barriera” (tr. it. L. De Anna, inOpere, a cura di P. Rossi, Firenze 1972, p. 351).xlv Jean-Jacques Rousseau, Julie ou La Nouvelle Heloise. Lettres de deux amants, habitants d'une petite ville au pied des Alpes, Amsterdam 1761, tr. it. P. Bianconi, Giulia o la Nuova Eloisa, Milano 1998, p.493xlvi Ibid., “Mi misi a percorre estasiato quel verziere così metamorfosato; e se non vi trovai piante esotiche e prodotti delle Indie, vi trovai quelli indigeni disposti e riuniti in modo da produrre un effetto più ridente e piacevole...”. Così hainizio la descrizione delgiardino segreto, cfr. pp. 494-499.xlviiRousseau parla per bocca dell'autore della XI lettera della IV parte di Giulia, il romanzo sull'amore e sull'amicizia.xlviii Jean-Jacques Rousseau, Les Rêveries du promeneur solitaire (1776-78), pubblicato postumo nel 1782, tr. it. B. Dal Fabbro, Le passeggiate solitarie, in op. cit., p.1346xlix Ibid., p.1351l Il tema del giardino è del tutto solidale con il tema del viaggio d'avventura, filo conduttore dei racconti filosofici voltairiani (op. cit., p. 166).li Voltaire, Candide ou l'optimisme, London-Amsterdam-Paris 1759, tr. it. R. Bacchelli, Candido ovvero l'ottimismo, Milano 1988. Il Paradiso in questione era ubicato in Vestfalia presso il castello del barone di Thunder-ten-tronckh, dove Candido era cresciuto tra la servitù. Le ragioni della cacciata, un approccio amoroso con Cunegonda la figlia del barone, dallo stesso sorpresa con il giovane dietro un paravento (p. 9). lii Ibid.,p. 179liii Enzo Cocco, op. cit., p. 184liv Jean-Luc Nancy, Le poids d'une pensée, l'approche, Paris-Strasbourg 2008, tr. it. a cura di D. Calabrò, Il peso di un pensiero, l'approssimarsi, Milano-Udine 2009lv Ibid., p. 112lvi Ibid., pp. 110-11lvii Ibid., p. 110lviii Come si evince dal seguente passo tratto dall'ultima sezione della prima parte del Discorso sul metodo (tr. it acura di G. Bontadini, Brescia 196412, p.21) si può affermare che l'invenzione del Cogito abbia avuto necessità dimovimento e di luoghi di transito. “Non appena l'età mi permise d'uscire dalla soggezione dei miei precettori,abbandonai intieramente lo studio delle lettere. Risoluto di non cercar più altra scienza, fuori di quella che si potessetrovare in me stesso ovvero nel gran libro del mondo, io impiegai il resto della mia gioventù a viaggiare, a visitare cortied eserciti, a raccogliere diverse esperienze, a provarmi nelle traversie che la fortuna mi porgeva, e a far dappertuttotale riflessione sulle cose che si presentavano, da poterne trarre qualche profitto.” Dunque più dei libri, per quantofondamentali per la formazione ricevuta in una delle più prestigiose scuole di Francia (cfr. incipit della prima parte), ipaesaggi e gli incontri risultarono efficaci per la crescita di una nuova attitudine al pensare che necessariamenteavrebbe postulato un diverso stile di vita, nuove regole per una morale provvisoria.lix Jean-Luc Nancy, op. cit. p. 110lx Ibid. p. 111lxi Ibid., p. 113lxii Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, tr. it. a cura di G. Reale, Milano 20062, Illuminante è la testimonianza relativa alla vita semplice e frugale di Epicuro. “Mentre le circostanze più difficili a quei tempi stavano sconvolgendo la Grecia, egli continuò lì a vivere, facendo solo due o tre viaggi dalle parti della Ionia, a trovare gli amici. E gli amici arrivavano presso di lui da ogni parte, e addirittura rimanevano a vivere insieme con lui, nel Giardino, secondo anche quanto dice Apollodoro, il quale riferisce pure che Epicuro acquistò il Giardino per la somma di ottanta mine” (p. 1171). La riscoperta del pensiero di Epicuro da Lorenzo Valla a Pierre Gassendi avrebbe suscitato forte interesse per quel suo Giardino ad Atene che nel clima sostanzialmente antidogmatico, pervaso da correnti libertine e scettiche, del Sei e del Settecento riprese a vivere nell'invenzione di nuovi giardini filosofici.lxiiiJames Hillman, Il piacere di pensare. Conversazione con Silvia Ronchey, Milano 20103, p. 22lxivIbid., p. 10 lxv Sul tema del Senso del «luogo» in prospettiva interdisciplinare e in chiave di politica della bellezza si vedano: James Hillman, L'anima dei luoghi. Conversazione con Carlo Truppi, Milano 2004 e Carlo Truppi, “Ambiente” in Enciclopedia Filosofica, Milano 2006, I, pp. 327-33lxvi Per un approfondimento sul tema si veda: James Hillman, L'anima del mondo. Conversazione con Silvia Ronchey, Milano 1999lxviiJames Hillman, Il piacere di pensare, p. 13lxviiiSi veda: Silvano Petrosino, Abitare l'arte. Heidegger, la Bibbia, Rothko, Novara 2011lxix Si veda: Marc Augé, Où est passé l'avenir?, Paris 2008, tr. it. G. Lagomartino, Che fine ha fatto il futuro?, Milano 2009 lxx Gilles Clément, Manifeste du Tiers paysage, 2004, tr. it. a cura di F. De Pieri, Manifesto del Terzo paesaggio,Macerata 2005, p. 7. Per la definizione di Terzo paesaggio Clément precisa: “Terzo paesaggio rinvia a Terzo stato (e nona Terzo mondo). Uno spazio che non esprime né il potere né la sottomissione. Fa riferimento al pamphlet di Seyès del1789: «Che cosa è il Terzo Stato? ̶ Tutto. Che cosa ha fatto? ̶ Niente. Cosa aspira a diventare? ̶ Qualcosa» (p. 11) lxxiSi veda: Jacques Brosse, La magie des plantes, 1999, tr. it. V. Palombi, La magia delle piante, Pordenone 1992

lxxii Gilles Clément, Le jardin en mouvement. De la Vallée au Champ via le parc André-Citroën et le jardin planetaire, tr. it. V. Borio, Il giardino in movimento. Da La Vallée al giardino planetario, Macerata 2011, pp. 29-31 lxxiiiGilles Clement, Manifesto del Terzo paesaggio, p. 61lxxivSi veda: Silvano Tagliagambe, Epistemologia del confine, Milano 1997 lxxvGilles Clement, Manifesto del Terzo paesaggio, pp. 59-64lxxvi Ibid., p. 25; più avanti si afferma: ”Il Terzo paesaggio può essere visto come la parte del nostro spazio di vita affidata all'inconscio. Profondità dove gli eventi si accumulano e si manifestano in modo, all'apparenza, indeciso. Uno spazio privo di Terzo paesaggio sarebbe come uno spirito privo di inconscio. Una simile situazione perfetta, senza demoni, non esiste in alcuna cultura” (pp. 57-8)lxxvii Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado, Torino 2010, in particolare il cap. I,”Una bomba a orologeria”